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Filosofia

Gli studiosi concordano nel dire che la prima forma di riflessione filosofica si è sviluppata nei
secoli VII-VI a.C. in Grecia.
La novità assoluta della filosofia rispetto alle altre modalità di riflessione sull’uomo e sul
mondo è costituita dal metodo, in virtù del quale si riconoscono come validi soltanto gli
argomenti che “reggono” alla prova della razionalità umana.
Il termine filosofia (origine greca) significa letteralmente “amore per la sapienza”; nasce
dallo spontaneo senso di meraviglia suscitato negli uomini dalla grande varietà e bellezza
delle cose.
Aristotele, un pensatore greco, affermava che tutti gli uomini tendono per natura alla
conoscenza, in quanto l’impulso a chiedere il perché di tutte le cose è tipico degli esseri
umani, dunque il filosofo non possiede la sapienza, ma la cerca.
La sapienza cercata dai filosofi è quella che permette di approfondire e chiarire gli aspetti
fondamentali della vita, rispondendo ad esempio agli interrogativi sul senso dell’esistenza,
su come discernere il vero dal falso, come conseguire la felicità ecc.
La riflessione filosofica si sviluppò nelle colonie greche della Ionia in Asia Minore, in
particolare nelle fiorenti città di Mileto, Efeso, Colofone e Samo. In questi centri dove
commercianti e artigiani stavano colonizzando il Mar Nero e allargando le loro attività, si
respirava un'atmosfera di libertà e vivacità intellettuale. In questo contesto stava
emergendo una nuova classe di cittadini che cercavano di mettere in discussione il
predominio delle vecchie aristocrazie agrarie per affermare un sistema politico adeguato ai
propri bisogni. Di qui la rivendicazione di pari dignità e di eguali diritti politici per tutti. È
questa la prima dorma di democrazia di cui abbiamo notizia nel mondo, una democrazia che
si deve intendere più probabilmente come richiesta di isonomia cioè di "uguaglianza di
fronte alla legge” per tutti.
In Grecia non incontriamo quasi mai figure di filosofi che si dedicano alla ricerca in modo
isolato, ma al contrario si parla principalmente di scuole filosofiche, cioè di gruppi di uomini
che conducevano una vita in comune, in alcuni casi si aveva anche un'impronta di carattere
religioso (scuola pitagorica). Ma il più delle volte si parlava di comunità laiche legate dal
vincolo della ricerca e il bisogno di comunicare le proprie conquiste intellettuali. Le scuole
filosofiche antiche (prima del “Liceo” aristotelico) non miravano all’insegnamento, ma erano
delle comunità di vita in cui si dibattevano problemi teorici, si mettevano in comune
difficolta e dubbi e si condividevano scelte e soluzioni pratiche.
Seguendo una tradizione consolidata possiamo classificare i principali filosofi che operano
tra il VII e il V secolo a.C. prima nelle colonie greche della Ionia e poi nella Magna Grecia e
quindi ad Atene:
-gli ionici, originari della città ionica di Mileto: Talete, Anassimandro e Anassimene;
-i pitagorici, che fondarono una scuola a Crotone: Pitagora e la comunità dei suoi allievi;
-gli eraclitei, che operano nella città ionica di Efeso: Eraclito e i suoi discepoli;
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-gli eleati, il cui esponente più importante è Parmenide, che fondò la scuola ad Elea;
-i fisici pluralisti, rappresentati da tre grandi pensatori: Empedocle, Anassagora, Democrito.
Socrate, Platone e Aristotele, che ebbero a loro volta discepoli con cui dialogare e riflettere,
rappresentano il pensiero più maturo della filosofia greca classica;
La prima riflessione filosofica si sviluppa nella Ionia intorno ai secoli VII-VI a.C.
Coloro che inaugurano questo nuovo stile di pensiero sono: Talete, Anassimandro,
Anassimene (tutti e tre di Mileto). Non abbiamo molte informazioni su questi pensatori: le
poche informazioni si trovano nei desti di autori come: Platone, Aristotele e Laerzio.
Si può affermare con certezza che possedevano alcune fondamentali conoscenze di
carattere tecnico scientifico.
Si tramanda che Talete abbia previsto con largo anticipo delle Eclissi e che Anassimandro
abbia inventato la prima carta geografica e importato in Grecia le conoscenze tecniche per
costruire l’orologio solare e che essi abbiano tentato di spiegare i fenomeni atmosferici
come cause naturali e non più mitiche.
Ma a loro va soprattutto il merito di aver individuato una causa sulla creazione del mondo,
un “principio originario” detto archè.
L'archè rappresenta sia la materia di cui sono fatte cose, sia la forza che le ha generate e sia
la legge che le governa e le rende intelligibili all’uomo.

Talete
Secondo Aristotele Talete non era affatto una persona distratta (aneddoto di Platone) e
sapeva sfruttare le conoscenze metereologiche per arricchirsi.
Per Talete il principio fondamentale è l’acqua, sulla base dell’osservazione e del buon senso
che mostrano come ogni cosa vivente sia intrisa di questa sostanza.
Quello che doveva immaginare Talete dell’universo è: all’inizio esisteva solo il grande
Oceano, da cui si è sviluppata la vita; successivamente si sono originati la terra e i corpi
celesti. L'acqua per tanto (per Talete) è il principio fondamentale, ossia il principio di tutte le
cose.

Anassimandro
Con Anassimandro (contemporaneo di Talete), la filosofia approfondisce la sua diversità dai
miti cosmogonici. Infatti lui usò per primo il termine archè e individuò la sostanza
primordiale, in un principio indeterminato detto apeiron che significa “senza confini”,
“sconfinato”. Anassimandro parla di apeiron perché il principio da cui derivano tutte le cose
non possa identificarsi.

Anassimene

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Anche Anassimene si occupa di ricerche naturalistiche. Egli identifica il principio primo con
l’aria, o “respiro”, paragonando la vita dell’universo alla vita dell’uomo.
Anassimene, attribuisce al principio primo i caratteri dell’infinita e del movimento
incessante: l’aria è la forza che anima il mondo e il principio di ogni mutamento.

I pitagorici
A Crotone venne a stabilirsi Pitagora dove fondo una nuova scuola filosofica, “la Fratellanza
Pitagorica”.
Pitagora era venerato dai suoi discepoli.
Molti caratteri della sua scuola facevano pensare ad una setta religiosa, in cui venivano
seguite delle regole ascetiche. I suoi discepoli si differenziavano in “ascoltatori” ai quali era
imposto il silenzio, ed i matematici, che potevano fare domande ed esprimere opinioni
personali.
Le dottrine fondamentali dei pitagorici riguardavano due aspetti: la dottrina dell’anima e la
dottrina del numero.
Pitagora non era mosso tanto dalla curiosità per i fenomeni naturali, ma dal desiderio di
tracciare una via di purificazione per l’anima, un principio divino e immortale imprigionato
nel corpo per una colpa originaria. Si tratta di una dottrina ripresa dall’orfismo, jn
movimento religioso sorto verso il VI secolo a.C. si ispirava al mitico poeta Orfeo. Gli orfici
ritenevano che dopo la morte, l’anima fosse destinata a reincarnarsi fino all’espiazione delle
proprie colpe. Era possibile interrompere il ciclo delle rinascite attraverso pratiche o riti di
purificazione.
Pitagora si concentrava nello studio dei mezzi per ottenere la liberazione dell’anima dalla
vita materiale, tali strumenti sono individuati da lui in una prassi di vita ascetica, che implica
l’obbedienza a precetti molto severi, ma soprattutto nell’esercizio della filosofia, che è intesa
come una via per la salvezza, che attraverso la ricerca e la conoscenza conduce alla
contemplazione dell’ordine che regna nell’universo, espresso dalla legge dei numeri.
Metempsicosi: reincarnazione dell’anima
L'altro nucleo rilevante del pensiero dei pitagorici è rappresentato dalla dottrina del
numero. Tra le due dottrine c’è un nesso molto stretto. La vita dell’uomo filosofo si
caratterizza per l’ordine e la misura con cui sa tenere a freno gli istinti del corpo.
Quest'ordine pervade tutto l’universo. Se contempliamo la volta celeste non possiamo fare a
meno di ammirare il moto regolare e ordinato degli astri, governato dalla legge del numero.
Lo stesso per le melodie musicali, così come per la successione delle stagioni, dei mesi e dei
giorni. È sulla base di queste osservazioni che i pitagorici arrivano ad affermare che la vera
sostanza delle cose risiede nel numero. È grazie al numero che noi possiamo cogliere la
realtà profonda del cosmo fatta di proporzione quantitativa tra gli elementi.
L'istituzione della natura matematica della realtà derivò dagli studi di acustica di Pitagora e
dall’analisi di quei suoni che formano un accordo. Pitagora prese spunto dalla lira, antico
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strumento a corda simile alla chitarra, e si accorse che gli intervalli tra le note che
compongono gli accordi rispondevano a rapporti numerici ben precisi. E fu proprio questa
scoperta a portarlo a concepire l’intera realtà come un cosmo, qualcosa di armonico e
piacevole in quanto regolato da leggi matematiche.
Alla ricerca delle leggi numeriche dei fenomeni i pitagorici associarono lo studio dei numeri
in sé stessi, “sganciati” dalla realtà dalla realtà naturale. Fondarono la matematica, e che
proprio i membri della scuola di Crotone cominciarono a usare per indicare quella che
consideravano la forma di conoscenza per eccellenza, cioè il sapere legato ai numeri e alle
loro leggi.
Legata alla fondazione della matematica è un’altra delle grandi conquiste dei pitagorici: la
“dimostrazione” che proprio a partire dai loro studi divenne strumento privilegiato della
filosofia e, soprattutto, metodo insostituibile del ragionamento scientifico.
I numeri dei pitagorici erano solo quelli che oggi noi chiamiamo “naturali” esprimibili
mediante numeri interi positivi o frazioni fra numeri interi positivi.
I pitagorici non si fermano a una concezione del numero come strumento di conoscenza ma
arrivano a considerarlo come il vero e proprio principio generatore.
Per i Greci il numero non era qualcosa di astratto, ma aveva caratteristiche fisiche e
geometriche. I pitagorici, rappresentavano l’unità con un punto dotato di estensione
spaziale, il matematico pitagorico Filolao mostrò come dall’unità-punto si possono generare
gli altri numeri e tutti i corpi fisici.
Poiché i numeri si dividono in pari e dispari, anche le cose hanno una natura duplice e
opposta.
Per i pitagorici c’è una concezione dualistica dell’universo: da un lato ci sono i numeri
dispari, che essendo un’entità limitata, sono il simbolo della perfezione; dall’altro lato ci
sono i numeri pari, che essendo un’entità illimitata sono simbolo di imperfezione.
Per i pitagorici quasi tutti i fenomeni della vita hanno una relazione con i numeri, e sono
assunti a simboli delle virtù sociali.
Il numero 1, che i pitagorici chiamavano “parimpari”, rappresenta l’intelligenza:
Il numero 2 esprime l’opinione sempre mutevole e incerta;
Il numero 4 raffigura la giustizia.
Per i pitagorici il 10 è il numero perfetto, raffigurato come un triangolo che ha come lati il 4,
esso contiene sia il paro che il dispari, contenendo tutti i numeri dall’1 al 4.

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Eraclito
La riflessione di Eraclito, vissuto nella città di Efeso, può essere ricondotta alla tradizione
cosmologica della scuola di Mileto. La tradizione lo presenta come discendente du Stirpe
reale, aristocratico e altezzoso, forte oppositore degli orientamenti politici dei suoi
concittadini.
Dalla sua unica opera, probabilmente intitolata Intorno alla natura ci restano solo
frammenti: aforismi brevi ed enigmatici che gli valsero l’appellativo di “oscuro”.
La sua riflessione si può sintetizzare nei seguenti nuclei tematici: il flusso universale, il logos
e la legge dei contrari.
Il punto di partenza dell’indagine di Eraclito è la constatazione che nel mondo non c’è nulla
che sia in uno stato di quiete: tutto è costantemente in movimento. Ad esempio l’avvicinarsi
delle stagioni, del giorno e della notte. Tutto muta incessantemente. Tale condizione
riguarda anche l’uomo. Secondo Eraclito, infatti, non è possibile ad esempio farsi il bagno
nello stesso fiume poiché le acque non sono più le stesse e il nostro essere è cambiato
anche se di poco.
Per Eraclito l’archè è il fuoco, elemento mutevole e distruttore. Dal fuoco hanno origine tutti
gli elementi e sempre tutti gli elementi ritornano alla fine del ciclo cosmico. Il fuoco è però
soprattutto il simbolo della legge segreta che regna al di sotto dell’apparente disordine
dell’universo, secondo cui i contrari si unificano in una superiore armonia.
Per Eraclito il popolo ignorante sono “i dormienti”, incapaci di usare la ragione. Dietro la
scissione e la trasformazione delle cose si nasconde un ordine razionale che è visibile
soltanto agli uomini svegli, i filosofi cioè “gli svegli”.
Il logos per Eraclito è la legge necessaria che governa l’universo. In base a questa legge
l’armonia e la razionalità scaturiscono proprio dalla conflittualità degli elementi, cioè dalla
contesa e dallo scontro dei contrari per esempio il bene è sempre in rapporto al male.

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