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giovedì 13 dicembre 2018

Comportamento organizzativo

CAPITOLO 1: CHE COS’É IL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO?

• L’importanza delle abilità interpersonali: negli ultimi 3 decenni i docenti delle


business school sono giunti a comprendere l’importanza del ruolo svolto dal
comportamento umano nel determinare l’efficacia di un manager. Sviluppare le
abilità interpersonali del manager aiuta ad attrarre e a mantenere dipendenti ad
alto rendimento. A prescindere dalle condizioni del mercato del lavoro, i
dipendenti eccellenti scarseggiano sempre. Imprese note per essere tra i migliori
posti in cui lavorare hanno un grande vantaggio. Una recente indagine condotta
su centinaia di luoghi di lavoro, e con più di 200.000 partecipanti ha mostrato una
forte correlazione tra le relazioni sociali instaurate tra collaboratori e supervisori e
la complessiva soddisfazione per il lavoro. Relazioni sociali positive sono anche
associate a inferiore stress e a minore intenzione di abbandonare il lavoro. La
presenza di manager con buone abilità interpersonali rende il luogo di lavoro più
piacevole, e la ricerca indica che i dipendenti capaci di relazionarsi bene con i
propri manager, attraverso il dialogo collaborativo e la proattività , riscontreranno
un maggior sostegno delle proprie idee e questo migliorerà ulteriormente la
soddisfazione sul luogo di lavoro.

• Che cosa fanno i manager?: i manager fanno sì che determinate cose vengano
realizzate da altre persone. Prendono decisioni, allocano risorse e dirigono le
attività degli altri per raggiungere gli obiettivi. I manager svolgono il proprio lavoro
in un’organizzazione, ossia in un’unità sociale intenzionalmente coordinata,
comporta da 2 o 3 persone, che funziona in modo relativamente continuativo per
raggiungere un obiettivo o obiettivi comuni.

- FUNZIONI DI MANAGEMENT: nella prima parte del xx secolo l’industriale


francese Fayol. Scrisse che tutti i manager svolgono 5 funzioni di
management: programmazione, organizzazione, coordinamento, guida e
controllo. Oggi le funzioni si sono ridotte a 4: programmazione,
organizzazione, guida e controllo. Dal momento che le organizzazioni
esistono per raggiungere degli obiettivi, qualcuno deve definire questi
obiettivi, e gli strumenti per raggiungerli. Quel qualcuno è il management. La
funzione di programmazione comprende la definizione degli obiettivi di
un’organizzazione, la decisione di una strategia complessiva per
raggiungerli e lo sviluppo di un insieme generale di programmi per integrare
e coordinare le attività. I manager hanno inoltre la responsabilità di ideare la
struttura di un’organizzazione, intesa come unità sociale. Chiamiamo questa

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funzione organizzazione. Ogni organizzazione è comporta da persone e il
lavoro del management è quello di dirigerle e coordinarle. Questa è la
funzione guida. Per assicurarsi che tutto vada bene il management
dovrebbe monitorare la performance dell’organizzazione e confrontarla con
gli obiettivi definiti. monitorare, confrontare e correggere sono azioni che
rientrano nella funzione di controllo.

- Diversi ruoli di management:

A. RUOLO INTERPERSONALE:

• Figura rappresentativa: capo simbolico, richiesto per svolgere


numerosi compiti routinari di natura legale o sociale

• Leader: responsabile della motivazione e della direzione dei


dipendenti

• Collegamento: mantiene una rete di contatti esterni che


forniscono favori e informazioni

B. RUOLO INFORMATIVO:

• Collettore di informazioni: riceve un’ampia varietà di informazioni,


funziona da centro operativo delle informazioni interne ed esterne
all’organizzazione

• divulgatore: trasmette le informazioni ricevute da esterni o da


dipendenti agli altri membri dell’organizzazione

• Portavoce: trasmette informazioni agli esterni in merito ai


programmi, alle politiche, alle azioni e ai risultati
dell’organizzazione; svolge la funzione di esperto del settore
produttivo in cui è attiva l’organizzazione

C. RUOLO DECISIONALE:

• Imprenditore: cerca opportunità per l’organizzazione e per il suo


ambiente e dà avvio a progetti finalizzati al cambiamento

• Gestore delle difficoltà: È responsabile di azioni correttive quando


l’organizzazione affronta difficoltà importanti e inaspettate

• Allocatore di risorse: assume o approva decisioni organizzative


significative

• negoziatore: è responsabile di rappresentare l’organizzazione nelle


principali negoziazioni

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- Diverse abilità dei manager:

A. Abilità tecniche = capacità di applicare conoscenze specialistiche o


competenze

B. Abilità umane = capacità di capire, motivare e collaborare con le


persone sia a livello individuale sia a livello di gruppi

C. Abilità concettuali = capacità mentale di analizzare e individuare


situazioni complesse

IL LAVORO MANAGERIALE IN SINTESI: un filo rosso attraversa le funzioni, i ruoli,


le abilità, le attività e gli approcci al management: ognuno di questi riconosce la
primaria importanza del management delle persone, che lo si chiami “funzione
direttiva, ruoli interpersonali, abilità umane”. È evidente che le persone devono
sviluppare le proprie abilità personali per essere efficaci e avere successo.

• Introduzione al comportamento organizzativo: il comportamento organizzativo


(OB) è un campo di studi che indaga l’impatto di individui, gruppi e strutture sul
comportamento all’interno delle organizzazioni, allo scopo di applicare tale
conoscenza per il miglioramento dell’efficacia dell’organizzazione. Il
comportamento organizzativo è un campo di studi: questo significa che è un’area
di competenza del sè, con un corpus comune di conoscenze. Che cosa studia?
Studia tre fattori determinanti del comportamento nelle organizzazioni: individui,
gruppi strutture. Inoltre l’OB applica le conoscenze acquisite sugli individui, sui
gruppi e sulle strutture al comportamento per far si che l’organizzazione funzioni in
modo efficace. l’OB include questi temi fondamentali: motivazione,
comportamento e potere del leader, comunicazione interpersonale, strutture e
processi di gruppo, sviluppo e percezione dell’atteggiamento, processi di
cambiamento, conflitto e negoziazione, design del lavoro.

• Unire all’intuizione lo studio sistemico: il comportamento è generalmente


prevedibile e lo studio sistemico del comportamento è uno strumento utile per
fare previsioni precise. Quando usiamo il termine STUDIO SISTEMICO intendiamo
l’osservare le relazioni, il cercare di attribuire cause ed effetti e il basare le nostre
conclusioni su evidenze scientifiche. Il management basato sulle evidenze
completa lo studio sistemico fondando le decisioni manageriali sulle migliori
evidenze scientifiche disponibili. Lo studio sistemico e il management basato sulle
evidenze si aggiungono all’intuizione, cioè a quei sentimenti istintivi su ciò che
rende gli altri e noi stessi “un certo tipo di persona”.

• Big data: è una buona notizia per il futuro delle imprese che i ricercatori, media e
leader di azienda abbiano individuato il potenziale del management e del
processo decisionale orientato ai dati. Sebbene i big data - l’uso estensivo della

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raccolta di dati e dell’analisi statistica - siano già stati applicati a molte aree di
impresa, essi vengono sempre più usati per l’assunzione di decisioni efficaci e per
il management delle risorse umane. Le imprese che hanno maggiore senso
pratico usano i big data per gestire le persone così come le tecnologie. Uno
studio recente condotto su 330 aziende ha rilevato che le imprese orientate dai
dati erano il 5% più produttive e con profitti del 6% più elevati rispetto ai loro
concorrenti. Possono sembrare piccolo guadagni in percentuale ma per queste
imprese che si collocano nel primo terzo delle aziende attive nel loro settore,
rappresentano un grande impatto sulla forza economica e un incremento
misurabile in termini di valutazioni sul mercato azionario. L’uso dei big data nelle
pratiche manageriali è un’area relativamente nuova. Nel trattare con le persone i
leader spesso si affidano alle intuizioni e valutano l’influenza delle informazioni che
hanno sentito più di recente, che sono state frequentemente ripetute o che hanno
rilievo dl punto di vista personale. Ovviamente queste non sempre rappresentano
le maggiori evidenze, piche tutti i manager hanno distorsioni sistematiche naturali.
Un manager che usa i dati per definire gli obiettivi, sviluppare e verificare teorie di
causalità può individuare quali sono le attività dei dipendenti rilevanti per gli
obiettivi stessi.

• Discipline che contribuiscono al campo dell’OB: il comportamento


organizziamo è una scienza comportamentale applicata, che si è sviluppata sulla
base dei contributi provenienti da diverse discipline comportamentali, in
particolare la psicologia, psicologia sociale, la sociologia e l’antropologia. —> vedi
schema a pagina 10

• Ci sono poche regole assolute nell’OB: comprendere il comportamento


organizzativo non è mai stato così importante per i manager. Diamo un breve
sguardo ai notevoli cambiamenti intercorsi nelle organizzazioni. Il dipendente
tipico sta invecchiando; sul luogo di lavoro troviamo un numero crescente di
lavoratori di colore; il ridimensionamento aziendale e il massiccio uso di lavori
temporanei stanno spezzando i vincoli di fedeltà che legavano molti dipendenti ai
propri datori di lavoro; inoltre, la competizione globale richiede ai dipendenti di
diventare piùflessibili e di tenere testa ai rapidi cambiamenti. Le opzioni
occupazionali si sono adattate in modo da includere nuove opportunità per i
lavoratori: sono vari i tipi di opzioni che le organizzazioni possono offrire agli
individui o che gli individui vorrebbero negoziare. In breve, le sfide oggi danno ai
manager l’opportunità di usare le idee del comportamento organizzativo. Vediamo
ora le questioni più critiche che i manager devono affrontare:

1. RISPONDERE ALLE PRESSIONI ECONOMICHE: avere una buona


gestione dei dipendenti nei tempi duri è difficile quanto averla durante i
momenti buoni. Gli approcci dell’OB talvolta differiscono. Durante i

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momenti positivi, è molto importante capire come ricompensare,
soddisfare e trattenere i dipendenti; nei momenti negativi, sono in primo
piano questioni come lo stress, il processo decisionale e il coping.

2. RISPONDERE ALLA GLOBALIZZAZIONE: le organizzazioni non sono più


legate ai confini nazionali. Il mondo è diventato un villaggio globale. In
questo processo il lavoro di manager è cambiato —> aumento dei
trasferimenti nei paesi esteri; lavorare con persone provenienti da culture
differenti dalla propria; supervisionare i movimenti occupazionali verso i
paesi con un basso costo del lavoro; adattarsi a differenti norme culturali e
legislative.

3. GESTIRE LA DIVERSITÀ DELLA FORZA LAVORO: una delle sfide più


importanti per le organizzazioni è la diversità della forza lavoro, concetto
legato al fatto che le organizzazioni stanno diventando più eterogenee in
termini di genere, razza, età, appartenenza etnica, orientamento sessuale e
inclusione di altri diversi gruppi.

4. MIGLIORARE L’ASSISTENZA AL CLIENTE: l’OB può aiutare i manager a


rendere le interazioni di maggiore successo, mostrando come gli
atteggiamenti e i comportamenti dei dipendenti influenzano la
soddisfazione dei clienti. Molte organizzazioni sono fallite poiché i
dipendenti non sono riusciti a soddisfare i clienti. Il management deve
creare una cultura sensibile ai bisogni del cliente. l’OB può fornire un
considerevole aiuto alla creazione di tale cultura da parte dei manager.

5. LAVORARE IN ORGANIZZAZIONI INTERCONNESSE: le organizzazioni


interconnesse permettono alle persone di comunicare e lavorare insieme
anche se si trovano a migliaia di km di distanza. In un’organizzazione
interconnessa il lavoro del manager cambia. Motivare e guidare le persone
e prendere decisioni collaborative online richiede tecniche differenti
rispetto a quando gli individui sono presenti di persona in un singolo luogo.
Poiché un numero crescente di individui svolge il proprio lavoro
collegandosi ad altri attraverso resti, i manager devono sviluppare nuove
abilità.

6. INCREMENTARE IL BENESSERE DEL DIPENDENTE AL LAVORO: il tipico


dipendente degli anni 60 era presente dal lunedì al venerdì in uno specifico
luogo di lavoro, dove lavorava ogni giorno per un numero di ore ben
definito. Per una grande parte della forza lavoro attuale ciò non è più
valido. I dipendenti si lamentano sempre pi del fatto che la linea di
demarcazione tra lavoro e tempo libero è diventata confusa. Una delle
sfide più importanti da affrontare per il mantenimento del benessere dei
dipendenti è data dalla nuova realtà, che vede molte persone nn

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allontanarsi mai dal luogo del lavoro virtuale. Un’altra sfida è rappresentata
dalla richiesta delle organizzazioni di lavorare un maggior numero di ore.
Secondo un recente studio un dipendente su 4 manifesta segnali di
esaurimento, in parte proprio a causa del maggior numero di ore di lavoro.
infine, il benessere dei dipendenti è messo in discussione dai gravosi
impegni esterni: è difficile bilanciare vita privata e vita professionale.

• Prossime attrattive: lo sviluppo di un modello di OB. Concluderemo il capitolo


presentando un modello generale che definisce il campo dell’OB, ne delinea i
parametri e ne individua input, processi e risultati. Il risultato saranno le “prossime
attrattive”, ossia gli argomenti affrontati nelle prossime pagine del libro. Un
MODELLO è un’astrazione della realtà, una rappresentazione semplificata. La foto
qua sotto mostra lo scheletro in base al quale costruiremo il nostro modello OB.
Essa propone 3 tipi di variabili (input, processi e risultati), corrispondenti a tre
diversi livelli di analisi (individuale, di gruppo, organizzativo). Il modello procede da
sinistra a destra, con gli input che conducono ai processi e i processi che a loro
volta conducono ai risultati. Va osservato che il modello mostra anche come i
risultati possono influenzare gli input futuri.

Un modello fondamentale di OB

1. Input: gli input sono variabili (personalità, struttura di gruppo, cultura


organizzativa) che conducono ai processi. Queste variabili definiscono ciò
che accadrà in seguito nell’organizzazione. In molti casi sono determinate
prima del rapporto di lavoro. Per esempio, gli aspetti inerenti alla diversità
di caratteristiche individuali, alla personalità e ai valori sono influenzati da
una combinazione di caratteri genetici ereditari e di ambiente della
fanciullezza. La struttura e i ruoli di un gruppo, sono in genere definite
immediatamente prima o dopo la formazione di un gruppo.

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2. Processi: sono azioni intraprese da individui, gruppi e organizzazioni per
effetto degli input, che conducono a determinati risultati.

3. Risultati: i risultati sono le principali variabili che si desidera spiegare o


prevedere, e sono influenzati da altre variabili. Quali sono i principali
risultati dell’OB? A livello individuale vi sono gli atteggiamenti e la
soddisfazione, la prestazione lavorativa e il comportamento di cittadinanza
aziendale. A livello di gruppo, le variabili dipendenti sono la coesione il
funzionamento. A livello organizzativo la redditività complessiva e la
sopravvivenza.

- Atteggiamenti e stress: processo psicologico negativo che si verifica


in risposta alle pressioni ambientali.

- Prestazione lavorativa: combinazione di efficacia ed efficienza nello


svolgere le proprie principali mansioni

- Comportamento di cittadinanza aziendale: comportamento


volontario che contribuisce all’ambiente psicologico e sociale sul luogo
di lavoro

- Coesione di gruppo: la misura in cui i membri di un gruppo si


sostengono e si fanno forza a vicenda sul lavoro

- Funzionamento di gruppo: la qualità e la quantità di un risultato


ottenuto da un gruppo di lavoro.

- P ro d u t t i v i t à : c o m b i n a z i o n e d i e ffi c a c i a ( i l g r a d o i n c u i
un’organizzazione è capace di soddisfare i bisogni della clientela) ed
efficienza (il grado in cui un’organizzazione è capace di raggiungere i
propri scopi a basso costo) in un’organizzazione.

QUALI SONO LE IMPLICAZIONI PER I MANAGER?

- resistete all’inclinazione di fare affidamento sulle generalizzazioni; alcune


forniscono valide intuizioni sul comportamento umano, ma molte altre sono
erronee

- Usate misure e variabili situazionali anziché l’istinto, per spiegare le relazioni di


causa effetto

- Lavorate sulle abilità interpersonali per incrementare il vostro potenziale di


leadership

- È bene migliorare le abilità tecniche e concettuali attraverso la formazione e


tenersi aggiornati sulle tendenze del comportamento organizzativo come big data

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- Il comportamento organizzativo può migliorare la qualità del lavoro e la
produttività dei dipendenti mostrando come potenziarne le abilità; progettare e
realizzare cambiamenti; migliorare i servizi al cliente; aiutare i dipendenti a
bilanciare vita e lavoro.

CAPITOLO 2: ATTEGGIAMENTI E SODDISFAZIONE LAVORATIVA

• Atteggiamenti: gli atteggiamenti sono dichiarazioni di tipo valutativo che


riguardano oggetti, persone o eventi. Riflettono il modo in cui percepiamo
qualcosa.

- Quali sono le componenti principali degli atteggiamenti? Per gli


atteggiamenti i ricercatori hanno ipotizzato la presenza di tre componenti
tipiche: cognizione, affetto e comportamento. L’affermazione “la mia
retribuzione è bassa” rappresenta la parte cognitiva di un atteggiamento,
ossia una descrizione o credenza del modo in cui stanno le cose. Essa getta
le basi per la parte più critica di un atteggiamento: la sua componente
affettiva. La sfera affettiva è la parte emotiva o sentimentale di un
atteggiamento. Essa può portare a risultati comportamentali. La
componente comportamentale di un atteggiamento descrive l’intenzione di
comportarsi in una determinata maniera verso qualcuno o qualcosa.
Considerare gli atteggiamenti formati da tre componenti (cognizione, sfera
affettiva e comportamento) contribuisce a far comprendere la loro
complessità e la relazione potenziale tra gli atteggiamenti stessi e il
comportamento.

- Il comportamento deriva sempre dagli atteggiamenti? Le prime ricerche


sugli atteggiamenti hanno ipotizzato una loro relazione causale con il
comportamento: gli atteggiamenti delle persone, ne determinerebbero le
azioni. Tuttavia alla fine degli anni 70 altre ricerche hanno messo in
discussione il presunto effetto degli atteggiamenti sul comportamento. Un
ricercatore ha sostenuto che gli atteggiamenti seguono il comportamento.
Secondo quanto proposto da questo ricercatore, i casi in cui
l’atteggiamento deriva dal comportamento illustrano gli effetti della
dissonanza cognitiva, espressione con cui si indica ogni incompatibilità che
un individuo potrebbe percepire tra due o più atteggiamenti o tra il
comportamento e gli atteggiamenti. Questo ricercatore ha sostenuto che
ogni forma di incoerenza è fastidiosa e che gli individui, pertanto,
cercheranno di ridurla. Essi mireranno a uno stato stabile, caratterizzato da
un minimo grado di dissonanza. Secondo le conclusioni della ricerca, le
persone cercano coerenza tra i propri atteggiamenti a tra gli atteggiamenti e
il comportamento. Nessun individuo può evitare del tutto la dissonanza. Il
desiderio di ridurre la dissonanza dipende da tre fattori, che includono

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l’importanza degli elementi che la creano e il livello d’influenza che crediamo
di avere sul loro conto. Gli individui saranno più motivati a ridurre la
dissonanza quando gli atteggiamenti sono importanti quando credono che
essa sia dovuta a qualcosa che per loro è possibile controllare. Il terzo
fattore consiste nelle ricompense della dissonanza: se un alto livello di
dissonanza è accompagnato da alte ricompense, la tensione inerente alla
dissonanza stessa tende a ridursi.

- Quali sono i principali atteggiamenti lavorativi? Ognuno di noi ha migliaia


di atteggiamenti, ma focalizzeremo la nostra attenzione su un numero molto
limitato di atteggiamenti correlato al lavoro. Essi attingono alle valutazioni
dei dipendenti, positive e negative, in merito ad aspetti che sono propri degli
ambienti lavorativi in cui fanno parte. La maggior parte delle ricerche
riguardano tre atteggiamenti principali: la soddisfazione lavorativa, il
coinvolgimento lavorativo e il commitment. 1) SODDISFAZIONE
LAVORATIVA —> quando le persone parlano degli atteggiamenti del
dipendente, solitamente intendono la soddisfazione lavorativa: essa
descrive un sentimento positivo riguardo a un’occupazione, risultante da
una valutazione delle sue caratteristiche. Una persona con alto livello di
soddisfazione lavorativa prova sensazioni positive sul proprio lavoro, mentre
una persona con un basso livello di soddisfazione lavorativa prova
sensazioni negative 2) COINVOLGIMENTO LAVORATIVO —> correlato alla
soddisfazione lavorativa è il coinvolgimento lavorativo, che misura quanto le
persone si identificano psicologicamente con il proprio lavoro e considerano
importanti per la propria autostima i livelli percepiti di prestazioni personali. I
dipendenti con un alto livello di coinvolgimento lavorativo dimostrano un
elevato grado di identificazione e di interesse con il tipo di lavoro che
svolgono. Un concetto correlato è l’empowerment psicologico, ossia
l’insieme delle convinzioni dei dipendenti che influenzano il loro ambiente
lavorativo, le loro competenze, la significatività del lavoro e la percezione
della propria autonomia 3) COMMITMENT ORGANIZZATIVO —> se
manifesta commitment organizzativo un dipendente si identifica con una
determinata organizzazione e con i suoi obiettivi e desidera continuare a
farne parte. Tra il commitment organizzativo e la produttività sul lavoro
sembra esistere una relazione positiva, ma di tipo modesto. Una rassegna di
27 studi ha indicato che la relazione tra commitment e prestazione è più
forte per i nuovi dipendenti, ed è più debole per i dipendenti con maggiore
esperienza. I dipendenti con un minor livello di commitment avvertono un
mancato rispetto delle promesse da parte dei datori di lavoro, e che questa
diminuzione di commitment si traduce in livelli inferiori di performance
creativa.

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- Sostegno organizzativo percepito: il sostegno organizzativo percepito è la
misura in cui i dipendenti ritengono che l’organizzazione apprezzi i loro
contributi e si preoccupi del loro benessere. Una ricerca dimostra che le
persone percepiscono la propria organizzazione capace di fornire sostegno
se considerano giuste le ricompense, se giudicano collaborativi i propri
supervisori e se i dipendenti hanno voce nelle decisioni. Secondo quanto è
stato rilevato, i dipendenti con una forte percezione di sostegno
organizzativo hanno maggiore probabilità di avere livelli più alti di
comportamento di cittadinanza organizzativa e di offrire un minor servizio ai
clienti, mentre hanno minori probabilità di ritardi nelle consegne o di errori
d’esecuzione delle attività.

- Engagement del dipendente: un nuovo concetto è quello di engagement


del dipendente, ossia il coinvolgimento, la soddisfazione e l’entusiasmo di
un individuo per il proprio lavoro.

• Soddisfazione lavorativa: come misuriamo la soddisfazione lavorativa? Che cosa


porta un dipendente ad avere un alto livello di soddisfazione lavorativa?

- Misurare la soddisfazione lavorativa: la nostra definizione di


soddisfazione lavorativa è ampia. Il lavoro non è solo controllare documenti,
scrivere codici di programmazione: richiede di interagire con i colleghi,
collaboratori e capi, di rispettare regole politiche aziendali, di soddisfare
standard di prestazione, di adattarsi a condizioni di vita non ideali. Due sono
gli approcci più diffusi. La valutazione globale singola consiste nel
rispondere a un’unica domanda come “consideri tutti gli aspetti, quanto
siete soddisfatti del vostro lavoro?” I partecipanti cerchiano un numero
compreso tra 1 e 5. Il secondo metodo, ossia la somma degli aspetti
lavorativi, più sofisticato. Esso individua gli elementi principali di
un’occupazione, quali la natura del lavoro, la supervisione, la paga attuale,
le opportunità di promozione e la relazione con i colleghi.

- Quanto sono soddisfatte le persone del proprio lavoro? Nella maggior


parte dei paesi sviluppati, la risposta sembra essere si. Studi condotti tra i
lavoratori nei paesi OCSE nel corso di 30 ani hanno generalmente indicato
una maggiore presenza di lavoratori soddisfatti piuttosto che di lavoratori
insoddisfatti. Quali sono i fattori della soddisfazione lavorativa? Pensate al
miglior lavoro possibile. Che cosa lo rende tale? Probabilmente apprezzate il
contenuto della mansione che svolgete e le persone con cui lavorate. Le
occupazioni interessanti che for niscono formazione, varietà,
interdipendenza e controllo rendono soddisfatta la maggior parte dei
dipendenti. Un recente studio europeo ha indicato che la soddisfazione
lavorativa ha una correlazione positiva con la soddisfazione di vita, giacché

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gli atteggiamenti e le esperienze di vita si riversano negli approcci e nelle
esperienze lavorative. interdipendenze, feedback, sostegno sociale e
interazione con i colleghi fuori dal lavoro hanno una forte relazione con la
soddisfazione lavorativa. Uno studio recente ha osservato che le persone
occupate presso aziende con meno di cento dipendenti, con mansioni di
supervisione, occupate in un settore industriale specializzato, con un’età
non compresa tra i 40 e i 49 anni, hanno maggiori probabilità di essere felici
nel proprio lavoro.

• Impatto dei dipendenti soddisfatti e insoddisfatti sul luogo di lavoro. Che


cosa accade i dipendenti quando apprezzano il proprio lavoro e quando non lo
apprezzano? Un modello teorico si basa sui seguenti punti:

A. USCITA: la risposta uscita orienta il comportamento verso l’abbandono


dell’organizzazione. Include la ricerca di una nuova posizione e le
dimissioni

B. ESPRESSIONE: la risposta espressione riguarda i tentativi attivi e


costruttivi nel migliorare le condizioni, come il suggerire miglioramenti,
discutere i problemi con i supervisori e intraprendere qualche forma di
attività sindacale

C. FEDELTÀ: la risposta fedeltà si esprime nell’attesa passiva ma ottimistica


che le condizioni migliorino, per esempio nel parlare a difesa
dell’organizzazione di fronte alle critiche esterne e nell’avere fiducia che
l’organizzazione e il suo management facciano la cosa giusta

D. NEGLIGENZA: la risposta negligenza permette passivamente che le


condizioni peggiorino. Comprende assenteismo o ritardi cronici, riduzione
dell’impegno, incremento degli indici d’errore nello svolgimento delle
attività.

I comportamenti di uscita e negligenza comprendono le variabili di prestazione:


produttività, assenteismo e turnover. Ma questo modello allarga il raggio delle
risposte dei dipendenti per includervi espressione e fedeltà: comportamenti
costruttivi che permettono agli individui di tollerare situazioni spiacevoli o di
riportare in vigore condizioni lavorative soddisfacenti. Il modello ci aiuta così a
meglio intraprendere situazioni dove si correlano.

1. SODDISFAZIONE LAVORATIVA E PRESTAZIONE LAVORATIVA: i lavoratori


soddisfatti hanno maggiori probabilità di essere lavoratori produttivi. Alcuni
ricercatori consideravano la relazione tra soddisfazione lavorativa e
prestazione lavorativa alla stregua di una leggenda; una rassegna di
trecento sudi ha indicato che la correlazione tra questi due aspetti è molto
forte. La tesi del rapporto tra soddisfazione e prestazione lavorativa trova

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supporto anche nel passaggio dal livello individuale a quello organizzativo:
quando si raccolgono individualmente dati inerenti alla produttività
dell’azienda nel suo complesso, troviamo che le organizzazioni con un
maggior numero di dipendenti soddisfatti tendono a essere più efficienti
delle organizzazioni che ne hanno meno

2. SODDISFAZIONE LAVORATIVA E OCB: sembra logico presupporre che la


soddisfazione lavorativa sia una delle cause principali del comportamento
di cittadinanza organizzativa. Dipendenti soddisfatti sembrerebbero avere
maggiori probabilità di parlare bene dell’organizzazione, aiutare gli altri e di
andare oltre le normali aspettative del proprio lavoro, probabilmente perché
desiderano ricambiare le proprie esperienze positive.

3. SODDISFAZIONE LAVORATIVA E ASSENTEISMO: tra soddisfazione e


assenteismo si osserva una costante relazione negativa che oscilla
moderata e debole. I lavoratori insoddisfatti hanno maggiori probabilità di
non presentarsi al lavoro. Le organizzazioni che forniscono generosi benefit
il congedo malattia incoraggiano tutti i loro dipendenti a prendersi giorni di
pausa: si può trovare il lavoro stimolante ma al contempo voler fare un
weekend lungo se è possibile prendersi giorni di vacanza senza
penalizzazioni.

4. SODDISFAZIONE LAVORATIVA E TURNOVER: questa relazione è più forte


della relazione tra soddisfazione e assenteismo. Recenti ricerche
suggeriscono che l’osservazione dei manager tesa a determinare chi
potrebbe abbandonare l’azienda dovrebbe concentrarsi sugli indicatori di
soddisfazione lavorativa dei dipendenti nel corso del tempo, poiché questi
livelli cambiano. La relazione tra soddisfazione e turnover è influenzata
anche da prospettive occupazionali alternative. Se un dipendente riceve
un’offerta di lavoro indesiderata, l’insoddisfazione lavorativa ha un valore
predittivo inferiore per il turnover: il dipendente ha maggiori probabilità di
dimettersi in risposta a uno stimolo attrattivo piuttosto che a uno stimolo
respingente.

5. SODDISFAZIONE LAVORATIVA E DEVIANZA SUL LUOGO DI LAVORO:


insoddisfazione lavorativa e relazioni antagonistiche con i colleghi
preannunciano numerosi comportamenti considerati poco desiderabili
dalle organizzazioni: abuso di sostanze stupefacenti, furti sul lavoro,
eccessiva socializzazione, devianza dalle norme vigenti e ritardi. I
ricercatori sostengono che questi comportamenti sono indicatori di una più
ampia sindrome chiamata comportamento deviante sul luogo di lavoro. Se
i dipendenti non apprezzano il loro ambiente di lavoro risponderanno in
qualche modo, sebbene non sia sempre facile prevedere esattamente

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come: un lavoratore se ne andrà, un altro potrebbe usare il proprio tempo
per navigare in internet, un altro ancora portando a casa oggetti d’ufficio.

CONCLUSIONE: i manager dovrebbero interessarsi agli atteggiamenti dei loro


dipendenti, poiché questi segnalano potenziali problemi e influenzano il
comportamento. Anche se creare una forza lavoro soddisfatta non garantisce una
prestazione organizzativa di successo, le prove indicano che qualunque cosa i
manager possano fare per migliorare gli atteggiamenti dei dipendenti avrà come
probabile esito un incremento dell’efficacia organizzati. Questa a sua volta renderà
possibile un’alta soddisfazione dei clienti ed elevati risultati economici.

CAPITOLO 3: EMOZIONI E STATI D’ANIMO

• Che cosa sono le emozioni e gli stati d’animo? 3 principi: affetto, emozione e
stati d’animo. Affetto è un termine che copre un’ampia gamma di sentimenti che
le persone provano, e comprende sia le emozioni che gli astati d’animo. Le
emozioni sono intensi sentimenti rivolti a qualcuno o a qualcosa. Gli stati d’animo
sono sentimenti meno intensi delle emozioni che spesso emergono senza che vi
sia uno specifico evento scatentante. Le emozioni sono reazioni di fronte a una
persona o a un evento. Mostrate le vostre emozioni quando siete contenti per
qualcosa, arrabbiati con qualcuno, spaventata da qualcosa. Gli stati d’animo di
contro, non sono normalmente diretti a una persona o evento. Ma le emozioni
possono diventare stati d’anno quando perdete la concentrazione sull’evento o
sull’oggetto che le ha scatenate. L’affetto è un termine ampio che comprende sia
emozioni che stati d’animo. In secondo luogo vi sono differenze fra emozioni e
stati d’animo. Alcune di queste differenze le abbiamo appena discusse. Altre
differenze sono più sottili. Per esempio, diversamente dagli stati d’animo, le
emozioni come la rabbia e il disgusto sono più facilmente visibili nelle espressioni
facciali. Inoltre alcuni ricercatori ipotizzano che le emozioni siano più orientate
all’azione mentre gli stati d’animo sono più cognitivi, ne senso che possono
portarci a pensare o a rimuginare per un po’.

• Le emozioni elementari: gli psicologi tentano a identificare le emozioni


elementari studiando le espressioni facciali, ma hanno scoperto che il
procedimento è difficile. Un problema. Che alcune emozioni sono troppo
complesse per essere facilmente rappresentate sul nostro viso. Le culture hanno
norme che governano le espressioni emozionali, per cui i modo in cui proviamo
un’emozione non sempre è lo stesso rispetto a ciò che mostriamo.

• Gli stati d’animo elementari: affetto positivo e negativo. Un modo di


classificare le emozioni è chiedersi se siano positive o negative. Quelle positive
esprimono una valutazione o un sentimento favorevole quelle negative sono
l’opposto. Possiamo pensare l’affetto positivo come una dimensione dell’umore

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che consiste di eccitazione, attenzione ed euforia all’estremo alto, e di
contentezza, calma e serenità a quello basso. L’affetto negativo è una dimensione
dell’umore che consiste di nervosismo, stress, ansia all’estremo alto e di noia,
depressione e stanchezza a quello basso. La ricerca ha individuato una tendenza
alla positività che significa che in assenza di stimoli, molti individui sono di umore
mediamente positivo. Così per molte persone l’umore positivo è in qualche modo
più comune di quello negativo. La tendenza alla positività emerge anche rispetto
al lavoro. Uno studio sui rappresentanti di customer-service in un call center
britannico ha rilevato che le persone hanno riferito stati d’animo positivi nel 58%
dei casi.

• La funzione delle emozioni: la razionalità e le emozioni siano in conflitto e che


esibire le vostre emozioni vi renda irrazionali. Una squadra di studiosi ritiene che
mostrare emozioni come la tristezza al punto di piangere sia così dannoso per la
carriera che dovremmo lasciare il luogo dove siamo invece di permettere che gli
altri se ne accorgano. Queste conclusioni indicano che mostrare o provare
emozioni ci renda deboli o irrazionali. Tuttavia la ricerca sta sempre più mostrando
che le emozioni sono invece fondamentale per il pensiero razionale.

- Le emozioni ci rendono moralmente migliori? Un corpus crescente di


ricerche ha iniziato a esaminare i rapporti tra emozioni e atteggiamenti. In
passato si credeva che molte scelte etiche si basassero su processi
cognitivi di alto livello, ma la ricerca sulle emozioni morali ha sempre più
messo in dubbio questa prospettiva. Esempi di emozioni morali
comprendono l’empatia per il dolore altrui, il senso di colpa per il nostro
comportamento immorale, la rabbia per l’ingiustizia, il disprezzo per altri che
si comportano in modo riprovevole e il disgusto per le violazioni di norme di
comportamento.

• Fonti di emozioni e stati d’animo

A. PERSONALITÁ

B. ORA DEL GIORNO

C. TEMPO ATMOSFERICO

D. STRESS

E. ATTIVITÀ SOCIALI

F. SONNO

G. ESERCIZIO FISICO

H. ETÁ

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• Lavoro emozionale: il concetto di lavoro emozionale è emerso dagli studi sul
lavoro nel settore dei servizi. Ci aspettiamo che gli assistenti di volo siano
socievoli, ad esempio. La vera sfida emerge quando dovete proiettare
un’emozione mentre ne provate un’altra. Questa disparità è una dissonanza
emotiva, e può essere molto gravosa. Sentimenti di frustrazione, rabbia e
risentimento se compressi possono portare a stress emotivo. La dissonanza
emotiva è come quella cognitiva. Il lavoro emozionale crea dilemmi importanti. Ci
sono persone con cui dovete lavorare che semplicemente non vi piacciono. Forse
considerate il loro carattere troppo aggressivo. Forse sapete che hanno detto
cose negative su di voi, alle vostre spalle. Può essere d’auto distinguere tre
emozioni percepite e dimostrate. Le emozioni percepite sono reali e individuali. Le
emozioni dimostrate sono quelle che l’organizzazione richiede ai lavoratori e che
considera appropriate per un certo lavoro. Esse si apprendono e non sono innate.

• Teoria degli eventi affettivi: ma come queste emozioni influenzano le nostre


prestazioni e la nostra soddisfazione? Un modello chiamato teoria degli eventi
affettivi dimostra che le persone reagiscono emotivamente ad avvenimenti che
accadono sul lavoro e che tali reazioni influenzano i loro risultati lavorativi e la loro
soddisfazione. I test sulla teoria degli eventi affettivi suggeriscono quanto segue:

1. Un episodio emozionale consiste in realtà in una serie di esperienze


emozionali scatenate da un singolo evento e che coinvolgono aspetti come
emozioni e variabilità d’umore

2. Le emozioni del momento e con esse la storia delle emozioni che


accompagnano un evento, influenzano la soddisfazione sul lavoro in ogni
momento

3. Poiché gli umori e le emozioni variano nel tempo, il loro effetto sulla
performance è fluttuante

4. I comportamenti guidati d emozioni sono tipicamente di breve durata e di


alta variabilità

5. Poiché tendono a essere incompatibili con i comportamenti richiesti per


svolgere un lavoro, le emozioni, anche quelle positive, spesso influenzano
negativamente la performance.

Nel complesso questo modello offre due messaggi importanti. primo, le emozioni
forniscono informazioni preziose sul modo in cui gli eventi dannosi e favorevoli sul
lavoro influenzano le prestazioni e la soddisfazione dei lavoratori. In secondo luogo,
collaboratori e manager non dovrebbero ignorare le emozioni o gli eventi che le
provocano, anche quando sembrano di poco conto, perché emozioni ed eventi si
accumulano.

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• Intelligenza emotiva: (IE) è la capacità di una persona di: 1) PERCEPIRE LE
EMOZIONI PROPRIE E ALTRUI 2) CAPIRE IL SIGNIFICATO DI QUESTE
EMOZIONI 3) REGOLARE LE PROPRIE EMOZIONI IN ACCORDO CON UN
MODELLO A CASCATA. Molti studiosi hanno indicato che l’IE gioca un ruolo
importante nelle prestazioni professionali. Uno studio che ha utilizzato la tecnica
della risonanza magnetica funzionale ha scoperto che gli studenti MBA che hanno
avuto migliori risultati in una prova di decisioni making strategico erano quelli nel
cui processo di scelta intervenivano le aree del cervello legate alle emozioni.
Questi studenti inoltre usavano meno le aree più cognitive del loro cervello.

A FAVORE DELL’IE CONTRO L’IE

FA S C I N O I N T U I I V O : L’ I N T U I Z I O N E I RICERCATORI SULL’IE NON CONCORDANO


SUGGERISCE CHE LE PERSONE CHE SANNO SULLE DEFINIZIONI: PER MOLTI STUDIOSI
IDENTIFICARE LE EMOZIONI NEGLI ALTRI, NON É CHIARO COSA SIA L’IE PERCHÉ I
CONTROLLARE LE PROPRIE E GESTIRE BENE RICERCATORI USANO DIVERSE DEFINIZIONI.
LE INTERAZIONI SOCIALI HANNO UN GRANDE
VANTAGGIO NEL MONDO DEL LAVORO

L’IE PREDICE CRITERI RILEVANTI: I DATI L’IE NON PUÓ ESSERE MISURATA: MOLTI
EMPIRICI SUGGERISCONO CHE UN ALTO CRITICI HANNO IN DUBBIO LA POSSIBILITÀ DI
LIVELLO DI IE INDICA CHE UNA PERSONA MISURARE L’IE. ESSENDO UN TIPO DI
SVOLGERÀ BENE IL SUO LAVORO INTELLIGENZA, SOSTEGNO, DEVE ESSERCI
UNA RISPOSTA GIUSTA E UNA SBAGLIATA
PER I TEST. ALCUNI TEST AGISCONO COSÍ,
ANCHE SE LA VALIDITÀ DELLE DOMANDE A
VOLTE É DUBBIA.

L’IE HA BASI BIOLOGICHE: IN UNO STUDIO É L’IE NON É ALTRO CHE LA PERSONALITÁ
EMERSO CHE LE PERSONE CON DANNI CHIAMATA CON UN NOME DIVERSO: ALCUNI
ALL’AREA DEL CERVELLO CHE GOVERNA LE CRITICI SOSTENGONO CHE POICHÉ L’IE É
EMOZIONI NON OTTENEVANO PUNTEGGI C O S Í S T R E T TA M E N T E L E G ATA
MINORI NELLE MISURAZIONI STANDARD ALL’INTELLIGENZA E ALLA PERSONALITÀ
DELL’INTELLIGENZA RISPETTO ALLA NORMA UNA VOLTA CHE SI SONO CONTROLLATE
QUESTE DIMENSIONI NON RIMANE NULLA DI
DISTINTO E SPECIFICO CHE ESSA POSSA
OFFRIRE.

• La regolamentazione delle emozioni: avete mai provato a farvi animo quando vi


sentite tristi? Se sì avete messo in atto una regolazione delle emozioni, che è
parte della letteratura sull’IE. I ricercatori in questo campo, studiano quelle
strategie che le persone possono mettere in atto per modificare le proprie
emozioni. Una strategia che abbiamo discusso in questo capitolo è l’azione
superficiale, o letteralmente mettersi una maschera appropriata in risposta a una
data situazione. L’azione superficiale però non cambia le emozioni, quindi l’effetto
di regolazione è minimo. Uno studio recente ha suggerito che probabilmente a
causa di quanto costa esprimere ciò che proviamo, individui che variano la loro
risposta di azione superficiale potrebbero avere minore soddisfazione
professionale e maggior desiderio di ritirarsi dal lavoro rispetto a quelli che usano

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continuamente tale pratica. L’azione profonda, un’altra strategia che abbiamo
discusso, è meno costosa in termini psicologici, perché il lavoratore cerca davvero
di provare una certa emozione. Anche se meno falsa di quella superficiale, l’azione
profonda è comunque difficile perché implica comunque una simulazione. Se in
una certa misura appare desiderabile saper regolare le proprie emozioni, la ricerca
suggerisce che esiste un lato negativo nel tentare di cambiare il modo in cui ci si
sente. Modificare le emozioni costa fatica, e come abbiamo notato nella
trattazione sul lavoro emozionale questo sforzo può essere estenuante.

• Applicazioni di emozioni e stati d’animo nel contesto organizzativo: in questa


sezione vedremo come la comprensione di emozioni e stati d’animo può aiutare a
migliorare la nostra capacità di spiegare e prevedere i processi di selezione nelle
organizzazioni, il decision making, la creatività, la motivazione, la leadership, il
conflitto interpersonale, i negoziati, il servizio ai clienti, gli atteggiamenti verso il
lavoro e i comportamenti devianti sul posto di lavoro.

A. SELEZIONE: sempre più chi gestisce i processi di selezione del personale


ha iniziato a usare test dell’IE nella scelta dei candidati.

B. DECISION MAKING: lo studio del decision making nelle organizzazioni


hanno posto l’accento sulla razionalità. Ma le ricerche sul comportamento
organizzativo stanno scoprendo sempre più che stati d’animo ed emozioni
hanno un effetto importante. Gli stati d’animo e le emozioni positive
aiutano le persone a prendere buone decisioni. Le persone che sono di
buon umore o che provocano emozioni positive si dimostrano più
propense di altri ad atteggiamenti euristici, per prendere rapidamente
buone decisioni.

C. CREATIVITÀ: le persone di buon umore tendono ad essere creative

D. LEADERSHIP: i leader efficaci fanno affidamento a richiami emotivi per


veicolare i loro messaggi, nei fatti l’espressione di emozione nei discorsi è
spesso cruciale per far si che i messaggi di un leader siano accettati o
respinti.

E. COME I MANAGER POSSONO INFLUENZARE GLI STATI D’ANIMO: ma


un’azienda cosa può fare per migliorare l’umore dei suoi dipendenti? I
manager possono essere spiritosi e Sare ai collaboratori segni di
apprezzamento per un lavoro ben fatto. inoltre, quando i capi sono di buon
umore, i componenti del loro gruppo saranno più positivi, con il risultato
che collaboreranno meglio. Ma che succede quando i capi sono tristi o di
cattivo umore? Uno studio recente sul contagio emozionale ha coperto che
le dimostrazioni di tristezza da parte del leader accrescono le performance
analitiche dei suoi seguaci, forse perché i leader sono meno impegnati

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quando sono tristi. comunque, questo studi ha anche dimostrato che i capi
sono percepiti come più efficienti quando condividono emozioni positive e i
collaboratori sono più creativi in un ambiente emozionale positivo.

CAPITOLO 4: PERSONALITÀ E VALORI

• PERSONALITÀ

1. CHE COS’É LA PERSONALITÀ: la definizione di personalità che


adottiamo è quella di Gordon Allport. Egli affermo che la personalità è
“l’organizzazione dinamica all’interno dell’individuo di quei sistemi
psicofisici che determinano il suo adattamento unico all’ambiente”. Per i
nostri scopi, occorrerà pensare la personalità come la somma delle
modalità in cui un individuo reagisce a e interagisce con gli altri. la
descriveremo in termini di tratti misurabili che una persona manifesta. Il
motivo principale per cui i manager hanno bisogno di sapere come
misurare la personalità deriva dal fatto che i test della personalità sono utili
per decidere chi assumere e aiutano a prevedere chi è più adatto per una
certa attività. I mezzi più comuni con cui misurare la personalità sono le
autovalutazioni: gli individui descrivono se stessi in base a una serie di
fattori. Anche se l’autovalutazione è funzionale quando è ben elaborata chi
risponde potrebbe mentire o cercare di dare una buona impressione di sé. I
candidati quando sanno che i loro punteggi saranno usati per decidere chi
assumere, si autovalutano normalmente al di sopra di una mezza
deviazione standard come più coscienziosi ed emotivamente stabili
rispetto a quanto risponderebbero in un test di autovalutazione per
saperne di più riguardo se stessi. Le autovalutazioni condotte da un
osservatore esterno forniscono una descrizione imparziale della
personalità. Uno dei primi dibattiti nel campo della ricerca sulla personalità
riguarda il problema se essa sia un tratto ereditario o si sviluppi grazie
all’ambiente.l’ereditarietà di riferisce a fattori che sono determinati al
momento del concepimento. L’approccio a favore dell’ereditarietà sostiene
che la spiegazione ultima della personalità di un individuo è la struttura
molecolare dei geni, che si trova nei cromosomi. Non è vero che la
personalità non cambia mai. I punteggi di affidabilità e di stabilità della
personalità tendono a crescere nel corso del tempo, quando i giovani
adulti danno vita a famiglie e iniziano a lavorare. tuttavia, forti differenze
personali nell’affidabilità rimangono; tutti tendono a cambiar più o meno
nella stessa misura, così il posizionamento di ciascuno rimane più o meno
lo stesso. I primi studi sulla personalità hanno cercato di identificare e
catalogare le caratteristiche durature che descrivono il comportamento di
un individuo, comprese la timidezza, l’aggressività, la sottomissione, la

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pigrizia, l’ambizione e la lealtà. Quando queste caratteristiche sono esibite
da qualcuno in un gran numero di situazioni diverse, le chiameremo TRATTI
DELLA SUA PERSONALITÀ. La coerenza nel tempo e la frequenza di
espressione in diverse situazioni determinano quanto è importante quel
tratto, per quella persona.

2. INDICATORE DI MYERS-BRIGGS: esso è lo strumento più usato al


mondo per la valutazione della personalità. Si tratta di un test della
personalità con 100 domande, che richiede alle persone di rispondere
come si sentono o come agiscono in certe situazioni. Chi risponde è
classificato come estroverso o introverso, assennato o intuitivo, razionale o
incline al sentimento, incline al giudizio o alla percezione. Questo modello è
stato usato da organizzazioni multinazionali di grandi dimensioni. Le prove
della sua validità come misura della personalità sono incerte. Un problema
consiste nel fatto che il modello costringe una persona in una determinata
tipologia; questo vuol dire che si è o introversi o estroversi. Non ci son vie
di mezzo, anche se le persone possono essere entrambe le cose. Questo
modello può essere uno strumento per aumentare la consapevolezza di sé
e fornire linee guida per la carriera.

- Estroverso vs introverso: gli estroversi sono aperti socievoli e


determinati, gli introversi sono silenziosi e timidi

- Assennato vs intuitivo: i tipi assennati sono pratici e preferiscono la


routine e l’ordine. Si concentrano sui dettagli. Gli intuitivi si basano su
processi inconsci e guardano al quadro completo

- Razionali, inclini al pensiero vs emotivi, inclini ai sentimento: i primi


usano la logica e la ragione per risolvere problemi. Gli altri si affidano ai
valori personali e alle emozioni

- Giudicatore vs percettivo: i tipi inclini al giudizio aspirano al controllo e


preferiscono l’ordine e la strutturazione. I percettivi sono flessibili e
spontanei.

3. IL MODELLO DI PERSONALITÀ BIG FIVE: molte ricerche sostengono che


il modello di personalità big five spiega la maggioranza delle principali variabili
della personalità umana. I punteggi dei test relativi a questi tratti sono molto
efficaci nel predire il modo in cui le persone si comporteranno in diverse
situazioni. Ecco i fattori dei big five:

ESTROVERSIONE QUESTA DIMENSIONE REGISTRA IL NOSTRO LIVELLO DI AGIO


NELLE RELAZIONI. GLI ESTROVERSI TENDONO A ESSERE
CONVIVIALI E SOCIEVOLI. GLI INTROVERSI TENDONO A
ESSERE RISERVATI, TIMID E SILENZIOSI

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AMABILITÀ QUESTA DIMENSIONE SI RIFERISCE ALLA PROPENSIONE DI UN
INDIVIDUO AD ACCONTENTARE GLI ALTRI. LE PERSONE MOLTO
A C C O N D I S C E N D I S O N O C O L L A B O R AT I V E , C A L D E E
FIDUCIOSE. QUELLE CHE HNNO UN PUNTEGGIO BASSO DI
AMABILITÀ SONO FREDDE, SCONTROSE E OSTILI

COSCIENZIOSITÀ QUESTE DIMENSIONE MISURA L’AFFIDABILITÀ. UNA PERSONA


MOLTO SCRUPOLOSA è RESPONSABILE, ORGANIZZATA,
AFFIDABILE E PERSEVERANTE. CHI HA UN BASSO PUNTEGGIO
É INCLINE ALLA DISTRAZIONE, DISORGANIZZATO E
INAFFIDABILE

STABILITÀ EMOTIVA QUESTA DIMENSIONE É LA CAPACITÀ DI UNA PERSONA DI


GESTIRE LO STRESS. CHI HA UNA BUONA STABILITÀ EMOTIVA
TENDE AD ESSERE CALMO E SICURO DI SÉ. CHI HA PUNTEGGI
NEGATIVI É SPESSO NERVOSO, ANSIOSI, DEPRESSO E
INSTABILE.

APERTURA A NUOVE QUESTA DIMENSIONE TRATTA L’INTERESSE E L’ATTRAZIONE


ESPERIENZE PER LE NOVITÀ. PERSONE MOLTO APERTE SONO CREATIVE,
CURIOSE E ARTISTICAMENTE SENSIBILI. DIVERSAMENTE,
SONO CONVENZIONALI E SONO A LORO AGIO CON CIÒ CHE
RISULTA FAMILIARE.

In che modo i tratti dei big five predicano il comportamento in contesti di


lavoro? La ricerca ha messo in evidenza relazioni tra queste 5 dimensioni e le
prestazioni sul lavoro. La maggioranza delle prove mostra che gli individui
affidabili, attenti, scrupolosi e orientati ai risultati tendono ad avere
performance lavorative superiori nella maggior parte delle professioni se non in
tutte. Le persone con alti punteggi nella dimensione coscienziosità sviluppano
livelli maggiori di competenze sul lavoro, forse perché le persone molto
coscienziose tendono ad apprendere maggiormente. La coscienziosità è
importante per i risultati organizzativi. Le persone più scrupolose vivono più a
lungo, si prendono cura di se stesse con maggior attenzione e intraprendono
comportamenti meno pericolosi. Non si adattano però altrettanto bene ai
cambiamenti. Sono di norma orientate alle prestazione e posso avere problemi
nell’apprendere conoscenze o abilità complesse durante i percorsi di
formazione, perché si concentrano soprattutto sul fare bene, più che
sull’imparare contenuti nuovi. Anche se la scrupolosità sembra essere la
dimensione più correlata con le prestazioni lavorative, anche gli altri tratti dei
big five sembrano mostrare interessanti correlazioni con il contesto
organizzativo. Tra le dimensioni dei big five, la stabilità emotiva è la più
fortemente correlata alla soddisfazione esistenziale, lavorativa, e a livelli
moderati di stress. Punteggi molto alti indicano maggiori probabilità di essere
positivi e ottimisti e di provare meno emozioni negative; chi li raggiunge di
norma è più felice di chi ha punteggi minori. Gli estroversi tendono a essere
più felici sul lavoro e nella vita. Provano più emozioni positive rispetto agli
introversi. Gli estroversi tendono anche ad avere prestazioni migliori sul lavoro.

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L’estroversione è un indicatore abbastanza forte di leadership all’interno del
gruppo; gli estroversi sono socialmente dominanti, sono soggetti che si
prendono responsabilità e normalmente sono assertivi. Punteggi elevati
sull’apertura alle esperienze india maggiore creatività nelle arti e nelle scienze.
Poiché la creatività è importante nella leadership, le persone aperte diventano
più facilmente dei leader efficaci e sono più a loro agio nelle situazioni
ambigue. Sono in grado di gestire situazioni di cambiamento organizzativo e
sono più adattabili a contesti in mutamento.

PIÙ IMPORTANTI MENO IMPORTANTI

COSTANZA FORTE ELOQUENZA

ATTENZIONE AL DETTAGLIO LAVORO DI SQUADRA

EFFICIENZA FLESSIBILITÀ/ADATTABILITÀ

CAPACITÀ ANALITICHE ENTUSIASMO

CREAZIONE DI STANDARD ELEVATI CAPACITÀ DI ASCOLTARE

4. LA TRIADE OSCURA: i ricercatori hanno reso evidente che esistono anche


alcuni tratti socialmente indesiderabili che sono presenti in noi in gradi diversi
e sono rilevanti per il comportamento organizzativo: il machiavellismo, il
narcisismo e la psicopatia. A causa della loro natura negativa, i ricercatori
hanno chiamato questi tratti “triade oscura” anche se, naturalmente, non
sempre si manifestano tutti insieme e tutti con la medesima gradazione.

- MACHIAVELLISMO: tratto che contraddistingue una persona pragmatica,


che mantiene un distacco emotivo e ritiene che il fine giustifica i mezzi

- NARCISISMO: tendenza a essere arroganti, ad avere un’enorme


considerazione della propria importanza, a richiedere eccessiva
ammirazione e pensare di avere diritto a tutto

- PSICOPATIA: tendenza a non preoccuparsi degli altri e a non provare


senso di colpa o rimorso quando le nostre azioni provocano danno e
dolore

5. IL MODELLO PROMOZIONE-PREVENZIONE: questo modello ha definito i


tratti della personalità in termini di motivazioni. La motivazione a promuovere e
a prevenire rappresenta il grado di reazione agli stimoli: la motivazione alla
promozione è la nostra attrazione verso stimoli positivi, mentre quella alla
prevenzione è la nostra avversione per gli stimoli negativi. Il modello
promozione-prevenzione ordina diversi tratti e può aiutare a capire come essi
predicano il comportamento. Uno studio ha dimostrato che l’orientamento alla

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promozione-prevenzione e le rispettive motivazioni possono aiutare a spiegare
come l’autovalutazione influisca sulla soddisfazione del lavoro. Il modello
promozione-prevenzione offre importanti informazioni sul comportamento nelle
organizzazioni, ma vi sono diversi problemi ancora irrisolti. Prima di tutto
questo modello è solo un modo per catalogare i tratti positivi e negativi, come
la coscienziosità o il nevroticismo? In secondo luogo, quali tratti possono
rientrare nel modello? Quasi tutti i tratti che abbiamo analizzato, ma si tratta di
fattori abbastanza diversi tra loro. Otteniamo un reale vantaggio conoscitivo
aggregandoli, sufficiente per cercare di controbilanciare la perdita di altre
possibili informazioni sul comportamento che ciascuno singolarmente
potrebbe fornire? Altre ricerche e altre considerazioni sono necessarie per
rispondere a queste domande.

6. ALTRI TRATTI DELLA PERSONALITÀ RILEVANTI PER L’OB

CORE SELF-EVALUTATION L I N E A G U I D A C O S T I T U I TA D A L L E
CONCLUSIONI CHE GLI INDIVIDUI HANNO
RAGGIUNTO SULLE PROPRIE CAPACITÀ,
COMPETENZE E SUL PROPRIO VALORE
COME PERSONE

SELF-MONITORING TRATTO DELLA PERSONALITÀ CHE MISURA


LA CAPACITÀ DI UN INDIVIDUO DI ADATTARE
IL PROPRIO COMPORTAMENTO A FATTORI
ESTERNI
PERSONALITÀ PROATTIVA PERSONE CHE IDENTIFICANO OPPORTUNITÀ,
M O S T R A N O I N I Z I AT I VA , A G I S C O N O E
PERSEVERANO FINO A CHE NON AVVIENE UN
CAMBIAMENTO SIGNIFICATIVO

7. PERSONALITÀ E SITUAZIONI: 2 modelli teorici di riferimento:

- TEORIA DELLA FORZA DELLA SITUAZIONE: questa teoria propone


che il modo in cui le personalità si traducono in comportamenti
dipenda dalla forza di una data situazione. Con questo concetto, si
intende l’intensità con cui norme, segnali e standard vengono a dettare
un comportamento appropriato. Situazioni forti ci spingono a esibire il
comportamento giusto, ci mostrano chiaramente quale esso sia e ci
scoraggiano ad assumerne di sbagliati. In situazioni deboli, per
converso, vale tutto e così siamo più liberi di esprimere la nostra
personalità con il comportamento. I ricercatori hanno analizzato la
forza delle situazioni nelle organizzazioni in base a 4 caratteristiche:

1. Chiarezza, ossia il grado in cui i segnali sui doveri e le


responsabilità del lavoro sono espliciti e comprensibili

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2. Coerenza, ovvero la misura in cui i segnali relativi ai doveri e alle
responsabilità di un compito sono compatibili tra loro

3. Costrizione, ossia la misura in cui la libertà decisionale o


d’azione delle persone è limitata da forze esterne al loro
controllo

4. Conseguenze, cioè la misura in cui le decisioni e le azioni hanno


importanti implicazioni per l’organizzazione e i suoi componenti,
i suoi clienti, i suoi impianti, …

- TEORIA DELL’ATTIVAZIONE DEI TRATTI: essa afferma che alcune


situazioni, alcuni eventi e alcune azioni attivano un tratto piuttosto che
un altro.

• VALORI: I valori rappresentano convinzioni per cui un particolare stile di vita o una
finalità dell’esistenza è personalmente o socialmente preferibile ad altri stili e
finalità. I valori contengono un elemento di giudizio perché rappresentano le idee
di un individuo su che cosa è giusto, buono o desiderabile. Hanno attributi di
contenuto e di intensità. L’attributo del contenuto dice che una linea di condotta o
uno stato dell’esistenza è importante; quello dell’intensità specifica quanto è
importante. Quando creiamo una classifica dei valori in termini di intensità,
otteniamo il sistema dei valori di una persona. Abbiamo tutti una gerarchia di
valori che dipende dall’importanza relativa che assegniamo a valori come libertà,
piacere, rispetto, … I valori tendono a rimanere relativamente stabili e duraturi.
Molti dei valori che possediamo sono fissati nei primi anni della nostra vita (da
genitori, insegnanti, amici e altre figure).

1. IMPORTANZA E ORGANIZZAZIONE DEI VALORI: i valori gettano le basi


della nostra comprensione degli atteggiamenti e delle motivazioni delle
persone, e influenzano le nostre percezioni. Entriamo in un’organizzazione
con nozioni preconcette di ciò che dovrebbe e ciò che non dovrebbe
essere. Queste nozioni non sono prive di valori; al contrario, contengono
le nostre interpretazioni di giusto e di sbagliato e le nostre preferenze per
certi comportamenti e risultati rispetto ad altri. I valori oscurano
l’oggettività e la razionalità; influenzano le attitudini e il comportamento.
Vediamo ora la differenza tra VALORI FINALI E VALORI STRUMENTALI

VALORI FINALI SI TRATTA DEGLI OBIETTIVI CHE UNA


PERSONA VORREBBE RAGGIUNGERE NEL
CORSO DELLA PROPRIA VITA. ALCUNI
E S E M P I D I VA L O R I F I N A L I S O N O :
PROSPERITÀ E SUCCESSO ECONOMICO,
LIBERTÀ, SALUTE E BENESSERE

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VALORI STRUMENTALI SI RIFERISCONO ALLE MODALITÀ DI
COMPORTAMENTO PREFERITE,O AI MEZZI
PER OTTENERE I VALORI TERMINALI. ESEMPI
D I V A L O R I S T R U M E N TA L I S O N O :
AUTONOMIA, FIDUCIA IN SE STESSI,
DISCIPLINA PERSONALE, GENTILEZZA,
ORIENTAMENTO AGLI OBIETTIVI

• COLLEGARE LA PERSONALITÀ E I VALORI DI UNA PERSONA CON IL


CONTESTO DI LAVORO:

1. TEORIA PERSON JOB FIT: lo sforzo di far coincidere i requisiti per un


lavoro con le caratteristiche della personalità è articolato in questa teoria di
John Holland. Egli presenta sei tipi di personalità e propone che la
soddisfazione e la propensione a lasciare una posizione lavorativa
dipendano da quanto gli individui vedano combaciare la loro personalità
con gli impieghi che svolgono. Holland ha sviluppato in questionario
Vocation Preference Inventory, che contiene 160 titoli occupazionali. I
rispondenti indicano quali compiti preferiscono e quali non amano e le loro
risposte formano i profili di personalità. La ricerca supporta il diagramma
esagonale risultante, anche dopo
aver preso in considerazione le
caratteristiche di personalità. Più
vicini si trovano due campi di
orientamento, più compatibili
s o n o l ’ u n o c o n l ’ a l t ro . L e
categorie adiacenti sono molto
simili, mentre gli opposti
diagonali sono molto dissimili. La
teoria sostiene che la
soddisfazione sia massima e il
tur nover minimo quando la
personalità e l’occupazione sono in accordo. Il punto rilevabile in questo
modello è ce le persone che svolgono compiti congruenti con le loro
personalità dovrebbero essere più soddisfatte e meno inclini a dimettersi
volontariamente rispetto a persone con compiti incongruenti.

2. TEORIA PERSON ORGANIZATION FIT: questa teoria sostiene


essenzialmente che le persone sono attratte e scelte da organizzazioni che
combaciano con i loro valori, e lasciano le organizzazioni che non sono
compatibili con le loro personalità.

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• VALORI INTERNAZIONALI: Hofstede rende evidente che in una prospettiva
globale le teorie manageriali americane contengono un numero di idiosincrasie,
non necessariamente condivise dal management di altri luoghi.questo ricercatore
ha esaminato più di 116000 dipendenti della multinazionale IBM in 40 paesi
diversi rispetto ai valori connessi con il campo del lavoro e ha fatto emergere che
manager e collaboratori si differenziano rispetto a 5 dimensioni strattamente
legate alla cultura nazionale: DISTANZA DAL POTERE, INDIVIDUALISMO VS
C O L L E T T I V I S M O , M A S C O L I N I T À V S F E M M I N I L I T À , AV V E R S I O N E
ALL’INCERTEZZA, ORIENTAMENTO AL LUNGO O BREVE TERMINE.

CONCLUSIONE: la personalità è un fattore di rilievo per il comportamento


organizzativo. Non spiega ogni comportamento, ma definisce lo scenario. Teorie e
ricerche emergenti rivelano in che modo la personalità sia rilevante in alcune
situazioni più che in altre. Il modello dei big five è stato un importante passo avaniti.
Ogni tratto presenta svantaggi e vantaggi del comportamento sul lavoro. La
personalità può aiutare a capire perché le persone agiscono, pensano e sentono in
un certo modo, e un manager intelligente può usare questo vantaggio
preoccupandosi di porre le persone in situazioni che si adattano al meglio alla loro
personalità.

CAPITOLO 5: PERCEZIONE E PROCESSO DECISIONALE INDIVIDUALE

• CHE COS’É LA PERCEZIONE? La percezione è un processo attraverso il quale


gli individui organizzano e interpretano le impressioni sensoriali per dare
significato al proprio ambiente. Ciò che si percepisce può essere sostanzialmente
diverso dalla realtà oggettiva. Per chi studia il comportamento organizzativo, la
percezione è una dimensione importante perché il comportamento delle persone
si basa sulle rispettive percezioni della realtà. Il mondo che ha importanza dal
punto di vista comportamentale è quello percepito.

• FATTORI CHE INFLUENZANO LA PERCEZIONE: diversi fattori modellano e


talvolta distorcono la percezione: il soggetto percipiente; l’oggetto percepito; la
situazione in cui avviene la percezione. Quando un soggetto percipiente osserva
un oggetto-target, la sua interpretazione è influenzata dalle proprie caratteristiche
personali: atteggiamenti, personalità, motivazioni, interessi. Anche le
caratteristiche dell’oggetto-target influenzano ciò che percepiamo. Rispetto alle
persone silenziose, quelle che parlano a voce alta hanno maggiori probabilità di
essere notate; questo vale anche per gli individui estremamente attraenti o di
estrema sgradevolezza. I target non sono osservati da soli: la percezione è
influenzata anche dal loro contesto, così come dalla nostra tendenza a
raggruppare le cose che sono vicine e simili. Anche il contesto conta. Il momento
in cui osserviamo un oggetto o un evento può influenzare la nostra attenzione.

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• PERCEZIONE PERSONALE: ESPRIMERE GIUDIZI SUGLI ALTRI:

1. TEORIA DELL’ATTRIBUZIONE: la teoria dell’attribuzione cerca di spiegare


come le differenze nel modo in cui giudichiamo le persone dipendano dal
significato che attribuiamo a un comportamento. Essa suggerisce che
quando osserviamo il comportamento di un individuo, cerchiamo di
definire se la sua causa è interna o esterna: ciò dipende in larga misura da
tre fattori: distinitività, consenso, coerenza. I comportamenti con una causa
interna sono quelli che dipendono dal controllo comportamentale
dell’individuo. Il comportamento con una causa esterna è invece giudicato
un effetto inevitabile della situazione. Passiamo ora a esaminare i 3 fattori
determinanti dell’attribuzione. La distinitvità riguarda la tendenza di un
individuo a mostrare o meno comportamenti differenti di diverse situazioni.
Il dipendente che oggi è arrivato in ritardo tende anche a non ottemperare
agli impegni? Ciò che si vuole sapere è se il suo comportamento odierno
sia insolito: se è così, probabilmente riceverà un’attribuzione esterna; se
non è così al comportamento tenderà ad essere assegnata una cosa
interna. È possibile sostenere che il comportamento genera consenso,
secondo fattore determinante dell’attribuzione, se tutti coloro che
affrontano una situazione simile rispondono nello stesso modo. Il
comportameno del nostro dipendente ritardatario soddisferà questo
criterio qualora siano arrivati in ritardo tutti i colleghi che percorrono lo
stesso tragitto. Infine un osservatore analizza la coerenza delle azioni di
una persona. Un ritardatario di 10 minuti non è percepito allo stesso modo
se il dipendente non arriva in ritardo da diversi mesi oppure è in ritardo 3
volte a settimana. La ricerca condotta sulla teoria dell’attribuzione mostra
che le attribuzioni sono distorte da errori o bias. Quando formuliamo giudizi
sul comportamento altrui, tendiamo a sottostimare l’influenza dei fattori
esterni e a sopravvalutare l’influenza dei fattori interni o personali. Questo
errore fondamentale di attribuzione è in grado di spiegare perché un
responsabile delle vendite tenda ad attribuire scarse prestazioni dei propri
agenti alla loro pigrizia, piuttosto che al lancio di un’innovativa linea di
prodotto da parte della concorrenza. Individui e organizzazioni tendono
inoltre ad attribuire i propri successi a fattori interni come l’abilità e lo
sforzo mentre assegnano i fallimenti a fattori esterni come la sfortuna. Tutti
questi aspetti sono espressione del SELF-SERVING BIAS.

2. SCORCIATOIE COMUNI PER GIUDICARE GLI ALTRI: le scorciatoie per


giudicare gli altri ci garantiscono spesso accurate e rapide percezioni,
fornendoci dati validi per le nostre previsioni.

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- Percezione selettiva: ogni caratteristica che permette a una persona, a
un oggetto o a un evento di emergere incrementerà le rispettive
probabilità di essere percepito. Perché? Perché è impossibile
assimilare tutto ciò che vediamo; possiamo assorbire soltanto
determinati stimoli. Poiché non possiamo osservare ogni cosa che ci
circonda, noi usiamo la PERCEZIONE SELETTIVA. Le nostre scelte
non sono causali: selezioniamo secondo i nostri interessi, la nostra
esperienza e i nostri atteggiamenti. La percezione selettiva ci permette
di leggere velocemente gli altri ma il rischio che corriamo è di farne un
ritratto inaccurato. Vedendo ciò che desideriamo vedere, possiamo
trarre da una situazione ambigua conclusioni arbitrarie.

- Effetto alone: quando ci formiamo un’impressione su un individuo sulla


base di una singola caratteristica è in gioco l’EFFETTO ALONE. Le
nostre opinioni generali condizionano quelle specifiche

- Effetto contrasto: valutazione delle caratteristiche di una persona


influenzata dal confronto con altre persone, incontrate di recente, che
possiedono le medesime caratteristiche a un livello superiore o
inferiore

- Stereotipizzazione: quando giudichiamo qualcuno sulla base della


nostra percezione del gruppo al quale appartiene, facciamo ricorso alla
stereotipizzazione. Gli stereotipi possono essere radicati in profondità
e forti da influenzare decisioni di importanza cruciale. Il problema degli
stereotipi è la loro natura di generalizzazione diffusa, anche se priva del
minimo barlume di verità.

—> APPLICAZIONI SPECIFICHE DI SCORCIATOIE PRESENTI NELLE


ORGANIZZAZIONI:

1) colloquio di lavoro: sono poche le persone assunte senza sostenere un


colloquio. Tuttavia chi fa selezione esprime giudizi percettivi spesso imprecisi e
formano prime impressioni destinate a diventare presto invariabili. La ricerca
mostra che ci facciamo impressioni sugli altri in 1/10 di secondo, al primo
sguardo. Ricerche recenti indicano che la nostra intuizione individuale su un
candidato non è attendibile per la previsione della sua prestazione mentre
raccoglie input da molteplici selezionatore indipendenti può avere valore
predittivo.

2) Aspettative di prestazione: le persone cercano di convalidare le proprie


percezioni della realtà anche quando si rivelano fallaci. I termini profezia che si
autoavvera ed effetto Pigmalione descrivono come il comportamento di un
individuo sia determinato dalle aspettative altrui.

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3) Valutazione della prestazione: le valutazioni della prestazione dipendono in
larghissima misura da processi percettivi. Il futuro di un dipendente è
strettamente legato alla valutazione: tra i risultati che ne derivano, promozione,
aumenti e mantenimento dell’impiego.

• COLLEGAMENTO TRA PERCEZIONE E PROCESSO DECISIONALE


INDIVIDUALE: gli individui prendono decisioni, cioè scelgono tra due o più
alternative. I manager di fascia alta definiscono gli obiettivi della propria
organizzazione, i prodotti o i servizi da offrire, le modalità per migliorare le
operazioni, il luogo in cui costruire un nuovo impianto di produzione. Il processo
decisionale ha luogo come reazione a un problema. Esiste una discrepanza tra
situazione corrente e uno stato desiderato, che ha reso necessario considerare
corsi di azione alternativi. Ogni decisione richiede di interpretare e valutare
informazioni. Nel corso del processo decisionale affioreranno spesso errori
percettivi, capaci di condizionare analisi e conclusioni

• DECIDERE NELLE ORGANIZZAZIONI


- MODELLO RAZIONALE, RAZIONALITÀ LIMITATA E INTUIZIONE: chi
possiede una competenza organizzativa sa che esistono costrutti
generalmente accettati di processo decisionale che ognuno di noi sfrutta
per prendere decisioni.

I. Processo decisionale basato sulla razionalità: modello di processo


decisionale che descrive il modo in cui gli individui dovrebbero
comportarsi per massimizzare i risultati. Le fasi di questo modello
sono 6: definire il problema, individuare i criteri decisionali,
assegnare un peso a ciascun criterio, costruire alternative, valutare
le alternative, selezionare l’alternativa migliore. Poiché la mente
umana non può formulare e risolvere problemi complessi con piena
razionalità, agiamo dentro i confini della razionalità limitata, ovvero
un processo decisionale basato su modelli semplificati che
estrapolano dai problemi le caratteristiche essenziali senza
coglierne tutta la complessità.

II. Intuizione: forse il modo meno razionale di prendere decisioni è


quello basato sul processo decisionale intuitivo, un processo
inconscio, frutto di esperienza distillata. Il processo decisionale
intuitivo ha sede all’esterno del pensiero conscio: si affida ad
associazioni olistiche o a collegamenti tra informazioni disparate; è
veloce ed è affettivamente carico, poiché coinvolge le emozioni.
Anche se non è razionale, l’intuizione non è necessariamente
errata. Né contraddice l’analisi razionale; le due possono

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completarsi a vicenda. L’intuizione non va confusa con la
superstizione, né è il prodotto di qualche magico sesto senso.
L’intuizione è complessa e si basa su anni di esperienza e
apprendimento.

• BIAS ED ERRORI COMUNI NEL PROCESSO DECISIONALE:


BIAS = Termine del linguaggio scientifico che indica tendenza, inclinazione,
distorsione.
III. Eccesso di fiducia (overconfidence bias): tendenza ad avere eccessiva
fiducia nelle proprie e altrui abilità

IV. Ancoraggi: il bias di ancoraggio è la tendenza a fissarsi sulle informazioni


iniziali, che impedisce l’adeguato adattamento alle informazioni successive

V. Conferme: il bias di conferma è la tendenza a cercare informazioni che


confermino le scelte passate e a ignorare quelle che invece contraddicono
giudizi formati in passato

VI. Euristica della disponibilità: è la tendenza a basare i giudizi sulle


informazioni già disponibili

VII. Escalation del commitment: incremento di commitment verso una


decisione precedente, nonostante la presenza di informazioni negative

VIII.Errore causale o errore random: tendenza degli individui a credere di poter


prevedere l’esito di eventi casuali

IX. Avversione al rischio: tendenza a preferire un guadagno moderato ma


sicuro rispetto a un risultato più rischioso, anche se con un guadagno
atteso più elevato

X. Bias retrospettivo: tendenza illusoria a credere che si sarebbe stati in grado


di prevedere il risultato, ormai noto, di un evento

• INFLUENZE SUL PROCESSO DECISIONALE: DIFFERENZE INDIVIDUALI E


VINCOLI ORGANIZZATIVI

1. DIFFERENZE PERSONALI:

- PERSONALITÀ: le ricerche condotte su personalità e processo


decisionale indicano che le nostre decisioni sono influenzate dalla
personalità.

- GENERE: la ricerca condotta sulla ruminazione offre intuizioni sulle


differenze di genere all’interno del processo decisionale. Il termine
ruminazione indica il riflettere a lungo. In termini di processo

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decisionale ciò si traduce nella riflessione eccessiva sui problemi: 20
anni di studi hanno rilevato che le donne trascorrono maggior tempo
degli uomini ad analizzare passato, presente e futuro. Esse hanno
maggiori probabilità di sovra-analizzare i problemi prima di prendere
una decisione, e di cambiare una decisione una volt presa. Il motivo
per il quale le donne ruminano più degli uomini non è chiaro.
Un’opinione a riguardo vuole che i genitori incoraggino e rinforzino
l’espressione di tristezza e ansia più nelle figlie che nei figli.

- DIFFERENZE CULTURALI: il modello razionale e la maggior parte


della letteratura di ricerca sul processo decisionale non riconoscono le
differenze culturali. Il background culturale di una decisione può influire
sulla selezione dei problemi, la profondità di analisi, l’importanza
attribuita alla logica e alla razionalità, e sul fatto che le decisioni
organizzative debbano essere prese in modo autocratico da un singolo
manager oppure collettivamente, all’interno dei gruppi.

2. VINCOLI ORGANIZZATIVI: le organizzazioni possono imporre vincoli ai


decisori, creando deviazioni rispetto al modello razionale. Per esempio i
manager prendono decisioni che riflettono la valutazione della prestazione e il
sistema di ricompense dell’organizzazione, ottemperando alle regole formali e
soddisfano i limiti temporali imposti dall’organizzazione stessa. Anche i
precedenti storici possono stabilire limiti alle decisioni.

- VALUTAZIONE DELLA PRESTAZIONE: i manager sono influenzati dai


criteri sulla base dei quali sono valutati

- SISTEMA DI RICOMPENSE: il sistema di ricompense


dell’organizzazione influenza i decisori, suggerendo loro le scelte che
presentano i maggiori vantaggi personali.

- VINCOLI TEMPORALI IMPOSTI DAL SISTEMA: quasi tutte le


decisioni importanti hanno scadenze specifiche

- PRECEDENTI STORICI: le decisioni non nascono dal nulla. Si


inseriscono in un contesto

• QUAL É IL RUOLO DELL’ETICA NEL PROCESSO DECISIONALE? Le


considerazioni di tipo etico dovrebbero essere un criterio-guida di tutto il processo
decisionale organizzativo. —> TRE CRITERI DECISIONALI ETICI: il primo
parametro etico è l’UTILITARISMO secondo cui le decisioni vanno prese soltanto
in base ai risultati: idealmente lo scopo è fornire il maggior vantaggio possibile al
maggior numero possibile di persone. Il secondo criterio etico per prendere
decisioni è il rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali. Porre enfasi sui diritti

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nel processo decisionale significa rispettare e proteggere gli interessi fondamentali
degli individui. Attraverso questo criterio si proteggono gli informatori quando
denunciano alla stampa o ai governi l’uso di pratiche contrarie all’etica all’interno
di un’organizzazione. Un terzo criterio è imporre e far rispettare le norme in modo
corretto e imparziale, così da assicurare giustizia o equa distribuzione di costi e
benefici. Ogni criterio presenta vantaggi e svantaggi. La focalizzazione
sull’utilitarismo promuove efficienza e produttività, ma può trascurare i diritti di
alcuni individui, in particolare di coloro che appartengono a una minoranza.
Concentrarsi sui diritti protegge gli individui dagli atti illeciti e garantisce libertà e
privacy, ma può creare un ambiente legalistico che ostacola produttività ed
efficienza. La focalizzazione sulla giustizia protegge gli interessi delle minoranze e
chi ha meno potere, ma può incoraggiare un eccessivo senso di privilegio, che
riduce l’assunzione del rischio, l’innovazione e la produttività. Sempre più
ricercatori si orientano verso L’ETICA COMPORTAMENTALE: un’area di studio che
analizza il comportamento delle persone di fronte ai dilemmi etici. Le loro ricerche
mostrano che gli individui non sempre seguono gli standard etici promulgati dalla
propria organizzazione, e talvolta violano i loro stessi standard personali. Il nostro
comportamento etico varia ampiamente da una situazione all’altra.

• CREATIVITÀ, PROCESSO DECISIONALE CREATIVO E INNOVAZIONE NELLE


ORGANIZZAZIONI: sebbene il modello di processo decisionale basato sulla
razionalità genere spesso decisioni migliori, è necessario per un decisore mostrare
anche CREATIVITÀ ossia la capacità di produrre idee originali e utili. Benché tutti
gli aspetti del comportamento organizzativo presentino complessità, queste ultime
sono particolarmente evidenti nel caso della creatività.

1. COMPORTAMENTO CREATIVO: il comportamento creativo presenta 4


fasi:

-FORMULAZIONE DEL PROBLEMA: ogni atto di creatività inizia con un


problema, che il comportamento è inteso a risolvere. La formulazione del
problema è pertanto definita come la fase del comportamento creativo in
cui si identifica un problema o un’opportunità che richiede una soluzione,
ancora ignota.

- RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI: la soluzione di un problema è


raramente a portata di mano. Per apprendere di più e per elaborare
l’apprendimento, è necessario tempo. La raccolta delle informazioni è
pertanto la fase del comportamento creativo in cui un individuo elabora
nella propria mente le possibili soluzioni a un problema.

- GENERAZIONE DELLE IDEE: una volta raccolte le informazioni, è il


momento di tradurre le conoscenze in idee. La generazione delle idee

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è pertanto la fase del comportamento creativo in cui si sviluppano
possibili soluzioni a un problema

- VALUTAZIONE DELLE IDEE: la valutazione delle idee è la fase del


comportamento creativo in cui si valutano le potenziali soluzioni, allo
scopo di definire quale sia la migliore

2. CAUSE DEL COMPORTAMENTO CREATIVO:

- POTENZIALE CREATIVO: l’intelligenza è collegata alla creatività. Le


persone intelligenti sono più creative perché risolvono meglio problemi
complessi. tuttavia, gli individui intelligenti possono essere più creativi
anche perché in possesso di un’ampia memoria di lavoro, che
permette loro di recuperare una maggiore quantità di informazioni
inerenti al compito che svolgono. La competenza è alla base di tutto il
lavoro creativo.

- AMBIENTE CREATIVO: la maggior parte di noi possiede un potenziale


creativo che si può imparare ad applicare. Quali fattori ambientali
incidono sulla traduzione del potenziale creativo in comportamenti
creativi? Il primo fattore è la motivazione. È inoltre importante lavorare
in un ambiente che riconosca e ricompensi il lavoro creativo.

• RISULTATI CREATIVI: lo stadio finale del nostro modello della creatività è il


risultato. Il comportamento creativo non produce sempre un risultato creativo. Si
possono definire risultati creativi le idee o le soluzioni giudicate originali e utili
dagli stakeholder rilevanti. L’originalità non genera un risultato creativo di per sé:
per farlo si deve accompagnare all’utilità. Un’organizzazione che raccolga molte
idee creative dai suoi lavoratori potrebbe auto-definirsi innovativa. tuttavia, “le
idee sono inutili se non vengono utilizzate”. Un fattore importante è il clima
organizzativo: da uno studio emerse che la creatività del team si traduceva in
innovazione soltanto quando il clima organizzativo sosteneva attivamente
l’innovazione.

CAPITOLO 6: TEORIE MOTIVAZIONALI

• DEFINIRE LA MOTIVAZIONE: definiamo motivazione l’insieme dei processi che


giustificano l’intensità, la direzione e la persistenza dello sforzo di un individuo ai
fini del raggiungimento di un obiettivo. La motivazione generale riguarda lo sforzo
verso ogni obiettivo. L’intensità descrive la qualità di impegno di una persona, ed
è l’elemento su cui la maggior parte di noi si concentra parlando di motivazione.
Se l’alta intensità non è incanalata in una direzione che sia vantaggiosa per

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l’organizzazione, è improbabile che conduca a risultati favorevoli nella prestazione
lavorativa.

• PRIME TEORIE DELLA MOTIVAZIONE:

1. TEORIA DELLA GERARCHIA DEI BISOGNI - MASLOW: Maslow ipotizzo


che ogni essere umano ha 5 bisogni: bisogni fisiologici, bisogni di
sicurezza (difesa e protezione da danni fisici ed emotivi), bisogni sociali
(affetto, appartenenza, accettazione e amicizia), bisogni di stima (fattori
interiori come rispetto di se stessi, autostima e realizzazioni e fattori esterni
come status, riconoscimento e attenzione), bisogni di auto-realizzazione
(impulso a esprimere completamente il proprio potenziale). Sebbene
nessun bisogno sia mai soddisfatto davvero a piano uno che sia stato
soddisfatto in modo sostanziale smette di motivare. Diventa allora
dominante il bisogno successivo. Secondo Maslow se si vuole motivare
qualcuno è necessario comprendere a quale livello della gerarchia egli si
trovi e concentrarsi sulla soddisfazione dei bisogni di quel livello o del
livello superiore. Maslow distinse 5 bisogni di ordine superiore e inferiore. I
bisogni fisiologici e di sicurezza sono bisogni di ordine inferiore, mentre i
bisogni sociali, di stima e di auto-realizzazione sono bisogni di ordine
superiori. Questi ultimi sono soddisfatti internamente, mentre i bisogni di
ordine inferiore sono soddisfatti in modo prevalente all’esterno
(attraverso ricompense, assunzione, …).

2. TEORIA X E TEORIA Y: Douglas McGregor propose due visioni distinte


degli esseri umani: una negativa, etichettata come TEORIA X e l’altra positiva,
etichettata come TEORIA Y. Dopo aver studiato le relazioni tra manager e

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dipendenti, il ricercatore concluse che i punti di vista dei manager sulla natura
umana si basano su assunti che modellano il comportamento verso i
dipendenti. Nella teoria x i manager credono che i dipendenti provino un
disprezzo innato verso il lavoro e debbano perciò essere diretti o persino
obbligati a svolgerlo. Nella teoria y i manager assumono che i dipendenti
considerino il lavoro naturale come il riposo o il gioco, e che pertanto
l’individuo medio, possa imparare ad accettare la responsabilità. Per
comprendere meglio si pensi nei termini della gerarchia di Maslow. La teoria y
assume che gli individui siano guidati da bisogni di ordine superiore; lo stesso
McGregor credeva che gli assunti della teoria y fossero più validi di quelli della
teoria x. Allo scopo di massimizzare la motivazione lavorativa del dipendente,
propose idee come il processo decisionale partecipativo, occupazioni
responsabilizzanti e stimolanti, buone relazioni di gruppo.

3. TEORIA DEI DUE FATTORI: credendo che la relazione di un individuo con il


lavoro sia fondamentale, e che l’atteggiamento verso quest’ultimo possa
determinare il successo o il fallimento, lo psicologo Frederick Herzberg si
chiese che cosa desiderano le persone dal proprio lavoro. Così formulò la
teoria dei due fattori, chiamata anche teoria motivazione-igiene o teoria
igienico-motivante. Ai fini della soddisfazione lavorativa, sembrano rilevanti
fattori intrinseci come l’avanzamento, il riconoscimento, la responsabilità, la
realizzazione. Secondo Herzberg i fattori che conducono alla soddisfazione
lavorativa sono separati e distinti da quelli che conducono all’insoddisfazione
lavorativa. pertanto, i manager che cercano di eliminare i fattori capaci di
creare insoddisfazione lavorativa possono generare tranquillità, ma non
necessariamente motivazione. Piuttosto che motivare i lavoratori, li possono
calmare: per questo motivo, Herzberg delfino fattori igienici condizioni come la
qualità della supervisione, lo stipendio, le politiche aziendali, le condizioni
ambientali lavorative, le relazioni con gli altri, la sicurezza sul lavoro. Per
motivare le persone sul lavoro, Herzberg suggerì di porre enfasi sui fattori

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associati con il lavoro stesso o con i risultati che ne derivano direttamente. La
teoria dei due fattori non ha trovato un forte sostegno nella letteratura, e ha
molti detrattori. Quelle che seguono sono alcune critiche nei suoi confronti. 1)
la metodologia di Herzberg ha il limite di affidarsi alle autodichiarazioni.
Quando le cose vanno bene, le persone tendono a darsi tutti i meriti. Quando
le cose non vanno bene, incolpano gli altri. 2) l’affidabilità della metodologia di
Herzberg è controversa, chi valuta deve interpretare, pertanto può contaminare
i risultati, interpretando due risposte simili in modo differente.

4. TEORIA DEI BISOGNI DI McCLELLAND: questa teoria analizza 3 bisogni:


BISOGNO DI REALIZZAZIONE, BISOGNO DI POTERE, BISOGNO DI
AFFILIAZIONE. Sulla base di numerose ricerche è possibile prevedere alcune
relazioni tra bisogno di realizzazione e prestazione lavorativa. In primo luogo gli
high achiever mostrano una forte motivazione per lavori con un alto livello di
responsabilità feedback personale. Hanno successo in attività imprenditoriali
come la conduzione aziendale e la gestione di unità indipendenti all’interno di
grandi organizzazioni. In secondo luogo un alto bisogno di realizzazione non
rende qualcuno necessariamente un buon manager, specialmente nelle grandi
organizzazioni. Le persone con un alto bisogno di realizzazione sono
interessate alla propria prestazione, non a influenzare la prestazione altrui. Per
finire, tendono a essere strettamente correlati al successo manageriale i
bisogni di affiliazione e potere: i migliori manager hanno un alto bisogno di
potere e un basso bisogno di affiliazione.

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TEORIE CONTEMPORANEE DELLA MOTIVAZIONE

1. TEORIA DELL’AUTODETERMINAZIONE: in questa teoria le persone


preferiscono sentire il controllo sulle proprie azioni; pertanto la motivazione sarà
compromessa da qualunque cosa trasformi un compito apprezzato, che in
precedenza era un’attività liberamente scelta, in un obbligo. Larga parte della
ricerca sulla teoria della valutazione cognitiva, la quale ipotizza che le
ricompense estrinseche riducano gli interessi intrinseci di un compito. Quando
le perse sono retribuite per il proprio lavoro, hanno la sensazione che il loro
impegno, un tempo volontario, diventi obbligatorio. La teoria
dell’autodeterminazione propone anche che le persone oltre a essere guidate da
un bisogno di autonomia, cerchino di raggiungere competenza e di instaurare
legami positivi con gli altri. La teoria dell’autodeterminazione è sostenuta da un
grande numero di studi. Le sue implicazioni maggiori sono collegate alle
ricompense lavorative. Quando le organizzazioni usano ricompense estrinseche
per premiare le prestazioni di livello superiore, i dipendenti percepiscono di
essere spinti a svolgere un buon lavoro perché questo è quanto desidera
l’organizzazione, piuttosto che per il proprio intrinseco desiderio di eccellere.
Eliminare le ricompense estrinseche può spostare la percezione individuale delle
cause dello svolgimento di un compito da una spiegazione esterna a una
interna. Che cosa suggerisce questa teoria in merito alle ricompense? Se un
agente di commercio è davvero portato per gli affari una commissione dovrebbe
segnalarne la bontà del lavoro, e aumentare il senso di competenza attraverso
un feedback che potrebbe migliorare la sua motivazione intrinseca. Una recente
sviluppo della teoria dell’autodeterminazione è l’autocoerenza, che considera il
livello di congruenza tra le ragioni che spingono le persone a perseguire degli
obiettivi e i loro interessi e valori fondamentali. Se gli individui perseguono gli
obiettivi sulla base dei loro interessi intrinseci, hanno maggiori probabilità di
realizzarli, e sono soddisfatti anche se non ci riescono per il mero piacere dato
dal provarci. Al contrario, chi persegue obiettivi per ragioni estrinseche ha minori
probabilità di raggiungerli ed è meno soddisfatto anche qualora vi riesca, poiché
essi rivestono per lui un significato minore. La ricerca sul comportamento
organizzativo suggerisce che le persone che perseguono obiettivi lavorativi per
ragioni intrinseche sono più soddisfatte del proprio lavoro, si sentono meglio
inserite nell’organizzazione e possono svolgere prestazioni migliori. La ricerca

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indica anche che se le persone non apprezzano il proprio lavoro per ragioni
intrinseche, ma si sentono semplicemente obbligate a svolgerlo, possono
comunque svolgere buone prestazioni, sebbene sperimentino maggiori livelli di
stress.

2. TEORIA DEL GOAL-SETTING: alla fine degli anni 60, Edwin Locke suggerì che
l’intenzione di lavorare con un obiettivo è tra le principali fonti di motivazione sul
lavoro. Gli obiettivi dicono a un dipendente cosa deve essere fatto e la quantità
impegno necessaria a tale scopo. Le evidenze empiriche indicano hiarmente che gli
obiettivi specifici migliorano la prestazione; che gli obiettivi difficili generano
prestazioni più elevate di quanto facciano quelli semplici e che le prestazioni sono di
livello superiore se accompagnate da feedback. Perché le persone sono motivate
da obiettivi difficili? Perché questi attraggono la loro attenzione e le aiutano a
concentrarsi. In secondo luogo perché infondono energia e rendono necessario
lavorare con maggiore impegno. Le persone svolgono prestazioni migliori quando
ricevono un feedback sui progressi compiuti in direzione dell’obiettivo, perché
questo le aiuta a individuare le discrepanze tra ciò che hanno fatto e ciò che
desiderano fare. La possibilità di partecipare alla definizione dei proprio obiettivi
porta i dipendenti a un maggiore impegno? I risultati delle ricerche a riguardo sono
eterogenei. In alcuni casi gli obiettivi definiti in modo partecipativo hanno condotto a
una prestazione superiore; in altri le prestazioni si sono dimostrate migliori quando
gli individui si sono visti assegnare gli obiettivi dal proprio responsabile. Uno dei
principali vantaggi della definizione partecipata degli obiettivi consiste
nell’incremento dell’accettazione di questi ultimi; se non c’è partecipazione, è

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necessario che l’individuo impegnato a perseguire un obiettivo ne capisca con
chiarezza scopo e importanza. Questa teoria assume da parte dell’individuo, il
commitment verso l’obiettivo stesso e la sua determinazione a non diminuirlo o
abbandonarlo. L’individuo 1) crede di poter raggiungere l’obiettivo; 2) vuole
raggiungere. Esistono maggiori probabilità di goal commitment quando gli obiettivi
sono pubblici, il luogo di controllo dell’individuo è interno, gli obiettivi sono
autodefiniti piuttosto che assegnati, e gli scopi si basano almeno parzialmente
sull’abilità dell’individuo. Gli obiettivi in sé sembrano influenzare la prestazione con
maggiore forza quando i compiti sono semplici piuttosto che complessi, ben
conosciuti piuttosto che nuovi. Dalle ricerche è emerso che le persone differiscono
nel modo in cui regolano pensieri e comportamenti nel perseguire un obiettivo. In
generale, rientrano in una delle seguenti categorie, sebbene possano appartenere a
entrambe. Chi ha un orientamento alla promozione è teso verso progressi e risultati,
e si accosta alle condizioni che lo spingono verso gli obiettivi desiderati. Chi ha un
orientamento alla prevenzione si impegna per adempiere a doveri e obblighi ed evita
le condizioni che lo allontanano dagli obiettivi desiderati. in che modo i manager
rendono operativa la teoria della definizione degli obiettivi? La soluzione è spesso
lasciata nelle mani dei singoli. Un modo per sfruttare la definizione degli obiettivi è la
gestione peer obiettivi la quale pone enfasi su obiettivi, definiti in modo
partecipativo, che siano tangibili, verificabili e misurabili.

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3. TEORIA DELL’AUTOEFFICACIA: questa teoria riguarda la convinzione di un
individuo di essere capace di svolgere un compito. Quanto più è elevata
l’autoefficacia di un individuo, tanto maggiore è la sua fiducia nelle possibilità di
avere successo. Le persone con bassa autoefficacia hanno maggiori probabilità di
diminuire il proprio impegno o di rinunciare del tutto, mentre quelle con un’alta
autoefficacia si impegneranno maggiormente per superare la sfida. In che modo i
manager aiutano i propri collaboratori a raggiungere alti livelli di efficacia?
Armonizzando la teoria dell’autoefficacia alla teoria della definizione degli obiettivi.
Albert Bandura propone 4 modi per incrementare l’autoefficacia: padronanza
enattiva, modeling vicario, persuasione verbale, attivazione. Secondo Bandura la
più importante fonte di incremento dell’autoefficacia è la padronanza enattiva :
l’acquisizione cioè di un’esperienza rilevante nel compito o nel lavoro che si svolge.
La seconda fonte è il modeling vicario: si acquisisce maggiore fiducia quando si
vede qualcun altro svolgere il compito. La terza fonte è la persuasione verbale: si
diventa più fiduciosi perché si è convinti di avere le abilità necessarie per avere
successo. Per finire Bandura sostiene che l’autoefficacia è incrementata
dall’attivazione. Questaconduce a uno stato energizzato, portando la persona a
essere psicologicamente carica e a svolgere prestazioni migliori.

4. TEORIA DEL RINFORZO: questa teoria adotta una visione comportamentismo,


sostenendo che è il rinforzo a condizionare il comportamento. Dal punto di vista
filosofico le due teorie si dimostrano agli opposti. I teorici del rinforzo sostengono
che l’ambiente sia causa del comportamento: pertanto non è necessario prestare
attenzione agli eventi cognitivi interiori; il comportamento è controllato dl rinforzo,
ossia da ogni conseguenza che incrementi le probabilità di ripetizione del
comportamento stesso. La teoria del rinforzo ignora lo stato interiore dell’individuo
e si concentra solamente su quanto accade nel momento in cui egli agisce. Il
concetto di condizionamento operante rientra nel concetto di comportamentismo di
Skinner. La forma di comportamentismo radicale sostenuta da Skineer rifiuta di
assegnare a sentimenti, pensieri e stati d’animo il ruolo di cause del
comportamento. Le persone prendono ad associare stimoli e risposte, ma la loro
consapevolezza cosciente di tale associazione è irrilevante.

Gli individui possono apprendere ricevendo istruzioni, osservando ciò che succede
agli altri o facendo esperienza diretta. L’idea secondo cui è possibile apprendere sia
attraverso l’esperienza sia attraverso l’osservazione prende il nome di teoria
dell’apprendimento sociale. Nella teoria dell’apprendimento sociale i modelli hanno
un ruolo centrale. Si individuano 4 processi:

- processi di attenzione: le persone apprendono da un modello solo quando


riconoscono e prestano attenzione alle sue caratteristiche

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- Processi di ritenzione: l’influenza di un modello dipende dalla capacità
dell’individuo di ricordarsi la sua azione quando non è più disponibile

- Processi di riproduzione motoria: dopo aver osservato un nuovo comportamento


nel modello, l’osservazione deve essere convertita in azione

- Processi di rinforzo: gli individui sono motivati a mettere in atto il


comportamento-modello se ricevono incentivi o ricompense positive

5. TEORIA DELL’EQUITÀ E GIUSTIZIA ORGANIZZATIVA: secondo la teoria


dell’equità i dipendenti confrontano quanto ottengono dal lavoro con quanto vi
immettono (sforzo). Paragonano il loro rapporto tra output e input con quello di altri,
solitamente simili. Se ritengono che il rapporto tra input e output sia uguale a quello
delle persone con cui si confrontano, si trovano in una condizione di equità. Se
invece percepiscono una condizione di iniquità, sono motivati ad agire in modo da
correggerla. Secondo la teoria dell’equità i dipendenti che percepiscono iniquità
compiranno almeno una delle seguenti possibili scelte:

- cambiare input (impegnarsi meno se sottopagati o viceversa)

- Cambiare gli output (gli individui pagati su obiettivi ad esempio incrementeranno l


propria retribuzione)

- Distorcere le percezioni di sé

- Scegliere un referente diverso

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- Lasciare il campo (abbandonare il lavoro)

Nella maggior parte delle situazioni lavorative, le iniquità create da una retribuzione
eccessiva non sembrano avere una significativa influenza sul comportamrnto. La
teoria dell’equità fu importante per lo studio della GIUSTIZIA ORGANIZZATIVA. La
giustizia organizzativa riguarda il modo in cui i dipendenti si giudicano trattati dalle
autorità, e dai decisori al lavoro. LA GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA riguarda l’equità degli
output, come stipendio e riconoscimenti, ricevuti dai dipendenti. Oltre a interessarsi
molto a quali output sono distribuiti i dipendenti si interessano anche molto a come
gli output sono distribuiti (GIUSTIZIA PROCEDURALE). Che cosa rende le
procedure più o meno eque? Le persone giudicando le procedure più eque quando
hanno la possibilità di esprimere la propria opinione nel processo decisionale. Avere
influenza diretta sulle decisioni da prendere, o quantomeno la possibilità di
presentare le proprie opinioni ai decisori, genera una sensazione di controllo ed
empowerment. Oltre a quella delle procedure e degli output la ricerca ha dimostrato
che i dipendenti si occupano di due altri tipi di equità, relativi al loro trattamento
durante le interazioni con gli altri. Il primo è la GIUSTIZIA INFORMATIVA che indica
se i manager forniscono ai dipendenti spiegazioni in merito alle decisioni
fondamentali e li mantengono informati su importanti questioni organizzative.
Quanto più i manager forniscono spiegazioni dettagliate e franche, tanto più i
dipendenti si sentono trattati in modo equo. Il secondo tipo di giustizia per le
interazioni dipendenti-manager è la GIUSTIZIA INTERPERSONALE che indica se le
persone sono trattate con dignità e rispetto. Quanto conta davvero la giustizia per i
dipendenti? molto. Quando le persone si sentono trattate in modo equo,
rispondono positivamente, in diversi modi. Tutti i tipi di giustizia sono stati collegati
a livelli più alti di prestazione nel compito e di comportamenti di cittadinanza,
nonché a livelli inferiori di comportamenti controproducenti. La giustizia distributiva
e quella procedurale sono associate con più forza alla prestazione nel compito,
mentre l giustizia informativa e quella interpersonale hanno un maggior legame con
il comportamento di cittadinanza. Perché la giustizia ha effetti positivi? Il
trattamento equo incrementa il commitment organizzativo e fa si che i dipendenti
percepiscano l’interesse dell’organizzazione per il loro benessere. inoltre, i
dipendenti che si sentono trattati in modo equo hanno maggiore fiducia nei propri
supervisori, il che ne riduce l’incertezza e il timore di essere sfruttati
nell’organizzazione.

CAPITOLO 7: DALLE TEORIE ALLE APPLICAZIONI

La ricerca sulla motivazione si concentra sempre più su approcci che collegano le


teorie motivazionali ai cambiamenti della struttura del lavoro. Gli studi sulla
progettazione del lavoro suggeriscono che il modo di organizzare gli aspetti di
un’occupazione può incrementare o diminuire l’impegno.

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MODELLO E CARATTERISTICHE DEL LAVORO: il modelle delle caratteristiche
del lavoro sostiene che è possibile descrivere qualunque lavoro nei termini di 5
dimensioni:

- varietà delle competenze è la misura in cui un lavoro richiede una varietà di


differenti attività, permettendo al lavoratore di usare competenze specializzate e
doti naturali

- L’identità del compito è la misura in cui un’occupazione richiede la realizzazione


di un prodotto completo e riconoscibile

- Significatività del compito è la misura in cui un’occupazione influenza la vita o il


lavoro di altre persone

- L’autonomia è la misura in cui un impiego offre libertà indipendenza e discrezione


nel definire i tempi del lavoro Enel determinare le procedure per realizzarlo

- Il feedback è la misura in cui svolgere attività lavorative genera informazioni


dirette e chiare sulla propria prestazione.

Le prime 3 dimensioni si combinano per formare un lavoro significativo, che il


lavoratore considererà importanti. Le occupazioni con un’autonomia danno ai
lavoratori un senso di responsabilità personale per i risultati. Da un punto di vista
motivazionale questo modello suggerisce che gli individui ottengono ricompense
interne quando apprendono di aver svolto una buona prestazione in un compito
verso il quale dimostrano interesse. È possibile unire le principali dimensioni
lavorative e ottenere un indice predittivo, chiamato punteggio di potenziale
motivazionale. Per avere un punteggio alto le occupazioni devono presentare in
quantità elevata almeno uno dei tre fattori che conducono a sperimentare
significatività , e inoltre avere un elevato livello di autonomia e feedback. Se il
potenziale è alto, il modello delle caratteristiche del lavoro prevede l’incremento
della motivazione, prestazione e soddisfazione, e la diminuzione di assenza e
turnover.

IN CHE MODO SI PUÓ RIPROGETTARE IL LAVORO?

1) ROTAZIONE DEI COMPITI: spostamento periodico di un dipendente da un


compito all’altro che richieda abilità simili, e si inserisca allo stesso livello
organizzativo.la rotazione ha questi vantaggi: riduce la noia, incrementa la
motivazione e agevola i dipendenti a comprendere meglio in che modo il proprio
lavoro contribuisce all’organizzazione.

2) ARRICCHIMENTO DEI COMPITI: potenzia il lavoro incrementando nel


dipendente il livello di controllo della pianificazione, dello svolgimento e della
valutazione del lavoro stesso. Un lavoro arricchito permette di svolgere

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un’attività completa, aumenta la libertà e dipendenza. In che modo i dirigenti
arricchiscono il lavoro di un dipendente? Attraverso: combinazione di compiti;
formazione di insieme di attività spontanee; stabilire relazioni con i clienti;
sviluppo di lavori in verticale (offrire ai dipendenti responsabilità di controllo);
aprire canali di feedback.

PROGETTAZIONE RELAZIONALE DEL LAVORO: se ridisegnare il lavoro sulla


base della teoria delle caratteristiche del lavoro tende a rendere il lavoro stesso più
interessante, le ricerche contemporanee si concentrano su come renderlo più
motivante dal punto di vista prosociale. Un modo di rendere il lavoro più motivante a
livello prosociale è collegare meglio i dipendenti con gli utenti beneficiari del lavoro.
Cosa ancora migliore, in alcuni casi i manager possono riuscire a mettere in
relazione diretta i dipendenti e utenti beneficiari. Perché queste relazioni hanno
conseguenze positive? Incontrare personalmente gli utenti beneficiari permette ai
dipendenti di osservare che le proprie azioni incidono su una persona autentica, e
che il proprio lavoro ha conseguenze tangibili. Inoltre le relazioni con gli utenti
beneficiari rendono i clienti più accessibili nella memoria e più vividi dal punto di
vista emotivo.

MODALITÀ DI LAVORO ALTERNATIVE:

- ORARIO FLESSIBILE: i dipendenti devono lavorare uno specifico numero di ore la


settimana ma entro certi limiti possono variare il loro orario

- JOB SHARING: permette a due o più persone di dividersi un tradizionale lavoro di


40 ore settimanali. Il job sharing permette a un’organizzazione di basarsi sul
talento di più di una persona nello svolgimento di un lavoro

- TELELAVORO: lavorare da casa almeno due giorni la settimana, su un computer


collegato all’ufficio del datore di lavoro

COINVOLGIMENTO DEI DIPENDENTI: il coinvolgimento dei dipendenti è un


processo partecipativo che usa gli input dei dipendenti per incrementare il
commitment ai fini dell’efficacia organizzativa. Secondo la logica che lo sottende, se
si coinvolgono i dipendenti in decisioni che li influenzano e ne incrementano
l’autonomia e il controllo sulla vita lavorativa, essi diventeranno più motivati, si
impegneranno di più per l’organizzazione, saranno più produttivi e soddisfatti del
proprio lavoro. Questi benefici non si limitano al livello individuale: quando si ha un
maggiore controllo del proprio lavoro anche nei team migliorano il morale e le
prestazioni. Ecco alcuni esempi di programmi di coinvolgimento del dipendente:

- MANAGEMENT PARTECIPATIVO: processo in cui i lavoratori subordinati


condividono con i loro immediati superiori una parte significativa del potere
decisionale

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- PARTECIPAZIONE RAPPRESENTATIVA: sistema in cui i lavoratori partecipano al
processo decisionale dell’organizzazione venendo rappresentai da alcuni
dipendenti.

USARE RICOMPENSE PER MOTIVARE I DIPENDENTI: in questo paragrafo


considereremo: quanto retribuire i dipendenti; come retribuire i singoli dipendenti;
quali benefici e scelte offrire; come costruire piani di riconoscimento dei dipendenti

- CHE COSA PAGARE: STABILIRE UNA STRUTTURA RETRIBUTIVA. Il processo


di determinazione iniziale dei livelli salariali prevede di bilanciare equità interna
(importanza del lavoro per l’organizzazione) ed equità esterna (competitività
salariale di un’organizzazione rispetto a quella di altre aziende dello stesso
settore). Alcune organizzazioni preferiscono remunerare di più rispetto alla media
del mercato; altre invece non possono permettersi di stare ai livelli di mercato,
oppure perché sono disposte a sopportare i costi legati a una remunerazione
inferiore.

- COME PAGARE: RICOMPENSARE I DIPENDENTI ATTRAVERSO I PIANI DI


RETRIBUZIONE VARIABILE. Molte organizzazioni hanno abbandonato la
modalità di ricompensare i dipendenti solo in base agli anni diservizio. Piani
basati sulla produttività, retribuzione basata sul merito, bonus, partecipazione agli
utili e piani azionari per i dipendenti sono tutte forme di piani di retribuzione
variabile, nei quali una parte della remunerazione del dipendente si basa su
alcune misure della prestazione, individuali e/o organizzative. Esamineremo ora in
maggiore dettaglio i differenti tipi di piani di retribuzione variabile.

• Retribuzione a cottimo: piano salariale in cui i lavoratori ricevono una somma


fissa per ogni unità di produzione completata

• Piano di retribuzione basato sul merito: piano salariale basato sulla


valutazione della prestazione

• Bonus: piano di retribuzione che ricompensa i dipendenti per le prestazioni


recenti piuttosto che per le prestazioni svolte nel corso del tempo

• Retribuzione basata sulle competenze: piano di retribuzione che definisce i


livelli di salario a partire da quante abilità hanno i dipendenti o da quanti
lavori possono svolgere

• Piano di considerazione dei profitti: programma che coinvolge l’intera


organizzazione e distribuisce le ricompense in base a qualche formula
stabilita e progettata attorno ai risultati gestionali di un’organizzazione

• Gainsharing: piano di incentivo di gruppo basato su una formula che


valorizza l’aumento di produttività collettiva

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• Piano di azionario diffuso: piano di benefit stabilito dall’impresa in cui i
dipendenti acquisiscono le azioni a un prezzo inferiore al valore di mercato,
come parte dei loro benefit

• Benefit flessibili: programma di benefit che permette a ogni dipendente di


formare un pacchetto di benefit cucito su misura per i suoi bisogni e per la
sua situazione

CAPITOLO 8: I FONDAMENTI DEL COMPORTAMENTO DI GRUPPO

Un gruppo può essere definito come l’insieme di due o più individui che
interagiscono e sono interdipendenti e che si sono uniti per raggiungere degli
obiettivi particolari. I gruppi possono essere formali o informali. Per gruppo formale
si intende un gruppo definito da una struttura organizzativa, con responsabilità e
attività ben determinate e coerenti rispetto agli obiettivi da realizzare. Un gruppo
informale è un gruppo che non è formalmente strutturato, né definito in termini
organizzativi; tale gruppo si forma in risposta all’esigenza di contatto sociale.
Perché si formano gruppi? La nostra tendenza a sentirci orgogliosi o abbattuti per i
risultati di un gruppo è il campo di ricerca della teoria dell’identità sociale. Questa
teoria suggerisce che le persone hanno reazioni emotive di fronte al successo o al
fallimento del gruppo cui appartengono perché la loro autostima rimane legata ai
risultati di tale gruppo. Si verificano inoltre favoritismi di gruppo, perché si tende a
pensare che ci fa parte del gruppo sia migliore di altri, e che coloro che non ne
fanno parte siano tutti uguali tra loro.

Perché le persone sviluppano un’identità sociale? Sono molte le caratteristiche che


la rendono importante per un individuo:

- somiglianza: le persone che hanno stessi valori o caratteristiche si identificano


maggiormente con il gruppo

- Distintività: le persone notano più facilmente le identità che sottolineano le loro


peculiarità rispetto ai componenti di altri gruppi

- Status: poiché le persone usano le identità per definirsi e accrescere l’autostima,


ha perfettamente senso che siano maggiormente interessate a unirsi a gruppi di
alto livello

- Riduzione dell’incertezza: l’appartenenza a un gruppo aiuta alcune persone a


capire chi sono e qual è il loro posto nel mondo

FASI DELLO SVILUPPO DEL GRUPPO: i gruppi generalmente attraversano una


sequenza prevedibile di fasi nel corso della loro evoluzione. Il modello di sviluppo in
5 fasi è un modello di grande utilità per comprendere come un gruppo si evolve.
Ecco di seguito le 5 fasi:

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FORMING É CARATTERIZZATO DA INCERTEZZA RIGUARDO ALLO SCOPO, ALLA
STRUTTURA E ALLA LEADERSHIP DEL GRUPPO. QUESTA FASE É
COMPLETATA QUANDO I MEMBRI INCOMINCIANO A SENTIRSI PARTE
DEL GRUPPO.

STORMING É UNA FASE DI CONFLITTO. I MEMBRI ACCETTANO L’ESISTENZA DEL


GRUPPO MA SONO INTOLLERANTI VERSO LE LIMITAZIONI CHE
VENGONO IMPOSTE ALLA LORO INDIVIDUALITÀ. CI SI SCONTRA PER
STABILIRE CHI DEVE CONDURRE IL GRUPPO

NORMING LA TERZA FASE DELLO SVILUPPO DEL GRUPPO É CARATTERIZZATA


DA RAPPORTI STRETTI E DA COESIONE

PERFORMING LA QUARTA FASE DI SVILUPPO DI UN GRUPPO PREVEDE CHE IL


GRUPPO SIA FUNZIONALE

ADJOURNING LA FASE FINALE DELLO SVILUPPO DI UN GRUPPO TEMPORANEO É


CARATTERIZZATA DALLA NECESSITÀ DI RACCOGLIERE I RISULTATI
DELLE ATTIVITÀ PIÚ CHE DALLE PERFORMANCE VERE E PROPRIE

PROPRIETÀ DEL GRUPPO: RUOLI, NORME, STATUS, DIMENSIONI, COESIONE


E DIVERSITÀ. I gruppi di lavoro non sono masse disorganizzate: hanno proprietà

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che definiscono il comportamento dei membri e aiutano a spiegare e a predire le
azioni individuali all’interno del gruppo e le prestazioni del gruppo
complessivamente inteso. Alcune di queste proprietà sono: ruoli, norme, status,
dimensioni, coesione e diversità.

1. PROPRIETÀ DEL GRUPPO: I RUOLI. Con il termine ruolo si indica un


insieme di schemi di comportamento attesi che vengono assegnati a chi
occupa una certa posizione in un’unità sociale. La nostra comprensione del
comportamento di ruolo sarebbe più semplice se ciascuno di noi potesse
scegliere e interpretare un ruolo in modo regolare e coerente.

- Percezione di ruolo: la visione di un individuo del modo in cui dovrebbe


comportarsi in una data situazione

- Aspettative di ruolo: il modo in cui gli altri pensano che una persona
dovrebbe comportarsi in una data situazione. Sul lavoro tutti noi
osserviamo le aspettative di ruolo nella prospettiva del contratto
psicologico: un accordo non scritto che stabilisce che cosa il
management si aspetta da un impiegato e viceversa

- Conflitto di ruolo: una situazione in cui un individuo si trova di fronte ad


aspettative di ruolo divergenti

2. PROPRIETÀ DEL GRUPPO: LE NORME. Tutti i gruppi stabiliscono norme,


ovvero standard accettabili di comportamento, condivisi dai componenti, che
esprimono ciò che essi dovrebbero o non dovrebbero fare in certe circostanze.
Quando vengono concordate e accettate dal gruppo, le norme influenzano i
comportamenti dei componenti minimizzando il controllo esterno. gruppi,
comunità e società differenti hanno norme differenti. Le norme possono fare
riferimento a ogni aspetto del comportamento del gruppo. Probabilmente la più
comune è la norma di prestazione che fornisce indicazioni esplicite su quanto le
persone devono lavorare, quale deve essere il livello dei risultati attesi, ecc.

- conformismo: se si è parte di un gruppo si desidera che il gruppo ci


accetti. Perciò si tenderà a conformarsi alle norme del gruppo. vi sono
molteplici ragioni per conformarsi e le ricerche sottolineano l’importanza del
desiderio di formare percezioni precise della realtà sulla base del consenso
del gruppo per sviluppare relazioni interpersonali significative e per
mantenere un’autostima positiva.

- comportamento deviante nei contesti di lavoro: comportamento


volontario che viola importanti norme dell’organizzazione e nel farlo
minaccia il benessere dell’organizzazione e dei suoi componenti. Sono
detti anche comportamenti antisociali o inciviltà sul luogo di lavoro

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3. PROPRIETÀ DEL GRUPPO: STATUS: lo status è inteso come una posizione o


un rango socialmente definiti assegnati a un gruppo o ai membri di un gruppo, da
altre persone. Lo status è un importante elemento di motivazione e ha enormi
conseguenze sul comportamento nel caso in cui gli individui percepiscano una
disparità tra lo status che ritengono di avere e lo status che gli alti attribuiscono
loro. Secondo la teoria delle caratteristiche dello status esso dipende da 3 fattori: il
potere che una persona ha sugli altri, la capacità di una persona di contribuire agli
obiettivi di un gruppo, le caratteristiche personali di un individuo. Lo status ha alcuni
effetti sulle norme e sulla spinta a conformarsi. Le persone con uno status elevato
spesso hanno maggiore libertà di deviare dalle norme rispetto agli altri membri del
gruppo. Le persone con status elevato tendono ad essere i componenti più assertivi
del gruppo. Per chi fa parte di un gruppo è importante credere che la gerarchia di
status sia equa. La percezione dell’iniquità crea squilibrio e questo ispira diversi
emeriti comportamento correttivo.

4. PROPRIETÀ DEL GRUPPO: DIMENSIONI. Le dimensioni di un gruppo ne


modificano il comportamento generale? Si ma l’effetto dipende dalle variabili che
sono prese in esame. Una delle scoperte più importanti riguardo alle dimensioni di
un gruppo è il cosiddetto social loafing che consiste nella tendenza delle persone a
compiere meno sforzi quando lavorano collettivamente invece che da soli. Questo
fatto mette in discussione l’idea che la produttività di un gruppo sia quantomeno
uguale alla somma di quelle degli individui che lo compongono.

5. PROPRIETÀ DEL GRUPPO: COESIONE. I gruppi differiscono per coesione


ovvero il grado di legame reciproco tra i membri e di motivazione a rimanere nel
gruppo. Alcuni gruppi di lavoro sono coesi perché i membri hanno passato molto
tempo insieme. Le dimensioni ridotte di un gruppo facilitano un forte grado di
interazione. La coesione influisce sulla produttività del gruppo.

6. PROPRIETÀ DEL GRUPPO: DIVERSITÀ. Per diversità si intende il grado di


similitudine o differenza tra i membri di un gruppo. La diversità sembra accrescere i
conflitti, specialmente nelle prime fasi dello sviluppo del gruppo. E ciò spesso
riduce il morale e aumenta i casi di abbandono del gruppo.

DECISION MAKING DEL GRUPPO: il decision making di gruppo è ampiamente


impegnato nelle organizzazioni, ma le decisioni di gruppo sono preferibili rispetto a
quelle prese da una persona sola? PUNTI DI FORZA = i gruppi generano
informazioni e conoscenze più complete. Aggregando le risorse di diversi individui,
portano maggiori input ed eterogeneità nel processo decisionale. Offrono una
maggiore diversificazione di punti di vista. Questo da l’opportunità di considerare
diversi approcci e diverse alternative. Infine i gruppi portano a una più ampia

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accettazione della soluzione. PUNTI DI DEBOLEZZA = le decisioni di gruppo
richiedono tempo perché di norma il gruppo è più lento nell’individuo a trovare una
soluzione. Ci sono pressioni al conformismo. Il desiderio da parte dei membri di
venire accettati e considerati come una risorsa del gruppo può scoraggiare
qualsiasi forma di disaccordo. La discussione di gruppo può essere dominata da
uno o da pochi membri, infine, le decisioni di gruppo soffrono dell’ambiguità
dell’attribuzione della responsabilità.

Se i gruppi siano o meno più efficaci degli individui dipende dal modo in cui si
definisce l’efficacia. Le decisioni di gruppo sono di norma più accurate di quelle di
una persona media all’interno del gruppo, ma meno accurate rispetto alle decisioni
individuali degli elementi migliori. Ma non si può considerare l’efficacia senza
prendere in considerazione l’efficienza. Con pochissime eccezioni il decision making
di gruppo impegna più risorse di quante ne impiega un individuo che affronta lo
stesso problema. Le eccezioni tendono a essere situazioni in cui, per ottenere un
risultato paragonabile, il singolo decisore sarebbe costretto a investire molto tempo
esaminando documenti e parlando con molte altre persone.

GROUPTHINK E GROUPSHIFT: due conseguenze del decision making di gruppo


possono influire sulla capacità del gruppo di valutare con obiettività le alternative e
di arrivare a soluzioni di alto livello. Il primo fenomeno, che prende il nome di
groupthink è legato alle norme. Descrive quelle situazioni in cui la pressione a
conformarsi compromette la capacità del gruppo di valutare criticamente le opinioni
insolite, minoritarie o impopolari. Il groupthink è una malattia che colpisce i gruppi e
può ridurre drammaticamente le prestazioni. Il secondo fenomeno è detto
groupshift, e descrive il modo in cui i membri del gruppo tendono a esagerare le
loro posizioni iniziali nella discussione delle diverse opzioni possibili per arrivare alla
soluzione.

CAPITOLO 9: CAPIRE I GRUPPI E LE SQUADRE DI LAVORO

DIFFERENZA TRA GRUPPI E SQUADRE: Un gruppo di lavoro interagisce


principalmente per condividere informazioni e prendere decisioni per aiutare ciascun
membro ad avere un buon rendimento nella sua area di competenza. I gruppi di
lavoro non hanno necessità o opportunità di impegnarsi in un lavoro collettivo che
richiede sforzi congiunti. Una squadra di lavoro genera una sinergia positiva
attraverso sforzi coordinati. Gli sforzi individuali hanno come risultato un livello di
prestazione superiore alla somma dei contributi dei singoli membri. Sebbene
possiamo considerare una squadra di lavoro come una sottocategoria di un gruppo
di lavoro, essa è costituita per essere propositiva e simbiotica nell’interazione tra i
suoi membri. Si dovrebbe mantenere la distinzione tra gruppo e squadra anche
quando i termini sono usati indifferentemente in contesti diversi. L’uso estensivo di

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squadre crea il potenziale affinché un’organizzazione generi maggiori risultati senza
aumentare gli investimenti.

TIPI DI SQUADRE:
- squadre di Problem solving: gruppi di impiegati, da 5 a 12, dello stesso reparto
dipartimento che si incontrano per qualche ora ogni settimana per discutere sui
modi per migliorare qualità, efficienza e ambiente di lavoro.

- Squadre di lavoro autogestite: gruppi di persone, da 5 a 12, che assumono su di


sé le responsabilità dei loro precedenti supervisori

- Squadre plurifunzionali: impiegati circa dello stesso livello gerarchico, ma di aree


di lavoro diverse, che si riuniscono per svolgere un compito

- Squadre virtuali: squadre che usano la tecnologia dei computer per collegare
membri fisicamente distanti in modo da raggiungere un obiettivo comune

- Sistema multisquadra: un insieme di due o più squadre interdipendenti che


condividono un obiettivo superiore: una squadra di squadre.

CREARE SQUADRE EFFICACI: considerando il modello di efficacia di squadra,


tenete presenti due punti. primo, le squadre differiscono per forma e struttura. Il
modello tenta di generalizzare tra tutti i vari tipi di squadra, ma evita di applicare
rigidamente i suoi assunti a tutte le squadre. Usatelo come guida. Secondo, il
modello parte dall’idea che il lavoro di squadra sia preferibile al lavoro individuale.
Creare squadre efficaci quando un individuo può svolgere il compito meglio è come
risolvere in modo perfetto il problema sbagliato. Possiamo raggruppare le
componenti chiave di squadre efficaci in 3 categorie generali. La prima comprende
le risorse e altre influenze del contesto. La seconda è relativa alla composizione
della squadra. infine, le variabili del processo sono eventi interni alla squadra che ne
influenzano l’efficacia. Che cosa significa efficacia di squadra in questo modello?
Solitamente esso include misurazioni oggettive della produttività della squadra,
valutazioni dei dirigenti sulla prestazione della squadra e misure complessive della
soddisfazione dei suoi componenti.

CONTESTO: QUALI FATTORI DETERMINANO SE LE SQUADRE HANNO


SUCCESSO?

- risorse adeguate: le squadre sono parte di un sistema organizzativo più vasto;


ogni team di lavoro per essere sostenuto dipende da risorse esterne al gruppo.
La scarsità di risorse riduce direttamente la capacità di una squadra di svolgere il
suo compito efficacemente e di raggiungere i suoi scopi

- Leadership e struttura: le squadre non possono funzionare se non possono


accordarsi su chi debba fare che cosa e assicurarsi che il carico di lavoro sia

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suddiviso tra tutti i membri. La leadership è importante specialmente in sistemi
multisquadra. Qui i team leader devono spronare le squadre, delegando loro la
responsabilità, e giocare il ruolo di facilitatori, facendo in modo che le squadre
lavorino insieme invece che una contro l’altra.

- Clima di fiducia: i membri di squadre efficaci si fidano vicendevolmente. Inoltre


mostrano fiducia nei loro leader. La fiducia interpersonale tra i membri di una
squadra facilita la cooperazione, riduce la necessità di monitorare i rispettivi
comportamenti e rinsalda gli individui nella certezza che gli altri all’interno del
team non si approfitteranno di loro.

- Sistemi di valutazione delle prestazioni e ricompensa: come si arriva a rendere i


membri di una squadra responsabili sia individualmente sia collettivamente?
Valutazioni e incentivi per prestazioni individuali potrebbero interferire con lo
sviluppo di squadre altamente performanti. così, oltre a valutare e ricompensare
le persone per i loro contributi individuali, il management dovrebbe modificare il
tradizionale sistema di valutazione e incentivazione orientato a premiare
l’individualità in modo che rifletta la prestazione della squadra e focalizzarsi su
sistemi ibridi che riconoscano ai singoli partecipanti i loro contributi particolari e
ricompensino l’intero gruppo per i risultati positivi.

COMPOSIZIONE DELLE SQUADRE:

- Capacità dei componenti: parte dei risultati di un team dipende dalle conoscenze,
dalle abilità e dalle capacità individuali dei suoi componenti. Sono determinanti le
capacità del team leader. I team leader attenti e intellettualmente rapidi aiutano i
membri meno preparati quando un compito li può mettere in difficoltà. I team
leader meno capaci rischiano invece di neutralizzare gli effetti di una squadra
altamente abile

- Personalità dei componenti: la personalità influisce fortemente sul


comportamento individuale dei collaboratori. Uno studio ha scoperto che
specifiche tendenze comportamentali, come l’organizzazione personale, la
struttura cognitiva, l’orientamento al risultato e la perseveranza sono tutte
correlate a elevati livelli di prestazioni di squadra. I comportamenti più aperti delle
squadre comunicano meglio e producono una quantità e qualità superiore d’idee
e questo rende più creativi e innovativi i gruppi cui appartengono

- Assegnazione dei ruoli: le squadre hanno necessità differenti e i loro componenti


dovrebbero essere scelti per fare in modo che i ruoli siano coperti. Come ci si
potrebbe aspettare, le squadre con più esperienza e componenti più abili hanno
avuto risultati migliori. In ogni caso l’esperienza e l’abilità dei giocatori con i ruoli
principali, che gestiscono una porzione superiore di lavoro di squadra e che sono
centrali per tutto il processo operativo, sono risultati particolarmente cruciali.

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Occorre mettere le persone più capaci, esperte e coscienziose nei ruoli centrali
della propria squadra

- Diversità dei componenti: studio degli effetti della diversità nei gruppi. Come
influisce tale fattore sulle prestazioni di una squadra? Il livello di similarità dei
membri di un’area operativa riguardo ad aspetti demografici come l’età, sesso,
razza, scolarizzazione o esperienza di servizio nell’organizzazione sono oggetto di
studio della demografia organizzativa. Tale insieme di conoscenze suggerisce che
variabili come l’età o la data di ingresso nel gruppo possano aiutare a prevedere l
turnover. La logica è questa: il turnover sarà più frequente tra coloro che hanno
esperienze diversificate, perché la comunicazione è più difficile e il conflitto più
probabile. Maggiori conflitti riducono l’attrattività dell’appartenenza e gli impiegati
sono più inclini a lasciare il lavoro.

- Demografia organizzativa: il livello di similitudine tra i membri di un’unità


operativa, riguardo ad aspetti demografici come età, sesso, razza,
scolarizzazione o esperienza di servizio, e il suo impatto turnover.

- Dimensione delle squadre: molti esperti concordano sul fatto che per l’efficacia di
un gruppo, le squadre di dimensioni più limite siano in grado di garantire
prestazioni superiori. In generale, le squadre più efficace sono costituite dai
cinque ai nove componenti. I ricercatori sostengono che si debba utilizzare il
minor numero di persone possibile per svolgere un compito. Quando le squadre
hanno una composizione troppo ampia, la coesione e l’affidabilità reciproca
declinano, aumenta il social loafing e le persone comunicano di meo. I
comportamento di squadre numerose creano problemi nel coordinarsi tra loro
soprattutto all’aumentare della pressione sui risultati. Quando un gruppo di lavoro
è troppo grande ed è necessario uno sforzo di squadra, e possibile dividerlo in
sotto-gruppi, qualora il coordinamento si riveli inefficace.

PROCESSI DI SQUADRA: l’ultima dimensione correlata con l’efficacia di una


squadra include variabili di processo come l’impegno dei componenti verso uno
scopo comune, la creazione di specifici obiettivi di squadra, la presenza di un
livello di conflittualità, seppur gestito, e un’inerzia sociale minimizzata. Le
squadre efficaci iniziano con l’analizzare la propria missione, lo sviluppare
obiettivi per portare a termine quella specifica missione e il definire azioni
alternative per realizzare tali obiettivi. Le squadre che costantemente tengono i
risultati migliori hanno sviluppato una visione chiara di che cosa debba essere
fatto e come deve essere realizzato. Membri di squadre di successo investono
molto tempo ed energia nel discutere, configurare e concordare un obiettivo he
possa appartenere loro e rappresentarli sia individualmente sia collettivamente.
Fare in modo che tutti i componenti di una squadra si impegnino per lo stesso
tipo di obiettivo è importante. Le squadre efficaci mostrano riflessività, nel senso

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che riflettono sul loro piano generale e lo correggono quando necessario. Le
squadre considerate efficaci traducono il loro comune scopo in obiettivi specifici
e realistici. Le squadre efficaci hanno fiducia in se stesse, credono di poter aver
successo. Noi chiamiamo questo fenomeno efficacia di squadra. Squadre che
hanno avuto successo nel passato aumentano la loro fiducia nel successo futuro,
e questo è fonte di motivazione. Le squadre efficaci condividono precisi modelli
mentali, ovvero rappresentazioni mentali organizzate di elementi rilevanti
all’interno di un contesto di squadra che tutti i componenti del gruppo
condividono tra loro. Se i membri di una squadra posseggono modelli mentali
errati, la loro prestazione ne risente. Il conflitto in una squadra non è
necessariamente un male. I conflitti di relazione (quelli basati su incompatibilità
interpersonale, tensione e animosità nei confronti di altri) sono quasi sempre
controproducenti. ciononostante, quando le squadre stanno svolgendo attività
non di routine, dei disaccordi sul contenuto del compito, stimolano la
discussione, promuovono la valutazione critica dei problemi e delle opzioni e
possono portare a migliori decisioni di squadra.

CAPITOLO 10: COMUNICAZIONE

All’interno di un gruppo o organizzazione la comunicazione svolge 4 funzioni


principali: controllo, motivazione, espressione delle emozioni e informazione. La
comunicazione controlla il comportamento dei membri di un gruppo in diversi
modi. Le organizzazioni dispongono di gerarchie di autorità, procedure e line
guida formali che i dipendenti devono seguire. La comunicazione promuove
motivazione, chiarendo alle persone ciò che devono fare, il valore della loro
prestazione e il modo in cui possono migliorarla. Il gruppo di lavoro è una fonte
primaria di interazione sociale per molti dipendenti. La comunicazione all’interno
del gruppo è un meccanismo fondamentale attraverso il quale i membri mostrano
soddisfazione e frustrazione. La comunicazione permette di esprimere e
realizzare i bisogni sociali. L’ultima funzione della comunicazione è agevolare il
processo decisionale. La comunicazione fornisce le informazioni di cui individui e
gruppi hanno bisogno, trasmettendo i dati necessari a individuare e valutare le
scelte.

PROCESSO COMUNICATIVO: il mittente da avvio a un messaggio codificando


un pensiero. Il messaggio è il prodotto fisico reale della codifica del mittente. Il
canale è il medium attraverso il quale il messaggio è veicolato. Lo seleziona il
mittente che decide se usare il canale formale o informale. I canali formali sono
definiti dall’organizzazione e trasmettono i messaggi collegati alle attività
professionali di membri; tradizionalmente seguono la catena gerarchica interna
all’organizzazione. Altre forme di messaggio, come quella privata e sociale,
seguono i canali informali, che sono spontanei e emergono in risposta a scelte

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individuali. La persona alla quale il messaggio è diretto è il destinatario che deve
tradurre i simboli di una forma comprensibile. Questa fase corrisponde alla
decodifica del messaggio. Il rumore rappresenta le barriere comunicative che
distorcono la chiarezza del messaggio. Il collegamento finale è il feedback cioè la
verifica del successo avuto nel trasferire il messaggio come originariamente
inteso. Il feedback determina se il messaggio è stato compreso.

DIREZIONE DELLA COMUNICAZIONE:

- comunicazione discendente: la comunicazione che fluisce dal livello di un


gruppo o di un’organizzazione a un livello inferiore è definita comunicazione
discendente. i team leader di un gruppo e i manager la usano per assegnare
obiettivi, fornire istruzioni lavorative, spiegare politiche e procedure, sottolineare
problemi che anno bisogno di attenzione. Nella comunicazione discendente i
manager devono spiegare le ragioni per le quali una decisione è stata presa. Un
altro problema della comunicazione discendente è la sua natura a senso unico:
generalmente i manager informano i dipendenti ma raramente ne sollecitano
consigli e opinioni attraverso processi di feedback. La ricerca afferma che i
dipendenti non forniranno idee, consigli, informazioni, input, anche quando le
condizioni sono favorevoli, se farlo sembra contrario ai loro interessi.

- Comunicazione ascendente: essa è diretta verso un livello più alto del gruppo o
dell’organizzazione. È usata per fornire feedback ai superiori, informarli dei
progressi compiuti in direzione delle sensazioni dei dipendenti sul lavoro, sui
colleghi e sull’organizzazione in generale.

- Comunicazione laterale: essa ha luogo tra membri dello stesso gruppo di


lavoro, membri di pari livello appartenenti a gruppo di lavoro diversi, manager di
pari livello o altri lavoratori parigrado. La comunicazione laterale fa risparmiare
tempo e facilita il coordinamento.

COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA

- reti formali composte da piccoli gruppi: 3 piccoli gruppi diffusi = catena, ruota e
tutto canale. La catena segue rigidamente la catena formale di comando; questa
rete si avvicina ai canali di comunicazione che si potrebbero trovare in
un’organizzazione rigidamente strutturata su tre livelli. La ruota fa affidamento su
una figura centrale che agisce da canale per la comunicazione di tutto il gruppo;
essa simula la rete di comunicazione di una squadra con leader forte. La rete
tutto canale permette ai componenti del gruppo di comunicare attivamente l’uno
con l’altro; questa rete è caratterizzata dall’autogestione delle squadre

- Passaparola: la rete di comunicazione di un gruppo o di un’organizzazione è


chiamata passaparola. Il passaparola rimane un’importante fonte di informazione

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per dipendenti e candidati. Passaparola tra pari su un’impresa hanno importanti
effetti sulla decisione, da parte dei candidati, di entrare a far parte di
un’organizzazione.

MODALITÀ DI COMUNICAZIONE: 3 tipi di comunicazione: orale, scritta e non


verbale.

- comunicazione orale: i vantaggi della comunicazione orale sono la velocità e i


feedback. È possibile trasmettere un messaggio verbale e ricevere una risposta
immediata. Il mittente può scoprire rapidamente se il destinatario non è sicuro del
messaggio e correggerlo. Uno dei principali svantaggi della comunicazione orale
emerge ogni volta che un messaggio deve passare attraverso diverse persone:
quanto più numerose esse sono, tanto maggiore è il potenziale di distorsione.

- Comunicazione scritta: include lettere, email, messaggistica istantanea

- Comunicazione non verbale: ogni volta che comunichiamo un messaggio verbale,


comunichiamo anche un messaggio non verbale. Il linguaggio del corpo può
veicolare status, livello di engagement e condizione emotiva; si aggiunge alla
comunicazione verbale, e spesso la complica.

SCELTA DEL CANALE DI COMUNICAZIONE:

- ricchezza del canale: i canali differiscono nella capacità di trasmettere


informazioni. Alcuni sono ricchi in quanto possono: gestire simultaneamente
molteplici segnali; permettere rapidi feedback; essere molto personali. Altri sono
poveri, perché hanno un punteggio basso in questi fattori. La conversazione
faccia a faccia ottiene il punteggio più alto di ricchezza del canale, poiché
trasmette la maggior quantità di informazioni per episodio comunicativo:
molteplici segnali di informazione, feedback immediato e il tocco personale della
presenza. I canali meno ricchi sono i media scritti impersonali come i bollettini e
le relazioni formali.

COMUNICAZIONE PERSUASIVA: ora rivolgiamo l’attenzione a una delle funzioni


della comunicazione e alle caratteristiche che potrebbero rendere i messaggi più o
meno persuasivi per un pubblico.

- Elaborazione automatica e controllata: spesso ci affidiamo all’elaborazione


automatica, una considerazione relativamente superficiale delle evidenze e delle
informazioni che fa uso di euristiche simili a quelle nominate nel cap 6.
L’elaborazione automatica richiede poco tempo e poco sforzo: ha quindi senso
usarla per l’elaborazione di messaggi persuasivi collegati a temi di cui non ci si
preoccupa molto. Lo svantaggio è che rende facilmente influenzabili da una
molteplicità di espedienti quali motivetti accanttivanti o affascinanti foto. vi è

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anche l’elaborazione controllata: richiede sforzo ed energia; d’altra parte è più
facile ingannare qualcuno che ha dedicato tempo e impegno in qualcosa.

- Livello di interesse: uno dei migliori predatori dell’uso di un processo di


elaborazione automatica oppure controllato in risposta a un messaggio
persuasivo è il livello di interesse per l’argomento in questione. I livelli di interesse
riflettono l’impatto che una decisione avrà sulla vita del destinatario del
messaggio

- Conoscenze precedenti: le persone molto bene informate su un’area tematica


hanno maggiori probabilità di usare strategie di elaborazione controllata

- Caratteristiche del messaggio: un altro fattore che influenza l’uso di una strategia
di elaborazione automatica o controllata è rappresentato dalle caratteristiche del
messaggio stesso. I messaggi trasmessi attraverso canali di comunicazione
relativamente poveri, con scarse opportunità per gli utenti di interagire con il
contenuto del messaggio, incoraggiano l’elaborazione automatica. Per contro, i
messaggi trasmessi attraverso canali di comunicazione più ricchi tendono a
incoraggiare un’elaborazione più ponderata.

BARRIERE CONTRAPPOSTE ALLA COMUNICAZIONE EFFICACE: diverse


barriere possono rallentare o distorcere l’efficacia della comunicazione.

- filtraggio: è la manipolazione delle informazioni da parte di un mittente, finalizzata


a far si che esse siano considerate più favorevolmente dal destinatario

- Sovraccarico informativo: condizione in cui l’afflusso di informazioni supera la


capacità di elaborazione di un individuo

- Emozioni: è possibile interpretare lo stesso messaggio in modo diverso quando si


è in collera o in ansia piuttosto che quando si è felici. Le persone che hanno stati
d’animo negativi hanno maggiori probabilità di analizzare i messaggi in maggior
dettaglio, mentre quelle con uno stato d’animo positivo tendono ad accettare le
comunicazioni per come appaiono

- Linguaggio: il significato delle parole cambia a seconda delle persone. L’età e il


contesto sono due dei più grandi fattori di influenza, in tal senso.

- Ansia comunicativa: tensione e ansia eccessiva nella comunicazione orale, in


quella scritta o in entrambe

IMPLICAZIONI GLOBALI: la comunicazione efficace è difficile anche nelle migliori


condizioni. Il potenziale per l’incremento dei problemi di comunicazione è
chiaramente creato da fattori transculturali. Un gesto che è facilmente compreso e
accettabile in una cultura può essere privo di significato o indecente in un’altra. Solo
il18% delle imprese ha strategie documentate di comunicazione interculturale con i

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dipendenti e solo il 31% richiede che i messaggi aziendali siano personalizzati in
modo da essere compresi in altre culture. Quando si comunica con una persona
proveniente da un’altra cultura che cosa è possibile fare per ridurre i
fraintendimenti? 1) conoscete voi stessi, le vostre identità e i propri fondamenti
culturali 2) promuovete un clima di rispetto reciproco 3) imparate qual è il contesto
culturale di ogni persona 4) quando avete dubbi, ascoltate 5) esponete i fatti, non la
vostra interpretazione al riguardo 6) considerate il punto di vista altrui 7) mantenete
in modo proattivo l’identità gruppo

CAPITOLO 11: LEADERSHIP

Definiamo la leadership come la capacità di influenzare un gruppo ai fini del


raggiungimento di un’idea, di una visione o di un insieme di obiettivi. La fonte di
quest’influenza può essere formale, come nel caso della posizione ricoperta nella
gerarchia all’interno di un’organizzazione. Per raggiungere la massima efficacia alle
organizzazioni serve una leadership forte e un forte management. Abbiamo bisogno
di un leader che mette in discussione lo status quo, che abbiano una visione del
futuro e spingano i membri dell’organizzazione a realizzarla.

TEORIE DEI TRATTI: queste teorie considerano le qualità e le caratteristiche


personali che distinguono i leader dai non leader.

TEORIE COMPORTAMENTALI: le teorie comportamentali della leadership


implicavano la possibilità di insegnare alle persone a interpretare i ruoli di
leadership. Le teorie più esaustive emersero presso alcuni studi degli anni 40 che
cercarono di individuare le dimensioni indipendenti del comportamento dei leader. A
partire da più di mille dimensioni gli studi restrinsero la lista alle due che,
sostanzialmente, giustificavano la maggior parte del comportamento di leadership
descritto dai dipendenti: struttura di iniziazione e considerazione. La struttura di
iniziazione è la misura in cui è probabile che un leader definisca e strutturi il suo
ruolo e quelli dei suoi collaboratori allo scopo di raggiungere un obiettivo. Essa
include il comportamento che porta a una migliore organizzazione dei compiti, a
definire le relazioni di lavoro e a strutturare con chiarezza gli obiettivi. La
considerazione è la misura in cui le relazioni lavorative di una persona sono
caratterizzate da fiducia reciproca, rispetto per le idee dei dipendenti e attenzione
per i loro sentimenti. Un leader con alta considerazione aiuta i collaboratori anche
su questioni personali, è amichevole e accostabile, tratta tutti i dipendenti in modo
uguale ed esprime apprezzamento e sostegno. Esistono due tipi comportamentali
del leader: il leader orientato al dipendente (leader che pone enfasi sulle relazioni
interpersonali, è personalmente interessato ai bisogni dei dipendenti e accetta le
differenze individuali tra i membri) e il leader orientato alla produzione (leader che
enfatizza gli aspetti tecnici o esecutivi del lavoro). I leader che hanno determinati

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tratti e che mostrano comportamenti di considerazione e di strutturazione sembrano
più efficaci.

TEORIE DELLA CONTINGENZA: consideriamo ora 4 approcci alla distinzione delle


variabili situazionali: il modello di Fiedler, la teoria situazionale, la teoria percorso
obiettivo e il modello della partecipazione del leader.

- MODELLO DI FIEDLER: il modello di contingenza di Fiedler suggerisce che la


prestazione di gruppo efficace dipende dal corretto abbinamento tra lo stile del
leader e il suo grado di controllo sulla situazione. Fiedler ritiene che uno dei
principali fattori per il successo della leadership sia il fondamentale stile di
leadership dell’individuo. Per individuare quello stile, lo studioso creò il
questionario del collega mano apprezzato, ovvero uno strumento con cui si
afferma di misurare se una persona è orientata al compito o alla relazione. Dopo
aver valutato lo stile di leadership attraverso il questionario LPC si abbinerà il
leader alla situazione. Fiedler individuò 3 dimensioni della contingenza o
situazionali. 1) la relazione leader collaboratori sono rappresentate dal grado di
sicurezza, fiducia, rispetto che i collaboratori hanno verso i propri leader 2) la
struttura del compito è il grado i cui le mansioni lavorative sono procedurizzate 3)
il potere della posizione è il livello d’influenza di un leader su variabili di potere
come assunzioni, licenziamenti, punizioni, promozioni e aumenti di stipendio.
Dalla combinazione delle tre dimensioni della contingenza si formano le otto
possibili situazioni in cui si possono trovare i leader. Il modello di Fiedler propone
di abbinare il punteggio LPC di un individuo a queste otto situazioni per
raggiungere la massima efficacia nella leadership. Lo studioso concluse che i
leader orientati al compito svolgono prestazioni migliori in situazioni che sono
molto sfavorevoli o favorevoli. In che modo si potrebbero applicare i risultati di
Fiedler? Abbaiando i leader (nei termini dei loro punteggi LPC) con il tipo di
situazione (nei termini di relazioni leader-collaboratori, struttura del compito e
potere della posizione) per il quale sono più adatti. Bisogna ricordare che Fiedler
considera costante lo stile di leadership di un individuo. Dunque esistono solo
due modi di migliorare l’efficacia del leader. Per prima cosa si può cambiare il
leader in modo che sia adeguato alla situazione. La seconda alternativa è
cambiare la situazione in modo da adeguarla al leader, ristrutturando compiti,
oppure aumentando e diminuendo il potere del leader di controllare fattori come
gli aumenti di stipendio, le promozioni e le azioni disciplinari.

TEORIA DELLO SCAMBIO LEADER-COLLABORATORE: questa teoria sostiene


che a causa della pressione sui risultati e del senso di urgenza, i leader stabiliscono
una relazione particolare con un piccolo gruppo di collaboratori. Questi individui
formano l’ingroup: ricevono fiducia, ottengono una quantità sproporzionata
dell’attenzione del leader e hanno maggior probabilità di ottenere privilegi speciali.

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Gli altri fanno parte dell’outgroup. Questa teoria propone anche che all’inizio
dell’interazione tra un leader e un dato collaboratore, il leader categorizzi
implicitamente il collaboratore come appartenente o no all’ingroup; quella relazione
rimane piuttosto stabile nel corso del tempo. I leader danno origine alla LMX
ricompensando i dipendenti con i quali desiderano avere un rapporto più stretto e
punendo quelli con i quali non desiderano averlo. Perché la relazione LMX rimanga
intatta, sia il leader sia il collaboratore devono investire nella relazione. Le ricerche
per verificare questa teoria, sono state d’aiuto e hanno prodotto importanti evidenze
che dimostrano che i leader fanno differenze tra i collaboratori; queste disparità
sono tutt’altro che casuali; i collaboratori con uno status di membro ingroup
otterranno valutazioni più elevate per la prestazione, si impegneranno
maggiormente in comportamenti di aiuto o di cittadinanza al lavoro, e
manifesteranno una maggiore soddisfazione con il proprio superiore.

LEADERSHIP CARISMATICA E LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE: esse


hanno un punto in comune: considerano i leader come individui che ispirano i
collaboratori attraverso parole, idee, visioni e comportamenti.

- LEADERSHIP CARISMATICA: il sociologo Weber definì il carisma come una certa


qualità della personalità di un individuo, in virtù della quale egli si eleva dagli
uomini comuni ed è trattato come uno stato di poteri o qualità soprannaturali,
sovrumane, o quanto meno eccezionali. Il primo ricercatore a considerare la
leadership carismatica in termini di comportamento organizzativo fu Robert
House. Secondo la teoria della leadership carismatica di House, i collaboratori
attribuiscono abilità di leadership eroiche o straordinarie quando osservano certi
comportamenti e tendono ad attribuire potere a questi leader. I leader carismatici
nascono con l qualità che li rendono tali? Oppure è possibile imparare a essere
leader carismatici? La risposta è affermativa a entrambe le domande. Gli individui
nascono con tratti che li rendono carismatici. Anche la personalità è correlata alla
leadership carismatica; per i leader carismatici è probabile essere estroversi,
sicuri di sé e orientati al risultato. In che modo i leader carismatici influenzano i
collaboratori? Articolando una visione affascinante, una strategia a lungo termine
tesa a raggiungere un obiettivo collegando il presente a un futuro migliore per
l’organizzazione. una visione ha bisogno di essere accompagnata da una
dichiarazione, ossia da un’articolazione formale della visione o della missione di
un’organizzazione. I leader carismatici possono usare dichiarazioni di visione per
imprimere nei collaboratori uno scopo, un obiettivo generale. Essi costruiscono
l’autostima e la sicurezza dei collaboratori attraverso alte aspettative di
prestazione e la credenza che i collaboratori possano soddisfarle. Le persone che
lavorano per i leader carismatici sono motivate a esercitare sforzi ulteriori e a
esprimere una soddisfazione maggiore. Le persone sono inoltre ricettive nei
confronti della leadership carismatica quando avvertono una crisi, sono sotto

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stress o temono per la propria vita. I leader carismatici sono capaci di ridurre lo
stress dei dipendenti, forse perché contribuiscono a rendere il lavoro più
significativo e interessante.

- LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE: I leader trasformazionali spingono i


collaboratori ad andare oltre gli interessi personali per il bene dell’organizzazione
e possono avere su di loro un effetto straordinario. vi sono però anche leader
transazionali, che guidano i propri collaboratori verso obiettivi stabiliti, chiarendo
ruoli e compiti. Come funziona la leadership trasformazionale? I leader
trasformazionali dimostrano maggiore efficacia non solo perché sono creativi, ma
anche perché incoraggiano i propri collaboratori a essere creativi a loro volta. Le
imprese con leader trasformazionali decentrano maggiormente le responsabilità, i
manager hanno una maggior propensione ad assumere rischi e i piani di
retribuzione sono collegati ai risultati a lungo termine: tutto ciò facilita
l’imprenditorialità aziendale. La leadership trasformazionale è stata sostenuta a
diversi livelli lavorativi e da persone che svolgevano occupazioni differenti.
Questo tipo di leadership però non ha la stessa efficacia in tutte le situazioni. Ha
un impatto maggiore sui risultati gestionali ed economici in aziende di piccole
dimensioni, a conduzione privata e familiare, più che in organizzazioni più
complesse. probabilmente, essa è più efficace quando i leader possono interagire
direttamente con la forza lavoro per prendere decisioni; meno quando essi
rispondono a un consiglio di amministrazione esterno o hanno a che fare con una
complessa struttura burocratica.

LEADER TRANSAZIONALE

RICOMPENSA CONTINGENTE: CONTRATTA SCAMBI RICOMPENSA-SFORZI, PROMETTE


RICOMPENSE IN CAMBIO DI BUONE PRESTAZIONI, RICONOSCE I RISULTATI

MANAGEMENTE PER ECCEZIONI (ATTIVO): OSSERVA E RICERCA LE DEVIAZIONI DA REGOLE


E STANDARD, INTRAPRENDE LEAZIONI CORRETTE

MANAGEMENT PER ECCEZIONI (PASSIVO): INTERVIENE SOLO SE GLI STANDARD NON


SONO SODDISFATTI

LAISSEZ-FAIRE: ABDICA ALLE RESPONSABILITÀ, EVITA DI PRENDERE DECISIONI

LEADER TRASFORMAZIONALE

INFLUENZA IDEALIZZATA: FORNISCE UNA VISION E UN SENSO DELLA MISSION, INSTILLA


ORGOGLIO, OTTIENE RISPETTO E FIDUCIA

MOTIVAZIONE ISPIRAZIONALE: COMUNICA ALTE ASPETTATIVE, USA SIMBOLI PER


FOCALIZZARE GLI SFORZI, ESPRIME PROPOSITI IMPORTANTI IN MODI SEMPLICI

STIMOLAZIONE INTELLETTUALE: PROMUOVE INTELLIGENZA, RAZIONALITÀ E PROBLEM


SOLVING ATTENTO

CONSIDERAZIONE INDIVIDUALIZZATA: OFFRE ATTENZIONE PERSONALE, TRATTA OGNI


DIPENDENTE IN MODO INDIVIDUALE, ISTRUISCE, CONSIGLIA

LEADERSHIP AUTENTICA: ETICA E FIDUCIA. I leader autentici sanno chi sono,


sanno in che cosa credono, che cosa crea valore e agiscono sulla base di questi
valori e credenze in maniera aperta e onesta. La qualità principale prodotta dalla

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leadership autentica è la fiducia. I leader autentici condividono informazioni,
incoraggiano la comunicazione e non tradiscono i propri ideali. Le persone di
conseguenza si fidano di loro. La leadership autentica è un modo promettente di
pensare all’etica e alla fiducia nella leadership, perché si concentra sugli aspetti
morali dell’essere leader. I ricercatori hanno iniziato a studiare le implicazioni etiche
della leadership. Perché proprio ora? Una ragione potrebbe essere rappresentata
dal crescente interesse dell’etica in tutto il campo del management. Un’altra,
dall’osservazione che molti leader del passato aveva punti deboli dal punto di vista
etico. Una terza ragione risale alla sequenza di crisi di istituzioni finanziarie
occidentali derivanti da decisioni opportunistiche di organizzazioni too big to fail che
hanno causato crisi economiche e sociali a livello mondiale a partire dal 2007.
Un’ulteriore ragione può risiedere nella crescente consapevolezza che, sebbene
ogni membro di un’organizzazione sia responsabile del comportamento etico, molte
iniziative finalizzate a incrementare il comportamento etico organizzativo si
concentrano sui leader. Etica e leadership hanno molti punti in contatto. La
leadership trasformazionale ha implicazioni etiche poiché questi leader cambiano il
modo di pensare dei collaboratori. Anche il carisma ha una componente etica. I
leader non etici usano il proprio carisma per accrescer il potere che hanno sui
collaboratori, orientandolo verso interessi personali. Perché la leadership etica sia
efficace, non è sufficiente che il leader possieda un’alta moralità. Dopotutto non ci
sono standard universali di comportamento etico e le norme etiche variano per
cultura, settore e talvolta persino all’interno della stessa organizzazione. I leader
devono avere il desiderio di esprimere le proprie credenze etiche e persuadere gli
altri a seguire i propri standard. I collaboratori devono credere sia nel leader, sia nei
suoi servizi.

LEADERSHIP DI SERVIZIO: stile di leadership contraddistinto dal superamento


degli interessi personali e dalla focalizzazione sull’opportunità di autore gli altri a
crescere e svilupparsi

FIDUCIA E LEADERSHIP: la fiducia è uno stato psicologico presente quando si


acconsente a rendersi vulnerabili di fronte a un’altra persona perché si hanno
aspettative positive riguardo all’esito delle cose, la fiducia è uno dei principali
attributi associati alla leadership. I collaboratori che hanno fiducia in un leader sono
sicuri che i loro diritti e interessi non saranno calpestati. I leader trasformazionali
difendono le proprie idee sostenendo che la loro direzione sarà negli interessi di
ognuno. La fiducia non riguarda solo il leader; anche le caratteristiche dei
collaboratori ne influenzano lo sviluppo. Quali caratteristiche fondamentali ci
portano a credere che un leader sia degno di fiducia? Le evidenze ne hanno
individuate 3: l’integrità si riferisce all’onestà e alla veridicità; benevolenza significa
che la persona fidata ha a cuore i nostri interessi anche se non sono
necessariamente in linea con i suoi; abilità è un termine che abbraccia le

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conoscenze e le abilità tecniche e interpersonali di un individuo. La fiducia tra
dipendenti e supervisori ha numerosi vantaggi. La fiducia incoraggi i rischi; la fiducia
facilita la condivisione di informazioni; i gruppi che hanno fiducia sono più efficaci;
la fiducia aumenta la produttività.

CAPITOLO 12: POTERE E POLITICA

Il potere è la capacità di A di influenzare B, in modo che agisca secondo la volontà


di A.

BASI DEL POTERE: da dove nasce il potere? Esistono diverse tipologie di potere:

1) potere formale che si basa sulla posizione di un individuo in un’organizzazione.


Piò derivare dall’abilità nel costringere o nel ricompensare, o da un’autorità di
tipo formale

2) Il potere coercitivo è un tipo di potere che dipende dal timore delle conseguenze
di una disobbedienza

3) Il potere ricompensa riguarda l’obbedienza che si ottiene grazie alla capacità di


distribuire ricompense che gli altri considerano preziose

4) Il potere legittimo è un potere che una persona riceve per la posizione


gerarchica che occupa in un’organizzazione

5) Il potere dell’esperto è un tipo di influenza che dipende da capacità e influenze


specifiche

6) Potere del referente è un tipo di influenza basata sull’identificazione con una


persona che ha risorse o caratteristiche personali desiderabili

TATTICHE DEL POTERE: le tattiche del potere usano le persone per trasformare le
fonti di potere in azioni specifiche? Ecco alcune opzioni popolari e le condizioni che
rendono il potere più o meno efficace. La ricerca ha individuato 9 tattiche diverse:

1) legittimazione. basarsi sulla propria posizione di autorità o dichiarare che una


richiesta è in accordo con le politiche o le regole dell’organizzazione

2) Persuasione razionale. Presentate argomentazioni logiche e prove fattuali per


dimostrare la ragionevolezza di una richiesta

3) Appelli che ispirano. Sviluppare impegno emotivo appellandosi ai valori, alle


necessità, alle speranze e alle aspirazioni dell’interlocutore

4) consultazione. Accrescere il supporto dell’interlocutore coinvolgendolo nella


decisione relativa alle modalità di esecuzione di un piano

5) Scambio. Ricompensare l’interlocutore con benefici o favori in cambio del suo


sostegno

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6) Appelli personali. Chiedere di obbedire in ragione di un’amicizia

7) Lusinga. Usare lusinghe, lodi o comportamenti amichevoli prima di fare le


proprie richieste

8) pressioni. Usare avvertimenti, richieste ripetute e minacce

9) alleanze. Ottenere aiuto o supporto di altri per convincere l’interlocutore a


sostenere le proprie richieste

Alcune tattiche sono più efficaci di altre. La persuasione razionale, gli appelli e la
consultazione tendono a essere più efficaci, soprattutto se l’interlocutore è molto
interessato agli esiti del processo decisionale. La pressione tende ad avere dei lati
negativi, ed è di norma la meno efficace delle 9 tattiche. Inoltre è possibile crescere
le proprie chance di successo usando due o più tattiche insieme o in successione,
quando queste siano tra loro compatibili. Usare allo stesso tempo la lusinga e la
legittimazione può mitigare le reazioni negative a un’apparente decisionismo, ma
solo quando l’interlocutore non da realmente importanza agli esiti di un processo
decisionale o quando le modalità decisionali sono ormai abituate e conosciute.

POLITICA: POTERE IN AZIONE. Quando le persone si riuniscono in gruppi, l’ sarà


esercitato del potere. Le persone vogliono crearsi una nicchia da cui esercitare
influenza, ottenere vantaggi, benefici. Quando i dipendenti delle organizzazioni
convertono il proprio potere in azioni, li descriviamo come politicamente attivi. Quelli
che hanno buone capacità politiche riusciranno a usare con efficacia le basi del
potere. Il comportamento politico nelle organizzazioni consta di attività che non
sono parte necessaria del ruolo formale di una persona, ma che influenzano o
tentano di influenzare la distribuzione di vantaggi e svantaggi all’interno del sistema.
Questa definizione si adatta a ciò che molte persone intendono quando parlano di
politica organizzativa. La tattica politica è al di fuori dei requisiti espliciti di un lavoro.
Implica tentativi di usare le basi del potere. Comprendere sforzi di influenzare gli
obiettivi, i criteri o i processi impegnati per il decision making. La nostra definizione
è ampia abbastanza per includere una varietà di comportamenti politici, come ad
esempio nascondere informazioni chiave a chi prende decisioni.

CAUSE E CONSEGUENZE DEL COMPORTAMENTO POLITICO: a livello


individuale i ricercatori hanno identificato alcuni tratti della personalità, necessità e
fattori che possono essere correlati al comportamento politico. Riguardo ai tratti,
sembra che i collaboratori bravi a monitorare se stessi, che hanno un luogo di
controllo interno e hanno un elevato fabbisogno di potere siano più inclini a
intrattenere comportamenti di tipo politico. Chi sa monitorarsi è più sensibile agli
indizi sociali, mostra alti livelli di conformità ed è facile che sia più abile in termini
politici rispetto a chi non sa farlo. L’investimento individuale in un’organizzazione
influenzano il grado in cui una persona sarà disposta a percorrere vie illegittime di

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azione politica. Le ricerche dimostrano che siano innanzitutto certe situazioni e
certe culture a promuovere manovre politiche. In particolare, quando la
composizione delle risorse esistente sta mutando e quando ci sono possibilità di
promozioni è maggiore la probabilità che emergano comportamenti politici.

La relazione tra tattica politica e prestazioni sembra essere mitigata nel caso in cui
un individuo compresa i come e i perché delle manovre politiche all’interno
dell’organizzazione. Quando i livelli di politica e consapevolezza sono entrambi
elevati, i risultati hanno buone probabilità di migliorare, perché le persone vedranno
le attività politiche come un’opportunità. In secondo luogo il comportamento
politico sul lavoro mitiga gli effetti della leadership etica. In terzo luogo, quando i
collaboratori interpretano la politica come una minaccia, spesso rispondono con
comportamenti difensivi - per evitare l’azione, il biasimo o il cambiamento. E i
comportamenti difensivi sono spesso associati a sentimenti negativi verso il lavoro
e l’ambiente in cui lo si svolge.

GESTIONE DELL’IMPRESSIONE: sappiamo che le persone hanno un costante


interesse per il modo in cui gli altri le percepiscono e le valutano. Il processo con cui
gli individui tentano di controllare l’impressione che gli altri si fanno di loro è detto
gestione dell’impressione. Chi si dedicherà alla gestione dell’impressione? È
sempre il nostro vecchio conoscente, quello che ha alte capacità di monitorare se
stesso. Chi non le ha tende a presentare immagini di se coerenti con la propria
personalità, indipendentemente dal fatto che ciò sia vantaggioso o svantaggioso.
Chi ha elevato autocontrollo è bravo a leggere le situazioni e a modificare la propria
apparenza e il proprio comportamento per adattarsi alle circostanze. Quando le
persone praticano la gestione dell’impressione stanno inviando falsi messaggi che
potrebbero essere veri e in circostanze differenti. La maggior parte degli studi che
hanno testato l’efficacia delle tecniche di gestione dell’impressione ha fatto
riferimento a due criteri: il successo nei colloqui e le valutazioni delle prestazioni. Le
evidenze indicano che molti candidati a posti di lavoro usano tecniche di gestione
delle impressione nei colloqui e che esse sono efficaci. Alcune tecniche risultano più
efficaci di altre come la concentrazione sulla promozione dei propri successi e quelli
le cui tecniche erano concentrate sul compiacere il valutatore e sul cercare punti di
consenso.

CAPITOLO 13: CONFLITTO E NEGOZIAZIONE

UNA DEFINIZIONE DI CONFLITTO: definiamo il conflitto come un processo che


inizia quando una delle parti percepisce che il comportamento dall’altra parte ha
avuto o sta per avere effetti negativi su qualcosa per cui la prima nutre interesse.

LA VISIONE TRADIZIONALE DEL CONFLITTO: la visione tradizionale del conflitto


era coerente con la mentalità relativa al comportamento di gruppo che prevaleva

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negli anni 30 e 40 del novecento. Il conflitto era visto come un esito disfunzionale
risultante da scarsa comunicazione, mancanza di apertura e fiducia tra le persone e
fallimento dei manager nel rispondere alle esigenze e alle aspirazioni dei loro
dipendenti.

LA VISIONE INTERAZIONISTA DEL CONFLITTO: questa visione incoraggia il


conflitto sulla base del fatto che un gruppo armonioso, pacifico, tranquillo e
cooperativo è incline a diventare statico, apatico e non rispondente alle necessità di
cambiamento e innovazione. La visione integrazionista non ritiene che tutti i conflitti
siano buoni. Piuttosto il conflitto funzionale supporta gli obiettivi del gruppo,
migliora la sua prestazione e quindi è una forma costruttiva di conflitto. Un conflitto
che ostacoli la prestazione del gruppo è distruttivo o disfunzionale. Che cosa
differenzia il conflitto funzionale da quello disfunzionale? In gran parte questo
dipende dal tipo di conflitto e dal luogo in cui si svolge.

TIPI DI CONFLITTO: il conflitto sul compito si riferisce al contenuto e agli obiettivi


del lavoro. Il conflitto di relazione si focalizza sulle relazioni interpersonali. Il conflitto
di metodo verte su come il lavoro vada svolto. Degli studi dimostrano che i conflitti
di relazione sono sempre disfunzionali. sembra che la frizione e le ostilità
interpersonali caratteristiche di questi conflitti aumentino gli scontri tra individui con
caratteri diversi e diminuiscano la comprensione reciproca, il che ostacola il
completamento dei loro compiti. Dei tre tipi il conflitto di relazione sembra essere
anche il più difficile dal punto di vista psicologico.

LUOGHI DEL CONFLITTO: si individuano 3 tipi fondamentali. Il conflitto diario è un


conflitto tra due persone. Il conflitto intragruppo si verifica all’interno di un gruppo. Il
conflitto intergruppo è un conflitto tra gruppi.

IL PROCESSO DI CONFLITTO: il processo di conflitto ha 5 fasi: opposizione


potenziale o incompatibilità, cognizione e personalizzazione, intenzioni,
comportamento ed esiti.

1) FASE UNO: OPPOSIZIONE POTENZIALE O INCOMPATIBILITÀ. La prima fase


del conflitto è l’apparizione di condizioni che creano un’occasione perché esso
sorga. Non necessariamente queste condizioni portano direttamente al conflitto,
ma ce ne vuole almeno una affinché esso insorga.

2) FASE DUE: COGNIZIONE E PERSONALIZZAZIONE. Se la fase 1 ha delle


condizioni che portano a effetti negativi su qualcosa per cui una delle parti nutre
interesse, allora il potenziale per l’opposizione o l’incompatibilità si attualizza
nella fase 2. Una o più delle parti devono essere coscienti del fatto che esistano
condizioni antecedenti. In ogni caso, il fatto che un disaccordo sia un conflitto
percepito non significa che è personale. È al livello del conflitto provato che gli
individui diventano emotivamente coinvolti, che essi sentono ansia, tensione,

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frustrazione. La fase 2 è importante perché è dove le questioni del conflitto
tendono a essere definite, dove le parti decidono su che cosa verte il conflitto.
Le emozioni hanno un ruolo fondamentale nel formare percezioni.

3) FASE 3: INTENZIONI. Le intenzioni si interpongono tra le percezioni e le


emozioni delle persone e il loro comportamento evidente. Le intenzioni
costituiscono una fase distinta perché dobbiamo dedurre l’intento dell’altro per
sapere come reagire al suo comportamento. Molti conflitti si inaspriscono
semplicemente perché una parte attribuisce all’altra le intenzioni sbagliate. C’è
uno slittamento tra intenzioni e comportamento, di modo che il comportamento
non riflette sempre precisamente le intenzioni di una persona. Usando due
dimensioni (cooperatività = il grado in cui una delle parti tenta di soddisfare gli
interessi dell’altra; assertività = il grado in cui una parte tenta di soddisfare i
propri interessi) possiamo identificare 5 intenzioni riguardo a come gestire il
conflitto:

- competizione: desiderio di soddisfare il proprio interesse senza riguardo per


l’impatto sull’altra parte del conflitto

- Collaborazione situazione in cui le parti di un conflitto desiderano soddisfare


completamente gli interessi di tutte le parti

- Elusione: desiderio di ritirarsi da un conflitto o di sopprimerlo

- Accomodamento: volontà di una delle parti del conflitto di considerare gli


interessi dell’avversario al di sopra dei propri

- Compromesso: situazione in cui ogni parte di un conflitto è disposta a rinunciare


a qualcosa

4) FASE 4: COMPORTAMENTO. La fase 4 è un processo dinamico di interazione.


All’interno di questa fase troviamo la gestione del conflitto ovvero l’uso di tecniche
di risoluzione e stimolazione per raggiungere il livello di conflitto desiderato.

5) FASE 5: ESITI. Vi sono diverse tipologie di esiti: esiti funzionali, esiti disfunzionali.

NEGOZIATO: è un processo in cui due o più parti scambiano beni o servizi e


tentano di accordarsi sul loro valore di scambio. Ci sono diverse strategie di
contrattazione: vi è la contrattazione distributiva ovvero un negoziato che tenta di
dividere una quantità fissa di beni. l’essenza della contrattazione distributiva è
negoziare su chi ottiene quale parte di una quota fissa. Con quota fissa intendiamo
un dato ammontare di beni o servizi da dividere. Quando la quota è fissa, o le parti
credono che lo sia, esse tendono a contrattare distributivamente. L’essenza della
contrattazione distributiva è la seguente: le parti a e b rappresentano due
negoziatori. Ognuno ha un punto di bersaglio che definisce quello che vorrebbe
ottenere. Ognuno ha anche un punto di resistenza, che indica il risultato minimo

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accettabile - il punto oltre il quale la parte interromperebbe il negoziato, piuttosto
che accettare un accordo meno favorevole. Fintanto che esiste una sovrapposizione
tra i raggi di aspirazione di a e b esiste un margine di accordo in cui le aspirazioni di
ciascuna possono essere soddisfatte. Il processo di negoziazione ha delle fasi ben
precise:

- preparazione e pianificazione: prima di iniziare a negoziare, bisogna riflettere con


attenzione. Una volta raccolte le informazioni bisogna sviluppare una strategia.

- Definizione delle regole di base: una volta eseguita la pianificazione e sviluppata


una strategia, siete pronti a definire assieme all’altra parte le regole di base e le
procedure della negoziazione

- Chiarimento e giustificazione: quando avete reso note le rispettive posizioni


iniziali , voi e l’altra parte spiegherete, amplierete, chiarirete le vostre scelte
originarie

- Contrattazione e risoluzione dei problemi: l’assenza del processo di negoziazione


è l’effettiva pratica del do ut des, nel tentativo di negoziare un accordo. È in
questa fase che entrambe le parti devono fare concessioni

- Chiusura e attuazione: il passo finale nel processo di negoziazione è formalizzare


il vostro accordo e sviluppare le procedure necessarie per attuarlo e monitorarlo.

LA CULTURA ORGANIZZATIVA

L’espressione cultura organizzativa indica un sistema di significati condivisi dai


membri di un’organizzazione, un sistema in grado di distinguere l’organizzazione in
questione delle altre. Sembra che l’essenza di una cultura organizzativa sia
individuata da sette caratteristiche fondamentali.

1 innovazione e assunzione del rischio: la misura in cui i dipendenti sono


incoraggiati a essere innovativi e ad assumere rischi

2 attenzione al dettaglio: la misura in cui ai dipendenti è richiesta precisione, analisi


e attenzione ai dettagli

3 orientamento al risultato: la misura in cui il management si focalizza sui risultati o


sugli effetti piuttosto che sulle tecniche e sui processi impiegati per raggiungerli

4 orientamento alle persone: la misura in cui il management prende in


considerazione gli effetti delle sue decisioni sulle persone che fanno parte
dell’organizzazione

5 orientamento al team: la misura in cui le attività lavorative sono organizzate sulla


base di squadre di lavoro piuttosto che su singoli individui

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6 Aggressività : la misura in cui le persone sono aggressive e competitive piuttosto
che accomodanti

7 stabilità: la misura in cui le attività organizzative enfatizzano il mantenimento dello


status quo piuttosto che la crescita

Ognuna di queste caratteristiche è disposta su un continuum compreso tra basso e


alto. Usarle come criteri per valutare l’organizzazione permette di avere un buon
quadro composito della cultura di quest’ultima e una base per l’interpretazione
condivisa che ne danno i suoi componenti. Alcune ricerche hanno elaborato 4
differenti tipi di cultura: il clan, collaborativo e coeso; l’adhocrazia innovativa e
adattabile; la gerarchia, controllata e coerente; il mercato, competitivo e orientato ai
clienti.

CULTURA É UN TERMINE DESCRITTIVO: l’espressione cultura organizzativa


mostra in che modo i dipendenti percepiscono le caratteristiche culturali della
propria organizzazione. La cultura organizzativa rappresenta una percezione che i
membri dell’organizzazione condividono. Le organizzazioni più grandi possiedono
una cultura dominante e numerose sottoculture. Una cultura dominante esprime i
valori fondamentali che sono condivisi dalla maggior parte dei membri
dell’organizzazione e che le conferiscono la sua distinta personalità. Le sottoculture
tendono a svilupparsi in grandi organizzazioni e riflettono i problemi comuni o le
esperienze che i lavoratori affrontano nello stesso dipartimento o luogo. È possibile
distinguere culture forti e culture deboli. Se la maggior parte dei dipendenti ha le
stesse opinioni sulla mission e i valori dell’organizzazione, la cultura è forte; se le
opinioni variano il larga misura, la cultura è debole. In una cultura forte i valori
fondamentali dell’organizzazione sono sia intensamente sostenuti sia ampiamente
condivisi. Quanto più numerosi sono i collaboratori che li accettano, e quanto
maggiore è il loro commitment, tanto più forte è la cultura e più grande la sua
influenza sul loro comportamento. Una cultura forte dovrebbe ridurre il turnover dei
dipendenti, essendo alto il consenso su ciò che l’organizzazione rappresenta.

IL RUOLO DELLA CULTURA ORGANIZZATIVA: la cultura ha il ruolo di definire i


confini: crea elementi di distinzione tra un’organizzazione e le altre. In secondo
luogo, trasmette un senso di identità ai componenti dell’organizzazione. terzo,
agevola il commitment dell’organizzazione verso qualcosa di più grande
dell’interesse personale. La cultura è il collante sociale che aiuta a mantenere
l’organizzazione unita, fornendo ai dipendenti modelli standard di ciò che
dovrebbero dire e fare. Infine la cultura è il meccanismo di creazione di senso e di
controllo che guida e modella gli atteggiamenti e il comportamento dei dipendenti.
Le attuali tendenze organizzative di decentralizzazione rendono la cultura più
importante che mai; ma ironicamente rendono anche più difficile formare una
cultura forte. Quando l’autorità formale e i sistemi di controllo sono ridotti, il

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significato condiviso della cultura può orientare tutti nella stessa direzione. vi è poi il
clima organizzativo: esso indica le percezioni condivise che i dipendenti hanno sulla
propria organizzazione e sull’ambiente di lavoro.

Le culture organizzative hanno un orientamento etico, anche quando non


perseguono apertamente obiettivi di tipo etico. Nel corso del tempo, il clima etico di
lavoro si sviluppa come parte del clima organizzativo. Il clima etico riflette i reali
valori dell’organizzazione e modella il processo decisionale di tipo etico e dei suoi
membri. Per misurare e categorizzare le dimensioni etiche delle culture
organizzative, i ricercatori hanno elaborato la teoria del clima etico e l’indice di clima
etico. Si sono rivelate prevalenti 5 categorie: strumentale, di assistenza, di
indipendenza, basato su leggi e codici, normativo. In un clima etico strumentale i
manager struttureranno il proprio processo decisionale attorno all’assunto che i
dipendenti siano motivati dal proprio rendiconto personale. I un clima di assistenza i
manager possono operare con l’aspettativa che le proprie decisioni influenzeranno
in modo positivo il maggior numero possibile di stakeholder. I climi etici di
indipendenza si basano sulla concezione secondo cui il comportamento di ogni
individuo è guidato da idee morali di tipo personale. I climi basati su leggi e codici
richiedono a manager e dipendenti di utilizzare per le norme una bussola morale
esterna standardizzata come il codice professionale di condotta, mentre nei climi
normativi si tende ad agire seguendo aspettative interne standardizzate. Il clima
etico di un’organizzazione influenza notevolmente il modo in cui i suoi membri
ritengono di doversi comportare, al punto che i ricercatori sono stati in grado di
prevedere siti organizzativi a partire dalle categorie di clima. I climi strumentali
hanno un’associazione negativa con la soddisfazione lavorativa dei dipendenti e il
commitment organizzativo, sebbene siano attraenti dal punto di vista del rendiconto
personale; hanno invece un’associazione positiva con le intenzioni di turnover, il
mobbing e il comportamento deviante. I climi di assistenza e normativi hanno
un’associazione positiva con la soddisfazione lavorativa; i climi di assistenza,
indipendenza, normativi, basati su leggi e codici riducono le intenzioni di turnover
da parte del dipendente, il mobbing e il comportamento disfunzionale. Le imprese
più innovative sono spesso caratterizzate da culture aperte, anticonvenziali,
collaborative, guidate da una visione, in fase di accelerazione. La cultura potrebbe
essere usata anche come risorsa: la cultura organizzativa può creare un ambiente
etico positivo e agevolare l’innovazione. La cultura può anche contribuire in modo
significativo ai profitti di un’organizzazione, e può farlo in diversi modi.

CREARE E SOSTENERE LA CULTURA: la cultura di un’organizzazione non viene


fuori dal nulla, e raramente si dissolve. Le abitudini le tradizioni e il modo di
generarle di fare le cose di un’organizzazione sono in larga misura dovuti a ciò che è
stato fatto prima e al relativo successo. Questo ci porta alla fonte definitiva della
cultura di un’organizzazione: i fondatori. La creazione di una cultura avviene in 3

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modi. I fondatori assumono e tengono soltanto i dipendenti con cui condividono
pensieri e sensibilità. Quindi avviano l’indottrinamento e la socializzazione dei
dipendenti affinché si conformino al loro modo di pensare e sentire. Per finire il
comportamento dei fondatori incoraggia i dipendenti a identificarsi con loro e a
interiorizzarne credenze, valori e assunti. Quando l’organizzazione ha successo,
personalità dei fondatori si radica nella cultura. L’obiettivo pacifico del processo di
selezione è individuare e assumere individui con la conoscenza, le competenze e le
abilità adatte a svolgere il proprio lavoro con successo. La decisone finale, individua
persone i cui valori sono essenzialmente coerenti con almeno una buona porzione
di quelli dell’organizzazione. La selezione fornire informazioni anche ai candidati. A
prescindere dalla qualità del lavoro di reclutamento e selezione di
un’organizzazione, è comunque necessario aiutare i nuovi dipendenti ad adattarsi
alla cultura prevalente. L’aiuto in questione consiste nella socializzazione. La
socializzazione è il processo attraverso il quale i dipendenti si adattano alla cultura
dell’organizzazione. vi sono poi tre tipologie di stadio: lo stadio di preferivo (periodo
di apprendimento nel processo di socializzazione che si verifica prima che un nuovo
dipendente entri a far parte dell’organizzazione) e lo stadio di incontro (stadio del
processo di socializzazione in cui un nuovo dipendente osserva com’è davvero
l’organizzazione e si confronta con l’eventualità che le aspettative e la realtà
possono divergere. Infine vi è l’ultimo stadio, lo stadio di metamorfosi che è lo
stadio del processo di socializzazione in cui un nuovo dipendente cambia e si
adatta al lavoro, al gruppo di lavoro e all’organizzazione.

Riassunto : come si formano le culture. La cultura originale deriva dalla filosofia del
fondatore, e quando l’azienda si sviluppa, influenza con forza i criteri di assunzione.
Le azioni dei top manager definiscono il clima generale, anche il comportamento
corretto e quello scorretto. Il modo in cui i dipendenti sono socializzati dipenderà sia
dal livello di successo raggiunto nel far incontrare i valori dei nuovi dipendenti con
quelli dell’organizzazione nel processo di selezione sia dalla preferenza del top
management per i metodi di socializzazione.

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Il processo di negoziazione
Il processo di negoziazione è costituito da cinque passi.
• Preparazione e pianificazione;
• Definizione delle regole;
• Chiarimento e giustificazione;
• Contrattazione e risoluzione dei problemi;
• Chiusura e attuazione

Differenze individuali nell'efficacia del negoziato


Il grado di efficacia con cui gli individui sanno negoziare è influenzato da quattro fattori: personalità,
emozioni, cultura e genere.
Pare che il grado in cui l'amabilità, e la personalità più in generale, ha effetto sui risultati di un negoziato
dipenda dalla situazione.
In un negoziato, l'importanza di essere estroversi, per esempio, dipenderà molto da come l'altra parte
reagisce di fronte a qualcuno che è assertivo ed entusiasta. Un fattore di complicazione è che la
gradevolezza ha due facce: una è la tendenza a essere calorosi ed empatici, l'altra è la tendenza a essere
cooperativi e accondiscendenti. Mentre la prima può aiutare, la seconda può risultare un ostacolo al
negoziare risultati favorevoli.
Anche gli umori e le emozioni influenzano il negoziato, ma il odo in cui ciò avviene dipende anche dal
contesto.
Un negoziatore che mostra rabbia di solito ottiene concessioni, per esempio, perché l'altro negoziatore
crede che non siano possibili altre concessioni da parte dell'avversario arrabbiato.
Un'altra emozione importante è la delusione. In genere, un negoziatore che percepisce delusione nella
controparte concede di più perché la delusione fa sentire molti negoziatori colpevoli.
Infine, siccome le emozioni non sono slegate dalla cultura, i negoziatori devono essere particolarmente
consapevoli delle dinamiche emotive in un negoziato cross-culturale.
Anche il genere influisce sul modo in cui un negoziato si verifica. Uomini e donne negoziano in modo
differente, e tali differenze hanno effetti sui risultati.
Gli uomini, ad esempio, tendono ad assegnare maggior valore a status, potere e riconoscimento, mentre le
donne a compassione e altruismo. Inoltre, le donne tendono a dare maggior peso ai risultati relazionali
laddove gli uomini tendono ad attribuire più valore ai risultati economici.
Ma la disparità va anche oltre a questo. A causa del modo in cui le donne si avvicinano al negoziato, gli altri
negoziatori tentano di sfruttare la situazione offrendo, per esempio, salari più bassi.

Negoziati con terze parti


A volte individui o rappresentanti di un gruppo raggiungono uno stallo e sono incapaci di arrivare a un
risultato mediante negoziatori diretti. In questi casi possono rivolgersi ad una terza parte che li aiuti a
trovare una soluzione.
Un mediatore è una terza parte neutrale che facilita una soluzione negoziata usando ragionamento e
persuasione, suggerendo alternative, ecc.
Un arbitro è una terza parte con l'autorità di imporre un accordo. L'arbitro può essere volontario (richiesto
dalle parti) oppure obbligato (imposto per legge o contratto).
Un conciliatore è una terza parte fidata che fornisce un collegamento comunicativo informale tra il
negoziatore e l'avversario.

Cap. 14: Cultura Organizzativa


All'interno di una cultura a forte identità, coesa e stabile, spesso si verificano degli eventi improvvisi, casuali
e devastanti; questi eventi vengono definiti “cigni neri”. Il cigno nero non è solo un caso di estrema sfortuna,
ma il risultato di una serie di azioni di cui nessuno aveva mai tirato le somme. La nascita di un cigno nero in
un certo momento è impossibile da prevedere, ma è quasi certa la probabilità che esso avvenga ogni
diecimila cigni (vedere esempio della Wolkswagen).
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Che cos'è la cultura organizzativa?


L'espressione cultura organizzativa indica un sistema di significati condivisi dai membri di un'organizzazione,
un sistema in grado di distinguere l'organizzazione in questione dalle altre.
L'essenza di una cultura organizzativa viene individuata tramite sette caratteristiche:
1. Innovazione e assunzione del rischio;
2. Attenzione al dettaglio;
3. Orientamento al risultato;
4. Orientamento alle persone;
5. Orientamento al team;
6. Aggressività;
7. Stabilità.
Ognuna di queste caratteristiche è disposta su un continuum compreso tra basso e alto. Usarle come criteri
per valutare l'organizzazione permette, quindi, di avere un quadro composito della cultura di quest'ultima.
Alcune ricerche hanno elaborato quattro differenti tipi di cultura basate su valori concorrenti: il clan,
collaborativo e coeso, l'adhocrazia, innovativa e adattabile; la gerarchia, controllata e coerente; il mercato,
competitivo e orientato ai clienti.
L'espressione “cultura organizzativa” mostra in che modo i dipendenti percepiscono le caratteristiche
culturali della propria organizzazione.
La soddisfazione lavorativa si prefigge di misurare le opinioni personali dei dipendenti sulle aspettative
dell'organizzazione, sulle sue pratiche di ricompensa, e su aspetti simili. Sebbene i due termini abbiano
caratteristiche simili, va ricordato che cultura organizzativa è un'espressione descrittiva, mentre
soddisfazione lavorativa è un'espressione valutativa.

Le organizzazioni hanno culture uniformi?


La cultura organizzativa rappresenta una percezione che i membri dell'organizzazione condividono.
Le organizzazioni più grandi possiedono una cultura dominante e numerose sottoculture. La cultura
dominante esprime i valori fondamentali che sono condivisi dalla maggior parte dei membri
dell'organizzazione. Le sottoculture tendono a svilupparsi in grandi organizzazioni e riflettono i problemi
comuni o le esperienze che i lavoratori affrontano nello stesso dipartimento e luogo.
Se le organizzazioni fossero composte soltanto da numerose sottoculture, la cultura organizzativa avrebbe
assai meno forza come variabile indipendente. È l'aspetto di “significato condiviso” della cultura a renderla
uno strumento efficace per guidare e modellare il comportamento.

Culture forti contro culture deboli


In una cultura forte i valori fondamentali dell'organizzazione sono sia intensamente sostenuti sia
ampiamente condivisi. Quanto più numerosi sono i collaboratori che li accettano, e quanto maggiore è il
loro commitment, tanto più forte è la cultura e più grande la sua influenza sul comportamento degli
individui. Questo perchè l'alto livello di valori condivisi e di intensità crea un clima di forte controllo
comportamentale.
Cultura e formalizzazione andrebbero considerate come due strade differenti verso una meta comune.
Quanto è più forte la cultura di un'organizzazione, tanto minore è la necessità, da parte del management, di
preoccuparsi dello sviluppo di regole e direttive formali per orientare il comportamento dei dipendenti.

Il ruolo della cultura organizzativa


La cultura ha il ruolo di definire i confini; essa, infatti, crea elementi di distinzione tra un'organizzazione e le
altre. In secondo luogo, trasmette un senso di identità ai componenti dell'organizzazione. Inoltre, agevola il
commitment verso qualcosa di più grande dell'interesse personale e accresce la stabilità del sistema sociale.
La cultura è il collante sociale che aiuta a mantenere l'organizzazione unita, fornendo ai dipendenti modelli
standard di ciò che dovrebbero dire e fare.
Le attuali tendenze organizzative di decentralizzazione rendono la cultura rendono la cultura molto
importante; ma allo stesso modo rendono anche più difficile formare una cultura forte.

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Tuttavia, i dipendenti organizzati in team possono mostrare una maggiore fedeltà alla propria squadra e a
suoi valori che all'organizzazione nel suo insieme.

La cultura crea il clima


Il clima organizzativo indica le percezioni condivise sull'organizzazione e sull'ambiente di lavoro da parte dei
suoi dipendenti. Questo aspetto della cultura è simile, a livello organizzativo, allo spirito di squadra.
Un clima generale positivo sul luogo di lavoro è stato collegato ad una più elevata soddisfazione lavorativa e
ad una migliore prestazione finanziaria.
Sono state studiate diverse dimensioni del clima organizzativo, tra cui l'innovazione, la creatività, la
comunicazione, il calore e il sostegno, il coinvolgimento, la sicurezza, la giustizia, la diversità ed il servizio ai
clienti.
Il clima influenza anche le abitudini delle persone. Se il clima è positivo nei riguardi della sicurezza, per
esempio, tutti quanti indosseranno le attrezzature adeguate e seguiranno le procedure di sicurezza.

La dimensione etica della cultura


Il clima etico di lavoro si sviluppa come parte del clima organizzativo. Il clima etico riflette i reali valori
dell'organizzazione e modella il processo decisionale di tipo etico dei suoi membri.
Per categorizzare e misurare le dimensioni etiche delle culture organizzate, i ricercatori hanno elaborato la
teoria del clima etico (ECT) e l'indice del clima etico (ECI).
Delle nove categorie di clima individuale, cinque si son rivelate prevalenti: strumentale, di assistenza, di
indipendenza, basato su leggi e codici, normativo. Ogni categoria illustra la mentalità generale, le
aspettative e i valori di manager e dipendenti in relazione alle proprie organizzazioni.
Solo recentemente gli studiosi hanno iniziato a studiare più in profondità l'etica nelle organizzazioni allo
scopo di determinare il modo in cui i climi etici possano essere agevolati o addirittura cambiati, oltre al
determinare il modo in cui essi agiscano.

Cultura e innovazione
Spesso le imprese piccole, agili e focalizzate sulla risoluzione dei problemi per sopravvivere e crescere
presentano spesso culture innovative per definizione.
Le imprese più innovative, quindi, sono spesso caratterizzate da culture aperte, anticonvenzionali,
collaborative e guidate da una visione in fase di accelerazione.
La cultura organizzativa può creare un ambiente etico positivo e agevolare l'innovazione; inoltre, attraverso
molteplici modi, può anche contribuire in modo significativo ai profitti di un'organizzazione.

Cultura come svantaggio


La cultura può accrescere il commitment organizzativo e incrementare la coerenza del comportamento dei
dipendenti. Tuttavia, non andrebbero ignorati gli aspetti disfunzionali della cultura, specialmente di una
cultura forte, sull'efficacia di un'organizzazione.
Tra gli svantaggi troviamo l'istituzionalizzazione, le barriere al cambiamento, le barriere alle diversità e,
infine, le barriere alle acquisizioni e fusioni.

Creare e sostenere la cultura


La creazione di una cultura avviene in tre modi. Innanzitutto, i fondatori assumono e tengono soltanto i
dipendenti con cui condividono pensieri e sensibilità. Quindi, avviano l'indottrinamento e la socializzazione
dei dipendenti affinchè si conformino al loro modo di pensare e sentire. Per finire, il comportamento dei
fondatori incoraggia i dipendenti ad identificarsi con loro e a interiorizzare le credenze ed i valori assunti.
Quando l'organizzazione ha successo, la personalità dei fondatori si radica nella cultura.
Una volta che una cultura si è affermata, le pratiche all'interno di un'organizzazione la mantengono,
fornendo ai dipendenti un insieme di esperienze.
Tre forze hanno un ruolo di particolare importanza nel sostenere una cultura: le pratiche di selezione, le
azioni dl top management e i metodi di socializzazione. Il processo di socializzazione, in particolare, avviene
tramite tre stadi: stadio di prearrivo, stadio di incontro e stadio di metamorfosi.

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La maggior parte delle ricerche suggerisce l'esistenza di due principali gruppi di pratiche di socializzazione:
le pratiche istituzionali (polizia, vigili del fuoco, ecc..) e le pratiche individuali (pubblicità, cinema, ecc..).

Come i dipendenti imparano una cultura


La cultura viene trasmessa ai dipendenti in molteplici forme; le più importanti sono: le storie, i rituali, i
simboli materiali ed il linguaggio.
Le storie sono solitamente narrazioni sui fondatori dell'organizzazione, sui percorsi che hanno portato dalla
povertà alla ricchezza e sulle reazioni agli errori passati e sul coping organizzativo.
I rituali sono sequenze ripetitive di attività che esprimono e rinforzano i valori fondamentali
dell'organizzazione.
I simboli materiali sono raffigurabili con il design degli uffici centrali, la presenza o assenza di un aereo
aziendale, l'abbigliamento, l'arredamento, ecc.. .
questi simboli fanno capire ai dipendenti la gerarchia all'interno dell'organizzazione ed il livello di
egualitarismo auspicato dai top manager e i tipi di comportamento appropriato.
Il linguaggio si configura con i termini peculiari che vengono utilizzati per descrivere per esempio
l'attrezzatura, i funzionari, le persone più importanti, i clienti o i prodotti collegati all'impresa.

Cap. 15: Cambiamento organizzativo e gestione dello stress


Elevator pitch ed eustress
Per stress è un “sistema di attivazione” composto dall'insieme dei meccanismi che mettiamo in atto per
adeguare la nostra risposta alle situazioni minacciose.
Di fronte ad una nuova sollecitazione nel nostro organismo si innesca una sindrome di adattamento che
comporta reazioni chimiche, neuropsichiche ed immunologiche.
Per prima cosa si attiva una fase d'allarme che mobilita le energie di vario tipo per consentirci di
fronteggiare situazioni stressanti di natura fisica o psicologica. Questa serie di reazioni comporta precise
modificazioni a livello metabolico (aumento del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa, del
tono muscolare, ecc..). poi, si ha una secrezione di ormoni catabolizzanti prodotti dalle ghiandole surrenali
in risposta agli stimoli di ipotalamo ed ipofisi.
Lo stress però può essere anche una declinazione positiva, ovvero, l'eustress; esso avviene quando la fatica
fisica e/o mentale non è eccessiva e regola gli stimoli aggiuntivi.

Forze di cambiamento
Quasi ogni organizzazione si deve adattare ad un ambiente multiculturale ed alla tecnologia che offre
cambiamenti sempre più innovativi.
Competizione è cambiamento. Le organizzazioni di successo saranno capaci di sviluppare nuovi prodotti
rapidamente anche grazie alla competizione tra le diverse organizzazioni, arrivando così ad apportare
cambiamenti all'interno della propria organizzazione.

Cambiamento pianificato
Il cambiamento pianificato è un'attività intenzionale e orientata a degli obiettivi (cambiare il
comportamento dei dipendenti, migliorare la capacità dell'organizzazione, ecc..).
all'interno delle organizzazioni gli agenti di cambiamento sono coloro responsabili di gestire le attività di
cambiamento. Gli agenti di cambiamento possono essere un manager o no, dipendenti inseriti o nuovi
oppure consulenti esterni.
Molti agenti del cambiamento falliscono perchè i membri dell'organizzazione resistono al cambiamento.

Resistenza al cambiamento
La resistenza al cambiamento può essere positiva se essa porta ad una discussione aperta e al dibattito. Gli
agenti di cambiamento possono anche usare la resistenza per modificare il cambiamento stesso in modo da
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adeguarlo alle preferenze di altri membri dell'organizzazione.


Otto tattiche possono aiutare gli agenti di cambiamento in merito alla resistenza:
1. Istruzione e comunicazione;
2. Partecipazione;
3. Costruire supporto e dedizione;
4. Sviluppare relazioni positive;
5. Attuare i cambiamenti equamente;
6. Manipolazione e cooptazione;
7. Selezionare persone che accettano il cambiamento;
8. Coercizione.
Dal momento che il cambiamento minaccia lo status quo, esso implicitamente comporta attività politica.
La politica suggerisce che l'impulso per il cambiamento arriva più facilmente da agenti di cambiamento
esterni, dipendenti nuovi nell'organizzazione o manager leggermente meno integrati nella struttura
principale di potere.

Approcci alla gestione del cambiamento organizzativo


Esistono differenti approcci per gestire il cambiamento; il modello a tre stadi di Lewin è uno di questi.
Kurt Lewin sosteneva che un cambiamento di successo nelle organizzazioni dovrebbe seguire tre stadi:
scongelamento dello status quo, movimento verso uno stato finale o desiderato e rincongelamento del
nuovo assetto per renderlo permanente.
Lo status quo è uno stato di equilibrio. Per muoversi dall'equilibrio lo scongelamento può avvenire in tre
modi: le forze motrici, che allontanano il comportamento dallo status quo, possono essere aumentate; le
forze frenanti, che impediscono l'allontanamento dall'equilibrio, possono essere diminuite; combinare i due
approcci precedenti.
Il piano in otto fasi di Kotter è un altro approccio per l'attuazione del cambiamento. Egli si appoggiò al
modello a tre stadi di Lewis per creare un approccio più dettagliato all'attuazione del cambiamento. Le
prime quattro fasi di Kotter essenzialmente riprendono lo stadio di “scongelamento” di Lewis; le fasi 5, 6 e 7
rappresentano il “movimento” e la fase finale lavora sul “ricongelamento”.
La ricerca-azione è un processo di cambiamento basato sulla raccolta sistematica di dati e sulla selezione di
un'azione di cambiamento basata su quello che i dati analizzati indicano.
Lo Sviluppo Organizzativo (OD) consiste in una serie di metodi di cambiamento che tentano di migliorare
l'efficacia organizzativa e il benessere dei dipendenti.
I seguenti valori stanno alla base nella maggior parte degli sforzi nell' OD: rispetto per le persone, fiducia e
supporto, equiparazione dei poteri, confronto, partecipazione.
Le tecniche e gli interventi OD per effettuare un cambiamento sono sei: sensivity training, sondaggio-
feedback, consulenza processi, Team building, sviluppo intergruppo, indagine apprezzativa.

Creare una cultura del cambiamento


L'innovazione, un tipo di cambiamento più specializzato, è un'idea nuova applicata all'introduzione o al
miglioramento di un prodotto, processo o servizio. Tutte le innovazioni implicano il cambiamento, ma non
tutti i cambiamenti introducono necessariamente nuove idee o portano a miglioramenti significativi.
Le fonti di innovazione sono le variabili strutturali. Le organizzazioni innovative promuovono attivamente la
formazione e lo sviluppi dei loro componenti affinchè restino aggiornati, offrono un'alta sicurezza del lavoro
affinchè i dipendenti non temano di essere licenziati per aver fatto errori e incoraggiano gli individui a
diventare campioni del cambiamento. Tutto ciò avviene nella categoria delle risorse umane.

Creare una Learning Organization


Un altro modo in cui un'organizzazione può gestire proattivamente il cambiamento è rendere la crescita
continua parte della sua cultura, ovvero, diventare una learning organization.
I manager per trasformare le loro aziende in learning organization possono: stabilire una strategia,
ridisegnare la struttura dell'organizzazione, rimodellare la cultura dell'organizzazione.
Il cambiamento organizzativo però spesso viene visto dai dipendenti come un evento stressante,

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minaccioso. Questi dipendenti son più propensi al licenziamento. Per ridurre la percezione di minaccia, i
dipendenti devono vedere i cambiamenti organizzativi come equi.

Lo stress lavorativo e la sua gestione


Alcuni ricercatori hanno affermato che i fattori di stress-sfida, ovvero, i fattori di stress associati con il carico
di lavoro, operano in modo abbastanza differente dai fattori di stress-impedimento, vale a dire, fattori di
stress che trattengono dal raggiungimento degli scopi lavorativi.
Solitamente lo stress lavorativo viene associato ad esigenze e risorse.
Le esigenze sono responsabilità, pressioni, obblighi e incertezze che gli individui affrontano sul luogo di
lavoro.
Le risorse sono sotto il controllo di un individuo e possono essere usate per risolvere le esigenze.
Le fonti potenziali di stress possono essere racchiuse in tre categorie: fattori ambientali, fattori organizzativi
e fattori personali.
Inoltre, i fattori di stress sono cumulativi; infatti, per valutare l'ammontare di stress che una persona sta
sopportando è necessario sommare i suoi stress dovuti a opportunità, costrizioni ed esigenze.

Differenze individuali e culturali, conseguenze dello stress e gestione


In termini di abilità nel gestire lo stress le persone si differenziano sia tramite differenze individuali sia
tramite differenze culturali.
Tra le differenze individuali possiamo trovare l'esperienza professionale, il supporto sociale e la personalità.
I sintomi dello stress si raccolgono in tre categorie fondamentali: sintomi fisiologici, psicologici e
comportamentali.
Per far fronte allo stress all'interno delle organizzazioni, che portano ad una disfunzione del sistema
organizzativo stesso, è auspicabile mettere in atto alcune attività per la gestione dello stress.
Queste attività possono essere messe in atto tramite approcci individuali o approcci organizzativi.
Gli approcci individuali vertono sul singolo; tra questi approcci possiamo individuare l'esercizio fisico, le
tecniche di rilassamento e l'allargare la rete di supporto sociale.
Gli approcci organizzativi vertono sui fattori organizzativi che causano stress. Per far fronte a questi fattori
vengono applicate delle strategie come il corporate wellness, la formazione, la riprogettazione dei compiti,
l'aumento del coinvolgimento del dipendente e delle comunicazione organizzativa.

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