Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Nella definizione FONTI DEL DIRITTO ricorrono termini come “ordinamento giuridico” e “diritto
giuridico”. Per spiegare cosa sia il DIRITTO si ricorre a una metafora quella delle “fonti”, queste fonti
generano norme giuridiche e queste concorrono a formare l'ordinamento giuridico.
Per comodità il giurista attribuisce all’ordinamento giuridico alcune caratteristiche come quelle della
COERENZA e della COMPLETEZZA: si dice coerente quell’ordinamento in cui non esistono norme
incompatibili, si dice invece completo quello in cui esiste sempre una norma con questa
incompatibile.
Non esistono però in natura giuridica ordinamenti privi di incoerenze e di lacune normative, infatti il
sistema delle fonti è molto complesso e in continuo mutamento.
Davanti a una “lacuna giuridica” di una disciplina non è ammesso il “denegare giustizia” (rinunciare al
giudizio per mancanza di regola), e non è ammesso neanche “rivolgersi al re” per chiedere e ottenere
un’integrazione della norma. C'è infatti un “atto legislativo che si stacca” dalla volontà politica e
traccia così una linea di separazione tra i poteri, tra il momento della legislazione e il momento
dell’applicazione.
È solo grazie a questa estraneazione dell’atto dal suo autore che la disposizione legislativa può
entrare nell’ordinamento giuridico.
Il legislatore esaurisce il suo compito nello scrivere le regole generali e astratte, spetta ai soggetti
dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto ricostruire ogni caso concreto ed elaborare la
regola giuridica da applicare.
La completezza, la coerenza e la razionalità di un legislatore sono spesso richiamante dagli interpreti
come caratteristiche necessarie della legislazione, infatti è sull’interprete che grava per intero il
compito di riportare coerenza all’insieme delle disposizioni legislative.
-Il rinvio pregiudiziale in Corte di giustizia ed il ruolo dei giudici nazionali nell’applicazione del diritto
dell’Unione. -
Il sistema giuridico dell’UE si è affermato anche grazie alla collaborazione tra giudici nazionali e Corte
di giustizia. Il meccanismo che ha consentito questa collaborazione è costituito dal rinvio
pregiudiziale, esso permette la supremazia dei due principi del diritto dell’UE e quello di supremazia.
Il rinvio pregiudiziale è un processo che può essere sollevato nel corso di un giudizio che si svolge
davanti alla giurisdizione nazionale; solo il giudice di ultima stanza può sollevare la questione
pregiudiziale quando reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisone su questo punto.
Il rinvio pregiudiziale ha il compito di impedire che la stessa norma comunitaria abbia
un'interpretazione diversa da Paese a Paese.
Con il rinvio pregiudiziale il dubbio interpretativo sorge nel momento dell’applicazione della norma
comunitaria o della norma interna. Il rinvio pregiudiziale per interpretazione è un meccanismo che si
fonda sulla collaborazione tra Corte di giustizia e giudici nazional, infatti spetta al giudice nazionale
decidere di interpellare la corte di giustizia, In seguito la Corte di giustizia rimette integralmente al
giudice l’interpretazione del diritto nazionale, anche quando valuta che c’è un conflitto con il diritto
dell’UE. Infine la Corte fornisce una risposta al giudice del rinvio.
Un altro aspetto della collaborazione tra giudici nazionali e Corte di giustizia si realizza grazie
all’interpretazione conforme del diritto nazionale rispetto al diritto dell’UE, infatti la prima cosa che il
giudice deve fare quando affronta il problema della compatibilità tra norme è adottare
un’interpretazione conforme al diritto europeo.
-Le condizioni per la produzione di effetti diretti da parte del diritto dell’Unione. -
La sentenza Van Gend en Loos indicava le condizioni in presenza delle quali le norme dei trattati
avrebbero prodotto effetti diretti, e stabiliva che si doveva trattare di norme chiare e incondizionate.
La corte in seguito ha allentato questi requisiti, e ha riconosciuto l’efficacia diretta di alcune previsioni
del trattato anche in presenza di altre previsioni che danno agli Stati membri il potere discrezionale di
limitare la portata delle prime. La Corte ha ritenuto che l’efficacia diretta delle previsioni dei trattati
può riguardare non solo gli effetti verticali (pubblico-pubblico) ma anche e quelli orizzontali (pubblico-
privato).
I principi generali del diritto dell’UE possono avere efficacia diretta, ma hanno efficacia diretta anche
le previsioni del diritto secondario.
Quindi se le previsioni sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate possono avere effetti
diretti anche per i regolamenti.
-Gli effetti delle direttive e la distinzione tra “rapporti orizzontali” e “rapporti verticali”. -
L’efficacia diretta è stata riconosciuta dalla corte di giustizia anche a determinare norme delle
direttive (norme self-executing). La differenza rispetto ai regolamenti sta nella necessità di un
comportamento degli Stati membri che devono recepirla con proprio atto nell’ordinamento
nazionale.
Per assicurare l’effetto diretto delle direttive, la Corte ha fatto leva sul ruolo che il sistema dell’UE
attribuisce agli individui nell’attuare il diritto dell’UE.
Dal punto di vista della Corte se le direttive sono incondizionate e sufficientemente precise i privati
possono farle valere davanti ai giudici di uno Stato membro.
Bisogna dire che quando i privati sono in grado di far valere una direttiva nei confronti dello Stato,
possono farlo indipendentemente dalla veste, si datore di lavoro o di pubblica autorità, infatti le
direttive possono esser fatte valere davanti a uno Stato e a tutti i suoi organi (PA).
-La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione ed il “sistema multilivello” di protezione dei diritti
fondamentali. -
Il processo di espansione del diritto dell’UE sui diritti nazionali è avvenuto anche grazie alla creazione
della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. L’azione degli Stati non è diretta ad attuare il diritto
dell’UE ma soggiace nel rispetto die diritto fondamentali disciplinati dalle rispettive Costituzioni
nazionali. Infatti si è creato il sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali che vede
l’interazione tra fonti del diritto diverse che si affidano al dialogo tra giudici nazionali diversi.
Il sistema multilivello di protezione dei diritti vede un’altra fonte e un terzo attore: la CONVENZIONE
EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTA’ FONDAMENTALI (CEDU),
approvata del Consiglio Europeo. La CEDU è dotata di apposita Corte (sede a Strasburgo), ha un
carattere circoscritto ad alcuni diritti fondamentali, non giudica della conformità degli atti interni alle
norme sui diritti fondamentali, deve valutare se l’applicazione di tali atti abbia leso nel caso specifico
un diritto sancito dalla Convenzione. La Corte EDU opera in modo diverso da quello scritto sulla Carta
dei diritti fondamentali dell’UE. La sentenza della Corte EDU deve essere eseguita dallo Stato che ha
violato la Convenzione e quindi opera come controllo esterno.
Le Costituzioni nazionali, la Carte dei diritti fondamentali dell’UE e la CEDU, operano in ambiti diversi
anche se tutte disciplinate dai diritti fondamentali; c’è il rischio che tra di loro ci siano rischi di
interpretazione o conflitti.
Per attenuare questo rischio la Carta ha introdotto norme passerella, cioè norme che prevedono
norme di comunicazione tra le interpretazioni dei tre documenti.
-Che cosa succede quando il diritto nazionale confligge con una normativa europea non self-executing
(norme delle direttive)?
Dove l’effetto diretto non può operare la giurisprudenza della Corte di giustizia ha comunque
individuato il modo per assicurare l’effetto utile delle norme dell’Unione. All’inerzia del legislatore il
giudice non può sopperire con gli strumenti a sua disposizione ma può rimediare con lo strumento
del risarcimento del danno.
Perché sorge il diritto al risarcimento devono ricorrere però alcune condizioni:
Il risultato prescritto dalla direttiva implichi l’attribuzione dei diritti a favore dei singoli.
Il contenuto di tali diritti può essere individuato sulla base delle disposizioni delle direttive.
Il risarcimento è dovuto anche in caso di adempimento parziale di qualsiasi obbligo comunitario,
purché la violazione delle norme sia grave e manifesta e non dovuta a un errore scusabile compito in
buona fede.
-La giurisprudenza del Tribunale costituzionale tedesco sui rapporti tra ordinamento nazionale e
diritto dell’Unione. -
Teorie simili a quella dei CONTROLIMITI sono state adottate in altre corti costituzionali. In particolare
la Corte costituzionale tedesca ha elaborato una complessa serie di strumenti che dovrebbero
consentire di bloccare l’efficacia delle norme dell’Unione.
Il giudice tedesco ha accettato il principio di supremazia dell’diritto dell’UE; in seguito il Tribunale
costituzionale tedesco è intervenuto dichiarando la sua competenza a verificare la compatibilità del
diritto dell’UE con il diritto tedesco. (Sent. Solange).
Con la Sent. Maastricht, il Tribunale ha affermato che l’UE non può andare oltre le competenze e i
poteri che le sono state conferite dai trattai.
Con la Sent. Lisbona, il Tribunale ha affermato il rispetto dell’identità costituzionale tedesca. Il giudice
costituzionale ha introdotto il controllo sul rispetto dell’identità costituzionale.
-La protezione dei diritti fondamentali tra diritto dell’Unione e diritto costituzionale. -
Come abbiamo visto c’è un triangolo quindi tra Giudice comune, Corte di Giustizia e Corte
Costituzionale. Secondo la giurisprudenza nel caso di un contrasto tra una norma dell’UE con effetto
diretto e una norma nazionale al Giudice nazionale spetta valutare la compatibilità comunitaria
utilizzando il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e ricorrendo all’interpretazione conforme. Dove
si sia accertato il contrasto il giudice dovrà disapplicare la norma nazionale.
Nel caso invece, della norma dell’UE fosse priva di efficacia diretta, il giudice comune deve sollevare
la questione di legittimità costituzionale, espetterà alla Corte annullare la legge incompatibile con il
diritto dell’Unione.
Dove il giudice comune ritenga che una norma europea direttamente applicabile violi i principi
Costituzionali, dovrà chiedere l’intervento della Corte costituzionale sollevando un’apposita
questione di legittimità.
Tutto ciò si complica nel caso di DOPPIA PREGIUDIZIALITA’ che si ha quando si è in presenza di
controversie che possono dare luogo sia a questioni di legittimità costituzionale che a questioni di
compatibilità del diritto dell’UE.
Ha la priorità la valutazione della compatibilità comunitaria della norma, se il giudice accetta
l’incompatibilità la norma nazionale va disapplicata.
(Sent.269/2017) la Corte ritiene che dove una legge sia oggetto di dubbio di legittimità tanto in
riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, debba solo essere levata la questione di
legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale, per le questioni di
interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione.
La Corte di giustizia, richiamata dalla Corte costituzionale ha affermato il diritto dell’unione non osta
al carattere prioritario del giudizio di costituzionalità di competenza delle corti costituzionali
nazionali, purché: 1. i giudici ordinari restino liberi di sottoporre alla Corte di giustizia ogni questione
pregiudiziale; 2. siano parametri liberi di disapplicare la disposizione legislativa nazionale in questione
che abbia superato il limite costituzionale.
La Corte infine ha confermato che il suo giudizio deve inserirsi in un quadro di leale cooperazione fra i
diversi sistemi di garanzia.
-L’evoluzione giurisprudenziale. -
Dal 2007 c’è la riconosciuta prevalenza del diritto internazionale pattizio (“regolate dalla volontà di
due soggetti”) sul diritto domestico. Esistono tre fasi di ciò:
1. Per la Corte costituzionale si sosteneva che la legge successiva prevale su quella anteriore (per
cui il legislatore sarebbe stato libero di non rispettare le norme internazionale nate dopo). La
Corte ha precisato, poi, che la portata delle norme internazionali va definita in rapporto ai
parametri propri non dell’ordinamento nazionale ma dell’ordinamento d’origine.
2. C’è poi una regola secondo cui i giudici devono interpretare il diritto interno in modo
conforme al diritto internazionale. Tale obbligo dal 2007 viene esteso anche alle norme della
CEDU. In questo modo c’è una divisione tra giudici comuni (spetta il compito di assicurare in
via ordinaria il rispetto delle norme pattizie tramite lo strumento dell’interpretazione
conforme) e i giudici costituzionali (devono risolvere la questione di costituzionalità).
3. La posizione delle norme internazionali pattizie nel sistema delle fonti, la sovra ordinanza
rispetto alla legge era già espressamente prevista dal testo costituzionale, quindi sono norme
di rango costituzionale nel limite del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento.
-Legge di delega. -
“L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione
di principi e criteri direttivi e per tempo limitato e per oggetti definiti.” (art.76) “il Governo non può
senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.”
Ci sono molti profili problematici relativi alla decretazione delegata (al Governo) che sono: la natura
della legge di delegazione, il rapporto tra legge delega e decreto delegato, la struttura del relativo
procedimento, i requisiti necessari della legge di delegazione, i caratteri del sindacato di
costituzionalità sui decreti delegati. (questi problemi sono stati in seguito dettagliati dalla Corte
costituzionale).
Quanto alla natura della legge delega inizialmente la Corte aveva sostenuto come la legge di
delegazione legislativa è solo fonte di un potere governativo; in origine quindi la legge di delegazione
era considerata come una fonte sulla produzione priva di alcuna immediata efficacia. In seguito si è
definita la natura tipica della legge delega (principi, indirizzi e criteri): vincola solo il Governo, invece
quando essa disciplina direttamente e con immediata efficacia la materia deleganda, la legge è
vincolante erga omnes.
Le norme contenute nella legge delega possono essere utilizzate da qualsiasi organo per dare
applicazione alle leggi; non può essere contrastata l’idoneità delle disposizioni della legge delega.
Previsione dei requisiti minimi all’interno della legge delega, deve contenere per forza: 1.
determinazione dei criteri e principi direttivi; 2. tempo limitato; 3. oggetti definiti. (la loro mancanza
determina illegittimità della legge delega).
1. La determinazione dei criteri e dei principi serve a delimitare il campo della delega per evitare
che essa venga mal esercitata, a finalità che non competevano; i principi e i criteri possono
avere un grande varietà, che vanno da norme che pongono finalità molto genarli, alla
generazione di principi di dettaglio. Per la determinazione di questi criteri e principi esiste la
determinazione espressa (mediante enunciazione diretta dei parametri) o determinazione
implicita (mediante via interpretativa del legislatore, è ammissibile quindi una legge delega
senza principi e criteri direttivi). I criteri direttivi possono anche essere stabiliti anche per
relationem e che gli stessi sono individuabile attraverso il richiamo ai principi generali stabiliti
dalla medesima legge. I decreti delegati potrebbero anche operare una disciplina minima
rinviando a successivi atti regolamentari. Occorre tener conto delle finalità che i principi e i
criteri non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega.
2. Il requisito dell’oggetto consente al legislatore delegante di individuare l’oggetto con una
qualche genericità; si ritengono quindi compatibili le vaste deleghe (cioè quelle con oggetti di
notevole ampiezza e complessità) e quelle con pluralità di oggetti. La definizione di oggetto di
legge delega tiene conto della natura e dei caratteri dell’oggetto, questo trova conferma nel
fenomeno delle deleghe accessorie e nella compilazione dei Testi Unici.
3. Per la determinazione del termine dalla Corte è stato adottato un testo elastico, infatti il
termine si può prorogare sia mediante legge formale sia mediante decreto-legge. Frequenti
sono anche i casi di deleghe correttive ed integrative adottare in seguito all’emanazione, lo
scopo di queste è di correggere la disciplina legislativa delegata entro un determinato
termine.
Oltre a questi requisiti necessari la legge di delegazione può contenere dei limiti ulteriori, infatti
questa deve individuare i limiti minimi del decreto delegato ma non impedisce al Parlamento di
restringere ulteriormente il campo di discrezionalità del Governo. La delega è revocabile dal
Parlamento in qualsiasi momento. Alla Corte spetta il giudizio di conformità della norma delegata alla
norma delegante.
-La ripartizione della potestà regolamentare e l’autonomia regionale degli enti locali (rinvio). -
L’art. 117.6 interpreta la clausola nel senso che essa annullerebbe all’ipotesi di una legge dello Stato
che, in materie di competenza esclusiva, delega alle regioni il compito di attuare in via
regolamentare. Sulla base di questa interpretazione larga parte degli Statuti delle regioni ordinarie
hanno introdotto norme ordinarie volte a garantire che l’assemblea legislativa mantenga una
competenza almeno in merito all’emanazione dei regolamenti delegati dallo Sato.
Se lo stato conferisce alle regioni una determinata funzione amministrativa, questa ha bisogno di
essere disciplinata da legge regionale, che potrebbe risultare in concorso non solo con la legge statale
che le attribuisce le funzioni, ma anche con il regolamento statale emanato per integrare la disciplina.
Per evitare che gli atti amministrativi statali si sovrappongano agli atti amministrativi regionali, esiste
il “salva delega” (art. 117.6) che assume una funzione regolatrice del concorso tra le fonti: se lo stato
conferisce alla regione determinate funzioni amministrative in materie di sua competenza esclusiva,
allora su di esse perde il potere disciplinare con regolamento, affidato però alla disciplina della
Regione.
-Gli Statuti delle Regioni ordinarie e il loro rapporto con le altre fonti. -
Il nuovo art. 123 Cost. Dispone che lo Statuto sia approvato dal Consiglio regionale con legge
approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, dopo la doppia approvazione lo statuto è
soggetto a pubblicazione notiziale, e il governo ha la possibilità di impugnarlo davanti alla Corte
costituzionale entro 30 giorni. Un cinquantesimo o un quinto dei componenti del consiglio regionale
possono proporre un referendum.
Gli Statuti delle Regioni ordinarie sono leggi regionali rinforzate, e spetta a loro il compito della:
forma di governo regionale, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento, il diritto di
iniziativa legislativa e di referendum. Gli unici limiti sono quelli del puntuale rispetto di ogni
disposizione Costituzionale.
Ci sono però dei limiti di competenza che la Corte ha definito come fonti regionali a competenza
riservata e specializzata. (es. Limiti dei principi fondamentali della legge repubblicana o delle norme
relative al sistema di elezione).
Diverso è l’orientamento per quanto riguarda i regolamenti degli Enti Locali, infatti l’effetto per cui
l’autonomia di Comuni e Province, nei rapporti con fonti di livello superiore, gode di una tutela ancor
più efficace di quella delle autonomie regionali.
Agli enti locali è attribuita la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione delle
funzioni a loro attribuite.
L’eventuale inerzia deII’ente destinatario deIIa funzione quanto aII’adozione deIIa relativa disciplina
regolamentare non può essere prevenuta daII’ente che ha effettuato iI conferimento con norme
sostitutive regolamentari, benché provviste da efficacia cedevole. Questa decisione riguarda
espressamente il rapporto tra regolamento locale e regionale.
Per quanto riguarda il rapporto tra regolamento locale e leggi, la dottrina si divide secondo due
orientamenti:
Uno ricostruisce il suddetto rapporto sulla base del principio gerarchico; il rapporto tra le due
fonti non sarebbe molto diverso dalla logica legge - regolamento statale di esecuzione;
Un altro ha Ietto I’art 117.6 Cost neI senso che esso avrebbe previsto una vera e propria
riserva di competenza; dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima una legge che, dopo
aver allocato una funzione amministrativa in capo aII’ente IocaIe, occupasse uno spazio
relativo aIIa disciplina organizzativo-procedurale delle funzioni amministrative conferite.
Opera così un principio di preferenza di regolamento, per cui la legge continua a disciplinare la
materia finché non intervenga il regolamento locale a derogare (per la sola parte relativa ad
organizzazione e svolgimento delle funzioni conferite) la legge, che quindi conterrebbe norme
cedevoli nella parte in cui disciplina i profili organizzativo procedurali delle funzioni conferite.
Il regime delle Regioni speciali si differenzia da quello ora descritto per pochi profili:
1. Il primo riguarda il titolare della competenza: sono gli Statuti speciali a individuare
direttamente l’organo titolare deI potere regolamentare (di regola Ia Giunta regionale) ed
esistono forme di procedimentalizzazione deII’esercizio di taIe potere;
2. Il secondo riguarda il profilo della competenza: anche per le Regioni speciali dovrebbe
operare la clausola della previsione più favorevole relativa ai rapporti regolamenti statali-
regionali; con riguardo al tipo di regolamento (esecutivo, di delegificazione ecc.) si potrebbe
discutere se questo, in presenza della menzione statutaria dei soli regolamenti di esecuzione,
non debba essere limitato a tale categoria, anche se nelle Regioni speciali si sono di fatto
diffusi regolamenti di delegificazione senza incontrare finora reazioni da parte della
giurisprudenza.
3. Il terzo riguarda le materie in cui le Regioni possono adottare regolamenti: operando il
parallelismo tra potestà legislativa e regolamentare, occorrerà fare riferimento alle materie
che ciascun Stato affida alla competenza della singola Regione speciale; potrà così verificarsi
che, in relazione aII’esistenza di ambiti materiaIi affidati aIIe Regioni speciali e non a queIIe
ordinarie, lo Stato possa adottare un regolamento che riguarderà le sole Regioni ordinarie, ma
non si applicherà nelle speciali.