Sei sulla pagina 1di 40

DIRITTO COSTITUZIONALE: LE FONTI DEL DIRITTO (BIN-PITRUZZELLA).

CAP.1: LE FONTI DEL DIRITTO IN UN ORDINAMENTO COMPLESSO.


Le FONTI DEL DIRITTO sono atti e fatti cui l’ordinamento giuridico attribuisce il compito di produrre
nuove norme. Gli ATTI sono documenti scritti, nell’ordinamento giuridico vi sono delle norme che
individuano gli atti e i procedimenti per produrli, le così dette NORME SULLA PRODUZIONE.
I FATTI normativi è una categoria che è nata passando per il modello della consuetudine, ovvero la
categoria dei fatti era effettivamente costituita da fatti o comportamenti, e senza l’intervento di un
atto da parte delle autorità erano recepite dalla comunità come giuridicamente obbligatori. Ancora
oggi nelle definizioni di fonti-fatto ricorrono termini come “fenomeni normativi non volontari” o
“diritto non scritto”. Ad oggi però nessuna di queste fonti è involontaria o spontanea e nessuna è non
scritta.
La categoria delle fonti-fatto costituisce uno degli elementi portanti del sistema delle fonti, è
definibile solo in negativo, come tutto ciò che genera norme giuridiche ma non è iscrivibile tra le
fonti-atto; perché gli interpreti trovano difficoltà nel determinare quale sia il diritto applicabile e
come debba essere applicato.

Nella definizione FONTI DEL DIRITTO ricorrono termini come “ordinamento giuridico” e “diritto
giuridico”. Per spiegare cosa sia il DIRITTO si ricorre a una metafora quella delle “fonti”, queste fonti
generano norme giuridiche e queste concorrono a formare l'ordinamento giuridico.
Per comodità il giurista attribuisce all’ordinamento giuridico alcune caratteristiche come quelle della
COERENZA e della COMPLETEZZA: si dice coerente quell’ordinamento in cui non esistono norme
incompatibili, si dice invece completo quello in cui esiste sempre una norma con questa
incompatibile.
Non esistono però in natura giuridica ordinamenti privi di incoerenze e di lacune normative, infatti il
sistema delle fonti è molto complesso e in continuo mutamento.
Davanti a una “lacuna giuridica” di una disciplina non è ammesso il “denegare giustizia” (rinunciare al
giudizio per mancanza di regola), e non è ammesso neanche “rivolgersi al re” per chiedere e ottenere
un’integrazione della norma. C'è infatti un “atto legislativo che si stacca” dalla volontà politica e
traccia così una linea di separazione tra i poteri, tra il momento della legislazione e il momento
dell’applicazione.
È solo grazie a questa estraneazione dell’atto dal suo autore che la disposizione legislativa può
entrare nell’ordinamento giuridico.
Il legislatore esaurisce il suo compito nello scrivere le regole generali e astratte, spetta ai soggetti
dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto ricostruire ogni caso concreto ed elaborare la
regola giuridica da applicare.
La completezza, la coerenza e la razionalità di un legislatore sono spesso richiamante dagli interpreti
come caratteristiche necessarie della legislazione, infatti è sull’interprete che grava per intero il
compito di riportare coerenza all’insieme delle disposizioni legislative.

-I criteri di soluzione delle antinomie come prodotto culturale. -


Il “sistema delle fonti” è il risultato del lavoro delle fonti. I canoni dell’ERMENEUTICA GIURIDICA gli
argomenti che servono per ricavare le disposizioni (testi normativi) e le regole da applicare al caso
concreto (norme).
Quando le disposizioni producono norme incompatibili tra loro si ricorre ad un complesso di
argomenti predisposto alla soluzione delle ANTINOMIE.
Il criterio cronologico porta all’abrogazione della legge meno recente; il criterio gerarchico porta
all’invalidità della norma di grado inferiore; il criterio della competenza porta a risolvere l’antinomia
decidendo quale atto sia competente a disciplinare la materia.
Sono le norme positive a costruire il sistema giuridico a partire dalle PRELEGGI, le disposizioni sulla
legge generale che precedono il Codice Civile, che si occupano di disciplinare sia le modalità con cui la
legge va interpretata, sia i criteri di soluzioni delle antinomie. Le “Preleggi” riproducono senza
variazioni le analoghe disposizioni con cui esordiva il Codice Civile del 1865, per quanto riguarda le
regole dell’interpretazione e l’abrogazione.

-Il criterio cronologico e l’abrogazione. -


Il criterio cronologico è lo strumento di risoluzione delle antinomie che esiste da più tempo (art.15
Preleggi). È un criterio tipico di tutti gli ordinamenti tipici dinamici in cui le fonti-atto prevalgono sulla
consuetudine, infatti la legge non può essere dettata una volta per tutte ma deve adeguarsi al
cambiare della realtà, diversamente dagli ordinamenti statici.
Il criterio cronologico in caso di contrasto tra due norme dice che si deve preferire quella più recente
a quella più antica, la prevalenza della norma nuova su quella vecchia si chiama “abrogazione”.
L’ABROGRAZIONE è l’effetto che la norma nuova produce su quella vecchia, ovvero provoca la
cessazione dell’efficacia di questa ultima, e quindi non sarà più idonea a produrre effetti giuridici.
Per il principio di irretroattività l’abrogazione opera solo per aspetti futuri.
L’effetto abrogativo può essere prodotto da fenomeni molto diversi, e l’art.15 delle Preleggi elenca
tre ipotesi di abrogazione:
1. Abrogazione espressa: per dichiarazione espressa del legislatore. Questo tipo di abrogazione
opera nei confronti di tutti i consociati.
2. Abrogazione tacita: per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti, questo tipo di
abrogazione vale solo nel singolo giudizio.
3. Abrogazione implicita: perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge
anteriore.
L’abrogazione non tanto estingue la norma ma piuttosto ne delimita la sfera materiale e
l’applicabilità; l’abrogazione non impedisce che la norma abrogata continui ad essere applicata ai
rapporti sorti prima, ma l’entrata in vigore della nuova legge segna il momento di cambiamento della
disciplina.
L’abrogazione della legge abrogante può produrre REVIVISCENZA della vecchia disciplina, ovvero
faccia rivivere la norma abrogata che è il risultato complesso dell’interpretazione della nuova legge.
Ma la Corte Costituzionale ha dichiarato dubbia la reviviscenza di norme abrogate da disposizioni
costituzionalmente illegittime ed ha escluso la reviviscenza a seguito di referendum abrogativo della
legge abrogatrice.

-Il criterio gerarchico e l’annullamento. -


Il criterio gerarchico è nato più di recente, afferma che in caso di contrasto tra due norme si deve
preferire quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto più elevato.
Le Preleggi e poi in seguito la Corte Costituzionale disegnano una gerarchia tra leggi, regolamenti e
consuetudini, dicendo che la legge prevale sul regolamento e il regolamento sulla consuetudine.
La prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime attraverso l’annullamento.
L’annullamento è l’effetto di una dichiarazione di illegittimità che il giudice pronuncia nei confronti di
un atto, e a seguito di ciò l’atto perde validità. L’atto invalido è un atto viziato che va rimosso
ripristinando la legalità dell’ordinamento. L’annullamento opera sia per il futuro ma anche per il
passato.

-Riserva di legge e “specializzazione” degli atti normativi. -


La gerarchia delle fonti è il presupposto che autorizza il sistema delle fonti al momento
dell’introduzione della nuova Costituzione, ma ne segna anche una crisi.
La gerarchia delle fonti si regge su due presupposti: l’unicità dell’ordinamento giuridico statale e il
parallelismo tra la gerarchia di atti e gerarchia di procedimenti e gerarchia di organi dotati di potere.
Con l’entrata in vigore della nuova Costituzione viene a rompersi l’unitarietà della legge, infatti si ha
la divisione dei poteri: art.70 attribuisce alle Camere la funzione legislativa, gli articoli successivi
individuano gli altri atti che concorrono con la legge, ossia sono dotati della sua stessa forza e sono: il
referendum abrogativo (art. 75), il decreto delegato (art. 76), il decreto-legge (art. 77) e gli atti
emanati dal Governo in vaso di guerra (art. 78).
La forza di legge comporta che questi atti siano posti sullo stesso piano gerarchico della legge
formale, ma la Costituzione introduce un meccanismo che può limitare questi atti chiamato RISERVA
DI LEGGE.
La riserva di legge è lo strumento con cui la Costituzione regola il concorso delle fonti di una
determinata materia.
La sua funzione tradizionale è di evitare che manchi una disciplina legislativa, capace di imitare il
potere esecutivo degli organi. La R.L. impone che la disciplina di una determinata materia sia riservata
totalmente (riserva assoluta) o almeno per le norme di principio (riserva relativa) alla legge ordinaria,
escludendo che la disciplina sia integrata da atti regolamentari del Governo.
Per determinati argomenti la Costituzione determina che siano le Camere, con legge formale, a
provvedere con un regolamento o un atto avente forza di legge (riserva formale).
In certi casi, la Costituzione, introduce riserve di legge particolari che “specializzano” le fonti primarie
dando luogo alle LEGGI RINFORZATE (riserva rinforzata per procedimento), oppure danno vita ad atti
ai quali la Costituzione impone vincoli di contenuto (riserve rinforzate per contenuto).
La “specializzazione” (leggi rinforzate) è un aspetto interessante:
 Vi sono materie che possono essere regolate solo con procedimento particolare, il
fondamento di queste riserve di legge rinforzate è di limitare il potere della maggioranza
politica di regolare argomenti sensibili per le minoranze.
 Vi sono materie (riserve rinforzate per contenuto) in cui la Costituzione prevede che la legge
ordinaria possa disciplinare la materia solo rispettando alcuni limiti di contenuto. Il
fondamento di questa riserva di legge rinforzata è di limitare il potere del legislatore.
 Vi sono delle materie in cui la Costituzione modella determinate leggi in modo da staccarle dal
tipo a cui appartengono. Esempio tipico è la LEGGE ATIPICA DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO.
La legge che disciplina i contenuti del bilancio può imporre limiti che non sono derogabili dalla stessa
legge di bilancio, funziona come “legge organica” ovvero come una legge con competenza delimitata
ma destinata a prevalere sulle altre.
La Costituzione va oltre a queste leggi rinforzate e istituisce una disciplina che sembra impenetrabile
da parte di qualsiasi atto legislativo, chiamata riserva ai regolamenti interni delle Camere.
-Il pluricentrismo “interno" e le fonti delle autonomie. -
L'introduzione dell’autonomia regionale provoca un cambiamento nel sistema delle fonti. Per
garantire l’autonomia politica dei nuovi enti bisognava consentire loro quello che ai vecchi enti locali
non era consentito, ovvero derogare alla legge del Parlamento; e proprio da qui nasce l’esigenza di
dotare le regioni di un potere normativo che operi sullo stesso livello gerarchico della legge formale,
e che costituisca la “legge base” su cui può fondarsi l’amministrazione regionale. L’autonomia
regionale istituisce una serie di legislatori indipendenti, divergenti e forse in conflitto col Parlamento
nazionale.
La Costituzione prevede per le regioni ordinarie una competenza legislativa concorrente con quella
dello Stato. Questa competenza concorrenziale è regolata dalla distinzione tra “principio” (Stato) e
“dettaglio” (Regioni), per far fronte ai diversi problemi di interpretazione si applica di PRINCIPIO DI
SPECIALITA’, ovvero di preferire la norma speciale a quella generale, anche se questa è successiva, le
norme in conflitto rimangono entrambe valide ed efficaci ma spetta all’interprete che norma
applicare. L'interprete va così poi a derogare la norma generale in preferenza a quella speciale.

-Il criterio della competenza e gli altri criteri. -


Ulteriore criterio per la sistemazione delle fonti: il criterio della competenza, non è un criterio
prescrittivo ma svolge una funzione esplicativa, serve cioè a descrivere com’è organizzato il sistema
delle fonti aiutando l’interprete a superare le antinomie, distinguendo l’ambito di applicazione.
Vi sono infatti all’interno nel sistema delle fonti i diversi gradi di competenza.
Il criterio di competenza serve come guida di fronte al contrasto tra una norma dell’ordinamento
italiano e una dell’ordinamento dell’UE.
In questi casi la scelta della norma non porta né l’abrogazione né l’annullamento, ma porta
semplicemente alla sua non applicazione.

-Il pluricentrismo esterno”. -


Il criterio della competenza si applica non solo con le norme delle autonomie regionali, ma si applica
anche con le norme dell’UE. Art.11 (la previsione di una possibile parziale limitazione di sovranità al
fine di consentire all’Italia di far parte dell’UE) ha quindi sancito il PRINCIPIO DI PREVALENZA DEL
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA sul diritto interno.
I due ordinamenti sono visti come ordinamenti giuridici autonomi e separati, ognuno dotato di un
proprio sistema di fonti (teoria dualista). Ci deve essere però una ripartizione di competenza tra i due
ordinamenti, per cui è il giudice italiano che deve accertare che una determinata materia sia di
competenza dell’Unione o dell’ordinamento italiano.
I Trattati Internazionali non possono filtrare l’ordinamento italiano senza un'apposita disposizione
legislativa, infatti è il legislatore italiano che provvede a trarre norme giuridiche da questi trattati per
poterle applicare al nostro ordinamento.

-La giurisprudenza delle Corti Costituzionali, comunitaria e Cedu. -


Quando si parla del sistema delle fonti, si deve parlare anche del ruolo assunto dalla Corte
Costituzionale, della Corte dell’Unione europea e della Corte EDU (sula Convenzione europea dei
diritti dell’uomo). Queste tre Corti hanno il potere di produrre norme nel senso di dichiarare il
significato normativo delle singole disposizioni.
La Costituzione e le leggi di attuazione ci dicono con una certa precisione quali sono gli effetti delle
sentenze della Corte Costituzionale, ma nulla dicono dell’“interpretazione conforme”.

-La produzione “sociale” di norme. -


Nel sistema delle fonti c’è uno spazio per gli atti di AUTONOMIA PRIVATA, ovvero norme prodotte da
chi, pur non essendo investito di pubbliche funzioni, esercita poteri normativi.
In tempi recenti la tradizionale prospettiva dell’autonomia privata è stata ingigantita dalla
globalizzazione e dall’autonomia del mercato “entrata” nel nostro ordinamento.
L’archetipo è costituito dai regolamenti emanati dalla Banca d’Italia nella sua funzione di vigilanza
sugli istituti bancari, nei confronti dei quali gode di autonomia normativa e potere sanzionatorio.
L’osmosi tra pubblico e privato è un tratto caratteristico di queste regolazioni. I poteri regolamentari
di queste autorità private sono delimitati in modo generico, infatti le norme che da essi derivano da
regole imposte dai mercati internazionali.
Si apre poi un problema di definire ciò che sta dentro e ciò che sta fuori dalla nozione di “fonte”, con
l’entrata in vigore nel nuovo art.117.6 Cost.

-Teorie delle fonti e cultura giuridica. -


Il primo compito che deve affrontare chi vuole ricostruire il sistema delle fonti inizia dal delimitare il
campo dei “fatti (ed atti) abilitati dall’ordinamento giuridico a creare diritto oggettivo”.
La separazione tra gli atti e le disposizioni da un lato, e le norme e l’interpretazione dall’altro, è un
tratto necessario della divisione dei poteri, ma è anche la premessa da cui l’interprete muove per
svolgere l’opera di ricondurre a sistema atti che sono manifestazione di potere politico.
Infatti ogni tentativo da parte del legislatore di guidare il processo di interpretazione è vista come
un’evasione di campo.

CAP.2: LA COSTITUZIONE COME NORMA SULLE FONTI E COME NORMA


DIRETTAMENTE APPLICABILE.
La Costituzione italiana pone le norme di riconoscimento delle fonti che costituiscono diritto in Italia,
e vengono disciplinati gli atti normativi delle istituzioni pubbliche italiane cioè gli atti dello Stato e
degli enti che lo Stato istituisce e dota di poteri normativi, e poi sono regolati i rapporti tra
l’ordinamento italiano e le norme che provengono da altri ordinamenti.
Sino alla riforma costituzionale del 2001 erano poche le norme costituzionali che regolavano i
rapporti tra l’ordinamento interno e gli altri ordinamenti.
Per il diritto internazionale “convenzionale” (formato tramite accordi internazionali) vale il
meccanismo dell’art. 80, che subordina la ratifica dei trattati internazionali più importanti
all’approvazione con legge da parte del Parlamento.
Profondi cambiamenti iniziano con il processo di integrazione europea con la legge 3/2001 si
aggiunge nell’art. 117.1 oltre che agli obblighi comunitari, anche gli obblighi dei trattati internazionali.
Tutta la prima parte della Costituzione italiana contiene i principi fondamentali e i diritti che devono
confermare l’ordinamento interno. Nei primi anni dell’applicazione della Costituzione c’è stata molta
resistenza a riconoscere alla nuova Costituzione l’applicazione diretta.
Distinzione tra norme precettive (che producono l’abrogazione diretta delle leggi anteriori con esse
incompatibili) e norme programmatiche (non comportano difetto di legittimità di nessuna delle leggi
vigenti anteriori alla Costituzione). (defascistazione dello Stato e delle pubbliche amministrazioni).
La Corte affermando la sua competenza a giudicare la compatibilità con la Costituzione delle leggi ad
essa anteriori con la sent.1/1956, e affermava l’affermazione della prevalenza delle norme
costituzionali su qualsiasi altra norma dell’ordinamento.
Ciò sta a significare che le norme costituzionali sono norme giuridiche dell’ordinamento positivo, e
non semplici direttive rivolte al legislatore.
La Costituzione e la legislazione non sono sfere separate, va infatti riconosciuto che il testo
costituzionale è atto normativo che si affianca al resto del materiale da interpretare pur mantenendo
la caratteristica di prevalenza in caso di conflitto.

Quando una norma è direttamente applicabile in giudizio? Di questo ce ne si dovrà occupare a


proposito degli effetti delle norme dell’UE nell’ordinamento italiano, ma è anche un problema di
portata generale che riguarda la teoria delle norme.
Il giudice non applica “disposizioni” (formulazioni scritte dal legislatore) ma norme ovvero le regole
che egli trae da queste disposizioni, attraverso una sua interpretazione con il caso che ha difronte.
La Costituzione è l’atto che gode della posizione gerarchica più elevata, ma molto spesso le norme
che se ne ricavano hanno una struttura aperta, in termini assoluti.
Si possono immaginare diversi modi con cui si risolve il conflitto tra la legge ordinaria e la
Costituzione:
 Il conflitto può essere risolto in via d’interpretazione, ovvero la disposizione viene interpretata
in modo da ricavarne norme conformi alla costituzione. (tentativo di conciliazione
obbligatorio).
 Quando la conciliazione risulta impossibile il giudice dovrà sospendere il giudizio e porre alla
Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della legge in questione. Ciò
innesca un dialogo necessario tra la Corte, la quale è chiamata ad aiutare il giudice. Questo
dialogo può concludersi in modi diversi: la corte può dissolvere il dubbio sollevato dal giudice
con una diversa interpretazione (rigetto della questione) e in seguito il giudizio principale
potrà riprendere. Oppure la Corte può ricavare un’altra norma conforme a Costituzione
(sentenze interpretative di rigetto). Oppure la Corte riconosce il fondamento della questione
sollevata dal giudice e dichiara l’illegittimità di un intero atto.
 Se per questa via il giudice può raggiungere la coerenza dell’ordinamento la Costituzione può
consentirgli di risolvere il problema dell’incompletezza. Questo accade quando, in assenza di
una disposizione precisa di legge per il caso in giudizio, è possibile ricavare direttamente dai
principi costituzionali la regola da applicare.

-L’interpretazione conforme a Costituzione. -


L’interpretazione conforme è un canone interpretativo subito accolto dalla Corte, già dalla sua terza
sentenza (Sent. 3/1956) accogliendo l’interpretazione di rigetto in modo da non contrastare con la
Costituzione. Questa giurisprudenza ha suscitato molte critiche, una di queste è l’interpretazione
monopolistica da parte della Corte della Costituzione., ma ciò viene smentito dalla Corte dicendo che
spetta al giudice interpretare la Costituzione utilizzando come fonte l’ordinamento.
Si fissano così due punti fondamentali: 1. non c’è separazione tra l’ordine costituzionale e l’ordine
legislativo e né tra i diversi interpreti. 2. la collaborazione tra Corte costituzionale e i giudici ordinari
intercorre tra i due soggetti per i loro specifici compiti non per la diversa natura delle loro funzioni.
Entrambi i soggetti sono interpreti del diritto positivo, lasciando però alla Corte il compito di
rimuovere le disposizioni che impediscono al giudice di svolgere il suo ruolo.

-Le sentenze additive. -


Tutte le sentenze di accoglimento della Corte costituzionale hanno conseguenze normative. Ci sono
sentenze interpretative di accoglimento nelle quali l’effetto normativo è molto vistoso; ci sono
sentenze di accoglimento parziale in cui viene colpito da annullamento solo una piccola parte della
disposizione; ci sono le sentenze sostitutive in cui si dichiara illegittima la disposizione impugnata
nella parte in cui prescrive un determinato comportamento.
Infine ci sono le SENTENZE ADDITIVE, la loro caratteristica fondamentale è di agire sulla norma e non
sulla disposizione, è questa ultima ad essere impugnata e poi dichiarata illegittima, non viene toccato
però il testo della disposizione ma solo un suo possibile significato.
Con le sentenze di accoglimento parziale la Corte compie un’operazione di esportazione di parte delle
disposizioni legislative, con le sentenze additive la Corte opera una produzione normativa
aggiungendo alla disposizione una o più norme che il legislatore aveva omesso.
Se la Corte non potesse ricorrere alla sentenza additiva non avrebbe altra scelta che annullare l’itera
disposizione, che produrrebbe magari enormi vuoi nella legislazione.
Le sentenze additive rappresentano un meccanismo di produzione di norme che si basa sulla
collaborazione tra giudice e Corte costituzionale. Le sentenze additive sono la conseguenza di un
giudizio di ragionevolezza basato sulla regola e sul principio di eguaglianza.

-Applicazione diretta di principi costituzionali. -


Nei casi esaminati sin ora l’applicazione dei principi costituzionali si compie in via indiretta o
attraverso l’interpretazione della legge. Ma ci sono casi in cui al giudice ordinario accade di applicare
direttamente i principi costituzionali trovando in essi la regola del caso; questo capita in alcune
ipotesi:
 Nei casi in cui le norme costituzionali vennero direttamente applicate dal giudice nel periodo
di transizione tra l’entrata in vigore della costituzione repubblicana e dell’inizio delle attività
della Corte Costituzionale. (casi storici di applicazione diretta).
 Quando la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità di disposizioni in cui il legislatore ha
fissato un assetto troppo rigido, imponendo al giudice di comporre il loro conflitto in relazione
al caso concreto. Sono i casi di delega del bilanciamento cui la Corte costituzionale affida al
giudice il compito di valutare le circostanze di fatto e di elaborare di conseguenze la regola di
prevalenza con cui giustificare il bilanciamento. È la sentenza della Corte ad aprire lo spazio al
giudice poiché viene interpretato come troppo rigido, indicandoli un punto di equilibrio
alternativo.
 Quando il giudice si trova difronte ad una lacuna dell’ordinamento. Vi sono casi in cui la Corte
costituzionale impone al giudice di ragionare in base ai principi generali dell’ordinamento
giuridico.
Un caso in cui l’applicazione diretta dei principi costituzionali è molto frequente è quella dei “nuovi
diritti”. Si tratta di pretese alimentate da nuove conoscenze scientifiche per le quali il legislatore non
ha ancora espresso soluzioni adeguate.
Particolare rilevanza in questo caso ha avuto il “caso Englaro” dove la Corte ha affermato che in
assenza di norme legislative ci deve essere un'opera di ricostruzione della regola di giudizio nel
quadro dei principi costituzionali, ovvero i casi estremamente sensibili dove il legislatore non è
ancora intervenuto, e quindi nell’attuale carenza legislativa spetta al giudice ricercare nel sistema
normativo l’interpretazione idonea ad assicurare la protezione dei diritti costituzionali.

-I principi costituzionali come collante dell’ordinamento. -


La coerenza dell’ordinamento dev’essere creata sul piano costituzionale, ovvero il ruolo che la
Costituzione ha assunto nella formazione del sistema delle fonti.
Al primo livello, con il principio di eguaglianza, la Costituzione svolge un compito di manutenzione
dell’ordinamento delle sue singole sezioni per eliminare le incoerenze. (ruolo svolto da giudice)
Al secondo livello, ci sono i principi costituzionali che sono un punto di riferimento per il giudice, sia
come chiave di interpretazione, sia come completamento dell’ordinamento. L’obbligo di interpretare
la legge in base ai principi sanciti dalla Costituzione non può trovare un limite con riferimento alla
volontà del legislatore.
Al terzo livello, i principi costituzionali mostrano di operare sul piano dell’”identità” dell’ordinamento.
Questi principi si impongono e danno coerenza alle norme importate da altri ordinamenti; infatti ogni
volta che la Corte si è trovata avanti nuovi principi da inserire nel nostro ordinamento, è stato
richiamato il limite dei principi supremi cioè quelli ai quali non si possono ammettere deroghe.

-La revisione della Costituzione e le leggi costituzionali. -


La forma Repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale (art. 138-139), dichiara un
limite esposto allo stesso referendum istituzionale (forma repubblicana= carattere elettivo del Capo
di Stato, principio della sovranità popolare). Altra parte della Costituzione intoccabile dalla revisione
sono i “diritti dell’uomo” (art.2).
In Italia, sia perle piccole, che per le grandi modifiche del testo costituzionale non sono previsti
procedimenti differenziati, il procedimento rimane lo stesso. Vi sono solo alcune eccezioni e sono le
leggi costituzionali con procedura aggravata che modificano le circostanze regionali, le leggi
costituzionali che modificano gli attuali statuti delle regioni.

CAP.3: DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA E DIRITTO INTERNO.


-Il sistema delle fonti dell’Unione Europea. -
Le fonti dell’Ue operano all’interno del nostro ordinamento creando qualche problema alle fonti
nazionali. I settori più rilevanti dal punto di vista giuridico, economico e sociale vedono la
compresenza di norme tratte dalle fonti dell’UE e dalle fonti nazionali.
Il diritto dell’UE comprende il DIRITTO PRIMARIO proveniente dai trattati fondamentali dell’UE.
Accanto ai trattati operano le fonti del diritto dell’Unione, previste dagli stessi trattati (DIRITTO
DERIVATO)
Gli atti del diritto derivato si distinguono in atti vincolanti e atti non vincolanti. Tra gli atti non
vincolanti abbiamo le raccomandazioni (inviti rivolti agli Stati a conformarsi a un certo
comportamento) e i pareri (esprimono il punto di vista di un organo su un determinato oggetto);
questi atti non vincolanti non producono norme.
Gli atti vincolanti, vere e proprie fonti del diritto dell’UE si distinguono in:
 Regolamenti: con caratteristiche simili a quelle della legge dell’ordinamento interno, fanno
norme generali e astratte che si rivolgono a tutti, vanno applicate direttamente.
 Direttive: sono atti normativi che hanno come destinatario lo Stato membro, non si applicano
direttamente ai singoli. Lo Stato ho un obbligo di risultato, con una discrezionalità sua dei
mezzi da utilizzare per applicare la direttiva.
 Decisioni: hanno caratteristiche simili al provvedimento amministrativo, cioè si rivolgono ai
soggetti specifici.

-Il principio dell’effetto diretto nella giurisprudenza della Corte di giustizia. -


I due principi cardine della fisionomia del sistema giuridico dell’UE sono:
1. Il PRINCIPIO DELL’EFFETTO DIRETTO: comporta che ogni norma di diritto dell’UE che sia
sufficientemente chiara debba trovare applicazione davanti ai giudici nazionali.
Il punto di partenza dell’effetto diretto è costituito dalla distinzione tra public and private
enforcement (applicazione pubblica e applicazione privata).
Il diritto primario prevede un meccanismo di public enforcement (procedura d’infrazione), che sta nel
potere della Commissione di portare in giudizio di fronte alla Corte gli Stati membri nel caso abbiano
violato il diritto dell’UE. In seguito la Corte di giustizia ha dato vita al private enforcement del diritto
europeo, dicendo che, in presenza di certe condizioni le norme del trattato possono avere un effetto
diretto, con la conseguenza che gli individui privati avrebbero potuto citare in giudizio gli Stati per
violazione del diritto europeo. Così facendo la Corte di giustizia ha portato gli individui privati
all’interno dell’ordinamento giuridico europeo.
2. Il PRINCIPIO DI SUPREMAZIA: secondo questo principio la validità e l’efficacia del diritto
dell’UE non possono essere condizionati da legge nazionale. I giudici nazionali hanno l’obbligo
di assicurare l’efficacia del diritto dell’UE, disapplicando le fonti nazionali (la disapplicazione
non porta all’annullamento della fonte interna). Esempi in cui è stato applicato questo
principio sono, la sentenza del 1964 Costa-Enel e la sentenza del 1978 Simmenthal.
Questo principio di disapplicazione delle fonti nazionali non riguarda solo i giudici nazionali, ma
riguarda anche le PA. I giudici hanno il compito di un controllo diffuso sul territorio nazionale per
l’applicazione del diritto dell’UE.

-Il rinvio pregiudiziale in Corte di giustizia ed il ruolo dei giudici nazionali nell’applicazione del diritto
dell’Unione. -
Il sistema giuridico dell’UE si è affermato anche grazie alla collaborazione tra giudici nazionali e Corte
di giustizia. Il meccanismo che ha consentito questa collaborazione è costituito dal rinvio
pregiudiziale, esso permette la supremazia dei due principi del diritto dell’UE e quello di supremazia.
Il rinvio pregiudiziale è un processo che può essere sollevato nel corso di un giudizio che si svolge
davanti alla giurisdizione nazionale; solo il giudice di ultima stanza può sollevare la questione
pregiudiziale quando reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisone su questo punto.
Il rinvio pregiudiziale ha il compito di impedire che la stessa norma comunitaria abbia
un'interpretazione diversa da Paese a Paese.
Con il rinvio pregiudiziale il dubbio interpretativo sorge nel momento dell’applicazione della norma
comunitaria o della norma interna. Il rinvio pregiudiziale per interpretazione è un meccanismo che si
fonda sulla collaborazione tra Corte di giustizia e giudici nazional, infatti spetta al giudice nazionale
decidere di interpellare la corte di giustizia, In seguito la Corte di giustizia rimette integralmente al
giudice l’interpretazione del diritto nazionale, anche quando valuta che c’è un conflitto con il diritto
dell’UE. Infine la Corte fornisce una risposta al giudice del rinvio.
Un altro aspetto della collaborazione tra giudici nazionali e Corte di giustizia si realizza grazie
all’interpretazione conforme del diritto nazionale rispetto al diritto dell’UE, infatti la prima cosa che il
giudice deve fare quando affronta il problema della compatibilità tra norme è adottare
un’interpretazione conforme al diritto europeo.

-Le condizioni per la produzione di effetti diretti da parte del diritto dell’Unione. -
La sentenza Van Gend en Loos indicava le condizioni in presenza delle quali le norme dei trattati
avrebbero prodotto effetti diretti, e stabiliva che si doveva trattare di norme chiare e incondizionate.
La corte in seguito ha allentato questi requisiti, e ha riconosciuto l’efficacia diretta di alcune previsioni
del trattato anche in presenza di altre previsioni che danno agli Stati membri il potere discrezionale di
limitare la portata delle prime. La Corte ha ritenuto che l’efficacia diretta delle previsioni dei trattati
può riguardare non solo gli effetti verticali (pubblico-pubblico) ma anche e quelli orizzontali (pubblico-
privato).
I principi generali del diritto dell’UE possono avere efficacia diretta, ma hanno efficacia diretta anche
le previsioni del diritto secondario.
Quindi se le previsioni sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate possono avere effetti
diretti anche per i regolamenti.

-Gli effetti delle direttive e la distinzione tra “rapporti orizzontali” e “rapporti verticali”. -
L’efficacia diretta è stata riconosciuta dalla corte di giustizia anche a determinare norme delle
direttive (norme self-executing). La differenza rispetto ai regolamenti sta nella necessità di un
comportamento degli Stati membri che devono recepirla con proprio atto nell’ordinamento
nazionale.
Per assicurare l’effetto diretto delle direttive, la Corte ha fatto leva sul ruolo che il sistema dell’UE
attribuisce agli individui nell’attuare il diritto dell’UE.
Dal punto di vista della Corte se le direttive sono incondizionate e sufficientemente precise i privati
possono farle valere davanti ai giudici di uno Stato membro.
Bisogna dire che quando i privati sono in grado di far valere una direttiva nei confronti dello Stato,
possono farlo indipendentemente dalla veste, si datore di lavoro o di pubblica autorità, infatti le
direttive possono esser fatte valere davanti a uno Stato e a tutti i suoi organi (PA).

-La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione ed il “sistema multilivello” di protezione dei diritti
fondamentali. -
Il processo di espansione del diritto dell’UE sui diritti nazionali è avvenuto anche grazie alla creazione
della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. L’azione degli Stati non è diretta ad attuare il diritto
dell’UE ma soggiace nel rispetto die diritto fondamentali disciplinati dalle rispettive Costituzioni
nazionali. Infatti si è creato il sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali che vede
l’interazione tra fonti del diritto diverse che si affidano al dialogo tra giudici nazionali diversi.
Il sistema multilivello di protezione dei diritti vede un’altra fonte e un terzo attore: la CONVENZIONE
EUROPEA PER LA SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTA’ FONDAMENTALI (CEDU),
approvata del Consiglio Europeo. La CEDU è dotata di apposita Corte (sede a Strasburgo), ha un
carattere circoscritto ad alcuni diritti fondamentali, non giudica della conformità degli atti interni alle
norme sui diritti fondamentali, deve valutare se l’applicazione di tali atti abbia leso nel caso specifico
un diritto sancito dalla Convenzione. La Corte EDU opera in modo diverso da quello scritto sulla Carta
dei diritti fondamentali dell’UE. La sentenza della Corte EDU deve essere eseguita dallo Stato che ha
violato la Convenzione e quindi opera come controllo esterno.
Le Costituzioni nazionali, la Carte dei diritti fondamentali dell’UE e la CEDU, operano in ambiti diversi
anche se tutte disciplinate dai diritti fondamentali; c’è il rischio che tra di loro ci siano rischi di
interpretazione o conflitti.
Per attenuare questo rischio la Carta ha introdotto norme passerella, cioè norme che prevedono
norme di comunicazione tra le interpretazioni dei tre documenti.

-L’effetto diretto delle previsioni della Carta dei diritti fondamentali. -


La Carta dei diritti fondamentali può avere effetti diretti, alcuni articoli della Carta oltre che ai pubblici
devono essere applicati direttamente anche ai privati (es. Il divieto di discriminazione).

-Che cosa succede quando il diritto nazionale confligge con una normativa europea non self-executing
(norme delle direttive)?
Dove l’effetto diretto non può operare la giurisprudenza della Corte di giustizia ha comunque
individuato il modo per assicurare l’effetto utile delle norme dell’Unione. All’inerzia del legislatore il
giudice non può sopperire con gli strumenti a sua disposizione ma può rimediare con lo strumento
del risarcimento del danno.
Perché sorge il diritto al risarcimento devono ricorrere però alcune condizioni:
 Il risultato prescritto dalla direttiva implichi l’attribuzione dei diritti a favore dei singoli.
 Il contenuto di tali diritti può essere individuato sulla base delle disposizioni delle direttive.
Il risarcimento è dovuto anche in caso di adempimento parziale di qualsiasi obbligo comunitario,
purché la violazione delle norme sia grave e manifesta e non dovuta a un errore scusabile compito in
buona fede.

-La giurisprudenza costituzionale e la dottrina dei “controlimiti”. -


La supremazia del diritto dell’UE è stata elaborata dalla Corte di giustizia. C’è una dimensione
dualista, infatti mentre la Corte di giustizia fonda il principio di supremazia sui trattati, la Corte
Costituzionale lo ricavano direttamente dalla Costituzione nazionale. Questo fondamento diverso
permette ai giudici costituzionali nazionali di riservarsi un controllo sulla compatibilità delle specifiche
norme del diritto dell’UE attraverso la DOTTRINA DEI CONTROLIMITI.
La Corte Costituzionale ha messo progressivamente a fuoco la relazione tra il diritto italiano e il diritto
dell’UE fornendo ai giudici gli strumenti per risolvere questo conflitto.
La Corte costituzionale con la sent.170/1984 muove una premessa che l’ordinamento dell’UE e
l’ordinamento italiano siano due ordinamenti giuridici autonomi e separati ognuno dotato di un
proprio sistema delle fonti, e spetta al trattato fissare la ripartizione di competenza tra i due
ordinamenti. I conflitti tra i due ordinamenti vanno risolti dal giudice italiano applicando il CRITERIO
DI COMPETENZA.
-La dottrina dei controlimiti nella giurisprudenza della Corte costituzionale. -
L’effetto diretto dell’UE si arrestano qualora contrasti con i principi fondamentali e i diritti
fondamentali della Costituzione italiana, e tale verifica spetta alla Corte Costituzionale, questa è in
sostanza il contenuto della DOTTRINA DEI CONTROLIMITI.
La Corte Costituzionale (Sent. 198/1965) ha affermato che le limitazioni di sovranità non possono
comportare un inammissibile potere di violare i principi del nostro ordinamento costituzionale.
Secondo la Corte costituzionale, l’esercizio del controllo di costituzionalità in relazione ad una norma
comunitaria è subordinato al preventivo esperimento dei mezzi di tutela comunitaria, cioè alla
sottoposizione da parte del giudice nazionale della questione di validità della norma comunitaria alla
Corte di giustizia. Solo quando la risposta dei giudici di Lussemburgo non fosse ritenuta soddisfacente
resterebbe aperta la via per la pronuncia di incostituzionalità della legge di esecuzione.

-La giurisprudenza del Tribunale costituzionale tedesco sui rapporti tra ordinamento nazionale e
diritto dell’Unione. -
Teorie simili a quella dei CONTROLIMITI sono state adottate in altre corti costituzionali. In particolare
la Corte costituzionale tedesca ha elaborato una complessa serie di strumenti che dovrebbero
consentire di bloccare l’efficacia delle norme dell’Unione.
Il giudice tedesco ha accettato il principio di supremazia dell’diritto dell’UE; in seguito il Tribunale
costituzionale tedesco è intervenuto dichiarando la sua competenza a verificare la compatibilità del
diritto dell’UE con il diritto tedesco. (Sent. Solange).
Con la Sent. Maastricht, il Tribunale ha affermato che l’UE non può andare oltre le competenze e i
poteri che le sono state conferite dai trattai.
Con la Sent. Lisbona, il Tribunale ha affermato il rispetto dell’identità costituzionale tedesca. Il giudice
costituzionale ha introdotto il controllo sul rispetto dell’identità costituzionale.

-La dottrina dei controlimiti in azione: il “caso Taricco”. -

-La protezione dei diritti fondamentali tra diritto dell’Unione e diritto costituzionale. -
Come abbiamo visto c’è un triangolo quindi tra Giudice comune, Corte di Giustizia e Corte
Costituzionale. Secondo la giurisprudenza nel caso di un contrasto tra una norma dell’UE con effetto
diretto e una norma nazionale al Giudice nazionale spetta valutare la compatibilità comunitaria
utilizzando il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e ricorrendo all’interpretazione conforme. Dove
si sia accertato il contrasto il giudice dovrà disapplicare la norma nazionale.
Nel caso invece, della norma dell’UE fosse priva di efficacia diretta, il giudice comune deve sollevare
la questione di legittimità costituzionale, espetterà alla Corte annullare la legge incompatibile con il
diritto dell’Unione.
Dove il giudice comune ritenga che una norma europea direttamente applicabile violi i principi
Costituzionali, dovrà chiedere l’intervento della Corte costituzionale sollevando un’apposita
questione di legittimità.
Tutto ciò si complica nel caso di DOPPIA PREGIUDIZIALITA’ che si ha quando si è in presenza di
controversie che possono dare luogo sia a questioni di legittimità costituzionale che a questioni di
compatibilità del diritto dell’UE.
Ha la priorità la valutazione della compatibilità comunitaria della norma, se il giudice accetta
l’incompatibilità la norma nazionale va disapplicata.
(Sent.269/2017) la Corte ritiene che dove una legge sia oggetto di dubbio di legittimità tanto in
riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, debba solo essere levata la questione di
legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale, per le questioni di
interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione.
La Corte di giustizia, richiamata dalla Corte costituzionale ha affermato il diritto dell’unione non osta
al carattere prioritario del giudizio di costituzionalità di competenza delle corti costituzionali
nazionali, purché: 1. i giudici ordinari restino liberi di sottoporre alla Corte di giustizia ogni questione
pregiudiziale; 2. siano parametri liberi di disapplicare la disposizione legislativa nazionale in questione
che abbia superato il limite costituzionale.
La Corte infine ha confermato che il suo giudizio deve inserirsi in un quadro di leale cooperazione fra i
diversi sistemi di garanzia.

-L’ambito di applicazione del diritto dell’UE. -


Il principio del primato del diritto dell’UE e il principio dell’effetto diretto sono connessi tra loro e
servono anch’essi per risolvere il conflitto con le norme nazionali. Lo strumento attraverso cui
l’essenza del conflitto può essere individuata è costituito dall’ambito di applicazione del diritto
dell’UE, e serve a soddisfare l’esigenza che le norme dell’ordinamento dell’UE si applichino solo a
quelle situazioni che ricadono nella sfera giuridica di questo ordinamento, ma salvaguardano
l’autonomia normativa degli Stati membri.
La nozione di ambito di applicazione agisce come il principio di attribuzione ovvero l’Unione agisce
nei limiti delle competenze che le sono attribuite.
L’ambito di applicazione serve a definire l’area nella quale si deve applicare la normazione europea, i
trattati però non forniscono alcun criterio per determinare questo ambito di applicazione, è stata la
Corte di giustizia a definire degli schemi che però sono diversi per ogni caso concreto. L’ambito di
applicazione ha portata dinamica, ciò cambia nel tempo e col cambiare degli ordinamenti.

-Profilo materiale e profilo funzionale dell’ambito di applicazione. -


L’ambito di applicazione può essere concepito sia come il riflesso delle competenze materiali
attribuite all’unione dai trattati (PROFILO MATERIALE DELL’AMBITO DI APPLICAZIONE) oppure come
spazio che non coincide con l’area occupata dalle competenze materiali ma può estendersi oltre
(PROFILO FUNZIONALE DELL’AMBITO DI APPLICAZIONE).
Nell’ambito di applicazione funzionale dipende l’interferenza che normative esterne nelle materie
oggetto di riferimento, esercitano sul corretto funzionamento del sistema giuridico europeo.
L’abito di applicazione funzionale può essere configurato come uno spazio privo di contenuti
materiali, preordinato a salvaguardare l’effettività del sistema giuridico europeo.

-Ambito di applicazione e competenze materiali dell’Unione: competenze esclusive e competenze


concorrenti. -
Per individuare la sfera di applicazione del diritto dell’UE occorre prendere in considerazione: la
tipologia in cui ricade la materia attribuita, la forma dell’atto adottato nell’esercizio della
competenza, la concreta tecnica normativa.
I trattati prevedono diversi tipi di competenze dell’UE e ciascuno corrisponde a una diversa intensità
dei vincoli. Sulla base di una graduazione di intensità esistono:
 COMPETENZE ESCLUSIVE: ovvero quando i trattati attribuiscono all’UE, la competenza in un
determinato settore, e solo UE può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti.
 COMPETENZA CONCORRENTE: si ha quando sia l’UE che gli Stati membri possono produrre
atti normativi; l’azione statale è ammessa solo nella misura in cui l’UE non sia ancora
intervenuta.

-Altre competenze dell’Unione. -


Esistono altre due categorie di competenze dell’UE:
1. Le competenze di SOSTEGNO: ovvero l’UE può svolgere azioni dirette a sostenere e coordinare
l’azione degli Stati membri, senza però sostituirsi alla loro competenza. L’UE può adottare atti
giuridicamente vincolanti che però non possono intralciare l’azione degli Stati membri.
2. Le competenze di COORDINAMENTO: riguardano la politica economica, quella occupazionale
e quella sociale. In questi ambiti i trattati prevedono che il Consiglio si limiti ad adottare
indirizzi di massima, orientamenti o iniziative.

-Ambito di applicazione e tipo di atto normativo. -


Per capire l’ambito di applicazione occorre soffermarsi anche sui tipi e sulle caratteristiche dei diversi
tipi di atti normativi.
Il REGOLAMENTO, può essere definito sulla base di due caratteristiche: obbligatorietà di tutti i suoi
elementi e la diretta applicabilità.
Nel momento in cui l’UE adotta un regolamento la normativa dell’UE si sostituisce a quella nazionale.
Le DIRETTIVE vincolano lo stato membro per quanto riguarda il risultato da raggiungere senza vincoli
per quanto riguarda i mezzi da utilizzare. Anche se in realtà le direttive hanno un contenuto talmente
complesso da ridurre o escludere del tutto il potere decisionale degli Stati membri.
Le DECISONI si distinguono in: 1. le decisioni che designano i destinatari e sono obbligatorie solo
verso di essi; 2. le decisioni che non hanno destinatari e sono obbligatorie in tutti i loro elementi.

-Conflitto tra norme dell’Unione e norme nazionali e dottrina dell’”effetto utile”. -


Una volta determinato l’oggetto di una norma dell’Unione, l’intervento statale è precluso in due
ipotesi: 1. quando si pone in contrasto con la disciplina dell’UE. 2. quando ne pregiudica l’effetto utile.
Quindi in questi casi esiste un obbligo di conformità alla normativa nazionale rispetto alla normativa
dell’UE.
Più di frequente è il riferimento all’effetto utile che comporta un caso di conflitto tra diritto nazionale
e diritto dell’UE; la Corte di giustizia ritiene incompatibile con il diritto dell’UE quelle normative
nazionali le privano le norme europee di effetto utile (pregiudica l’efficacia o ostacola il
funzionamento o mette in pericolo gli obbiettivi del diritto derivato).

-Divergenze tra ambito di applicazione del diritto dell’UE e competenze materiali. -


L’ambito di applicazione dell’UE è più esteso rispetto alle competenze materiali. Vi è una divergenza
tra l’ambito delle competenze attribuite all’UE e l’ambito di applicazione, la Corte ha interpretato la
nozione di ambito di applicazione del trattato come situazione disciplinata dal diritto comunitario,
che si riferiscono a situazioni che si collocano nella sfera di applicazione del diritto dell’UE non in
conseguenza dell’esercizio di competenza da parte dell’UE ma in relazione al godimento delle libertà
fondamentali che il trattato garantisce.
Le disposizioni sulle libertà fondamentali vietano condotte specifiche ed estendono i divieti anche a
quelle normative statali che possono avere effetti analoghi alle condotte vietate. (misure d’effetto
equivalente).

-I principali fattori di collegamento con il diritto dell’UE. -


I principali fattori di collegamento con il diritto dell’UE sono:
 Il principio di cooperazione tra Stati membri e UE.
 Il dovere degli Stati membri di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva delle situazioni
garantite dal diritto dell’UE.
 Le disposizioni che prevedono un ravvicinamento delle legislazioni nazionali, prevedono la
competenza dell’UE ad adottare misure di ravvicinamento delle disposizioni legislative
destinate al funzionamento del mercato interno.
 Il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, ovvero una parità di trattamento.

CAP. 4: DIRITTO INTERNAZIONALE E DIRITTO INTERNO.


-Le clausole costituzionali di apertura dell’ordinamento nazionale al diritto internazionale. -
L’ordinamento nazionale è influenzato dal diritto europeo e dal diritto internazionale. Una tecnica
utilizzata è quella del RINVIO, attraverso questa tecnica la norma interna sulla produzione giuridica
nazionalizzata la norma del diritto internazionale, cioè produce una norma interna di contenuto
eguale a quella prodotta dalla fonte internazionale.
Il rinvio può essere di due tipi:
1. RINVIO FISSO: la norma di diritto interno richiama un determinato atto proveniente da un
ordinamento esterno
2. RINVIO MOBILE: la norma di interno richiama una determinata fonte esterna.
Tra i due rinvii esiste una differenza nel territorio di applicazione.
Nel primo (rinvio fisso) caso l’operatore giuridico dovrà applicare le norme ricavabili dall’atto come se
si trattasse di norme interne, con una duplice conseguenza; la prima è che ogni successiva norma alla
vicenda è indifferente, e la seconda è che i criteri interpretativi al testo sono quelli dell’ordinamento
richiamate.
Nel caso del rinvio mobile l’ordinamento recepisce la norma come essa vive, e anche da quei due
conseguenze: tutte le vicende modificative che la norma subisce si ripercuotono nell’ordinamento
richiamate e poi la norma deve essere interpretata con i criteri dell’ordinamento di provenienza.
L’apertura dell’ordinamento nazionale al diritto internazionale si è realizzata con due clausole: la
prima è con art. 10.1 ovvero quando l’ordinamento giuridico si conforma alle norme del diritto
internazionale; e la seconda avviene con l’art. 117.1secondo cui la potestà legislativa si esercita nel
rispetto degli obblighi internazionali.
Molte norme internazionali si riferiscono direttamente agli individui senza l’intermediazione della
giurisprudenza degli stati.

-L’adattamento automatico al diritto internazionale. -


Con l’art. 10.1 si ha l’adattamento automatico dell’ordinamento nazionale con le norme del diritto
internazionale. Questo adattamento riguarda solo le norme generali ovvero le consuetudini universali
e i principi generali.
Purché ci sia l’adattamento bisogna accertare che si tratti di norme accettate, cercando quei fatti-
prova che consentono di verificare se esiste una determinata prassi nella società internazionale
considerati internazionale.
Occorre poi, in seguito all’adattamento, stabilire quale sia il rango da attribuite nel sistema delle fonti
nazionali. Esse sono classificate come norme generali dell’ordinamento internazionale, infatti la Corte
può annullarle, ma raramente la Corte ha utilizzato tale potere; infatti i giudici preferiscono usare la
tecnica dell’interpretazione adeguartice.
In caso di contrasto tra norma nazionale e diritto internazionale, il meccanismo di adeguamento non
potrà in alcun modo consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento
costituzionale.

-Diritto internazionale pattizio e diritto interno. -


Le norme di diritto internazionale prevalgono sull’ordinamento italiano ma in modo diverso da quelle
dell’UE.
Prevalgono attraverso due principi: 1. il principio di legalità internazionale (prevalgono sulle leggi
interne); 2. il principio di supremazia costituzionale (l’efficacia vincolante delle norme internazionali
al rispetto della Costituzione).
In caso di contrasto tra i due ordinamenti sarà la Corte costituzionale a dichiarare l’illegittimità della
norma interna per violazione dell’art. 117.1. Sui giudici grava sempre l’obbligo di procedere con
un'interpretazione conforme al diritto internazionale.
Secondo la Corte costituzionale implica che la norma CEDU sia conforme alla Costituzione e non solo
ai principi fondamentali, ma quindi deve essere conforme a qualsiasi norma costituzionale.

-L’evoluzione giurisprudenziale. -
Dal 2007 c’è la riconosciuta prevalenza del diritto internazionale pattizio (“regolate dalla volontà di
due soggetti”) sul diritto domestico. Esistono tre fasi di ciò:
1. Per la Corte costituzionale si sosteneva che la legge successiva prevale su quella anteriore (per
cui il legislatore sarebbe stato libero di non rispettare le norme internazionale nate dopo). La
Corte ha precisato, poi, che la portata delle norme internazionali va definita in rapporto ai
parametri propri non dell’ordinamento nazionale ma dell’ordinamento d’origine.
2. C’è poi una regola secondo cui i giudici devono interpretare il diritto interno in modo
conforme al diritto internazionale. Tale obbligo dal 2007 viene esteso anche alle norme della
CEDU. In questo modo c’è una divisione tra giudici comuni (spetta il compito di assicurare in
via ordinaria il rispetto delle norme pattizie tramite lo strumento dell’interpretazione
conforme) e i giudici costituzionali (devono risolvere la questione di costituzionalità).
3. La posizione delle norme internazionali pattizie nel sistema delle fonti, la sovra ordinanza
rispetto alla legge era già espressamente prevista dal testo costituzionale, quindi sono norme
di rango costituzionale nel limite del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento.

-Le modalità e i limiti della preminenza del diritto internazionale pattizio. -


Con l’evoluzione della giurisprudenza si assicura la preminenza delle norme internazionale sulle
norme del diritto domestico. Ci sono delle modalità su come si realizza tale preminenza.
Con la Sent. 348/2007 c’è l’esclusione della tecnica della disapplicazione. Si afferma che le norme
della CEDU rivestono rango sub costituzionale fungendo da norme interposte; la conseguenza è
quindi che la tecnica della disapplicazione è inutilizzabile. Infatti il giudice comune non ha il potere di
disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con la norma CEDU.
Il giudice prima di sollevare la questione di costituzionalità deve sempre individuare una possibile
interpretazione conforme. In caso non ci riuscisse deve presentare la questione di costituzionalità
davanti alla Corte costituzionale.
Bisogna ricordare che il sistema della CEDU è diverso dall’ordinamento dell’UE. La CEDU è un sistema
fondato sul diritto internazionale che non dà vita alla produzione di norme che hanno efficacia
nell’ordinamento degli Stati aderenti, e permette solamente la tutela per via giudiziale dei diritti
tutelati dalla Convenzione. L’oggetto della sentenza riguarda pertanto solo il rispetto della
Convenzione e la sua eventuale violazione.
La determinazione dell’esatto ambito di applicazione, la questione si pone con riguardo agli accordi in
forma semplificata, cioè a quei trattati internazionali conclusi da Governo e non ratificati dal
Parlamento, e si può ritenere che la Corte costituzionale neghi il carattere vincolante di questi
accordi.
Gli accordi di regolare procedura di adattamento, sono previsti tre possibili distinzioni tra i diversi tipi
di trattamento:
1. DI TIPO RESTRITTIVO, la corte potrebbe restringere la portata dell’art. 117.1 ai soli trattati sui
diritti umani.
2. Massima apertura dell’ordinamento, prende alla lettera l’art. 117.1, ovvero sostiene che la
preminenza debba essere assicurata a tutte le norme di diritto internazionale pattizio.
3. L'efficacia vincolante sul diritto interno andrebbe attribuita a quelle norme internazionali la
cui attuazione avvengo sotto supervisione di un organo giurisdizionale internazionale.

-Il “dialogo” tra la Corte Costituzionale ed i giudici ultrastatli. -


La Corte costituzionale, nel realizzare l’apertura dell’ordinamento nazionale al diritto comunitario ed
al diritto internazionale consuetudinario, ha individuato un punto di equilibri tra l’esigenza
dell’integrazione e quella della salvaguardia dei valori nazionali nella teoria dei controlimiti. Le norme
internazionali pattizie invece per poter prevalere sul diritto interno devono essere conformi a tutto il
dettato costituzionale. Sent 348/2007: “in caso di contrasto con tra norme interposte ed interne
occorre verificare la compatibilità della norma interposta con la Costituzione e la legittimità della
norma censurata rispetto alla stessa norma interposta; se quest’ultima risulta non conforma a
Costituzione, la Corte ne dichiara l’inidoneità ad integrare il parametro, provvedendo nei modi rituali
ad espungerla dall’ordinamento giuridico italiano”. Non è precisata la natura dei “modi rituali”, ma si
suppone che, qualora ciò non avvenga sul piano interpretativo (conforme), dovrà essere dichiarato
illegittimo l’ordine di esecuzione del trattato “in parte qua”. Il principio di supremazia costituzionale
garantisce alla Corte una risorsa argomentativa verso i giudici ultra statali molto più efficace di quella
offerta dalla teoria dei controlimiti (peraltro mai applicata); proprio nel momento in cui ha sancito la
maggior apertura dell’ordinamento interno, si è ricavata una posizione di forza nel dialogo giudiziale
che porta all’elaborazione di uno ius commune globale.
Tale atteggiamento si giustifica a maggior ragione se visto alla luce dell’attivismo delle Corti di
Strasburgo e Lussemburgo. In teoria la prima dovrebbe limitarsi a verificare che gli Stati rispettino lo
standard minimo di protezione dei diritti fondamentali, come definito dalla CEDU, e la seconda
dovrebbe assicurare la tutela dei diritti fondamentali in riferimento al diritto comunitario e alle
norme nazionali di attuazione. In realtà è sempre maggiore la tendenza delle Corti europee a
sindacare scelte nazionali adottate seguendo il procedimento democratico nazionale; da qui il
pericolo di una sorta di colonialismo giurisdizionale che impone le scelte dei signori del diritto
europeo all’ordinamento nazionale. Adesso invece la Corte sembra delineare un quadro che
potrebbe consentire di salvaguardare l’identità nazionale e garantire allo Stato un minimo spazio
regolatorio nei confronti dell’integrazione europea e globalizzazione giuridica, tramite strumenti che
consistono nella teoria dei controlimiti, nel principio della supremazia costituzionale, nell’uso del
rinvio pregiudiziale da parte della Corte costituzionale alla Corte di giustizia.

-La globalizzazione giuridica e la nuova lex mercatoria. -


La globalizzazione economica reclama una regolazione uniforme dei traffici internazionali, una
globalizzazione giuridica. Poiché lo sviluppo della tecnica, dell’economia e delle comunicazioni creano
interconnessioni tra i molteplici fattori delle attività umane, le decisioni adottate in un’area
territoriale ed i rischi connessi a gran parte delle moderne attività si diffondono a livello globale, il
tentativo di dettare regole uniformi si estende dall’economia a molti altri settori. La globalizzazione
giuridica passa sia attraverso accordi internazionali riguardanti il commercio internazionale conclusi
tra gli Stati, sia tramite la nuova lex mercatoria (trae ispirazione dalla lex mercatoria quale diritto
creato dai mercanti, le cui fonti erano state gli statuti delle corporazioni mercantili, le consuetudini
mercantili e la giurisprudenza delle curiae mercatorum), un diritto universale creato dal ceto
imprenditoriale senza l’intermediazione del potere legislativo degli Stati e destinato a disciplinare in
maniera uniforme i rapporti commerciali che si svolgono in un mercato transnazionale. La creazione
di regole uniformi trae alimento dalle seguenti tendenze:
 diffusione di pratiche contrattuali (es, contratti di borsa), create da operatori economici di un
Paese, nel mondo degli affari transnazionale;
 creazione ad opera delle società multinazionali di condizioni generali di contratto uniformi
che vengono applicate in tutti i mercati in cui le prime operano;
 la giurisprudenza degli arbitrati internazionali costituisce un precedente cui gli altri arbitri
sono soliti uniformarsi;
 la diffusione degli usi del commercio internazionale, considerati fonti di un diritto oggettivo
sopranazionale, diritto della societas mercatorum, che costituisce un vero e proprio
ordinamento originario che però si avvale degli organi giurisdizionali degli Stati di volta in
volta territorialmente competenti per dare esecutività “agli usi della lex mercatoria”.
La consuetudine ritrova così un ruolo importante come fonte di diritto della nuova società dei
mercanti e possiede forza maggiore rispetto alle consuetudini interne, poiché prevale sulla legge
statale confliggente, una volta appurata la natura internazionale del contratto.

-Concorrenza tra ordinamenti e mutuo riconoscimento delle norme. -


Altro aspetto in cui si manifesta l’economia globale è costituito dalla cd concorrenza tra ordinamenti
giuridici, espressione con cui si indica la circostanza - operante soprattutto negli ordinamenti dei
Paesi dell’UE - per cui i singoli operatori possono scegliere di volta in volta la regola dell’ordinamento
statale che ritengono più conveniente ai loro fini (es, costituzione di una società utilizzando il diritto
di un altro Stato): lo Stato qui mantiene la sua capacità regolatoria, ma perde la pretesa ad una sfera
esclusiva quanto agli effetti che discendono dall’esercizio del suo potere normativo; se gli operatori
scelgono il diritto di un altro Stato non potrà far nulla per imporre il proprio e dovrà dare esecutività
al diritto così prescelto.
Quando ciò avviene si crea una specie di concorrenza tra ordinamenti statali nel tentativo di produrre
le regole più attraenti da parte degli operatori (si crea una sorta di circolazione di istituti giuridici da
un ordinamento all’altro), e tra questi ultimi si determina una specie di law shopping che consente
loro di scegliere tra le diverse offerte normative in concorrenza. In entrambe le ipotesi (legge
mercatoria e concorrenza degli ordinamenti) i giudici interpretano ed applicano un diritto la cui fonte
è al di fuori dell’ordinamento nazionale. In particolare è stata la Corte di giustizia a fondare il diritto,
considerato come direttamente discendente da norme comunitarie, di scegliere le regole
dell’ordinamento che si preferisce. Simili sviluppi giurisprudenziali sono coerenti con i limiti che l’art 5
Tr CE pone alla competenza delle istituzioni europee: - principio di sussidiarietà, che impone
all’azione comunitaria di arrestarsi di fronte al potere normativo dei singoli Stati, quando esso si
dimostri idoneo a realizzare compiutamente gli obiettivi prefissati; - principio di proporzionalità
dell’azione regolativa, cui è prescritto di non eccedere quanto strettamente necessario a conseguire i
propri obiettivi; L’orientamento della giurisprudenza comunitaria permette, in molte circostanze, di
superare le regole poste dal diritto internazionale privato (oggi può ritenersi superato quanto scritto
nell’art 25 L 218/1995 per cui si applica all’ente la legge italiana se la sede dell’amministrazione è
situata in Italia). Pertanto, l’obiettivo dell’integrazione del mercato unico non necessariamente
impone la vigenza di regole di identico contenuto, ma può essere anche più agevolmente realizzato
tramite il mutuo riconoscimento delle norme giuridiche di ciascuno degli Stati comunitari.

-Profili problematici dello “Stato costituzionale aperto”. -


Gli sviluppi fin qui descritti evidenziano l’affermazione di uno Stato costituzionalmente aperto, per cui
la Costituzione è impiegata per legittimare l’apertura dell’ordinamento statale ad altri ordinamenti e
la crescente integrazione giuridica con ordinamenti di altri Stati e con ordinamenti sovrastatali. Altro
aspetto dell’apertura costituzionale è costituito dal crescente impiego da parte del giudice
costituzionale di schemi argomentativi, modelli e principi maturati nell’esperienza costituzionale di
altri Paesi o nella giurisprudenza delle Corti ultra statali. In questo modo si creano elementi comuni
alle diverse tradizioni costituzionali che non si diffondono partendo da un centro di produzione
giuridica formalmente abilitato, ma attraverso le argomentazioni delle Corti costituzionali e delle
giurisdizioni superiori, che fanno leva sulla tendenza all’apertura delle disposizioni di principio delle
Costituzioni. Resta affidata alla concreta dinamica storica ed alla sensibilità dei giudici costituzionali
se la spinta verso un costituzionalismo globale debba sfociare in una sorta di colonialismo giuridico in
cui i modelli di certi Paesi si impongono su altri ovvero se si darà luogo ad un equilibrio tra la presenza
di alcuni principi tendenzialmente universali e la salvaguardia delle singole identità costituzionali
nazionali.

CAP.5: LA LEGGE E LE FONTI PRIMARIE.


-Legge formale e riserve di legge. -
L’art. 70 attribuisce “la funzione legislativa” alle Camere, e riflette a pieno l’immagine della legge
parlamentare come fonte normativa, e ribadisce la sua centralità nell’ordinamento giuridico.
Gli articoli successivi disciplinano la formazione della legge, per poi parlare degli altri atti a cui la
Costituzione consente di sostituire alla legge; questi atti sono: il referendum abrogativo, il decreto
legislativo delegato, il decreto-legge, i decreti emanati dal Governo in caso di dichiarazioni di guerra, i
decreti di amnistia e indulto (sostituiti però nel 1992 con una legge rinforzata).
Il sistema delle fonti primarie (legge formale e atti con forza di legge), è un sistema chiuso di atti tipici
modificabile solo con revisione costituzionale. Dal 2001 anche la legge regionale è fonte primaria.
Lo strumento impiegato dalla costituzione per regolare le foni primarie è la riserva di legge, e queste
riserve operano in modo molto complesso, perché esse incidono in profondità nel sistema legislativo.
La LEGGE FORMALE (la legge che si forma in Parlamento) si pone come fonte legislativa, quella a cui è
consentito di regolare qualsiasi oggetto, ma vi sono alcune eccezioni per alcune materie regolate
dalla legge formale:
 Alcune materie sono riservate alla disciplina posta da fonti diverse dalla legge formale; vi sono
riserve di legge costituzionale, parlamentare, riserve a favore degli Statuti regionali, a favore
dei decreti di attuazione degli Statuti speciali, infatti la legge ordinaria che penetrasse in
questi ambiti risulterebbe illegittima.
 Per alcune materie il normale procedimento parlamentare di formazione della legge non è
ritenuto sufficiente (es: una particolare maggioranza è richiesta per votare la legge di amnistia
e indulto, ovvero la maggioranza dei due terzi nella votazione dei singoli articoli) - (es: per la
modifica degli enti territoriali, coinvolgere le popolazioni interessate già dal disegno di legge) -
(es: si possono concedere ulteriori forme di autonomia rispetto a quelle standard nell’ambito
di alcune materie; con voto a maggioranza assoluta delle regioni interessate) - (es: la riforma
costituzionale relativa al bilancio, spetta emanarla al Parlamento) - (es: procedimento di
formazione che disciplinano i rapporti con i culti religiosi, come i Patti Lateranensi). Nel caso
dei culti religiosi la riserva di competenza non è illimitata non tutti gli oggetti della disciplina
possono essere sottratti alla legge ordinaria, sono comunque sottoposti al controllo della
Corte costituzionale
Gli atti con forza di legge possono sostituirsi alla legge del Parlamento, per alcuni oggetti il testo
costituzionale impiega la formula le “Camere con leggi” per indicare la RISERVA DI LEGGE FORMALE,
non si tratta della disciplina di una materia, ma di leggi particolari attraverso le quali il Parlamento
svolge un controllo politico sull’attività di Governo; queste riserve di legge formale sono:
 La legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, ma solo quelli appartenenti
all’art. 80. Con l’ORDINE DI ESECUZIONE ordina ai soggetti dell’applicazione del diritto (giudici)
di considerare il trattato come fonte di norme interne aventi lo stesso grado gerarchico della
legge che la contiene.
 La legge di approvazione dei bilanci e del rendiconto presentati dal Governo, con la seconda il
Parlamento approva il documento presentato dal Governo che riepiloga l’esercizio finanziario;
per la legge di approvazione del bilancio di previsione stabiliva che non si potevano stabilire
nuove spese e tributi, in seguito ciò fu modificato con la LEGGE DI STABILITA’ e la LEGGE
FINANZIARIA.
*La legge di bilancio è formata da due sezioni: una sostanziale che contiene le disposizioni di entrata
e di spesa che possono modificare la legge vigente, e una seconda sezione che ha carattere contabile,
contiene le previsioni di entrata e di spesa formate sulla base della legislazione vigente. *
 Una riserva di legge formale è prevista anche per assicurare l’intervento del Parlamento in
relazione all’emanazione dei decreti con forza di legge da parte del Governo, e nel
conferimento dei poteri normativi del Governo in vaso di guerra.
Tutte le leggi e gli atti con forza di legge sono sottoposti a REFERENDUM ABROGATIVO ma con alcune
eccezioni:
 Alcune leggi che sono escluse dal referendum: le leggi tributarie del bilancio, di amnistia e di
indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Il referendum può essere proposto
su: leggi di esecuzione dei trattati, legge finanziaria e leggi di adempimento degli obblighi
comunitari.
 È inammissibile il referendum sulle leggi costituzionalmente vincolanti e quelle essenziali per il
funzionamento dell’ordinamento democratico.
 Le leggi ordinarie con forza passiva peculiare, le leggi di esecuzione dei Patti Lateranensi.

-Riserve assolute e relative. -


Distinzione tra riserve assolute e riserve relative, questa distinzione opera all’interno delle categorie
delle riserve disposte a favore della legge ordinaria.
La ratio è di assicurare che la disciplina di materie delicate venga decisa con la garanzia del
procedimento parlamentare. La distinzione non opera su indici certi ma è affidata all’interpretazione
costituzionale. La distinzione tra e due riserve è di origine dottrinale, la RISERVA ASSOLUTA esclude
tutti gli interventi di fonti sub-legislative della materia, che dovrà essere regolata dalla legge formale
ordinaria o da atti avente forza di legge; la RISERVA RELATIVA non esclude che alla disciplina concorra
il regolamento amministrativo.
Non è sempre facile se il rinvio alla legge appartenga all’una o all’altra categoria. In alcuni casi è facile
distinguere la riserva relativa in espressioni come “secondo disposizione di legge” “secondo principi
entro i limiti stabiliti dalla legge”.
Il secondo profilo problematico è la materia su cui è istituita la riserva di legge.

-Legge di delega. -
“L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione
di principi e criteri direttivi e per tempo limitato e per oggetti definiti.” (art.76) “il Governo non può
senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.”
Ci sono molti profili problematici relativi alla decretazione delegata (al Governo) che sono: la natura
della legge di delegazione, il rapporto tra legge delega e decreto delegato, la struttura del relativo
procedimento, i requisiti necessari della legge di delegazione, i caratteri del sindacato di
costituzionalità sui decreti delegati. (questi problemi sono stati in seguito dettagliati dalla Corte
costituzionale).
Quanto alla natura della legge delega inizialmente la Corte aveva sostenuto come la legge di
delegazione legislativa è solo fonte di un potere governativo; in origine quindi la legge di delegazione
era considerata come una fonte sulla produzione priva di alcuna immediata efficacia. In seguito si è
definita la natura tipica della legge delega (principi, indirizzi e criteri): vincola solo il Governo, invece
quando essa disciplina direttamente e con immediata efficacia la materia deleganda, la legge è
vincolante erga omnes.
Le norme contenute nella legge delega possono essere utilizzate da qualsiasi organo per dare
applicazione alle leggi; non può essere contrastata l’idoneità delle disposizioni della legge delega.
Previsione dei requisiti minimi all’interno della legge delega, deve contenere per forza: 1.
determinazione dei criteri e principi direttivi; 2. tempo limitato; 3. oggetti definiti. (la loro mancanza
determina illegittimità della legge delega).
1. La determinazione dei criteri e dei principi serve a delimitare il campo della delega per evitare
che essa venga mal esercitata, a finalità che non competevano; i principi e i criteri possono
avere un grande varietà, che vanno da norme che pongono finalità molto genarli, alla
generazione di principi di dettaglio. Per la determinazione di questi criteri e principi esiste la
determinazione espressa (mediante enunciazione diretta dei parametri) o determinazione
implicita (mediante via interpretativa del legislatore, è ammissibile quindi una legge delega
senza principi e criteri direttivi). I criteri direttivi possono anche essere stabiliti anche per
relationem e che gli stessi sono individuabile attraverso il richiamo ai principi generali stabiliti
dalla medesima legge. I decreti delegati potrebbero anche operare una disciplina minima
rinviando a successivi atti regolamentari. Occorre tener conto delle finalità che i principi e i
criteri non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega.
2. Il requisito dell’oggetto consente al legislatore delegante di individuare l’oggetto con una
qualche genericità; si ritengono quindi compatibili le vaste deleghe (cioè quelle con oggetti di
notevole ampiezza e complessità) e quelle con pluralità di oggetti. La definizione di oggetto di
legge delega tiene conto della natura e dei caratteri dell’oggetto, questo trova conferma nel
fenomeno delle deleghe accessorie e nella compilazione dei Testi Unici.
3. Per la determinazione del termine dalla Corte è stato adottato un testo elastico, infatti il
termine si può prorogare sia mediante legge formale sia mediante decreto-legge. Frequenti
sono anche i casi di deleghe correttive ed integrative adottare in seguito all’emanazione, lo
scopo di queste è di correggere la disciplina legislativa delegata entro un determinato
termine.
Oltre a questi requisiti necessari la legge di delegazione può contenere dei limiti ulteriori, infatti
questa deve individuare i limiti minimi del decreto delegato ma non impedisce al Parlamento di
restringere ulteriormente il campo di discrezionalità del Governo. La delega è revocabile dal
Parlamento in qualsiasi momento. Alla Corte spetta il giudizio di conformità della norma delegata alla
norma delegante.

-Il decreto legislativo delegato. -


La legge 400/1988 ha posto dei requisiti per i decreti legislativi, e ha introdotto dei vincoli
procedimentali. L’art. 14 di questa legge stabilisce che i decreti legislativi devono contenere la
denominazione di decreto legislativo con l’indicazione nel preambolo della legge di delegazione.
I decreti legislativi devono essere deliberati dal Consiglio dei ministri e quindi emanati dal Presidente
della Repubblica e deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Il Governo è tenuto a chiedere il
parere alle Camere nel caso in cui il termine dell’esercizio della legge ecceda i due anni, il parere è
espresso dalle Commissioni permanenti e competenti per materia entro 60 giorni.
Indipendentemente alla durata della delega il parere delle Commissioni componenti per materia deve
essere richiesto per i decreti legislativi di rassetto normativo. Alcune leggi di delegazione prevedono il
parere della Conferenza Stato- Regione- Provincia.
I decreti legislativi di attuazione previsti dagli Statuti delle Regioni speciali, sono fonti dotate di una
funzione totalmente diversa dai decreti legislativi. Gli Statuti speciali prevedono con apposite
Commissioni pratiche, composte da rappresentanti del Governo della Repubblica delle rispettive
Regioni, collegate all’elaborazione dei quelle fonti normative definite decreti legislativi di attuazione
statuaria (norme di attuazione). (es. Statuto siciliano)
La Corte Costituzionale ha chiarito che anche quando lo Statuto parla di parere della Commissione
paritetica, il Governo non può modificare il testo su cui la Commissione abbia esercitato la sua
funzione, a meno che le modifiche non consistano in varianti di carattere formale di testo.
Le norme di attuazione regolano il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle
Regioni, e definiscono le relazioni tra di esse.
Per quanto riguarda i rapporti tra stato e regioni sono stati fissati i seguenti principi:
 I decreti legislativi di attuazione sono espressione di una competenza separata e riservata
rispetto a quella esercitata con le leggi statali ordinarie.
 Le norme di attuazione statuaria non sono espressione di una competenza transitoria, di
adottare queste norme ogni volta che sia necessario.
 Le norme di attuazione non sono norme di mera esecuzione dello Statuto, le norme di
attuazione possono integrare le norme statuarie anche aggiungendo qualcosa che le
medesime non hanno.
Si vede come la Corte abbia consolidato il principio pattizio come supremo regolatore dei rapporti tra
stato e regione, in base a tale principio l’assetto delle relazioni tra Stato e la regione speciale dovrà
essere definito mediante accordi tra i due enti. Questo principio pattizio vale anche per la disciplina
finanziaria tra i due enti, e tutti i rapporti finanziari sono dominati dal principio dell’accordo.
C’è una differenza tra le fonti di disciplina dell’autonomia finanziaria tra le Regioni speciali e quelle
ordinarie; per le regioni ordinarie le definizioni del bilancio sono affidate alla legge ordinaria, per le
regioni speciali le definizioni del bilancio sono affidate alle norme di attuazione.

-Il decreto legge. -


L’art. 77.2 stabilisce che: “in casi di straordinaria emergenza, il Governo adotta, sotto la sua
responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, i decreti perdono efficacia sin dall’inizi se
non sono convertiti in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione.”
La Costituzione riconosce una fonte del diritto (il decreto legge) ma sottoponendolo a limiti di ordine
sostanziale e procedurale. La legge di conversione deve per forza essere approvata dal Parlamento.
Con il decreto-legge c’è una partizione dei poteri normativi tra Governo e Parlamento. La legge di
conversione è stata qualificata come novazione della fonte, ossia la sostituzione del decreto legge con
la legge del Parlamento.
Il requisito della straordinaria necessità dovrebbe intendersi in senso relativo e soggettivo, il Governo
infatti assumendosene la responsabilità dice automaticamente cosa è necessario.
In seguito la dottrina si è dovuta allontanate da questa tesi perché il decreto legge è diventato
strumento di co-legislazione, di codeterminazione politica e di negoziati tra governo, maggioranza e
opposizione.
L’uso esteso della decretazione d’urgenza ha poi causato il fenomeno della reiterazione del decreto-
legge: ovvero davanti a un decreto non convertito in 60 giorni, il Governo ne riproduceva i contenuti
in uno nuovo e così via, fino a quando non fosse intervenuta la legge di conversione, in questo modo
sono così andate a formarsi vere e proprie catene normative.
La giurisprudenza costituzionale ha sviluppato un controllo più incisivo sulla decretazione d’urgenza.
In primo luogo, escludeva la sindacabilità di qualunque vizio del decreto-legge. Un primo importante
mutamento si ha con la Sent. 29/1995 nel pieno degli abusi di reiterazione della decretazione
d’urgenza, secondo la Corte sarebbe incostituzionale un decreto legge che non risultasse fondato su
autonomi e pur sempre straordinari motivi di necessità e urgenza, in ogni caso non riconducibili al
solo fatto del ritardo conseguente alla mancata conversione del precedente decreto.
La Corte ha affermato che l’abuso della decretazione d’urgenza incide sugli equilibri istituzionali e di
alterare la forma di governo; quando questi equilibri devono essere lasciati alla dinamica politica ci
devono essere precisi limiti di carattere giuridico-costituzionale.
Il vizio della reiterazione può essere sanato con la legge di conversione.
La giurisprudenza ha assunto una posizione più severa sul controllo e sui presupposti straordinari di
necessità ed urgenza, con le Sent. 171/2007 e la Sent. 128/2008.
 La Sent. 171/2008, la Corte sottolinea l’interconnessione fra sistemi delle fonti e forma di
governo; nel prevedere che il Governo, in casi di straordinaria necessità ed urgenza, possa
adottare provvedimenti provvisori con forza di legge. Questo deve svolgersi su un piano
diverso, con la finzione di preservare l’assetto delle fonti normative e il rispetto dei valori a
tutela dei quali questo compito è predisposto. In questa sentenza trova conferma la
giurisprudenza della quale la Corte aveva elaborato due diversi tipi di vizi: quello relativo alla
semplice mancanza dei requisiti costituzionali, e quello dell’evidente mancanza (sindacabile
dal giudice anche dopo la conversione in legge).
 La Sent. 128/2008 si precisa che la conversione del decreto legge non può avere un’efficacia
sanate perché ciò significherebbe attribuire al legislatore ordinario il potere di alterare il
riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo.
Per il decreto legge si deve avere un ulteriore requisito, che è quello della omogeneità delle norme;
ma ci sono dei problemi, ovvero: non si può escludere che una situazione straordinaria possa essere
fronteggiata con norme eterogenee, ovvero ci possono essere più situazioni straordinarie nello stesso
momento da dover affrontare con norme differenti.
L’art.15 della legge 400/1988 ha tentato di disciplinare la decretazione d’urgenza con vincoli e limiti:
 I decreti legge sono presentati per l’emanazione al Presidente della Repubblica.
 I decreti devono contenere misure di immediata applicazione.
 Le eventuali modifiche hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della
legge di conversione.
 Il Ministro di grazia e giustizia cura che del rifiuto di conversione sia data immediata
pubblicazione nella G.U.
Il Governo non può emanare decreti legge in determinate materie: non può, il Governo, con decreto
legge conferire deleghe legislative; rinnovare disposizioni di decreti legge dei quali si a stata negata la
conversione in legge.

-La legge di conversione. -


Il decreto legge perde efficacia da subito se non è convertito in legge entro 60 giorni. La legge di
conversione sostituisce il decreto legge con la legge.
Si fa una critica però alla legge di conversione, ovvero vada qualificata come vera e propria
conversione di un atto invalido; tesi che nasce dal presupposto che il decreto legge si un atto invalido,
ma questa tesi non ha avuto alcun seguito.
La legge di conversione è un tipo di legge che produce effetti giuridici peculiari e che incontra precisi
limiti alla sua portata normativa; la peculiarità sta nel fatto che è molto collegata al decreto legge che
la precede.
Quando la legge di conversione non viene approvata entro il limite costituzionale il decreto perde
efficacia fin dall’inizio. Infatti la mancata conversione fa sì che le norme del decreto legge non
potranno più trovare applicazione.
Se nel periodo della vigenza del decreto legge siano stati prodotti degli atti, questi dovranno essere
rimossi.
La legge sanatoria è ben diversa dalla legge di conversione, essa ha per presupposto la mancata
conversione. Essa non ha il compito di confermare e stabilizzare la disciplina da essa dettata per il
futuro ma si rivolge al passato, per porre rimedio alle conseguenze della decadenza del decreto legge.
La sanatoria provvede a cristallizzare gli effetti prodotti a suo tempo dai decreti decaduti.

-Il referendum abrogativo. -


Classificare il referendum abrogativo come atto con forza di legge non è del tutto accettato. La corte
costituzionale infatti ha qualificato questi come atti-fonte dell’ordinamento.
Esso ha la funzione di abrogare le leggi e gli atti equiparati, e quindi svolge una funzione di
legislazione negativa.
I referendum manipolativi sono proposti in tutte quelle circostanze in cui un'abrogazione della legge
non sarebbe stata ammessa, perché avrebbe causato la paralisi di organi costituzionali.
L’effetto abrogativo non consegue direttamente dal voto popolare; se il risultato è favorevole
all’abrogazione allora il Presidente della Repubblica dichiara l’avvenuta abrogazione della legge.
Il vincolo giuridico derivante dall’esito del referendum è avere un peso politico assolutamente
rilevante. La Corte ha osservato che il legislatore conserva il potere di intervenire nella materia
oggetto di referendum, senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la
normativa abrogata.

CAP.6: LE FONTI DELLE AUTONOMIE.


-La potestà legislativa regionale nella Costituzionale del 1948: storia di un fallimento. -
Le autonomie locali, Provincie e Comune hanno goduto di una notevole autonomia ma mai di un
potere legislativo. Il disegno costituzionale del 1948 nell’attuazione si è dimostrato impraticabile,
perché muoveva dall’idea che si potessero dividere i campi rispettivi della legge statale e della legge
regionale attraverso due strumenti: l’elencazione di materie di competenza regionale e la distinzione
tra norme di principio (Stato) e norme di dettaglio (Regioni) ed era attribuito alla Corte costituzionale
il compito di vigilanza.
L’elenco delle materie contenute nell’art. 117 (testo originario) hanno registrato un fallimento nella
loro funzione di strumenti di delimitazione delle competenze. Le materie erano indicate attraverso
etichette (pagine bianche) ma senza indicazioni sulle modalità e le procedure.
La Corte ha dovuto perciò fare un’opera di ridefinizione dei contenuti. Il legislatore ha riempito di
contenuti le materie ridefinite dalla Corte attraverso i decreti di trasferimento delle funzioni
amministrative.
Per quanto riguarda le Regioni ordinarie hanno operato ritagli nelle materie elencante nel vecchio
art. 117, la giustificazione di questi ritagli è stata sempre ispirata dall’esigenza di preservare
l’interesse nazionale. Valutare quali materie siano sotto la stessa etichetta implica un’attività di
ricostruzione degli interessi coinvolti e della valutazione degli stessi in base al livello di governo.
Un altro strumento di ripartizione delle competenze tra legge statale e regionale non si sottrae alla
considerazione degli interessi: ciò che è principio (principio fondamentale, generale
dell’ordinamento) può essere distinto da ciò che invece è norma di dettaglio solo in base a valutazioni
svolte su opportunità che una determinata norma sia applicata su tutto il territorio nazionale oppure
tolleri variazioni territoriali.

-La riforma del 2001 e le sue contraddizioni. -


La riforma del 2001 era necessaria perché la Corte aveva troppe difficolta nella decisone per le
materie e gli interessi tra Stato e Regione.
La riforma è stata introdotta dalla legge 3/2001 innovando il rapporto tra Stato e Regioni; spariscono
gli indici della superiorità dell’ordinamento giuridico statale e della prevalenza dell’interesse
nazionale. In questa riforma si considerano i seguenti aspetti:
 Gli elenchi delle materie costituiscono ancora lo strumento essenziale con cui si deve
delimitare le sfere di attribuzione legislativa. Sono però etichette che non possono essere
incollate su contenuti precisi.
 La distinzione tra norma di principio e norma di dettaglio, resta l’unico strumento con cui si
possono distinguere le competenze dello stato e delle regioni in materie concorrenti.
 La cancellazione del termine interesse nazionale, ma rimane quello di esigenze di carattere
universali.
Esiste la potestà legislativa concorrente e residuale, questa ultima è lo strumento di cui dispone lo
Stato per emanare leggi e regolamenti in materie attribuite alla sua competenza esclusiva.

-La potestà esclusiva dello Stato rivista dalla giurisprudenza costituzionale. -


Con la riscrittura dell’art.117.2 la Corte costituzionale ha individuato delle materie esclusive. Bisogna
prima distinguere tra materie e “non materie”. La Corte ha subito segnato la strada spiegando che i
livelli essenziali delle prestazioni non indicano una materia in senso stretto, ma una competenza del
legislatore statale idonea ad investire tutte le materie (materia trasversale).
È stata in seguito ricostruita anche la tutela della concorrenza, che attribuisce allo Stato il titolo per
disporre tutti gli interventi che abbiano rilevanza macroeconomica, beni culturali, statistica e
informatica.
L’inquadramento di una materia piuttosto che in un’altra deve riguardare la ratio dell’intervento
legislativo nel suo complesso.
Ma è difficile però che una materia sia ispirata ad un unico obbiettivo (intrecciano più interessi), e
quindi si sovrappongono più competenze. Il criterio finale però più arrivare ad individuare la materia
più direttamente coinvolta, attraverso il criterio di prevalenza; si tratta di valutare se il nucleo
essenziale ricada o meno su una determinata materia. Se la risposta è positiva si potrà applicare tutta
la disciplina costituzionale di quel tipo di competenza. Ma non sempre in un intreccio c’è un interesse
dominante e quindi una materia prevalente, e così la Corte indica due possibili vie:
1. La leale collaborazione ovvero reciproco coinvolgimento istituzionale.
2. Le regioni potranno emanare la propria disciplina legislativa trovando nella lege Statale l’unico
limite dei principi fondamentali. (es. In materie come l’immigrazione, la difesa...)
Il nucleo duro della competenza esclusiva dello stato su cui la legge regionale non può intervenire e
quindi lo stato ha piena competenza.

-La potestà concorrente e l’attuazione delle norme dell’Unione Europea. -


La riforma del 2001 non ha cambiato la struttura della potestà concorrente, basata sulla distinzione
tra norma di principio e norma di dettaglio. L’art.117.3 elenca le materie di potestà concorrente
(spetta alle Regioni la potestà legislativa). Nella fase di attuazione del diritto dell’UE le maglie della
legislazione statale si stinge ancor di più.
Proprio la disciplina dei rapporti tra fonti regionali e fonti statali mostra come il nostro ordinamento
permanga il principio di cedevolezza e di preferenza perla legge regionale.
Solo in Trentino Alto Adige si è individuato uno strumento che può reagire all’inerzia regionale.
Se le leggi regionali risulterebbero illegittime, resterebbero in vigore fino alla pronuncia di illegittimità
della Corte costituzionale. Le materie di norme concorrenti possono abrogare le precedenti norme
regionali di dettaglio, spetterà poi alle regioni sostituire le norme statali con le sue norme regionali,
sulle quali il governo ha il controllo di legittimità.

-L’interpretazione delle materie e la potestà residuale. -


La potestà residuale delle Regioni: non ogni oggetto che non sia espressamente elencato tra le
materie esclusive o concorrenti è di per sé attribuibile alla potestà legislativa residuale delle Regioni.
Si affaccia così la categoria delle materie strumentali ossia quelle competenze che non costituiscono
un autonomo titolo di competenza ma sono serventi rispetto agli interventi legislativi intrapresi nelle
vere e proprie materie. Di materie residuali se ne parla a proposito di commercio, turismo,
agricoltura e agriturismo.
La residualità rappresenta una tecnica di individuazione dei livelli e degli ambiti di competenza: solo
attraverso una progressiva restrizione dell’incidenza e di altri interessi sull’oggetto in discussione si
arrivare ad affermare che sussista una materia di competenza residuale delle regioni.
Nessuna di queste materie costituisce però un ambito di intervento legislativo riservato alle Regioni;
a ciò si oppone la frequente sovrapposizione di interessi dello Stato; quando non soccorrano altri
possibili titoli di intervento dello stato, questo può comunque intervenire con il principio di
sussidiarietà.

-Gli effetti del principio di sussidiarietà. -


Il principio di unicità è individuato dalla Corte nel principio di sussidiarietà: esso è affermato nell’art.
118, con riferimento solo alle funzioni amministrative, e consenta allo Stato di attuare compiti che
non siamo adeguatamente esercitabili a livello regionale. Ma il principio di legalità impone che le
funzioni amministrative debbano fondarsi su un’apposita norma di legge, per cui il principio di
sussidiarietà autorizza lo Stato a emanare norme legislative che li attribuiscono il compito di svolgere
quelle competenze amministrative che le regioni non sono in grado di svolgere. Si è aperta una porta
che permette allo Stato di svolgere funzioni amministrative, ma la Corta ha annunciato un severo
controllo su queste funzioni, soprattutto per quanto riguarda il vincolo della leale cooperazione,
ovvero per verificare se lo Stato coinvolga le Regioni a livello di cooperazione.
La chiamata di sussidiarietà entra in gioco quando la riserva statale di funzioni amministrative non sia
giustificabile in nome di altre materie trasversali come la tutela della concorrenza, l’ordinamento
civile ecc.

-La ripartizione della potestà regolamentare e l’autonomia regionale degli enti locali (rinvio). -
L’art. 117.6 interpreta la clausola nel senso che essa annullerebbe all’ipotesi di una legge dello Stato
che, in materie di competenza esclusiva, delega alle regioni il compito di attuare in via
regolamentare. Sulla base di questa interpretazione larga parte degli Statuti delle regioni ordinarie
hanno introdotto norme ordinarie volte a garantire che l’assemblea legislativa mantenga una
competenza almeno in merito all’emanazione dei regolamenti delegati dallo Sato.
Se lo stato conferisce alle regioni una determinata funzione amministrativa, questa ha bisogno di
essere disciplinata da legge regionale, che potrebbe risultare in concorso non solo con la legge statale
che le attribuisce le funzioni, ma anche con il regolamento statale emanato per integrare la disciplina.
Per evitare che gli atti amministrativi statali si sovrappongano agli atti amministrativi regionali, esiste
il “salva delega” (art. 117.6) che assume una funzione regolatrice del concorso tra le fonti: se lo stato
conferisce alla regione determinate funzioni amministrative in materie di sua competenza esclusiva,
allora su di esse perde il potere disciplinare con regolamento, affidato però alla disciplina della
Regione.

-Gli Statuti delle Regioni ordinarie e il loro rapporto con le altre fonti. -
Il nuovo art. 123 Cost. Dispone che lo Statuto sia approvato dal Consiglio regionale con legge
approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, dopo la doppia approvazione lo statuto è
soggetto a pubblicazione notiziale, e il governo ha la possibilità di impugnarlo davanti alla Corte
costituzionale entro 30 giorni. Un cinquantesimo o un quinto dei componenti del consiglio regionale
possono proporre un referendum.
Gli Statuti delle Regioni ordinarie sono leggi regionali rinforzate, e spetta a loro il compito della:
forma di governo regionale, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento, il diritto di
iniziativa legislativa e di referendum. Gli unici limiti sono quelli del puntuale rispetto di ogni
disposizione Costituzionale.
Ci sono però dei limiti di competenza che la Corte ha definito come fonti regionali a competenza
riservata e specializzata. (es. Limiti dei principi fondamentali della legge repubblicana o delle norme
relative al sistema di elezione).

-L’ordinamento differenziato delle Regioni speciali ed i decreti legislativi di attuazione statuaria. -


La legge 2/2001 ha modificato i cinque Statuti speciali, per riconoscere anche alle regioni speciali una
autonomia per la scelta della propria forma di governo. Infatti la Regione può definire le modalità di
elezione del consiglio, del presidente della regione e dei componenti della giunta.
La legge 2/2001 ha così introdotto una nuova legge rinforzata (legge statuaria) la cui competenza è
riservata (nessun'altra fonte può regolare quei contenuti) ma anche limitata (non può aggiungere altri
contenuti).
L’art. 10 della legge 3/2001 introduce la clausola di maggior favore, questo principio afferma che la
Regione speciale possa usare la riforma del Titolo V ogni volta che essa preveda la potestà legislativa
regionale su una determinata materia sia più ampia di quella prevista dallo statuto speciale.
L’opera di estensione automatica dello statuto speciale, ha però anche dei limiti, ovvero che questa
clausola a maggior favore opera solo per le regioni e non per gli enti locali.
Questa clausola a maggior favore opera per la formazione dei decreti di attuazione degli Statuti
speciali e per il trasferimento delle funzioni amministrative.
Questi particolari atti rappresentano gli unici atti con forza di legge che non hanno un controllo da
parte del Parlamento. Gli statuti dispongono che tali norme siano emanati dal governo con parere
obbligatorio della commissione paritetica (costituita da rappresentati nominati dal governo e dalla
regione).
CAP. 7: I REGOLAMENTI.
I regolamenti vengono definiti come atti normativi secondari, subordinati alla legge in base al
principio gerarchico. La norma regolamentare in contrasto con una legge precedente è però invalida,
e viene abrogata invece se contrasta con una norma successiva.
Questa collocazione nel sistema delle fonti è coerente con l’idea del costituzionalismo liberale che
pone al vertice la legge parlamentare.
La subordinazione del regolamento alla legge si rinforza con l’entrata dello Stato costituzionale di
democrazia pluralista.
L’assetto del potere regolamentare oggi è più complicato rispetto al passato; si sono affermati infatti
regolamenti parificabili alla legge (regolamenti di delegificazione e di organizzazione dei ministeri)
Con la riforma del Titolo V ha previsto che accanto a regolamenti statali e regionali anche quelli degli
enti locali, dotati di una sfera di competenza riservata.
Con riguardo a ciascun tipo di regolamento (statale, regionale o degli enti locali) si pongono dei
problemi comuni che possono avere soluzioni diverse a seconda della categoria, i quali riguardano il
fondamento della potestà regolamentare, i suoi rapporti con la legge e le forme di tutela.
IL FONDAMENTO DEL POTERE REGOLAMENTARE.
La dottrina liberale era divisa:
1. Tra chi lo individua nella discrezionalità amministrativa, fissa regole astratte e generali per
guidare l’attività provvedimentale.
2. Tra chi lo riconduceva alla legge.
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana ci furono due tesi per l’esercizio del potere
regolamentare.
1. La tesi dell’autorizzazione legislativa, valorizzando il Parlamento come centro del sistema di
integrazione politica, rispetto al quale l’attività normativa del Governo costituirebbe solo una
prosecuzione e uno sviluppo.
2. La tesi della posizione istituzionale, ovvero quella che la Costituzione riserva al Governo in
quanto titolare della funzione di indirizzo politico.
Le diverse tesi del fondamento del potere regolamentare determinano la risposta da dare al quesito
sull’ammissibilità dei regolamenti indipendenti, che operano su oggetti privi di una precedente
disciplina legislativa.
Essi infatti sono ritenuti ammissibili dai sostenitore della seconda tesi, mentre quelli della prima
ritengono comunque necessaria una previa autorizzazione legislativa.
I LIMITI DEL POTERE REGOLAMENTARE: IL PRINCIPIO DI LEGALITA’.
Si è dibattuto sul contenuto minimo costituzionalmente necessario della legge, metteremo a
confronto diverse accezioni del principio di legalità:
 Il principio della preferenza della legge: il principio di legalità è soddisfatto se il regolamento
non contiene atti contrati alla legge, e nell’eventuale conflitto è sempre la legge dotata di
maggior efficacia a prevalere.
 Il principio di legalità in senso formale: il principio di legalità è soddisfatto se l’esercizio del
potere regolamentare trova un base legale, nel cui rispetto può essere esercitato.
 Il principio di legalità in senso sostanziale: il principio di legalità è soddisfatto se la legge detti i
contenuti essenziali della disciplina del potere regolamentare, quali le scelte fondamentali e
l’individuazione degli interessi da realizzare.
Dall’accezione del principio di legalità che si intende ricavare dalla Costituzione discendono
conseguenze pratiche importanti:
- Sul regime dei regolamenti indipendenti: sono ammessi se dotati di autorizzazione legislativa
espressa.
- Sulla configurabilità dei regolamenti delegati o di delegificazione, cioè di quei regolamenti
abilitanti della legge ad intervenire su materie disciplinate da materie formarli, regolandole in
modo diverso. Attraverso la legge di delegificazione la fonte di disciplina viene trasformata da
legge formale a regolamento, che comporta l’abrogazione della legge a favore del
regolamento. La legge stabilisce che il regolamento delegato deve stabilire le linee
fondamentali della disciplina su cui si fonderà il potere regolamentare.
- Il potere regolamentare trova dei limiti nelle numerose riserve di legge; infatti nel caso della
riserva assoluta (disciplina l’intera materia) i regolamenti potranno essere solo quelli che
esecutivi della legge; nel caso della riserva relativa (parte della materia) la legge detterà
sempre la disciplina fondamentale ma spetterà al regolamento completarla.
Il regolamento tradizionale è stato qualificato come atto avente doppia natura: norma giuridica ed
atto amministrativo. Bisogna quindi differenziare l’atto amministrativo generale dal regolamento, un
problema privo di forma codificata a livello costituzionale.

-I regolamenti del Governo. -


Il documento Costituzionale menziona i regolamenti del Governo, e si occupa dei poteri del
Presidente della Repubblica dicendo solo che è lui che emana i regolamenti. Infatti per circa 40 anni il
potere regolamentare è stato esercitato dal Governo senza nessuna disciplina Costituzionale.
Con la legge 400/1988 c’è stato un rafforzamento del Governo e nel disciplinare il suo potere
normativo si occupa pure dei regolamenti.
C’è una precisa tipologia dei regolamenti del Governo (art. 17) definendo limiti e contenuti:
 Regolamenti esecutivi: servono a dare esecuzione alla legge.
 Regolamenti di integrazione e attuazione: delle leggi e dei decreti legislativi.
 Regolamenti indipendenti: diretti a disciplinare materie in cui manca la disciplina legislativa.
 Regolamenti di organizzazione: disciplinano il funzionamento delle PA.
 Regolamenti delegati o di delegificazione.
 Regolamenti ministeriali ed interministeriali: per la regolazione delle materie di competenza
del ministro, la legge infatti deve conferire espressamente il potere regolamentare al ministro.
I regolamenti sono addottati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del
Consiglio dei ministri e previo parere del Consiglio di Stato. I regolamenti nel titolo devono avere la
denominazione di regolamento e devono essere pubblicati nella G.U. (art. 17).
Con la legge 400/1988 ci sono state delle modifiche:
- Per quanto riguarda il parere del Consiglio di Stato c’è stata l’istituzione di una sezione
consultiva per l’esame degli schemi degli atti normativi per i quali il parere è richiesto. Il
parere è espresso nel termine di 45 giorni.
- Per quanto riguarda il controllo della Corte dei Conti va detto che per gli atti trasmessi alla
Corte per il controllo di legittimità diventano esecutivi trascorsi 60 giorni dalla loro recezione;
e sono esclusi dal controllo gli atti in materie monetaria, creditizia.
- La Conferenza Stato-Regioni va sentita obbligatoriamente in ordine agli schemi di
regolamento che riguardano materie di competenza regionale.
- Numerose leggi prevedono poi il parere della Commissione parlamentare competente.
Va individuato come raramente nella prassi il preambolo dei regolamenti amministrativi individui il
tipo esatto a cui il regolamento appartiene.
Negli atti regolamentari esistono norme di esecuzione e norme di attuazione. Per quanto riguarda i
regolamenti di attuazione molto spesso non risultano autorizzati dalla legge. Per quanto riguarda i
regolamenti indipendenti essi hanno una limitata applicazione.
La legge 400/1988 ha previsto pure i regolamenti di delegificazione. La prassi di delegificazione è
stata modificata, prima in questi regolamenti mancavano le norme regolatrici della materia ed è
mancata pure l’indicazione delle norme da considerare abrogate a seguito dell’entrata in vigore dei
regolamenti.
La legge 400 dice infatti, modificando la prassi di delegificazione, che quando le norme abrogate non
sono espresse dalla legge, è necessario che sia il regolamento a farlo.
Ci sono poi ulteriori tipi di regolamenti diversi da quelli dettati dall’art. 17:
 La legge annuale di semplificazione (legge madre- legge figlia): sono costruite come leggi di
delega che prevedono i decreti legislativi e li autorizzano a ricorrere a loro volta alla
delegificazione. Le leggi di semplificazione hanno poi introdotto i codici di settore che
dovrebbero operare un riassetto della normativa vigente.
 Con l’art. 17 comma 4-bis della legge 400/1988 si autorizza il Governo a disciplinare i propri
regolamenti nell’organizzazione e la disciplina interna degli uffici di diretta collaborazione dei
ministeri e degli uffici di direzione generale. Questa disciplina ha introdotto una riserva di
regolamento, a favore del Governo, senza che il Parlamento possa fissare i principi che
vincolino il contenuto di tali regolamenti.
 Regolamenti per l’attuazione delle direttive dell’UE: introdotte con la legge 86/1989, si
prevede che nelle materie non ricoperte da riserva assoluta di legge, le direttive dell’UE,
possono essere recepite tramite regolamento.
Ci sono poi dei decreti ministeriali previsti da varie leggi e qualificati come decreti di natura non
regolamentare e sono utilizzati per il complesso procedimento di adozione dei regolamenti del
Governo.

-I regolamenti delle Regioni e degli Enti Locali. -


“La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle
Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Provincie e le
Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni a loro attribuite.”
Entra così in gioco il criterio di competenza, infatti per i diversi livelli di governo (statale, regionale,
ente locale) si dice che in una materia concorrente deve escludersi la possibilità per lo Stato di
intervenire in tale materia con atti normativi.
La regola di base nei rapporti tra fonti statali e fonti regionali è quella della separazione delle
competenze, uguale regola vale anche per i regolamenti.
La linea di confine è il grado di flessibilità; il potere regolamentare dello stato è in grado di estendersi
impiegando una delle diverse clausole di flessibilità della separazione delle competenze individuate
dalla Corte Costituzionale.
Per quanto riguarda i regolamenti statali e le leggi regionali, le prime non possono vincolare le
seconde, ovvero non possono modificare gli ordinamenti regionali a livello primario. Da qui i poteri
regolamentari statali di delegificazione vedevano ridotti i loro margini.
Per quanto riguarda l’ammissibilità dei regolamenti statali contenenti norme cedevoli in materia di
competenza regionale. Le norme legislative cedevoli comportano una temporanea compressione
delle competenze legislative regionali.
C’è stata anche l’introduzione di norme regolamentari statali cedevoli, esse autorizzano il Governo ad
adottare regolamenti nelle materie di competenza delle Regioni al fine di porre rimedio all’eventuale
inerzia degli enti nell’attuazione delle norme comunitarie.
La chiamata in sussidiarietà può applicarsi anche al regolamento statale di delegificazione nei
confronti delle leggi regionali, solo nel caso in cui siano soddisfatti i requisiti di proporzionalità,
ragionevolezza e leale collaborazione.
La sussidiarietà, diversamente dalla cedevolezza, implica la sostituzione di un livello di governo a un
altro neII’esercizio della funzione amministrativa e deIIa corrispondente funzione normativa. Tale
conclusione è certamente valida nel caso in cui la chiamata in sussidiarietà riguardi i rapporti tra
legge statale e regionale, e dovrebbe valere per i regolamenti di delegificazione in attuazione della
chiamata in sussidiarietà.
Il problema si pone neI caso di Iegge regionale che disciplini una materia già attratta daII’orbita della
normativa statale, oppure nel caso di un regolamento di delegificazione che intervenga in materia già
disciplinata con legge regionale. Seguendo il precedente ordine di idee, la legge regionale sarebbe nel
primo caso illegittima, nel secondo caso abrogata.
La rigidità del criterio di separazione delle competenze viene attenuata mediante le operazioni di
ricostruzione delle materie, che in caso di dubbi, possono portare all’espansione delle competenze
trasversali.
La clausola di flessibilità è stata utilizzata con riguardo al settore dei contratti pubblici, riconducendo
tale disciplina alle materie di tutela della concorrenza.
Un ulteriore clausola di flessibilità nella ripartizione delle competenze è stata giustificata in nome del
principio di continuità, ovvero viene utilizzato per consentire la sopravvivenza di una normativa
successiva che viene ad integrare una normativa preesistente.
Nella giurisprudenza del Consiglio di stato vi sono ordinamenti limitativi e ordinamenti permissivi, da
un lato lo Stato non può adottare regolamenti che spettano alle Regioni, e dall’altro lo Stato ha
escluso possa adottare norme regolamentari cedevoli in materia di competenza regionale, anche se si
ha un'eccezione per quanto riguarda l’attuazione delle norme dell’UE.

Diverso è l’orientamento per quanto riguarda i regolamenti degli Enti Locali, infatti l’effetto per cui
l’autonomia di Comuni e Province, nei rapporti con fonti di livello superiore, gode di una tutela ancor
più efficace di quella delle autonomie regionali.
Agli enti locali è attribuita la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione delle
funzioni a loro attribuite.
L’eventuale inerzia deII’ente destinatario deIIa funzione quanto aII’adozione deIIa relativa disciplina
regolamentare non può essere prevenuta daII’ente che ha effettuato iI conferimento con norme
sostitutive regolamentari, benché provviste da efficacia cedevole. Questa decisione riguarda
espressamente il rapporto tra regolamento locale e regionale.
Per quanto riguarda il rapporto tra regolamento locale e leggi, la dottrina si divide secondo due
orientamenti:
 Uno ricostruisce il suddetto rapporto sulla base del principio gerarchico; il rapporto tra le due
fonti non sarebbe molto diverso dalla logica legge - regolamento statale di esecuzione;
 Un altro ha Ietto I’art 117.6 Cost neI senso che esso avrebbe previsto una vera e propria
riserva di competenza; dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima una legge che, dopo
aver allocato una funzione amministrativa in capo aII’ente IocaIe, occupasse uno spazio
relativo aIIa disciplina organizzativo-procedurale delle funzioni amministrative conferite.
Opera così un principio di preferenza di regolamento, per cui la legge continua a disciplinare la
materia finché non intervenga il regolamento locale a derogare (per la sola parte relativa ad
organizzazione e svolgimento delle funzioni conferite) la legge, che quindi conterrebbe norme
cedevoli nella parte in cui disciplina i profili organizzativo procedurali delle funzioni conferite.
Il regime delle Regioni speciali si differenzia da quello ora descritto per pochi profili:
1. Il primo riguarda il titolare della competenza: sono gli Statuti speciali a individuare
direttamente l’organo titolare deI potere regolamentare (di regola Ia Giunta regionale) ed
esistono forme di procedimentalizzazione deII’esercizio di taIe potere;
2. Il secondo riguarda il profilo della competenza: anche per le Regioni speciali dovrebbe
operare la clausola della previsione più favorevole relativa ai rapporti regolamenti statali-
regionali; con riguardo al tipo di regolamento (esecutivo, di delegificazione ecc.) si potrebbe
discutere se questo, in presenza della menzione statutaria dei soli regolamenti di esecuzione,
non debba essere limitato a tale categoria, anche se nelle Regioni speciali si sono di fatto
diffusi regolamenti di delegificazione senza incontrare finora reazioni da parte della
giurisprudenza.
3. Il terzo riguarda le materie in cui le Regioni possono adottare regolamenti: operando il
parallelismo tra potestà legislativa e regolamentare, occorrerà fare riferimento alle materie
che ciascun Stato affida alla competenza della singola Regione speciale; potrà così verificarsi
che, in relazione aII’esistenza di ambiti materiaIi affidati aIIe Regioni speciali e non a queIIe
ordinarie, lo Stato possa adottare un regolamento che riguarderà le sole Regioni ordinarie, ma
non si applicherà nelle speciali.

-La tutela giurisdizionale nei confronti dei regolamenti. -


La giurisprudenza tendeva ad assimilare il regolamento al provvedimento amministrativo con
riguardo ai mezzi di tutela e comportava la sottoposizione del regolamento alla regola
dell’impugnazione entro il termine di decadenza.
Più di recente davanti all’espansione della potestà regolamentare, il regolamento si è emancipato
dalla legge, viene meno quindi il criterio della stregua del quale effettuare il controllo di legittimità del
regolamento. Era un controllo basato su un parametro legislativo insufficiente, facendo rischiare al
regolamento di ledere i diritti fondamentali previsti dalla Costituzione.
Nel giudizio sui regolamenti mancano sia le caratteristiche di controllo del giudice amministrativo sui
provvedimenti, sia quelle del controllo della Corte Costituzionale sugli atti aventi forza di legge.
Costantino Mortati negli anni 60, aveva proposto un sindacato di costituzionalità sui regolamenti,
basandosi sul fatto che il potere regolamentare fosse fondato sulla posizione conferita dalla
Costituzione agli organi che esercitano tale potere. Questa costruzione non ebbe seguito.
La Corte però seguì l’idea di Carlo Esposito, secondo lui infatti la Corte deve giudicare della
costituzionalità delle disposizioni giuridiche nel significato che esse assumono, e afferma che non è
consentito in sede di controllo di legittimità costituzionale della legge, porre le disposizioni
regolamentari di esecuzione.

CAP.8: PROBLEMI APERTI.


-Senza conclusione. -
Il sistema delle fonti è il frutto di un complesso lavoro svolto ogni giorno dalla comunità degli
interpreti. Ci sono però come in ogni “studio” problemi non sempre subito rilevanti (es: la questione
delle consuetudini costituzionali, oppure gli atti delle Autorità amministrative indipendenti). Sta a
capire quindi se determinati fenomeni normativi possano essere o meno inclusi tra le fonti
dell'ordinamento giuridico.

-Convenzioni e consuetudini costituzionali. -


Le consuetudini costituzionali, sono da sempre un ostacolo, infatti come si sa la consuetudine nel
sistema gerarchico è collocata nel gradino più basso.
Ma in quanto consuetudini costituzionali, si trasferirebbero al vertice, al di sopra della legge stessa, è
una teoria però tutta da dimostrare ancora.
È molto difficile individuare nel nostro ordinamento le consuetudini costituzionali, anche se esse
esistono.
L’ipotesi a cui si fa riferimento più spesso è il procedimento di formazione del governo e dell’istituto
delle consultazioni. (vedi sul libro).
Non andrebbe bene anche se si accettassero come consuetudini le consuetudini interpretative, che
altro non sono che prassi interpretative, ossia modi in cui i giudici applicano la Costituzione; non sono
accettate perché sennò il panorama istituzionale diventerebbe pieno di consuetudini.
Un criterio valido per riconoscere l’esistenza di una consuetudine è la costituzione materiale (deve
servire ad agganciare l’interpretazione alla realtà della vita costituzionale e politica).
Le convenzioni costituzionali sono gli accordi stretti delle istituzioni tra le forze politiche per decidere
quali comportamenti tenere nei casi non direttamente regolati dal diritto. Le convenzioni non
possono essere fatte valere davanti al giudice, e valgono sicché le parti contraenti sono d’accordo.

-Il principio di irretroattività e le leggi di interpretazione autentica. -


Il principio di irretroattività è enunciato dall’art. 11 delle Preleggi: “la legge non dispone che per
l’avvenire essa non ha effetto retroattivo.” Questo principio è posto da una legge ordinaria. Incontra
due ostacoli: il primo è che non può essere fatto valere dalle norme penali; il secondo è che è posto a
sindacato di ragionevolezza.
Vi sono leggi che reagiscono in modo retroattivo per loro stessa natura:
 La legge sanatoria: si rivolge al passato per cristallizzare gli effetti del decreto-legge.
 Le leggi di interpretazione autentica: categoria caratterizzata dal fatto che il legislatore emana
disposizioni di legge rivolte a precisare il significato di una disposizione legislativa precedente.
Benché si tratti di una legge nuova che attraverso disposizioni nuove indenta modificare il
significato normativo di una disposizione vecchia, la giurisprudenza ritiene che essa
retroagisce al momento dell’entrata in vigore di questa ultima legge vecchia. Caratterizzare
nel nostro ordinamento una legge come autentica significa darli il significato di retroattività.
Queste leggi sono ammesse solo in situazioni di incertezza nell’applicazione del diritto o di
conflitto di interpretazione.

-Le norme transitorie. -


Uno dei problemi che deve risolvere qualsiasi ordinamento giuridico è quale norma applicare nelle
fasi di transizione tra una disciplina abrogata ed una nuova.
 Le disposizioni transitorie (fanno parte del diritto intertemporale), sono le norme poste in
chiusura di specifiche riforme legislative dirette allo scioglimento delle antinomie che si
verificano nel passaggio da una norma precedente a quella successiva. Tale disciplina può
introdurre delle deroghe temporanee. Queste sono norme di diritto materiale destinate a
risolvere questioni di diritto intertemporale relativamente alla vicenda in corso.
La Corte ha escluso che ci sia l’obbligo da parte del legislatore di dettare norme transitorie.

-I regolamenti delle Autorità amministrative indipendenti. -


Le Autorità indipendenti sono titolari di rilevanti poteri normativi, questo modello porta allo
spostamento le funzioni amministrative, di poteri normativi degli organi titolari di tali funzioni a
strutture costituite, separate ed indipendenti.
In Italia, le A.I. sono nate in tempi recenti, in relazione alla trasformazione del ruolo dello Stato e
sotto l’influenza dell’UE.
Il temine “regolazione” si intende l’uso di una disciplina pubblica non più finalizzata alla pianificazione
dell’attività degli operatori economici, ma al condizionamento indiretto di esse: deve garantire il
rispetto delle regole del gioco concorrenziale, la circolazione delle informazioni, la trasparenza dei
marcati, ecc...
Le leggi istitutive delle A.I. dichiarano in modo espresso che esse hanno poteri normativi
(regolamenti). Per la regolazione di queste Autorità sono stati adottati di codici di autoregolazione.
Gli atti delle A.I. qualificati come regolamenti possono essere citati i regolamenti:
 Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB): riguardano due settori, quello di
informazione del mercato finanziario e quello delle regole di condotta rivolte agli intermediari.
 Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (A.G.COM): adotta numerosi atti di portata
regolamentare, vengono considerati come atti anche le numerose delibere A.G.COM recanti
disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di
accesso ai mezzi di informazione nei periodi di competenza elettorale.
 Autorità per l’energia elettrica, il gas e i servizi idrici: è nata per la promozione della
concorrenza e per l’efficacia nel settore dei servizi di pubblica utilità. È presente in tutto il
territorio nazionale. Il legislatore ha definito un sistema di regolazione dualistico: - al Ministro
spettano i temi dell’energia (poteri di natura politica); - all’Autorità spettano compiti tecnici,
tra cui determinazione delle tariffe, ecc...
 Autorità garante della concorrenza del mercato (AGCM): il suo scopo è quello di assicurare il
rispetto della legge istitutiva e del principio comunitario di concorrenza. L’unico potere
normativo che spetta a questa Autorità è quello della delibera delle norme per la propria
organizzazione e il proprio funzionamento. Invece il procedimento sulla procedura da seguire
all’interno dell’Autorità è adottato dal Governo.
 Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici
essenziali: anche a questa commissione sono attribuiti poteri di regolazione. Per il settore dei
servizi sono previsti appositi accordi collettivi che devono prevedere le prestazioni
indispensabili anche in caso di sciopero. In tutto ciò la Commissione esercita una valutazione
si idoneità, necessaria per conferire effetti legali alla determinazione degli attori sociali.
I regolamenti delle autorità indipendenti come qualsiasi altro tipo di regolamento costituisce una
fonte secondaria subordinata alla legge (il potere normativo delle A.I. non può imporsi sulle fonti di
rango primario). Sorgono però due tipi di difficoltà:
1. Riguarda la qualificazione dell’atto adottato da un Autorità come atto di natura
regolamentare.
2. Il fondamento della potestà regolamentare delle Autorità indipendenti, anche in questi casi va
osservato il principio di legalità per cui il potere normativo deve trovare il suo fondamento
nella legge.
Una particolare valorizzazione del potere regolamentare riguarda l’Autorità nazionale anticorruzione
(ANAC) il nuovo codice degli appalti ha affidato a questa compiti “soft”. Il Codice degli appalti prevede
tre tipi di linee guida per ANAC:
1. Quello approvato con decreto ministeriale su proposta dell’ANAC: costituisce per forza un atto
regolamentare.
2. Quelle approvate dall’ANAC a carattere vincolante: ha dei criteri molto dubbi in ambito alla
sua qualificazione. Hanno una portata normativa.
3. Quelle approvate dall’ANAC ma senza vincolatività: assomiglia agli atti amministrativi a
contenuto generale. Non sono atti normativi, ma atti di indirizzo.

-Le ordinanze di necessità e urgenza. -


Le ordinanze di necessità ed urgenza sono provvedimenti assunti dal potere esecutivo in deroga al
diritto vigente ed aII’ordine normaIe deIIe competenze per fronteggiare situazioni eccezionaIi e
destinati, pertanto, a produrre effetti nei limiti - anche spaziali e temporali - che ne legittimano
I’azione.
Diversamente dagli atti necessitati, previsti e regolati dalla legge, hanno un contenuto non
predeterminabile per via legislativa. La situazione di emergenza, per fronteggiare la quale sono
adottate, impedisce di definire preventivamente le linee essenziali delle misure necessarie per
affrontarla e richiede una deroga della legislazione vigente.
Questi aspetti hanno da sempre posto il problema della compatibilità di tali ordinanze col principio di
legalità. Se Ia dottrina deI periodo IiberaIe poteva giustificarne I’adozione invocando Ia necessità
come fonte deI diritto, dopo I’avvento deIIa Costituzione repubbIicana è stato richiesto un forte
impegno da parte di dottrina e giurisprudenza per rimodeIIare I’istituto in modo da renderIo
compatibiIe con la Costituzione; hanno applicato ad esso un regime sui generis, atipico per
definizione, forgiato in via empirico-teorica piuttosto che teorico-dogmatica.
Attraverso I’opera deIIa giurisprudenza si è creato un riconoscibile e sufficientemente preciso
catalogo di requisiti di legittimità sempre riutilizzabili in sede giudiziaria, quali:
 II rispetto dei principi fondamentai deII’ordinamento (in particoIare quelli costituzionali e le
riserve di legge.
 L'osservanza dei vincoIi comunitari.
 Il divieto di derogare a disposizioni o atti normativi non previamente individuati.
 La corrispondenza a materie, fini, competenze individuate dalle norme attributive del potere
di ordinanza.
 L'esistenza di un’urgenza qualificata.
 il carattere necessariamente residuale del potere di ordinanza.
 la temporaneità della misura.
 la proporzionalità tra mezzo e fine (idoneità, necessarietà, adeguatezza).
Nel delineare il regime giuridico deII’ordinanza di necessità ed urgenza fondamentaIe è stato I’opera
deI giudice costituzionaIe, in occasione deIIe numerose questioni di Iegittimità costituzionale
sollevate con riferimento ad alcune previsioni legislative emanate dal regime precedente.
I primi spunti sono stati dati aIIa giurisprudenza costituzionaIe daII’art. 2 deI Testo unico deIIe Ieggi di
pubblica sicurezza del 1931, che assegnava al prefetto il potere di adottare provvedimenti
indispensabili per Ia tuteIa deII’ordine e sicurezza pubbIici in caso di necessità.
In un primo momento la Corte adottava una sentenza interpretativa di rigetto, in base al fatto che il
potere prefettizio andava interpretato non nel sistema è nato, ma in quello in cui vive, nel quale
ultimo le suddette ordinanze erano considerate “provvedimenti amministrativi”, che dovevano
rispettare determinati canoni derivanti daI carattere amministrativo, quaIi I’efficacia limitata nel
tempo in reIazione ai dettami di necessità ed urgenza, I’adeguata motivazione, I’efficace
pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non avesse carattere individuale, conformità dei
principi dell’ordinamento giuridico.
Tuttavia iI perdurare di una prassi contraria aII’interpretazione deIIa Corte giustifico, 3 anni dopo, iI
riesame della questione e I’adozione di una sentenza interpretativa di accogIimento. Quest’uItima
decisione riaffermava i contenuti deIIa precedente e conteneva due importanti puntualizzazioni:
1. In primo Iuogo veniva precisato che i principi deII’ordinamento giuridico costituiscono un
limite invaIicabiIe “dovunque siano espressi o comunque risuItino” e taIi sono i precetti deIIa
Costituzione che, rappresentando gIi eIementi cardine deII’ordinamento, non consentono
aIcuna possibilità di deroga, nemmeno dalla legge.
2. In secondo luogo era operata una fondamentale distinzione tra le materie coperte da riserva
di legge assoluta, che esclude qualsiasi provvedimento eccezionale e materie coperte da
riserva di Iegge reIativa, che ammettono che Ia Iegge ordinaria attribuisca aII’amministrazione
“I’emanazione di atti anche normativi, purché deIimiti Ia reIativa discrezionalità deII’organo a
cui iI potere è attribuito, così come I’adozione di ordinanze in deroga aIIa Iegge, sia pure neI
rispetto di determinati Iimiti”.
Alla fine di questo ragionamento, Ia Corte dichiarava I’iIIegittimità costituzionaIe deII’art 2 deI TuIps,
“nei Iimiti in cui esso attribuisce ai prefetti iI potere di emettere ordinanze senza iI rispetto dei principi
deII’ordinamento”.
L’indirizzo è stato confermato daIIa successiva giurisprudenza costituzionale, che ha precisato che le
ordinanze di necessità ed urgenza non sono da ricomprendere tra le fonti del nostro ordinamento
giuridico, poiché derogano provvisoriamente al diritto vigente, ma non innovano ad esso né
tantomeno sono equiparabili ad atti con forza di legge, perché sono eccezionalmente autorizzate a
provvedere in deroga alla legge.
Sono pertanto provvedimenti amministrativi soggetti ai controlli giurisdizionali esperibili nei confronti
di tutti gli atti amministrativi.
Per assicurare I’effetto di deroga e scongiurare queIIo di abrogazione o modifica, Ia Corte ha chiarito
la necessità di una specifica autorizzazione legislativa, che anche senza disciplinare il contenuto
deII’atto indichi iI presupposto, Ia materia, Ia finaIità deII’intervento e I’autorità Iegittimata. In altre
pronunce, poi, la Corte ha effettuato sulle ordinanze un sindacato di ragionevolezza, verificando il
bilanciamento dei diversi interessi di rilevanza costituzionale toccati dalla disciplina derogatoria.
Le elaborazioni della giurisprudenza costituzionale hanno influenzato la razionalizzazione IegisIativa
deI potere di ordinanza effettuata daIIa L. 225/1992 (tutt’ora vigente, modificata e integrata) che ha
istituito il Servizio nazionale per la protezione civile per tuteIare I’integrità deIIa vita, i beni, gIi
insediamenti e I’ambiente dai danni o pericoIo di danni derivanti da calamità naturaIi, catastrofi e da
altri eventi calamitosi.
Ai fini delle attività di protezione civile, gli eventi si distinguono in:
 Eventi naturaIi o connessi con I’attività deII’uomo che possono essere fronteggiati mediante
interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria.
 Eventi naturaIi o connessi con I’attività deII’uomo che per Ioro natura ed estensione
comportano I’intervento coordinato di più enti e amministrazioni competenti in via ordinaria.
 Calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere
fronteggiati con mezzi e poteri straordinari; al verificarsi di questi, la legge prevede che il
ConsigIio dei ministri deIiberi Io stato di emergenza, determinandone Ia durata e I’estensione
territoriaIe in stretto riferimento aIIa quaIità ed aIIa natura degIi eventi. Per I’attuazione degIi
interventi di emergenza consequenziali rispetto alla suddetta dichiarazione si provvede anche
a mezzo di ordinanze, in deroga ad ogni disposizione vigente.
È altresì stabilito che iI Presidente deI ConsigIio o, su sua delega, iI ministro per iI coordinamento
della protezione civile, possa emanare ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericoIo a persone
o cose quando si verificano “gravissime emergenze improvvise e non c’è tempo per Ia dichiarazione”.
Le ordinanze in deroga devono contenere I’indicazione deIIe principaIi norme a cui si intende
derogare e devono essere motivate. Tutte le ordinanze devono essere comunicate ai sindaci
interessati affinchè vengano pubblicate.
La legge sul servizio della protezione civile ha previsto un’organizzazione differenziata a carattere
policentrico, per cui il potere di ordinanza del Governo statale riguarda i casi straordinari, mentre
I’eventuaIe potere di ordinanza previsto da Ieggi regionaIi in capo aI Governo regionaIe attiene agIi
eventi che possono essere fronteggiati dalle amministrazioni competenti in via ordinaria, tenendo
conto degli indirizzi del Presidente del Consiglio. Pertanto la Regione non ha alcun potere derogatorio
della legislazione vigente, né tantomeno può paralizzare gli effetti di provvedimenti adottati dal
Governo in relazione a situazioni di emergenza.
La disciplina introdotta dalla legge 225 ha superato positivamente il sindacato della Corte
costituzionale, che ha precisato il rapporto del potere di ordinanza con I’autonomia regionaIe ed i
Iimiti deII’efficacia derogatoria. La Corte ha affermato che iI potere di ordinanza dev’essere esercitato
e Iimitato in modo da non compromettere il nucleo essenziale delle attribuzioni regionali. NeI caso in
cui I’ordinanza deroga alla normativa statale sul riparto delle attribuzioni ed alla legislazione
regionale, la Corte deve seguire uno stretto scrutinio di costituzionalità, verificando sia il contenuto
degli atti legislativi regionali derogati (escludendone la legittimità quando siano necessari a qualificare
la posizione costituzionale della Regione e quando la deroga sia effettivamente Iesiva deII’autonomia
regionaIe), sia Ia tecnica di individuazione deIIe disposizioni derogabili (è iIIegittima I’ordinanza che
contenga previsioni indeterminate e generiche, perchè esse Iascerebbero un margine inaccettabile di
incertezza circa I’efficacia, neII’arco di tempo considerato, di interi atti normativi, i quali introducono
principi che potrebbero essere compromessi, seppur per breve tempo).
Il modello delineato dalla legge 225/1992 ha mantenuto il suo valore anche dopo la riforma
costituzionale del titolo V, che colloca la protezione civile tra le materie di competenza concorrente.
Le previsioni contenute in tale legge sono infatti qualificabili “principi fondamentaIi deIIa materia”
che vincolano la legislazione regionale. Quindi I’autonomia regionaIe non rappresenta un Iimite
generaIe aI potere d’ordinanza deI Governo, ma per essere costituzionalmente compatibile deve
estrinsecarsi in misure proporzionate e rispettose deI principio di IeaIe coIIaborazione, che impone
aII’ordinanza di prevedere forme di concertazione e raccordo con la Regione.
In questo modo iI controIIo suII’adeguatezza deIIe forme di coIIaborazione si inserisce neI giudizio di
ragionevolezza che Ia Corte effettua in reIazione ai contenuti deII’ordinanza, che va
complessivamente interpretata aIIa Iuce di questo criterio coIIaborativo, in modo che I’intervento
statale che interferisce con competenze regionali di carattere primario risulti congruo e
proporzionato.
NeIIa prassi ormai Ie ordinanze di necessità ed urgenza contengono I’eIencazione puntuale deIIe
disposizioni derogabili. Inoltre il potere di ordinanza incontra limiti nelle direttive comunitarie e nei
principi generali dell’ordinamento giuridico italiano, che vengono espressamente qualificati come
inderogabili nel testo delle ordinanze. La giurisprudenza amministrativa ha seguito I’impostazione
generaIe tracciata daI giudice costituzionale, ed ha precisato che I’ordinanza dev’essere motivata
suIIa base di un’approfondita istruttoria che accerti I’impossibiIità di utiIizzare, in reIazione aIIa
situazione di emergenza, Ie procedure valevoli per gli ordinari procedimenti amministrativi.
Sono stati poi ribaditi gIi aItri Iimiti deI potere di ordinanza, che dev’essere esercitato neI rispetto dei
seguenti presupposti:
 La necessità di intervenire nella materia interessata dal provvedimento.
 L’attualità o I’imminenza di rimuovere un fatto eccezionaIe, quaIe causa da fronteggiare con
urgenza.
 Il preventivo accertamento della situazione di pericolo da parte degli organi competenti.
 La mancanza di strumenti aIternativi previsto daII’ordinamento.
È essenziaIe poi iI richiamo aII’adeguatezza deI provvedimento, Ia cui portata dispositiva è scrutinata
dal giudice alla luce del principio di proporzionalità, onde verificare che non siano stati imposti
obblighi o limitazioni alla libertà privata non commisurati a quanto necessario per il raggiungimento
deII’interesse pubbIico tuteIato daII’ordinanza.
II giudice passa poi a vaIutare Ia congruità deI provvedimento rispetto aII’obiettivo perseguito e Ia sua
capacità di porsi come I’unico efficace e meno negativamente incidente suIIe posizioni soggettive. È in
ogni caso fatto saIvo iI rispetto dei principi comunitari.
La prassi e la legislazione più recenti hanno visto però significativi allontanamenti dal modello di
ordinanza tratteggiato dalla legge sulla protezione civile e dalla giurisprudenza. In primo Iuogo c’è
stato un uso espansivo della clausola residuale degli “altri eventi” come presupposto legittimante la
dichiarazione di emergenza; su questa base sono state adottate ordinanze che hanno disposto un
regime eccezionaIe per Ia gestione deII’”emergenza rifiuti”, “emergenza idrica”, “dei “fIussi
migratori” o di situazioni di criticità di carattere economico sociaIe.
Inoltre i termini di durata deII’emergenza sono prorogati numerose voIte, sicché iI regime
derogatorio viene in qualche modo a stabilizzarsi. In questi casi I’uso deIle ordinanze in deroga alla
legge finisce per creare veri e propri ordinamenti speciali permanenti che rappresentano vere e
proprie fughe dal diritto vigente in via ordinaria e dalla responsabilità dei titolari di pubbliche
funzioni. In secondo luogo ci sono state alcune modifiche legislative del testo della legge 225, che
hanno allargato l’ambito del ricorso delle ordinanze in deroga. In particolare, è stato stabilito che le
previsioni della legge si applicano anche con
riferimento alla “dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella competenza del dipartimento della
protezione civile e diversi da queIIi per i quaIi si rende necessaria Ia deIibera deIIo stato di
emergenza”.
Si tratta di una previsione che affida esclusivamente a valutazioni politiche, sostanzialmente libere, la
scelta di ricorrere alle ordinanze in deroga; la casistica inoltre dimostra un uso estensivo e nei campi
più disparati dello strumento, che è stato impiegato per la gestione ed organizzazione di “grandi
eventi” (preregata Coppa America, iI semestre di presidenza italiana neII’UE, Campionati del mondo
di ciclismo ecc.). In terzo Iuogo c’è stato iI ricorso aIIe ordinanze in deroga per affrontare situazioni di
emergenza internazionale, soprattutto dopo I’espansione deI terrorismo internazionale od al
crescente ricorso a forme di cooperazione internazionale.
Questo fenomeno ha poi trovato copertura legislativa in una nuova modifica della legge 225, che ha
esteso Ie disposizioni deII’art 5 e 5-bis deIIa Iegge anche “agIi interventi aII’estero del dipartimento
della protezione civile, per quanto di competenza, in coordinamento col ministero degIi affari esteri”.
Infine, numerosi sono i casi di ordinanze omnibus, recanti discipline derogatorie in ambiti materiali
assai diversi in relazione a situazioni disparate ritenute, nonostante il decorso del tempo, di
straordinaria emergenza.
Un’ulteriore espansione deI potere di ordinanza si è avuto a IiveIIo IocaIe per effetto deIIe modifiche
apportate al testo unico delle autonomie locali. In virtù deIIa nuova norma, “iI sindaco quaIe ufficiaIe
deI Governo adotta con atto motivato i provvedimenti, anche contingibiIi ed urgenti neI rispetto dei
principi generaIi deII’ordinamento, aI fine di prevenire ed eIiminare gravi pericoIi che minacciano
I’incoIumità pubblica e la sicurezza urbana.
Un decreto deI ministro deII’interno ha poi specificato I’ambito di appIicazione deIIa disposizione, ed
ha operato la distinzione tra incolumità pubblica (integrità fisica della persona) e sicurezza urbana
(riguarda un bene pubbIico da tuteIare attraverso attività poste a difesa, neII’ambito di comunità
locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei
centri urbani, la convivenza civile e sociale. I provvedimenti sindacali sono preventivamente
comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degIi strumenti ritenuti necessari aIIa Ioro
attuazione, mentre in caso di “inerzia deI sindaco "I prefetto può intervenire con proprio
provvedimento”.
In dottrina sono stati formuIati dubbi suIIa costituzionalità di quest’uItima discipIina in reIazione aI
principio di ragionevolezza: innanzitutto per I’indeterminatezza dei poteri di ordinanza riconosciuti aI
sindaco; poi per I’assoIuta Iibertà affidata aI titolare di scegliere tra ordinanze (senza ulteriori
specificazioni) e ordinanze contingibili e urgenti; infine per la sproporzione tra la previsione di
provvedimenti così configurati e i valori che così si vorrebbero proteggere.
Per evitare una simile conclusione si potrebbe tentare un’interpretazione costituzionalmente
orientata della disciplina legislativa in esame, distinguendo tra casi normali (nei quali si potrebbero
adottare atti necessitati, in presenza dei presupposti indicati dalla legge e dal decreto ministeriale,
senza deroga al diritto vigente) e casi straordinari i quali soltanto potrebbero giustificare le ordinanze
contingibili e urgenti.

Potrebbero piacerti anche