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ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE

CAPITOLO 1. IMPRESA COME SISTEMA, IL RAPPORTO


IMPRESA-AMBIENTE
L'impresa viene vista come un sistema vitale che interagisce con l'ambiente in cui è posto.
È importante capire anche i soggetti con cui l'impresa entra a contatto e le forze
competitive con cui essa si confronta.

L'IMPRESA COME SISTEMA


L'impresa è un sistema.
L'impresa la possiamo considerare come un insieme di risorse e di attori, che instaurano
tra di loro delle relazioni al fine di poter svolgere determinate attività che l'impresa si
prefigge di svolgere.

Le risorse sono fondamentali: sono la base, e consentono all'impresa di svolgere la sua


attività.
Le risorse sono tangibili e intangibili, perché non abbiamo solo un insieme di materiali,
liquidità ecc che l'imprenditore attiva per dar vita alla sua attività, ma sono anche risorse
più immateriali (es, la reputazione, i marchi che gestisce, il saper fare).
Tra le risorse c'è anche un fattore umano, interno all'impresa, che agisce anche con soggetti
esterni e dunque tutti gli attori con cui l'impresa viene a contatto.
Le risorse vengono usate per gestire relazione con i vari attori.

Tutto questo ha l'obiettivo di svolgere attività specifiche. Infatti l'impresa è un sistema


vitale che si modifica nel tempo (cambiano gli obiettivi, le persone che ne fanno parte, i
sistemi tangibili che la compongono).
Le risorse e gli attori sono in costante interazione tra di loro.

L'impresa è un organismo che si evolve nel tempo e che quindi può essere studiato in un
certo momento storico, in un certo luogo geografico.
Essendo un sistema, significa che l'impresa è molto di più che la somma delle sue
componenti, perché l'interazione consente di creare un valore ulteriore.
Il concetto di sistema è un concetto complesso da studiare e da gestire.
Infatti, se andiamo a specificare meglio questo sistema possiamo considerare un'impresa
da tre punti di vista:
1. l'impresa è un sistema cognitivo: essa apprende, deve imparare ad apprendere e
deve saper apprendere. È un sistema che si basa sulla conoscenza ed è volto ad
arricchire la conoscenza, che non è solo una conoscenza interna in quanto essa è
influenzata anche dall'ambiente
2. l'impresa è un sistema complesso: non è una semplice sommatoria di componenti,
ma è una combinazione che è molto di più delle singole parti

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3. l'impresa è un sistema gerarchico: si basa su relazioni di tipo gerarchico. È fatta da
sottoinsiemi legati tra loro da un rapporto di subordinazione che si creano all'interno
dell'organizzazione.
Il sistema impresa è fortemente composto da due elementi che bisogna tenere in
considerazione perché sono strettamente interrelati tra di loro.
Il sistema impresa è fatto da:
1. PATRIMONIO GENETICO: è come il DNA dell'impresa; è l'insieme di
imprenditorialità, risorse e relazioni con cui si può avviare l'attività dell'impresa.
Bisogna gestire le relazioni interne ed esterne per poter avviare l'attività.
Esso si evolve nel tempo, non è statico proprio perché l'impresa si modifica e si sviluppa.
Esso ha un suo ciclo, ma ci sono una serie di fattori che lo possono modificare.
Il patrimonio genetico è una base sui cui definire il progetto strategico che l'imprenditore
vuole perseguire.
2. PROGETTO STRATEGICO: la strategia ci permette di dare una continuità nel tempo e
ci dà le possibilità per svolgere le attività d'impresa.
Dobbiamo mettere in atto la visione (vision) e la missione (mission), le quali devono essere
messe in pratica attuando una certa strategia competitiva. C'è anche una terza
componente, ovvero il modello di generazione, sviluppo e utilizzazione delle risorse che ho
a disposizione.

ILLYCAFFE'

La Illycaffè è un'icona dell'alto livello qualitativo dell'offerta dei suoi prodotti.


Mission: deliziare gli amanti della qualità della vita (aspetto qualitativo relativo al life-style)
nel mondo.
Vision: Vogliono essere, nel mondo, punti di riferimento della cultura e dell’eccellenza del
caffè. Un’azienda innovativa che propone i migliori prodotti e luoghi di consumo e che,
grazie a ciò cresce e diventa leader dell’alta gamma.
Valori: L’Etica. Creano e condividono con gli stakeholder valore di lungo termine tramite il
nostro impegno nel miglioramento, nella trasparenza, nella sostenibilità e nello sviluppo
personale.
L’Eccellenza. Vogliono entusiasmare i clienti, creando esperienze e prodotti
straordinariamente buoni, belli e ben fatti, lavorando velocemente ed efficientemente alla
soddisfazione dei loro bisogni e desideri.

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COCA- COLA
Parole chiave:
• dissetare
• unione
• calore
• dipendenza --> aspetto negativo
• bevanda
E' il leader indiscusso nell'ambito di questo tipo di bevanda.
È una multinazionale con brand globale.
Mission: refresh the world, ottimismo e felicità; creare valore e fare la differenza --> la
missione definisce lo scopo di un'azienda in quanto tale.
Vision: è il quadro di riferimento della tabella di marcia di ogni azienda.
Persone, portfolio, partner, pianeta, profitto, produttività --> tutti questi concetti iniziano
per P: vi è un approccio al marketing; ci danno un insieme di lettere iniziali per darci un
acronimo.
Persone: essere un luogo di lavoro ideale, dove le persone sono ispirate a dare il
meglio
Portfolio: offrire bevande di qualità, che anticipano e soddisfano i desideri e le
esigenze delle persone
Partner: alimentare una rete vincente di clienti e fornitori e creare insieme valore
reciproco e duraturo
Pianeta: essere un cittadino responsabile che fa la differenza aiutando a costruire e a
supportare comunità sostenibili
Profitto: massimizzare il rendimento a lungo termine per gli azionisti nella
consapevolezza delle nostre responsabilità globali
Produttività: essere un'organizzazione efficace, snella e dinamica

Mission --> scopo, obiettivi


Vision --> come perseguire gli obiettivi

Mission, vision e valori sono la bussola che deve aiutare tutta l'organizzazione per
raggiungere gli obiettivi dell'azienda.
Il patrimonio genetico influenza il modo in cui definiamo il progetto strategico dell'impresa,
ma può avvenire anche il contrario, in quanto si vuole crescere.

OBIETTIVI DEL SISTEMA IMPRESA

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L'impresa ha questa commistione molto forte tra il modo in cui utilizza le risorse in
relazione con gli attori.
Gli obiettivi di chi governa l'impresa sono diversi dai soggetti portatori d'interesse
(stakeholders), i quali possono essere interni ed esterni.
L'imprenditore ha il compito di conciliare gli obiettivi dell'impresa con chi lavora all'interno
e chi porta interessi nei confronti di essa.
L'impresa non coincide con l'imprenditore. L'impresa è un sistema che ha una propria
identità.

Quali sono gli obiettivi che si pone l'impresa?


Obiettivi in termini economici.
L'obiettivo ultimo è quello di crescere e di svilupparsi.

Bisogna certamente essere efficienti e cercare di aumentare la dotazione di risorse da cui si


è partiti --> incremento del patrimonio di risorse e di utilizzarle al meglio --> efficacia ed
efficienza.

EFFICACIA= un'impresa è efficace quando cerca di massimizzare il valore che crea.

EFFICIENZA= si pone l'accento sulla minimizzazione dei costi. Un'impresa è efficiente se


minimizza i costi di produzione che deve sostenere.

Non sempre si può perseguire l'efficacia se si è particolarmente volti all'efficienza, e


viceversa.

Queste tre componenti (equilibrio economico, incremento del patrimonio di risorse,


migliore utilizzazione delle risorse) devono consentirci di mantenere le condizioni per
soddisfare gli obiettivi dei vari stakeholders e per farlo bisogna capire le modalità e i criteri
con cui mettere a sistema gli obiettivi dei portatori di interesse.
L'obiettivo finale è l'evoluzione dell'impresa. Non bisogna mantenere lo Status quo.

L'AMBIENTE IN CUI L'IMPRESA E' COLLOCATA

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L'ambiente in cui l'impresa è collocata è l'insieme di attori e condizioni, che danno vita ad
una serie di minacce ed opportunità.

Nell'ambiente ci sono tanti attori che operano - non solo l'impresa- che possono essere
concorrenti diretti/indiretti, ovvero soggetti che possono influenzare l'attività.
L'imprenditore deve essere bravo nel cercare di capire le condizioni che si vengono a creare
nell'ambiente e che possono influenzare le sue scelte e il suo progetto strategico.

L'avanzamento tecnologico, ad esempio, può essere per l'impresa e per l'imprenditore


un'opportunità ma anche una minaccia (può essere una minaccia ad esempio per i tassisti).
Nokia è un impresa finlandese; nella prima parte del nuovo millennio era il leader del
mercato, ma oggi non lo è più ed ha grandi difficoltà.
Nokia ha avuto dei problemi perché non ha capito il cambiamento dei sistemi operativi
nell'ambito tecnologico, e ha perso il suo vantaggio competitivo.
Anche il settore della fotografia è cambiato negli ultimi anni perché ha subito i processi e
progressi tecnologici (ad esempio la Kodak).

L'imprenditore deve continuamente monitorare l'ambiente della propria impresa, per


capire le condizioni che si vengono a creare, in modo da poterle utilizzare a proprio
vantaggio.

TELEFONI CELLULARI

Guardando la situazione delle imprese di cellulari che avevano la leadership fino a pochi
anni fa, la Nokia era l'azienda leader.
Samsung, che oggi è il leader, tempo fa era molto distante dalla Nokia.
Dal 2010 la situazione inizia a cambiare: Nokia inizia a calare, mentre Samsung aumenta in
quegli anni.
Se guardiamo la situazione dei sistemi operativi possiamo capire il perché c'è stato questo
cambiamento nell'ambito dei telefoni cellulari.
Oggi la sfida è legata al sistema operativo che si utilizza.
Nel 2008 Android aveva una quota bassissima. Era tutto legato al sistema operativo della
Nokia.

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Dal 2008 al 2010 c'è stato un calo di alcuni sistemi operativi (come quello della Nokia),
mentre crescono Android e altri sistemi.
Nel momento in cui la tecnologia cambia e si hanno gli smartphone, questo diventa
un'opportunità per alcuni ed una minaccia per altri.

Cosa è accaduto dopo il 2010?


In pochissimi anni il sistema operativo della Nokia ha avuto un crollo totale; si parla di archi
temporali brevissimi e questo significa che avere un vantaggio competitivo in un certo
momento non assicura niente.
C'è invece stata un'impennata del sistema operativo Android.

Che impatto ha avuto il cambio di sistema operativo all'interno delle aziende?


Il cambio da Symbiam ad Android porta ad un'inversione delle quote di mercato.
In breve tempo Samsung diventa il leader di mercato.
Inizia anche l'ascesa della Apple.
Mentre Motorola, che negli anni '90 era estremamente importante sul mercato, crolla.

La situazione oggi sta iniziando a cambiare ulteriormente.


La tabella seguente rappresenta le vendite annuali di smartphones nel 2014-2016 dei
principali brend del settore, e le quote di mercato a livello mondiale:

Il leader è Samsung sia a livello di numero di smartphone venduti, sia a livello di quote sul
mercato, a partire dal 2012. Però notiamo che esso sta calando.
Nella quota dell'anno 2016 dell'ultimo semestre la Apple ha superato Samsung.
Alcuni Samsung hanno avuto una serie di problemi che hanno inciso sul mercato.

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La tecnologia è cambiata e ciò ha portato ad un cambiamento radicale.

La Apple nell'ultimo semestre del 2016 ha aumentato la sua quota di mercato e ha


aumentato la vendita degli smartphone rispetto alla Samsung, che nonostante ciò ha
mantenuto la sua leadership.
Samsung deve stare attenta perché in questo settore in pochi anni può perdere la propria
leadership.
Nell'ultimo periodo del 2016 ci fu un grosso scandalo che ha coinvolto Samsung riguardo al
suo ultimo prodotto uscito.
Questa conseguenza fa presagire una problematica da parte di Samsung. Ma ciò è anche
un'opportunità per gli altri attori.
Nel giro di pochi anni, il quarto e quinto posto vedono l'affermazione di imprese che prima
non c'erano.

L'AMBIENTE IN CUI L'IMPRESA E' COLLOCATA


In realtà, parlare di ambiente come un singolo concetto non è corretto.
Infatti il concetto di ambiente lo possiamo declinare in tre livelli.
Il discrimine tra i tre livelli è l'intensità di interazione tra l'impresa e l'ambiente che teniamo
in considerazione:
• ambiente esteso: è il concetto di ambiente più ampio. Comprende tutti gli attori e
condizioni che l'impresa da sola riesce a influenzare, ma spesso sono attori e
condizioni da cui è influenzata, o che può influenzare solo in parte. È un concetto
difficile da determinare in modo netto.
• ambiente competitivo: ci avviciniamo ad un concetto più ristretto in cui andiamo a
confrontarci con attori e condizioni che ci possono riguardare come imprese nello
svolgimento della nostra attività. Se nell'ambiente esteso l'impresa ha un grado di
influenza ristretto, nell'ambiente competitivo si è in un ambiente in cui l'impresa
influenza, oltre che ad essere influenzata, attori e condizioni.
• ambiente competitivo specifico del business: ci delimita ulteriormente gli attori e le
condizioni che sono specificatamente legati al business che si svolge.
Se un'impresa opera in un unico tipo di business (smartphones), in quel caso l'ambiente
competitivo specifico del business va a coincidere con l'ambiente competitivo.
Nel caso in cui l'impresa gestisca più ambiti di business diversi, si deve ricorrere ad
un'analisi legata specificatamente nei singoli business in cui opera.

Questi tre livelli hanno interazioni l'uno con l'altro, poiché sono interdipendenti l'uno
dall'altro.
L'azienda ha spinte competitive provenienti da altri business.
Basti pensare all'influenza che lo Stato ha sul mercato. Esso può creare occasioni di
opportunità e minaccia ad un'azienda, le quali vanno ad influenzare l'attività di impresa.

L'AMBIENTE ESTESO DELL'IMPRESA: GLI ATTORI

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Nell'ambiente esteso possiamo individuare otto tipologie di attori:
1) concorrenti: sono una grande forza estremamente importante da monitorare,
comprendere, analizzare e di cui vanno tenute in considerazione le azioni e le
invenzioni. Anche perché il concetto di player concorrenti è un concetto di
concorrenti diretti e indiretti.
Una grande impresa fortemente affermata sul mercato affronta la concorrenza in un altro
modo rispetto alla microimpresa
2) clienti finali (acquirenti): non sono solo i consumatori in senso stretto e gli shopper.
Essi sono coloro a cui l'impresa rivolge la sua offerta. Possono essere clienti attuali, ma
l'impresa si deve porre in un'ottica evolutiva quindi non deve solo pensare a mantenere la
clientela attuale ma deve anche proporsi di incrementare i clienti.
I clienti possono anche essere clienti intermedi: ad esempio un produttore di semilavorati,
un distributore, un grossista.
L'aggregato dei clienti finali può essere molto vario (clienti diretti e indiretti, e bisogna
tener presenti anche i clienti potenziali)
3) fornitori: sono coloro da cui l'azienda acquista gli input(che possono essere primari
o secondari). Anche essi sono soggetti fondamentali, perché il loro modo di evolversi
può cambiare le condizioni alla base del vantaggio competitivo e per la creazione di
valore
4) distributori: anche essi possono essere diretti o indiretti

--> questi quattro gruppi di attori servono per capire meglio l'ambiente competitivo. Essi
sono soggetti con cui vi è un'interazione più stretta e formano l'ambiente competitivo di
riferimento. Vi sono anche altre tipologie di attori nell'ambiente esteso; con essi
l'interazione è meno forte:
5) investitori: sono gli azionisti, gli Istituti Finanziari ; sono soggetti a cui l'impresa
chiede risorse. Essi sono soggetti che l'impresa può influenzare poco, ma essi
possono influenzare molto le scelte dell'impresa. Hanno dunque grandi poteri. Gli
istituti finanziari forniscono all'impresa molte risorse economiche
6) autorità pubbliche: organi internazionali, UE, Governi nazionali, Governi locali, Enti
di vigilanza. Essi possono essere a diversi livelli. Le autorità pubbliche sono un
gruppo variegato di attori sia per ambiti geografici che per identità, i quali possono
influenzare l'impresa

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7) forze sociali: partiti politici, gruppi di opinione. Sono un gruppo di attori che oggi le
imprese devono tenere in forte considerazione
8) altri organismi rilevanti: università, organi di comunicazione ecc. Sono soggetti che
fanno ricerca, e le loro ricerche sono strumenti che possono incidere sull'attività
dell'azienda.

LE INFLUENZE DELL'AMBIENTE SULL'IMPRESA


Di questi attori: con alcuni l'impresa ha un grado di influenza passivo (investitori, autorità
pubbliche, forze sociali, altri organismi rilevanti); con altri invece l'azienda ha la possibilità
di interagire ed essa non solo è influenzata, ma può anche influenzare (concorrenti,
fornitori, distributori, clienti finali).

L'AMBIENTE ESTESO DELL'IMPRESA


L'ambiente esteso dell'impresa è l'insieme di attori (già nominati precedentemente) e di
condizioni:
1. condizioni di ambiente economico: bisogna tener conto di alcuni macro elementi:
- livello e distribuzione del reddito
- cambiamenti nel potere d'acquisto --> cambiano sostanzialmente le condizioni del
contesto in cui andiamo ad operare
- prospettive occupazionali
- efficienza e costo di servizi pubblici
- debito e deficit di Stato/Regioni
Questi elementi possono essere delle opportunità o delle minacce.
2. condizioni di ambiente tecnologico:
- ritmo di innovazione tecnologica
- grado di protezione brevetti
- spesa pubblica e tasso di crescita di investimenti pubblici e privati in R&S (es. Nokia in
Finlandia; Samsung in Korea)
- diffusione di tecnologie trasversali (microelettronica, internet, nanotecnologie)
- tasso di introduzione di nuovi prodotti
3. condizioni di ambiente politico-istituzionale:
- politica fiscale e dei redditi
- regolazione della distribuzione commerciale
- disciplina del lavoro
- disciplina della concorrenza e regolamentazione dei settori
- protezione del consumatore/ associazionismo a difesa del pubblico interesse
- politica ambientale
4. condizioni di tipo socio-culturali:
- struttura della popolazione
- struttura sociale
- cambiamento della famiglia e dei ruoli (condizione professionale della donna;
indipendenza e responsabilità dei giovani negli acquisti). Essendo cambiato il ruolo della
donna è nata l'esigenza anche di vendere prodotti per un pubblico femminile
- evoluzione di valori culturali (individualismo vs integrazione/partecipazione --> consumo
equo solidale. Atteggiamento vs prodotti nazionali/esteri. Salute e consumo)

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IL CASO CADILLAC
Cadillac è una marca di grande
tradizione nel passato.
La Cadillac venne prodotta già nei primi
anni del 1900 e ha iniziato ad essere
negli anni '60 una marca di grande
importanza per gli Americani.
Vi era questo modo di dire: "Quando
muoio non voglio andare in paradiso.
Voglio andare in una Cadillac.

La Cadillac ad un certo punto è diventata


non più la macchina di lusso, ma divenne un'auto per le persone anziane.
Le donne non guidavano queste auto così grandi e lunghe.
Il tipo di servizio e la capacità di distribuire una rete capillare di servizio dei Giapponesi non
è paragonabile a quella degli imprenditori americani.

L'AMBIENTE PERCEPITO DALL'IMPRESA


L'impresa non è che valuti l'ambiente sempre in modo oggettivo perché la sua è una
valutazione comunque di un concetto e di un ambito che ha dei confini non sempre
estremamente definibili in modo chiaro, ed è l'ambiente costantemente in movimento.
Quindi quella che è l'analisi che l'impresa può fare dell'ambiente in cui opera è sempre
legata alla percezione che può avere di questo ambiente, degli attori e delle condizioni che
si vengono a creare.
Dunque si parla di un ambiente che non è sempre oggettivo. L'impresa lavora bene quando
riesce a rendere la sua percezione ambientale più vicina a quella che è la realtà effettiva.
L'ambiente è un ambiente percepito e quindi ci sono aspetti che hanno una natura
soggettiva.
In questo senso cosa può fare l'impresa? Essa tiene conto di questo aspetto e agisce
effettuando una riduzione selettiva di quella che è la complessità ambientale.
Quindi cerca di intraprendere un'azione basata sull'orientamento strategico di fondo
dell'impresa, cercando di attuare la riduzione selettiva dell'ambiente.
Ovviamente la percezione dell'ambiente dipende dalla capacità di lettura di ciò che avviene
oggi, in prospettiva da parte delle persone che operano nell'impresa.
Il cambiamento dell'impresa non è solo una determinante dell'ambiente ma dipende anche
dalla capacità dell'impresa di reagire e di evolversi in maniera coerente.
Perciò l'impresa prova a cercare di rendere compatibile il suo rapporto con l'ambiente:
l'impresa opera nell'AMBIENTE COMPETITIVO: sono le opportunità e le minacce che l'impresa
deve affrontare. L'impresa decide su quali porzioni dell'ambiente in cui è inserita vuole
attivare, quindi in questo c'è una deliberazione. L'impresa può fare tanto all'interno
dell'ambiente.
Dunque l'impresa è dotata di una sensibilità non deliberata ma anche sensibilità volontaria,
cioè qualcosa che essa stessa decide per l'attuazione di strategie.

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L'impresa deve tenere conto di come crescere in base all'ambiente competitivo e alle
energie acquisibili, in modo da rendersi adeguata alla risposta alle minacce piuttosto che
alle opportunità all'interno dell'ambiente.
Un elemento fondamentale da questo punto di vista è che l'impresa è un sistema cognitivo,
e dunque è un sistema che sa apprendere. Oltre ad essere un sistema cognitivo, l'azienda
deve non solo saper apprendere, ma anche imparare ad apprendere e come aumentare il
proprio bagaglio di conoscenze siccome essa è posta in un ambiente dinamico.

L'AMBIENTE COMPETITIVO
L'ambiente competitivo rispetto all'ambiente esteso ha la caratteristica di consentire
all'impresa di avere relazioni che non sono solo di tipo passivo, ma anche di tipo attivo.
L'impresa non solo subisce gli stimoli, opportunità e minacce, ma ha la capacità di poter
interagire con questi e di sfruttarli a proprio vantaggio.
L'ambiente competitivo è l'insieme degli attori con cui l'impresa stabilisce le relazioni in
modo sia attivo che passivo.
L'ambiente competitivo bisogna valutarlo in base al grado di ripetitività di queste
interazioni (cioè se sono spot, oppure se sono interazioni che invece si ripetono nel tempo.
Ad esempio parleremo di rapporti di lungo periodo, di mantenimento della relazione con la
clientela. Questo tipo di interazione è volta alla ripetitività nel tempo).
Bisogna considerare l'ambiente anche in base al grado di conflittualità presente all'interno
di un certo contesto. Il grado di conflittualità è il tipo di relazioni che si possono avere con
gli attori presenti nell'ambiente competitivo, e possono essere relazioni conflittuali ma
anche di tipo cooperativo. Questo è un aspetto recente e molto attuale: il termine
coopetition nasce per mettere insieme questi due aspetti --> collaborazione e competizione
al tempo stesso. Spesso in un certo ambiente si vengono a creare dei comportamenti di
coopetizione tra le due parti.
L'intensità delle interazioni possono cambiare nel tempo e dunque possono portare a
cambiare la configurazione dell'ambiente competitivo e a farlo evolvere in forme e
contenuti diversi rispetto a quelli che possono essere attualmente.

DEFINIZIONE DI SETTORE
Quando si parla di ambiente competitivo bisogna ripescare le logiche relative al settore.
Il modello delle cinque forze competitive è pensato all'interno di analisi settoriale.
Per capire l'ambiente competitivo è bene approfondire le forze competitive in esso
presenti.
Un settore può essere definito come l'insieme di imprese caratterizzate da alcune
caratteristiche di omogeneità che condividono. Esse hanno elementi comuni e le possiamo
assimilare perché:
• si dedicano alla produzione di beni e servizi che hanno l'obiettivo di soddisfare lo
stesso bisogno --> dunque esse fanno parte di uno stesso settore perché questo tipo
di imprese sono percepite dai possibili acquirenti come imprese sostituibili tra di
loro (es. Bisogno di alimentarsi --> settore alimentare; bisogno di relax e tempo
libero --> settore di entertainment). Un primo modo di definire un settore è di capire
se le imprese che vi operano vengono percepite come sostituiti da parte degli
acquirenti --> rispondono ad uno stesso tipo di bisogno

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• sostituibilità dal lato dell'offerta; imprese che producono beni e servizi attraverso la
stessa tecnologia e input (es. Il settore dei filati condivide alcune tecnologie
specificatamente dedicate al tessile; tecnologie laser --> bisogno di ascoltare musica,
chirurgie di precisione)
E' importante di capire il settore perché noi lo andiamo ad analizzare.

GLI AMBITI APPLICATIVI DELL'ANALISI DEL SETTORE


L'analisi del settore è fondamentale nell'analisi strategica.
L'analisi settoriale ha vari obiettivi:
• identificare i concorrenti e come si muovono. Ci aiuta a capire le basi su cui
competere per avere vantaggio competitivo. Ci permette di capire la redditività di un
certo settore --> ci fa capire se ci sono dei settori più redditizi di altri. Tramite
l'analisi settoriale possiamo capire su quali ambiti di business andare ad operare. Ci
permette di capire come si sta evolvendo un certo tipo di contesto --> in questo
modo le imprese in un settore possono capire se possono continuare ad operare e
come, se devono applicare delle strategie per poter competere in un settore.
• stimare la redditività potenziale
• individuare concorrenti,come competono e le loro strategie
• capire bene il vantaggio competitivo: è un risultato di una strategia; un impresa ha
vantaggio competitivo in ottica comparativa. Un vantaggio competitivo porta
l'impresa ad avere una redditività superiore rispetto alla media degli altri
concorrenti. Il vantaggio competitivo non è una strategia, ma è il risultato di una
strategia. Le basi sono l'individuazione dei fattori critici di successo per ottenere un
vantaggio competitivo
• comprendere le dinamiche presenti tra settori --> possiamo fare i confronti tra più
settori.

DETERMINANTI DELLA REDDITIVITA' DI SETTORE


L'obiettivo dell'impresa non è sopravvivere ma è la creazione di VALORE, che avviene
tramite la produzione di servizi.
Si ha creazione di valore quando il cliente è disposto a riconoscere al nostro bene un prezzo
che ecceda i costi, ma il valore per il consumatore non coincide con il prezzo.
Il valore che il cliente riconosce non diventa tutto profitto, perché vi sono dei costi da
considerare.

Π=p–c
LA CREAZIONE DI VALORE
La creazione di valore si ha quando c'è una differenza positiva tra il beneficio netto che trae
il consumatore, meno il costo totale sostenuto dall'impresa per la produzione di quel bene
o servizio: Bn – CT
Il beneficio netto è la differenza tra il beneficio percepito meno i costi del consumatore che
ha sostenuto per quel bene.

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Il costo totale per l'impresa è il costo dei vari materiali e servizi acquistati dai fornitori più i
costi che sostiene internamente per svolgere l'attività produttiva.
Maggiore è la distanza tra il beneficio netto e i costi totali, maggiore è il valore creato.

In tutto ciò gioca un ruolo anche il prezzo, in base a dove esso viene fissato si sposta di più
verso l'impresa o verso il consumatore.
Il prezzo è utilizzato per sostenere quanto va al consumatore e quanto all'impresa.

DETERMINANTE DELLA REDDITIVITA' DI SETTORE


Più alta è l'intensità competitiva tra i produttori, più alta sarà il potere contrattuale dei
clienti.
Più alto è il potere contrattuale dei fornitori, più i costi sostenuti dall'impresa per produrre
il bene saranno elevati.

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IL MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE (RISPETTO AL SETTORE)
1. concorrenza presente all'interno del settore --> intensità della concorrenza.
CONCORRENZA è diverso da COMPETITIVITA'. Se un'impresa è competitiva significa che è
capace di reggere bene la concorrenza, perché è brava a competere nel settore
2. potenziali entranti: soggetti che minacciano lo status quo e le condizioni di
redditività potenziali del settore
3. prodotti sostituti : se il mio prodotto può essere sostituito è una minaccia e quindi
devo tener conto dei prodotti sostituti
4. potere contrattuale acquirenti
5. potere contrattuale fornitori

Esempio: SETTORE DEL TRASPORTO AEREO


- concorrenti: compagnie aeree
- fornitori: carburante, velivoli, parti di sostituzione e di ricambi, servizi di catering, servizi
di manutenzione, assicurazione ecc --> cioè fornitori da cui vado ad acquisire gli elementi
che i servono per poter erogare il servizio di trasporto aereo
- clienti: passeggeri, merci
- entranti: nuove compagnie aeree
- sostituti: treni veloci, videoconferenze (possibilità di potersi vedere tramite skype e così
non vi è la necessità di doversi spostare fisicamente)

INTENSITA' DELLA CONCORRENZA: VARIABILI STRUTTURALI INTERNE AL SETTORE

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Ci sono elementi che determinano l'intensità della concorrenza:
grado di concentrazione del settore: è un elemento fondamentale. Lo si calcola in
base al fatturato in termini di valore o di volumi per singola impresa del settore.
Esso può essere misurato da due punti di vista:
- la quota di mercato assoluta: per calcolarla bisogna conoscere le vendite fatturato delle
imprese presenti nel settore, e mettere a rapporto le vendite fatturato dell'azienda che ci
interessa rispetto al totale.
- la quota di mercato relativa: ci calcola non rispetto all'accumulato dell'intero settore, ma
rispetto alla media delle imprese del settore.
L'indice di Hirschman-Herfindal è un indicatore che serve a calcolare la quota di
concentrazione relativa, ed è sostanzialmente il quadrato delle quote di mercato delle
imprese che fanno parte di un certo settore.
Se ho un settore molto
frammentato ho una piccola
quota delle tantissime
imprese che fanno parte del
settore.

Più le quote non sono equamente


ripartite, più questo
indicatore pesa di più.

grado di differenziabilità dell'offerta: più un prodotto è differenziato più questo fa si


che non possa essere sostituito in modo immediato, dunque il grado di
differenziabilità dell'offerta mi porta ad avere una minor intensità competitiva. Se
abbiamo tutti beni simili, l'unico elemento su cui si va a giocare è un confronto di
convenienza economica.
Esso interagisce sul grado di intensità della concorrenza.
Livello della domanda rispetto all'offerta: se ho un'offerta che eccede la domanda
si è più aggressivi per cercare di contendersi una fetta della stessa clientela.
In un settore maturo non ho più possibilità di crescita incredibili, quindi la competizione è
molto più forte rispetto ad altri.
Rapidità della riduzione d'offerta: stiamo parlando dell'influsso che le barriere
all'uscita possono generare sull'intensità della competizione. Le barriere all'uscita
sono fattori strutturali che condizionano la scelta dell'impresa se continuare ad
operare o no in quel settore. Sono ostacoli che impediscono o rallentano l'uscire dal
settore di un'impresa che vuole uscire: ci sono alcune imprese che sviluppano
impianti specifici per certi clienti --> ecco che si parla del grado di idiosincraticità
degli impianti (l'investimento che ho fatto fa sì che io sia ostacolato nella decisione
di uscire).

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Un altro ostacolo che può impedire all'impresa di uscire dal settore è se vi sono
interrelazioni tra più business: se ci sono interrelazioni tra più business diventa difficile
uscire perché poi si hanno delle ripercussioni anche sugli altri business.
Ci può essere l'intervento di attori istituzionali, che, con i loro interventi pongono delle
barriere all'uscita dal settore.
Ci possono anche essere fattori di resistenza interni all'impresa per evitarne l'uscita.
Struttura dei costi presenti nel settore (soprattutto il rapporto tra costi fissi e
variabili): se i CF sono particolarmente pesanti (e quindi vincolano molto le
imprese), questo può generare delle barriere all'uscita. Anche questo può essere un
ostacolo all'uscita dal settore.

INTENSITA' DELLA CONCORRENZA: MODALITA' DI MANIFESTAZIONE


Ci sono anche dei segnali per capire l'intensità della concorrenza (sono delle variabili
comportamentali che ci segnalano se la concorrenza è forte o meno):
● leva di prezzo: i prezzi di listino vengono cambiati molto spesso. Utilizzo la leva del
prezzo come elemento variabile per cercare di 'rubare' i clienti ad un'altra impresa.
● nuovi prodotti e grado di innovatività dei prodotti: ad esempio il settore degli
smartphone ha un livello con cui vengono lanciati nuovi modelli di smartphone e
anche un tasso di innovazione di principali modelli esistenti che è aumentato in
modo molto forte nel corso del tempo.
Anche il fatto che in un settore si lancino nuovi prodotti con un grado di innovazione molto
elevato ci fa capire che questo settore ha un grado di competizione alto.
● investimento in comunicazione: si investono tante risorse in comunicazione su vari
media perché si cerca di spostare la domanda verso il proprio brand: si cerca in un
qualche modo di differenziare il proprio prodotto dal punto di vista intangibile.
● investimento nell'accessibilità dei prodotti: si cerca di investire nel modo in cui la
domanda può accedere ai prodotti e servizi che vengono offerti. Basti pensare, ad
esempio, al cercare di migliorare la distribuzione dei propri prodotti, individuare le
location più attrattive in modo da essere visibili e sempre a disposizione dei clienti
che vogliono acquistare la nostra offerta sia di prodotti che di servizi.

MINACCIA DI NUOVI ENTRANTI


Analizziamo quali sono i fattori che possono influenzare quelle che sono le strategie delle
imprese in un certo settore rispetto ai soggetti che probabilmente potrebbero entrarvi.
I nuovi entranti possono essere anche delle minacce.
La pressione competitiva che tutti i soggetti possono apportare quando entrano è
maggiore del grado di crescita della domanda.
Da cosa deriva l'attrattività di un settore per questi soggetti e in che modo possono
entrare? Dobbiamo considerare la minaccia anche tenendo conto dei modi con cui essa
può essere possibile. L'ingresso di un concorrente, creando una nuova unità produttiva, va
ad alzare il livello di competizione.
Se invece egli decidesse di entrare acquisendo un'impresa esistente: nel breve periodo
l'offerta complessiva del settore non cambia, ma può cambiare nel medio o lungo periodo.
L'entrata va tenuta in considerazione perché può cambiare le modalità strategiche con cui
l'impresa ha lavorato fino a quel momento.

16
È influente anche il modo potenziale con cui questi entranti possono entrare.

Dobbiamo tenere in considerazione il concetto di barriera d'entrata. Dobbiamo capire se il


settore ha barriere alte o no --> se le ha alte è difficile per il nuovo entrante entrare, se
sono basse è invece più facile.
Le barriere sono di tre tipi:
1) barriere all'entrata istituzionali: sono fenomeni esogeni. Sono le barriere
determinate dalla legge.
2) barriere all'entrata strutturali: sono aspetti che caratterizzano fortemente il settore
e gli equilibri tra gli attori in esso operanti.
Dipendono da come avvengono le relazioni tra coloro che ne fanno parte.
Esempi: fabbisogno di capitali; il fatto che le imprese presenti nel settore, operando da
tempo e avendo una certa dimensione, ovviamente ottengano risparmi di costo rispetto a
chi vuole entrare oggi --> le economie di scala, esperienza e scopo sono ostacoli all'ingresso
di un nuovo entrante (le economie di scala sono legate alla dimensione); vantaggi di costo
assoluti: chi è già presente in un settore ha sviluppato una serie di relazioni con fornitori,
clienti ecc (possesso di tecnologie esclusive); accesso ai canali distributivi e di fornitura;
differenziazione del prodotto.
3) barriere all'entrata strategiche: parliamo di elementi comportamentali dal punto di
vista strategico: scelte e reazioni che possono non solo porre in essere, ma anche
minacciare di porre in essere rispetto ad un interesse di potenziali nuovi entranti.
Quindi una reazione non deve essere solo tale e reale, può infatti scoraggiare
l'ingresso anche la minaccia di una reazione.
Sono comportamenti che gli incumbent attuano o minacciano di attuare.
Da cosa dipende il fatto che questa minaccia poi si traduca in un elemento che dissuade
dall'ingresso? Innanzi tutto la minaccia deve ovviamente essere credibile. Dipende anche
dalle risorse del newcomer perché il potenziale nuovo entrante, se è un'impresa o un
gruppo che ha molte risorse a disposizione decide di entrare in un settore, ovviamente se
ha tante risorse può anche sostenere quella minaccia e quella ritorsione. Dipende anche
dalla convenienza economica (perché se i costi diretti e indiretti sono molto forti,
ovviamente ciò può essere una barriera strategica all'ingresso), dalla convenienza
strategica (andamenti del mercato, rilevanza del settore per l'impresa), sostenibilità
finanziaria dell'entrata e della reazione (quando si pongono in essere delle minacce di
reazione bisogna essere ben equipaggiati, e quindi bisogna avere soldi e sapere che anche
dopo diverso tempo dobbiamo lanciare dei messaggi al mercato verso i nuovi che vogliono
entrare, che li scoraggino ad entrare).

BARRIERE STRATEGICHE: ESEMPI


• fissazione dei prezzi sotto il costo medio di produzione o marginale dell'entrante
• occupazione di spazi di mercato (es. gli incumbents acquisiscono le imprese deboli)
• aumento di investimenti in comunicazione
• investimento in capacità produttiva in eccesso.

Ad esempio nel trasporto aereo ci possono essere delle barriere all'entrata:

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In ogni settore ci sono un insieme di fattori che costituiscono una barriera all'entrata nei
confronti dei possibili nuovi entranti.

CONCORRENZA DI PRODOTTI SOSTITUTI


I prodotti sostituti sono fonte di concorrenza per le imprese di un certo settore perché
vanno a cercare di intercettare la domanda di mercato che fino ad oggi era rivolta ai miei
prodotti o servizi.
Sono beni o servizi diversi in contenuti e forma rispetto al settore che stiamo studiando,
però possono soddisfare fino ad un certo punto la stessa domanda e quindi iniziano ad
essere una proposta che si mette in concorrenza nelle preferenze del consumatore.

Il grado si sostituibilità del prodotto è legata all'elasticità incrociata della domanda dei due
beni: significa che all'aumentare del prezzo di un bene, la domanda dell'altro bene
diminuisce, dunque si spostano fette di clientela verso un altro prodotto.
Il grado di sostenibilità dipende dal livello dei prezzi di prodotti sostituti e anche dalla
percezione degli individui di questo effetto (dunque dalla propensione degli acquirenti nei
confronti di questa domanda).

Ad esempio, nel settore della ceramica si hanno tanti prodotti sostituti:

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PRODOTTI SOSTITUTI: STRATEGIE DI RIDUZIONE DELLA PRESSIONE COMPETITIVA
Quando ho prodotti sostituti ho strategie di riduzione della pressione competitiva:
✔ miglioramento del rapporto tra prezzo e valore del prodotto/servizio che erogo
✔ strategie di riposizionamento del prodotto (posso, ad esempio, cercare di far
percepire il prodotto ad un livello upmarket)
✔ differenziazione del prodotto per ridurre l'elasticità incrociata alla domanda (se
rendo il mio prodotto unico, il grado di sostituibilità si abbassa)
✔ rafforzamento della comunicazione delle qualità della categoria di prodotto
✔ avvicinamento all'utente finale e rafforzamento del sistema distributivo

POTERE CONTRATTUALE DEGLI ACQUIRENTI


Il potere contrattuale degli acquirenti dipende dal potere contrattuale relativo, cioè dalla
forza contrattuale che un soggetto ha all'interno di un settore rispetto ai soggetti a valle
(acquirenti), o soggetti a monte (fornitori). Dunque si osserva la competizione dal punto di
vista verticale.
Il potere contrattuale relativo dipende:
• dalle dimensioni relative delle imprese del settore acquirente o delle imprese de
settore fornitore (bisogna guardare il grado di concentrazione degli acquirenti o dei
fornitori)
• aspetti economici e strategici delle imprese clienti per i fornitori
• livello di completezza delle informazioni per gli acquirenti
• capacità/minaccia di integrazione verticale a monte dell'acquirente
• esistenza di prodotti sostituti
• presenza di switching cost (costi di sostituzione) --> più alti sono i costi di
sostituzione dei fornitori, maggiore è il loro potere contrattuale.
Tutto dipende anche dalla sensibilità degli acquirenti (in questo caso) o dei fornitori
(nell'altro). Per capire il potere contrattuale dei fornitori basta osservare queste
informazioni in modo speculare.

LE ALTRE FORZE COMPETITIVE


Ci sono altre due forze competitive:
1) l'azione indiretta degli stakeholders esterni sulle forze competitive. Ovvero sono:
- autorità politiche e amministrative
- autorità pubbliche di regolamentazione
- associazioni di rappresentanza
- organismi della società civile
Ovviamente tutte queste azioni che pongono in essere possono andare ad incrementare
l'intensità competitiva all'interno del settore
2) integrazione con settori di offerta complementari --> ad esempio il settore turistico:
esso è strettamente connesso nella configurazione della sua offerta con il settore
alberghiero, con il settore di distribuzione commerciale, con il settore della
ristorazione. L'esperienza di un turista non è data solamente da aspetti relativi al
fatto che compri un pacchetto turistico e si rechi in una certa destinazione turistica,
ma anche da tutti gli elementi che sono complementari.

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Per tanto dobbiamo considerare anche questo aspetto nel momento in cui andiamo a
verificare il livello di competizione presente/potenzialmente presente all'interno di un
settore.

ALCUNE CONSIDERAZIONI DI SINTESI SUL MODELLO DELLE CINQUE FORZE COMPETITIVE


Il modello delle cinque forze competitive è stato messo appunto negli anni '80, quindi
alcune cose sono cambiate.
Esso ci fa capire che è molto importante scegliere il settore in cui operare. Sicuramente
comprendere le forze competitive che operano in quel settore è un modo anche per
delimitarlo, e quindi è un modo per capire con chi direttamente ci si va a confrontare.
Questo modello ha però dei limiti:
➔ assume che i comportamenti siano sostanzialmente conflittuali e competitivi.
Ma oggi sappiamo che le relazioni sono anche di tipo cooperativo, mentre qui sono tutte
volte ad aspetti di tipo conflittuale.
➔ è statico. Non è dinamico: tiene conto degli aspetti strutturali ma non evolutivi.
➔ il peso delle singole forze competitive non è considerato. In realtà se bisogna fare
un'analisi del settore bisogna capire ogni quanto effettivamente l'impresa può
rilevare ogni forza competitiva.

RAGGRUPPAMENTI STRATEGICI
Quando si fa un'analisi del settore solitamente si guardano anche i raggruppamenti
strategici.
I raggruppamenti strategici sono gruppi di imprese che all'interno di uno stesso settore
competono con strategie simili ed hanno un profilo di risorse simile.

Su cosa vedo questi aspetti?


● nel cercare delle similitudini tra le imprese anche a livello di struttura organizzativa ,
di modello produttivo e di assetto societario (es. Il settore della distribuzione al
dettaglio negli USA ha al suo interno degli operatori che si posizionano in modo
diverso; in questo settore è importante il rapporto tra prezzo e qualità, e la
copertura geografica) --> si possono quindi rilevare dei sottogruppi che hanno delle
similitudini nel modo in cui competono.

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Basti guardare anche il settore automobilistico:

E' importante vedere la


profondità dei modelli.
Si ha un raggruppamento dei
modelli di prezzo intermedio e
con un numero di modelli molto
ampio, che è l'opposto rispetto
a quello che fanno altri operatori
nel settore automobilistico.

--> all'interno del settore ci sono imprese che hanno comportamenti molto simili e
competono con fattori molto simili.

● Mappatura sulla base di:


- ampiezza gamma offerta
- tipologie clienti serviti
- specializzazione dei gruppi di clienti serviti
- grado di sviluppo della marca nel mercato
- posizionamento di prezzo in relazione alla qualità offerta
- livello di innovazione e posizionamento tecnologico
- grado di integrazione verticale.

L'AMBIENTE COMPETITIVO SPECIFICO DEL BUSINESS


Se un' impresa si occupa di più business ovviamente deve fare un'analisi del settore per
ognuno dei business in cui essa è presente. Quindi avrà un terzo livello di ambiente: quello
specifico di business.

21
CAPITOLO 3. LA GESTIONE STRATEGICA:
STRATEGIA E VANTAGGIO COMPETITIVO
Il vantaggio competitivo è la capacità dell'impresa di creare un valore superiore rispetto
alla media dei concorrenti, tenendo conto dei costi sostenuti. In questo è importate
riconoscere il ruolo dei driver, che chiameremo fattori critici di successo.

IL CONCETTO DI STRATEGIA
La strategia è un percorso evolutivo che un'impresa va a selezionare per gestire le
interdipendenze con altri soggetti, cercando di rispondere in modo efficace alle dinamicità
del contesto in cui l'impresa si trova ad operare. Bisogna tener conto degli obiettivi che il
direttore vuole perseguire, cercando di sfruttare nel miglior modo possibile i fattori di
potere a propria disposizione. Ogni impresa ha dei fattori su cui lavorare per mettere in
atto la strategia. Questi fattori di potere possono essere più o meno forti rispetto agli
elementi a disposizione. Non è qualcosa di statico, ma è molto dinamica. È vista appunto
come una strada che decidiamo di percorrere.
Un'impresa deve tener conto di tre condizioni per agire in modo strategico:
• deve essere consapevole di muoversi in un ambiente in cui vi è incertezza
• inoltre deve essere consapevole che non è avulsa dal contesto in cui opera, ma è
strettamente interdipendente da esso (interdipendenza interna ma anche esterna)
• deve tener conto di un'altra condizione importante, cioè il cercare di capire fino a
che punto può tener conto del fattore di potere --> il potere è concreto ma
comunque limitato.

L'ELABORAZIONE DELLA STRATEGIA

22
Ci interessa capire come possiamo andare a mettere appunto una strategia che sia capace
di darci una qualche forma di impatto su quell'ambiente: si parla di elaborazione della
strategia, che ha una natura di processo creativo.
Un sistema aziendale è capace di dare una strategia che abbia successo se è in grado di
elaborarla in modo creativo.
La strategia è vista come un aspetto di processo --> ottica processuale.
Il pensiero e l'azione devono essere collegati in un processo dinamico (sperimento e
acquisisco maggiori capacità che mi consentono di mettere a punto meglio la strategia e mi
pongo sul mercato). Nel momento in cui vediamo la strategia su un processo, quello che io
faccio è cercare di coniugare insieme due domande a cui l'imprenditore cerca di rispondere
(che strada intraprendere e come farlo).
L'obiettivo è creare valore: questa capacità della strategia è data dal fatto di riuscire a
guidare l'impresa, di creare quel percorso che ci permette poi di creare valore.

COMPONENTI DEL PROCESSO DI ELABORAZIONE STRATEGICA


la strategia è: cosa fare e come farlo.
La strategia in "cosa fare" la devo decidere tenendo conto di quattro elementi :
1) ambiente: struttura del settore, quali sono i soggetti e gli attori che vi operano, le
dinamiche del mercato in generale presenti che caratterizzano il settore e anche
quelle che non influenzano in modo immediato l'attività d'impresa
2) condizioni interne: so dove sono e devo capire chi sono io esattamente e cosa sono
in grado di fare, quali sono le mie risorse, capacità e competenze (i cui ruoli sono
fondamentali per il processo di elaborazione della strategia)
3) mission, obiettivi: dobbiamo tenere in conto cosa vogliamo fare. La strategia che
andiamo ad elaborare deve essere coerente con vision e mission tenendo conto del
nostro sistema di valori. Anche la strategia deve essere coerente con ciò che mi
prefiggo di essere come impresa
4) sistema di valori: bisogna creare valore per ottenere un vantaggio competitivo nei
confronti dei competitors.
Questi sono dunque i quattro pilastri che mi determinano il "cosa fare", cioè la mia
decisione.
Per elaborare la strategia bisogna far riferimento ad alcuni aspetti:
• core business: attività che determinano il modo in cui l'impresa viene riconosciuta
dal mercato
• core activities: attività che ci permettono di individuare dove siamo forti nello
svolgere l'attività d'impresa. La strategia deve tener conto di questi aspetti, ma allo
stesso tempo li influenza.
Nel fare questo è importante tener conto dei driver strategici, quindi dei fattori competitivi
(fattori critici di successo FCS). I driver sono fattori decisivi, sono le forze che guidano
l'evoluzione della strategia in modo molto determinante e riguardano il settore competitivo
in cui l'impresa opera: bisogna tener conto dell'ambiente competitivo.

Quando parliamo di strategia si parla di pianificazione strategica. L'elaborazione della


strategia può essere elaborata tramite il piano strategico, a fronte del quale si ha un certo
processo strategico.

23
Per riuscire ad avere un'idea chiara di quale percorso si sta intraprendendo e di come
metterlo appunto, è bene esplicitarlo in un documento che deve essere condiviso con tutti
i membri dell'impresa. Nella maggior parte dei casi la strategia è formalizzata all'interno di
un processo strategico.

Un'altra cosa da considerare è che è importante che ci sia anche una certa logica nel modo
in cui metto appunto la strategia. La logica strategica è data da due fattori:
● coerenza
● integrità: la formulazione della strategia deve essere chiara e completa -->
completezza nel modo in cui vado a formulare i contenuti della strategia.
La logica strategica ci permette di misurare il potenziale successo della strategia.
Si parla di strategic fit: esso ci dice la qualità della connessione logica e sostanziale tra le
attività implementate dall'impresa tra attività e offerta --> coerenza tra ciò che ho deciso di
fare e come l'ho fatto.
Molto dipende anche dalla nostra capacità di riuscire ad individuare un modello
organizzativo che riesca a supportarci.
Dobbiamo anche dotarci dell'architettura, delle routine, della cultura, di un modello
organizzativo che ci permetta un'efficace messa a punto della strategia: si parla di
organizational fit (si parla di modelli di organizzazione dell'impresa che ne determinano la
struttura). Se non agisco sul modello organizzativo difficilmente riesco ad elaborare una
strategia ed implementarla in modo corretto.
Il cambiamento strategico è intrinseco e assolutamente presente nelle radici stesse del
concetto di strategia.
Quindi il modo in cui andiamo a fare l'implementazione della strategia ci permette di
ottenere un certo risultato, che è portato a creare valore.

I FATTORI CRITICI DI SUCCESSO (DRIVER STRATEGICI)


I fattori critici di successo (o driver strategici) ci consentono di raggiungere una posizione
di eccellenza rispetto ai rivali nel mercato di riferimento.
Essi sono fattori che possono essere diversi da un settore all'altro, sempre perché va tenuto
in considerazione l'ambiente. In ogni settore ci possono essere fattori critici differenti.
Li possiamo intendere dal punto di vista dell'impresa (essi sono quegli aspetti della propria
organizzazione e offerta, che distinguono l'impresa dai concorrenti e che le permettono di
soddisfare in modo eccellente la domanda) o del mercato (cioè aspetti che la domanda
valuta come più rilevanti).

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Essi sono quei fattori che determinano la capacità dell'impresa non solo di sopravvivere,
ma di prosperare. Dunque sono delle variabili su cui il mercato si crea il giudizio
sull'impresa.

Quello che dobbiamo cercare di fare è capire alcune cose per il successo dell'azienda.
Dobbiamo capire cosa ci chiedono i clienti (domanda e offerta) e cosa dobbiamo fare
rispetto ai concorrenti: allora riusciamo ad identificare molto bene quali sono i fattori critici
di successo.

Bisogna capire chi sono i clienti e capire i criteri con cui selezionano i fornitori di un
prodotto.
Al tempo stesso l'impresa deve fare un'analisi dei concorrenti con cui ha a che fare.

SCHEMI PER L'ANALISI STRATEGICA

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Nell'analisi strategica l'obiettivo dell'impresa è di cercare di ottenere un tasso medio di
redditività superiore rispetto a quello dei concorrenti.

Il vantaggio competitivo ci fa anche


capire come dobbiamo agire e
competere.
Il modo in cui andiamo a competere ci
porta ad ottenere risultati anche molto
diversi.

IL VANTAGGIO COMPETITIVO
Esso è il risultato di una strategia che porta l'impresa ad occupare e mantenere una
superiorità o una posizione favorevole nel mercato in cui opera, rispetto ai competitors, e
che porta ad una redditività stabilmente maggiore a quella media dei concorrenti.
Esso si manifesta nella capacità dell’impresa di creare un valore per il mercato superiore a
quello sviluppato da questi ultimi e al costo sostenuto per crearlo.

LA CREAZIONE DI VALORE

Nel momento in cui


fisso un certo livello di
prezzo ho un impatto
dei costi. Il prezzo lo
gestisco non tenendo
solo conto dei costi ma
anche dei concorrenti
e della domanda.

PROFITTABILITA' COMPLESSIVA DELL'IMPRESA


La profittabilità complessiva dell'impresa è data dall'attrattività del business in cui
l'impresa opera e dal vantaggio competitivo che è stata in grado di raggiungere nei
business in cui essa stessa ha deciso di operare.

26
La strategia cerca di rispondere a due domande:
• in quali settori/aree di business operare?
• in che modo competere in questi settori/aree di business? In che modo raggiungere
il vantaggio competitivo in questi settori/aree di business?

L'ESSENZA DEL VANTAGGIO COMPETITIVO


Bisogna essere diversi dai nostri competitors. L'essenza per ottenere questo risultato è
cercare di essere diversi dai concorrenti per alcuni aspetti:
su come andiamo ad implementare la strategia che vogliamo adottare--> efficienza
dal punto di vista operativo. L'efficienza tende a ridursi nel tempo nel momento in
cui certe tecnologie iniziano a diffondersi nel settore. Può anche essere che in certi
settori si venga a creare un'omogeneizzazione dei prodotti
posizionamento strategico: è il particolare modo in cui l’impresa usa le sue risorse
distintive, traendone elementi di valore che il cliente apprezza e che non riesce a
trovare altrove. Se così è si ha un posizionamento strategico distintivo. Bisogna
capire la capacità dell'impresa nel capire se può essere brava ad interpretare in
modo originale le condizioni ambientali rispetto a quello che fanno i concorrenti.
Posizionamento strategico significa essere bravi di capire anche quello che NON bisogna
fare. Si deve tener conto anche dei trade-offs
rapporto con il cambiamento: il cambiamento è intrinseco nel concetto
dell'intraprendere un certo percorso strategico, ma il cambiamento non piace agli
esseri umani e l'impresa è fatta di persone --> le organizzazioni sono restie spesso al
cambiamento e ciò non consente di trarre vantaggio competitivo. Quindi l'essere
portati al cambiamento ci può dare un plus rispetto ai concorrenti.
Due aspetti vanno tenuti in considerazione per quanto riguarda l'essere portati al
cambiamento: quanto l'impresa è volta all'innovazione e quanto è propensa a fare il first
mover (cioè ad agire per prima, anche se non sempre è la cosa migliore da fare).

LA SOSTENIBILITA' DEL VANTAGGIO COMPETITIVO


Il vantaggio competitivo deve essere sostenibile.
È un processo dinamico. Raggiungere una posizione di vantaggio competitivo non ci
assicura che quella posizione perduri nel tempo, ma può perdere efficacia: esistono fattori
di erosione del vantaggio competitivo perchè l'impresa si muove e perchè i concorrenti
stessi risponderanno con la loro strategia a ciò che l'impresa sta facendo.
Dobbiamo essere sempre pronti a capire se c'è qualche opportunità da cui trarre vantaggio.

Ghemawat individua tre fonti poco imitabili, che rendono la posizione di vantaggio
relativamente duratura:
● la dimensione: ci vogliono risorse e capacità per poter gestire un certo tipo di
dimensione
● l’accesso preferenziale alle risorse critiche o al mercato: questo non si crea dall'oggi
al domani
● i limiti delle opzioni strategiche dei concorrenti: questo è importante perché i
concorrenti possono trovarsi bloccati in un certo percorso evolutivo, e noi possiamo
sfruttarlo a nostro vantaggio.
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DIFESA DEL VANTAGGIO COMPETITIVO
- bisogna operare in modo che il vantaggio non sia così chiaro ai concorrenti: non mettere
troppo in evidenza la nostra capacità di avere un reddito superiore
- mettere in atto comportamenti di minaccia che scoraggino i rivali a raggiungere la
posizione che ha l'impresa
- in caso di settori iper-competitivi bisogna innovare continuamente le fonti del proprio
vantaggio competitivo, dunque bisogna 'stare sul pezzo'.

LIMITI AL CAMBIAMENTO
I limiti al cambiamento sono di tre tipi:
1. vischiosità degli investimenti: quando la loro utilizzazione in contesti diversi da
quello originario comporta una forte perdita del loro valore economico
- Lock-in (path-dependence): quando l'impresa è bloccata in un settore
- Lock-out: la decisione di non avviare una strategia e gli investimenti deriva dalla
vischiosità degli investimenti
2. inerzia: fattori organizzativi, percorso evolutivo storicamente seguito dall’impresa,
sistema dei valori --> la strategia non si evolve
3. ritardo temporale degli effetti del cambiamento

CAPITOLO 5: DALLE RISORSE AL VANTAGGIO


COMPETITIVO (dispensa Grant)
Cerchiamo di capire il ruolo delle risorse nell'analisi strategica e in particolare vediamo
come le risorse e le competenze possono essere base del vantaggio competitivo.
Vedremo le varie tipologie di risorse e come sono legate alle competenze, e le modalità con
cui l'impresa può sviluppare il suo patrimonio di risorse e competenze.
In questa prospettiva vi sono state alcune prospettive di studio delle risorse e delle
competenze molto importanti. Parleremo di competenze e capacità di tipo dinamico.

STRATEGIA, IMPRESA, AMBIENTE


Ovviamente l'ambiente esteso e competitivo hanno uno stretto legame con la strategia.
Ora andiamo all'interno dell'impresa --> fin ora abbiamo guardato con un occhio indirizzato
all'impresa-ambiente. Adesso quello che cerchiamo di fare è di gettare le basi per capire il
rapporto fra impresa e strategia --> l'occhio lo spostiamo sull'impresa.

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Cerchiamo di capire in che modo le risorse e competenze sono un elemento cruciale per la
costruzione di un vantaggio competitivo, che mi consente di ottenere una superiorità sul
mercato rispetto a quelli che sono nell'ambiente competitivo.

RISORSE E ANALISI STRATEGICA


Già nel modello delle cinque forze competitive abbiamo parlato, ad esempio, di barriere
all'entrata (idiosincraticità degli impianti, il fatto di avere marchi e brevetti --> elementi che
possiamo valorizzare contabilmente e dargli un valore, anche se hanno tangibilità molto
forti).

Bisogna considerare sia risorse tangibili ma anche intangibili.


Il giocare tutto sul confronto competitivo in termini di capacità rispetto ai concorrenti ha
dei limiti per spiegare il posizionamento distintivo: vi è una concorrenza forte e ampia. In
molti settori cresce la pressione competitiva e i profitti scendono. Inoltre ci sono settori che
sono andati incontro in tutti i paesi evoluti a delle logiche di forte deregolamentazione, e
quindi le barriere diminuiscono e le possibilità di ulteriori fonti di concorrenza diventano
piuttosto consistenti.
Ci sono anche dei limiti nei profitti potenziali --> un settore oggi non si riesce a considerare
l'attrattività con metodi tradizionali.
Un altro limite della logica di strategia come posizionamento può essere il mutamento della
tecnologia e della domanda che modificano continuamente la struttura e i confini del
settore.
Inoltre non sempre gli studi fatti hanno verificato la correlazione tra struttura del settore e
profittabilità --> non sempre sono state verificate queste correlazioni. Ci devono dunque
essere altri elementi oltre all'attrattività settoriale.
Dagli anni '90 è nata l'idea che spesso ciò che distingue è nel DNA della singola impresa, e
non solo nel grado di attrattività del settore.

Allora il pensiero di management ha iniziato a cercare altri motivi da tenere in


considerazione: allora il focus dello studio si è andato a spostare anche sull'impresa e non
più solo sul settore.

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Si è iniziato a considerare che molto dipendesse dalla singola co-impresa.
Ecco perché si parla di RVB (Resource Based – View).

Si passa dalla rendita “monopolistica” (profitti da concorrenza limitata) alla rendita


“ricardiana” (profitti da possesso di risorse) --> ora è la risorsa che permette di ottenere
profitti superiori.

È una multinazionale
molto importante
perché dalla
produzione di abrasivi
nel tempo è cresciuta
moltissimo, anche per
la produzione di Post -
It.
Ha vari prodotti che le
permettono di
operare in vari settori.

Sono le mie risorse che mi permettono di spendere queste risorse in altri contesti.

Ecco perché negli anni '90 ad un certo punto si inizia a cambiare tenore e l'analisi strategica
va ad interessarsi delle risorse come base del vantaggio competitivo.
Le risorse sono la fonte primaria di redditività d’impresa, essendo anche alla base
dell’attrattività di settore.
In questa prospettiva l’impresa è un insieme eterogeneo di risorse e competenze che
rappresentano le determinanti principali della sua strategia e della sua performance e
quindi la base fondamentale per conseguire, mantenere, innovare un vantaggio
competitivo.
Bisogna far evolvere il patrimonio di risorse e competenza, anche esse infatti devono
diventare dinamiche così come l'impresa in cui si inseriscono.
Si parla dunque di DC (Dynamic Capabilities) --> pongono l'accento sulle capacità della
dinamicità dell'impresa.

LE RISORSE E LE COMPETENZE
Le risorse sono beni produttivi posseduti dall'impresa. Il concetto di risorsa è dunque un
"bene".
Le competenze sono quello che l'impresa sa fare.

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Un altro aspetto da tenere presente è che: non è che le risorse, solo per il fatto di averle, mi
diano un vantaggio competitivo, ma bisogna pensare a come combinarle --> è come io
combino le risorse che mi dà un vantaggio competitivo.
Le singole risorse in sé non consentono di ottenere un vantaggio competitivo: devono
essere integrate tra loro per creare le competenze organizzative e consentire di ottenere
performance superiori alla media.
L'unione delle risorse genera il saper fare dell'impresa.

La base del vantaggio


competitivo è nelle risorse,
che, integrandole tra loro,
diventano competenze di tipo
organizzativo e da esse si
decide la strategia, la quale,
individuando i fattori critici di
successo per competere
all'interno di un settore del
mercato, mi consente di avere
un certo vantaggio
competitivo.

Questo schema ci spiega quali sono le risorse. Le risorse sono di tre tipi:
1. risorse tangibili:
- fisiche
- finanziarie
2. risorse intangibili (non le possiamo toccare, ad esempio il marchio), sono un vario
aggregato di elementi necessari per la competizione; esse sono le cosiddette
'intangibles'
- tecnologiche
- reputazione, verso i soggetti esterni
- cultura, capacità dell'impresa di rendere efficaci le sue basi culturali e di metterle a frutto
anche dal punto di vista strategico
3. risorse umane, cioè quelle che ancora difficilmente si riescono a sostituire con delle
macchine; sono date dal capitale umano a disposizione dell'azienda. Tutti questi
soggetti danno il loro contributo
- capitale umano: tutti i soggetti danno il loro contributo e ciascun lavoratore può fare la
differenza, e le imprese che sanno meglio motivare e meglio riuscire ad ottenere idee e
spunti sono coloro che riescono ad ottenere un vantaggio
- conoscenza (knowledge): spesso di parla di economia della conoscenza e di gestione della
conoscenza (knowledge management). Ognuno ha il proprio bagaglio ci conoscenze e di
capacità, ma non sempre l'impresa è in grado di metterle a frutto.
Ad esempio nel settore automobilistico la conoscenza e la motivazione sono fondamentali
per apportare a nuove idee.

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Il patrimonio individuale non riesce a diventare collettivo e dunque l'organizzazione è
fondamentale.

RISORSE TANGIBILI
In esse abbiamo risorse fisiche e risorse finanziarie:
• risorse fisiche: condizionano le possibilità di produzione dell’impresa e influenzano la sua
struttura di costi (es.materie prime, impianti e macchinari, terreni e fabbricati)
• risorse finanziarie: capacità di indebitamento dell’impresa e generazione interna di fondi.

Nel momento in cui si tiene conto delle risorse tangibili e vogliamo usarle in modo
strategico dobbiamo porci delle domande:
1. Quali opportunità sussistono per realizzare economie nel loro
impiego? Riusciamo ad utilizzarle in modo più efficace ed efficiente?
2. Quali sono le possibilità per un migliore impiego delle risorse
esistenti? Riusciamo ad utilizzarle al meglio? Riusciamo ad utilizzarle in modo più
economico?

Le decisioni che prendiamo sulle risorse tangibili hanno molto a che fare con le risposte a
queste due domande precedenti.

RISORSE INTANGIBILI (INTANGIBLES)


C'è sempre una rilevanza crescente degli intangibles ai fini del vantaggio competitivo.
Esse hanno un problema che riguarda la loro valorizzazione.
Ci possono essere prospettive diverse con cui fare questa valutazione:
- visione restrittiva (solo risorse che possono essere in un qualche modo oggettivate e
trasferite)
- visione più ampia (tutti gli asset che spiegano la differenza tra valore contabile d’impresa
e valore di mercato).

Quali sono le risorse intangibili?


• tecnologia (brevetti, copyright, segreti industriali…)
• licenze, autorizzazioni, concessioni (oggigiorno sono pochi i settori in cui le licenze
hanno ancora un grande valore. La licenza ha un valore di mercato, quindi lo si può
valutare, ma il valore di mercato può crollare a causa di una barriera legislativa)
• patrimonio della marca (brand equity): un elemento fondamentale è legato alla
valorizzazione della marca. Una marca affidabile può portare ad un vantaggio
competitivo
• reputazione

Ci sono istituti che monitorano ogni anno i brand e li mettono in graduatorie.


Le seguenti sono le ultime graduatorie di brand globali di due studi: Brand Finance (mette
in ordine di importanza e valorizza i valori di 500 marchi globali), che ha una logica di tipo
finanziario, e Interbrand- Best global brands che ha un' ottica di mercato.

32
Google stra incrementando
sempre d più. Anche Amazon nel
tempo sta incrementando sempre
di più il suo valore.

Nel giro di quasi un decennio il


settore bancario, il cui valore del brand era considerato uno dei più solidi, oggi è passato
secondo perché c'è stato un avanzamento tecnologico:

33
Interbrand- Best global brands valuta il valore del brand tenendo conto del mercato, non di
una prospettiva economico-finanziaria:

Qui ci sono alcuni brand globali diversi da quelli di prima (es.Coca Cola).
Un potenziale investitore deve tenere in considerazione elementi economico- finanziari ma
anche a livello di reputazione del mercato.

I brand che crescono di più sono:

34
Lego ha avuto grosse difficoltà: negli ultimi anni ha
fatto importanti cambiamenti. Lego è il terzo top
growing brand perché si tratta di un gruppo che sta
lavorando molto bene e propone prodotti che sono
indirizzati a specifici segmenti del mercato (ad
esempio: prodotti per bambini di 7 anni, prodotti
per bambine, prodotti per bambini di 12-13 anni).

REPUTAZIONE D'IMPRESA
La reputazione d'impresa è la rappresentazione percettiva, fatta dagli stakeholders, delle
azioni passate di un’impresa e delle sue prospettive future d’azione che descrivono la
capacità complessiva dell’impresa di creare valore meglio dei concorrenti.

Ha varie caratteristiche:
è’ fondamentale quando i clienti non hanno un’esperienza precedente dell’impresa
o non possono avere un’esperienza immediata del suo prodotto
la reputazione di un’impresa si forma nel tempo (la reputazione in negativo la si crea
in breve tempo)
si genera e si consolida in una rete complessa e difficilmente influenzabile di
relazioni tra stakeholders e tra questi e l’organizzazione
è’ collegabile sia all’impresa che ai suoi marchi

La buona reputazione della Ducati l'ha portata a


gestire tanti aspetti, anche culturali.
Grazie alla sua buona reputazione, essa ha potuto
creare altri aspetti e ha operato in vari settori che
non siano solo quello delle moto.

RISORSE UMANE

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Le risorse umane sono servizi produttivi che il personale rende all’impresa in forma di
competenze, conoscenze, capacità di analisi e di decisione.
Esse riguardano sia abilità tecniche ma anche atteggiamenti psicologici e nel modo di
relazionarsi.

È chiaro che il livello d'istruzione è importante e anche il background che ciascuno porta
con sé, la lealtà verso l'organizzazione, l'esperienza, la capacità di teamwork e di
leadership, l'impegno ecc.

Si possono utilizzare mappe per cercare di capire come crescere rispetto al potenziale e alle
prestazioni da richiedere al personale e su cui investire.

CULTURA D'IMPRESA
La cultura d'impresa è l'insieme di valori, tradizioni e regole sociali di un’organizzazione
imprenditoriale.
Il modo in cui il personale cerca di avvicinarsi alla cultura d'impresa, e viceversa, crea
vantaggio competitivo.
La capacità dei lavoratori di armonizzare il proprio impegno e di integrare le competenze
individuali può anche dipendere dal contesto organizzativo.

COMPETENZE ORGANIZZATIVE (basate su risorse tangibili, intangibili e umane)


Le competenze organizzative sono le capacità di un’impresa di intraprendere una certa
attività produttiva.

Esse includono:
• conoscenza specialistica dei bisogni del mercato
• orientamento al servizio
• capacità di progettazione di un nuovo prodotto di successo
• relazioni in ambito commerciale
• abilità nell'utilizzo di tecnologie rilevanti
• capacità di risposte rapide e flessibili

36
VANTAGGIO COMPETITIVO DI DELL (SETTORE PC)

Lo schema indica i fattori critici di successo e le risorse importanti per operare in quel certo
settore di Dell.
Dell ha cercato di lavorare sull'efficienza delle risorse tangibili.
Dal punto di vista intangibile e umano Dell ha investito delle risorse da combinare in modo
da essere bravo nel gestire il canale, e ha cercato di accedere in modo diretto al mercato.
Dell ha messo a punto una strategia basata su alcuni fattori critici di successo, come
economie di scala, politica dei prezzi bassi e rapporti con fornitori e sistemi di distribuzione.

ORIGINI ED EFFETTI DEL VANTAGGIO COMPETITIVO

Il vantaggio competitivo sta nella capacità di utilizzare risorse e capacità in modo distintivo
dai competitors.

ANALISI INTERNA DI IMPRESA

37
1) selezione di una strategia che trae vantaggio dalle principali risorse di un'impresa e
sia coerente col sistema di valori dell’impresa
2) pieno utilizzo delle risorse e gestione efficiente
3) sviluppo delle risorse (riproduzione, accumulo e incremento continuo di risorse)

CAPITOLO 3. LA GESTIONE STRATEGICA: CATENA DEL


VALORE E STRATEGIE COMPETITIVE

38
Analisi SWOT: Strenghts, Weaknesses, Opportunities and Threatens --> è un supporto che
serve all'impresa nel prendere decisioni. Questa analisi ci dà un aiuto nel cercare di arrivare
ad individuare i segnali che ci portano ad utilizzare un tipo di strategia rispetto ad un'altra.

Una volta che abbiamo recuperato questo pezzo di supporto ci manca un altro aspetto che
ci dà tutti gli strumenti per capire che strategia usare: questo pezzettino è la catena del
valore di Porter. Porter non è a caso uno dei più grandi studiosi di modelli strategici.
Dalla catena del valore diciamo che siamo consapevoli che le imprese non sono isole ma
sono inserite in un contesto e hanno una relazione con gli altri soggetti a monte e a valle.
Dunque parliamo anche del concetto di sistema di valore.
Anche questi supporti ci aiutano meglio a mappare le nostre risorse rispetto all'ambiente in
cui siamo inseriti.
Una volta messi questi supporti nella strumentazione di analisi strategica siamo pronti ad
osservare le strategie. Le strategie competitive di base sono:
la strategia di Leadership di Costo
la strategia di Differenziazione
la strategia di Focalizzazione: l'impresa si focalizza su un segmento del mercato, su
una nicchia di consumatori ma non fa altro che perseguire o una leadership di costo
o una strategia di differenziazione in un contesto di mercato più ristretto (dunque
essa non è una terza strategia).

ANALISI SWOT

Riusciamo a fare un connubio tra impresa e ambiente: se pensiamo ai punti di forza e di


debolezza capiamo che essi si riferiscono all'impresa.
Quindi l'analisi SWOT ha a che fare con un'impresa specifica che valuta/di cui andiamo a
valutare i punti di forza e i punti di debolezza.
Quello che ci interessa è quello che l'impresa sa fare meglio rispetto ai competitors,
dunque dobbiamo capire i nostri punti di forza per ottenere un certo vantaggio
competitivo.
È un'analisi che ci permette di capire le competenze che ci distinguono dai concorrenti.

Nell'ambiente ci sono fattori critici di successo che ci permettono di mettere a frutto le


capacità competitive piuttosto che arginare le minacce già presenti sul mercato.

39
L'analisi SWOT ci permette di mettere insieme questi due pezzi (competenze distintive
dell'impresa e ambiente).
L'analisi SWOT è uno strumento di pianificazione molto utile.

Per eseguire al meglio l'analisi SWOT bisogna essere in grado di rispondere alle seguenti
domande di base:

ANALISI SWOT E STRATEGIA


Una volta fatte queste valutazioni ho una guida strategica, e quindi posso derivare
orientamenti strategici generali che posso andare ad implementare definendo un certo tipo
di strategia specifica.
La matrice può essere messa in modo tale che io riesca a definire minacce, punti di forza
ecc e all'opposto cercare di capire se l'opportunità sul mercato la riesco a cogliere tramite i
miei punti di forza o meno.
Può anche essere che io debba decidere di uscire dal mercato del business nel caso in cui il
match negativo tra minacce e punti di debolezza mi porti ad una perdita.

ANALISI SWOT PER SAMSUNG


NEL SETTORE SMARTPHONE

40
L'ANALISI DELLE ATTIVITA' E DELLE RELAZIONI DA CUI DERIVA IL VANTAGGIO
COMPETITIVO
Le attività che creano valore possono essere studiate da due punti di vista:
● Catena del valore (Porter): strumento di analisi delle attività che l’impresa organizza
per creare valore per il mercato e raggiungere il vantaggio competitivo.
È uno strumento che ci serve per scomporre le attività dell'impresa in quelle che sono le
generatrici del mercato, ovvero ci aiuta ad individuare in quali aree di attività l'impresa crea
valore e dunque può raggiungere il vantaggio competitivo.
● Catena delle relazioni: strumento di analisi delle relazioni con cui l’impresa crea
valore per il mercato e raggiunge il vantaggio competitivo.

LA CATENA DEL VALORE GENERICA

41
Porter ha cercato di dare un modello per cercare di individuare le attività che danno valore
all'impresa:
1. attività primarie (in verticale): attività fondamentali che svolge l'impresa
2. attività di supporto (in orizzontale): sono trasversali all'attività dell'impresa, e
l'aiutano nella creazione di valore tramite le attività primarie
In questo modello il valore sta nella somma di queste varie attività.
La catena del valore varia da impresa ad impresa, e può riferirsi ad una singola impresa nel
suo complesso o ad uno specifico business dell'impresa.

ATTIVITA' PRIMARIE
Le attività primarie sono cinque:
● Logistica in entrata: attività legate al ricevimento, immagazzinamento e
distribuzione dei fattori produttivi. Ne fanno parte la gestione dei materiali, la
gestione del magazzino, il controllo delle scorte, la programmazione dei vettori, i resi
a fornitori;
● Produzione: è la fase di trasformazione delle materie prime nel prodotto finale,
raggruppa attività quali la lavorazione, il montaggio, il confezionamento, la
manutenzione dei macchinari, il collaudo e la gestione degli impianti;
● Logistica in uscita: riguarda la raccolta, lo stoccaggio, il magazzinaggio dei prodotti
finiti, la gestione dei vettori di consegna, elaborazione degli ordini e la
programmazione delle spedizioni;
● Marketing e vendite: attività legate allo studio dei comportamenti d’acquisto della
clientela, alla determinazione dell’offerta, alla determinazione degli attributi del
prodotto, alla determinazione dei prezzi, alla scelta dei canali di vendita, alla
gestione dei canali di vendita, alla gestione della relazione con la clientela, alla
pubblicità e comunicazione e alla determinazione di offerte promozionali.
● Servizi al cliente: attività legate al durante e post vendita, volte a migliorare la
percezione di valore del prodotto acquistato, al customer care, all’installazione, alla
fornitura di ricambi, alle riparazioni, al modo di trattare il cliente, ecc.

ATTIVITA' DI SUPPORTO
Le attività di supporto sono quattro:
● Approvvigionamento: è la funzione di acquisto dei fattori produttivi utilizzati nella
catena del valore. Che siano materie prime, semilavorati, macchinari, servizi,
trasferte, cancelleria, computers, sistemi software gestionali, ogni funzione
aziendale, dalla logistica alla produzione al marketing a ciascuna delle attività di
supporto stesse, consuma ed acquista input.
● Sviluppo delle tecnologie: si tratta di ogni tipo di tecnologia, di know how, di
procedure che forniscono apparecchiature di processo.
● Gestione delle risorse umane: è l’insieme delle attività che hanno a che fare con la
ricerca, l’assunzione, lo sviluppo, l’addestramento e la mobilità di tutti i tipi di
personale, dall’operaio al quadro ai dirigenti.
● Attività infrastrutturali: l’infrastruttura di un’azienda si compone di attività fra cui la
direzione generale, l’amministrazione, la finanza, il legale, i rapporti con gli enti
pubblici e la gestione della qualità.

42
Esempio: La catena del valore in un’impresa del settore moda

IL SISTEMA DEL VALORE


Porter ha un'ottica dell'impresa.
Oggi sappiamo di non poter valutare le attività generatrici di valore in modo isolato.
Ecco allora che il sistema del valore è una concettualizzazione che considera che il valore si
crea da ogni singolo pezzettino.
La catena del valore si inserisce in una filiera:
- a monte le catene dei fornitori degli input produttivi
- a valle le catene degli utilizzatori dell’output realizzato fino a quelle dei clienti del
prodotto finale.
La capacità di creare valore deve essere vista in ottica reticolare: bisogna anche tener conto
del valore che insieme agli altri soggetti della filiera si riesce a creare. La catena del valore
può essere inoltre connessa con la catena del valore di altri business della stessa impresa.
Il valore finale risulta dalla somma del valore realizzato progressivamente nelle singole fasi
--> necessità di operare in rete.
Il sistema del valore è dunque legato ad altri soggetti:

esso è un sistema complessivo che


nell'insieme mi può creare valore.
C'è un legame debole: la catena del
valore va studiata non solo in
riferimento ad un singolo business ma
in base a tutti i business in cui essa
opera.

Esempio:

43
Siamo un'impresa i cui business principali sono la produzione di strumenti musicali, ma
essa ha altri business in cui opera (ha un'impresa che opera nel settore dei legnami e ha
anche una catena di punti di vendita) --> si è legata a monte e a valle:

Il fatto che io possa


avere dei mediastore
in cui non vendo solo
strumenti musicali
ma anche tutto ciò
che è legato ad un
comparto media fa sì
che io abbia un
canale distributivo in
cui posso avere delle
economie e un
accesso al mercato
privilegiato rispetto ad altri.
Bisogna dunque tener conto delle interconnessioni che vi sono all'interno dell'impresa e
dei singoli business.
I business a monte e a valle aumentano la mia capacità di creazione di valore.

COSTELLAZIONE DEL VALORE NEL CERAMICO


Il distretto di Sassuolo - Scandiano è
rilevato a livello mondiale. È un
esempio in cui abbiamo un sistema
del valore. Il termine 'costellazione'
mette in evidenza come il valore si
crei nell'insieme di tanti
componenti.
Qualunque impresa ceramica vive la
sua capacità di stare sul mercato
non solo grazie alle proprie
competenze ma vive molto anche di tutte le attività legate a quella piastrella.
Si parla di 'distretto' perché è un insieme localizzato di componenti che solo nell'essere
insieme riescono a creare valore.
Tutto questo è un sistema in cui ogni pezzettino contribuisce a creare valore. Tutti questi
soggetti hanno pezzettini della catena del valore che dipendono fortemente dagli altri –>
ecco perché si parla di costellazione del valore, poiché bisogna tenere in considerazione
l'intero sistema.

LE STRATEGIE COMPETITIVE

44
Quali sono le scelte strategiche fondamentali e le strategie competitive?
Dobbiamo ricordarci che possiamo creare vantaggio competitivo (ovvero essere superiori ai
concorrenti) in due modi principali:
1. leadership di costo: proviamo a cercare di vendere i nostri prodotti o servizi a prezzi
più competitivi degli altri competitors sui mercati (efficienza e bassi costi).
Riconosciamo di avere un prodotto o servizio omogeneo a quello dei concorrenti,
ma siamo bravi a produrre a costi molto bassi, quindi riusciamo a dare un prezzo
competitivo al nostro prodotto sul mercato.
2. differenziazione: mi rendo conto che ho la capacità di commercializzare un prodotto
con caratteristiche distintive rispetto a quelle dei miei concorrenti --> unicità.
Cerchiamo un vantaggio in cui il cliente riconosce questa diversità e dunque è
propenso a riconoscermi un premium price, ovvero è disposto a pagare un prezzo
superiore.
Leadership di costo e differenziazione sono le due strategie competitive di base.
In realtà vi è una fattispecie di terza strada che è la focalizzazione: è diverso l'ambito
competitivo in cui vado ad applicare questa strategia competitiva. Quando si parla di
leadership di costi e differenziazione si parla di vantaggio strategico rispetto all'intero
mercato; quando vado a cercare queste strategie in un certo segmento di mercato parlo di
focalizzazione. La focalizzazione può essere perseguita tramite una strategia di leadership di
costo o tramite una strategia di differenziazione. Essa non è dunque una terza strategia, ma
è l'applicazione di una delle due principali in un mercato più ristretto.

DIFFERENZIAZIONE E LEADERSHIP DI COSTO

La differenziazione e la leadership di costo hanno caratteristiche e comportamenti molto


diversi tra loro.
Non è però detto che i due obiettivi si escludano a vicenda: io infatti posso perseguire una
leadership di costo, ma allo stesso tempo perseguire l'unicità del prodotto (basti pensare
ad IKEA).

45
IKEA è riuscita a rendere complementari la leadership di costo e la
differenziazione/distinzione rispetto ai concorrenti operando con la massima efficienza.

LA LEADERSHIP DI COSTO
Ci focalizziamo sulla ricerca dell'efficienza operativa. Il controllo dei costi è uno degli
elementi fondamentali dell'approccio di un'azienda. In che modo l'impresa può andare a
gestire questi elementi?
controllo della leva competitiva del prezzo.
L’impresa può abbassare il prezzo di vendita della propria offerta a un livello che, pur
rimanendo al di sopra del proprio costo medio, risulta inferiore a quello dei concorrenti:
- aumento della domanda
- maggiore sfruttamento delle economie di scala e accumulo di esperienza. Avendo prezzi
competitivi si potranno attirare più clienti, e tramite il fatto di essere efficiente si ottengono
più economie. In questo caso l'azienda sfrutta le economie di scala, di scopo e di
esperienza. Il leader di costo è un soggetto che opera, gestendo la leva del prezzo e
tenendo sotto controllo i costi, sfruttando i volumi.
in condizioni teoriche di mercato perfetto, il processo di acquisizione di quote di
mercato in conseguenza di un abbassamento del prezzo accade in maniera molto
rapida; nella realtà, diversi fattori lo rallentano:
- informazione
- capacità produttiva e distribuzione
- inerzia e costi cambiamento acquirenti
Anche l'informazione non è perfetta: ha dei tempi di diffusione sul mercato. Ci sono anche
dei tempi con cui la struttura stessa può rispondere a logiche di aumento della propria
capacità produttiva. Anche la struttura distributiva dell'impresa non si adatta
immediatamente a nuovi livelli produttivi. Vi sono dunque problematiche dal punto di vista
della nostra capacità produttiva. Inoltre non tutti i consumatori non sensibili alla leva
competitiva del prezzo. Alcuni sono fortemente legati ai propri fornitori di servizi, e questo
porta la domanda a spostarsi.
ll vantaggio della leadership di costo non si manifesta solo nella riduzione del prezzo.
Se il leader di costo mantiene il prezzo ai livelli medi dei concorrenti, avrà un margine di
redditività più alto --> maggiore redditività --> maggiori investimenti.

46
Tanti sono coloro che investono nella leadership di costo. Il più grande distributore al
mondo è WAL MART, che è anche la più grossa impresa al mondo per fatturato.
Essa è un'impresa di distribuzione statunitense.
Wal Mart addirittura fa dei fatturati che le consentirebbero, se fosse un paese, di essere la
ventitresima economia al mondo.
Wal Mart non è un'impresa di produzione, bensì essa compra prodotti finiti da vendere al
consumatore.
Le fonti di basso costo di Wal Mart sono dovuti a:
• approvvigionamento globale di alcuni prodotti e la centralizzazione degli acquisti per
tutti i punti vendita
• rotazione dei prodotti, e ciò contribuisce ad essere più competitivo
• investimenti per automatizzare i punti vendita
• costruzione dei punti vendita in zone periferiche a basso costo
• contrattazioni di tassi di leasing e canoni di affitto privilegiati
• gestione e retribuzione della forza di vendita
• azzeramento del tasso di sindacalizzazione (è per questo motivo che molti lo
odiano).
Tutte le varie aree di costo sono di questa impresa sempre alla ricerca di continue
economie.
Ecco perché Wal Mart è l'esempio classico di leader di costo, che lo ha sempre
contraddistinto.

LE DETERMINANTI DEI LIVELLI DI COSTI


I fattori che mi consentono di perseguire una strategia di costo sono:
● economie di scala e di “scopo”
● economie di apprendimento
● grado di utilizzazione della capacità produttiva

47
● tecnologia di processo
● ri-progettazione del prodotto / del processo organizzativo
● localizzazione delle attività produttive
● modalità di approvvigionamento e distribuzione
● fattori generici di efficienza interna

LE ECONOMIE DI SCALA
“Le economie di scala determinano la riduzione dei costi medi per unità di produzione in
una determinata unità di tempo” (Porter)
“Le economie di scala … si hanno quando un aumento delle risorse impiegate nel processo
produttivo provoca un aumento più che proporzionale dei risultati" (Grant).

Esse dipendono da alcuni elementi:


• dimensioni degli impianti che si utilizzano per la produzione

La massimizzazione
delle economie di scala si
ha con il
raggiungimento del
DOM.

• non si raggiungono in tempi brevi perché sono date dalle curve di costo di breve
periodo valutate in un ottica di lungo periodo.
• deve avere impianti che possono essere utilizzati per aumentare la capacità
produttiva nel caso in cui le interessi farlo
• massimizzo le economie di scala raggiungendo quel livello di produzione/attività
(DOM) in cui si minimizzano i costi della curva di pianificazione di lungo periodo.

Le fonti delle economie di scala sono:


➔ Relazioni tecniche input/output
➔ Indivisibilità dei fattori produttivi
➔ Effetti specializzazione

48
I limiti all’utilizzo di economie di scala sono:
➢ Eccessiva standardizzazione del prodotto
➢ Minor flessibilità
➢ Difficoltà di gestione

LE ECONOMIE DI SCOPO
Le economie di scopo sono la riduzione di costi medi dovuta all'aumentare dell'estensione
dell'attività dell'impresa.
Riescono infatti ad assorbire costi di carattere generale.
Esse ci consentano di avere dei risparmi che aumentano meno che proporzionalmente
all’aumentare del numero di business in cui l’impresa è impegnata.

LE ECONOMIE DI ESPERIENZA O DI APPRENDIMENTO


Si ottengono le curve di esperienza quando il costo unitario del valore aggiunto di un
prodotto diminuisce all’aumentare del volume di produzione cumulata nel tempo di
un’impresa o di un settore.

L’impresa che sviluppa più rapidamente la produzione potrà godere di vantaggi


d’esperienza:
• relazione tra incremento di produzione cumulata e quota di mercato
• implicazioni per la politica dei prezzi
• rischi collegati alla strategia di quota
Chi riesce più velocemente a sviluppare questo tipo di economia avrà una migliore rendita -
-> dunque è importante la tempistica.

Limiti curva d’esperienza:


• vale solo per beni standardizzati
• l’apprendimento va gestito

UTILIZZO DELLA CAPACITA' PRODUTTIVA


Nel breve periodo la capacità produttiva installata non può essere modificata, ma va
sfruttata al meglio (saturazione).
Ecco perché si usa il termine 'saturazione' della capacità produttiva: devo far lavorare i miei
impianti produttivi nel miglior modo possibile.

Questo va valutato tenendo conto del rapporto tra CF e CV (costi fissi e costi variabili).
Possono dunque scaturire delle economie che mi fanno evitare di avere costi di eccessiva
utilizzazione degli impianti produttivi.
Dobbiamo poi cercare i distinguere:
a) eccessi di capacità ciclici
b) eccessi di capacità strutturali

TECNOLOGIE DI PROCESSO E RIPROGETTAZIONE DEL PROCESSO

49
Altri fattori di costo sono:
1. tecnologie di processo: produrre beni o servizi sostanzialmente simili a costi diversi
(costi di produzione diversi tra le varie imprese)
2. riprogettazione del processo/prodotto: ri-progettazioni di prodotto che
economizzano sui costi di materie prime / input (es.Pro-printer IBM, che eliminò gli
elementi non necessari all'interno della stampante e capì che gli elementi necessari
erano 50 e non 150/200 come quelli utilizzati dai competitors. Introdusse poi
elementi in plastica meno costosi).

RICONFIGURAZIONE DEL PROCESSO DI ACQUISTO GDO: Vendor Managed Inventory


Si può lavorare con dei partner per cercare il modo di diminuire i costi a certi processi.
Ad esempio Wal Mart acquista prodotti di alcuni brand industriali di P&G per poi rivenderli.
Essi hanno iniziato a lavorare insieme per ridurre i costi amministrativi, contabili e logistici.

Vendor Managed
Inventory è l’inventario
gestito dal venditore: è
una tecnica applicata in
un contesto di catena di
distribuzione che vede il
controllo, la
pianificazione e la
gestione del magazzino
da parte del fornitore.

LOCALIZZAZIONE DELLE ATTIVITA' PRODUTTIVE


La location è spesso un fattore di costo (costi di produzione e di distribuzione).
Si cercano dunque dei fattori di localizzazione che vadano a ridurre i costi di produzione.
Questi fattori possono essere:
vicinanza geografica a fonti approvvigionamento (es. industria petrolifera, industria
lavorazione materie prime)
vicinanza geografica a mercati di sbocco (es. stabilimenti Piaggio in India)
qualità e costo risorse disponibili nel territorio (vantaggio competitivo territoriale)
condizioni ambientali

VANTAGGI DA APPROVVIGIONAMENTO E DISTRIBUZIONE


Wal Mart riesce ad esercitare un grande potere contrattuale nei confronti dei fornitori e dei
clienti.
Ci sono fattori con cui l'impresa può controllare gli operatori a valle (fornitori) e anche le
proprie politiche:
controllo fonti e canali (contratti esclusiva, accordi, acquisizioni)
fonti approvvigionamento a basso costo
50
controllo relazioni coi canali distributivi

EFFICIENZA COMPLESSIVA
L'efficienza complessiva è il modo in cui l’impresa realizza l’insieme delle attività della
catena del valore.
Gli X-inefficiency sono fattori di inefficienza che si possono eliminare senza effetti
significativi di tipo negativo sull’efficienza e efficacia con cui sono svolte le attività
gestionali.

CATENA DEL VALORE E SCHEMA DI DETERMINAZIONE DELLA STRATEGIA DI VANTAGGIO


DI COSTO
L'attività dell'impresa può essere scomposta in base all'influenza dei costi delle singole
attività. Per mettere in atto una strategia di vantaggio di costo dobbiamo seguire alcuni
step:
• scomposizione dei costi operativi e per investimenti sostenuti dall’azienda (o
dall’area di business) in relazione alle singole attività della catena del valore
• comparazione dei costi sostenuti dall’impresa per la realizzazione delle varie attività
della catena del valore con i costi dei concorrenti (o costi medi di settore) nelle
stesse attività / Studio dei “drivers di costo” (es. economie di scala)
• definizione della strategia per raggiungere la posizione di vantaggio rispetto ai
concorrenti. Tale strategia può andare in due direzioni diverse: da un lato può
individuare gli interventi sulle determinanti di costo finalizzate alla minimizzazione
dei costi delle singole attività della catena del valore; in alternativa, può innovare
l’organizzazione di tali attività in relazione alle interdipendenze tra le attività della
catena del valore
• esplicitazione delle azioni da compiere per attuare la strategia definita nella fase
precedente e le nuove procedure che possono essere richieste a tal fine.

l'attività dell'impresa può essere


scomposta in base all'influenza dei
costi delle singole attività

51
La Ryanair è la compagnia aerea low
cost con prezzi più bassi.
Come si può notare, Ryanair ha costi
notevolmente inferiori poiché nel
tempo ha acquisito talmente tanta
visibilità sulla domanda che porta i
passeggeri e turismo, dunque gli
aeroporti e le città sono interessati ad
avere questo tipo di vettore (in
Puglia, ad esempio, la regione ha
dato un contributo per far sì che i
velivoli Ryanair atterrassero in quegli
aeroporti).

Esempi di attività cost-saving:

LE STRATEGIE PER ACQUISIRE IL VANTAGGIO DI COSTO


Ci sono due modi per acquisire il vantaggio di costo:
1. tramite l’azione diretta sulle determinanti di costo più importanti nelle attività del
valore dove si manifesta la parte più rilevante dei costi:
- massimo sfruttamento economie di produzione
- innovazione di processo o di prodotto (ad esempio andando a dotarsi di tecnologie
migliori che consentono all’impresa di diminuire i tempi e di svolgere in modo migliore i
processi)
- riorganizzazione geografica dell’attività produttiva (questa è una modalità molto utilizzata
per perseguire la leadership di costo)

52
- riduzione sistematica x-inefficiencies (questa è stata una strada utilizzata da molte
imprese, che hanno cercato di razionalizzare tutta la loro attività e cercando di individuare
le x-inefficiencies per eliminarle)
2. tramite la riconfigurazione della propria catena del valore (bisogna capire se si
possono delegare ad altri fasi di strategia stessa):
- esternalizzazione di determinate fasi della catena del valore (outsourcing)
- reingegnerizzazione dei processi produttivi
- razionalizzazione dell’insieme di unità produttive (può diventare downsizing) (es.
Electrolux)
- modificazione della posizione che l’impresa copre nella filiera produttiva, attraverso
l’integrazione orizzontale o quella verticale a monte o a valle (l’impresa non è un’isola, ma
è interconnessa con la propria produzione tramite fasi di produzione che coinvolgono
l’intero sistema di produzione).
Ci si può integrare sia con soggetti che sono in una fare orizzontale, oppure con fornitori e
clienti se guardiamo l’integrazione in maniera verticale.

LA STRATEGIA DI DIFFERENZIAZIONE
La strategia di differenziazione cerca di dare qualcosa di unico e distintivo al cliente.
Essa è la capacità di offrire un prodotto o un servizio con determinate caratteristiche che lo
distinguono da quelli dei rivali e a cui il cliente riconosce un valore, in virtù del quale è
disposto a pagare un prezzo superiore (se a parità di prezzo, crescerà la soddisfazione, il
rapporto valore/prezzo e quindi anche la domanda).
Posso anche vendere un prodotto con un premium price rispetto alla concorrenza, perché il
mio prodotto è unico rispetto a quello dei competitors. È proprio per questo motivo che il
cliente è disposto a pagare un prezzo superiore, il quale potrà avere dei grandi vantaggi per
l’impresa poiché se essa riesce a mantenere il prezzo sulla soglia dei rivali, il cliente
percepirà un rapporto qualità prezzo migliore rispetto a quello dei rivali e dunque
aumenterà la domanda.

Perché si abbia differenziazione devono essere compresenti quattro aspetti:


unicità: è importante che ci siano elementi (tangibili, intangibili) che distinguano
l’offerta dell’impresa da quella dei concorrenti
valore: quel prodotto deve essere in grado di dare un benefit/valore per il cliente
(vado ad aumentare la qualità che quel prodotto offre, oppure posso diminuirne il
prezzo)
percezione: il cliente deve essere consapevole e deve riuscire a capire
effettivamente a livello razionale che quel prodotto è unico e valoriale. Non basta
che i prodotti siano diversi e unici, ma bisogna anche che la domanda se ne renda
conto. Può succedere che vi siano tecnologie e prodotti che sono molto avanzati, ma
la domanda non riesce a cogliere questa percezione → dunque questi prodotti non
possono dare vantaggio competitivo finché la domanda non riesce ad avere questa
percezione
sostenibilità economica: ci deve essere anche la disponibilità a sostenere i relativi
costi di acquisizione di questo prodotto o servizio.
I VANTAGGI DELLA DIFFERENZIAZIONE

53
• efficacia: gestire in modo più flessibile la leva del prezzo. L’impresa può quindi
fissare un prezzo superiore a quello dei competitors, ottenendo un margine/ una
redditività più importante, senza avere una riduzione della domanda. Infatti la
differenziazione aumenta la disponibilità a pagare da parte del cliente.
• Se questo prezzo è superiore al costo unitario sostenuto per la differenziazione,
l’impresa realizza un margine economico superiore, a parità di altre condizioni, a
quello degli avversari; dispone, quindi, di una maggiore capacità di accaparrarsi di
una quota maggiore del valore creato
• L’incremento del prezzo consentito dal maggior valore che l’offerta differenziata dà a
vantaggio del cliente deve comunque essere gestito con attenzione, perché non
deve andare a scapito della domanda.

Con la differenziazione si hanno due benefici: attirare nuova domanda e fidelizzare la


clientela.
Sarò fedele a quel brand, e lo sceglierò quando andrò a fare un nuovo acquisto.
La differenziazione inoltre stimola una nuova domanda: se il prezzo aumenta in modo
limitato e questo aumento è minore dell’incremento di valore percepito dalla domanda, il
cliente inizierà a fare il passaparola e per questo ci sarà sempre una nuova domanda.

MINI
La MINI è percepita dalla
sua clientela come un prodotto molto
differenziato da quello dei
concorrenti sia come forma,
estetica, essenzialità. Essa
si distingue molto dalle altre.
Oggi sono moltiplicati i
modelli ed è possibile avere
colori con forti personalizzazioni
che possono essere apportate.
La personalizzazione rende distintivo il prodotto e anche coloro che guidano questo tipo di
automobile.
Il pubblico di riferimento la riconosce come un prodotto distintivo rispetto agli altri.
Personalità unica, carattere e innovazione, pura eleganza.
L’aspetto della personalizzazione è una delle leve su cui si basa la strategia di
differenziazione.

LE MODALITA’ DI ATTUAZIONE DELLA DIFFERENZIAZIONE


Su quali componenti possiamo andare ad agire per differenziare il nostro prodotto?
1. componenti tangibili: componenti del prodotto in sé.
Sono le caratteristiche fisiche intrinseche al prodotto/servizio (contenuto tecnologico,
dimensione, colore, peso, design, materiali, forma) e anche le performance legate al
prodotto/servizio (affidabilità, velocità, conformità, durabilità, sicurezza,…)
2. componenti intangibili: componenti legate al brand, modalità con cui voglio
dimostrare la mia personalità. Sono: marca e immagine complessiva dell’offerta

54
d’impresa (fattori sociali, psicologici, emotivi comportamento acquisto clienti) e
anche le qualità delle risorse umane impiegate nel processo d’offerta. Sono dei
fattori che agiscono sulle scelte che facciamo
3. componenti aggiuntive e relazionali: sono legate alle condizione dell’acquisto.
Sono le condizioni di acquisto (facilità) e le caratteristiche del luogo d’acquisto (esperienza),
i segnali di differenziazione al cliente (segnali di mercato: garanzie, pubblicità, investimenti
R&D, sedi prestigiose, prezzo elevato…) e prodotti/servizi complementari che facilitano
condizioni di utilizzo (servizi pre- vendita e post-vendita, manutenzione, velocità di
consegna, …).
Anche il prezzo è un segnale di differenziazione: se il prezzo è molto basso non riteniamo
che quel prodotto sia qualitativamente eccellente. Se invece il prezzo di un prodotto è
molto alto, capiamo già che quel determinato prodotto è qualitativamente molto buono.
Quindi anche il prezzo è un segnale di differenziazione al cliente.
Un altro elemento da tenere in considerazione è che dobbiamo stare attenti che questi
fattori, che abbiamo visto come accessori rispetto al prodotto core, non vadano a minare
l’integrità del prodotto stesso.

ILLYCAFFE’

IllyCaffè è riuscito a
diventare un brand molto
riconosciuto in un settore
che ha elementi di
standardizzazione in sé.
IllyCaffè è considerato uno
dei caffè migliori. Come ha
fatto? Ha lavorato molto
sulle proprie caratteristiche
tangibili e intangibili.
IllyCaffè si è costruito la
reputazione di leader
dell’innovazione.
Illy ha un packaging
assolutamente diverso da
quello di tutti gli altri: il barattolo lo distingue subito. La confezione è molto prestigiosa e
dunque più costosa.
Illy è anche diventato distintivo per aver fatto gli Illy Shop: sono dei punti vendita
unicamente dediti a far percepire al cliente l’esperienza con il brand Illy. Ha sei punti
vendita in Italia.
Illy cerca dal punto di vista con l’approccio al cliente una serie di occasioni per dimostrare la
sua unicità.

Esempi di fattori di unicità:


✗ Molteplici funzioni e interfacciabilità -- Microsoft Windows and Office
✗ Ampia selezione e velocità d’acquisto – Amazon.com

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✗ Servizio superiore – FedEx
✗ Disponibilità ricambi in 24 h – Caterpillar
✗ Prestigio – Rolex
✗ Leadership Tecnologica -- 3M Corporation

Esempi di differenziazione di attività della catena del valore:

LA STRATEGIA DI FOCALIZZAZIONE
Essa non è una terza strategia, bensì è l’utilizzo della differenziazione o della leadership dei
costi in un mercato più ristretto.
La strategia di focalizzazione consiste nella ricerca di una posizione di vantaggio assoluto
nei costi di differenziazione in un’area molto circoscritta (una nicchia) del mercato.
Essa può essere considerata una terza strategia competitiva di base, anche se, in effetti,
consiste nell’attuazione di una delle due precedenti in un’area relativamente piccola del
mercato.
Chi fa una strategia di focalizzazione? Di certo non le multinazionali e le grandi imprese.
In linea di massima è sempre stata vista per imprese di piccole dimensioni che hanno
necessità e convenienza a lavorare in nicchie di mercato (sono infatti richieste meno risorse
per operare).
Per nicchia di mercato non si intende una piccola area in senso geografico, ma un certo
target a cui l’impresa, tramite la strategia di focalizzazione, si rivolge.

VANTAGGI DELLA FOCALIZZAZIONE


La strategia di focalizzazione dà tre vantaggi:
1) consente all’impresa di indirizzare tutti i propri sforzi economici e strategici in un
contesto circoscritto e quindi, di beneficiare, a parità di altre condizioni, di una
maggiore forza competitiva per un dato livello di risorse disponibili

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2) favorisce la specializzazione delle risorse e delle conoscenze da parte dell’impresa e
quindi la migliore capacità di raggiungere una posizione di vantaggio competitivo
nella propria area di business
3) riduce la pressione competitiva proveniente dalle grandi imprese che (in condizioni
normali di mercato) tendono ad avere minore attenzione verso le aree di business di
piccola dimensione

LIMITI DELLA FOCALIZZAZIONE


La strategia di focalizzazione ha anche dei limiti:
1) essa può portare anche a specializzarsi in un’area di mercato che non è
economicamente sostenibile
2) si può inoltre investire e specializzarsi in un’area del mercato facilmente aggredibile
(ci possono essere poche barriere all’entrata).
Oggi individuare nicchie profittevoli può essere interessante anche per imprese più grandi
3) la nicchia può portare a seguire il ciclo di vita (declino) dell’area di mercato dove si è
focalizzata l’attività.

CONVERGENZA TRA STRATEGIE COMPETITIVE

Attenzione che le strategie non


sono completamente disgiunte
l’una dall’altra. Ma vi è una
convergenza tra strategie
competitive. Ci possono essere
aree di sovrapposizione.

CAPITOLO 4: LE STRATEGIE DI CRESCITA


Le strategie d crescita:
la strategia verticale → struttura dei costi, sistema di creazione del valore per il
mercato finale, grado di controllo dell’impresa sulle dinamiche competitive
la strategia di diversificazione → strategia di tipo conglomerale vs correlata
la strategia di internazionalizzazione → processo di intervento produttivo e/o
commerciale permanente sui mercati esteri (fattori interi e esterni; opportunità e
difficoltà). Essa riguarda anche e attività commerciali nei mercati esteri. La strategia
di internalizzazione presenta varie opportunità ma richiede anche risorse in contesti

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culturali e regolamentari molto diversi da quello di partenza, e ha insiste in se
particolarità e minacce.

IL CONCETTO DI FILIERA
La filiera è l’insieme di lavorazioni e attività conseguenti effettuate per poter trasformare
un insieme di materie prime in un prodotto finito e collocarlo sul mercato.
È un concetto che va dalla produzione/trasformazione fino al mercato (quindi i grossisti
sono soggetti che fanno parte della filiera).
La filiera può comportare il coinvolgimento di molti soggetti o di uno solo che ha deciso di
svolgere tante fasi di quell’attività. Un pezzo di attività, che prima era svolta da un altro
soggetto, va aggiunta a monte.
Maggiore è il numero di fasi di attività svolte all’interno di una stessa impresa, maggiore è il
grado di integrazione verticale di quella impresa.

STRATEGIE DI CRESCITA

Posso suddividere la filiera di un certo


settore in un insieme di attività.
L’attività principale è l’attività core.
Se mi muovo a monte di questa attività
di produzione o a valle, allora avviene
l’integrazione verticale.
L’integrazione è una forma di
diversificazione, a monte o a valle,
quindi in senso verticale.

Questa è una diversificazione dal punto di


vista dei mercati geografici.
Gioco la mia carta dell’internalizzazione.

LA STRATEGIA DI INTEGRAZIONE
VERTICALE
“L’integrazione verticale è l’internalizzazione di una serie di attività verticalmente correlate
ai fini della produzione di un determinato output” → valore aggiunto.
Queste attività sono delle fasi una legata all’altra con l’obiettivo di arrivare ad un certo
output da collocare sul mercato.
Quindi queste attività sono svolte all’interno di un’impresa, la quale contribuisce ad un
certo valore aggiunto di un output.

● determinazione dei confini “verticali” (a monte e a valle) dell’attività svolta


dall’impresa

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● definizione del modo in cui sono articolati e sviluppati i legami con i soggetti che
svolgono attività a monte e a valle di quelle realizzate dall’impresa (fornitori diretti e
indiretti; distributori diretti e indiretti). I grossisti sono ad esempio distributori
diretti.
● esplicitazione dei criteri per modificare i confini verticali dell’impresa, ovvero il suo
grado di integrazione verticale.
L’integrazione verticale può essere ascendente quando vado ad integrare fasi a monte,
(precedentemente svolte da fornitori), oppure discendente, quindi vado ad integrare fasi a
valle del mio processo.

LA DETERMINAZIONE DEI CONFINI VERTICALI DELL’IMPRESA


Il processo di integrazione verticale può procedere verso “monte” o verso “valle”:
1) verso monte (ASCENDENTE): l’impresa assume il controllo diretto delle attività
relative alla produzione di input che in precedenza erano acquistati all’esterno
2) verso valle (DISCENDENTE): porta al suo interno le attività di produzione che
utilizzano gli output in precedenza venduti a soggetti esterni che svolgevano
direttamente quelle attività. L’integrazione a valle può estendersi fino a vedere
l’impresa coinvolta nella distribuzione del prodotto finale da essa stessa realizzato.

TIPI DI INTEGRAZIONE VERTICALE


In questo schema notiamo che vi è
un’impresa specializzata su una
fase del processo di produzione e in
questo caso possiamo considerare
l’impresa verticalmente
disintegrata, perché le operazioni a
monte e a valle sono svolte da altri
soggetti.

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Dal momento in cui l’impresa internalizza la produzione di semilavorati, inizia a fare
l’integrazione a monte.
La stessa cosa specularmente la si può vedere a valle: l’impresa decide di non vendere ad
un grossista i prodotti interni, ma decide di fare una vendita al dettaglio, decide di integrare
la vendita all’ingrosso e dunque decide di fare un’integrazione a valle.

L’integrazione verticale può anche differire sul livello di integrazione:

l’impresa non svolge tutta la fase


all’interno, e il resto lo delega anche
al mercato → integrazione parziale.
Invece nell’integrazione totale
l’impresa decide di svolgere tutta la
fase al proprio interno.

INTEGRAZIONE VERTICALE E VARIABILE DI COSTO


L’impresa decide di internalizzare in base ad un criterio economico, che è un fattore
importante: l’impresa realizza al suo interno (gerarchia) tutte le attività che realizzano un
output ad un costo inferiore al prezzo di acquisto (costo) che sosterrebbe acquistando
l’output sul mercato (mercato).

La soluzione di mercato è più efficiente quando:


• vi è forte specializzazione nei soggetti esterni
• i meccanismi di mercato funzionano bene (bassi costi di transazione)
• i costi per la gestione interna dell’attività sono troppo alti
I COSTI DI TRANSAZIONE
I costi di transazione sono costi abbastanza articolati di cui bisogna tener conto nel
momento in cui si fa una valutazione economica. Essi possono emergere prima, durante o
dopo lo scambio:

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I costi di transazione tendono ad aumentare quando c’è il rischio di comportamenti
opportunistici. Aumentano, ad esempio, in queste situazioni:
• poche informazioni sull’altro contraente
• alta incertezza temporale (condizioni svolgimento nel tempo della transazione)
• elevate difficoltà di controllo

Quindi bisogna aggiungere al costo dell’input anche i costi di transazione, che dovrò
valutare io stesso. Devo considerare anche costi di produzione e costi di struttura.

I CONFINI VERTICALI DELL’IMPRESA E IL CICLO DI VITA DEL SETTORE


Un altro elemento da tenere in considerazione oltre al costo è il ciclo di vita del settore in
cui si opera → possiamo infatti capire se ci conviene integrare o de-integrare.

Nell’integrazione l’impresa è molto


integrata a monte o a valle.
Invece nel periodo di sviluppo vi è
una progressiva de-integrazione.
Durante il periodo di maturità vi è
un andamento divergente per forze
contrapposte.

EFFETTI POSITIVI DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE SU VANTAGGIO COMPETITIVO


I vantaggi sul piano dei costi sono:
● Economie tecniche di integrazione (collegamento fisico tra fasi)
- Operazioni congiunte (ES. produzione e logistica)
- Controllo e coordinamento (riduzione costi di trasporto e comunicazione)
- Nel marketing (ES. eliminazione dell’ufficio vendite del fornitore)
● Evitare i costi di transazione del mercato (quando questi sono molto alti)

Gli effetti sulla creazione del valore:


● Controllare fasi a monte o a valle cruciali per il valore finale del prodotto (Es. Zara)
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- maggiore “vicinanza” all’acquirente finale (a valle): se si delega ad altri soggetti la gestione
del rapporto con il cliente, la distanza con il consumatore finale è molto ampia e non si
riesce ad attivare un rapporto di fidelizzazione con il cliente. Spesso le integrazioni a valle
sono fatte proprio per fidelizzare il cliente e riuscire a capirlo meglio
- qualità, puntualità di consegna e prezzo (a monte)
- evitare spillover informativi nelle relazioni con clienti e fornitori
● Ingresso in settori attrattivi (ES. Apple e retail)
Integrazione verticale e controllo della concorrenza
Integrazione verticale a valle e controllo della distribuzione

Zara è un’impresa completamente integrata, in cui le fasi a monte e a valle sono tutte
gestite dall’impresa stessa, dal processo logistico e dalla commercializzazione sul mercato.
In questo modo è riuscita a creare più valore rispetto ai concorrenti.

INTEGRAZIONE VERTICALE A VALLE E CONTROLLO DELLA DISTRIBUZIONE


Le imprese, essendo operatori indipendenti, cercano di trovare modi per orientare il
controllo della distribuzione:
Evitare un mark up eccessivo del distributore (che riduce la domanda per il
prodotto)
Evitare comportamenti opportunistici del distributore
- negli investimenti in comunicazione sul mercato locale
- nella gestione dei servizi pre-vendita: l’impresa può non veicolarli al mercato e lasciare
che siano altri distributori/produttori ad occuparsene.
Questi sono comportamenti opportunistici che l’impresa vuole cercare di evitare.
Interventi correttivi sul distributore (alternativi a integrazione verticale)
- lump-sum (somma fissa annua) per impegnare il distributore sui volumi → è un incentivo
a mantenere le vendite ad un certo livello per ottenere livelli di fatturato che voglio cercare
di raggiungere
- esclusiva territoriale (monopolio locale) per ridurre free-riding → c’è solo un distributore
che in quel certo ambito geografico può vendere i miei prodotti, così non creo disparità tra
i dettaglianti a livello locale
- prezzo minimo di vendita. È una delle modalità con cui si cerca di evitare questi
comportamenti opportunistici. Questo è il prezzo sotto al quale non si può andare.

SVANTAGGI DELL’INTEGRAZIONE VERTICALE

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L’integrazione verticale ha però anche degli svantaggi:
1. costi eccessivi di amministrazione e coordinamento (es. problemi di lay out
produttivo e di eccesso di scorte; costi di influenza)
2. differenze nella scala di efficienza minima delle varie fasi della produzione
3. aumentano i CF → aumenta CF/CV → siccome aumentano i costi fissi vi è una
minore flessibilità nell’adattarsi alle variazioni quantitative e qualitative del mercato
4. gestione e coordinamento di attività strategicamente diverse (es. business della
produzione e business del retail). Non possiamo solo valutare in base al costo di
produrre all’interno piuttosto che andare ad acquistare all’interno, ma bisogna farsi
delle domanda su cosa possa succedere all’interno della struttura se integro attività
a monte e a valle. Bisogna infatti avere delle competenze ottime per internalizzare
tutta la produzione.
5. l’integrazione verticale rallenta lo sviluppo di competenze distintive (perdita di
specializzazione)

LA GESTIONE DELLE RELAZIONI VERTICALI


La quasi integrazione ci permette di capire come posso ottenere gli stessi vantaggi derivanti
dall’integrazione verticale evitando i costi e la rigidità strutturale associati al controllo
proprietario.
L’alternativa tra “integrazione verticale” e “non integrazione” è sostanzialmente teorica. Tra
Gerarchia e Contratti spot di mercato c’è un continuum di possibili forme di relazione tra
fornitore e acquirente che:
-non richiedono un controllo proprietario
-variano per Livello di coinvolgimento e Grado di formalizzazione.

Esempio: quasi integrazione verticale

Non si può scegliere di integrarsi o no, ma ci


sono anche forme in cui tendenzialmente si
possono fare degli accordi di tipo contrattuale
con i fornitori o clienti che consentono di
avere lo svantaggio di rigidità della struttura.
Il franchising è molto utilizzato come
contratto: consiste nel fatto che l’impresa
faccia entrare nel suo network un’altra
impresa che utilizzerà brand ed altri elementi
dell’impresa.

LA GESTIONE DELLE RELAZIONI VERTICALI


Le forme contrattuali di quasi-integrazione verticale.
L’impresa può stabilire con il fornitore o con il cliente una relazione di lunga durata
attraverso un idoneo contratto.
- dilata le proprie possibilità di controllo rispetto ai contratti spot
- riduce le possibilità di opportunismo
- problemi nel rispetto delle condizioni e negli adeguamenti (i costi di transazione non si

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annullano).
Es. adeguamento dovuto a aumento inatteso prezzo input del fornitore. Soluzioni fixed-
price (beni standardizzati con tecnologia matura o con costi di produzione stabili) e cost-
plus (produzioni complesse e innovative)
Il franchising: sulla base del contratto di franchising, un soggetto (franchisor)
garantisce la fornitura dei propri prodotti o servizi a un altro (franchisee o affiliato)
che si impegna a distribuirli in esclusiva.
Fix prices → legati a beni standardizzati. Se invece ho produzioni complesse e innovative
che cambiano nel tempo, è meglio fissare una logica post plus.
Esempio: quasi integrazione verticale
• Fiat e fornitori di componentistica. Il concessionario è indipendente dal punto di vista
legale, ma dal punto di vista operativo è legato alla casa automobilistica
• Case automobilistiche e concessionari (indipendenti sul piano societario, ma
interdipendenti dal punto di vista economico e delle politiche di marketing)
- tempi di pagamento
- periodi di durata delle promozioni
- spostamento del finanziamento dello stock della filiera verso le fasi a valle → incentivo ad
aumentare sforzi di vendita
• Benetton e rete di punti vendita (tutti i suoi punti vendita sono in franchising)

LA DIVERSIFICAZIONE D’IMPRESA

L’integrazione verticale la possiamo vedere


anche come diversificazione di attività
correlate a monte o a valle.
La strategia di diversificazione si distingue in
quanto si va ad operare in settori diversi dal
core business.
Ci sono imprese estremamente diversificate,
come le grandi multinazionali che operano
in vari settori.
Le forme di diversificazione possono essere
diverse.
bisogna capire se mi conviene diversificare in altri business.

LA STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE
La diversificazione si propone di sviluppare la presenza dell’impresa in una molteplicità di
tanti settori, che non devono per forza essere correlati con l’attività che svolgo. Spesso lo
sono. Diversificarsi comporta una serie di implicazioni per l’organizzazione dell’impresa.
Questa scelta va opportunamente valutata.
Davanti all’impresa, nel momento in cui pensa di usare la strategia della diversificazione, si
hanno molti modi con cui attuare questa diversificazione.
Ci sono tre modalità di attuare la diversificazione:

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1. crescita interna (es. Apple, che è nata nell’ambito di PC, entra nella telefonia
cellulare).
2. accordi e in particolare joint venture e licensing (es. Ferrari auto e i prodotti non
core). L’impresa può anche decidere di fare accordi consistenti
3. fusioni o acquisizioni di imprese collocate nel settore verso cui si diversifica (es. P&G
e Gillette). l’impresa si può fondere con un’altra impresa del settore in cui vuole
entrare, oppure acquisisce un’impresa che opera in un altro business in cui vuole
diversificare la propria attività.

DIVERSI TIPI DI DIVERSIFICAZIONE


Ci sono varie modalità di diversificazione. Non solo la possiamo fare con politiche e
modalità diverse, ma vi sono anche vere e proprie tipologie di diversificazione.
Ci sono due principali tipologie:
diversificazione conglomerale: espansione dell’impresa in settori privi di alcun
collegamento industriale o di mercato → es.General Electric (è una multinazionale.
Ha sei settori in cui opera). Operiamo in un business totalmente nuovo, di cui non
sappiamo niente e che non c’entra nulla con il mio core business.
La General Electric opera in settori che non sono correlati tra di loro.

diversificazione correlata: possibilità per l’impresa di individuare e avvantaggiarsi


dei fattori che determinano tale correlazione: Procter & Gamble. Molto più spesso la
diversificazione è di tipo correlato, ovvero con aspetti comuni. In questo tipo di
diversificazione l’impresa entra in un nuovo business dove ci sono similarità tra i vari
settori e non sono completamente disgiunti.
La P&G ha centinaia di brand che gestisce, i quali riguardano il largo consumo
(Swiffer, Braun, Tampax, Gilette ecc). Questi brand possono essere connessi dalla
funzione d’uso e dai luoghi d’acquisto. I canali distributivi sono fatti gli stessi, in
quanto vengono tutti venduti al supermercato e costituiscono le esigenze d’acquisto
di gran parte dei consumatori.

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La correlazione tra due settori si manifesta nella:
- utilizzazione di stesse risorse tangibili o intangibili
- condivisione di competenze organizzative (se ad esempio un’impresa ha una grande
capacità di avere un grande potere contrattuale, la può applicare in un altro settore)
- condivisione di approccio strategico (ad esempio nel mercato del lusso, LVMH → si è
integrata nella distribuzione e diversificata in vari settori in cui opera). La natura
merceologica è importante nella correlazione, ma non così tanto perché vi sono altre
logiche che spingono alla diversificazione.
- condivisione di attività e di procedure operative

I CRITERI DISTINTIVI DELLA CORRELAZIONE


Sicuramente la diversificazione al suo interno può essere molto variegata.
Ci sono vari criteri distintivi della correlazione:
Intensità: rilievo della connessione strategica ed economica tra i settori.
Bisogna tener conto che ci possono essere vari gradi di intensità di correlazione
(alcuni business possono essere strettamente correlati, mentre altri in modo più
debole).
Direzione: verticale e orizzontale. In senso orizzontale si opera tenendo conto di
sinergie che si vengono a creare con settori molto vicini.
Fattori:
- Fattori di mercato: sovrapposizione di domanda . Da un punto di vista strategico
può essere conveniente operare in quel business. La Ferrari, ad esempio, utilizza
questo metodo, in quanto la clientela vede nel brand lo stile di vita che vuole
replicare, apparendo con la maglia Ferrari o altri oggetti
- Fattori tecnologico-produttivi: sovrapposizione di processi produttivi. Questa
sovrapposizione consente di utilizzare una stessa tecnologia.

LE SPINTE DELLA STRATEGIA DI DIVERSIFICAZIONE


Che cosa porta l’imprenditore alla strategia di diversificazione?
a) mancanza di opportunità di crescita nel settore di origine e debolezza relativa verso
concorrenti (es. IBM → sistemi applicativi e consulenza; Microsoft → telefonia
cellulare). In questo caso si può pensare di entrare in altri settori quando non si
guadagna più nel core business
b) sfruttamento di risorse e competenze eccellenti fuori dal settore di origine
(management, marca, rete, tecnologie). Ci si può rendere conto di avere un brand
molto importante, o tecnologie che hanno un un grande potenziale di mercato. In
questo caso si può pensare di strutturare i punti di forza principali anche in altri
settori
c) utilizzazione di risorse e capacità in eccesso (es. capitale finanziario) e la ricerca di
nuove opportunità. l’imprenditore non riesce a saturare la propria capacità
produttiva, pertanto ha un eccesso e ha la necessità di trovare un settore correlato
in cui applicare la propria capacità produttiva anche in altri impianti
d) sfruttamento delle economie di “scopo” (ovvero le economie della produzione
congiunta).
Se alcuni input (materie prime, rete di vendita, R&S, …) servono potenzialmente alla

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produzione/distribuzione di n prodotti, e se questi input sono economicamente
disponibili solo in lotti di una certa dimensione minima (superiore al fabbisogno
richiesto per un solo business), un’impresa che produce tutti questi n prodotti
(multibusiness) consegue economie di scopo
e) sviluppo di un mercato “interno” (capitale da settori mono / oligo-polistici a settori
concorrenziali; risorse umane di alto valore).
f) riduzione del rischio. Ci possono anche essere delle ragioni legate al fatto che la
diversificazione è una strategia legata al ridurre i rischi.
Una diversificazione pura riduce il rischio → riduce la variabilità totale dei rendimenti →
aumenta il valore complessivo dell’impresa. Però dipende dal livello assoluto dei rischi dei
business in portafoglio e dalla posizione competitiva in ciascun settore
g) aumento del potere di mercato dell’impresa: Dumping e Politiche predatorie di
prezzo; Bundling (estendere il monopolio da mercato core a mercato correlato). Ad
esempio: Microsoft → sistemi operativi per PC → pacchetti applicativi → browser.
Si possono creare situazione in cui l’impresa utilizza gli alti margini economici
ricavati da un settore per fare una politica più aggressiva nei settori più competitivi.
La diversificazione può anche essere un modo per ingenerare queste logiche.
h) diversificazione come strategia di riconversione industriale (turnround). In un
momento di crisi l’imprenditore vuole sostituire il settore in cui opera da tempo con
il settore in cui entra.

RAGIONI ALLA BASE DELLA STRATEGIA DI RICONVERSIONE


• declino strutturale del mercato
• obsolescenza tecnologica di processo o di prodotto irrecuperabile (es. Kodak)
• perdita della posizione competitiva rispetto ai concorrenti. Ci si può rendere conto di
non essere più competitivi in un determinato settore
• peggioramento delle condizioni di approvvigionamento o di distribuzione. Ci si
rende conto di non avere più potere contrattuale e quindi, a lungo andare, l’attività
d’impresa non sarà più competitiva ed economica
• interventi del soggetto pubblico. Ad esempio, nel settore dello zucchero l’Italia è
stato un paese che ha operato per molti anni ma poi lo Stato ha regolamentato il
settore.

LE CONDIZIONI DI VANTAGGIOSITA’ DELLA DIVERSIFICAZIONE


Quando l’imprenditore valuta la diversificazione deve tener conto di una serie di aspetti:
● stimare la redditività potenziale prospettica del nuovo settore al netto dei costi di
entrata specifici per l’impresa
● stimare gli effetti che l’entrata nel nuovo settore produce sulle determinanti del
valore nel o nei business in cui l’impresa è già presente
● stimare gli effetti che la presenza nel o nei business di origine produce sulle
determinanti del valore nel nuovo settore
● stimare il costo dell’integrazione e dello sfruttamento delle sinergie esistenti o
potenziali tra i business
● il valore delle eventuali opzioni reali generate dalla diversificazione

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STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Essa è una sorta di diversificazione in altri mercati geografici.

Si inizia ad essere presenti con filiali


commerciali anche in altri paesi.
Il possesso di partecipazione al capitale di
imprese straniere non significa essere
internazionalizzato, in quanto le attività
svolte all’estero devono costituire una
parte importante dell’attività dell’impresa.

STRATEGIA DI INTERNALIZZAZIONE
L’impresa internazionale è caratterizzata dal fatto di gestire in modo permanente attività di
natura economica (commerciale e/o produttiva) in due o più Paesi; l’internazionalizzazione
è quindi riferita alla dimensione reale dell’impresa e non a quella finanziaria.
Essa necessita di un preciso orientamento strategico, della formalizzazione di un piano e di
investimento di risorse, dell’impatto sulla struttura organizzativa (ampiezza e coerenza)
e del coinvolgimento dell’impresa in maniera stabile e significativa in una rete di relazioni
con altri soggetti presenti nelle varie aree geografiche.

FATTORI INTERNI CHE SPINGONO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE


ricerca, nelle aree estere, di condizioni (sviluppo risorse interne e posizione
competitiva) che possono tradursi in elementi di vantaggio competitivo per
l’impresa:
- investimenti diretti esteri (investimenti market seeking; investimenti (natural) resource
seeking; investimenti low cost seeking)
- vantaggi fiscali
- sfruttare il ciclo di vita internazionale del prodotto (es. produttori di macchine e impianti
per ceramiche)
- immagine internazionale ai fini della strategia di comunicazione
sfruttamento in nuove aree geografiche di vantaggi competitivi detenuti nel mercato
originario (prodotto, brand, effetto «made in»)

FATTORI AMBIENTALI CHE SPINGONO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE


Ci sono anche aspetti legati all’ambiente esterno che spingono all’internazionalizzazione:
(1) l’internazionalizzazione dei mercati, della concorrenza e in generale dell’ambiente
rilevante per l’impresa
(2) il miglioramento delle condizioni e la diminuzione dei costi relativi alle
comunicazioni e ai trasporti tra aree geografiche diverse
(3) la saturazione del singolo mercato locale

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(4) Reazione competitiva nei confronti di un rivale
- band-wagon effect (effetto trascinamento) → un concorrente di trasferisce all’estero, e
dunque ho un effetto trascinante
- exchange of threat → un concorrente si trasferisce all’estero, dunque io posso andare ad
operare nel settore in cui lui vi era prima.

CAPITOLO 6. PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA E


GESTIONE DEL CAPITALE UMANO
Per poter implementare e dare attuazione ai percorsi strategici che abbiamo di fronte è
importante dare anche una strutturazione all’organizzazione che ci permetta di perseguire
quei percorsi → un sistema organizzativo aziendale che ci permetta di attuare le strategie
da perseguire.
Bisogna infatti strutturarsi in modo da far sì che l’organizzazione riesca a mettere in pratica
ciò che la strategia presuppone.
La strategia è la base da cui si parte, ma da sola non basta: bisogna dare all’organizzazione
la struttura per raggiungere gli scopi della strategia.
Studieremo come si struttura il sistema organizzativo aziendale. Gran parte di questi
contenuti illustrano i principali modelli organizzativi da implementare → ci sono alcuni

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modelli (modello funzionale che riguarda le varie funzioni che sono parte di imprese non
complesse; modello divisionale, dove si hanno divisioni con varie logiche e si occupano di
imprese più complesse; modelli organizzativi a forma matriciale che vanno adattate a
strutture complesse; ecc).
Vedremo anche aspetti nel modo in cui vado a progettare l’organizzazione → l’aspetto con
cui diamo sostanza strutturale alla forma della strategia.
In fine tocchiamo il tema del capitale umano: i sistemi organizzativi sono formati da
persone.
Le organizzazioni sono infatti entità sociali poiché sono formate da persone.

ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
L’organizzazione aziendale è una forma strumentale che serve per coordinare attività,
compiti, azioni che devono essere svolti in modo da raggiungere un certo obiettivo
aziendale.
L’impresa inizia la sua attività di mercato con l’idea di produrre beni o servizi per soddisfare
certe esigenze, ma bisogna pensare come questa attività core vada svolta → si ha bisogno
di un contesto organizzativo che stabilisca i ruoli, le gerarchie, i compiti e chi coordina lo
svolgimento di questi compiti.
È stato provato che se si lascia ognuno a sé stesso, l’impresa perde valore ma crea valore
nel momento in cui riesce a coordinare il lavoro dei soggetti.
Le imprese sono ovviamente volte alla crescita e man mano che le organizzazioni crescono
hanno anche un maggior numero di persone, i mercati serviti possono aumentare e
dunque si ha un’impresa che cresce e nel momento in cui cresce ci deve essere una
naturale divisione del lavoro e un suo coordinamento.
Ecco perché l’attività di impresa presuppone una struttura organizzativa che sia alla base
per ottenere un buon coordinamento dei ruoli svolti dai componenti dell’organizzazione.
Più la struttura diventa complessa, più lo sforzo organizzativo deve essere importante → la
differenziazione del lavoro si incrementa e va gestita.

IL SISTEMA ORGANIZZATIVO AZIENDALE


Il sistema organizzativo aziendale è il risultato (il prodotto) di un’interazione dinamica, non
statica, tra cinque elementi:
• strategie e orientamenti di fondo: mission e valori
• struttura organizzativa: modo in cui ho assegnato compiti e responsabilità, chi
coordina chi. Questo mi permette di andare a definire il modo in cui vado a
catalogare le attività svolte e assegno le responsabilità e i compiti alle persone
• risorse umane: bisogna organizzare al meglio il capitale umane. Le persone, con il
loro lavoro, consentono di raggiungere gli obiettivi dell’impresa
• meccanismi operativi: sono dei sistemi di coordinamento interni all’organizzazione
aziendale. Bisogna, ad esempio, dare ai lavoratori dei sistemi informativi, sistemi di
supporto decisionale → sono tutti sistemi che mi aiutano a cercare di conseguire
degli obiettivi tramite i sistemi di coordinamento interno
• tecnologie: bisogna considerare che anche la tecnologia ha un impatto sul modo in
cui è organizzata la struttura organizzativa dell’azienda.

70
Il sistema organizzativo è esso stesso un modo per creare vantaggio competitivo. È il
contesto in cui si rinnovano le routine organizzative collettive e dove le strategie si
sostanziano.
È composto dall’interazione dinamica di questi cinque elementi.
Ovviamente non si cambia spesso la struttura organizzativa perché non sarebbe funzionale
all’attività dell’impresa → l’organizzazione deve essere coerente. Nel momento in cui ci
sono cambiamenti sostanziali dal punto di vista strategico, anche l’organizzazione di
conseguenza deve essere rivista.

ORGANIZZAZIONE E SOSTENIBILITA’ DEL VANTAGGIO COMPETITIVO


L’organizzazione è strumentale e aiuta a rendere sostenibile il vantaggio competitivo.
La progettazione è la scelta di un modello strutturale in funzione delle specificità del
contesto competitivo e delle risorse d’impresa.
È quel modello che ci permette di riuscire ad implementare le strategie tenendo conto del
contesto competitivo in cui l’impresa è inserita e le risorse umane.
L’organizzazione vive delle persone che la costituiscono ed esse sono fondamentali perché
il modo in cui sono gestite va ad aumentare il livello di risorse di impresa.
Le gestione delle risorse umane, fondamentali nel processo di accrescimento delle risorse
complessive dell’impresa, influenza le strategie e la progettazione organizzativa.

Dunque mettiamo
insieme ambiente interno ed esterno, e possiamo dire che il sistema organizzativo è fonte
stessa di vantaggio competitivo.

LA PROGETTAZIONE DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA


La progettazione della struttura organizzativa è il processo con cui i manager raggruppano
le attività, selezionano e gestiscono le unità organizzative, definiscono la divisione del
lavoro e il coordinamento, così da controllare le attività necessarie al raggiungimento degli
obiettivi.
Essa è uno strumento di coordinamento delle varie attività svolte: il coordinamento è una
funzione essenziale di guida ma anche di punizione nel momento in cui non ci si comporti
nel modo adatto a perseguire gli obiettivi aziendali.
La divisione del lavoro è bi-direzionale, ovvero può essere fatto a livello verticale e a livello
orizzontale:

71
• a livello verticale: vuol dire che ci sono rapporti di dipendenza gerarchica (c’è un
capo a cui ci si deve riferire) e c’è una distribuzione dell’autorità che viene
formalizzata (anche tra unità organizzative)
• a livello orizzontale: si assegnano i vari compiti: a ognuno vanno assegnati compiti in
base alle loro capacità e competenze.
C’è anche il problema del coordinamento tra le varie unità organizzative in senso
orizzontale.

Esempio: organigramma di un gruppo ceramico


L’organigramma è uno schema formale di come la struttura organizzativa è strutturata.
In esso si riescono ad identificare i livelli gerarchici → in questo schema vi sono tre livelli
gerarchici :
1) imprenditore o consiglio di amministrazione
2) le singole direzioni (qui ve ne sono tre: amministrativa, commerciale e tecnica)
3) funzioni relative alle varie amministrazioni (controllo delle gestione delle imprese, la
parte di finanza e ragioneria, bilancio e contabilità)

Questo schema fa capire che il marketing non è una funzione fondamentale, perché
dipende dalla direzione commerciale → l’organizzazione deve rispecchiare l’orientamento
di fondo e di come l’impresa si vuole muovere sul mercato.
In qualsiasi organigramma vi sono organi di:
- Line → organi che svolgono attività tipiche dell’impresa
- Staff → organi di supporto all’organizzazione, di servizio, che svolgono attività trasversali
per l’organizzazione (es.il personale)
Line + Staff esprimono rapporti di dipendenza formale.

Quando si progetta l’organizzazione bisogna tenere presente alcuni blocchi fondamentali in


merito alla divisione del lavoro.

72
Ci sono tre blocchi fondamentali:
1) ruolo: è l’insieme dei compiti operativi che vengono assegnati o richiesti ad una
certa persona che è in una posizione specifica
2) funzione: è una sotto unità composta da un gruppo di persone che lavorano insieme
(dunque ci sono anche logiche di collaborazioni) che hanno competenze, strumenti,
tecniche similari
3) divisione: sotto unità composta da un’insieme di funzioni o dipartimenti che
condividono la responsabilità di arrivare ad un certo output.

Questi tre blocchi sono inglobati l’uno dentro l’altro: divisioni, organizzate in funzioni e
funzioni, organizzate in ruoli

LE DETERMINANTI NELLA DEFINIZIONE DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA


La scelta del modello organizzativo dipende da:
dimensione aziendale : volume di risorse da gestire.
Se ho una microimpresa con pochissimi dipendenti, avrò una struttura organizzativa
molto destrutturata e ho una logica di modello funzionale.
La dimensione aziendale va tenuta in considerazione per decidere un modello organizzativo
rispetto ad un altro
situazione prodotti-mercati: prodotto offerto e mercati su cui si vuole essere
presenti
tecnologia : contenuto tecnologico dei prodotti e dei processi
la struttura e la dinamica dell’ambiente esterno: si deve tener conto anche
dell’ambiente esterno: più l’ambiente esterno è complesso, più l’organizzazione deve
essere pensata per supportare lo sforzo strategico attuato
le strategie adottate: la struttura organizzativa deve essere strutturata tenendo
conto delle strategie business (strategie di base, la leadership di costo e la
differenziazione) , piuttosto che le strategie corporate (strategie di crescita a livello
verticale, orizzontale, trasversale).

73
LA VALUTAZIONE DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
L’adeguatezza della struttura organizzativa deve essere valutata facendo riferimento ad
alcune variabili critiche:
efficienza: è data dal cercare di valutare che la struttura identificata consenta di
avere l’utilizzo meno dispendioso di risorse (max rapporto input-output)
elasticità operativa: capacità di rispondere ad incrementi quantitativi della
produzione
elasticità strategica: capacità di modificare le caratteristiche qualitative dei prodotti.
Bisogna cercare di adattarsi ai cambiamenti del mercato → l’organizzazione deve
anche consentire di aver un minimo di “ cuscinetto”per rispondere ai cambiamenti
che avvengono sul mercato.
elasticità strutturale: capacità di adeguare la struttura aziendale alle variazioni
ambientali.
Oggi più che in passato sono molto importanti le logiche che consentono di dare elasticità
all’organizzazione che si vuole strutturare e gestire.
I due elementi fondamentali sono dunque efficienza ed elasticità (come flessibilità nei
confronti di cambiamenti strategici, strutturali e operativi).

MODELLI (O FORME) ORGANIZZATIVI


I modelli principali sono tre:
1) modello funzionale (forma a U)
2) modello multi-divisionale (forma a M)
3) modello holding (forma a H)

Oltre a questi tre modelli principali ne abbiamo altri, che sono forme di ibridazione dei
precedenti:
1) modelli a matrice
2) modelli reticolari
Queste forme vanno adattare alla capacità e competenze che si vengono a creare.

MODELLO FUNZIONALE
Il modello funzionale (che è il modello più semplice e si adatta di più ad imprese di piccole
e medie dimensioni → in Italia lo troviamo spesso) privilegia l’efficienza rispetto
all’elasticità.
Solitamente è utilizzato per imprese piccole che devono valorizzare meglio economie
legate all’esperienza.
Il modello funzionale ripartisce le responsabilità organizzative di primo livello basate sulle
funzioni aziendali.
Esso è un modello tendenzialmente rigido.

Questo modello si basa su:

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● elevata specializzazione funzionale (le unità organizzative sono create sulla base di
compiti comuni in base all’input e alla natura delle attività → vantaggi di scala e di
apprendimento)
● elevata rigidità strutturale (poca elasticità strutturale e strategica) → questa è una
debolezza
● elevata efficacia ed efficienza in caso di:
- imprese di modeste dimensioni aziendali (altrimenti si accresce troppo il carico di
lavoro di «integrazione» tra funzioni della direzione)
- bassa differenziazione di prodotto e a ciclo di vita lungo
- tecnologia e ambiente stabile
● metodi di attenuazione della rigidità funzionale

Questo modello va bene quando ho un’impresa specializzata in alcune funzioni, ma ha il


difetto di rendere rigida la struttura.

Esempio: modello funzionale puro e modello funzionale modificato

Si ha un modello funzionale puro quando c’è la direzione generale, da cui dipendono le


varie direzioni (sono unità funzionali, che svolgono attività specifiche) che corrispondono
ad un ruolo. La struttura è organizzata in modo snello e leggero.
Il modello funzionale modificato è più in linea con gli orientamenti attuali del mercato. Il
modello funzionale modificato sfrutta l’idea del modello funzionale tenendo conto di alcuni
aspetti che non sono proprie di esso.

Il modello funzionale cerca di ottenere economie di scala e di apprendimento, infatti cerca


di dare efficienza. Il suo limite è però nella sua rigidità.

MODELLO MULTI-DIVISIONALE

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Il modello multi-divisionale ripartisce le responsabilità organizzative di primo livello basate
sulle unità di business (prodotti/categorie di clienti/mercati geografici).
Questo modello si organizza per tipologie di prodotti e tipologie di clienti.

elevata autonomia delle divisioni: se opero con logiche di unità di business


attribuisco un certo grado di autonomia a quelle unità, quindi non c’è un forte
accentramento ma le unità di business hanno un certo grado di autonomia.
elevata elasticità operativa e strategica: queste unità sono anche più flessibili in
quando hanno una certa autonomia
elevata efficacia ed efficienza in caso di:
- crescita delle dimensioni aziendali
- proliferazione di prodotti/servizi → si hanno vari prodotti o servizi da gestire
- sviluppo tecnologico
- ambienti competitivi tendenzialmente instabili → l’ambiente competitivo è molto
tosto e dinamico
- strategie di differenziazione
Questi aspetti sono condizioni opposte per quanto visto per il modello organizzativo
funzionale.
Questo modello si adatta bene ad imprese che sono in ottica di gruppo e , grazie alle
dimensioni grandi, riescono a beneficiare delle economie di scopo.

Quando parliamo di modelli basati sulla logica divisionale, spesso bisogna tenere in
considerazione che ci si può trovare di fronte a modelli la cui suddivisione in divisioni può
avvenire su due livelli:
1) direzioni centrali a livello corporate per le attività di supporto a tutta l’impresa.
Queste direzioni svolgono:
- attività di supporto (catena del valore) creatrici di valore
- snellimento delle divisioni che favorisce la loro focalizzazione sul business
- elevata complessità nelle attività condivise a livello corporate (possibile
disallineamento degli obiettivi della direzione centrale con quelli delle altre divisioni)
e elevati costi di coordinamento. Maggiore è l’autonomia delle direzioni, più ci
possono essere degli scostamenti dagli obiettivi generali → questo è sempre il
problema di quando si affidano gradi di autonomia.
2) divisione autonoma (di servizio) che “serve” le altre divisioni dell’impresa (business
captive)

La Sony, ad esempio, ha questo modello:

76
Il modello multi-divisionale è stato adottato da Wal Mart:

Wal Mart aveva


suddiviso la sua
attività: decise di
dare autonomia ad
alcune direzioni, su
base geografica → ha
suddiviso gli Stati
Uniti in quattro parti,
a ciascuna delle quali
ha dato certe
autonomie.

LA FORMA HOLDING
Vi è una suddivisione più forte e una maggiore autonomia delle divisioni.
In questo modello vi è un’autonomia giuridica delle divisioni (legami deboli con
Capogruppo).
Vi sono due categorie di forme a holding, in funzione del ruolo svolto dalla Capogruppo:
● HOLDING FINANZIARIA: finanziaria di gestione (interdipendenze intangibili) →
gestisce delle forme d interdipendenza con le altre società del gruppo
- coordinamento dell’attività finanziaria
● HOLDING OPERATIVA: Caposettore- Capogruppo (interdipendenze operative) → non
hanno legami di tipo finanziario ma di tipo operativo. In questo caso i business sono
molto interconnessi tra loro e l’integrazione tra le varie attività di filiela è forte come

77
quella a monte o a valle. La Capogruppo ha un ruolo di forte corrdinamento
- elevata integrazione dei business (verticalmente ed orizzontalmente)
- attività di coordinamento della capogruppo
- articolazione delle divisioni basata su: unità di business (a loro volta strutturate per
funzioni), progetti (nella struttura per progetti)

LA STRUTTURA A MATRICE
La struttura a matrice tiene in considerazione due modalità con cui viene suddivisa
l’organizzazione. Le responsabilità organizzative sono definite adottando due (o più) criteri
di specializzazione; ad ogni criterio corrisponde una linea di autorità.

In questo caso la
divisione per prodotto si
va ad intersecare nella
divisione per mercato.
È una matrice 4x4.

Agire con una struttura a matrice significa trovare delle soluzioni che sono particolarmente
efficaci quando si hanno alcune condizioni di mercato particolari:
• dimensioni medio – grandi → questo modello non va bene per organizzazioni troppo
estese in quanto sarebbe difficile da gestire
• prodotti a breve ciclo di vita, ovvero prodotti che nascono e trovano il declino in
breve tempo (nel giro di qualche anno)
• necessità di svolgere attività interne di sviluppo tecnologico
• strategie di segmentazione e forte differenziazione
Il modello a matrice è ritenuto l’evoluzione della struttura divisionale o a holding.

Esempio: modello a matrice

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Questa è l’evoluzione del
modello adottato da Wal
Mart dove i prodotti si
intersecano con le aree
presenti

LA STRUTTURA PER PROGETTI


La struttura per progetti è una struttura funzionale di base (permanente) e una
struttura temporanea per progetti. Essa opera efficacemente al verificarsi delle
seguenti condizioni:
- dimensioni medio – grandi
- prodotti a brevissimo ciclo di vita
- prodotti che rispondono a specifiche esigenze della clientela
- elevato fatturato unitario dei progetti
- innovazione continua
- strategie di segmentazione e forte differenziazione
ruolo centrale del capo-progetto

è una struttura simile a quella della


matrice, ma è diversa la logica

IL MODELLO FUNZIONALE CON INTEGRATORI

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I modelli puri nella realtà sono difficili da trovare in quanto spesso vengono integrati con
degli integratori

LA PROGETTAZIONE DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA


Bisogna tenere presente alcuni aspetti che bisogna cercare di risolvere, alcuni problemi
fondamentali:
a) equilibrio tra divisione dei compiti a livello di singolo blocco ed integrazione
(coordinamento) tra blocchi: organizzazioni semplici vs complesse
b) equilibrio tra accentramento (potere al vertice) e decentramento (delegato su più
livelli) dell’autorità a livello di singolo blocco e tra blocchi: organizzazioni piatte vs
alte
c) equilibrio tra standardizzazione (modelli formalizzati da regole e norme) e
aggiustamento (l’interazione tra le persone orienta il processo decisionale):
organizzazioni formali vs informali.

IL CAPITALE UMANO
L’organizzazione è fatta di persone, di ruoli e compiti svolti da persone.
Esso è strettamente connesso a logiche organizzative e rientra nel capitale intangibile
dell’impresa. L’organizzazione deve anche porsi l’obiettivo di sviluppare il capitale umano, e
dunque si parla di modi con cui fidelizzare il personale e farlo crescere.
Il capitale umano rientra nel capitale intangibile dell’impresa: capitale umano vs capitale
organizzativo.
Si possono fare degli interventi per sviluppare il capitale umano
• fedeltà del personale: fidelizzare il personale
• cultura organizzativa: modo con cui l’organizzazione trasferisce i propri valori ai
dipendenti
• ricambio generazionale
• valutazione: il personale deve essere valutato
• retribuzione e incentivazione
STRUMENTI DI GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
formazione
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percorsi di carriera
- lineare
- da esperto
- a spirale
allineamento strategico del sistema di compensation: riguarda i sistemi di
retribuzione. Non solo lo stipendio incentiva il personale.
Ma, ad esempio, essere il migliore comporta un premio a livello economico oppure un
regalo materiale sprona il lavoratore.

SISTEMI DI MANAGEMENT BY OBJECTIVES (MBO)


Aree chiave di risultato:
● obiettivi:
- prioritari
- significativamente correlati con le prestazioni individuali
- realistici
- misurabili
- coerenti
● Associazione con indicatori di performance
- reddituali; finanziari; fisici, temporali; strategici; di integrazione

L’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO
La conoscenza si trasferisce tra individui e tra questi e l’organizzazione → meccanismo
circolare di creazione di nuova conoscenza

Processo di trasformazione della conoscenza in:


• tacita-esplicita
• individuale-collettiva
L’apprendimento organizzativo interno può essere lento e parziale se non viene alimentato
e integrato con l’apprendimento nell’ambito di alleanze strategiche con altre imprese.

CAPITOLO 7. INTRODUZIONE AL MARKETING


Ci focalizziamo sul marketing concept, ovvero sul concetto di marketing.

81
Nel tempo questo concetto si è evoluto ed è cambiato. Il fatto che il termine si sia evoluto,
non significa che tutte le imprese hanno utilizzato il termine marketing con gli stessi
contenuti.
Oggi ci sono ancora delle imprese che hanno un orientamento al prodotto, più che alla
creazione di valore.
Il marketing concept si è orientato all’impresa: produzione → prodotto, vendite, mercato.
Oggi si parla di co-creazione di valore.

COS’E’ IL MARKETING?
Il marketing inizia a svilupparsi negli USA negli anni ‘50.
In Italia questo concetto ci ha messo parecchio tempo ad entrare.
È una modalità di gestione con cui si dà sostanza alla strategia d’impresa.
Il termine è di derivazione anglosassone e ha una matrice che deriva dal termine ‘market’
(mercato) e ‘to market’ (operare).
Il concetto di mercato è fondamentale nel marketing → modalità di svolgimento per il
mercato sul mercato.
Vi sono due principali definizioni di marketing:
1) Una prima definizione vede il marketing come la modalità di gestione con cui si
opera sui mercati per realizzare gli scambi (lo scambio è il concetto base dell’attività
di mercato), in base ai quali il singolo e i gruppi ottengono quanto necessario per
soddisfare i bisogni e i desideri umani.
2) Una seconda definizione vede il marketing come un processo con cui le imprese
creano valore per i clienti ed instaurano con loro solide relazioni al fine di ottenere
in cambio ulteriore valore e/o successo di mercato.
In questa seconda definizione abbiamo un “processo”, che non si esaurisce con uno
scambio. Qui è messo in evidenza la creazione di valore, mentre nella prima definizione il
marketing serve alle persone come soddisfacimento.
Le relazioni sono di lungo periodo, non sono spot.

Il concetto di
marketing lo si vede all’interno di organigrammi aziendali con una “funzione marketing”.

IL MARKETING NELLA REALTA’ IMPRENDITORIALE E ISTITUZIONALE


Tutte le imprese, e non solo, possono fare marketing e alcuni lo fanno con successo.

82
Marketing è una modalità analogica da applicare in molti contesti e non solo al mondo di
imprese in senso stretto.
Anche comuni, città, imprese no profit fanno marketing.
Il marketing in realtà è estremamente pervasivo ed è un’attività che si può trovare in tutte
le attività pubbliche e private.
È il modo in cui si fa marketing che può essere diverso.
Tutte le imprese e le istituzioni “fanno marketing”:
- anche le imprese/istituzioni più piccole
- anche quelle che dichiarano di non avere risorse per fare marketing
Non tutte le imprese/istituzioni però sono “orientate al marketing”
Il marketing nel tempo si è andato specializzando ed evolvendo.

L’EVOLUZIONE DEL MARKETING CONCEPT


Se tutti possono fare marketing attenzione che però non tutte le imprese sono orientate al
marketing → orientamento specifico che si è avuto nell’evoluzione del marketing concept.
I marketing concept è andato ad acquisire nuovi contenuti evolvendosi nel tempo,
declinandosi e specializzandosi meglio.

Si può notare che l’evoluzione del


concetto di marketing è avvenuto
secondo cinque tappe.
Questa figura mette in relazione un
asse temporale e le logiche che vanno
dal prodotto alla relazione. Man
mano che le logiche si spostano verso
la relazione si hanno delle evoluzioni.

Queste cinque fasi sono:


1. orientamento alla produzione
2. orientamento al prodotto
3. orientamento alla vendita
4. orientamento al marketing
5. orientamento alla co-creazione di valore

ORIENTAMENTO ALLA PRODUZIONE

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Questo tipo di orientamento si sviluppò all’inizio del secolo scorso. Ford sosteneva che si
potesse avere una qualsiasi auto purché fosse una Ford T e fosse nera. Questo non era
orientamento al mercato. In questo tipo di mercato l’importante era solo produrre per far
fronte ad una domanda che continuava a chiedere un determinato prodotto.
Ford capì questo aspetto e sfruttò l’accesso di domanda, offrendo un bene standardizzata
che soddisfava i bisogni di base.
Bisognava stare attenti all’efficienza del costo perché a quell’epoca si cercava di rendere di
massa un bene che fino a quel momento non lo era.

ORIENTAMENTO AL PRODOTTO

L’orientamento al prodotto sposta l’attenzione dalla produzione al prodotto e alla sua


qualità.
Si vuole dare un prodotto e servizio che abbia delle buone prestazioni.
Ecco che si iniziano a tenere conto di aspetti di marketing, ma non dal punto di vista
strategico → marketing operativo.
Una delle leve del marketing operativo è proprio il prodotto.
Si parla anche di miopia di marketing in quanto si producevano beni migliori con più
attenzioni alle prestazioni tecniche ma non c’era un adattamento alle richieste specifiche
del mercato.
Un esempio è lo Swatch → un orologio estremamente personalizzato.

ORIENTAMENTO ALLA VENDITA

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Negli anni ‘80 vi è un indebolimento della domanda → cambiano quindi le condizioni del
mercato.
Non basta fare prodotti eccellenti, ma bisogna spingerli sul mercato.
Si iniziò qui a parlare di marketing, anche se visto come forma promozionale per vendere il
prodotto sul mercato.
Si parla tantissimo di vendita, quindi ci si concentra sulla transazione e non sulla relazione.
La transazione è un concetto spot, mentre la relazione è un concetto di lungo periodo (il
cliente è fidelizzato all’offerta).
Tutta l’attività di marketing è ridotta ad una logica di ‘hard selling’: l’importante è vendere;
anche se il prodotto non soddisfava al meglio il cliente, non importava poiché ciò che era
importante era la vendita (vi era una vendita ma si perdeva un cliente).
L’importante era vendere il proprio prodotto, tanto che a volte le logiche di vendita erano
molto aggressive.

ORIENTAMENTO AL MARKETING

Solo negli anni ‘90 si inizia a parlare di orientamento al marketing/orientamento al


mercato.
Qua cambia la prospettiva: ci si focalizza sui bisogni del target dei clienti.
Si inizia a dare sostanza alla definizione che è volta al soddisfacimento dei bisogni della
clientela.
Il marketing inizia a diventare la funzione che si trova prima della produzione e della
commercializzazione, prima bisogna infatti capire di che cosa hanno bisogno i clienti.
Nell’orientamento al mercato il marketing diventa l’attività di partenza per capire cosa
produrre, come produrlo, cosa comunicare al mercato e come venderlo.
ORIENTAMENTO ALLE VENDITE VS ORIENTAMENTO AL MERCATO

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Nell’orientamento alle vendite il driver principale è ancora la produzione. Il focus è sui
prodotti esistenti da collocare sul mercato.
Mentre nell’orientamento al mercato è il mercato che guida. Si parte dal capire i bisogni dei
clienti sul mercato.
Le leve su cui si fa presa nell’orientamento alle vendita sono le vendite aggressive e la
promozione; nell’orientamento al mercato si fa leva sul marketing integrato.
Gli obiettivi nell’orientamento alle vendite sono quelli di creare profitti, generati dai volumi
di vendita; nell’orientamento al mercato invece i profitti sono generati dalla soddisfazione
del cliente.

IL MARKETING E L’ORIENTAMENTO AL MERCATO


Il marketing può essere definito come insieme di attività e processi, e non corrisponde
necessariamente ad una specifica funzione aziendale.
È una funzione che dovrebbe permeare tutte le funzioni dell’impresa.

Marketing → orientamento al mercato → orientamento generale dell’impresa volto alla


soddisfazione dei clienti:
• cultura dell’ascolto
• diffondere e utilizzare informazioni sul mercato
• coordinamento delle funzioni in modo che il marketing possa contaminarle

ORIENTAMENTO ALLA CO-CREAZIONE DI VALORE


Oggi bisogna cercare di anticipare i desideri dei clienti e lavorare insieme al cliente per
riuscire a creare insieme il valore.
Entrambi gli attori (sia l’impresa che il cliente utilizzatore) insieme creano valore.
La co-progettazione ha portato a creare valore.

LE COMPONENTI DEL MARKETING


Ora vediamo le componenti del marketing e qual è il processo di marketing.
Le componenti del marketing:

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Il marketing è un concetto che
mette al centro il cliente
utilizzatore.
Intorno ci sono le leve operative.
Prodotto, prezzo, distribuzione e
promotion servono all’impresa per
dare sostanza alla messa al centro
del cliente tendendo conto che
essa stessa fa parte di un ambiente
esteso.
Tutte le componenti che si trovano
sulla fascia più esterna fanno parte
dell’ambiente esteso.

I PRINCIPALI CONTENUTI DEL MARKETING

La domanda esprime le sue preferenze che portano a scelte d’acquisto.


La domanda attribuisce valore facendo leva sul valore percepito dallo stesso.
L’individuo esprime le sue preferenze, un grado di valutazione di ciò che gli viene offerto e
in base al soddisfacimento.
Il marketing è un insieme di processi che congiungono imprese e individui tramite l’atto
dello scambio e dove si instaurano relazioni durevoli.

IL MARKETING MANAGEMENT
Quando si parla di marketing come processo di parla dell’attività di gestione del marketing,
dunque si parla di marketing management.

“È il processo di pianificazione e realizzazione della concezione, del pricing, della


promozione e della distribuzione di idee, beni e servizi al fine di creare scambi che
consentano di conseguire gli obiettivi di individui e organizzazioni” - American Marketing

87
Association, 1985 → questa prima definizione vede il marketing come un insieme di leve
operative con cui si dà luogo allo scambio

“Consiste nella creazione, mantenimento, gestione e sviluppo delle relazioni coi clienti, così
da raggiungere gli obiettivi delle due parti. Questo scambio si ottiene attraverso lo scambio
reciproco e la realizzazione delle promesse”- Gronroos, 1990 → è una prospettiva di
marketing relazionale.

IL PROCESSO DI MARKETING
Nell’ottica del marketing management il marketing è un processo.
Il processo di marketing si può definire come un insieme di attività che permettono
all’impresa di:
• interagire con il cliente per capirne i bisogni
• identificare, progettare, consegnare valore per il cliente, ridisegnando e
riconfigurando la catena del valore

Solo dopo aver capito cosa vogliono i miei clienti (fase analitica), vado a definire una
strategia di marketing.
Dopo aver definito la strategia, posso implementare il programma di marketing utilizzando
le leve che ho a disposizione in modo da creare un valore superiore.
Solo dopo posso instaurare relazioni con il cliente per garantire la massima soddisfazione.
Se sono riuscito a fare bene tutto ciò, ci sarà il ritorno di valore dal cliente.

La fase di identificazione del valore è quella in cui vado a capire il mercato e le sue esigenze
→ si parla di segmentazione del mercato (suddividere il mercato in segmenti poiché non
tutti i clienti sono uguali e non hanno tutti la stessa necessità).
Dopo posso capire se mi interessa agire su tutti i target del mercato → si parla di selezione
del mercato.
Poi definisco il mio posizionamento sul mercato.

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Dopo questo, utilizzo la strategia di marketing per dare sostanza a quel posizionamento e
vado a lavorare sulla mia offerta per creare valore → sviluppo del prodotto/servizio.
Poi bisogna anche riuscire a consegnare questo valore al cliente utilizzatore mettendo in
atto le attività di marketing operativo.

IL MARKETING STRATEGICO
89
Si va a spiegare cos’è il piano di marketing all’interno delle logiche più complessive
dell’impresa e ci si occupa di alcuni aspetti fondamentali del marketing strategico:
- segmentazione: segmentare il mercato
- targeting: scegliere uno o più target di quel mercato
- posizionamento: implementare una strategia che mi permetta di arrivare a quei target
Il marketing diventa l’aspetto strategico che ci permette di prendere delle decisioni, e
bisogna dunque capire l’orientamento al mercato (di cosa hanno bisogno i clienti).

PIANO STRATEGICO E DI MARKETING

Fino ad ora abbiamo visto il pianto strategico (mission, vision, strategie).


Il piano di marketing è un inseme del piano strategico e delle modalità operative degli
obiettivi strategici evidenziati. Il piano di marketing è specifico rispetto all’attività del
marketing, che è spesso una funzione aziendale definita negli organigrammi ma oggi
diventa un’attività e una logica che pervade tutta l’organizzazione. Oggi il marketing è una
funzione diffusa nell’impresa.
Nel piano di marketing si cerca di dare sostanza agli obiettivi tramite segmentazione e
posizionamento. In questo piano si identificano le leve operative che permettono di
implementare le decisioni di posizionamento e che permettono di raggiungere gli obiettivi
di marketing prefissati.
Ovviamente si avranno dei risultati, i quali saranno i raggiungimenti degli obiettivi →
all’interno delle logiche di marketing si vanno a cercare criteri per misurare dei risultati e
farne una valutazione. Nel caso in cui ci fossero dei risultati che si discostano dagli obiettivi
prefissati, bisogna porre in essere delle azioni correttive.
Il marketing deve essere oggi una attività che si pone alla base delle decisioni che vengono
prese, dunque la fase di analisi è molto importante, perciò la ricerca di marketing e i sistemi
operativi di marketing sono fondamentali per riuscire ad avere le basi analitiche su cui
fissare gli obiettivi strategici e di marketing.
Tutte queste informazioni servono a condurre la fase analitica, sulla cui base si prendono le
decisioni di tipo strategico.

90
Mentre in passato era spesso la produzione che dava le regole, oggi è il marketing analitico
che spinge a prendere le decisioni corrette e ad informare tutte le attività aziendali e
strategiche.

CONTENUTI DEL MARKETING PLAN

Ci si focalizza sul cercare di individuare obiettivi di marketing strategico e ad incrementarli


con le leve possedute.
Nel marketing plan:
1. fase analitica: è una fase di analisi (analisi esterna e analisi interna) → non si può
decidere nulla se non si conosce l’ambiente in cui si è inseriti. Si fa dunque un’analisi
di quella che è la situazione esterna e di quella interna.
Nell’analisi esterna bisogna individuare opportunità e minacce nell’ambiente.
Nell’analisi interna si tiene conto dei punti di forza e debolezza.
2. fase strategica: corrisponde alla definizione degli obiettivi di marketing da
perseguire (essi riguardano l’approccio al mercato e mettono al centro il cliente) e
marketing strategy (ovvero il marketing strategico → quali sono le strategie da
attuare per perseguire gli obiettivi?)
3. fase operativa della pianificazione: si parla delle quattro P (chiamatesi Marketing
Mix → bisogna decidere come raggiungere quegli obiettivi con le leve che si hanno a
disposizione). Si va a pianificare e implementare i programmi e le azioni di marketing
4. fase di controllo: è basata sulla verifica degli elementi più economici che sono stati
budgetizzati. In fase di controllo si verifica ex-post se gli obiettivi che erano stati
prefissati con un certo budget sono gli stessi, oppure se vi sono scostamenti tra ciò
che l’impresa si era prefissata e ciò che ha realizzato.
Si possono fare dei cambiamenti in corso d’opera: bisogna fare spesso delle valutazioni in
modo da capire se si arriva ad avere determinati risultati.
Questi sono aspetti che riguardano la pianificazione del marketing.

IL MARKETING STRATEGICO
Ora andiamo a specificare cosa significa fare marketing strategico.
l’attività di pianificazione e di marketing ha dei livelli:

91
● fase analitica → marketing strategico
● fase operativa → marketing operativo
Il marketing strategico serve a porre e definire le strategie di mercato che sono la base per
operare.
Le scelte fondamentali del marketing strategico sono da dividere due due livelli:
1. macro- segmentazione: è l’ambito competitivo in cui andare a collocarsi
2. micro- segmentazione: si suddivide in segmentazione e targeting.
Una volta definito il business bisogna capire quali sono i clienti a cui rivolgere
l’offerta. Ovviamente i clienti non sono tutti uguali, ed ecco che bisogna segmentare
il mercato che si ha difronte. In quel mercato bisogna capire se vi è un gruppo di
clienti che può essere considerato diverso dagli altri, poiché se è diverso si può
decidere di servirlo con politiche di marketing differenziate in quanto sono diversi i
bisogni, i desideri di quel target. Non è detto che l’impresa sia interessata a tutti
questi gruppi. In seguito si decide su quanti segmenti si va ad operare. Dopo di che
ci si va a posizionare sul mercato → strategia di differenziazione.

MACRO-SEGMENTAZIONE
La macro-segmentazione, in termini di segmentazione con il mercato, bisogna cercare di
rispondere ad alcune domande:
• quali sono i diversi gruppi di clienti potenzialmente interessati al prodotto (chi?)
• quali sono i bisogni da soddisfare o le soluzioni da trovare (che cosa?)
• quali sono le tecnologie esistenti e le attività in grado di fornire tali funzioni (come)?
Queste dimensioni possono essere rappresentati con uno schema tridimensionale.

Esempio: mercato delle calzature

MICRO-SEGMENTAZIONE DEL MERCATO


La micro-segmentazione del mercato può essere definita come la “suddivisione del
mercato in un certo numero di insiemi di clienti (segmenti) omogenei al loro interno
rispetto a determinanti parametri (basi di segmentazione) e tra loro diversi”.

92
La DIVERSITA’ dei bisogni dei clienti è la motivazione principale per la segmentazione del
mercato.
I segmenti devono essere omogenei al loro interno e, al contempo, diversi tra loro, tali da
giustificare politiche di marketing diverse.

Una volta che ha segmentato, all’impresa interessa riuscire a capire quali sono i segmenti
più attrattivi che essa può servire con efficacia e/o efficienza.

I segmenti possono essere diversamente attrattivi a seconda di alcuni elementi da ricercare


nel momento in cui si va a fare l’analisi di segmentazione. Bisogna anche tenere presente
che i segmenti devono avere delle caratteristiche; devono essere:
misurabili (dimensione e potere d’acquisto)
accessibili (barriere esterne) → devono dunque avere un’offerta competitiva
attivabili e praticabili (rispetto a risorse)
profittevoli e rilevanti → è importante soprattutto quando si decide su quali
segmenti andare ad operare

Quando si parla di segmentazione del mercato, bisogna tener conto che non ci sono solo
dei consumatori ma spesso ci si trova ad operare anche nei mercati dei beni industriali:
a) mercati di consumo (B2C)
b) mercati industriali (B2B)

Le variabili di segmentazione dei mercati dei beni di consumo:


variabili geografiche
variabili demografiche
variabili socio-economiche
variabili psicografiche e generazionali
variabili di comportamento, di acquisto e di consumo

VARIABILI GEOGRAFICHE
• ragione o nazione: le variabili geografiche possono essere legate alla residenza in un
certo luogo. Ci sono differenza tra paesi, in quanto può essere diverso il clima, la
cultura e la storia
• dimensione aree urbane
• densità della popolazione: ci possono essere delimitazioni anche su dimensioni di
aree urbane, suburbane o rurali.
• clima

VARIABILI DEMOGRAFICHE
• età: la variabile età è molto utilizzata ed è significativa nelle preferenze tra le varie
classi di età

93
• sesso: inoltre basti pensare a quanto siano diverse le preferenze tra maschi e
femmine
• livello di istruzione: anche il livello di istruzione si ripercuote sulle scelte d’acquisto
che si fanno
• professione
• dimensione del gruppo familiare e lo stadio del ciclo di vita familiare

Andamento delle variabili demografiche in Italia:

VARIABILI SOCIO-PSICOGRAFICHE
Sono quelle che riguardano le caratteristiche personali del consumatore.
Gli stili di vita determinano un certo comportamento del consumatore → stile di vita
(tradizionalista, sofisticato, alla moda…); personalità (mite, amichevole, aggressiva,
distaccata…).

Eurisko ha fatto un’analisi sugli stili alimentari degli Italiani e ha trovato che ci sono sette
classi:

94
VARIABILI COMPORTAMENTALI
• consumatori vs non consumatori
• consumatori vs acquirenti → comportamento di consumo (consumatore) vs
comportamento di acquisto (acquirente). Non sempre consumatore e acquirente
coincidono. I comportamenti d’acquisto e i comportamenti di consumo sono diversi
• fedeli vs non fedeli. Ho un comportamento fedele se ho un preferenze nei confronti
di un determinato brand. Oggi la fedeltà della clientela è un po’ in calo, ma ciò non
significa che la fidelizzazione non sia un obiettivo che le imprese non ricercano, in
quanto le preferenze portano più entrate sicure all’interno dell’impresa. Inoltre chi è
fedele è meno attento alla leva del prezzo.
I principali motivi per cui la fidelizzazione è importante dal punto di vista
dell’impresa sono:
1) vendite continuative
2) vi è una minore attenzione al prezzo e ciò consente di avere migliori margini
3) i clienti fedeli sono meno costosi da gestire → all’impresa costa meno avere un
cliente fedele piuttosto che andarne a cercare altri

SEGMENTAZIONE COMPORTAMENTALE
La segmentazione comportamentale tiene conto del rapporto con il prodotto/servizio
prima, durante e dopo il consumo
• conoscenza del prodotto
• atteggiamento
• occasione d’uso (uso regolare; contesti speciali di utilizzo)
• status di utilizzatore (non utilizzatore, ex, potenziale, nuovo, regolare)
• benefici ricercati (qualità, servizio, rapidità, risparmio…)

95
Il rischio può essere:
a) economico → il prodotto costa di più rispetto alla media
b) funzionale → prodotti non in linea con le aspettative
c) sociale → a volte non si fanno determinate scelte d’acquisto perché si pensa di poter
incorrere ad una sanzione da parte di amici e conoscenti se non è allineato ai gusti
della società.
Solitamente il rischio viene misurato in: alto, medio e basso.
Quando ci interessa molto un prodotto, si parla di grado di coinvolgimento il quale, anche
esso, viene suddiviso in alto, medio e basso.
L’occasione di utilizzo può portare all’acquisto di brand diversi.

Spesso la segmentazione comportamentale avviene sulla base dei benefici che il


consumatore ricerca nel prodotto o servizio.

Segmentazione in base ai benefici ricercati: es.dentifricio

In questo caso sono state individuate quattro tipologie di soggetti:


1) consumatori sensibili: sono principalmente bambini, i quali sono attenti al sapore e
all’apparenza del dentifricio (attrattività)
2) consumatori socievoli: tendenzialmente ricercano un tipo di dentifricio che consenta
loro di avere denti bianchi e brillanti (es.AZ) → solitamente sono giovani, fumatori
che hanno uno stile di vita attivo ed è per questo che è attento all’estetica (estetica)
3) consumatori apprensivi: sono attenti alla prevenzione delle carie (cura dei denti)
4) consumatori indipendenti: a loro interessa poco il dentifricio, ma sono interessati al
fatto che il dentifricio costi poco (prezzo) → solitamente sono degli uomini
Il prodotto rivolto a questi vari target sarà differente perché deve soddisfare bisogni diversi.

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In base alla segmentazione derivano le decisioni di marketing operativo che verranno
prese.

IL COMPORTAMENTO D’ACQUISTO
Bisogna cercare di capire le motivazioni che spingono a fare un certo acquisto, il processo
d’acquisto, chi è il responsabili degli acquisti, dove si va ad acquistare (ciò non solo è
importante per i consumatori ma anche per i distributori), momento dell’acquisto e quanto
si acquista.
Nel momento in cui si parla di comportamento d’acquisto bisogna fare attenzione perché
esso è anche soggetto agli stimoli che si ricevono nei momenti in cui si pensano e si fanno
gli acquisti → bisogna tenere in mente elementi cognitivi sia aspetti
emozionali/emotivi/affettivi che entrano in gioco nel momento in cui si valuta un
prodotto/servizio e si fa una scelta.

STRATEGIE DI SEGMENTAZIONE DEL MERCATO: MERCATO OBIETTIVO (TARGETING)


Una volta segmentato il mercato, si passa alla fase successiva.
Dopo la segmentazione l’impresa decide se andare su qualche target del mercato, su tutti o
su nessuno.
Tramite la fase del targeting, l’azienda può prendere quattro decisioni:
1) l’azienda può decidere di non entrare nel mercato
2) l’azienda può decidere di non effettuare alcuna segmentazione, ma di rivolgersi al
mercato nel suo complesso
•il mercato è così piccolo che concentrarsi su un solo segmento non appare
redditizio
•i grandi utilizzatori costituiscono una quota tanto grande del volume di vendite
complessivo da rappresentare l’unico mercato interessante
3) l’azienda può decidere di concentrarsi su un solo segmento, tralasciando il resto del
mercato
4) l’azienda può decidere di operare su una pluralità di segmenti, ma non sull’intero
mercato
La rilevanza di un/dei segmento/i varia a seconda delle specificità delle imprese.
Da questo punto di vista quando si fa la segmentazione lo si fa utilizzando logiche di
marketing differenziato e si divide il mercato in vari target/segmenti.

97
IL POSIZIONAMENTO
Il posizionamento è la collocazione ideale che il prodotto deve avere nella mente del
cliente. È il modo in cui il cliente ha in mente un certo brand, un certo prodotto, un certo
servizio.
Il posizionamento consente di formulare una proposizione di valore: l’offerta occupa una
posizione precisa nella mente, corrisponde ad una specifica motivazione → l’offerta tende
ad assumere una posizione ben connotata nella mente del cliente.

Analisi del posizionamento → le mappe percettive:


• struttura del proprio posizionamento secondo i giudizi dei clienti e sulla base dei
parametri per loro rilevanti
• comparazione coi prodotti concorrenti
• sintesi su poche variabili che rappresentano il sistema di misurazione dei
consumatori

MAPPA PERCETTIVA DI POSIZIONAMENTO

Vediamo una mappa relativa all’Aspirina e ai brand relativi all’Aspirina.


I consumatori tengono conto di due parametri:
1)efficacia del prodotto
2) non deve dare fastidio allo stomaco.

98
È stata creata una mappa in cui si posizionano, rispetto a questi due parametri, i brand di
Aspirina.

Mappa percettiva del marchio Fiat Auto:

Fiat Auto, fino al 2002-2004 aveva


segmentato i propri clienti e aveva dato una
tipologia di offerta connotata rispetto alla
tradizione (modelli classici) per un utilizzo
più sociale.
Le due variabili utilizzate per caratterizzare
questi tipi di prodotti sono:
1) tradizione
2) grado di utilizzo → utilizzo sociale

Successivamente il brand Fiat Auto ha


ridefinito i propri modelli di prodotto e ha
cambiato il modo in cui i suoi clienti la
giudicano e la posizionano.
Ora vi è più un approccio alla modernità e vi
è un utilizzo più individuale:
1) modernità
2) grado di utilizzo → utilizzo individuale

ATTRIBUTI PER IL POSIZIONAMENTO


Gli attributi su cui fare attenzione per il posizionamento sono:
● rapporto qualità-prezzo
● attributo del prodotto, che influenza motivazione d’acquisto per un segmento
consistente di pubblico (es.Volvo, Lete, Duracell, Philadelphia) → ogni brand mette
in evidenza caratteristiche funzionali del prodotto
● componenti astratte (es.Sony / Apple→ innovazione)
● benefici attesi del consumatore (razionali / psicologici) → es.Yogurt (anni ’80, ’90,
oggi)
● modalità d’uso
es. - Gatorade: 1° posizionamento → recupera liquidi prevalentemente d’estate
2° posizionamento → recupera liquidi anche d’inverno (influenza)
- Aceto balsamico → abbinamenti suggeriti
● tipo di utente/consumatore (es. Illy Caffè → intenditori)
● celebrità, personaggi (es.Nike Air → Jordan)
● stile di vita/personalità
● classe di prodotto (es.Eridania Leggero → dolcificante non zucchero)
● paese (effetto made in)

99
Questa era la pubblicità di Ferrarelle poco
tempo fa.
Avevano cercato di posizionare per
attributo, giocando sull’effervescenza
naturale

Bisogna tener conto di alcune avvertenze. Il posizionamento:


a) deve essere gestito nel tempo
b) esso può essere modificato (riposizionamento) → si può modificare il
posizionamento andando a lavorare su quelli che sono i modi in cui i soggetti si
identificano. Esso non rimane inalterato perché l’ambiente e i competitors si
muovono
c) gli errori da evitare:
- posizionamento insufficiente: il valore distintivo proposto non è percepito o non è
valutato importante
- posizionamento troppo ristretto: il mercato potenziale per quel valore è troppo
ristretto
- posizionamento confuso: il valore distintivo offerto non risulta chiaramente espresso dalle
caratteristiche effettive dell’offerta
- posizionamento scarsamente credibile: non c’è corrispondenza con la percezione dei
consumatori

LA MARCA E LE SUE DECLINAZIONI

100
LA MARCA
La marca ha tre componenti:
1) componente identificativa
2) componente percettiva
3) componente fiduciaria
Queste componenti consentono di definire la brand equity, cioè il valore della marca →
valore differenziale del valore riconosciuto dal consumatore, risultato di come la marca è
gestita nel tempo

MARCA E BRAND EQUITY

L’ARTICOLAZIONE DELLA GESTIONE STRATEGICA DELLE MARCHE

101
IL MARKETING OPERATIVO
102
Il posizionamento deve essere trasmesso in quelle che sono le leve di marketing con cui
l’impresa può operare e dunque vedremo le leve del marketing mix, cioè le leve delle
quattro P:
1. prodotto
2. prezzo
3. comunicazione
4. distribuzione

Il marketing mix deve tener conto del target di mercato dell’impresa e va valutato in base
ad esso.
Ecco allora che la prima leva (prodotto) viene connotato in alcuni elementi:
• qualità: il livello qualitativo del prodotto può avere aspetti variegati a seconda del
livello del soggetto a cui la qualità è riferita. Quello che il target market considera è
la qualità percepita: ognuno di noi ha una percezione del livello di qualità del
prodotto che può differire → tutto ciò che è percepito è individuale. Vi è una qualità
oggettiva legata a standard qualitativi, ma al target market interessa la qualità
percepita e l’impresa può avere dei margini per andare ad operare
• varietà: l’ampiezza e la varietà della gamma offerta dell’impresa. Anche la varietà è
un requisito legato al prodotto
• design
• packaging: è un modo con cui il prodotto comunica il suo valore. È un elemento che
riveste il prodotto, di cui ci dà informazioni
• brand
• service: componenti di servizio che ci permettono di rendere un certo prodotto più
attrattivo, funzionale. Anche il servizio rientra nell’ambito delle decisioni delle
politiche di prodotto del marketing mix
• garanzia: soprattutto per i beni durevoli la garanzia è un elemento fondamentale →
ha spesso portato i governi ad uniformare il periodo di garanzia che vengono
venduti all’interno di una determinata area geografica.
La garanzia è un attributo di servizio.
103
La fissazione del prezzo è un altro elemento del marketing mix particolarmente importante
perché esprime un’azione sul valore di ciò che si va ad acquistare sul mercato.
Esso è dunque un elemento che spesso è stato utilizzato, e lo è tutt’ora, come un annesso
della qualità, un’informazione che di dice il livello produttivo di un prodotto.
Il prezzo viene fissato dalle imprese tramite certe logiche, esso infatti ci dice anche tanto di
quelli che sono i costi dell’impresa.
Ci sono modelli di fissazione di prezzo che prendono in considerazione: costi, domanda e
concorrenza. Gli elementi a cui fa riferimento il prezzo sono:
• livello: il prezzo va valutato secondo un certo livello e facendo riferimento ai varie
target di marketing
• sconti: servono a rendere più attrattiva l’offerta che vanno però ad impattare la
redditività dell’impresa
• discriminazione: si può agire applicando prezzi diversi per diversi target market
• pagamenti

Dove si va ad inserire il prodotto? Si parla di distribuzione. La politica di distribuzione è


fondamentale.
Si parla di canali distributivi: il corso che il prodotto fa per giungere dalle imprese di
produzione al target market.
Gli elementi a cui fa riferimento la distribuzione sono:
• canali
• copertura: l’impresa, quando deve decidere come commercializzare il proprio
prodotto, deve decidere anche la copertura di mercato che vuole avere
• assortimenti: è importante il tipo di assortimento proposto dal distributore
(assortimenti specializzati vs assortimenti de-specializzati)
• ubicazione: dove colloco i miei punti vendita?
• scorte
• trasporto

L’ultima leva si connota con la comunicazione.


La politica di comunicazione è molto più ampio di quella di promozione (con cui veniva
denotata in passato).
Quando si parla di comunicazione di parla di:
• advertising: comunicazione pubblicitaria
• promozione: è una leva più di breve periodo, che spinge verso il prodotto. Può
essere spesso di prezzo o non di prezzo → viene incentivato l’acquisto del prodotto
tramite una promozione basata su aspetti non solo di tipo economico
• forza vendita: anche essa è una leva di comunicazione, ovvero i suoi agenti
commerciali che vendono il prodotto e possono essere soggetti che vanno sul target
market (vendita porta a porta) oppure verso soggetti intermedi
• pubbliche relazioni: sono ad esempio la comunicazione dei brillanti risultati
economici a fine esercizio
• direct marketing: attività svolte, ad esempio, con il tele-marketing.

104
• Web & Social marketing: Oggi è importante riuscire ad attivare e a guidare le spinte
che provengono dai social.

Prendiamo come esempio un’impresa che decide un obiettivo strategico che è quello di far
variare nel corso dell’anno i profitti di un 5%.
Questa impresa ha deciso che vuole aumentare i profitti, aumentando la penetrazione
tramite i punti vendita in cui è già presente → ad esempio si va ad aumentare il numero di
prodotti rispetto a quello di altre imprese. Ci sono n possibilità che si possono avere.
Ora si entra nella parte operativa: come si può portare a casa l’obiettivo tramite le strategie
del marketing mix?
Si può agire sul prezzo (aumentandolo) ottenendo un effetto di differenziazione, oppure lo
si può diminuire sperando di avere un maggior numero di clienti (si ha un effetto di
elasticità).
Bisogna valutare quale decisione intraprendere.
Se si va ad incrementare il livello di prezzo, questo avrà delle ripercussioni su tutte le altre
leve.
Si può anche agire sulla comunicazione: invece che utilizzare la leva del prezzo si riesce ad
ottenere una leva dei profitti comunicando al meglio al mercato la leva del mio prodotto →
si può fare una campagna pubblicitaria che mi incrementi le vendite. Bisogna poi capire
quanto agire su queste leva, e bisogna fare delle simulazioni.
Normalmente non è solo agendo con una leva che si ottiene un obiettivo, ma lo si può
ottenere tramite la combinazione delle varie leve.

LE TRE COERENZE DEL MARKETING MIX


Il marketing mix deve essere visto con coerenza. Ci sono tre livelli di coerenza:
coerenza interna: coerenza tra le leve del marketing mix
coerenza con le scelte di posizionamento: il marketing mix deve essere coerente con
il posizionamento pianificato
coerenza con il target market: deve essere coerente con l’offerta

1) LA POLITICA DI PRODOTTO

105
La politica di prodotto ha un obiettivo specifico perché il prodotto deve rispondere a delle
esigenze: deve cercare di soddisfare i benefici ricercati dalla domanda.
Il prodotto soddisfa delle funzioni d’uso e va anche ad interpretare, stimolare e
rappresentare qualcosa che è simbolico.
La politica di prodotto, oltre a soddisfare elementi funzionali e di tipo simbolico, deve
rendere possibili delle esperienze, entrando a far parte del vissuto delle persone.
Quindi il prodotto deve essere:
1) funzionale
2) simbolico
3) esperienziale

CLASSIFICAZIONE DEI PRODOTTI

I prodotti possono essere classificati in vario modo:


1) classificazione per grado di tangibilità → prodotti tangibili (beni)o intangibili (servizi)
I prodotti tangibili possono essere distinti al loro interno in base alla finalità del loro
acquisto (beni di consumo e beni industriali)
Il prodotto è tutto ciò che può essere offerto ad un cliente
2) classificazione per durata → la durata è un attributo.
- beni durevoli
106
- beni semidurevoli
- beni non durevoli
3) classificazione per tipologia di utilizzazione:
- beni di consumo
- beni strumentali (industriali)
- servizi
4) classificazione per abitudini d’acquisto:
- convenience goods: sono beni che si utilizzano spesso, costano poco e non si è molto
coinvolti nell’acquisto
- shopping goods: sono beni di medio importo unitario, con una distribuzione abbastanza
capillare ma che non hanno un utilizzo settimanale o giornaliero
- specialty goods: sono ad esempio i beni di lusso che hanno costi elevati. La distribuzione è
esclusiva.
Queste tre categorie sono legate a: conoscenza preliminare del prodotto / rischio
percepito; soddisfazione connessa alla shopping expedition.

CARATTERISTICHE DELLE CLASSI DI BENI

Esempi: classi di beni

107
I LIVELLI DEL PRODOTTO
Dal punto di vista del marketing si possono individuare tanti livelli del prodotto.
Il prodotto può essere definito come paniere di attributi (vantaggi ricercati da clienti):
vantaggio essenziale (core benefit): funzione di trasporto (viaggiare seduti, senza
camminare)
prodotto generico (versione base): auto, bicicletta, moto, aereo
prodotto atteso (insieme di attributi attesi): automobile a 5 posti, riscaldata.…
prodotto ampliato (insieme di attributi che distinguono dalla concorrenza): servizi
aggiuntivi rispetto alla configurazione standard (airbag, navigatore, video…)
prodotto potenziale (insieme di attributi futuri): espansioni ulteriori possibili (a
idrogeno non inquinante, radar…)

COMPONENTI DEL PRODOTTO AMPLIATO

1. core
2. beni o servizi di
agevolazione
3. beni o servizi di
supporto

LE DECISIONI SUL PORTAFOGLO PRODOTTI

108
Il portafoglio prodotti va contraddistinto in:
● ampiezza e profondità di gamma
● coerenza di linea
● gestione del ciclo di vita (CDV)
● sviluppo di nuovi prodotti
● eventuale revisione del portafoglio esistente

Queste sono le decisioni da prendere e che vanno tenute in considerazione.


Non sempre si può tenere tutto all’interno del portafoglio, dunque può essere importante
valutare se continuare a tenerlo in assortimento nella propria gamma oppure eliminarlo.
Quindi una valutazione del portafoglio esistente è molto importante infatti può portare
anche a rivederlo o ad eliminare un prodotto dalla gamma che si offre.

AMPIEZZA E PROFONDITA’ DI GAMMA


Il termine gamma è
adatto alle imprese
industriali; quando
parliamo di imprese
distributive si parla di
assortimento.
A seconda del tipo di
attività che si considera
ci possono essere delle
logiche e terminologie
specifiche.

Il portafoglio è classificato in base a due dimensioni:


1. ampiezza: quante linee di prodotto sono presenti. Una linea di prodotto è un
insieme di prodotti omogenei o per l’utilizzo, o per bisogni soddisfatti, o per mercato
servito, o per fascia di prezzo
2. profondità: numero di modelli nelle linee.

LA GESTIONE DEL PRODOTTO

109
Il singolo prodotto va monitorato. all’interno del portafoglio prodotti si hanno tante linee e
tanti prodotti.
Le decisioni da prendere saranno suddivise su questi tre livelli:
• singolo prodotto: devo monitorate e gestire alcuni aspetti (se introdurre un
determinato prodotto, aggiornare il prodotto o anche eliminarlo dalla linea di
prodotti)
• decisioni sulla linea di prodotto
• portafoglio di prodotti
Le valutazioni sui prodotti vengono fatte tenendo conto di cosa fanno i concorrenti e se la
domanda è soddisfatta rispetto al prodotto che l’impresa offre.
Queste decisioni vengono prese sulla base di indicatori di mercato:
• dati su prestazioni
• valutazioni dei consumatori

LA GESTIONE DELLA GAMMA


All’interno della gestione della gamma di prodotto sono presenti vari elementi:

110
● estensione ampiezza: andare a lavorare sulle linee di prodotto, e quindi andare a
coprire linee di prodotto in nuovi mercati o mercati in cui l’impresa può far risaltare
meglio le proprie capacità, ampliando le proprie linee
● estensione profondità
● coerenza di linea: è fondamentale ed inevitabile. Bisogna tenere una coerenza
interna alla linea ma anche alle altre linee di prodotto.
● riduzione di portafoglio: è un aspetto eventuale in quanto bisogna tenere in
osservazione tutti i dati di mercato che indicano l’andamento del prodotto sul
mercato

ESTENSIONE DI GAMMA: VANTAGGI E SVANTAGGI

IL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO

I prodotti hanno un proprio ciclo di vita, il quale ha quattro fasi:


1) introduzione
2) sviluppo
3) maturità
4) declino
Eventualmente ci può essere una fase di rivitalizzazione. Quindi il ciclo di vita, con
opportune strategie di marketing, può portare a rilanciare il prodotto e a fargli ripartire il
ciclo di vita.
Questa ulteriore fase è eventuale, infatti ci devono essere delle condizioni affinché un
prodotto venga rivitalizzato.

111
A seconda delle fasi in cui il
prodotto è, sono diverse le
politiche che si possono fare
a supporto.
Nella fase dell’introduzione si
devono sostenere più costi
che profitti, in quanto anche
se le vendite iniziano ad
aumentare non sono
sufficienti per coprire i costi
di produzione e di lancio del
prodotto.
Nella fase dello sviluppo si
inizia ad avere profittabilità, per cui si riesce non solo a coprire i costi ma anche ad avere un
certo margine.
In maturità c’è un rallentamento delle vendite, le quali si stabilizzano.
L’impresa deve sapere in che stadio di vita si trova, poiché, a seconda dello stadio,
cambiano anche le politiche di marketing.

PROCESSO DI SVILUPPO DEI NUOVI PRODOTTI: FASI

Sviluppare nuovi prodotti è un processo che deriva da un insieme di fasi articolate:


1) generazione delle idee: è la fase più creativa in cui si decide come e cosa rilanciare
sul mercato
2) valutazione delle idee: in questa fase le idee vengono vagliate in quanto non tutti i
prototipi vengono lanciati
3) analisi di business
4) prototipizzazione e sviluppo del prodotto
5) test di mercato
6) commercializzazione

112
Su moltissimi prodotti che vengono lanciati, a sei mesi dal lancio pochissimi di questi
prodotti rimangono sul mercato e i motivi possono essere vari (posizionamento del prezzo
rispetto ai concorrenti ecc).

GENERAZIONE DELLE IDEE: FONTI


Le nuove idee possono essere ricavate da alcune fonti:
- Ricerca e Sviluppo (3M, imprese farmaceutiche, stilisti moda,…)
- alta direzione/ imprenditore (Veronesi, Sportswear Company,…)
- concorrenti (prodotti imitativi)
- clienti (macchine e impianti per ceramiche,…)
- forza vendita
- intermediari
- dettaglianti (informazioni su prodotti venduti,…)
- consumatore (comunità virtuali, Diesel,…)

2) LA POLITICA DI PREZZO
Qual è il prezzo a cui si vanno a vendere i singoli modelli di prodotto sul mercato? Si parla
di politica di prezzo. Spesso il prezzo è legato al livello qualitative del prodotto, ma non è
sempre così. Il prezzo è un’informazione immediata sul prodotto e sull’impresa stessa, ma è
anche una leva molto flessibile per rispondere a cambiamenti immediati o ad azioni dei
concorrenti che si hanno sul mercato. Però non si può cambiare il prezzo troppo spesso:
infatti si potrebbe confondere la domanda. Il prezzo è una leva flessibile ma anche
estremamente potente.
Il prezzo è l’espressione più immediata del posizionamento e la più flessibile tra le leve di
marketing. Obiettivo della sua gestione è cercare il miglior equilibrio fra tipologia di
prodotto offerta e sua percezione da parte della clientela, obiettivi di profitto dell’azienda,
posizionamento e situazione competitiva del mercato.
Inoltre esiste un sistema di prezzi.

FATTORI DI INFLUENZA SUL PREZZO


I fattori che influenzano il prezzo sono: domanda, offerta e alcuni fattori ambientali.
1) DOMANDA DI MERCATO:
- fattori demografici: numero di potenziali acquirenti, intermediari o consumatori,
tasso consumo previsto, potere contrattuale clienti
- fattori psicologici: i consumatori attribuiscono un intervallo di valori (prezzo atteso)
percepito come “legittimo" ai vari prodotti, rappresentativi del loro valore
2) FATTORI D’OFFERTA:
− obiettivi dell’impresa: orientati al profitto alle vendite, al mantenimento dello
status quo
− fattori di costo
− fattori di prodotto: obsolescenza (fisica, economica), differenziabilità, ciclo di vita
del prodotto
3) FATTORI AMBIENTALI: più la concorrenza è agguerrita più si vede prima la variabile
prezzo.

113
- concorrenza (numero, dimensione, caratteristiche, ecc.)
- eventuali vincoli normativi o regolamentali

PRICING: COERENZA
Il prezzo va fissato con coerenza.
Coerenza con:
target di clientela (discriminazione dei prezzi) e posizionamento del prodotto
ciclo vita del prodotto ed effetti sul resto dell’offerta
altre leve del marketing mix
qualità del prodotto

PRICING: TRE CRITERI FONDAMENTALI DI FISSAZIONE


Il pricing si fissa in base a tre elementi fondamentali:
costi: il prezzo deve coprire i costi
domanda
concorrenti: il prezzo deve riuscire ad essere competitivo rispetto ai concorrenti

STABILIRE IL PREZZO SULLA BASE DEI COSTI


• ricarico sui costi unitari di un margine fisso o di un tasso di redditività previsto in
relazione al capitale investito
- METODO DEL RICARICO PV = (PA + %PA) MARK UP
- METODO DEL COST-PLUS PRICING COSTO PIENO + PROFITTO DESIDERATO
(Costi diretti + costi fissi)
- BREAK EVEN ANALYSIS

STABILIRE IL PREZZO IN BASE ALLA DOMANDA


Coerenza con la «disponibilità a pagare» del consumatore
- valore soggettivamente attribuito e percepito (al netto dei costi di transazione)
- capacità di spesa individuale
- varia nel tempo

114
- elasticità della domanda al prezzo: sensibilità della quantità domandata di un certo
prodotto/servizio al variare del suo prezzo

STABILIRE IL PREZZO IN BASE ALLA CONCORRENZA


• Benchmark con il prezzo dei concorrenti
• prezzo di penetrazione : prezzo più basso di quello dei concorrenti → rapida
acquisizione di quota di mercato
vs
• prezzo di scrematura: prezzo fissato nella fascia alta del mercato → massima
redditività vendite; prodotti innovativi/unici

3)LA POLITICA DI COMUNICAZIONE


A questo punto bisogna comunicare che il prodotto sarà disponibile sul mercato: dobbiamo
rendere dotto il possibile consumatore dell’offerta. Bisogna far percepire il prodotto come
unico o con elementi di vantaggio.
La comunicazione ha un ruolo fondamentale. Essa non è solo di tipo pubblicitario, ma ha
moltissime altre leve. In questo caso la comunicazione è un termine più vasto ma non è
solo un’insieme di leve: queste leve devono essere gestite in un’ottica coerente.
Le varie leve danno vita ad un processo che è dinamico,ovvero si evolve nel tempo. Inoltre
è un processo circolare: vi è un emittente e un ricevente → non è solo l’impresa che invia la
sua comunicazione al mercato, ma è importante anche il feedback.
La comunicazione no è solo verso il consumatore finale, ma è un processo che va oltre e ha
dei pubblici di riferimento che sono molteplici e perciò nasce una certa complessità nel
momento in cui si vanno a tenere in considerazione le logiche relative alla comunicazione.
La comunicazione è un processo dinamico, circolare, potenzialmente interattivo che incide,
esplicitamente o implicitamente, sugli atteggiamenti e sui comportamenti delle persone e
delle organizzazioni.
La politica di comunicazione ha tre obiettivi principali:
fornire informazioni: è informativa → deve dare informazioni sul prodotto,
sull’offerta, sull’impresa
suscitare sentimenti e attitudini, soprattutto se influisce sull’immagine di una certa
impresa
stimolare azioni e comportamenti
La comunicazione interagisce con enti, organizzazioni, terzi.
Bisogna pensare ad una leva molto complessa di interazione dinamica che può determinare
comportamenti che influiranno sulla reputazione dell’impresa sul mercato.

LE FASI DEL PROCESSO DI COMUNICAZIONE

115
Si può notare che la comunicazione è un processo circolare, in cui rientrano vari elementi:
innanzi tutto vi è la fonte emittente: chi comunica. Essa deve fare passare un certo
messaggio attraverso il canale di comunicazione. Il messaggio, per riuscire ad arrivare nella
sfera del ricevente, ha bisogno di una codifica → l’emittente deve cercare di rendere il
contenuto del messaggio comprensibile. Il soggetto a cui viene emesso (destinatario) deve
fare un processo di decodifica per comprendere il messaggio che gli viene inviato. Il
messaggio è filtrato tramite il campo di esperienza.
Nella comunicazione, essendo un processo circolare, il destinatario dà agli input ricevuti
una certa risposta. Le risposte possono essere molteplici e ci può essere una forma di
feedback da parte del destinatario. Questi feedback sono molto importanti, vanno
analizzati e vanno a chiudere il processo che si può poi riavviare.
Durante il processo ci possono essere elementi di disturbo e quindi la comunicazione non è
un processo in cui tutto va come è stato pianificato → questi elementi di disturbo possono
andare ad interferire in questo processo.
Più l’elemento è competitivo, più gli elementi di rumore possono essere presenti.

AREE E TIPOLOGIE DI COMUNICAZIONE D’IMPRESA


La comunicazione non è solo una comunicazione commerciale di marketing, ma si possono
avere tanti livelli:
comunicazione istituzionale rivolta all’opinione pubblica in genere e alle istituzioni
pubbliche: è fatta dall’impresa con l’obiettivo di creare un atteggiamento favorevole
all’opinione pubblica e alle istituzioni pubbliche
comunicazione economico-finanziaria rivolta a finanziatori, fornitori, clienti:
l’impresa fa un comunicato stampa in cui, una volta redatto il bilancio, riporta
l’andamento avuto → questo tipo di comunicazione può dare un maggior potere
contrattuale all’impresa ed è rivolto a tutti i soggetti che hanno a che fare con essa.
Questa informazione è soprattutto per clienti intermedi e fornitori, non per i clienti
finali
comunicazione gestionale (interna) rivolta agli azionisti, alle altre unità, ai
dipendenti, ai sindacati: è rivolta a coloro che possiedono delle azioni nell’impresa,
ai dipendenti, ai sindacati. Queste informazioni servono a dare coesione all’interno
dell’impresa e fa sì che tutti i membri dell’organizzazione possano andare a
conseguire gli obiettivi comuni in modo corretto

116
comunicazione di marketing, insieme degli strumenti di comunicazione usati nelle
relazioni col mercato dei clienti finali e intermedi: basata su prodotti e servizi.

La comunicazione va vista nelle sue varie tipologie.

IL PROCESSO SU CUI SI BASA LA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE

Si hanno varie fasi:


1. definire il pubblico di riferimento/ il target: identificare i destinatari della
comunicazione
2. definire ed individuare gli obiettivi da perseguire
3. definire il contenuto del messaggio: cosa deve essere trasmesso nel messaggio per
avere la risposta desiderata
4. scelta dei canali di comunicazione: bisogna identificare le leve di comunicazione che
sono necessarie per andare ad ottenere l’obiettivo desiderato, tramite la definizione
del mix di comunicazione
5. definizione del budget di comunicazione: in base a ciò che si vuole ottenere come
risultato e in base al mix di comunicazione, si va a definire il budget e i metodi per
definire la spesa in comunicazione
6. misurazione dei risultati: bisogna fare un monitoraggio per misurare i risultati
ottenuti

COMMUNICATION MIX
Quali sono le leve di comunicazione?

117
P/q =
prezzo/qualità

STRUMENTI DI COMUNICAZIONE: PUBBLICITA’

118
STRUMENTI DI COMUNICAZIONE: PROMOZIONE DELLE VENDITE

Ad esempio, un buono sconto è una meccanica promozionale. Esistono anche promozioni


non di prezzo, come ad esempio un omaggio (se compri due pacchetti di biscotti Macine
hai una tazza in regalo). Questo tipo di promozione serve a terminare le scorte in eccesso.

Vi sono alcuni tipi di promozione:

119
STRUMENTI DI COMUNICAZIONE: PUBBLICHE RELAZIONI

L’idea principale delle pubbliche relazioni è di creare e comunicare un’immagine positiva.


È dunque un’idea di fidelizzare fortemente.

Che strumenti si possono utilizzare per le pubbliche relazioni?

120
STRUMENTI DI COMUNICAZIONE: LA FORZA DI VENDITA

STRUMENTI DI COMUNICAZIONE: DIRECT MARKETING

Il direct marketing stimola


relazioni di tipo face to face

MISURAZIONE DEI RISULTATI

121
Una volta eseguiti tutti gli step della comunicazione, vi è la misurazione dei risultati. Vi
sono vari indicatori che mi permettono di fare un monitoraggio dei risultati:
● numero contatti lordi: numero di soggetti esposti a un certo messaggio
● numero di contatti netti: numero di individui colpiti almeno una volta dal messaggio
● copertura netta: rapporto tra numero contatti netti e numero appartenenti al
segmento target
● frequenza media: rapporto tra numero contatti lori e numero contatti netti in un
certo lasso temporale

4) LE POLITICHE DI DISTRIBUZIONE

Devo far sì che il mio


prodotto/servizio possa
finire nelle mani
dell’utilizzatore stesso.
Da una parte si ha la
produzione, che di solito è
concentrata in uno o più
stabilimenti industriali, e
dall’altra parte ho l’utilizzatore/consumatore, il cui utilizzo è disperso.
Bisogna poi svolgere una serie di funzioni: bisogna che qualcuno porti il prodotto dallo
stabilimento di produzione alla casa dell’utilizzatore/consumatore (trasporto);
assortimento; funzione di garanzia che mi diminuisce il rischio percepito dall’acquisto;
assistenza successiva alla vendita.
Chi svolge tutte queste attività?
Queste attività vanno svolte
perché, affinché si generi
utilizzo/consumo, bisogna che
qualcuno le svolga.
Si parla di politiche di
distribuzione perché bisogna
decidere chi fa cosa e chi decide
cosa.
Spesso vi è un channel leader che
decide chi fa cosa. Sono decisioni
di importanza strategica.

Il canale di distribuzione può essere visto in due modi:


• è l’insieme degli attori che gestiscono il passaggio del prodotto da produttore al
consumatore
• è il percorso che il prodotto compie per giungere al consumatore/utilizzatore
122
LE DECISIONI SULLE POLITICHE DISTRIBUTIVE
Le decisioni che l’impresa prende quando si trova davanti alla gestione della politica
distributiva sono principalmente quattro:
1) come si va a definire il canale/i canali che si utilizzano per giungere al consumatore
utilizzatore e come va sistemata questa architettura utilizzata:
• modalità e grado di copertura del mercato: essi vanno a due estremi → si può
decidere di essere presenti sul mercato in modo estensivo (con una copertura
distributiva capillare, ovvero si deve essere presenti in tutte le possibili modalità che
permettono di raggiungere la domanda). Dall’altra parte si ha una distribuzione
selettiva, in cui l’impresa va a selezionare la copertura del mercato → non è sempre
e ovunque presente, ma seleziona dei canali che cercano di darle un certo livello di
assistenza. L’obiettivo è quello di individuare i canali che consentono di mantenere
un certo grado di notorietà e di reputazione del brand.

• definizione numero e tipologia canali distributivi


• monocanalità vs multicanalità: nella multicanalità il prodotto può essere presente in
vari canali e potrebbero esserci conflitti tra essi, che vanno gestiti
2) sviluppo dei servizi commerciali nell’ambito dei canali distributivi
3) gestione delle relazioni con la clientela commerciale: trade marketing
4) gestione della forza vendita: la forza vendita può essere interna oppure esterna

Ogni impresa industriale ha di fronte una serie di alternative per provvedere al


trasferimento sul mercato finale dei suoi prodotti:
→ rivolgersi direttamente al mercato dei consumatori finali: questa modalità è diventata
un’alternativa molto utilizzata da tutte le imprese oggigiorno. Con la facilità con cui oggi si
può vendere al consumatore finale, si possono sia utilizzare i distributori, sia andare al
mercato del consumo finale
→ avvalersi di una più o meno fitta rete di imprese specializzate nel compimento di tale
attività.
Queste due decisioni possono essere prese entrambe insieme.
LUNGHEZZA DEI CANALI DISTRIBUTIVI

123
1) canale distributivo diretto: il produttore va direttamente alla domanda, vendendo al
consumatore
2) canale distributivo indiretto, il quale può essere di due tipi:
• canale distributivo indiretto corto: vi è un solo intermediario tra la produzione e il
consumo
• canale distributivo indiretto lungo: vi sono più intermediari che operano a cascata.
Nei canali distributivi indiretti vi sono degli altri soggetti (agenti) che possono agire: sono
intermediari diversi dai grossisti e dai dettaglianti perché non acquisiscono la proprietà
della merce.

Esempio

Direct Line vende direttamente al


consumatore, utilizzano un approccio
distributivo diretto; non vi è alcun
intermediario.
I concessionari di automobili: vi è un
canale indiretto corto.

SISTEMI DISTRIBUTIVI DIRETTI


I sistemi distributivi diretti possono essere di due tipi:
1. store
2. non-store

124
INTERMEDIARI DI MARKETING
Un intermediario commerciale è un’azienda indipendente che opera come raccordo tra
sistema della produzione e mercato finale della domanda (consumatori o utilizzatori finali).
Vi sono due forme di intermediari:
● i grossisti e i dettaglianti sono operatori che acquistano in conto proprio i beni, ne
acquisiscono la proprietà e assumono i rischi di mercato
● gli agenti/rappresentanti mediatori (import-export, traders, broker) sono operatori
che effettuano attività di rappresentanza e promozione e vendita per conto di terzi,
senza acquisire la proprietà dei prodotti e senza assumere rischio.

Perché esistono gli intermediari commerciali?


Essi svolgono un ruolo fondamentale: sono ruolo di interfaccia tra produzione e consumo al
fine di ridurre le asimmetrie esistenti tra domanda ed offerta, in quanto vi sono quattro
gap:
spaziale: il consumo è disperso e quindi occorre arrivare al consumo e alla domanda.
Questo è un problema geografico
quantitativo: per essere efficiente la produzione deve produrre molte quantità,
mentre al produttore interessa un articolo solo
temporale: la produzione deve avere continuità produttiva nel tempo
informativo: è anche importante dare informazioni riguardo ai prodotti
Spesso tutti questi gap possono essere gestiti da operatori specializzati nello svolgere
queste funzioni, i quali sono proprio gli intermediari commerciali.

Amazon, ad esempio, è un distributore, è un intermediario. Sta iniziando anche ad avere i


suoi punti vendita.

Una volta deciso il tipo di canale, bisogna decidere se utilizzare un solo canale o più canali.

Esempio: Settore dei quotidiani. Canali di distribuzione.

125
Si è molto esteso il
canale di
intermediari. Ciò
significa andare verso
una logica molto
spinta di
multicanalità.

IL COINVOLGIMENTO PSICOLOGICO DELL’ACQUIRENTE CON I BENI


Le decisioni sulla distribuzione dipendono molto da ciò che l’impresa vuole dare a livello di
servizio all’acquirente e il suo coinvolgimento.
Nel caso di prodotti banali, se si ha una copertura del mercato estensiva, i servizi
commerciali saranno dei servizi di tipo prettamente logistico, dove è importante la
vicinanza e l’ampiezza dell’assortimento dato dall’intermediario utilizzato.
Nel caso di prodotti problematici, dove la distribuzione è selettiva, il consumatore è
interessato all’attributo informativo ed è importante la profondità del prodotto.

126
CAPITOLO 15. I SERVIZI (Dispensa)
Il settore terziario nel tempo ha creato un settore molto importante nelle economie
avanzate, pertanto bisogna cercare di capire cosa siano i servizi e sottolineare le loro
peculiarità.
I servizi sono molti diversi dai beni tangibili.
Osserveremo le peculiarità che il marketing assume nel capo del settore dei servizi.
Molte imprese manifatturiere utilizzano dei servizi con un’accezione diversa, in un ottica di
service-dominant logic.

IL SETTORE DEL TERZIARIO IN ITALIA


Quando si parla di servizi si parla di settore terziario, il quale contribuisce al nostro PIL per
quasi tre quarti.
Nell’economia italiana i servizi contribuiscono per quasi tre quarti alla composizione del
PIL, l’industria al 23,6% e le attività agricole al 2,2%.
I punti di forza sono il commercio e il turismo.
Si tratta inoltre del settore con il maggior numero di imprese e di occupati.

È interessante
osservare qual è il
numero di imprese
nei settori
industriali rispetto
ai servizi.
Vi sono anche
moltissime piccole
imprese,
microimprese.

127
Esempi: Imprese di servizi

QUALI SERVIZI?
Quando si parla di servizi bisogna ricordarsi la seguente bipartizione:
a) servizio come prodotto (sono immateriali, intangibili, di norma non
trasportabili, non immagazzinabili e istantaneamente deperibili.
Es. assicurazioni, servizi bancari, svaghi, divertimenti, trasporti, ecc.
b) servizio come integrazione al prodotto (attività svolte dai venditori o altri soggetti in
abbinamento alla vendita di un bene materiale, a supporto di transazioni o per
facilitare l’acquisto di un prodotto).
Es. servizi di imballaggio dei beni, servizi di finanziamento per acquisto auto,
ecc.
In sostanza esistono solo in quanto strettamente legati alla vendita di un prodotto o
servizio.

DEFINIZIONE DEI SERVIZI

128
Il servizio è definito come attività o vantaggio che un attore (persona/ organizzazione) può
scambiare, la cui natura è essenzialmente intangibile e la cui produzione può essere legata
o meno al prodotto fisico.

L’offerta di un’impresa include in differente misura componenti di servizio (più o meno


rilevante rispetto all’offerta globale):
• puro bene tangibile (es.sale puro)
• bene tangibile associato a servizi
• ibrido (metà componenti tangibili e metà intangibili)
• servizio fondamentale con associati beni/servizi secondari
• puro servizio → è totalmente intangibile

COME SI VALUTANO I SERVIZI?

I servizi li possiamo valutare tramite:


• elementi esperienziali
• elementi fiduciari
Sono principalmente elementi di trust, a cui ci affidiamo/fidiamo per un passaparola.

129
All’opposto la maggioranza dei beni li valutiamo con proprietà di ricerca.

CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI SERVIZI


I servizi hanno principalmente quattro caratteristiche:
1) intangibilità: i servizi sono immateriali
• i servizi non possono essere visti e/o toccati prima del loro acquisto alta
l’incertezza dell’acquirente che non può conoscere in anticipo l’esito dell’erogazione
del servizio
• tendenza delle imprese di servizi a rendere tangibile l’immaterialità del servizio,
facendo leva sul luogo di acquisto, personale di contatto, attrezzature, materiale
informativo, simboli agire sull’esperienza del cliente.
Le imprese per far percepire un’incertezza minore devono cercare di rendere il più
possibile tangibile l’intangibile. Come possono farlo? Con delle leve, come ad
esempio andando a far leva nel luogo in cui avviene l’erogazione del servizio
(ristorante, studio notarile)
Le imprese che erogano servizi devono far vivere delle esperienze.
2) inseparabilità
• la prestazione del servizio non può essere separata dalla persona del venditore: il
servizio deve essere prodotto nel momento stesso in cui viene venduto e si
presuppone la presenza del cliente al momento dell’erogazione
• centralità interazione fornitore – cliente (ruolo cruciale individuo erogatore): la
relazione fornitore-cliente è critica
3) variabilità: è molto difficile standardizzare la quantità erogata perché i clienti e gli stessi
erogatori di servizio sono diversi (es.una commessa ha litigato con il marito, dunque non
sarà sempre carina) → il contatto personale fa sì che si venga a generare questo elemento. I
servizi sono molto variabili per qualità erogata, a seconda di chi li fornisce e del momento e
luogo in cui vengono erogati
• strategie di controllo della qualità
• selezione e formazione personale
• standardizzazione del processo di erogazione del servizio
• controllare il livello di soddisfazione dei clienti
4) deperibilità: i servizi non possono essere immagazzinati
• difficoltà quando domanda è variabile (es: domanda di trasporto pubblico), perché
presuppone una elevata flessibilità
• offerta: dotazione interna di risorse umane part time; dotazione tecnologica
sportelli automatici; self service
• domanda: prezzi differenziati; servizi di prenotazione automatizzati

I COSTI DELLA CAPACITA’ INUTILIZZATA NEI SERVIZI

130
Il costo della capacità
inutilizzata andrà a pesare
molto a seconda del tipo
di attività.
Non tutte le attività dei
servizi si comportano allo
stesso modo.

LE LEVE OPERATIVE DI MARKETING PER LE IMPRESE DI SERVIZI


Oltre alle quattro leve tradizionali del marketing mix (4P), che si adattano alle imprese
manifatturiere, le imprese di servizi devono tener conto di altre tre leve (7P):
a) personale (people): gli attori umani che hanno una parte nell’erogazione del servizio
e quindi influenzano le percezioni dell’acquirente. Il ruolo del personale è critico, è il
soggetto che fruisce il servizio e quindi è un fattore che impatta fortemente nel
modo in cui si va a percepire l’erogazione del servizio
b) presentazione fisica (phisical evidence): l’ambiente in cui viene erogato il servizio e
in cui l’impresa e il cliente interagiscono, compreso tutte le componenti tangibili che
facilitano la performance o la comunicazione del servizio. Anche questo fattore è
determinante perché ci aiuta a rendere tangibile l’intangibile, ci aiuta a supportare
la performance che abbiamo del servizio
c) processo (process): le procedure, i meccanismi e il flusso delle attività con cui viene
erogato il servizio. È il modo in cui si va ad erogare il servizio.

DIFFERENZE TRA PRODOTTO E SERVIZIO

IL MARKETING PER LE IMPRESE DI SERVIZI

131
l marketing delle imprese dei servizi fa riferimento a tre elementi:
marketing esterno: attività classiche di preparazione, valutazione dei prezzi,
distribuzione e promozione del servizio al clienti.
Vi sono due tipi di marketing che dipendono dal fatto che vi sia il personale:
marketing interattivo: capacità del personale di soddisfare i clienti. Il cliente non
giudica solo la qualità tecnica (intrinseca) del servizio, ma anche la qualità funzionale
del personale di contatto. La valutazione si basa sulla sperimentazione del servizio
(attributi valutabili dopo la sperimentazione) e sulla fiducia (attributi difficili da
valutare anche ex-post). Bisogna stare attenti a come il personale interagisce con i
clienti perché quando si richiede una dose di servizio non si giudica solo l’aspetto
tecnico, ma anche la prestazione
marketing interno: lavoro di addestramento e motivazione dei dipendenti a servire i
clienti nel modo migliore. I dipendenti vengono considerati alla stregua di clienti
“interni”.

OBIETTIVI DI MARKETING PER IMPRESE DI SERVIZI: GESTIONE DIFFERENZIAZIONE


Ci sono tre aree in cui le imprese di servizi possono andare ad operare:
a) differenziazione
b) qualità del servizio
c) gestione della produttività

1) offerta (gestione della differenziazione): il servizio è composto da un pacchetto di


servizio primario (servizio atteso) a cui si possono aggiungere una serie di caratteristiche di
servizio secondarie. La differenziazione difende dal rischio di imitazione attraverso
l’innovazione costante; l’imitazione è infatti molto facile e bisogna essere percepiti come
innovativi
2) rapidità delle consegne (differenziazione nell’erogazione del servizio)
• affidabilità intesa come puntualità e completezza degli ordini
• elasticità intesa come gestione delle emergenze
• innovatività nel servizio informativo legato alla consegna (es: RFID)
3) immagine di marca: simboli e marche che creano associazioni favorevoli all’impresa

132
OBIETTIVI DI MARKETING PER IMPRESE DI SERVIZI: QUALITA’ DEI SERVIZI

Nel momento in cui


si va a chiedere una
certa dose di
erogazione di servizio
andiamo ad
evidenziare che vi
sono dei gap: la
percezione del
servizio rispetto alle
attese fa sì che vi
siano dei gap:

LA “ CRITICITA’ “ DEI SERVIZI


I servizi sono critici perché la maggior parte di essi viene:
• consumata nel luogo di “erogazione” (dove il cliente ne fruisce)
• quando il cliente lo richiede (fattore tempo)
• secondo un copione o script comportamentale proprio di ogni cliente che lo guida
nella fruizione del servizio
• con interazioni continue con il personale dell’impresa

Ne conseguono criticità molto elevate che impongono un focus molto più accentuato sulla
customer satisfaction e sul personale:
1) monitoraggio customer satisfaction: valutare e monitorare costantemente la customer
satisfaction
2) risoluzione reclami clienti: bisogna fare attenzione per cercare di andare a risolvere
eventuali problemi. I clienti che sporgono reclamo sono circa il 5% di quelli insoddisfatti
3) soddisfazione dipendenti → soddisfazione clienti: se rendo soddisfatti i dipendenti,
probabilmente avrò dei clienti molto più soddisfatti

OBIETTIVI DI MARKETING PER IMPRESE DI SERVIZI: GESTIONE PRODUTTIVITA’


Per migliorare la produttività le imprese di servizio possono scegliere approcci diversi:
✔ assumere e premiare i dipendenti più capaci in grado di svolgere meglio i propri
compiti ed erogare più servizio
✔ aumentare la quantità dei servizi (riducendo parzialmente la qualità) attraverso la
gestione del tempo di erogazione
✔ standardizzare la “produzione” del servizio utilizzando attrezzature e tecnologie
✔ incentivare i clienti a sostituirsi agli operatori (self service)
✔ migliorare la produttività attraverso le potenzialità della tecnologia (es.: web)

133
Gestire trade-off produttività – qualità del servizio

LA GESTIONE DEI SERVIZI A SUPPORTO DEI PRODOTTI FISICI


Dobbiamo anche considerare che le imprese di produzione utilizzano servizi a supporto dei
loro prodotti per aver maggior vantaggio competitivo. Da questo punto di vista ha iniziato
ad essere presente una prospettiva teorica proprio su questo aspetto, e si chiama service-
dominant logic: i servizi associati ai prodotti fisici assumono una valenza determinante
nella definizione e differenziazione dell’offerta delle imprese manifatturiere.
Ad esempio le imprese produttrici di beni strumentali: i clienti hanno tre tipologie di
preoccupazioni principali:
(a) l’affidabilità del prodotto e/o assenza di guasti
(b) l’affidabilità del servizio che minimizzi il tempo di inattività
(c) i costi nascosti di manutenzione e riparazione
Bisogna fare una segmentazione della domanda, in quanto alcuni clienti (ma non tutti)
sono interessati a questi aspetti, e bisogna capire quali.
Il grado di importanza attribuita all’affidabilità, funzionalità e manutenzione può essere
variabile. Il produttore deve identificare i clienti che assegnano maggior valore a questi
elementi di servizio e definire l’offerta di conseguenza.

Aree di servizio in cui si può andare ad incrementare il valore dell’offerta:


● servizi prevendita: supporto al cliente in fase preliminare, definizione della
dimensione/quantità, test preliminari, trial e dimostrazioni al cliente
● servizi di vendita: imballaggio, trasporto, installazione e messa in opera
● condizioni di vendita: garanzie, prezzo, condizioni di pagamento
● servizi post-vendita: riparazioni in garanzia, assistenza remota,
assistenza/manutenzione presso stabilimento, forniture accessorie

IL SETTORE DEI SERVIZI ALLE IMPRESE IN ITALIA


Il settore dei servizi non servono solo noi come clienti, bensì anche le imprese.

134
CAPITOLO 5. PROGETTAZIONE E GESTIONE DEL
PROCESSO PRODUTTIVO (Dispensa- Volpato)
La funzione di produzione è molto importante nelle imprese manifatturiere.
Il concetto di produzione si adatta anche ad altre imprese, agricole e di servizi dove vi è una
sorta di processo produttivo.
I temi da discutere si riferiscono alle imprese manifatturiere.
Innanzi tutto guardiamo alcuni concetti di base che riguardano la produzione industriale e
come si sono evoluti i processi produttivi.
Dopo studieremo la progettazione e come si gestisce il processo produttivo:
• dimensionamento della capacità produttiva
• layout di impianti produttivi. Ogni macchinario ha un proprio grado di elasticità e di
flessibilità: più è flessibile ed elastico, più si può rispondere meglio ai cambiamenti
sul mercato
• definizione mansioni
La produzione non avviene in modo casuale ma è pianificata: la pianificazione ci porta a
redigere dei piani che possono essere di lungo, breve e medio termine.
Vedremo delle logiche pull vs logiche push.
Studieremo poi la gestione delle scorte.

LA PRODUZIONE INDUSTRIALE: CONCETTI DI BASE E ASPETTI GENERALI


Il processo produttivo è il processo che permette di trasformare, assemblare e coordinare
delle risorse, che possono essere materiali e immateriali, al fine di ottenere prodotti e
servizi.
Questo processo si basa su elementi legati alla conoscenza, al saper produrre, alle capacità
di ricerca e di sviluppo.
Pertanto il processo produttivo consente di metter a sistema questi elementi al fine di
ottenere un prodotto o servizio.
Il processo di produzione industriale è quello che si svolge all’interno degli stabilimenti
tramite l’impiego di macchinari, impianti e di forza lavoro.
Dunque è un processo di trasformazione fisica.

La gestione del processo produttivo significa:


1) mettere a punto un sistema di produzione che riesca ad essere funzionale agli
obiettivi strategici che l’impresa si è posta di ottenere
2) il processo produttivo è strettamente interconnesso con le fasi a monte e a valle →
bisogna dunque coordinare il processo con tutta la fase a monte
3) bisogna coordinare il processo anche con tutta la fase a valle
4) bisogna pensare che bisogna progettare tutto il sistema tenendo conto dei tempi
della produzione → calcolare e programmare le tempistiche della produzione
5) nel momento in cui si va a programmare la produzione bisogna essere attenti al
fatto che ci siano la necessità di coordinamento interno tra le varie fasi di
produzione e tra i vari macchinari → pianificare le operazioni svolte all’interno
dell’attività produttiva e le mansioni.

135
Questi sono tutti temi che non hanno solo una fattispecie tecnica, ma vanno ad impattare
l’organizzazione stessa e richiedono capacità e discipline manageriali.

Si inizia a parlare di produzione industriale dalla rivoluzione industriale. L’elemento che


consente l’evoluzione è la codificazione scientifica delle conoscenze.
Nell’ottica preindustriale gli operai erano degli artigiani che si formavano tramite un
apprendistato da un artigiano che aveva esperienza, e capivano come produrre un certo
tipo di manufatto osservando come avveniva il processo di produzione → conoscenze
empiriche.
Nel momento in cui vi è la produzione industriale le conoscenze empiriche iniziano ad
essere codificate, in modo tale che il passaggio della conoscenza inizia ad avere una logica
più strutturata → conoscenza codificata.
Si inizia così ad avere un’industrializzazione e l’artigiano diventa un tecnico, un soggetto
che viene formato dal punto di vista professionale e non inizia a lavorare in base a ciò che
vede, ma inizia ad avere un’istruzione professionale basata su conoscenze teoriche e mette
a frutto abilità non più semplicemente manuali ma tecniche → abilità manageriali di
controllo.
Cambia completamente anche il tipo di modello lavorativo e di approccio con il passaggio
alla rivoluzione industriale.

Come il processo di produzione va ad impattare sui modelli produttivi che in quel momento
vanno ad essere influenti sul mercato?
Questi modelli produttivi (chiamati anche paradigmi) sono degli archetipi, che le imprese
vanno ad applicare sulla realtà.
Questi modelli produttivi nascono dalla trasformazione industriali delle logiche di impresa.
C’è bisogno di un modo diverso di produrre → si ha bisogno di avere dei prodotti in tempi
brevi.
La tecnologia in questo dà un grande aiuto.
136
Lo sviluppo della produzione industriale è reso possibile da una complessa interazione di
fattori tecnici, economici e sociali. I principali sono:
• sviluppo della tecnologia e delle conoscenze scientifiche e manageriali
• evoluzione della domanda e dei comportamenti di consumo
• evoluzione del mercato delle risorse sia materiali che immateriali
• evoluzione dei sistemi finanziari e delle forme di accesso al credito
Diverse manifestazioni di queste variabili danno vita a diverse modalità di organizzazione
della produzione industriale e di coordinamento tra la produzione e la domanda → modelli
produttivi.

Vi sono due principali modelli produttivi:


● modello di produzione di massa: cercare di rispondere ad una domanda crescente di
prodotti molto standardizzati (modello taylor-fordista). L’idea è quella di rispondere
ad una domanda di massa con un’offerta di massa.
● modello di produzione di varietà: dalla parte opposta si ha questo tipo di produzione
flessibile. Il modello flessibile fa della varietà un elemento fondamentale.

Tra questi due modelli vi è un altra specie di modello: la produzione snella mette insieme
alcuni elementi della produzione di massa e della produzione flessibile.
Infatti il Lean Production non è un modello a sé, ma è l’insieme dei due modelli di
riferimento precedenti.

MODELLO DI PRODUZIONE DI MASSA


Questo modello è basato su una logica con cui Taylor si occupa di studiare in modo
scientifico come avviene la produzione e misura i tempi con cui un operaio riesce a
produrre un pezzo della fase di lavorazione.
Si parla dunque di scientificazione del management.
Con questo contributo si pongono le basi sui principi base della produzione. L’idea è
cercare di ottenere delle economie all’interno della logica produttiva → ottenere economie
di produzione perché si riuscirà ad essere più competitivi sul mercato e questo può
permettere di avere anche prezzi più contenuti. Prezzi più contenuti faranno aumentare la
domanda. Aumentando la domanda, si va ad aumentare la scala produttiva e così si
ottengono ulteriormente economie di scala.
Si ha un circolo virtuoso legato alla scala della produzione.

Bisogna pensare che l’impresa non è avulsa dal contesto, e anche lo logiche produttive
sono molto legate agli input che provengono dall’ambiente.
Questo tipo di modello è inquadrato in un contesto in cui vi è una tecnologia meccanica,
basata sul macchinario.
La domanda tira tanto e non richiede particolari specificità: è una domanda indifferenziata
e sensibile al prezzo.
Per capire anche il tipo di modello di produzione da adottare e da adattare bisogna capire
le condizioni del contesto macro-economico.
Le materie prime esplodono: sono in crescita.
In questo modello vi era anche tanta manodopera de-specializzata a basso costo.
137
In quel periodo vi era grande accessibilità al credito.

Affinché questo modello sia efficace bisogna cercare di ottenere dei risparmi in economie
dimensionali e da integrazione. Risparmi contenuti vanno ad incidere sui costi e anche una
variazione piccola del prezzo porta ad una variazione della domanda, la quale è molto
elastica → la domanda reagisce molto bene alle variazioni del prezzo.

Questo modello ha anche dei limiti: il più grosso limite è che non riesce ad adattarsi alle
condizioni del mercato → è un mercato particolarmente rigido.

MODELLO FLESSIBILE
Non si va a lavorare sulle economie di scala, ma su prodotti e processi per innovarli
fortemente grazie al fatto di avere una domanda stabile e che richiede personalizzazione e
differenziazione. Sono prodotti sui cui si lavora dal punto stesso della ricerca-sviluppo →
prodotti migliori e differenziati. Ciò permette di rendere più stabile la domanda e di avere
margini più alti perché il prodotto differenziato è diverso dagli altri prodotti sul mercato.
Se il prodotto è migliore e differenziato è chiaro che parte della domanda può esse più
portata ad essere più disponibile per pagare dei premium price per avere un prodotto che
non è uguale a tutti gli altri, ma diverso per vari elementi (funzioni, packaging). Questa
possibilità porta l’impresa ad avere maggiori risorse, utilizzate per alimentare il circuito di
innovazione del prodotto sul processo.
Anche qui vi è un circolo virtuoso, ma su basi completamente diverse rispetto al modello di
massa.

Questi due modelli sono degli archetipi in opposizione.

Perché nasce un approccio ad un modello flessibile?


Ci devono essere condizioni interne all’impresa per scegliere la produzione. Le condizioni di
mercato che si vanno a generare sono:
• sviluppo delle tecnologie per la meccanizzazione flessibile e l’automazione
• domanda differenziata sensibile all’innovazione
• specializzazione nel mercato delle risorse
• mercati finanziari selettivi e orientati a premiare le imprese innovative

La produzione flessibile è efficace quando c’è una quota rilevante di domanda più elastica
rispetto alla differenziazione e della qualità percepita che non rispetto al prezzo e quando
vi è una continuità dell’impresa nello sviluppo.

I limiti di questo modello sono:


• rischi di insuccesso delle innovazioni
• cambiamenti repentini nelle situazioni competitive

MODELLO DELLA LEAN PRODUCTION (PRODUZIONE SNELLA)


Ecco che si è cercato di creare una sorta di terzo modello produttivo, che è l’integrazione
dei due modelli precedenti.
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La lean production è una forma che non si configura con un modello nuovo, ma nasce dal
cercare di mettere insieme i due modelli precedenti.

La logica di questo modello è di muoversi su tre linee:


• focalizzarsi sulle fasi produttive ad alto valore
• cercare di lavorare sulle inefficienze ed eliminarle
• snellire le procedure decisionali

Questo modello è molto utilizzato per alcuni elementi:


• just in time: è un modello tecnico manageriale che permette di lavorare con la
scorta giusta, nel momento giusto, nel luogo giusto e nel tempo giusto
• apprendimento continuo: la conoscenza non è fissa, ma ci devono essere delle
logiche di continuous learning per svolgere sempre al meglio questa attività per
creare valore aggiunto
• decentramento decisionale
• relazioni reticolari/partnership: attivare dei network con altri soggetti. Nel network
ognuno si focalizza su certe mansioni, per creare un prodotto che vale moltissimo
• miglioramento continuo, sistemi per incrementare la qualità
• responsabilizzazione, ampliamento/arricchimento delle mansioni: il personale va
motivato e le mansioni vanno arricchite per cercare il miglioramento continuo
• produzione trainata dalla domanda: la domanda determina tutto
La produzione non è la fase primaria all’interno dell’impresa, ma è determinata dalle
esigenze del mercato. È la domanda che determina le logiche produttive

LA PROGETTAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO


Progettare il sistema produttivo significa individuare, acquisire e organizzare le risorse e
attività necessarie per ottenere quello che si è deciso essere l’output del processo.
Le risorse sono gli stabilimenti, impianti, macchinari, mansioni → tutte le attività necessarie
per far svolgere la produzione all’interno delle logiche di impresa.

Ci sono però dei vincoli tecnico-economici che riguardano la capacità produttiva, le


economie che si possono ottenere dai vari macchinari, il modo in cui la domanda si
caratterizza (può essere eterogenea o omogenea), vincoli all’acquisizione di certe risorse,
efficienza tecnica dei processi.
Queste variabili sono spesso chiamate variabili strutturali, perché vanno a configurare la
struttura di un certo settore.

Quando si progetta il sistema produttivo bisogna legare questi vincoli agli obiettivi
dell’impresa.
Nella progettazione del sistema operativo bisogna capire:
1) dimensionamento degli impianti
2) grado di elasticità e flessibilità degli impianti
3) progettazione dei layout produttivi, ovvero la disposizione planimetrica degli
impianti e l’organizzazione dei flussi

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4) analisi e definizione delle mansioni: cosa devono fare gli addetti agli stabilimenti
produttivi?

DIMENSIONAMENTO DELLA PRODUZIONE


Quando andiamo a dimensionare il processo produttivo, bisogna tener presenti alcuni
elementi. Un impianto si caratterizza in base a tre parametri:
potenzialità nominale: massimo numero di unità che si possono produrre → è il
limite superiore della potenzialità operativa
potenzialità operativa: numero massimo di unità che si possono produrre in un certo
arco temporale. Essa può variare e tradursi in un potenziale inferiore che si chiama
potenzialità effettiva
potenzialità effettiva

Mettendo in relazione questi elementi si può calcolare il grado di efficienza dell’impianto: è


la produzione effettiva su quella operativa.
Invece la produzione effettiva rispetto a quella nominale è il grado di saturazione
dell’impianto.

Ci possono anche essere dei tempi di set-up: se un impianto passa ad un altro tipo di
produzioni, vi saranno dei tempi per risistemarlo → tempi di riattrezzaggio.
Vi sono anche dei fermi macchina programmati e ci può essere un insieme di tempi in cui
l’impianto deve stare fermo a causa di guasti inattesi o per interventi di ripristino.

BILANCIAMENTO DEL PROCESSO PRODUTTIVO


oltre al dimensionamento bisogna considerare il bilanciamento del processo produttivo.
Solitamente si hanno più impianti e varie fasi di lavorazione.
Un processo è bilanciato se non si hanno dei fermi produttivi (non si hanno materiali da
lavorare), oppure se non si hanno accumuli di materiali da una fase all’altra. In questi casi il
processo produttivo è bilanciato.

CARATTERISTICHE CHIAVE DEI PROCESSI PRODUTTIVI


Bisogna anche tener conto di altri elementi:
• flessibilità del sistema produttivo: si va ad agire sull’output, cercando di minimizzare
i costi addizionali
• elasticità: un processo di produzione è elastico se riesce ad adattarsi alle esigenze
della domanda
• continuità produttiva: in certi settori è assolutamente necessaria, perché fermare i
macchinari è molto costoso. Il riuscire a dare continuità alla produzione è un altro
elemento che si ricerca per progettare il sistema produttivo
• regolarità: consentire di dare output costanti.

Ci si trova a rispondere ad un mercato discontinuo e ad esigenze di produzione che


ricercano la continuità.

MATRCE DI HAYES E WHEELWRIGHT


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Il prodotto è studiato in base alla varietà e ai volumi dei prodotti.
Questo è stato messo a matrice con il tipo di processo produttivo citando l’elasticità e la
regolarità della produzione. Facendo un match tra processo e prodotto, sono andati ad
identificare le configurazioni naturali dei processi produttivi lungo la diagonale della
matrice, dove mettono insieme le quattro dimensioni.
Nei processi produttivi reali si possono avere posizionamenti più intermedi. L’area utile in
cui ci si può andare a posizionare è sostanzialmente quella rappresentata in figura.
La produzione su commessa solitamente si caratterizza per una grande varietà di prodotti
diversificati tra loro. La varietà d prodotto è alta e i volumi sono alti. Dal punto di vista del
processo di hanno flussi irregolari e il processo è elastico, in quanto ci si adatta all’esigenza
della domanda. Si è in un’area in cui le commesse variano nel tempo.
Quando si placa un po’ l’elasticità e l’irregolarità dei flussi, si ha la produzione su commesse
ripetute, dove le commesse sono commissionate in modo ricorsivo.
In una dimensione intermedia si ha la produzione su lotti, dove i processi sono
mediamente elastici.
Spostandosi sempre di più verso l’opposto, si ha una bassa varietà di prodotti fatti con
volumi elevati e con processi più rigidi (standardizzazione), si ha la produzione in linea e
poi la produzione continua dove non c’è varietà di prodotto.

Se si hanno beni complessi bisogna combinare queste tipologie di processi.

PROGETTAZIONE DEL LAYOUT


Il layout è un elemento fondamentale: è il modo con cui si vanno a predisporre gli impianti.
Bisogna capire quattro elementi:
1. in che modo definire la sequenza e i criteri di accorpamento delle attività
2. gestire tutta la logistica interna: passaggi di materie prime, semilavorati, prodotti
finiti che avvengono all’interno della parte produttiva
3. capire dove predisporre le postazioni di lavoro e le attrezzature, le quali vanno
sistemate in modo tale che si lavori bene

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4. organizzare le mansioni dei vari soggetti della forza lavoro

L’efficienza del processo dipende anche dal layout, il quale va ad impattare su alcuni
elementi:
• efficienza nella movimentazione
• flessibilità → più lavorazioni per postazioni
• saturazione → diverse postazioni per la stessa lavorazione
• ergonomia, sviluppo e apprendimento da parte del personale

Si possono avere tre possibili layout:


1) layout in linea: i materiali sono sottoposti a lavorazioni predeterminate in modo rigido,
nella sequenza e nel tempo

Questo tipo di layout favorisce


l’efficienza logistica, ma essendo
rigido non risponde alla flessibilità.

2) layout per reparto: si suddividono per reparti le fasi di lavorazione. Il reparto è una unità
in cui si svolgono lavorazioni omogenee tra loro. Le postazioni sono miste ed è un tio di
layout che risponde meno a soluzioni di efficienza, però la flessibilità è elevata, e il lavoro
diventa meno ordinario perché le mansioni sono più articolate

3) layout a celle o isole: ogni reparto


può svolgere tutte le lavorazioni →
ogni reparto è autonomo

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PROGETTAZIONE DELLE MANSIONI
• che tipo di mansioni devono essere svolte
• contenuto del lavoro
• quali sono le conoscenze richieste al soggetto che deve svolgere le mansioni
• pensare a logiche di sviluppo per i soggetti che svolgono quelle determinate
mansioni
Il job design ha come obiettivo il modo in cui si svolgono le attività più efficienti e
funzionali, lavorando molto sulla motivazione in quanto il personale va motivato a fare
bene il proprio lavoro, e a migliorare continuamente.
Il personale si motiva tramite tre logiche:
job enlargement/enrichment: arricchimento del tipo di lavoro svolto. Se il lavoro
svolto è sempre lo stesso, il lavoratore non è motivato. Occorre prestare attenzione
all’arricchimento delle mansioni
job rotation: rotazioni del dipendente in vari reparti in modo da diversificare le
mansioni
groupwork: lavorare in gruppo stimola l’innovazione.

I fattori che lavorano sulla motivazione sono delle modalità in cui si va a far comprendere
bene anche al singolo addetto quello che è il contributo che lui dà al processo produttivo,
cercando di dare autonomia in quanto responsabilizza il soggetto.

Oltre a progettare, occorre anche programmare la produzione.

PROGRAMMI (O PIANI) DI PRODUZIONE

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Bisogna mettere a punto piani che sono differenziati tra loro. Questo tipo di pianificazione
cerca sempre di essere più automatizzato, cercando di utilizzare mezzi di programmazione
automatizzati in modo da tener conto delle esigenze del mercato e della domanda.
Questi sono sistemi ERP, ovvero sistemi con cui si gestiscono le risorse dell’impresa.
Questi sistemi cercano di coinvolgere varie funzioni integrate tra loro. Essi vengono
integrati con altre fonti di informazione a livello aziendale. Utilizzare dei sistemi ERP vuol
dire andare a creare un magazzino di informazione ed avere delle logiche di flusso delle
informazioni, ed utilizzare procedure informatizzate.
Davanti ad una domanda che non è lineare ma si muove in modo molto controllato
dall’impresa, l’impresa ha delle logiche che vorrebbero una domanda lineare.
L’impresa per questo deve programmare e coordinare la produzione, dati i vincoli del
processo produttivo.
Da questo punto di vista si hanno due logiche di coordinamento tra produzione e
domanda:
logica push: è una logica in cui si va a lavorare per il magazzino, quindi si cerca di
svincolarsi dalle logiche di richiesta del mercato. Le scorte verranno messe sul
mercato quando verranno richieste.
Una volta fatto il programma di produzione, si svolge il processo produttivo che
porterà ad avere una serie di prodotti messi nelle scorte, che dovranno essere spinti
sul mercato cercando di farle assorbire.
In questo caso la produzione non è legata alla domanda poiché si cerca di imporre
alla domanda le logiche dell’impresa.
Si risponde ad un’efficienza interna che non dipende da quando arrivano gli ordini
logica pull: in questa logica si produce quanto viene ordinato. Questa logica parte da
un ordina che attiva la programmazione della produzione e a quel punto il
magazzino non è fondamentale in quanto la merce deve essere immediatamente
portata al cliente.

La decisione deve essere presa tenendo conto di tra aspetti e vi possono anche essere delle
versioni intermedie:

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a) struttura dei costi di produzione: la produzione spinge dei costi variabili e la
struttura ha dei costi fissi. Se si produce sempre, i costi sono meglio suddivisi e la
logica push consente di suddividere meglio i costi. Ci sono anche dei costi di
attrezzaggio
b) caratteristiche della domanda
c) caratteristiche del prodotto: aspetti tecnici

IL PROCESSO DI GESTIONE DELL’ORDINE

Una volta ricevuto l’ordine si inviano tutti gli elementi che servono per poter sviluppare i
prodotti ordinati.
L’indistinta base fa sì che che si attivi un controllo delle giacenze, ovvero i prodotti che
servono per poter eseguire l’ordine che è stato fatto.
Se così non è, occorre ordinare i vari componenti.

PROBLEMA DI FONDO DELLA GESTIONE DELLE SCORTE

La gestione delle scorte non è banale. Oltre a progettare la produzione, bisogna gestire le
scorte. Le scorte generano dei costi e consentono di non fermare la produzione.

I costi di approvvigionamento sono dati dal costo delle materie prime, ovvero dal prezzo
della fornitura. Se l’impresa è brava riesce a tenere bassi i costi.
Ci sono i costi amministrativi legati all’emissione e gestione dell’ordine, gestiti dalla parte di
amministrazione. Ci sono poi i costi opportunità di immobilizzo del capitale.

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Se si è un’impresa alimentare si ha a che fare con prodotti deperibili, e mantenerli e
conservarli è un costo (costo di mantenimento).
Dall’altra parte il fermo della produzione fa sì che vi siano tutti i costi maggiori e penali, o
perdite di ricavi da mancata consegna. Bisogna bilanciare esigenze diverse da questo punto
di vista.

MODELLI DI BASE DI GESTIONE DELLE SCORTE


I modelli di base della gestione delle scorte sono:
● modelli che si basano su logica di scorta:
- a periodo fisso → la quantità ordinata cambia ma non cambia il tempo che intercorre tra
un ordine e l’altro
- a quantità fissa → in questo caso si ordina sempre la stessa quantità, ma ciò che varia è il
periodo di riordino a seconda di quanto arriva
● modelli a fabbisogno:
- gestione a fabbisogno programmato → si monitorano continuamente le giacenze e
i tempi di approvvigionamento. Si programmano le scorte monitorando le giacenze,
e si utilizzano per forza i processi evolutivi e le loro evoluzioni. Con questo tipo di
gestione gli imprevisti possono portare delle diseconomie o delle carenze nella
gestione delle scorte. Non si è pronti a richieste inattese o eventi imprevisti
- gestione a fabbisogno effettivo o snello → occorre attivarsi con un sistema
estremamente organizzato in quanto ci deve essere una comunicazione in tempo
reale e un sistema di fornitura molto affidabile.

METODO KANBAN
• comunicazione con sistema a vista (Kanban) del sorgere di un fabbisogno
• predisposizione di una procedura per la raccolta dei Kanban e l’avvio dello stesso
alle fasi a monte (Kanban come ordine di produzione)
• esecuzione dell’ordine di re-invio alla linea del fabbisogno richiesto (Kanban come
ordine di trasferimento)
• quantità di riordino pre-calcolate in base ai consumi e al lead-time del fornitore

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