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ISSN 0391-7428

D I R I T T O E S O C I ETÀ
2010/1
1

nuova serie
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ISBN 978-88-13-30113-2

CEDAM

2010
00111556

CEDAM PADOVA

Pubbl. Trim. n. 1 - Gennaio-Marzo 2010 - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale
€ 37,00 D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
DIRITTO
E SOCIETA’
2010/1

CEDAM PADOVA
DIRITTO
E SOCIETA’
Fondata da Giovanni Cassandro,
Vezio Crisafulli e Aldo M. Sandulli

1
Comitato scientifico
e di direzione
Leopoldo Mazzarolli
Maria Alessandra Sandulli
Marino Breganze
Beniamino Caravita di Toritto
Antonio D’Atena
Giuseppe de Vergottini
Pietro Giuseppe Grasso
Natalino Irti
Giorgio Lombardi
Massimo Luciani
Manlio Mazziotti
Franco Modugno
Giuseppe Morbidelli
Giovanni Sartori
Franco Gaetano Scoca
Federico Sorrentino

Segretari di redazione
Alessandro Calegari
Francesco Crisafulli

Redazione
presso prof. Maria A. Sandulli,
Corso Vittorio Emanuele n. 349, Roma
presso dott. Alessandro Calegari,
Dipartimento di Diritto pubblico, internazionale
e comunitario
Università di Padova
Via VIII Febbraio n. 2, Padova

La rivista esce trimestralmente


Gli scritti pubblicati su questa Rivista sono sottoposti
a previa valutazione di un Comitato di referee
Sommario
2010 - Nuova Serie - numero 1

SAGGI
Adele Anzon Demmig, I tribunali costituzionali e l’inte-
grazione europea: da Maastricht a Lisbona, p. 1.
Renzo Dickmann, Costituzione e contesto costituziona-
le, p. 37.
Giuseppe Morbidelli, Regioni e principi generali del di-
ritto amministrativo, p. 81.
Alessandro Pace, I diritti del consumatore: una nuova
generazione di diritti?, p. 111.

ATTUALITÀ
Eleonora Rinaldi, La Corte costituzionale e gli arcana
imperii, p. 141.

LETTURE
Luca Cosmelli, Post fata, foederalis resurgo: Iraq e de-
centramento istituzionale nel mondo arabo, p. 201.
Hanno collaborato a questo numero di
Diritto e Società

– Adele Anzon Demmig, Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso


l’Università degli Studi di Roma « Tor Vergata »

– Renzo Dickmann, Consigliere Capo dell’Ufficio Commissioni d’inchiesta, di vigilanza e


controllo della Camera dei deputati

– Giuseppe Morbidelli, Professore ordinario di Diritto amministrativo presso l’Universi-


tà degli Studi di Roma « La Sapienza »

– Alessandro Pace, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli


Studi di Roma « La Sapienza »

– Eleonora Rinaldi, Ricercatrice di Istituzioni di diritto pubblico presso la Facoltà di Giu-


risprudenza dell’Università degli Studi di Roma « La Sapienza »

– Luca Cosmelli, Dottore di ricerca in Diritto pubblico presso la Facoltà di Giurispru-


denza dell’Università degli Studi di Roma « Tor Vergata »
Saggi

ADELE ANZON DEMMIG

I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA:


DA MAASTRICHT A LISBONA ( * )

Sommario: 1. Premessa. – 2. Cenni sullo sviluppo dell’integrazione europea da Maastricht


a Lisbona – 3. La giurisprudenza della Corte italiana: dal self-restraint ai segni di at-
tenzione al fenomeno comunitario. – 4. Le decisioni più recenti: conferme in tema di
impatto del diritto comunitario e “controlimiti”. – 5. (Segue) L’efficacia diretta del di-
ritto comunitario tra art. 11 e art. 117, comma 1. – 6. Il rinvio pregiudiziale nei giudizi
comuni e nei giudizi di legittimità costituzionale. – 7. Segnali contraddittori di “aggiu-
stamento” della concezione dualista dei rapporti tra ordinamento nazionale e ordina-
mento dell’Unione. – 8. Prime conclusioni. – 9. L’impostazione comune delle senten-
ze “Maastricht” e “Lisbona” del Tribunale costituzionale federale tedesco. – 10. Le ri-
serve di controllo del Bundesverfassungsgericht. – 11. Il dibattito sui controlli di costi-
tuzionalità sugli atti dell’Unione. – 12. L’approdo recente dei Tribunali costituzionali
italiano e tedesco: un confronto interlocutorio.

1. – Premessa

Qualche tempo fa, sollecitata soprattutto dalla vasta eco provocata


dalla sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco sul Trattato di
Maastricht, ho creduto di intravedere, osservando i più recenti sviluppi del-
la giurisprudenza sia di questo Tribunale sia della Corte costituzionale ita-
liana, qualche segnale che pareva esprimere una comune tendenza ad un al-
meno iniziale e parziale distacco dalle posizioni di cautela e di self restraint
da essi tenuti in precedenza nei confronti del processo di integrazione eu-
ropea ( 1 ), e in particolare, della pretesa della Corte di Giustizia Comunita-
ria di tenere saldamente in mano il monopolio della vigilanza sulla dinami-
ca dei rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali ( 2 ).
Si trattava, osservavo, di una mera e incerta ipotesi interpretativa che
attendeva di essere chiarita, confermata o smentita dall’esperienza succes-
siva.

(*) Questo scritto è destinato agli “Studi in onore di Alessandro Pace”.


( 1 ) Cfr. A. Anzon, I Tribunali costituzionali nell’era di Maastricht, in AA.VV., Studi in
onore di Leopoldo Elia, Milano, 1999, tomo I, 81 ss.
( 2 ) Per un analogo spunto, ma con diversi svolgimenti, v. F. Sorrentino, L’influenza del
diritto comunitario sulla Costituzione italiana, in AA.VV., Studi in onore di Leopoldo Elia, cit., to-
mo II, 1635 ss.
2 ADELE ANZON DEMMIG

Dopo oltre un decennio, alcune pronunzie della Corte costituzionale


italiana e la nuova sentenza del Bundesverfassungsgericht sul Trattato di Li-
sbona costituiscono la migliore occasione per verificare l’attendibilità di si-
mile ipotesi e le sue sorti nella prassi degli anni trascorsi.

2. – Cenni sullo sviluppo dell’integrazione europea da Maastricht a Lisbona


Ho scelto di delimitare lo spazio temporale della ricerca con due even-
ti emblematici, e cioè i Trattati di Maastricht e di Lisbona, entrato in vigo-
re, quest’ultimo, lo scorso 1 dicembre 2009.
È ormai inutile, perché ampiamente conosciuti, soffermarsi qui sugli
aspetti innovativi e sul complessivo rilievo che nell’iter dell’integrazione eu-
ropea ha avuto il primo dei due Trattati, che, introducendo l’Unione accan-
to alle Comunità, ha rappresentato, come è stato giustamente evidenziato,
uno strumento che ha accelerato il ritmo e l’ampiezza del processo di inte-
grazione con una intensità che non aveva paragoni nel passato ( 3 ), accre-
scendo ulteriormente e in una misura inedita la sfera e il grado di politicità
dei compiti della costruzione europea, in vista del raggiungimento anche di
una unione monetaria. Nonostante che il precedente sviluppo del processo
di integrazione già avesse mostrato, soprattutto con la spinta dell’Atto uni-
co europeo, di mirare in questa direzione, il trattato di Maastricht ha segna-
to un vero e proprio salto di qualità rispetto agli inizi di stampo meramente
“funzionalista” dell’esperienza comunitaria. Dunque non sorprende che gli
organi di giustizia costituzionale abbiano prestato rinnovata attenzione al-
l’impatto del suo ordinamento sugli ordinamenti nazionali. In Italia poi, la
valutazione di questo impatto e dei modi in cui esso poteva interagire con la
nostra normativa costituzionale mostrava difficoltà particolari dal momen-
to che, all’epoca, mancavano del tutto – a differenza che in Germania, dove
vennero introdotte proprio in occasione del Trattato di Maastricht – appo-
site previsioni costituzionali su modalità e limiti della partecipazione del-
l’Italia al processo di integrazione europea.
Dopo il Trattato di Maastricht l’integrazione europea ha proseguito il
suo corso, ma senza eventi altrettanto eclatanti. Dopo l’approvazione di
due versioni modificate dei Trattati, una ad Amsterdam, l’altra a Nizza, si è
aperta una fase ricca di aspettative epocali, nella quale, anche sulla spinta
della redazione di una “Carta dei diritti fondamentali” proclamata a Nizza,
si è deciso di realizzare una riforma radicale della normativa pattizia, ap-
provando un “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa” (il c.d.
Trattato costituzionale). Come si sa però la ratifica di questo Trattato è de-

( 3 ) Così anche F. Sorrentino, L’influenza del diritto comunitario, cit., 1653 ss.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 3

finitivamente e clamorosamente fallita e gli Stati membri si sono convertiti


ad un programma meno ambizioso, abbandonando l’idea di una radicale
palingenesi dell’ordinamento europeo, per provvedere ad un riordino ed
integrazione della normativa precedente, resi oltretutto indispensabili dal-
l’intervenuto allargamento ad est dell’Unione, e cioè l’accrescimento a 27
del numero degli Stati membri, con il conseguente ulteriore complicarsi dei
problemi della efficienza dei processi di decisione. Si è giunti così alla con-
clusione del Trattato di Lisbona (Trattato sull’Unione Europea e Trattato
sul Funzionamento dell’Unione), regolarmente ratificato ed entrato in vi-
gore (come s’è detto, il 1o dicembre 2009).
Questo Trattato, pur non rappresentando un passo ulteriore del pro-
cesso di integrazione paragonabile a quello di Maastricht per la qualità e la
misura dell’impatto sugli ordinamenti nazionali, tuttavia, pur nel quadro di
una normativa in gran parte immutata nella sostanza, introduce alcune in-
novazioni rilevanti che non vanno sottovalutate. La maggior parte delle no-
vità concernono naturalmente l’aspetto strutturale dell’Unione, come per
esempio, l’assorbimento della Comunità nell’Unione Europea, dotata di
personalità giuridica unitaria; il rafforzamento del ruolo del Parlamento eu-
ropeo e dei Parlamenti nazionali, la stabilizzazione delle cariche di Presi-
dente del Consiglio europeo e di Alto rappresentante per gli affari europei
e la sicurezza; la classificazione e sistematizzazione delle competenze del-
l’Unione; l’introduzione di particolari modalità nei processi di decisione
idonei a modificare la normativa pattizia sulla distribuzione delle compe-
tenze tra Unione e Stati membri, quali – oltre alla revisione semplificata – le
clausole-passerella, la clausola di flessibilità, il freno d’emergenza in tema
di diritto di famiglia transfrontaliero (per il passaggio dal procedimento
speciale al procedimento ordinario) e di cooperazione in materia penale.
Lo stesso Trattato però contiene anche almeno due modifiche suscettibili
di incidere anche sulle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini europei:
la prima consiste nella fusione e quindi nella sopranazionalizzazione dei
“tre pilastri”, e il conseguente trasferimento in capo all’Unione delle relati-
ve competenze, comprese quelle prima esercitate nella forma della coope-
razione intergovernativa (con la conseguenza dell’ampliamento dell’area in
cui possono intervenire atti nell’Unione idonei ad incidere in diritti fonda-
mentali); la seconda è rappresentata dalla giuridificazione della Carta euro-
pea dei diritti fondamentali già proclamata a Nizza.

3. – La giurisprudenza della Corte italiana: dal self-restraint ai segni di atten-


zione al fenomeno comunitario
Il “cammino comunitario” della Corte Costituzionale italiana è, alme-
no per le sue prime fasi ben conosciuto. È stato oggetto di innumerevoli
4 ADELE ANZON DEMMIG

commenti ( 4 ) la vicenda per la quale la Corte – facendo propria, anche se


attraverso percorsi e sulla base di assunti diversi, l’impostazione della Corte
di Giustizia – si è spogliata di ogni competenza in merito al conflitto tra sin-
gole fonti comunitarie direttamente applicabili e leggi nazionali, rimetten-
dola al giudice comune e riservandosi il potere di intervenire mediante il
controllo sulla legge di esecuzione del Trattato, per assicurare il rispetto da
parte degli organi comunitari dei “controlimiti” – e cioè dei principi fonda-
mentali e dei diritti inalienabili della persona umana ( 5 ), nonché il nucleo
essenziale dei principi del Trattato da parte delle leggi nazionali ( 6 ).
Questa impostazione è poi rimasta immutata nel periodo considerato,
mentre la Corte, soffermandosi sul fenomeno della efficacia diretta del di-

( 4 ) Ricordo, per tutti, per la loro lucidità ed esaustività, i saggi di A. La Pergola, Costitu-
zione ed integrazione europea: il contributo della giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., Studi in
onore di Leopoldo Elia, cit., I, 815 ss.; F. Sorrentino, L’influenza del diritto comunitario, cit.,
1637 ss.
( 5 ) Il limite dei diritti inviolabili compare per la prima volta nella sent. n. 98 del 1965, che
affronta il problema del rapporto tra le norme del Trattato CECA (o meglio delle norme di ese-
cuzione del Trattato CECA), non con leggi ordinarie successive, ma con norme costituzionali: og-
getto dell’impugnativa erano alcune norme del Trattato CECA per contrasto con le norme costi-
tuzionali interne sulla giurisdizione, (in quanto attribuivano alla giurisdizione esclusiva della Cor-
te di Giustizia le controversie relative agli atti dell’Alta Autorità e limitavano i vizi denunziabili).
La Corte, nel respingere la questione, introduce due criteri di giudizio che poi influenzeranno la
sua successiva giurisprudenza. Il primo sta nella separatezza dell’ordinamento comunitario, visto
come un ordinamento distinto da quello nazionale al quale dunque non potrebbero essere appli-
cate le norme costituzionali interne sulla giurisdizione; il secondo è quello che configura un dirit-
to inviolabile – nella specie quello alla tutela giurisdizionale – come limite agli effetti interni pro-
dotti dalle norme comunitarie. Nel caso però la Corte dichiara infondata la questione perché ri-
tiene che tale tutela sia sufficientemente assicurata nell’ordinamento comunitario. La previsione
dei “controlimiti” assume la fisionomia definitiva nella sent. n. 183 del 1973, secondo la quale nei
confronti del diritto comunitario non manca la tutela dei diritti fondamentali assicurata nel terri-
torio dello Stato dal controllo di costituzionalità delle leggi e ciò perché: a) tale tutela è assicurata
nello stesso ordinamento comunitario; b) la competenza normativa comunitaria è limitata ai rap-
porti economici, dunque “appare difficile configurare anche in astratto l’ipotesi che un regola-
mento comunitario possa incidere in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici con disposi-
zioni contrastanti con la Costituzione italiana”; c) le limitazioni di sovranità consentite dall’art. 11
non comprendono l’attribuzione agli organi comunitari del potere di violare i principi fondamen-
tali del nostro ordinamento e i diritti inalienabili della persona umana; d) se il Trattato dovesse in-
tendersi in modo sì aberrante, sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato della Corte non
sui singoli regolamenti comunitari (che non sono atti “dello Stato” ai sensi dell’art. 134 Cost.) ma,
attraverso il sindacato sulla legge di esecuzione, sulla perdurante compatibilità del Trattato con i
predetti principi fondamentali. Sul tema particolare Cfr. tra i molti, i saggi di M. Cartabia, Prin-
cipi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, 95 ss.; F. Sorrentino, L’influenza del diritto
comunitario, cit. II, 1637 ss.
( 6 ) È, quest’ultima, l’integrazione introdotta all’originaria formulazione della sent. n. 183
del 1973 da parte della sent. n. 170 del 1984. Si tratta di un passo normalmente non citato nelle
successive decisioni, che viene ripreso, nella sua autonomia, dalla recente ord. n. 454 del 2006: sul
punto v. infra, nel testo § 4 e nt. 25.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 5

ritto comunitario, è venuta ampliando la sfera degli atti comunitari imme-


diatamente applicabili, comprendendovi, oltre ai regolamenti “tipici”, pri-
ma le sentenze interpretative della Corte di Giustizia, relative ad atti dotati
di efficacia diretta, rese in sede di rinvio pregiudiziale (sent. 113 del 1985),
poi quelle adottate nei procedimenti di inadempimento (sent. 389 del
1989); in seguito, in conformità con le indicazioni della Corte di Giustizia,
vi ha ricompreso anche le direttive self executing (sent. 168 del 1991). Con
l’estendersi dell’ambito della normativa comunitaria dotata di effetti diretti
si è corrispondentemente ampliato l’ambito di “auto-esclusione” della Cor-
te dalla verifica degli effetti della penetrazione del diritto comunitario ri-
spetto alle leggi nazionali, e dunque, si è rafforzato il circuito di intervento
della Corte di Giustizia comunitaria in rapporto con i giudici comuni me-
diante il meccanismo del rinvio pregiudiziale ( 7 ).
Rispetto ad un quadro così assestato, una prima sortita nel senso della
rivendicazione da parte del giudice costituzionale di una maggiore capacità
di intervento negli affari comunitari è costituita dalla sentenza n. 232 del
1989, che apre la strada al controllo della Corte sul rispetto dei “contro li-
miti” da parte dei singoli atti normativi comunitari. In precedenza infatti la
Corte aveva non solo escluso l’impugnabilità innanzi ad essa dei regola-
menti comunitari perché non potevano ritenersi atti “dello Stato” ai sensi
dell’art. 134 Cost., ma aveva ammesso il proprio intervento (solo) nei con-
fronti della legge di esecuzione del Trattato, quando la violazione dei “con-
trolimiti” da parte dell’atto comunitario fosse tale da mettere in dubbio la
perdurante compatibilità del Trattato stesso con i predetti principi fonda-
mentali (v. sentenze nn. 183/73, 170/84).
In tal modo, la Corte sembrava riferirsi alla sola ipotesi eccezionale,
anzi “aberrante”, di violazioni gravi e ripetute che comportassero la messa
in dubbio della stessa sopravvivenza del vincolo comunitario. Essa aveva la-
sciato così irrisolto il problema della sede e delle modalità della tutela di tali
diritti e principi nei confronti di violazioni “ordinarie” perpetrate da parte
di singoli atti comunitari.
Con la sentenza n. 232 del 1989 ha aperto il varco alla propria possi-
bilità di reazione, con i rimedi del diritto interno, anche contro il singolo
atto comunitario lesivo di diritti inalienabili, o di principi fondamenta-
li ( 8 ). Questa sentenza infatti, pronunciandosi sulla compatibilità con l’art.

( 7 ) Sull’argomento cfr. soprattutto F. Sorrentino, che ritiene che in tal modo la Corte
europea finisce per controllare anche l’applicazione del diritto interno rispetto agli atti comunita-
ri: v. Profili costituzionali dell’integrazione comunitaria, Torino, 1995, 34 ss.; Id., L’art. 177 del
Trattato di Roma nel rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamenti interni, in AA.VV., Stu-
di in onore di M.Mazziotti di Celso, Padova, 1995, 737 ss.
( 8 ) La novità della sentenza, nel senso illustrato nel testo è messa in luce anche da M. Car-
6 ADELE ANZON DEMMIG

24 Cost. della legge di esecuzione del Trattato di Roma, nella parte in cui
ne recepisce l’art. 234 TCE (ora art. 267 TFUE-Lisbona), pur riconoscen-
do che nell’ordinamento comunitario è assicurato un ampio ed efficace si-
stema di tutela giurisdizionale dei diritti ( 9 ), dichiara che la presenza di ta-
le sistema non implica “che possa venir meno la competenza di questa
Corte a verificare, attraverso il controllo di costituzionalità della legge di
esecuzione, se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpre-
tata ed applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in
contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzio-
nale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana. In buona so-
stanza, quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inol-
tre, va tenuto conto che almeno in linea teorica generale non potrebbe af-
fermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del nostro ordina-
mento costituzionale si trovino fra i principi comuni agli ordinamenti
degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento comunita-
rio”.
L’affermazione di un simile potere di intervento contro ogni singolo
atto comunitario in contrasto con i “controlimiti” si è poi mantenuta ferma.
Essa implica, è vero, il ricorso al meccanismo contorto della verifica della
costituzionalità della legge di esecuzione del Trattato nella parte in cui for-
nisce la base all’atto contestato ( 10 ). Ma questo meccanismo è dovuto al fat-
to che diversamente non si potrebbero portare alla cognizione della Corte
atti diversi da quelli indicati dall’art. 134 Cost., ma provenienti da un ordi-

tabia, Nuovi sviluppi nelle “competenze comunitarie” della Corte Costituzionale, in Giur. cost.,
1989, I, 1012 ss.
( 9 ) Per un analogo riconoscimento v. peraltro già le sentt. nn. 98 del 1965 e 183 del 1973.
( 10 ) Può trattarsi di una qualsiasi norma materiale attributiva di competenza alla Comuni-
tà: cfr. G. Guzzetta, op. cit., 212 ss.; M. Cartabia, op. ult. cit., 1015, e più di recente R. Caponi,
Corti europee e giudicati nazionali (paper, testo provvisorio di una Relazione al XXVII congresso
nazionale degli studiosi del processo civile, “Corti europee e giudici nazionali”, Verona 25-16 set-
tembre, 2009), 131 ss., che sottolinea la novità della decisione in un’ampia analisi con riferimenti
anche all’esperienza tedesca.
V. comunque già i casi risolti con le sentt. nn. 98 del 1965 e 183 del 1973. Per ulteriori svol-
gimenti e considerazioni v. anche F. Sorrentino, La rilevanza delle fonti comunitarie nell’ordi-
namento italiano, in Dir. Comm. Int., 1989, 452 ss. Contrario a questo sindacato della Corte sulle
norme comunitarie è L. Paladin, Le fonti, cit., 434 ss., soprattutto perché lo ritiene incompatibi-
le con i Trattati europei. Una implicita conferma dell’impostazione della sentenza in commento si
può rinvenire nella decisione n. 509 del 1995, la quale, nel dichiarare inammissibile una questione
di legittimità costituzionale avente ad oggetto un Regolamento comunitario fa intendere che di-
versamente sarebbe avvenuto se il giudice a quo non avesse censurato il Regolamento “in via di-
retta e non per il tramite della legge di esecuzione del Trattato, senza prospettare una violazione
dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale nazionale o di diritti inalienabili della
persona umana, che questa Corte deve salvaguardare anche rispetto all’applicazione del diritto
comunitario”.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 7

namento autonomo ancorché coordinato e comunicante (e in tal senso in-


tegrato).
Questa strada, del resto, è quella seguita, per esempio, pure nell’ordi-
namento tedesco, come dimostrano le sentenze Maastricht e Lisbona del
Bundesverfassungsgericht. Né mi sembra convincente la tesi recente che
propone di superare tale impostazione e di rimettere il rimedio contro que-
sti atti comunitari all’intervento della Corte di giustizia azionato dal Gover-
no nazionale ( 11 ) soprattutto perché credo che la violazione dei “controli-
miti” non si possa considerare di per sé né una violazione dei Trattati né, se
avviene nel quadro delle competenze attribuite all’Unione, una disposizio-
ne ultra vires, ma una pura, semplice e diretta violazione della Costituzione
italiana, violazione della quale non si vede il perché dovrebbe farsi carico la
Corte di Giustizia, che è abilitata solo alla garanzia del diritto comunitario e
non delle Costituzioni nazionali.
Quello che invece è senz’altro condivisibile è che in casi del genere,
una volta mantenuto il controllo in capo alla Corte costituzionale, questa
possa o debba esercitare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia se ne
ricorrono i presupposti ( 12 ).
Ma il più clamoroso, anche se parziale, “aggiustamento” ( 13 ) della giu-
risprudenza costituzionale, nel senso di una riappropriazione di un potere di
intervento nel processo di integrazione è senza dubbio quello che ha ammes-
so la possibilità che i contrasti tra normativa comunitaria direttamente appli-
cabile e leggi regionali o leggi statali possano proporsi come questioni di le-
gittimità costituzionale in sede di giudizio principale di legittimità costituzio-
nale ( 14 ). Non è più il caso di riprendere qui la discussione sugli argomenti che

( 11 ) Così invece A. Pace, La sentenza Granital, ventitré anni dopo, in AA.VV., Diritto co-
munitario e diritto interno, Milano, 2008, 405 ss. V. Onida, “Armonia tra diversi” e problemi aper-
ti, in Quad. cost., 2003, 555 s. considera giustamente gli atti comunitari viziati da incompetenza
rispetto ai Trattati viziati ad un tempo sia da “anticomunitarietà” sia (per il tramite della legge di
esecuzione) da incostituzionalità per contrasto con l’art. 11 Cost. Nell’ipotesi dunque, sia la Corte
di Giustizia, sia la Corte costituzionale sarebbero, a diverso titolo, legittimati a intervenire. Di qui,
allo stato, l’insolubilità di un eventuale conflitto tra i due giudici. È questo il caso al centro del di-
battito sulla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht a partire dalla sentenza Maastricht, su
cui v. infra, §§ 9-11. Ben diversa è ovviamente la tesi di chi, come A. Pace, op. loc. cit. e G. Te-
sauro, Sovranità degli Stati membri e integrazione comunitaria, Napoli, 2006, 19 ss. ritiene, secon-
do una concezione internazionalistica, che gli atti ultra vires come viziati da sola “anticomunita-
rietà”, che dovrebbe essere fatta valere tempestivamente dal Governo nazionale, con la conse-
guenza, altrimenti della inoppugnabilità degli atti medesimi.
( 12 ) Come auspica lo stesso A. Pace, op. cit. 16 e 20 ss.
( 13 ) Così F. Sorrentino, L’influenza del diritto comunitario sulla Costituzione italiana,
cit., 1640.
( 14 ) Questa svolta è iniziata prima della riforma costituzionale del 2001 e quindi durante la
vigenza del precedente sistema di controllo preventivo sulle leggi regionali allora prescritto dal-
l’art. 127 Cost. La nuova posizione della Corte è stata affermata dapprima, nella sentenza n. 384/
8 ADELE ANZON DEMMIG

hanno convinto la Corte ad impostare gli stessi conflitti tra norme interne e
norme comunitarie in modi e con rimedi diversi a seconda che sorgano in un
giudizio comune oppure in un giudizio principale di legittimità costituziona-
le ( 15 ). Resta il fatto indiscutibile che ormai questo indirizzo si è consolidato
definitivamente ( 16 ) e che rappresenta comunque il recupero di uno spazio
al controllo di costituzionalità delle leggi nazionali attraverso il parametro in-
terposto della normazione comunitaria, con incremento della partecipazio-
ne della Corte agli affari europei, sia pure nel limitato campo in cui siano coin-
volti i rapporti tra competenze statali e regionali.
Riassumendo, in esito a questa evoluzione giurisprudenziale, il con-
trollo della Corte Costituzionale in caso di incompatibilità della legislazio-
ne nazionale con il diritto comunitario direttamente applicabile, resta esclu-
so, di regola, quando il contrasto con esso della legislazione interna si ma-
nifesti in occasione di un giudizio comune, nel qual caso la soluzione del
problema è devoluto al giudice, previo, eventuale ricorso in via pregiudizia-
le alla Corte di Giustizia; resta invece ammissibile quando il contrasto sia
prospettato in via principale.
Inoltre, quando l’atto comunitario direttamente applicabile viola i
“contro limiti”, è possibile, mediante l’impugnazione della legge di esecu-
zione del Trattato “nella parte in cui”, promuovere l’intervento della Corte
costituzionale, e ciò in ogni caso – v. sent. n. 232 del 1989 – e non soltanto
quando la violazione sia tale da mettere in dubbio la perdurante compati-
bilità del Trattato stesso con detti “controlimiti”.

94, con riferimento all’ipotesi di mere delibere legislative regionali, poi è stata ripresa e ridisegna-
ta nella sentenza n. 94/95 (e in seguito costantemente ribadita) anche a leggi statali già in vigore.
Oggi, con la sottoposizione anche delle leggi regionali al solo controllo successivo, è evidente che
la distinzione ha perduto ogni rilevanza.
( 15 ) Favorevoli a questa impostazione sono F. Sorrentino, L’influenza, cit., 1640 ss. e già
prima, Id., Una svolta apparente nel cammino comunitario della Corte. L’impugnativa statale di
leggi regionali per contrasto con il diritto comunitario, in Giur. cost., 1994, 3456 ss.; A. La Pergo-
la, Costituzione e integrazione europea, cit., 833 ss. Per quanto mi riguarda, continuo a ritenere
che esista un contraddizione tra l’impostazione sottesa alle due ipotesi, né mi sembra convincente
la tesi che la nuova impostazione rappresenti un coerente svolgimento di quella inaugurata con la
sentenza n. 170/84 e che la diversità di regime sia giustificata da mere ragioni processuali, per cui
la questione di legittimità costituzionale (in riferimento all’art. 11 Cost.) di una legge statale o re-
gionale contrastante con il diritto comunitario direttamente applicabile sarebbe inammissibile se
sollevata in via incidentale per il solo fatto della sua necessaria irrilevanza (dovendo comunque il
giudice a quo procedere alla disapplicazione della norma interna) e pienamente ammissibile nel
giudizio principale in cui invece mancherebbe questo ostacolo processuale dell’irrilevanza neces-
saria e in cui l’intervento della Corte sarebbe comunque giustificato dalla necessità di salvaguar-
dare “il valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa”. Ormai però questa dop-
pia impostazione è consolidata nella giurisprudenza della Corte. Le ragioni contrarie possono leg-
gersi in A. Anzon, I Tribunali costituzionali, cit., 89 ss.
( 16 ) V. tra le molte, la recente sentenza n. 102 del 2008.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 9

Il controllo della Corte resta fermo in caso di conflitti della legislazio-


ne interna con il diritto europeo privo di effetti diretti (il quale, nel caso
fungerebbe da normazione interposta rispetto all’art. 11 e 117, comma 1
Cost. (così sentt. 170/1984, sent. 284/2007), nonché con i principi essenzia-
li dei Trattati ( 17 ).

4. – Le decisioni più recenti: conferme in tema di impatto del diritto comuni-


tario e “controlimiti”

Nel corso degli anni successivi alle pronunzie finora ricordate, e fino a
questo momento, la giurisprudenza della Corte si è consolidata, sostanzial-
mente nei sensi illustrati pur manifestando segnali di crescente attenzione
per il fenomeno comunitario, tra i quali spicca il rovesciamento del suo
orientamento in ordine al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex 234
TCE (ora art. 267 TFUE).
Per esempio, la Corte, in varie pronunzie, ha preso in considerazione
il diritto comunitario: l’ha utilizzato come tertium comparationis in un giu-
dizio relativo all’impugnazione in via incidentale di una legge per contrasto
con l’art. 3 Cost. perché introduceva una “discriminazione a rovescio” in
base alla nazionalità ( 18 ), ovvero come criterio di riferimento decisivo per
l’interpretazione di una formula della Costituzione, e cioè della “tutela del-
la concorrenza” di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) ( 19 ); inoltre nel verifica-
re alla sua stregua la compatibilità di leggi statali e regionali impugnate in
via diretta, ha ritenuto che lo stesso diritto comunitario sia idoneo a soddi-
sfare le riserve di legge disposte in Costituzione ( 20 ).
Per il resto, anche le decisioni intervenute dopo l’adozione del nuovo
testo del comma 1 dell’art. 117, introdotto con la riforma costituzionale del
2001, non hanno modificato la precedente impostazione, confermando le

( 17 ) Cfr. la sentenza n. 286 del 1986, rimasta peraltro isolata, che ha dichiarato direttamen-
te inesistente il contrasto della legge impugnata con principi del Trattato, e ha di conseguenza ri-
gettato, nel merito, la questione di legittimità costituzionale prospettata rispetto all’art. 111 Cost.
Si tratterebbe secondo A. La Pergola, Costituzione e integrazione, cit., di un’ipotesi di controllo
su una legge gravemente “anticomunitaria”. Un’analisi recente della posizione della legge nazio-
nale rispetto al diritto comunitario è quella di A. Celotto, Primato del diritto comunitario e fun-
zione legislativa in AA.VV., Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino,
2007.
( 18 ) Cfr. sent. n. 443 del 1997. Per queste ed altre forme di apertura della Corte verso il di-
ritto comunitario cfr. P.A. Capotosti, Quali prospettive nei rapporti tra Corte costituzionale e
Corte di giustizia, in Quad. cost., 2003, 461.
( 19 ) Così la sentenza n. 14 del 2003. L’assunto è ulteriormente specificato soprattutto nella
sent. n. 430 del 2007 e nella sent. n. 319 del 2009.
( 20 ) Così le sentt. n. 383 del 1998 e 425 del 1999.
10 ADELE ANZON DEMMIG

modalità di impatto del diritto comunitario su quello interno e l’esistenza


dei “contro limiti” ( 21 ).
Come l’ordinanza n. 103 del 2008 prima citata, anche numerose altre
decisioni hanno costantemente ribadito il controllo della Corte sugli atti
comunitari – sempre attraverso la legge nazionale – limitatamente al rispet-
to dei “controlimiti”, sempre individuati nei diritti inalienabili della perso-
na umana e nei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale.
L’ordinanza n. 454 del 2006 ( 22 ) si distingue dalle altre perché, nel riassu-
mere la giurisprudenza pregressa in argomento, sembra darne una prospet-
tazione più analitica e più completa di quella costantemente ripetuta: infatti
ammette l’intervento della Corte per la protezione dei “controlimiti” nel
caso in cui principi e diritti fondamentali siano messi in pericolo non tanto
dall’atto comunitario di per sé, ma dal fatto della “non applicazione” della
legge nazionale contrastante ( 23 ); in secondo luogo, riprendendo uno spun-
to, non particolarmente perspicuo, della sentenza 170 del 1984 in prece-
denza scarsamente messo in evidenza ( 24 ), dichiara l’esistenza del sindacato
di costituzionalità anche per il caso diverso (e in certo senso inverso) rispet-
to al precedente ( 25 ) in cui si tratta di “norme” “dirette ad impedire o pre-
giudicare la perdurante osservanza del Trattato in relazione al sistema o al
nucleo essenziale dei suoi (del Trattato) principi”. Il riferimento puro e
semplice a “norme” senza specificarne il grado né la provenienza appare
non chiaramente leggibile: si può plausibilmente ipotizzare (anche se è dif-
ficile pensare che la diversa formulazione sia del tutto casuale) che si tratti

( 21 ) V. per es. sent. n. 348 del 2007 e ord. n. 103 del 2008.
( 22 ) L’ordinanza dichiara inammissibile una questione concernente una legge italiana per
contrasto con norme del Trattato CE provviste di effetti diretti. Sul tema dei contro limiti v. di
recente A. Tizzano, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d. controlimiti
costituzionali, in AA.VV., Diritto comunitario e diritto interno, cit., 479 ss.
( 23 ) V. nello stesso senso la sent. n. 284 del 2007.
( 24 ) Se si eccettua la sentenza n. 286 del 1986, sopra ricordata (nt. 17). V. pure supra, § 3 e
nt. 6.
( 25 ) Cfr. la sent. n. 170 del 1984, punto 7 mot. dir., laddove, riprendendo l’indicazione del
leading case del 1973, premesso che “... la legge di esecuzione del Trattato possa andar soggetta al
suo sindacato, in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai
diritti inalienabili della persona umana, nell’ipotesi contemplata, sia pure come improbabile, al
numero 9 nella parte motiva di detta pronunzia.”, tiene ad aggiungere. “Nel presente giudizio ca-
de opportuno un altro ordine di precisazioni. Vanno denunciate in questa sede quelle statuizioni
della legge statale che si assumano costituzionalmente illegittime, in quanto dirette ad impedire o
pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale
dei suoi principi: situazione, questa, evidentemente diversa da quella che si verifica quando ricor-
re l’incompatibilità fra norme interne e singoli regolamenti comunitari. Nel caso che qui é previ-
sto, la Corte sarebbe, quindi, chiamata ad accertare se il legislatore ordinario abbia ingiustificata-
mente rimosso alcuno dei limiti della sovranità statuale, da esso medesimo posti, mediante la leg-
ge di esecuzione del Trattato, in diretto e puntuale adempimento dell’art. 11 Cost.”.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 11

di un caso non diverso da quello già prefigurato con maggiore precisione


dalla sentenza Granital, in cui ulteriori leggi nazionali (diverse dalla legge di
esecuzione del Trattato impugnata strumentalmente per far valere l’incosti-
tuzionalità di singoli atti comunitari) possano essere ritenute illegittime non
perché introducono atti comunitari contrari alla Costituzione (sempre limi-
tatamente ai “controlimiti”) ma perché esse stesse recano disposizioni gra-
vemente “anticomunitarie” e sono per tale ragione indirettamente incom-
patibili con l’art. 11 Cost., e con l’art. 117 Cost. ( 26 ). Peraltro, questa sepa-
rata considerazione delle due ipotesi continua a non essere richiamata nelle
decisioni successive, che continuano a menzionare soltanto il caso dei
“controlimiti” (per es. sent. nn. 348 del 2007).
Volendo ora sintetizzare l’estensione del campo del controllo della
Corte sulle leggi nazionali ne risulta un quadro non sostanzialmente diverso
da quello accennato al termine dell’analisi della situazione precedente: le
leggi nazionali restano impugnabili per incostituzionalità dinanzi alla Corte
costituzionale se: a) si tratta della legge di esecuzione “nella parte in cui”
consente l’atto comunitario in contrasto con i contro limiti; b) si tratta di
legge diversa e di per sé gravemente “anticomunitaria” (e perciò come tale
contraria all’art. 11 Cost.); c) se la legge contrasta con norme comunitarie
sprovviste di effetto diretto, ovvero d) se pur incompatibile con norme co-
munitarie immediatamente applicabili, è impugnata dallo Stato, o dalle Re-
gioni in via principale ( 27 ).

5. – (Segue) L’efficacia diretta del diritto comunitario tra art. 11 e art. 117,
comma 1

Nella più recente giurisprudenza, piuttosto, spicca la particolare cu-


ra con cui alcune pronunzie hanno scelto di fare il punto sul meccani-
smo e le conseguenze dell’efficacia diretta del diritto comunitario imme-
diatamente applicabile nel nostro ordinamento nei confronti dei giudici
comuni: in proposito esse continuano a ribadire che il fondamento di ta-
le effetto diretto va ricercato nell’art. 11 Cost. quale limitazione alla so-
vranità nazionale ( 28 ), senza alcun richiamo all’art. 117, comma 1. Le sen-
tenze nn. 348 e 349 del 2007, nell’individuare nell’effetto diretto l’ele-

( 26 ) Sulla distinzione tra le due ipotesi v. i chiarimenti di A. La Pergola, Costituzione e in-


tegrazione europea, cit., 838 ss.
( 27 ) Un esempio recente di un controllo del genere è fornito e argomentato dall’ord. n. 103
del 2008, che, nel formulare il rinvio pregiudiziale, spiega alla Corte di Giustizia la ragione per la
quale nel suo giudizio la norma comunitaria ad effetto diretto è utilizzata come parametro di le-
gittimità costituzionale rispetto all’art. 117, comma 1 Cost.
( 28 ) Ord. n. 454 del 2006, sent. n. 284 del 2007, 348 e 349 del 2007.
12 ADELE ANZON DEMMIG

mento che differenzia la posizione delle norme comunitarie rispetto a


quelle della CEDU, mettono in luce come tale effetto discenda – per il
tramite dell’art. 11 Cost. – dal particolare contenuto dei Trattati comuni-
tari, aderendo ai quali l’Italia è entrata a far parte di un “ordinamento”
più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità,
anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trat-
tati medesimi, con il solo limite dell’intangibilità dei principi e dei diritti
fondamentali garantiti dalla Costituzione. La disciplina pattizia determi-
na “l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano” in un sistema
più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolan-
ti, omisso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri ( 29 ).
L’insistenza sul richiamo anche all’art. 11 è ribadita nell’ordinanza n. 103
del 2008, nella quale, pur avendo a che fare con una questione di legit-
timità costituzionale promossa in via principale in riferimento all’art. 117

( 29 ) La Convenzione EDU, invece, non può trovare protezione nell’art. 11 Cost., non solo
perché non è individuabile – almeno con riferimento a specifiche norme convenzionali – alcuna
limitazione della sovranità nazionale» (sentenza n. 188 del 1980), ma anche perché, più in gene-
rale, essa non crea un ordinamento giuridico sopranazionale (non configurando una competenza
comune attribuita alle (o esercitata dalle) istituzioni comunitarie), ma un intreccio di relazioni in
cui il rapporto tra la stessa CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri rimane un rap-
porto variamente ma saldamente disciplinato da ciascun ordinamento nazionale (sent. n. 349/
2007) e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, ma solo obbli-
ghi per gli Stati stessi, come ogni trattato multilaterale (sent. 348 del 2007).
In queste sentenze il rilievo vincolante nel nostro ordinamento della interpretazione delle
disposizioni convenzionali da parte della giurisprudenza della Corte di Strasburgo è sottolineato
con particolare insistenza ma con diverse sfumature: infatti, mentre la prima sentenza giustifica il
carattere vincolante di tale giurisprudenza con un argomento proprio del realismo giuridico, e
cioè come “naturale conseguenza” del fatto che “le norme giuridiche vivono nell’interpretazione
che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo”, pertanto rientra tra gli obblighi
internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU quello di adeguare
la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specifica-
mente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. “Non si può parlare quindi di
una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato ita-
liano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla
Corte europea, contribuendo con ciò a precisare i loro obblighi internazionali”. La sentenza n.
349 invece sembra prescindere da ogni considerazione più generale sul ruolo naturale della giuri-
sprudenza e riconduce tale efficacia vincolante più direttamente alla necessità di garantire la de-
finitiva uniformità di applicazione delle norme convenzionali mediante, appunto, “l’interpreta-
zione centralizzata della CEDU attribuita alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo,
cui spetta la parola ultima e la cui competenza” «si estende a tutte le questioni concernenti l’in-
terpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa
nelle condizioni previste» dalla medesima (art. 32, comma 1, della CEDU). Gli stessi Stati mem-
bri, peraltro, hanno significativamente mantenuto la possibilità di esercitare il diritto di riserva re-
lativamente a questa o quella disposizione in occasione della ratifica, così come il diritto di denun-
cia successiva, sì che, in difetto dell’una e dell’altra, risulta palese la totale e consapevole accetta-
zione del sistema e delle sue implicazioni.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 13

Cost., la Corte, nel sintetizzare la posizione dell’Italia rispetto ai vincoli


discendenti dai Trattati comunitari, invoca espressamente l’art. 11 come
base per il trasferimento “dell’esercizio di poteri anche normativi” nei
settori definiti dai Trattati medesimi.
Dopo la riforma costituzionale dunque i Trattati europei si trovano al-
la confluenza di due diverse disposizioni costituzionali. Poiché l’art. 117,
comma 1 distingue tra obblighi derivanti da accordi internazionali e vincoli
discendenti dall’ordinamento comunitario, si può pensare che pur essendo
accordi internazionali, i Trattati europei siano, come gli altri comuni accor-
di altri internazionali, sovraordinati rispetto al legislatore ordinario, ma
che, in aggiunta, debbano godere, per la peculiarità del loro contenuto, di
un regime proprio e separato. Infatti, mentre le norme (interne che danno
esecuzione alle norme) pattizie debbono essere conformi a Costituzione e
possono essere utilizzate come parametro interposto solo previo accerta-
mento di tale loro conformità – come la Corte ha sostenuto a proposito del-
la CEDU – questa conformità invece non è richiesta per le norme comuni-
tarie (nelle rare ipotesi in cui possono fungere da parametro di costituzio-
nalità interposto) entro i confini dei “controlimiti”. Simile conclusione è
praticabile sulla base però dell’apposito richiamo all’art. 11 Cost., essendo
l’art. 117, di per sé, inidoneo a consentire alle fonti comunitarie questa (am-
pia ma limitata) capacità derogatoria della Costituzione. Così ragionando
però si finisce per riconoscere che in sostanza il comma 1 dell’art. 117 non
costituisce altro che una mera conferma del regime già risultante dall’art.
11 e non ha valore autonomo, perché la questione se l’impatto del diritto
comunitario sul diritto interno possa anche assumere valore derogatorio
della normativa costituzionale non è questione che possa essere risolta in
base all’art. 117, ma esclusivamente in base al significato da attribuire alle
limitazioni di sovranità di cui all’art. 11 e alle concrete ipotesi da ricom-
prendervi.
Altrettanto dubbio resta poi che la nuova disposizione – dato che non
ha l’effetto di costituzionalizzare le norme interne di esecuzione dei Trattati
– valga a chiarire il delicato problema, ovviamente diverso da quello che si
pone nel confronto con le leggi nazionali ordinarie – della capacità deroga-
toria nei confronti delle norme costituzionali – diverse dai contro limiti –
da parte del diritto comunitario derivato; punto, questo, sul quale la Corte
Costituzionale ha tenuto un atteggiamento altalenante. In un primo caso ha
riconosciuto tale capacità non solo ad atti normativi immediatamente ap-
plicabili nei confronti delle norme costituzionali distributive delle compe-
tenze tra Stato e Regioni (sent. n. 399 del 1987), ma anche, successivamen-
te, ad atti normativi privi di efficacia diretta (sent. n. 126 del 1996), e in un
caso perfino ad un atto non normativo della Comunità (sent. n. 93 del
14 ADELE ANZON DEMMIG

1997). Queste decisioni però sono rimaste sostanzialmente isolate ( 30 ), anzi


sono state smentite dalla sentenza n. 425 del 1999, la quale ha espressamen-
te dichiarato che “l’esistenza di una normativa comunitaria [nel caso parti-
colare: una direttiva] comportante obblighi di attuazione nazionali non de-
termina di per sé, alcuna alterazione dell’ordine normale delle competenze
statali, regionali o provinciali, conformemente al principio che l’ordina-
mento comunitario è, in linea di massima indifferente alle caratteristiche
costituzionali (accentrate, decentrate, regionali o federali degli Stati mem-
bri...”.
In conclusione, l’apporto innovativo dell’art. 117, comma 1 Cost. per i
rapporti comunitari resta, eventualmente, ancora da chiarire ( 31 ).

6. – Il rinvio pregiudiziale nei giudizi comuni e nei giudizi di legittimità costi-


tuzionale
La Corte ha in modo crescente, e in questi ultimi tempi con particola-
re insistenza, sollecitato i giudici comuni a percorrere la via del rinvio pre-
giudiziale alla Corte di Giustizia, e ciò anche nel caso in cui i dubbi inter-
pretativi concernano sentenze della medesima di cui essi debbano fare im-
mediata applicazione ( 32 ).
Com’è noto invece, la stessa Corte ha sempre nutrito una diffidenza
accentuata circa la possibilità di avvalersi essa stessa di questo strumento
nei casi in cui le norme comunitarie venivano in rilievo nei suoi giudizi. Ta-
le diffidenza è culminata nel rifiuto, manifestato in termini particolarmente
drastici dalla sentenza n. 536 del 1995 – dopo una chiara apertura in senso
contrario (sentenza n. 168/91) – di essere tenuta al rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234 TCE (ora art. 267 TFUE). La ragio-
ne era indicata nel fatto che, esercitando una funzione di controllo costitu-
zionale, la Corte non poteva essere ricompresa tra le “giurisdizioni naziona-

( 30 ) Per una critica a queste decisioni v. A. Anzon, Le Regioni in balìa del diritto comuni-
tario?, in Giur. cost., 1996, 1062 ss.
( 31 ) Concorda sullo scarso valore innovativo della disposizione in esame anche A. Pace, La
sentenza Granital, 29 ss., il quale ne individua una incidenza innovativa nel caso della mancata at-
tuazione delle direttive self executing nei rapporti orizzontali. Secondo V. Onida, “Armonia tra
diversi”, cit., 552, uno spazio di operatività autonoma alla disposizione in discussione residuereb-
be nell’ipotesi in cui la conformità a norme comunitarie fosse imposto come criterio direttivo di
una legge delega, e dunque nel caso di una violazione indiretta dell’art. 76 Cost. V. pure le diverse
e più ampie considerazioni formulate di recente da G. Serges, Vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario ai sensi dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in AA.VV., Profili attuali e prospet-
tive di diritto costituzionale europeo, cit.
( 32 ) V. sent. n. 284 del 2007.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 15

li” di cui al citato articolo del Trattato ( 33 ). In tal modo essa otteneva il ri-
sultato di sottrarsi preventivamente all’effetto vincolante di eventuali pro-
nunzie pregiudiziali della Corte di Giustizia, ogni volta che atti normativi
comunitari dovessero essere utilizzati nei suoi giudizi come integrazione
del parametro di legittimità costituzionale, ovvero, nei casi particolari ri-
cordati, come oggetto attraverso le leggi nazionali.
Se gli sviluppi giurisprudenziali nel senso dell’ampliamento del potere
di intervento della Corte Costituzionale su questioni coinvolgenti il diritto
europeo hanno trovato un complessivo, anche se non unanime apprezza-
mento da parte degli studiosi – che ne criticavano il precedente estrania-
mento rispetto al processo di integrazione – viceversa questo ultimo passo
della sua giurisprudenza – che poteva leggersi, anch’esso, come un ulteriore
sintomo dell’atteggiamento della Corte volto a riconquistare una posizione
di maggiore indipendenza nella dinamica dei rapporti comunitari ( 34 ) – è
stato invece oggetto di molteplici critiche contestandosi alla Corte sia la tesi
di non essere una “giurisdizione nazionale” – in contraddizione con l’am-
missione della sua legittimazione a sollevare davanti a se stessa questioni di
legittimità costituzionale – sia e soprattutto il disconoscimento, nella so-
stanza, alla Corte di Giustizia dei compiti di governo del diritto comunita-
rio suscettibili di incidere sulle competenze di garanzia della Costituzione
nazionale ( 35 ).
Il rifiuto del rinvio veniva poi criticato con particolare asprezza in ri-
ferimento ai giudizi di legittimità costituzionale in via principale, in cui la
Corte è il giudice unico della controversia e deve risolvere il proprio giudi-
zio utilizzando la norma comunitaria come parametro interposto ( 36 ).
Abbiano o meno tali critiche contribuito a sollecitarne una nuova ri-
flessione sul punto, la Corte ha cambiato, anche se parzialmente, nuova-
mente avviso con l’ordinanza n. 103 del 2008: nella quale, premesso il di-
verso modo di operare delle norme comunitarie ad effetto diretto nei giu-
dizi comuni e in quello di legittimità costituzionale in via principale, precisa
che in questo secondo caso, quando il giudizio, come nel caso di specie,

( 33 ) Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte sul punto cfr. G. Amoroso, La giuri-
sprudenza costituzionale nell’anno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunitario e ordina-
mento nazionale: verso una “quarta” fase?, in Foro it., 1996, V, 73 ss.; T. Groppi, Corte costituzio-
nale e art. 177 del Trattato CE, in Gazz. giur., n. 4/1996, 5 ss., nonché, più di recente R. Caponi,
Corti europee, cit., 133 ss. V. pure ord. n. 319/96.
( 34 ) Cfr. A. Anzon, I tribunali costituzionali, cit.
( 35 ) Per queste critiche e per l’auspicio di una svolta nel senso poi realizzato dall’ord. n.
108 del 2008 cfr. per tutti A. Pace, La sentenza Granital, cit., 427 ss.
( 36 ) Per un’analisi dello stato del problema in relazione all’adozione dell’ordinanza n. 103
del 2008, cfr. L. Pesole, La Corte costituzionale ricorre per la prima volta al rinvio pregiudiziale.
Spunti di riflessione, in www.federalismi.it, n. 2009.
16 ADELE ANZON DEMMIG

pende davanti alla Corte costituzionale a séguito di ricorso proposto in via


principale dallo Stato e ha ad oggetto la legittimità costituzionale di una
norma regionale per incompatibilità con le norme comunitarie, queste ulti-
me «fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la va-
lutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo com-
ma, Cost.» (sentenze n. 129 del 2006; n. 406 del 2005; n. 166 e n. 7 del
2004) o, più precisamente, rendono concretamente operativo il parametro
costituito dall’art. 117, primo comma, Cost. (come chiarito, in generale,
dalla sentenza n. 348 del 2007), con conseguente declaratoria di illegittimi-
tà costituzionale della norma regionale giudicata incompatibile con tali
“norme comunitarie”.
Affrontando infine il nodo della sussistenza delle condizioni per solle-
vare la questione pregiudiziale ex art. 234 TCE (ora art. 267 TFUE) circa
l’interpretazione della norma comunitaria integrativa del parametro di co-
stituzionalità, rovescia la precedente presa di posizione, affermando che:
“la Corte costituzionale, pur nella sua peculiare posizione di supremo orga-
no di garanzia costituzionale nell’ordinamento interno, costituisce una giu-
risdizione nazionale ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato CE
e, in particolare, una giurisdizione di unica istanza (in quanto contro le sue
decisioni – per il disposto dell’ art. 137, terzo comma, Cost. – non è ammes-
sa alcuna impugnazione); che essa, pertanto, nei giudizi di legittimità costi-
tuzionale promossi in via principale è legittimata a proporre questione pre-
giudiziale davanti alla Corte di giustizia CE; che, in tali giudizi di legittimità
costituzionale, a differenza di quelli promossi in via incidentale, la Corte
costituzionale è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia
e, conseguentemente, ove non fosse possibile effettuare il rinvio pregiudi-
ziale, risulterebbe leso il generale interesse alla uniforme applicazione del
diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di giustizia CE.
Quindi il distacco anche rilevante dalla precedente posizione di chiu-
sura c’è stato indubbiamente. Tuttavia, come è stato sottolineato ( 37 ), si
tratta di un distacco per il momento accuratamente limitato alla ipotesi del
giudizio principale di legittimità costituzionale, mentre per il resto sembra
riaffermata, sia pure implicitamente, l’incombenza al solo giudice comune
dell’obbligo di effettuare il rinvio ( 38 ).
Naturalmente pur con questi limiti, il passo della Corte non va sotto-
valutato, soprattutto per avere eliminato l’ostacolo rappresentato dal pre-
cedente diniego della sua qualità di “giurisdizione nazionale” ai sensi dello

( 37 ) Cfr. S. Bartole, Pregiudiziale comunitaria e integrazione tra ordinamenti, in Le Regio-


ni, 2008, 898 ss.
( 38 ) Su questa duplice impostazione cfr., anche per riferimenti ulteriori, L. Pesole, op. cit.,
132.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 17

stesso art. 234 TCE (ora art. 267 TFUE). Questa eliminazione è dovuta an-
che e principalmente ad un cambio di prospettiva ( 39 ) e cioè alla scelta di te-
nere conto a questo scopo non tanto e non solo delle indicazioni ricavabili dal
diritto interno, quanto piuttosto di quelle derivanti dalla giurisprudenza co-
munitaria. Come tale detta scelta costituisce un apprezzabile segno di atten-
zione all’esperienza comunitaria e, insieme, il presupposto essenziale per spin-
gere, eventualmente, in futuro la disponibilità della Corte ad un maggiore dia-
logo per questa via con la Corte di Giustizia anche in occasioni diverse da quel-
la offerta dal giudizio principale ( 40 ), dialogo che resta certo auspicabile, ma
– naturalmente – a condizione che pari disponibilità sia mostrata dal giudice
europeo, che per la verità non sempre ha tenuto un atteggiamento partico-
larmente proclive al dialogo con le Corti nazionali.

7. – Segnali contraddittori di “aggiustamento” della concezione dualista dei


rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento dell’Unione

Pur insistendo e più diffusamente argomentando sul punto specifico


dell’effetto diretto, e manifestando svariati segni di attenzione all’ordina-
mento comunitario, la Corte tuttavia non è più esplicitamente tornata ex
professo sulla concezione dei rapporti tra ordinamento nazionale e ordina-
mento comunitario come ai tempi delle sentenze nn. 183 del 1973 e 170 del
1984 ( 41 ) – e come ha fatto il Bundesverfassungsgericht specie nelle sentenze
Maastricht e Lisbona di cui si dirà più avanti – ma ha mantenuto la propria
impostazione dualista, limitandosi ad accennare nel corso del tempo a qual-
che vago tentativo di attenuarne la rigidità. Tanto potrebbero dimostrare i
prudenti slittamenti delle formule definitorie di tali rapporti, qualificati
prima come “autonomi e distinti”, ancorché coordinati (sentt. 98 del 1965,
170 del 1984), poi come “coordinati e comunicanti” (sent. 389 del 1989,
443 del 1997); più di recente la sentenza n. 348 del 2007 ha parlato della
“incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano” in un sistema più va-
sto, mentre l’ordinanza n. 103 del 2008 ha descritto l’ordinamento comuni-
tario come “un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato
con quello interno”. Si è giunti così all’uso dell’aggettivo “integrato” per
qualificare la posizione dell’ordinamento comunitario rispetto a quello na-

( 39 ) Così L. Pesole, op. cit., 10.


( 40 ) V. in tal senso gli auspici di L. Pesole, op. cit., 14 s.
( 41 ) Il tema come si sa ha prodotto una letteratura cospicua e di vario orientamento. Cfr,
per tutti, anche per indicazioni ulteriori, F. Sorrentino, L’influenza del diritto comunitario sulla
costituzione italiana, cit., 1635 ss.; A. La Pergola, Costituzione e integrazione, cit., F. Salmoni,
La Corte costituzionale, la Corte di giustizia delle Comunità europee e la tutela dei diritti fondamen-
tali, in AA.VV., La Corte costituzionale e le Corti d’Europa, Torino, 2003, 199 ss.
18 ADELE ANZON DEMMIG

zionale – che è il medesimo usato dalla Corte di Giustizia nella famosa sen-
tenza Costa/Enel del 15 luglio 1964 – uso che era atteso da molti studiosi
contrari all’impostazione dualista di tali rapporti. Un sia pure limitato indi-
zio in questa direzione potrebbe essere offerto anche dalla stessa proposi-
zione del rinvio pregiudiziale con l’ordinanza n. 103 del 2008, pur se non
sarebbe lecito sopravvalutarne il significato ( 42 ).
Non si può certo pensare che la Corte sia avviata con ciò a sposare la
concezione monista e gerarchica dei rapporti tra ordinamenti professata
dalla Corte di Giustizia. Non si può seriamente pretendere che, come ga-
rante della Costituzione, rinneghi la sovranità della Repubblica italiana e ri-
nunci a difenderne i principi e diritti fondamentali che ne rappresentano
l’identità ( 43 ). Su questo punto è ovviamente attestata con forza anche la
giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale tedesco, come si vedrà
più avanti.
Si può però ragionevolmente auspicare che le indicazioni nel senso il-
lustrato preludano ad una concezione decisamente più aperta di detti rap-
porti. Francamente, però è difficile fare pronostici di questo tipo, anche in
considerazione di segnali in direzione opposta che vengono da una decisio-
ne più recente.
Si tratta della sentenza n. 125 del 2009 che fa un’applicazione partico-
larmente rigida della concezione dualista laddove nega la possibilità di co-
struire un “combinato disposto” tra una disposizione di legge nazionale e
una disposizione di un regolamento comunitario dotato di efficacia diretta,
ritenendola “un’interpolazione... viziata sul piano giuridico”, essenzial-
mente perché “si risolve nella fusione di due norme... destinate invece a re-
stare distinte, in quanto appartenenti ad ordinamenti diversi, pur se coor-
dinati, e che non sono suscettibili di essere lette in combinazione appunto
perché tra loro contrastanti”.
Non risulta chiaro se il combinato disposto non è considerato pratica-
bile perché si tratta di fonti di diversi ordinamenti oppure perché si tratta
di norme contrastanti. L’insistenza della pronunzia sulla distinzione tra or-
dinamenti e sul carattere “esterno” delle fonti comunitarie comunque fa
pensare che siano proprio queste le ragioni su cui si appoggia il diniego del
combinato disposto che, altrimenti, una volta ammessa l’efficacia diretta

( 42 ) Così S. Bartole, Pregiudiziale comunitaria, cit.


( 43 ) Sul punto v. invece le considerazioni di G. Tesauro, Sovranità degli Stati e integrazio-
ne comunitaria, cit. Secondo A. Pace, La sentenza “Granital”, cit., sostiene che i due ordinamenti
sarebbero ormai “indissolubilmente integrati” e si troverebbero in una posizione ineguale giacché
– pur negando che quello europeo possa considerarsi “superiore” o “generale” rispetto a quello
nazionale (pp. 2 s. e 6, nt. 14), il primo avrebbe, per una scelta politico-istituzionale sottesa al
Trattato CE, un’efficacia condizionante su quello nazionale (p. 15).
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 19

del diritto comunitario, e cioè la “nazionalizzazione” se non delle fonti, cer-


tamente delle norme da queste prodotte ( 44 ) sarebbe difficile giustificare.
Poiché lo spunto offerto dalla sentenza è alquanto incerto ed è bilan-
ciato dai diversi spunti offerti dalle pronunzie nn. 348 del 2007 e 103 del
2008, è decisamente prematuro e del tutto fuori luogo ricavarne un segnale
di una evoluzione in un senso o nell’altro della concezione della Corte.

8. – Prime conclusioni

Se l’analisi condotta finora è attendibile, la giurisprudenza costituzio-


nale italiana del periodo considerato, pur continuando spesso a rifuggire da
esplicite ed esaurienti prese di posizione, sembra nel complesso mostrare
un crescente avvicinamento al processo di integrazione europea, anche se
conserva sostanzialmente immutata la posizione scaturita dalle sentenze
Frontini del 1973 e Granital del 1984. Si tratta di un graduale incremento
dell’attenzione e del rilievo attribuito alla normativa comunitaria, e di una
maggiore apertura nei confronti dell’esperienza comunitaria, ma al con-
tempo, di una continua riaffermazione della propria funzione di presidio
ultimo dei principi e diritti fondamentali che costituiscono l’identità costi-
tuzionale della Repubblica italiana anche nei confronti di singoli atti di au-
torità comunitarie.

9. – L’impostazione comune delle sentenze “Maastricht” e “Lisbona” del Tri-


bunale costituzionale federale tedesco

Il Tribunale costituzionale federale tedesco ha seguito un percorso


che presenta molti punti di contatto, almeno nelle conclusioni, con quello
della Corte costituzionale italiana. A differenza di questa però ha avuto e
sfruttato l’occasione per enunciare e sviluppare in modo insieme assai ana-
litico e sistematico la propria concezione dei rapporti tra ordinamento na-
zionale e ordinamento comunitario e dell’Unione, esprimendo il proprio
punto di vista – con ampiezza a volte forse eccessiva di argomentazioni – su
presso che tutti gli aspetti problematici del fenomeno dell’Europa unita e
dei suoi riflessi nell’ordinamento tedesco.

( 44 ) In senso analogo mi sembra orientato L. Paladin, nel sottolineare questo tra gli aspet-
ti di integrazione tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, per cui però questa inte-
grazione non va oltre quella rappresentata dall’mmagine degli ordinamenti “coordinati e comu-
nicanti” della sent. n. 389 del 1989 (Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 426 ss.).
20 ADELE ANZON DEMMIG

Dopo i precedenti svolgimenti dedicati in particolare – come si accen-


nerà meglio più avanti – alla tutela dei diritti fondamentali nazionali rispet-
to al diritto comunitario, una riconsiderazione funditus dei problemi posti
dai Trattati comunitari è avvenuta con due importanti e notissime sentenze,
la prima in ordine al Trattato di Maastricht (datata 12 ottobre 1993), la se-
conda in relazione al Trattato di Lisbona (datata 30 giugno 2009).
Mettendo in evidenza l’ampiezza dell’impegno profuso dal Tribunale
rispetto al diverso atteggiamento della nostra Corte, occorre però prelimi-
narmente chiarire che questa diversità è imputabile anche a due elementi
essenziali di cui solo il primo può giovarsi: il particolare mezzo della Verfas-
sungsbeschwerde, e cioè del ricorso individuale diretto di costituzionalità,
che ha consentito di esaminare a tutto campo i Trattati – attraverso la ri-
spettiva legge di autorizzazione – in relazione al diritto di partecipazione
politica ex art. 38 LF e dunque al principio democratico; in secondo luogo,
l’art. 23 LF, il c.d. Europa Artikel, che non solo espressamente autorizza la
partecipazione tedesca al processo di costruzione dell’Europa unita e disci-
plina le modalità di trasferimento all’Unione di poteri sovrani, ma assogget-
ta tale partecipazione alla condizione che l’Unione sia effettivamente im-
prontata a particolari principi, espressamente elencati. Tutto ciò intuitiva-
mente apre al Tribunale costituzionale uno spazio di elaborazione ben di-
verso da quello delle fin troppo stringate disposizioni costituzionali del
sistema italiano.
Non è certo possibile in questa sede esaminare separatamente le due
decisioni ( 45 ). Poiché però esse nella sostanza sono ampiamente sovrappo-
nibili, illustrerò sinteticamente l’orientamento che ne risulta, evidenziando-
ne ove occorra gli aspetti divergenti.
Questo orientamento costituisce uno sviluppo coerente di precedenti pre-
se di posizione. Partendo dunque anch’esso dal postulato dell’autonomia del-
l’ordinamento comunitario rispetto a quelli nazionali ( 46 ), il Tribunale costi-
tuzionale tedesco aveva dichiarato ( 47 ) che fondamento della vigenza del di-
ritto comunitario nell’ordinamento tedesco è la legge di autorizzazione alla
ratifica dei Trattati e che, in particolare, la immediata applicabilità e la pre-
valenza di tale diritto in sede di applicazione (Anwendugsvorrang) da parte
dei giudici nazionali (e delle altre autorità pubbliche) in caso di conflitto con
norme nazionali incompatibili (prevalenza a suo avviso disposta implicitamen-

( 45 ) Per un esame siffatto, anche per ulteriori riferimenti sia consentito rinviare ad A. An-
zon, I Tribunali costituzionali nell’era di Maastricht, cit., 103 ss. e Id., Principio democratico e con-
trollo di costituzionalità sull’integrazione europea nella “sentenza Lissabon” del Tribunale costitu-
zionale federale tedesco, in Giur. cost., 2009.
( 46 ) Cfr. BverfGE 22, 293 (296 ss.)
( 47 ) Cfr. spec. BverfGE 73, 339 (374 ss.), del 1986 (c.d. sentenza Solange II).
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 21

te dal TCE e penetrata mediante l’ordine di esecuzione contenuto nella re-


lativa Zustimmungsgesetzt) trovano la loro legittimazione ultima in disposi-
zioni costituzionali (prima nell’art. 24, ora nell’apposito art. 23) che consen-
tono il conferimento di poteri sovrani ad istituzioni internazionali (o, rispet-
tivamente all’Europa unita). Lo stesso Tribunale aveva anche precisato ( 48 )
che, tuttavia, le stesse disposizioni costituzionali non consentono la prevalen-
za illimitata del diritto comunitario, ma fanno salva l’identità dell’ordinamen-
to costituzionale vigente nella Repubblica federale di Germania quale risul-
ta dai suoi principi costitutivi fondamentali, tra i quali quelli che innervano
la garanzia costituzionale dei diritti fondamentali.
La complessiva impostazione delle sentenze Maastricht e Lisbona si
può riassumere – con riferimento qui alla pronunzia più recente, salvo pre-
cisazioni, nel modo seguente.
Innanzi tutto, la verifica dell’esistenza dell’eventuale lesione da parte del-
le rispettive Zustimmungsgesetze del diritto di voto comporta anche la con-
siderazione del principio democratico, espressamente menzionato in più luo-
ghi nella Legge Fondamentale, che ne offre il contenuto intangibile ( 49 ).
Applicato al settore della partecipazione della Germania al processo
di formazione dell’Unione Europea, il diritto degli elettori alla partecipa-
zione politica si traduce nella necessità che la creazione dell’Unione e il tra-
sferimento di poteri all’Unione trovino la loro base in atti di volontà ricon-
ducibili al Parlamento e dunque al popolo tedesco.
Così argomentando, il Tribunale riconduce al principio democratico la
necessità che l’Unione possa essere destinataria solo delle competenze che le
sono puntualmente e tassativamente trasferite sulla base di apposite manife-
stazioni di volontà del parlamento nazionale ( 50 ). Di qui l’ulteriore e signifi-
cativa conclusione ( 51 ) che il principio-base regolatore delle funzioni dell’Unio-

( 48 ) Si tratta ancora della sentenza da ultimo citata, 375 ss.


( 49 ) Nelle due sentenze con formule quasi identiche si sottolinea che il diritto di voto non
consiste solo nella facoltà di azionare il meccanismo delle elezioni, ma che riceve un contenuto so-
stanziale dal principio democratico, configura il diritto stesso come pretesa individuale alla par-
tecipazione politica, e cioè alla partecipazione effettiva degli elettori alla determinazione delle
scelte politiche, attraverso le quali il popolo non solo conferisce un fondamento di legittimazione
ai poteri pubblici, ma ne condiziona in via permanente l’esercizio.
( 50 ) V. già la sentenza Maastricht, sub C, I, 3, 692 ss., che testualmente afferma: “L’art. 38 L
F è violato se una legge che apre l’ordinamento giuridico tedesco all’immediata efficacia ed appli-
cazione del diritto delle Comunità europee (sovranazionali) non determina in modo sufficiente-
mente certo i poteri trasferiti e il programma di integrazione progettato. ... Se non è chiaro in qua-
le ambito e misura il legislatore tedesco ha approvato il trasferimento di poteri sovrani, si rende
possibile l’esercizio, da parte della Comunità europee, di compiti e funzioni non nominati. Ciò
equivarrebbe a presupporre una clausola generale di attribuzione di competenza e configurereb-
be un’alienazione incompatibile con l’art. 38 L F.
( 51 ) V. § 234.
22 ADELE ANZON DEMMIG

ne – e cioè il principio di attribuzione – ha autonomo fondamento nel diritto


costituzionale tedesco, e non solo nelle disposizioni dei Trattati europei. In
tal modo – si badi bene – questo canone di distribuzione delle competenze
viene “nazionalizzato” e “costituzionalizzato”, il che apre la via ad ulteriori
sviluppi, in particolare, come si vedrà, in relazione alla configurazione di un
controllo sul suo rispetto da parte del Tribunale costituzionale federale.
Sulla base di queste premesse, entrambe le sentenze escludono che i
rispettivi Trattati ledano il diritto di partecipazione libera ed eguale del cit-
tadino perché il popolo tedesco – attraverso il Bundestag ed eventualmente
il Bundesrat – conserva il potere di governare i trasferimenti di poteri sovra-
ni all’UE e mantiene, per le competenze rimaste al Parlamento nazionale,
sufficiente spazio di azione politica.
Secondo il Tribunale poi – e questo aspetto è sviluppato con partico-
lare ampiezza nella sentenza “Lisbona” – al principio democratico va ri-
condotto anche il potere costituente e quindi anche i limiti invalicabili che
esso ha espressamente posto alla revisione della legge Fondamentale nella
c.d.”clausola di eternità” dell’art. 79, comma 3, recante i principi basilari di
struttura dello Stato tedesco (democrazia, Stato di diritto, Stato sociale e fe-
derale, la Repubblica, la sostanza dei diritti fondamentali a salvaguardia
della dignità umana). Questi supremi principi – argomenta il Tribunale –
proprio perché immodificabili e limite invalicabile ad ogni futuro sviluppo
dell’ordinamento, costituiscono “l’identità dell’ordine costituzionale libe-
rale”. La “clausola di eternità” è dunque ad un tempo la “clausola di iden-
tità” della Costituzione tedesca, con la quale la Legge Fondamentale “non
solo presuppone, ma garantisce la sovranità dello Stato tedesco” ( 52 ). La
clausola stessa resta intangibile anche nel processo di integrazione euro-
pea ( 53 ). Nella sua “apertura all’Europa” (Europafreundlichkeit) la Costitu-
zione tedesca autorizza la Germania a partecipare all’Europa Unita ( 54 ), ma
simile apertura – che implica un vero “compito costituzionale” (Verfassun-
gsauftrag) da perseguire ( 55 ) – non implica però né autorizza la soggezione
ad un potere esterno illimitato, né la rinuncia alla identità costituzionale e

( 52 ) Cfr. § 216.
( 53 ) Cfr. §§ 219-221.
( 54 ) Questa Europafreundlichkeit è espressa testualmente nel Preambolo e nell’art. 23,
comma 1 L F. Il Preambolo si apre proclamando “Conscio della propria responsabilità dinanzi a
Dio e agli uomini, animato dalla volontà di porsi al servizio della pace nel mondo come membro,
a parità di diritti, di un’Europa Unità, il popolo tedesco si è data, in forza del proprio potere co-
stituente, questa Legge Fondamentale”.
( 55 ) Cfr. § 225. Per la lettura dell’art. 23 come norma non solo facoltizzante ma come “nor-
ma programmatica” (Staatszielbestimmung), che determina un vero e proprio dovere di provve-
dere cfr. tra gli altri F. Mayer, Nationale Regierungsstrukturen und europaeische Integration, in
Europaeische Grundrechte Zeitung, 2002, 114 ss.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 23

alla qualità di Stato sovrano della Germania e l’ingresso in uno Stato fede-
rale europeo ( 56 ). La Legge Fondamentale, del resto, nel prefigurare il fine
della partecipazione tedesca all’Europa unita, allude solo ad un ordinamen-
to cooperativo impegnato alla realizzazione della pace, ma non ne indica,
come meta finale, una precisa forma di organizzazione politica ( 57 ). Essa
dunque è chiara nel configurare l’Unione non come un’entità superiore, ma
come il frutto di un vincolo reciproco e liberamente assunto tra eguali, e
cioè tra Stati che condividono i valori di libertà, eguaglianza e dignità del-
l’uomo ( 58 ). L’Europa alla quale allude l’art. 23 LF dunque rimane uno
Staatenverbund ( 59 ), destinatario di poteri trasferiti secondo il principio di
attribuzione. Questo Verbund rappresenta l’unione stretta e durevole di
Stati che rimangono sovrani, esercita poteri pubblici sulla base di trattati,
ha un ordinamento che rimane nella disponibilità dei soli Stati membri ed è
legittimato soltanto dai popoli – e cioè dai cittadini – degli Stati ( 60 ).
In particolare, nel processo di integrazione europea, l’intangibilità del-
l’identità costituzionale implica il divieto alla Germania di trasferire all’Unio-
ne poteri non individuabili e di rilasciarle autorizzazioni in bianco all’eserci-
zio di poteri pubblici: ciò infatti, risolvendosi nell’attribuzione all’Unione del-
la Kompetenz-Kompetenz, infrangerebbe il principio democratico che impo-
ne che ogni decisione politica sia riconducibile alla volontà del popolo (espressa
direttamente o in via mediata dal Parlamento nazionale) e, contemporanea-
mente, sacrificherebbe la sovranità dello Stato tedesco ( 61 ).

( 56 ) Cfr. §§ 228, 234, 298.


( 57 ) Cfr. § 227.
( 58 ) Cfr. §§ 219-222.
( 59 ) Per questa impostazione e per la significativa introduzione di questo nuovo termine
cfr. la sentenza Maastricht, sub C, II, 693 ss. Sul punto cfr. F. Sorrentino, Ai limiti dell’integra-
zione europea: primato delle fonti o delle istituzioni comunitarie?, in Pol. Dir., 1994, 189 ss. Sulla
riproposizione del medesimo modello nella sentenza attuale Cfr. L. Cassetti, Il “si,ma” del Tri-
bunale costituzionale federale tedesco sulla ratifica del Trattato di lisbona tra passato e futuro del-
l’integrazione europea, in www.federalismi.it, n. 14/2009, 188 che sottolinea la valorizzazione a ta-
le fine, da parte di quest’ultima, delle regole a più forte caratterizzazione internazionalistica del
nuovo Trattato, tra cui soprattutto il diritto di recesso.
( 60 ) La Costituzione tedesca quindi, sempre a tenore della sentenza Lisbona, nel ricono-
scere e garantire la sovranità dello Stato tedesco non intende più, come risulta chiaro già dal
preambolo, la sovranità nel senso rigido e tradizionale di potere supremo, autosufficiente e auto-
legittimato, che nei rapporti internazionali resta libero di ricorrere alla guerra anche di aggressio-
ne. Infatti la stessa Legge impone come fini preminenti alla Repubblica Federale la garanzia della
pace e il superamento dell’antagonismo distruttivo tra gli Stati Europei, dimostrando così di in-
tendere la sovranità dello Stato tedesco come “uno spazio pacificato e un ordinamento fondato
sulla libertà individuale e sulla autodeterminazione collettiva. Lo Stato non è un mito né un fine in
se stesso, ma la forma organizzativa – cresciuta nella storia e universalmente riconosciuta – di una
comunità politica attiva”. Cfr. § 228, 231; sentenza Maastricht, loc. ult. cit.
( 61 ) Cfr. § 236. V. già la sentenza Maastricht, sub C, I, 3, 692.
24 ADELE ANZON DEMMIG

Tuttavia, come ogni organizzazione internazionale o sovranazionale – pro-


segue il Tribunale – anche l’Unione tende naturalmente a svilupparsi auto-
nomamente e ad accrescere la propria forza politica ( 62 ): nel caso specifico,
ciò avviene sia perché il programma di integrazione, per quanto basato sul prin-
cipio di attribuzione, non può essere predeterminato analiticamente in ogni
singolo punto, sia perché si è sviluppata e consolidata la tendenza alla preser-
vazione dell’acquis communautaire e ad una interpretazione estensiva delle com-
petenze dell’Unione secondo la regola nord-americana dei “poteri impliciti”
e la regola internazionalistica dell’effet utile. Simile consolidamento e raffor-
zamento dell’Unione è conforme al compito di integrazione voluto dalla Co-
stituzione tedesca ( 63 ), ma non può restare senza limiti.
Quando la normativa dei Trattati reca clausole attributive di competen-
za indeterminate o suscettibili di “sviluppo dinamico” (dynamische Forten-
twicklung); quando gli organi europei, esorbitando dalla mera interpretazio-
ne estensiva o dall’“arrotondamento” dei Trattati, si auto-attribuiscono com-
petenze nuove, si presenta il pericolo che il programma di integrazione fuo-
riesca dai confini fissati dalla Legge Fondamentale tedesca e che la Germania
si trovi privata del suo potere di disporre delle proprie competenze ( 64 ).
Pertanto la Costituzione impone agli organi tedeschi competenti – sui
quali tutti incombe la “responsabilità per l’integrazione” (Integrationsve-
rantwortung) – di adoperarsi per assicurare che sia rispettato il principio di
attribuzione nell’ordine delle competenze dell’Unione e che non le risulti
trasferita la Kompetenz-Kompetenz, per salvaguardare così l’identità costi-
tuzionale tedesca.
Questo compito di fare rispettare i limiti costituzionali all’integrazio-
ne spetta innanzi tutto al legislatore tedesco che, secondo l’art. 23 LF, deve
intervenire sia per disporre (con la legge di ratifica) specifici trasferimenti
di funzioni, sia – nei casi-limite in cui simili trasferimenti, pur non esplici-
tamente previsti, sono resi possibili da particolari norme dei Trattati – per
apprestare (con leggi di accompagnamento) appositi ed efficaci meccani-
smi di partecipazione del Parlamento nazionale alla formazione della vo-
lontà europea ( 65 ).

( 62 ) Cfr. § 237.
( 63 ) Cfr. § 237.
( 64 ) § 238. Il concetto era già chiaro nella sentenza Maastricht, laddove affermava che gli
atti “di sconfinamento” delle istituzioni europee non potevano considerarsi vincolanti nella sfera
di sovranità dello Stato tedesco, essendo “costituzionalmente precluso” agli organi dello Stato te-
desco di darvi applicazione (sub C, I,3, 693), e successivamente dichiarava “L’attività interpreta-
tiva non può avere per effetto l’estensione del Trattato. In caso contrario essa non avrebbe alcun
effetto vincolante nei confronti della Germania” (sub C, II, 3, c), 708).
( 65 ) § 239.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 25

10. – Le riserve di controllo del Bundesverfassungsgericht

La sentenza giunge a questo punto ad uno dei passi più controversi e cri-
ticati. Dichiara infatti che la stessa responsabilità per l’integrazione e dunque
lo stesso compito di garanzia spetta anche – e continuerà a spettargli finché
lo Stato tedesco conserva la sua sovranità – al Tribunale costituzionale tede-
sco, il quale, a garanzia dei principi di base della Legge Fondamentale, deve
esercitare anche sugli atti di organi dell’Unione diversi tipi di controllo ( 66 ).
Il tema non è nuovo, ma qui appare sviluppato con una ampiezza par-
ticolare di analisi rispetto al passato, che contribuisce a dargli un risalto
speciale.
Si tratta innanzi tutto del controllo “ultra vires” ( 67 ), già prefigurato
sia pure implicitamente nella sentenza Maastricht, laddove dichiarava inap-
plicabili in Germania gli atti europei esorbitanti dalle funzioni attribui-
te ( 68 ). Oggi il Tribunale lo riconosce espressamente e ne precisa i presup-
posti, limitandolo ai casi di “evidenti sconfinamenti” (ersichtliche Grenzue-
berschreitungen) nell’esercizio delle competenze da parte dell’Unione, e di
inesistenza di “un rimedio giuridico a livello europeo”; in tale ipotesi il con-
trollo del Tribunale consiste nel verificare se gli atti dell’Unione, rispettan-
do il principio europeo di sussidiarietà, si siano mantenuti nei confini dei
poteri sovrani loro trasferiti secondo il principio di attribuzione.
In secondo luogo il Tribunale costituzionale deve esercitare un “control-
lo di identità” ( 69 ) e cioè un sindacato sul rispetto da parte degli atti dell’Unio-
ne del nucleo intangibile (unantastbare Kerngehalt) dell’identità costituzio-
nale tedesca. Questo tipo di controllo costituisce una novità rispetto alla sen-
tenza Maastricht, che si limitava a evidenziare come limite all’espansione del-
le competenze europee l’ identità nazionale ex art. F TUE-Maastricht, e ne
riconosceva il controllo da parte della Corte di Giustizia comunitaria.
Da considerare a parte è la situazione del controllo sulla garanzia dei
diritti fondamentali nell’azione europea. Anche ora, come già ritenuto nella
sentenza Maastricht, il Tribunale ribadisce l’impostazione della sentenza
Solange II, per cui esso si astiene dall’esercitare la propria competenza fino
a quando questi diritti trovino a livello europeo, e segnatamente a mezzo
della giurisprudenza della Corte di Giustizia, una protezione equivalente a
quella assicurata dalla Legge Fondamentale.
Tanto il controllo ultra vires quanto il controllo di identità – secondo
il Bundesverfassungsgericht – comportano, in caso di esito negativo, la di-

( 66 ) §§ 240-243; 331-343.
( 67 ) § 240.
( 68 ) Sub C, I, 3, 693 e 708. V. supra nt. 28.
( 69 ) Cfr. § 240.
26 ADELE ANZON DEMMIG

chiarazione di inapplicabilità in Germania dell’atto europeo. Poiché però


la non applicazione nel territorio tedesco di atti normativi europei può ave-
re effetti negativi sulla uniforme applicazione del diritto europeo in tutto il
territorio dell’Unione – e quindi sul complessivo funzionamento del suo or-
dinamento – la sentenza esige che, secondo una indispensabile un’interpre-
tazione “europafreundlich” dell’art. 100 L F, nell’ordinamento tedesco ogni
controllo resti affidato esclusivamente al Tribunale costituzionale federale.
Quanto alle vie attraverso le quali questo controllo può essere sollecitato, la
pronunzia auspica che sia introdotto dal legislatore un procedimento appo-
sito in aggiunta ai mezzi già esistenti ( 70 ), che consenta di assicurare l’adem-
pimento del dovere degli organi tedeschi nei singoli casi di lasciare inappli-
cati in Germania atti dell’Unione che esorbitano dalle competenze o ledo-
no l’identità costituzionale.
Il controllo da parte del Bundesverfassungsgericht – precisa poi la sen-
tenza – è radicato nella Legge Fondamentale e non contrasta con il fine del-
l’apertura al diritto internazionale, né con quello dell’apertura all’Europa, poi-
ché solo in via eccezionale, e sulla base di presupposti particolari e stretti può
condurre ad una dichiarazione di inapplicabilità in Germania di atti dell’Unio-
ne ( 71 ). Lo stesso controllo inoltre non contrasta con il principio di leale col-
laborazione sancito nel diritto europeo, dal momento che lo stesso Trattato
di Lisbona vincola espressamente il processo di integrazione al rispetto dei
principi politici e costituzionali basilari della sovranità nazionale considerati
come componenti dell’identità nazionale degli Stati membri. Pertanto si può
dire che “nello spazio europeo la protezione costituzionale e la protezione eu-
ropea dell’identità costituzionale procedono per mano” ( 72 ).
Infine, ma non per ultimo, la pronunzia sottolinea come la riserva di
controllo al Tribunale costituzionale non sia in contrasto neppure con il
principio del primato del diritto europeo ( 73 ), proclamato (non nel Trattato
di Lisbona ma) nella dichiarazione n. 17 allegata al Trattato, che recepisce
un orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Questo principio presuppone la diretta applicabilità del diritto europeo
nell’ambito degli Stati membri. Il tipo di documento europeo in cui tale
primato – che peraltro anche il Bundesverfassungsgericht ha già riconosciu-
to – è sancito non ha rilevanza, perché il fondamento e i limiti dell’efficacia
del diritto dell’Unione in Germania sono fissati dall’ordine di esecuzione
contenuto nella legge di ratifica, ordine di esecuzione che deve essere con-
forme al sistema costituzionale. Pertanto in Germania il primato del diritto

( 70 ) V. § 241.
( 71 ) § 340.
( 72 ) Cfr. § 240.
( 73 ) §§ 341-343.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 27

dell’Unione vale anch’esso in forza di tale ordine di esecuzione e si estende


solo fino al punto in cui la Repubblica Federale vi ha consentito e poteva
consentirvi. Resta fermo perciò – conclude la sentenza – che dal primato
del diritto europeo non può trarsi alcun argomento decisivo a favore di una
rinuncia della Germania, mediante il Trattato di Lisbona, alla propria qua-
lità di Stato sovrano e alla propria identità costituzionale.

11. – Il dibattito sui controlli di costituzionalità sugli atti dell’Unione

Gli strali della critica sono puntati su vari aspetti della sentenza “Li-
sbona”, quali principalmente la rivendicazione della sovranità degli Stati
membri dell’Unione, la concezione della democrazia come requisito strut-
turale di quest’ultima, il rafforzamento (sul fronte del diritto interno) dei
poteri di intervento del Parlamento nazionale ( 74 ).
Con particolare accanimento sono però contestate l’ampiezza e le ca-
ratteristiche della rivendicazione da parte del Tribunale costituzionale fe-
derale tedesco di poteri di controllo sugli atti dell’Unione (più precisamen-
te, sull’applicazione degli atti dell’Unione, secondo l’impostazione tedesca
che ha trovato eco anche nella sent. n. 454 del 2006 della Corte italiana) in
riferimento ai limiti che la Costituzione tedesca pone alla partecipazione
della Germania alla costruzione dell’Europa Unita, e di un conseguente po-
tere di dichiarare tali atti non applicabili in Germania.
In questo controllo si è visto non solo un attentato ad una competenza
che il Trattato riserva in esclusiva alla Corte di Giustizia europea, ma anche
una indebita pretesa del Tribunale alla “decisione di ultima istanza” (Let-
zentscheidung) sugli atti dell’Unione che metterebbe in pericolo l’unità del
diritto europeo ( 75 ).
Le polemiche riguardano sia il controllo ultra vires, sia il controllo di
identità ( 76 ) e sono particolarmente aspre. I toni accesi che il dibattito ha as-

( 74 ) Per una illustrazione delle critiche su tali punti v. A. Anzon Demmig, Principio demo-
cratico e controllo di costituzionalità sull’integrazione, cit., §§ 10 ss.
( 75 ) Per un’ampia analisi di questo ultimo problema cfr. soprattutto F. Mayer, Kompeten-
zueberschreitung und Letzentscheidung. Das Maastricht-Urteil des Bundesverfassungsgerichts und
die Letzerntscheidung ueber Ultra vires-Akte in Mehrebenensystemen, Berlin, 2000, 104 ss. Sul te-
ma v. pure, per tutti, nella vastissima letteratura sull’argomento, i saggi di G. Hirsch, Europäi-
scher Gerichtshof und Bundesverfassungsgericht – Kooperation oder Konfrontation?, Neue Juristi-
sche Wochenschrift (NJW), 1996, 2457 ss.; e soprattutto di D. Grimm, Europäischer Gerichtshof
und nationale Arbeitsgerichte aus verfassungsrechlicher Sicht, in Recht der Arbeit, 1996, 67 ss.
( 76 ) Su tale controllo insisteva – anticipando l’orientamento poi fatto proprio dalla senten-
za – U. Di Fabio, Das Bundesverfassungsgericht und die internationale Gerichtsbarkeit, in
AA.VV., Deutschland und die internazionale Gerichtsbarkeit (a cura di A. Zimmermann), Berlin,
28 ADELE ANZON DEMMIG

sunto in Germania trovano forse una qualche spiegazione nel clima di


preoccupazione suscitata da alcune pronunzie della Corte di Giustizia, co-
me il famoso “caso Mangold”, che, a dire di alcuni critici, avrebbero supe-
rato platealmente i limiti di una sia pur ampia interpretazione delle clausole
dei Trattati per attribuire all’Unione competenze nuove, prive di base nella
normativa pattizia. Questa preoccupazione è testimoniata soprattutto dal-
l’articolo fortemente polemico di R. Herzog e L. Gerken dal significativo ti-
tolo Fermate la Corte europea di Giustizia ( 77 ) che, citando numerosi esem-
pi, contesta alla Corte di avere superato in modo non più tollerabile i con-
fini della funzione giurisdizionale. L’articolo sia per il suo contenuto, sia
per l’autorevolezza dei suoi autori, ha suscitato una disputa assai vivace.
Viste in questa prospettiva, si possono allora meglio comprendere le
reazioni eccessive ai dicta della “sentenza Lissabon”, che ne hanno estre-
mizzato la portata: così è a dire innanzi tutto dell’appello dei trenta giuri-
sti ( 78 ), che – per prevenire inevitabili conflitti tra Tribunale costituzionale
tedesco e Corte di Giustizia per la decisione finale sul controllo ultra vires,
nonché per impedire che una eventuale divieto di applicazione dell’atto eu-
ropeo in esito a tale controllo innesti una procedura di infrazione contro la
Germania da parte della Commissione europea – invocano il ritorno al rap-
porto di collaborazione tra le due Corti, auspicato nella “sentenza Maastri-
cht”, e richiedono l’introduzione nell’ordinamento tedesco, con apposita
legge costituzionale, dell’obbligo per il Tribunale del rinvio pregiudiziale
alla Corte di Giustizia per l’interpretazione dell’atto europeo contestato, e
del conseguente obbligo di attenersi poi alla sua decisione.

2003, 111, ritenendo un sindacato sugli atti europei a tutela dell’identità costituzionale necessa-
riamente implicato dalla “responsabilità per l’integrazione” del Tribunale costituzionale, specie
in vista di una ulteriore espansione della giurisprudenza della Corte di Giustizia, allo scopo di cir-
coscrivere la forza politica degli organi dell’Unione e di vincolarli al rispetto reciproco a difesa
della libertà e dell’integrazione (117).
( 77 ) “Stoppt den Europaeischen Gerichthof”, in Frankfurter Allgemeine Zeitung 8.9.2008.
Particolarmente controverse sono anche la decisione (Grande camera, 10 febbraio, 2009) sulla di-
rettiva 24/2006 sugli archivi magnetici di dati personali e la nota sentenza “Francovich” sulla re-
sponsabilità dello Stato per omissioni legislative: cfr. J. Bergmann-U. Karpenstein, Identiaets-
und Ultra-vires-Kontrolle durch das BVerfG – zur Notwendigkeit einer gesetzlichen Vorlageverpfli-
chtung, in Zeitschrift fuer europaeische Studien n. 4/2009, i quali riferiscono (§ III) anche di atteg-
giamenti cautamente critici e premonitori manifestati dal Presidente e da giudici del Bundesver-
fassungsgericht in vari scritti sulla stampa quotidiana o riviste giuridiche.
( 78 ) Tra i quali figurano anche I. Pernice e F. Mayer, difensori della costituzionalità del
Trattato nel giudizio dinanzi al Bundesverfassungsgericht e autori delle tesi sulla Costituzione e
sulla sovranità “integrata dell’Europa di cui tratterò nei paragrafi successivi. L’appello si può leg-
gere in www.whi-berlin.de. Favorevoli all’impostazione dell’appello sono J. Bergmann-U. Kar-
penstein, Identiaets- und Ultra-vires-Kontrolle, cit. i quali ritengono (§ V) che l’obbligo di rinvio
pregiudiziale scaturisca non solo dal diritto europeo ma anche dall’atteggiamento europafreundli-
ch della Legge Fondamentale.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 29

Egualmente eccessiva appare poi l’opinione opposta, sviluppata in


una breve monografia da un gruppo di noti giuristi, che, a proposito di si-
mile eventuale conflitto, non solo vorrebbero, in astratto, riservare al Bun-
desverfassungsgericht la decisione di ultima istanza, ma spingono lo stesso
Tribunale ad esercitare in concreto il proprio controllo, dichiarando ultra
vires, e perciò “atto di sconfinamento” dalle sue competenze, la controver-
sa “sentenza Mangold” della Corte di Giustizia europea, accusandola di
avere assunto a fondamento un principio generale del diritto comunitario
inesistente e di avere in tal modo, esorbitando dai confini dell’interpreta-
zione, ecceduto dalla competenza giurisdizionale ad essa attribuita dal
Trattato per esercitare una funzione legislativa ad essa non demandata ( 79 ).
Ma, ad una riflessione più pacata, il controllo rivendicato dal Bunde-
sverfassungsgericht anche in ultima istanza, oltre a non costituire una asso-
luta novità rispetto alle sentenze Solange II e Maastricht ( 80 ), si presenta an-
che meno dirompente di quanto paventino i suoi critici ( 81 ), e meno facil-

( 79 ) Si tratta del divieto di discriminazione in base all’età, ritenuto all’epoca non ricavabile
né dalla normativa pattizia né dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Così già
R. Herzog-L. Gerken, op. cit., che prefigurano per primi la ipotesi accennata nel testo. Il saggio
di L. Gerken, V. Rieble, G.H. Roth, T. Stein, R. Streinz, “Mangold” als ausbrechender Recht-
sakt, Muenchen, 2009, trae spunto dal fatto che presso il Bundesverfassungsgericht pende un giu-
dizio promosso da un ricorso individuale (2 BvR 2661/06) della Honeywell Bremsbelag GmbH
contro la pronunzia del 26 aprile 2006 del Tribunale federale del lavoro che, facendo applicazio-
ne della sentenza della Corte di Giustizia, avrebbe leso il suo diritto alla libera scelta della profes-
sione e del posto di lavoro. Secondo gli Autori l’applicazione della sentenza europea in Germania
sarebbe illegittima perché, appunto, si tratterebbe di un “atto di sconfinamento”. La motivazione
di tale sconfinamento però lascia alquanto perplessi dal momento che resta altamente opinabile
che una interpretazione del diritto europeo non condivisa e perfino errata possa dirsi esorbitante
dalla funzione giurisdizionale e configurabile come vizio di incompetenza, né, tanto meno, come
di ipotesi di “evidente sconfinamento”. Gli autori non negano questa difficoltà, ma, ammettendo
che esiste una “zona grigia” tra interpretazione e creazione del diritto, risolvono un po’ semplici-
sticamente il problema, dicendo che poiché comunque una distinzione esiste, sarà il Tribunale
costituzionale a definirla con maggiore precisione. Data la estrema problematicità del punto cen-
trale della motivazione, mi sembra tutt’altro che prudente spingere il Bundesverfassungsgericht a
cogliere comunque l’occasione per prendere posizione su questa base contro la sentenza della
Corte di giustizia. Peraltro, occorre segnalare che nelle more della pubblicazione del presente
saggio, la Corte di Giustizia (Grande Camera, 19.1.2010, C-555/07) ha fondato il divieto di di-
scriminazione in base all’età nell’art. 21 della Carta europea dei diritti, ed ha perciò dichiarato an-
ticomunitaria e inapplicabile una disposizione del codice civile tedesco.
( 80 ) Cfr. F. Mayer, “Endgueltiges Scheitern des Lissabon-Vertrags moeglich”, nell’intervista
in www.EurActiv.de, 13 luglio 2009, il quale in proposito richiama sia le sentenze Solange I e II,
sia la sentenza Maastricht e sottolinea che tra le varie pronunzie esiste solo una crescente aggres-
sività nei toni.
( 81 ) V. per esempio, in Italia, il timore, espresso con toni eccessivamente enfatici, da M.
Chiti, Am deutschen volke. Prime note sulla sentenza, etc. in www.astridonline.it, 161, che per ef-
fetto della sentenza “I destini di un continente siano lasciati alle decisioni di una corte costituzio-
nale nazionale”.
30 ADELE ANZON DEMMIG

mente azionabile di quanto sembrano ritenere i suoi propugnatori, pur


conservando, indubbiamente, numerosi aspetti problematici.
Sia il controllo ultra vires sia il controllo di identità, a ben vedere, non
si potrebbero considerare senz’altro come una usurpazione della giurisdi-
zione della Corte di Giustizia almeno perché – secondo quanto dice lo stes-
so Tribunale tedesco – debbono essere condotti con riguardo a parametri
tratti dalla Costituzione tedesca, e non, come per la Corte di Giustizia, da
parametri ricavati dal diritto europeo.
Infatti, nell’iter argomentativo della sentenza in commento, come si è
riferito, sia il principio di attribuzione, sia l’identità nazionale – menzionati
nel Trattato – sono puntualmente ricondotti anche ad un proprio, separato
e autonomo fondamento nella Costituzione tedesca: il primo alla garanzia
del diritto di partecipazione politica spettante agli elettori tedeschi, il se-
condo alla c.d. clausola di identità.
Entrambi i tipi di controllo del Bundesverfassungsgericht sugli atti del-
l’Unione dunque si svolgerebbero in riferimento a parametri costituzionali
interni senza mettere in discussione, almeno in astratto, il controllo della
Corte di Giustizia in riferimento ai parametri propri del diritto europeo.
Si potrebbe poi anche aggiungere che l’interpretazione del Trattato
non è riservata in esclusiva alla Corte di Giustizia e che l’intervento del Tri-
bunale tedesco non ne intaccherebbe il monopolio del potere di caducazio-
ne erga omnes (Verwerfungsmonopol) dell’atto europeo, dal momento che
avrebbe il solo effetto, in caso di pronunzia negativa, della non applicazio-
ne dell’atto in Germania.
Nonostante la possibilità di ritenerne la compatibilità con il diritto co-
stituzionale interno, e con la normativa dei Trattati, non sarebbe lecito però
sottacere il rischio che l’esercizio concreto di questo sindacato provochi in-
convenienti, sovrapposizioni e conflitti con il controllo della Corte di Giusti-
zia. Infatti il Bundesverfassungsgericht pur non avendo, di regola ( 82 ), ad og-
getto del suo esame gli atti europei, ma gli atti nazionali di trasposizione o di

( 82 ) Dato il possibile effetto diretto di atti normativi dell’Unione e delle sentenze della
Corte di Giustizia, non potrebbe escludersi, ove ne ricorrano gli altri presupposti, la possibilità
dell’impugnazione di tali atti, come pure di decisioni diverse dotate di eguali effetti, mediante
Verfassungsbeschwerde per lesione di diritti fondamentali: è quanto sembra prefigurare La sen-
tenza Maastricht quando appunto afferma che simile lesione può derivare anche da un atto di “un
potere pubblico di una organizzazione sopranazionale” e che l’intervento del Bundesverfassung-
sgericht per la tutela di quei diritti in Germania non si rivolge soltanto contro gli organi dello Stato
tedesco. Cfr. sul punto AA.VV., Mangold als ausbrechender Rechtsakt, in www.cep.eu, 41 s. è stata
riconosciuta dal Bundesverfassungsgericht anche impugnabilità diretta di un atto dell’Ufficio Eu-
ropeo dei Brevetti – fuori quindi della sfera del diritto europeo – perché idoneo a ledere i diritti
costituzionali fondamentali (quarta Kammer del II Senato, 2 BvR 2368/99): cfr. U. Di Fabio, Das
Bundesverfassungsgericht und die internazionale Gerichtsbarkeit, cit., 115 s.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 31

applicazione di quelli, dovrebbe necessariamente estendere il suo giudizio agli


atti dell’Unione, poiché in essi giacerebbe la causa della incostituzionalità del-
l’atto nazionale (come nel caso delle sentenze Maastricht e Lisbona). Inoltre,
se pure il parametro di giudizio del Tribunale costituzionale è di diritto co-
stituzionale nazionale (per esempio il principio di attribuzione, come espres-
sione del principio democratico), il controllo ultra vires dovrebbe tenere ne-
cessariamente in considerazione la normativa “interposta” rappresentata dal
Trattato. Pertanto le due Corti agirebbero con riguardo ad oggetti e parame-
tri parzialmente coincidenti. A ciò si deve aggiungere che anche se il Bunde-
sverfassungsgericht non può annullare gli atti europei, il semplice e limitato
divieto di applicazione dell’atto in Germania potrebbe effettivamente nuo-
cere all’uniforme applicazione del diritto europeo nel territorio dell’Unione.
Per frizioni e conflitti del genere non è possibile neppure in Germa-
nia ( 83 ), allo stato attuale del diritto europeo e nazionale, rinvenire alcuna
soluzione predeterminata e sicura.
Tale non mi pare infatti quella che predica l’indiscriminata prevalenza
della giurisdizione e del giudicato europeo, sulla base del solo principio in-
ternazionalistico pacta sunt servanda e del presupposto implicito della so-
vranità o comunque della supremazia dell’Unione ( 84 ). Tralasciando il pro-
blema dell’accettabilità o meno di simile presupposto ( 85 ), osservo che
quand’anche si volesse ritenere detto principio “nazionalizzato” dalle clau-
sole costituzionali di “apertura” all’Europa e al diritto internazionale, esso
non potrebbe considerarsi sovraordinato rispetto ai principi raccolti nella
clausola di identità proclamata intangibile e, in particolare, del principio
democratico. L’osservanza dell’obbligo di fedeltà al patto non può essere
pretesa a prezzo della violazione di norme costituzionali intangibili. Quindi
il vincolo derivante dal principio pacta sunt servanda potrebbe eventual-
mente valere soltanto nell’ambito dei confini delle competenze attribuite,
come del resto lo stesso principio del primato del diritto comunitario e la
stessa giurisdizione della Corte di Giustizia.
Si può poi anche osservare che il richiamo a detto principio provereb-
be troppo, perché equivarrebbe a dire che qualunque trattato internaziona-
le – e non solo quello sull’Unione per via delle sue particolarità – dovrebbe
dirsi sovraordinato e prevalente sulla Costituzione nazionale.

( 83 ) V. la ricordata osservazione, per il caso italiano, formulata da V. Onida, “Armonia tra


diversi”, cit. 555.
( 84 ) Così F. Mayer, Endgueltiges Schreitern, cit., che fa leva sull’attribuzione di competen-
za alla Corte di Giustizia da parte (allora dell’art. 220 TCE ora) dell’art. 9 F TUE-Lisbona) di as-
sicurare “il rispetto del diritto nell’applicazione dei trattati”.
( 85 ) Sul quale si rinvia ancora una volta alle osservazioni di A. Anzon Demmig, Principio
democratico, cit., § 12.
32 ADELE ANZON DEMMIG

Per tale ragione, oltre che per l’inopportunità – su cui tornerò più avan-
ti – di irrigidire i rapporti tra le due giurisdizioni assegnando ad una di esse
una posizione di istituzionale prevalenza non mi sembra praticabile né auspi-
cabile la strada suggerita dall’appello dei trenta giuristi sopra ricordato.
L’incertezza di fronte a questa impasse può forse essere sdrammatizza-
ta da una più attenta considerazione dei termini del problema.
Si può constatare così che il controllo ultra vires – che appare il più te-
mibile dagli “euro-entusiasti” – nella sentenza Lisbona appare chiaramente
circoscritto e limitato – trovando applicazione, come s’è visto, non soltanto
in caso di sconfinamenti “evidenti” ma anche a condizione che non possa-
no operare i rimedi previsti dall’ordinamento europeo ( 86 ). Sembra, questa,
una impostazione non dissimile da quella della sentenza Solange II in tema
di controllo sul rispetto, da parte degli atti europei, dei diritti fondamentali,
fondata sul rapporto di collaborazione strutturato nel senso che il Tribuna-
le costituzionale nazionale si astiene dall’intervenire fino a che funzionino
le garanzie assicurate dalla giurisdizione della Corte di Giustizia ( 87 ).
Quanto poi al controllo di identità, la diffusione nello spazio giuridico
europeo dei principi contenuti nella clausola tedesca e la loro consacrazio-
ne (con esclusione del principio dello Stato federale) nella “clausola di
omogeneità” ora art. 1-bis TUE-Lisbona (già art. 6 TUE) quali valori fon-
damentali dell’Unione ( 88 ) – quand’anche suscettibili di assumere significa-
to diverso dato il differente contesto ordinamentale in cui rispettivamente
si collocano – consentono di ipotizzare ragionevolmente che pure eventuali
violazioni della clausola sarebbero rare se non eccezionali ( 89 ).
A ridimensionare la portata del problema può valere poi anche una
considerazione di diversa natura e cioè questa: da un’analisi della giurispru-
denza non si ricava l’impressione che finora il Tribunale tedesco abbia mo-

( 86 ) Così già riteneva F. Mayer, Kompetenzueberschreitung, cit., nel commentare la “sen-


tenza Maastricht”, 114.
( 87 ) In senso analogo interpreta la sentenza anche J. Ziller, Solange III, or the Bundesver-
fasssungsgericht’s “Europaftriendlyness”. On the decision of the German Federal Constitutional
Court over the Ratification of the Treaty of Lisbon, 14 ss. (trad. inglese di un saggio pubblicato in
italiano, con il medesimo titolo in Riv. it. Dir. Pubbl. Com., 2009, 973 ss.). Contra, F. Schorkopf,
The European Union as an Association of Sovereign States, cit., 1232, il quale ritiene che con la sen-
tenza attuale il Tribunale avrebbe intenzionalmente abbandonato il modello della sospensione
del proprio controllo sugli atti dell’Unione, proclamandone invece l’immediata e incondizionata
operatività, con l’effetto di aumentare la pressione sugli organi dell’Unione perché si mantengano
nei limiti delle competenze attribuite dal Trattato.
( 88 ) Cfr. Schorkopf, Homogenitaet in der Europaeische Union. Ausgestaltung und
Gewaehrleistung durch Art. 6, Abs. 1 und Art. 7 EUV, spec. 28 ss.; V. Atripaldi-R. Miccù, La
Costituzione europea “multilivello” tra garanzie di omogeneità e identità plurali, in AA.VV., The
European Constitution in the Making (I. Pernice-R. Miccù eds.), Baden-Baden 2003, 62 ss.
( 89 ) Così anche J. Bergmann-U. Karpenstein, Identiaets- und Ultra-vires-Kontrolle, cit.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 33

strato un atteggiamento pregiudizialmente ostile al diritto europeo e ai


dicta della Corte di Giustizia. Di tanto convince innanzi tutto la ricordata
sospensione del (o rinuncia condizionata al) proprio controllo sugli atti co-
munitari per il rispetto dei diritti fondamentali a favore della stessa Corte,
proclamata con la sentenza Solange II e sempre confermata. Un segnale nel-
la stessa direzione proviene poi da alcune importanti decisioni adottate do-
po la prima (e già per alcuni allarmante) rivendicazione di un controllo su-
gli atti ultra vires da parte della “sentenza Maastricht”, le quali rassicurano
sulla prudenza e volontà del Bundesverfassungsgericht di evitare contrasti
con il Giudice europeo: mi riferisco in particolare alle pronunzie sull’orga-
nizzazione europea del mercato delle banane ( 90 ) e quella sul mandato d’ar-
resto europeo ( 91 ).

( 90 ) BverfG, 2 BvL 1/97 del 7.6.2001, in www.bundesverfassungsgericht.de. Il caso risolto


dalla prima sentenza, è stato originato dall’applicazione della direttiva europea sul mercato comu-
ne delle banane: tale applicazione fu contestata dinanzi al Tribunale amministrativo, che median-
te rinvio pregiudiziale sottopose la direttiva alla Corte di Giustizia. Quest’ultima la giudicò legit-
tima alla stregua del diritto comunitario. L’interessato eccepì allora dinanzi al tribunale che l’ap-
plicazione della direttiva ledeva i propri diritti fondamentali di proprietà e di libera scelta della
professione, del libero sviluppo della personalità e dell’eguaglianza. Il tribunale amministrativo
sollevò allora dinanzi al Bundesverfassungsgericht la questione della costituzionalità dell’applica-
zione della direttiva, o, in subordine delle leggi tedesche di autorizzazione dei Trattati nella parte
in cui attribuivano al legislatore comunitari il potere di adottare quelle disposizioni con efficacia
in Germania. A parere del giudice remittente la questione sarebbe ammissibile, dal momento che,
nel caso di specie, la compressione dei diritti fondamentali tedeschi non troverebbe nell’ordina-
mento comunitario quella tutela equivalente a quella nazionale che giustifica l’astensione del Bun-
desverfassungsgericht ai sensi della “dottrina Solange II”. Quest’ultimo però si è dichiarato di di-
verso avviso, obiettando che una simile questione non poteva ritenersi ammissibile in quanto non
dimostrava, previo il necessario confronto tra la tutela assicurata a livello nazionale e di quella vi-
gente a livello comunitario, che nel caso particolare l’evoluzione attuale della tutela dei diritti fon-
damentali nel diritto europeo – e, in particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia – assi-
curava una protezione dei propri diritti fondamentali al di sotto del limite fissato da quella dottri-
na; se infatti tale protezione si mantiene entro quel limite, la competenza resta affidata alla Corte
di Giustizia anche quando si tratta di salvaguardare diritti fondamentali del cittadino tedesco
contro atti del potere pubblico tedesco adottati sulla base del diritto europeo secondario. In tal
modo il Tribunale corregge un’erronea lettura della sentenza Maastricht da parte del giudice re-
mittente, negando che questa sentenza abbia, contraddicendo la sentenza Solange II, fatto risor-
gere un potere di controllo del giudice costituzionale tedesco nei confronti di atti della Comunità
per assicurare la protezione dei diritti fondamentali dei tedeschi, sia pure in cooperazione con la
Corte di Giustizia. Al contrario, questa sentenza non avrebbe fatto altro che confermare l’assunto
precedente per cui il Bundesverfasssungsgericht recupera la sua competenza solo nel caso la Corte
di Giustizia dovesse mancare di assicurare lo standard di garanzia ivi stabilito.
Questa decisione si può considerare espressione di un atteggiamento ostile nei confronti
della Corte di Giustizia?
( 91 ) BverfG, 2 BvR 2236/04 del 18.7.2005, in www.bundesverfassungsgericht.de. La sen-
tenza sul mandato di arresto europeo – che all’epoca (2005), si badi, ricadeva nell’ambito del “ter-
zo pilastro” non comunitarizzato dell’attività dell’Unione – il Tribunale, in esito all’impugnazione
con Verfassungsbeschwerde degli atti di esecuzione della legge nazionale di trasposizione della de-
34 ADELE ANZON DEMMIG

Insomma, si può plausibilmente ritenere che il Tribunale costituzio-


nale tedesco non abbia in programma di fare uso quotidiano del suo con-
trollo, e che, eventualmente, lo riserverebbe a casi estremi, o addirittura di
scuola. L’occasione per saggiare a breve termine l’orientamento del Tribu-
nale potrà essere fornita dalle modalità di risoluzione di delicati casi solle-
vati con ricorsi individuali e al momento pendenti dinanzi ad esso, anche in
relazione agli ulteriori svolgimenti della giurisprudenza della Corte di Giu-
stizia ( 92 ).
È vero che questa è una mera prognosi, per di più incerta, che non
equivale ad un saldo ragionamento giuridico; tuttavia essa è un argomento
che può essere correttamente contrapposto a quello allarmistico, di eguale
natura e di segno contrario. Nella medesima prospettiva, d’altra parte, è
dubbio che una prognosi di prudenza possa essere fatta per la giurispru-
denza della Corte di Giustizia, dato il suo ben conosciuto attivismo che ha
certamente arricchito l’ordinamento europeo – per esempio, ma non solo,
quanto ai diritti fondamentali – ma che sul tema della individuazione delle
competenze europee e in genere sui rapporti tra ordinamento europeo e or-
dinamenti nazionali non si è mostrata particolarmente sensibile alle ragioni
degli Stati membri.
In questo quadro, la rivendicazione del Bundesverfassungsgericht si
può leggere piuttosto che come espressione di propositi bellicosi, come una
manifestazione più ferma – dopo il precedente segnale nello stesso senso
della sentenza Maastricht – dell’intenzione dello stesso Tribunale di assu-
mere un ruolo meno passivo ed estraneo rispetto al processo di integrazio-
ne ( 93 ), un implicito invito agli organi e istituzioni dell’Unione a prestare

cisione-quadro europea sull’argomento – esclude, con motivazione analitica, che questa decisio-
ne, contrastando il divieto costituzionale di estradizione del cittadino, provochi – attraverso la
violazione del principio democratico – l’Entstaatlichung della Repubblica federale e la violazione
della sovranità statale tedesca, e ciò perché lo Stato tedesco conserverebbe in materia “compiti di
peso sostanziale”. Pertanto la decisione-quadro non mette in discussione l’identità costituzionale
tedesca, mentre incostituzionali sono (solo) l’atto giurisdizionale e quello amministrativo di ese-
cuzione della legge di trasposizione tedesca nonché questa stessa legge stessa, perché ha limitato il
diritto fondamentale a non essere estradato del cittadino tedesco senza rispettare il principio co-
stituzionale di proporzionalità.
Anche questa decisione dunque non tocca il diritto europeo, ma sceglie la via di dichiarare
incostituzionale soltanto la normativa interna di attuazione, secondo la medesima impostazione
seguita poi dalla sentenza Lissabon. Si può considerare come la premonizione di un intento bel-
licoso del Tribunale tedesco?
( 92 ) V. in particolare il caso relativo alla sentenza Mangold, nonché la sentenza della Corte
europea del 19.1.2010 di cui s’è detto più sopra, nt. 79.
( 93 ) Così F. Schorkopf, The European Union, cit., 1232; J. Ziller, Solange III, cit., 22 ss.
precisa giustamente che la rivendicazione dell’interpretazione del diritto europeo in capo al Bun-
desverfassungsgericht ai fini del controllo di costituzionalità degli atti europei, contenuta nel § 241
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 35

maggiore attenzione ai confini delle proprie competenze e – al pari che per


la tutela dei diritti fondamentali – un tacito appello alla Corte di Giustizia
ad esercitare una maggiore riflessione e ponderatezza in tema di rapporti
tra diritto europeo e diritti nazionali e all’esercizio del self-restraint neces-
sario a rispettare e far rispettare il quadro delle competenze ragionevol-
mente riconducibili al Trattato secondo i criteri di interpretazione comuni
nella tradizione costituzionale degli Stati membri ( 94 ).
In una prospettiva siffatta, non si vede perché la cautela e il self-re-
straint debbano essere pretesi soltanto dal Tribunale costituzionale nazio-
nale e non anche da quello europeo. Non si vede perché non possa essere
richiesto anche alla Corte di Giustizia di tenere un atteggiamento attento
ad evitare conflitti con i giudici costituzionali nazionali. La soluzione del
problema non può porsi solo a carico di una delle parti.
In conclusione, anche alla luce di queste considerazioni, e confidando
nell’equilibrio delle Corti, l’idea di predeterminare rigidamente e una volta
per tutte sul piano giuridico il modo di risoluzione di possibili conflitti tra
Corte europea e Tribunale nazionale – come per esempio vorrebbe l’appel-
lo dei trenta – è non solo difficilmente praticabile, ma anche non auspica-
bile. Di gran lunga preferibile appare lasciare che le relazioni tra di esse,
quali organi di massimo livello dei due ordinamenti, restino affidate al loro
prudente apprezzamento e ad un più attento rispetto delle rispettive aree di
tutela.

12. – L’approdo recente dei Tribunali costituzionali italiano e tedesco: un


confronto interlocutorio

Questa sommaria considerazione degli aspetti salienti della giurispru-


denza del Bundesverfassungsgericht conferma in effetti l’impressione che, in
definitiva, pur nella diversità di molti presupposti e condizioni, esistano

della sentenza, non intende certo escludere l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione, ma
soltanto quello degli altri giudici tedeschi.
( 94 ) Secondo J. Ziller, op. cit., 20 la sentenza rappresenterebbe un messaggio diretto non
alle istituzioni europee, ma alle istituzioni tedesche. In epoca precedente alla sentenza U. Di Fa-
bio, Der Verfassungsvertrag und die laengerfriestigen Perspektiven des verfassten Europa, cit., 12,
riferendosi al modello Solange II del rapporto collaborativo tra Bundesverfassungsgericht e Corte
di Giustizia, lo qualificava come un appello nel senso dell’integrazione” (integrationsfreundlicher
Appell) e auspicava che, nel medesimo senso, anche la Corte europea non si mostrasse rigida solo
contro gli Stati, ma anche contro il potere normativo comunitario, così come il Bundesverfassun-
gsgericht, nell’ordinamento interno, controllava il legislatore a difesa dei diritti fondamentali e
delle attribuzioni dei Laender; sottolineava come questo fosse il compito di un tribunale, mentre
essere “motore dell’integrazione politica” non rientrava tra le funzioni della giurisdizione ma de-
gli organi politici dell’Unione.
36 ADELE ANZON DEMMIG

analogie di posizione dei Tribunali costituzionali tedesco e italiano in rela-


zione a molti passaggi: l’impostazione dualista, i limiti all’integrazione posti
dalle costituzioni nazionali, l’arretramento dei Tribunali costituzionali ri-
spetto all’operatività interna del diritto comunitario direttamente applica-
bile, la riserva da parte dei medesimi di spazi di intervento a garanzia della
rispettiva identità costituzionale, la ritrosia ad esperire il ricorso alla Corte
di Giustizia ex art. (234 TCE ora) 267 TFUE.
La giurisprudenza tedesca però appare più rigida nell’impostazione
dualistica e soprattutto assai più determinata nel rivendicare un proprio
controllo non solo a garanzia dell’identità costituzionale, ma anche contro
gli atti comunitari ultra vires, considerati in definitiva contrari al principio
democratico, che di quell’identità è parte.
Per il momento però, come si diceva, tale ultima presa di posizione è
troppo recente perché possano ricavarsene pronostici e dunque conclusio-
ni meno provvisorie sul confronto con le posizioni della Corte costituziona-
le italiana. Occorre perciò fermarsi ed attendere i prossimi svolgimenti.

ABSTRACT

Il saggio esamina e mette a confrono gli svolgimenti della giurisprudenza del-


la Corte Costituzionale italiana e del Tribunale costituzionale federale Tedesco cir-
ca i rapporti tra i rispettivi ordinamenti nazionali e l’ordinamento dell’Unione Eu-
ropea nel quadro dell’evoluzione del processo di integrazione tra i Trattati di Ma-
stricht e di Lisbona; ne mette in evidenza le rispettive peculiarietà e i numerosi
punti di contatto specie nella ricerca della conservazione di un proprio ruolo attivo
di salvaguardia dell’identità costituzionale nazionale compatibile con il program-
ma di rafforzamento dell’Unione.

The essay examines und compares the dicta of the Italian Constitutional
Court and of the German Bundesverfassungsgericht on the relationships between
national and European law in the evolution of the European system from the Mas-
tricht’s to the Lisbon’s Treaty. The study shows how both Courts, in different con-
text and peculiarities, try to maintain their own role of protection of the national
constitutional identity in the increasing European integration.
Saggi

RENZO DICKMANN

COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE

Sommario: 1. Premessa metodologica. Alle origini delle costituzioni democratiche. – 2. La


dignità umana come limite della costituzione. – 3. Il fondamento pre-costituzionale
della legittimazione della costituzione. – 4. Costituzioni nazionali e costituzioni demo-
cratiche. – 5. Sovranità e questione costituzionale: dalla comunità nazionale alla socie-
tà politica. – 6. Le costituzioni democratiche come simboli costituzionali. – 7. La fun-
zione costituzionale come garanzia della costituzione. – 8. Costituzione scritta e costi-
tuzione storicizzata. – 9. Non coincidenza territoriale tra costituzione e contesto costi-
tuzionale. – 10. Alcune conclusioni.

1. – Premessa metodologica. Alle origini delle costituzioni democratiche

Dalla connotazione del modello costituzionale occidentale secondo le


forme dello stato costituzionale e democratico di diritto imperniate sul ruo-
lo di assemblee parlamentari rappresentative della sovranità popolare e sul
riconoscimento in costituzione della centralità della persona umana, si può
sostenere che il costituzionalismo da teoria giuridica dei limiti del potere
politico ( 1 ) stia consolidandosi anche come modello culturale ( 2 ), forte del-
la valenza esemplare delle esperienze costituzionali dei Paesi di aree geopo-
litiche quali l’Europa e il Nord America ( 3 ).

( 1 ) Per tale classica definizione, e per quelle ulteriori ad essa correlate, si veda A. Pace, Le
sfide del costituzionalismo del XXI secolo, in Id., I limiti del potere, Napoli, 2008, 1 ss. (spec. 5).
( 2 ) P. Häberle, Costituzione e identità culturale. Tra Europa e Stati nazionali, Milano,
2006, 11-17; Id., Una riflessione sul senso delle costituzioni, in Nomos, 2008, 9 ss., spec. 20-27.
( 3 ) Il rilievo di questa considerazione di apertura induce a precisare, prima dello svolgi-
mento degli argomenti di cui al testo, che non s’intende comparare il modello occidentale con al-
tri modelli in base ad un’analisi condizionata da una pregiudiziale di ordine culturale: modelli co-
stituzionali di rilievo sono in vigore con successo presso Stati non appartenenti all’area occiden-
tale. Va peraltro ricordato che ai fini dell’evoluzione dei rispettivi sistemi costituzionali il modello
occidentale ha spesso rappresentato un riferimento a volte anche obbligato, come dimostra la sto-
ria di molti Paesi dal passato coloniale. Ne deriva che nel testo il ricorso a locuzioni quali “costi-
tuzionalismo occidentale”, “modello occidentale”, et similia, serve solo ad indicare in sintesi il
modello di stato costituzionale democratico e di diritto imperniato sulla centralità costituzionale
della persona umana, affermatosi in Europa nel secondo dopoguerra sulla base di premesse cul-
turali originali di ispirazione liberale e sociale ed evolutosi negli ultimi venti anni (con l’afferma-
zione delle nuove costituzioni democratiche dei Paesi dell’Est europeo) alla luce di un modello fi-
losofico imperniato essenzialmente sulle dottrine personaliste di ispirazione cristiano-sociale.
38 RENZO DICKMANN

Tale impressione è confermata dal comune imprinting dei costitu-


zionalismi nazionali indotto dal consolidamento di un diritto internazio-
nale dei diritti umani modellato su principi e valori riconosciuti in vari
atti e dichiarazioni internazionali, in primis la Carta delle Nazioni Unite
e la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e le relative conven-
zioni di esecuzione del 1966, alle quali si aggiungono gli atti fondativi
delle organizzazioni di cooperazione regionale che si sono ad essi ispira-
te, tra i quali, in Europa, la Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), i Trattati istitutivi
delle Comunità e dell’Unione e la Carta dei diritti fondamentali del-
l’Unione europea.
È rilevante il fatto che in tali atti internazionali e nelle carte nazionali
ispirate ai principi del costituzionalismo contemporaneo la persona sia af-
fermata in termini di centralità assoluta, come conferma il ricorrente rico-
noscimento costituzionale dei diritti dell’uomo in relazione all’attributo
della sua dignità. La libertà e l’eguaglianza, implicate dalla dignità della
persona, sono la condizione per il riconoscimento dell’inviolabilità di tali
diritti. In tal senso la stessa Dichiarazione Universale costituisce una rico-
gnizione di principi e valori di riferimento per il costituzionalismo ( 4 ).
Poiché il principio della necessaria centralità della persona espresso
dal riconoscimento univoco dell’inviolabilità dei suoi diritti e delle sue li-
bertà condiziona le esperienze democratiche occidentali nel quadro di
quello che è definibile come costituzionalismo contemporaneo, tale princi-
pio non è validamente contestabile nell’ambito dei singoli ordinamenti giu-
ridici e presenta la natura di principio costituzionale universale di rilievo
anche giuridico ( 5 ).
Questa tesi induce a leggere le carte costituzionali non più come testi
solo giuridici, ma anche come parti di un contesto di rilievo costituzionale,
ancorché non “giuridicizzabile” in ogni sua parte: l’evolversi del contesto

( 4 ) Ai fini delle presenti riflessioni si è tenuto presente lo studio di M.A. Glendon, Verso
un mondo nuovo. Eleanor Roosvelt e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 2001, trad. it. a
cura di B. Frigerio, Macerata, 2008, spec. 136 e cap. 5 e 12, dove si dimostra come nella elabo-
razione della Dichiarazione Universale si sia partiti da una base “occidentale” per arrivare attra-
verso i lavori ad un testo condiviso dai rappresentanti delle varie culture e religioni, con vocazione
autenticamente universale.
( 5 ) Tale tesi è svolta in Democrazia rappresentativa e costituzionalismo per una costituzione
universale dei diritti e delle libertà, in Diritto e società, 2008, 607 ss. La centralità della persona
nella Costituzione italiana si desume alla luce dell’ordine del giorno Dossetti presentato il 9 set-
tembre 1946 nella I Sottocommissione dell’Assemblea costituente (resoc. sommario, 21-22), che,
nonostante non fosse mai stato votato, contiene indicazioni interpretative essenziali nella deter-
minazione dell’orientamento della Costituzione repubblicana, fondando i diritti fondamentali
delle persone e i diritti delle comunità intermedie nella “precedenza sostanziale della persona
umana” e nella “necessaria socialità di tutte le persone”.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 39

alla luce della centralità costituzionale della persona umana non è irrilevan-
te rispetto all’interpretazione di un dato testo sul piano giuridico ( 6 ).
Evidenziando una suggestione che non si coglie guardando alla sola
costituzione-testo, che ha una precisa connotazione spaziale e temporale, si
può sostenere che il contesto costituzionale colleghi le tre dimensioni del
passato (la memoria), del presente (la funzione ordinatrice) e del futuro (la
prospettiva) di un ordine costituzionale in atto ma non registrato in formu-
le scritte. Da questo punto di vista un ordine costituzionale essenziale esiste
per ogni società organizzata all’insegna del riconoscimento di fattori rego-
latori della convivenza.
Questo passaggio è cruciale: solo accettando di porsi rispetto alla co-
stituzione partendo dalla dimensione del suo contesto è possibile accedere
all’idea che principi e valori in esso presenti ma non formalizzati in dispo-
sizioni della carta costituzionale possano comunque condizionarne l’inter-
pretazione ( 7 ).
Dovendo svolgere un’indagine essenzialmente giuridica, s’impone
una precisazione preliminare sul piano del metodo seguito, che presuppo-
ne l’insufficienza del tradizionale approccio positivista, oggetto in Italia di
un complesso e ricco dibattito dottrinale, ripropostosi di recente tra il 2005
e il 2007 ( 8 ). Non si possono riepilogare i profili dogmatici sottostanti a tale
dibattito. Basti rilevare che l’accezione classica del termine “giuspositivi-
sta” – il giurista che trae meccanicamente le norme dalle disposizioni – non

( 6 ) Sul piano del metodo seguito nel presente saggio sono di conforto le parole di A.C. Je-
molo, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, 1959, V della prefazione, dove rileva: “il desiderio
di molti di noi di ritornare a controllare le nostre costruzioni, scavando sotto gl’istituti giuridici
per raggiungere il terreno del pre-giuridico che volevamo un tempo ignorare: quanto a dire, tor-
nando a dare il loro posto alla storia e alla politica. Non confondiamo storia, politica e diritto; ma
ci sembra di non possedere la norma se non sappiamo come sorse, per quali fini da raggiungere,
come ai fini originari altri se ne sostituissero, talora antitetici ai primi” (ulteriori riflessioni dell’au-
tore sul punto sono svolte nel cap. I del volume).
( 7 ) Sul punto si richiama l’insegnamento di Bobbio, per il quale l’interpretazione non è
scienza ma politica, cioè creazione di norme concrete, in quanto la scelta del metodo ermeneutico
è condizionata da scelte di valore. In tal senso, tra le sue varie opere, si veda N. Bobbio, La filo-
sofia del diritto in Italia nella seconda metà del secolo XIX, in Bollettino dell’Istituto di Filosofia del
Diritto dell’Università di Roma, III, 1942, 198; Id., Sul formalismo giuridico, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1958, 995-997; Id., Il positivismo giuridico, Torino, 1960-1961, 290 ss. Si veda anche J. Ha-
bermas, Lotta di riconoscimento nello stato democratico di diritto, 1996, trad. it. a cura di L. Cep-
pa, in J. Habermas, C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Milano, 2008, 94-
95, che evidenzia il “contenuto etico del patriottismo costituzionale”.
( 8 ) Il nucleo di questa ripresa del dibattito sul positivismo giuridico si rinviene nei contri-
buti di A. Baldassarre, Miseria del positivismo giuridico, in Studi in onore di Gianni Ferrara, To-
rino, 2005, 201 ss.; M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur.
Cost., 2006, 1643 ss.; S. Civitarese Matteucci, Miseria del positivismo giuridico? Giuspositivi-
smo e scienza del diritto pubblico, in Dir. pubbl., 2006, 685 ss.; R. Guastini, Sostiene Baldassarre,
in Giur. cost., 2007, 1373 ss.; A. Baldassarre, Una risposta a Guastini, ibidem, 2007, 3251 ss.
40 RENZO DICKMANN

si concilia con il concreto svolgersi del diritto e della sua interpretazio-


ne ( 9 ). Inoltre tale dibattito, come si vedrà, ha sopraffatto ma non smentito
le letture “antipositive” dell’esperienza giuridica (in particolare) costituzio-
nale, che di recente hanno ripreso vigore e rinnovato l’interesse per un di-
ritto giusto, contro il noto paradosso summum ius, summa iniuria.
Nel presente saggio si muove dall’assunto che quando occorra inter-
pretare la Costituzione (o una costituzione) non basta riferirsi al suo testo
inteso quale insieme di disposizioni giuridiche ma può essere indispensabi-
le considerarne la complessa dimensione risultante dal suo svolgimento e
dalle sue premesse in chiave storico-politica. In tal modo si riescono a indi-
viduare le ragioni non solo formali per le quali un testo costituzionale può
vigere in termini originali “al di sopra” di un testo legislativo.
Da questo punto di vista le teorie positiviste statualistiche e istituzio-
nalistiche, per dirla con Matteucci ( 10 ), rivelano la propria insufficienza in
quanto limitano al giuridico le prospettive del costituzionalismo, sviandolo
dalle sue premesse, in particolare dall’acquisita centralità della persona
umana come assunto costituzionale dogmaticamente non disponibile né
eludibile dal diritto positivo. Ciò è possibile se la persona umana è ricono-
sciuta come parametro costituzionale anche sul piano giuridico.
Si è cercato di dimostrare in altra sede ( 11 ) la contraddizione insanabi-
le sul piano dogmatico tra positivismo e personalismo ( 12 ): se il dato della
consistenza storica e filosofica della persona come entità assoluta, senza la
quale non ha senso parlare oggi di costituzionalismo, non è superabile nel-
l’indagine giuridica del fenomeno costituzionale, anche il positivismo me-
todologico va orientato alla luce della pregiudiziale personalista, che deve
intendersi acquisita come tratto qualificante le costituzioni democratiche
occidentali. Conseguentemente lo studio del costituzionalismo non può es-
sere circoscritto alla relativa dimensione procedurale (le forme della demo-
crazia, le forme dei procedimenti giuridici, le forme delle giurisdizioni,

( 9 ) In tal senso leggo anche le considerazioni di M. Luciani, L’interprete della Costituzio-


ne di fronte al rapporto fatto-valore. Il testo costituzionale nella sua dimensione diacronica, in Dir.
soc., 2009, 8-9.
( 10 ) N. Matteucci, Positivismo giuridico e costituzionalismo, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1963, 985 ss.; sull’approccio al costituzionalismo di Matteucci si veda di recente S. Bognetti, Il
costituzionalismo di Matteucci nella storia delle teorie della costituzione, in www.associazionedeico-
stituzionalisti.it. Matteucci considera statualistiche le teorie fondative della giuridicità delle nor-
me in termini derivati dal potere pubblico (ad esempio, Hobbes, Bentham, Austin), e istituziona-
listiche le teorie che collegano la giuridicità delle norme alla loro riferibilità ad ordinamenti effet-
tivamente organizzati (in Italia, S. Romano e Bobbio).
( 11 ) Si veda la nota 5.
( 12 ) Sulla pluralità delle dottrine personaliste, ancorché accomunate dal riconoscimento
del rilievo centrale della persona, si veda J. Maritain, La persona e il bene comune, trad. it. M.
Mazzolari, Brescia, 1963, 8.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 41

ecc.), ma deve affrontare anche la questione delle premesse dell’ordine co-


stituzionale ( 13 ).
Il rilievo della persona come assoluto costituzionale è una delle condi-
zioni di affermazione ed evoluzione delle costituzioni democratiche nel
contesto storico-culturale occidentale, in quanto consente che si accomuni-
no nella finalizzazione del denominatore democratico. Si ampliano così le
prospettive della democrazia.
Una costituzione è autenticamente democratica non solo quando con-
figuri un parlamento elettivo chiamato a legittimare secondo forme razio-
nalizzate le decisioni di governo, ma anche in quanto assuma l’inviolabilità
della persona come limite indisponibile dall’intera struttura democratica,
quindi da parte di tutti i poteri che essa legittima.
Invece gli argomenti di ordine statualistico e istituzionalistico del po-
sitivismo metodologico non consentono di spiegare la necessità di ricono-
scere limiti alla competenza delle stesse carte costituzionali per effetto del
relativo orientamento alla tutela della persona umana.
Il sistema delle istituzioni che ogni costituzione organizza può qualifi-
carsi come “democratico” solo se ciascuno vi possa partecipare come sog-
getto politico capace di scegliere in libertà. Si tratta di una libertà politica,
che partecipa della scelta originaria fondativa dell’ordine costituzionale:
l’uomo è libero perché la costituzione in cui è garantito è stata posta in virtù
di un’iniziativa politica libera originalmente di natura costituente. Tale li-
bertà è dunque anche una sua condizione storica, nella quale si riverbera lo
status della persona, la sua dignità: la dignità fonda la libertà, non il contra-
rio.
La democrazia si alimenta della libertà della persona soggetto politico
a condizioni formali definite dalla costituzione, nella specie sulla base degli
istituti della rappresentanza. Sotto questo profilo la costituzione è testo giu-
ridico supremo, in quanto non solo presenta una superiore validità formale
rispetto alla legislazione ordinaria, ma assolve ad una funzione diversa, di
garanzia suprema.
Ne deriva che gli istituti che assicurano la partecipazione della perso-
na alle scelte politiche nelle forme proprie di una democrazia presentano
giustificativi comprensibili nella dimensione del contesto costituzionale:
l’idea di democrazia non presenta un’autonoma consistenza filosofica ma si
giudica in quanto storicizzata. Se non esiste un concetto filosofico di demo-

( 13 ) Per riflessioni sul punto si veda F. Viola, La democrazia deliberativa tra costituziona-
lismo e multiculturalismo, in Ragion pratica, 21/2003, 33 ss., dove si dimostra l’orientamento delle
procedure democratiche allo sviluppo delle potenzialità dei principi costituzionali, in quanto ra-
gioni ultime che devono sostenere l’impegno delle istituzioni pubbliche e della vita civile di una
determinata società politica.
42 RENZO DICKMANN

crazia, con validità universale, la costituzione come atto giuridico non può
certificare la validità del modello democratico che accoglie.
La costituzione-testo non ha di per sé la capacità di assicurare all’uo-
mo il raggiungimento della giustizia sostanziale nello svolgimento dell’atti-
vità politica secondo le forme democratiche a tal fine previste: la costituzio-
ne cioè non può assicurare la giustizia dell’attività politica in rapporto al
bene e alla verità. Questo non è un problema solo della costituzione ma del
diritto in generale. Il diritto non si giustifica in sé e quindi la giustizia non si
risolve nella giustizia legale, nel profilo della legittimità. Il diritto è uno
strumento, la giustizia è un fine. Va pertanto perseguita anche e soprattutto
sul piano sostanziale, per mezzo del diritto ( 14 ).
La democrazia a sua volta non è una via al bene e alla verità: è solo una
formula attraverso la quale si consente che una maggioranza uscita dalle
elezioni governi. L’illusione che la volontà di una maggioranza sia anche
bene e verità risiede nell’equivoca propensione di ogni potere, quindi an-
che di quello democraticamente legittimato, di confondere tra ciò che è ve-
ro, giusto, in quanto buono, e ciò che è vero, giusto, in quanto utile ( 15 ).
Priva di capacità determinativa del bene e del vero, la democrazia co-
me formula di governo non può risolvere alcuna questione essenziale in as-
senza di parametri definiti da una costituzione che ne evidenzi i fini. La de-
mocrazia è dunque orientata dalla costituzione. È errato dal punto di vista
teorico confidare in linea di principio nel valore della democrazia, assolu-
tizzandola come sinonimo di buon governo solo perché organizzata in co-
stituzione. La democrazia è virtuosa se dimostra di essere effettivamente
orientata da principi e valori autenticamente giusti in quanto autenticamen-
te veri, riconosciuti dalla costituzione ma da essa indisponibili per la loro
consistenza pre-costituzionale.
Nella misura in cui vincolano l’azione politica, questi principi e valori
presentano un rilievo originale indisponibile in quanto derivato dal conte-
sto della costituzione, non dal suo testo. Essi acquisiscono consistenza an-
che sul piano giuridico quando risultano realmente vincolanti per l’inter-
pretazione e l’applicazione del testo costituzionale. Il loro rilievo giuridico
non è dunque quello proprio delle disposizioni positive, bensì quello dei
criteri dell’interpretazione giuridica. In questa dimensione presentano con-
sistenza giuridica di ordine costituzionale.

( 14 ) N. Matteucci, Positivismo giuridico e costituzionalismo, cit., 1082; M. Villey, Il di-


ritto e i diritti dell’uomo, 1998, trad. it. a cura di L. Bottero, Siena, 2009, spec. 51 ss.
( 15 ) H. Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951, trad. it. a cura di A. Guadagnin, Tori-
no, 2004, 630 ss., evidenzia come il tratto proprio dei totalitarismi sia la soppressione di ogni pre-
messa che consenta di distinguere tra il vero e il falso, evidenziando una sinistra assonanza tra to-
talitarismi e darwinismo, la cui regola è la sopravvivenza del soggetto più forte.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 43

Per sottolineare adeguatamente questo profilo occorre recuperare la


filosofia politica nello studio del fenomeno costituzionale.
Il costituzionalismo contemporaneo si comprende nel suo senso pro-
prio accettando l’idea che con esso si rigenerano le premesse della politica
alla luce delle regole morali, dopo che la storia della modernità ha dimo-
strato che l’abbandono di tali premesse, con la circoscrizione della morale
alla sfera individuale, ha comportato che l’orizzonte del politico si restrin-
gesse e che le relative indagini si concentrassero sulla questione del potere.
L’involuzione della filosofia politica che ne è derivata è stata favorita dallo
storicismo, che, separando fatti e valori, ha orientato anche la politica verso
il nichilismo, impedendo lo svolgimento delle prime esperienze costituzio-
nali democratiche ( 16 ).
Nella maturazione di questo passaggio il costituzionalismo contempo-
raneo si rende originale rispetto alle precedenti fasi del costituzionalismo,
in particolare quella avviatasi con la rivoluzione francese.
Seguendo il metodo illustrato, nel presente saggio si muove dall’as-
sunto che la democrazia nella prospettiva del costituzionalismo contempo-
raneo debba consentire il collegamento tra fatti e valori, tra storia e filosofia
politica, tra contesto e testo giuridico, per non eludere i vincoli sostanziali
che discendono dalla costituzione come limite alla maggioranza di governo
in ragione della sua matrice personalista.
L’attenzione al contesto della costituzione corrisponde sul piano me-
todologico al tentativo di mettere a fuoco vincoli indisponibili da parte dei
poteri di governo e di revisione costituzionale, ancorché democratici, nel-
l’assunto che, se la costituzione riconosce la persona libera e inviolabile, le è
precluso sul piano della competenza definire modalità attraverso le quali
sottomettere l’uomo a verità relative e contingenti, ancorché queste si for-
mino secondo le regole della democrazia ( 17 ).
Il concetto di “contesto costituzionale” non trova riscontri tali da at-
tribuirgli un significato univoco sul piano giuridico ( 18 ). Ai fini della pre-

( 16 ) Per alcune riflessioni sul punto si veda V. Possenti, La buona società. Sulla ricostru-
zione della filosofia politica, Milano, 1983, 32-34.
( 17 ) Si ritiene opportuno fissare tale snodo dogmatico in apertura di saggio, per prendere
le distanze dalle ricostruzioni neokelseniane che confidano non già nella democrazia come princi-
pio espressivo della dignità politica dell’uomo, quanto nelle relative forme, allo scopo di legittima-
re ogni decisione politica a maggioranza, anche su questioni non appartenenti alla dimensione
della politica ma a quella della natura. In tal senso, ad esempio, non si condividono alcune delle
riflessioni raccolte in G. Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Bari, 2008, spec. 87-95, che ri-
conosce l’efficacia prevaricatrice della decisione democratica a maggioranza anche rispetto alla
consistenza naturale ed univoca del vero.
( 18 ) Nella giurisprudenza della Corte costituzionale italiana si trovano occasionali riferi-
menti a tale concetto senza che ne sia specificato un significato giuridico proprio; sembra piutto-
44 RENZO DICKMANN

sente indagine con tale locuzione s’intende indicare l’insieme dei presup-
posti e delle premesse indisponibili di un ordinamento giuridico fondato su
una costituzione democratica. La giuridicità del contesto costituzionale si
può rilevare per relationem, in quanto si dimostri capace di limitare o con-
dizionare l’evoluzione di un determinato ordinamento giuridico, condizio-
nando l’interpretazione della costituzione.
A supporto di tale tesi si offrono due ordini di argomentazioni.
In primis una maggioranza di governo non è legittimata anche alla re-
visione dei presupposti di un determinato ordine costituzionale: essi di-
scendono dalla presupposizione costituzionale della centralità della perso-
na, nella sua condizione pre-costituzionale. La persona è degna di libertà in
virtù della sua natura antropologica, ordinata al bene ed indisponibile an-
che dalla democrazia. A conferma si osserva come nei secoli in “politica”,
ancorché affievolitosi in determinate fasi storiche, non si sia mai perso di vi-
sta il concetto di bene dell’uomo (ancorché a volte lo si sia strumentalizza-
to) e che in origine, nel diritto romano, il concetto di ius era un portato del-
l’idea di giustizia sostanziale, sulla scorta della filosofia aristotelica ( 19 ). Al
riguardo sono significative le esperienze costituzionali inglese e nordameri-
cana ( 20 ), dove si sono originate storiche carte dei diritti per contrastare
l’assunto che il diritto si origini solo dal potere.
Questa lettura rafforza il valore giuridico della costituzione perché
rafforza sul piano costituzionale sia la persona sia la democrazia, finalizzan-
do la seconda al bene della prima.
Rafforza la persona perché fonda le garanzie della sua libertà nella sua
natura prima che nella sua qualità di soggetto giuridico e politico. Rafforza
la democrazia perché le conferisce il compito di garantire l’autentica libertà
dell’uomo: la costituzione vincola la democrazia a non trasformarsi da me-
todo di governo partecipato dall’homo politicus in metodo politico di for-
mazione di verità relative. Se la costituzione vincola la democrazia a non
porre in discussione le sue premesse, è da queste che discendono sia la sua
forza sia i limiti ai poteri da essa organizzati.
Secondo questa lettura anche la revisione costituzionale deve inten-
dersi limitata dalle premesse della costituzione: se tali premesse sono una

sto rilevare in termini riassuntivi del concetto di ordine giuridico costituzionale. Per alcuni esem-
pi si vedano Corte cost., 7 luglio 1962, n. 87, punto 3 in diritto; 11 luglio 2000, n. 263, punto 1 in
diritto; 23 dicembre 2005, n. 459, punto 2 in diritto; 6 febbraio 2009, n. 29, punto 2 in diritto; 8
maggio 2009, n. 149, punto 4 in diritto.
( 19 ) M. Villey, Il diritto e i diritti dell’uomo, cit., spec. 78-86.
( 20 ) L’influsso dell’esperienza nordamericana e anglosassone nell’evoluzione del costitu-
zionalismo contemporaneo è chiaramente messo in evidenza da N. Matteucci, Positivismo giu-
ridico e costituzionalismo, cit., spec. 996, 999, 1014, 1042-1043.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 45

condizione limitativa del potere di revisione costituzionale, esse sono limiti


della costituzione come norma. L’interpretazione giuridica della costituzio-
ne deve consentirne l’individuazione, perché tramite esse se ne condizioni
l’applicazione in corrispondenza al senso che le è proprio.
Il secondo sistema di argomenti si fonda sul rilievo per il quale la per-
sona, naturalmente libera, quando partecipa al governo della sua comunità
è anche tenuta a conciliare le ragioni della sua libertà con i doveri che di-
scendono dalla sua condizione sociale, di cittadino. La partecipazione della
persona in quanto soggetto politico ad una determinata dimensione sociale
implica l’avvenuta soluzione di una questione fondamentale: la definizione
delle condizioni essenziali delle relazioni sociali, cioè i termini della conci-
liazione dei diritti e delle libertà di ciascun uomo con quelli dei suoi simili.
In breve, la persona in una società politica non è titolare di diritti e libertà
in linea di principio: preso nella sua condizione sociale l’uomo è titolare an-
che di doveri e responsabilità, conseguenti alla sua qualità di cittadino, che
possono incidere sulle modalità di godimento dei diritti e delle libertà, non
anche sulla relativa titolarità. La libertà dell’uomo nella sua condizione sto-
rica di cittadino è dunque relativa, non assoluta. In tali termini rileva anche
nell’ambito delle premesse della costituzione.
I due ordine di argomenti appena svolti portano a fondare nel conte-
sto costituzionale, non nel diritto positivo ( 21 ), la primazia della costituzio-
ne, non solo come norma suprema ma anche come parametro di giustizia
sostanziale delle norme, cioè di giustizia dal punto di vista del bene della
persona nella sua condizione sociale, che in termini oggettivizzati e con una
certa approssimazione può farsi coincidere con la nozione di “bene comu-
ne”. Da cui la lettura della costituzione anche come modello culturale.
Ne deriva che la questione della supremazia della costituzione non si
può risolvere fondandola solo dal punto di vista di una norma giuridica
“prima”.
Quanto premesso consente di distinguere nella costituzione due di-
mensioni, risultante di un potere costituente politico e fonte suprema del-
l’ordinamento giuridico.
Scopo di questa lettura è consolidare la primazia della costituzione ri-
spetto alla legge ordinaria sia sul piano giuridico, come fonte suprema del
diritto, sia sul piano politico, alla luce delle sue premesse indisponibili.
Il contesto costituzionale può essere indagato come dimensione pre-
giuridica, non a-giuridica, dell’ordine costituzionale giuridico.

( 21 ) Sul consolidamento in filosofia della subordinazione della condizione di cittadino alla


qualità di persona si veda M. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone,
Bologna, 2002.
46 RENZO DICKMANN

Distinguendo ma collegando costituzione-testo e costituzione-conte-


sto si rafforza l’idea che la costituzione sia non solo norma ma anche garan-
zia suprema, dove la funzione di garanzia rileva prima di quella normativa
in virtù del riconoscimento di natura costituzionale anche al processo che ha
generato la legittimazione della costituzione.
Il momento della legittimazione è una fase originale del processo co-
stituzionale, che rileva su di un piano pre-formale ( 22 ), precedente la scrit-
tura della costituzione: tale fase, qualificando la funzione della costituzione
in termini qualitativamente originali rispetto alla legge ordinaria, strumento
di governo di una maggioranza ( 23 ), è assimilata dalla costituzione-testo co-
me sua ineludibile premessa, che ne orienta l’interpretazione e l’applicazio-
ne ( 24 ).
In questo modo si evidenziano i limiti delle tesi di coloro che, parten-
do dall’assunto di una superiorità solo formale, giuridica, della costituzio-
ne-testo rispetto alla legge, ritengono che una maggioranza di governo pos-
sa intendersi già legittimata a trasformarsi in potere di revisione costituzio-
nale senza confrontarsi con i presupposti e le premesse della costituzione.

2. – La dignità umana come limite della costituzione


Con la dissoluzione del giustificativo storico dei fondamenti dogmati-
ci delle dottrine dello stato del XIX secolo, incapaci di spiegare il fenome-
no costituzionale in termini indipendenti dal rilievo a-politico dello stato-
persona, a partire dalla seconda metà del XX secolo si deve alle coeve dot-
trine della costituzione il merito di aver cercato di spiegare il fenomeno sta-
tale in termini storico-politici ( 25 ).
È così possibile spiegare come i diritti e le libertà della persona siano
vincoli allo Stato di ordine pre-giuridico, discendenti da un contesto costi-
tuzionale progressivamente consolidatosi dal secondo dopoguerra in termi-
ni di reazione alla legittimazione razionale dello stato-potere. Un ruolo cru-
ciale nell’orientamento del contesto costituzionale in tale direzione va rico-
nosciuto ai convergenti obblighi degli Stati verso la persona umana imposti

( 22 ) V. Possenti, La buona società, cit., 8-9.


( 23 ) L’analisi alla base della definizione della legge come strumento di governo, tendenzial-
mente parziale nei fini, è svolta in Processo legislativo e limiti della legge, Napoli, 2006, cap. I.
( 24 ) I fondamenti pre-costituzionali della legittimazione di una costituzione sono spesso
esplicitati nei preamboli di alcune costituzioni. Si vedano, per quanto riguarda l’Europa, i pream-
boli della Legge fondamentale tedesca e delle Costituzioni di Francia (1958), Irlanda (1937), Po-
lonia (1997), Portogallo (1976), Repubblica Ceca (1992), Slovacchia (1992), Slovenia (1991) e
Spagna (1978).
( 25 ) Per questa lettura si rinvia a M. Fioravanti, Stato e costituzione. Materiali per una sto-
ria delle dottrine costituzionali, Torino, 1993, spec. 135-146.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 47

dalla loro partecipazione alle nuove organizzazioni internazionali, condi-


zionanti l’evoluzione costituzionale di molti Paesi, soprattutto in Europa.
Le vicende delle nuove democrazie si orientano alla luce di premesse
di valore politicamente indisponibili ( 26 ): non si possono fondare in costitu-
zione valori non scritti, ma si possono riconoscere valori costituzionali, an-
corché non scritti, alla luce del contesto dove evidentemente si originano.
Ad esempio, se il diritto alla vita non è scritto nella Costituzione italia-
na, non per questo tale diritto non beneficia di garanzie costituzionali, in
considerazione della matrice personalista della Carta, che si deve interpre-
tare alla luce del suo scopo primario di garantire l’inviolabilità della perso-
na nella sua assolutezza, come ribadiscono i vari articoli che affermano l’in-
violabilità dell’uomo cittadino nella sua dimensione sociale ( 27 ).
La Costituzione del resto utilizza molti concetti nella relativa accezio-
ne pre-giuridica, senza che per effetto della loro scrittura essi diventino di-
sponibili nell’ambito del diritto ( 28 ).
L’interpretazione della Costituzione dal punto di vista della persona
umana non consiste dunque nella creazione di nuovi valori ma nel ricono-
scimento di limiti ad essa discendenti dall’assunzione della persona quale
parametro costituzionale indisponibile nella sua consistenza sociale: i diritti
e le libertà, i principi e i valori, ma anche i connessi obblighi e responsabi-
lità, non nascono con la scrittura della Costituzione ma con la persona, di
cui sono attributi universali pre-giuridici, non anche a-giuridici.
Tale riconoscimento permette di non condividere le letture volte a so-
stenere che i diritti della persona, essendo posti per il vantaggio e l’interesse

( 26 ) In questo ordine di argomenti sono le riflessioni di G. Zagrebelsky, La legge e la sua


giustizia, Bologna, 2008, 386 ss.
( 27 ) La Corte cost., 9 luglio 1996, n. 238, punto 3.1 in diritto, afferma che la Costituzione,
per il tramite degli istituti della riserva di legge e della riserva di giurisdizione in materia di restri-
zione della libertà personale “appronta una tutela che è centrale nel disegno costituzionale, aven-
do ad oggetto un diritto inviolabile, quello della libertà personale, rientrante tra i valori supremi,
quale indefettibile nucleo essenziale dell’individuo, non diversamente dal contiguo e strettamente
connesso diritto alla vita ed all’integrità fisica, con il quale concorre a costituire la matrice prima
di ogni altro diritto, costituzionalmente protetto, della persona”. È appena il caso di ricordare che
l’inviolabilità del diritto alla vita è riconosciuto espressamente dall’art. 3 della Dichiarazione Uni-
versale: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. Si
è inoltre già sottolineato il rilievo dell’ordine del giorno Dossetti, cit. in nota 5, ai fini dell’inter-
pretazione della Costituzione.
( 28 ) A mero titolo esemplificativo, si possono ricordare i concetti di “popolo” (art. 1),
“personalità” e “solidarietà” (art. 2), “progresso materiale e spirituale della società” (art. 4), “pa-
trimonio storico e artistico della Nazione” (art. 9), “famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio” (art. 29), e via dicendo. Non si condividono pertanto affermazioni radicali circa la
natura positivistica della Costituzione italiana, quale, ad esempio, quelle di P.G. Grasso, Sulla
concezione del diritto nella costituzione, in Dir. soc., 2009, 445 ss., spec. 448.
48 RENZO DICKMANN

dei singoli, in fin dei conti sono disponibili dai singoli, e persino dallo Stato
nel loro interesse.
Ne deriva un equivoco, spesso coltivato in ragione di ideologie politi-
che, che porta a ritenere che l’attributo dell’inviolabilità dei diritti sia in
qualche modo subordinato a quello della libertà della persona. Sicché cia-
scuna persona, in quanto libera in senso assoluto, non incontrerebbe osta-
coli giuridici nel disporre o rinunciare a taluno o a tutti i propri diritti e li-
bertà, anche quelli inviolabili, eventualmente decidendo anche quando
porre fine alla propria vita. Per derivazione dalle premesse di tale lettura, lo
Stato potrebbe farsi interprete delle circostanze al margine di una singola
esistenza umana, per consentire con legge che si possa disporre di un essere
umano ancora vivente con appositi strumenti giuridici coniati per l’occasio-
ne. Continuando, in supplenza del legislatore singoli poteri dello Stato po-
trebbero farsi interpreti diretti delle ragioni della persona umana all’inse-
gna del primato della libertà della sua volontà.
Il radicamento dei diritti e delle libertà personali in una dimensione
pre-costituzionale, pre-giuridica ma non a-giuridica, dovrebbe lasciare in-
tendere che la stessa costituzione, che li riconosce, non ne possa consentire
la disponibilità in via negoziale, e tanto meno in via autoritativa, in quanto –
come rilevato – la fonte di tali diritti non è la libertà, ma la dignità della per-
sona, che ne fonda anche la libertà dal punto di vista dei fini originari del-
l’esistenza umana. Se invece si ritiene che la libertà non sia vincolata al ri-
spetto dell’attributo della dignità, si finisce con il presumere che, in omag-
gio alla libertà di un singolo, si possano legittimare atti dispositivi della per-
sona lesivi della stessa dignità umana, che è uno degli attributi universali
pre-giuridici dell’uomo, quindi indisponibile dal diritto.
Si registra sul punto in una nota pronuncia della Corte di cassazione
italiana un’affermazione discutibile proprio sotto questo profilo ( 29 ): dopo
aver affermato che chi versi in stato vegetativo deve comunque considerarsi
persona in senso pieno, la Corte ha ammesso che lo Stato deve rispettare
tanto una concezione della vita come indisponibile in linea di principio,
quanto una concezione della vita legata all’assunto per il quale la dignità è
legata alla vita di esperienza della singola persona: in tale secondo caso,
quando vengano meno le possibilità di una singola persona di avere “per-
cezione del mondo esterno”, la vita di questa persona può essere fatta ces-
sare, previa autorizzazione del giudice, interrompendo a richiesta (non ne-
cessariamente dell’interessato) un trattamento terapeutico mediante il qua-
le tale persona è mantenuta in vita.
Senza voler ripercorrere il dibattito che ne è derivato, in questa sede e

( 29 ) Corte cass., sez. I civ., sent. 16 ottobre 2007, n. 21748, punto 7.5.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 49

nell’economia della presente analisi si ritiene solo di evidenziare come tale


contraddittoria visione della persona, che muove da una concezione relati-
va della sua dignità ( 30 ), connessa alla vita di esperienza e quindi limitata
quando la persona versi in situazioni di debolezza, sia servita ad un’autorità
giudiziaria per entrare nella dimensione pre-costituzionale nella quale si ra-
dica il valore della persona come assoluto costituzionale, partecipando sine
legitimatione al processo costituzionale. Per effetto di tale lettura la persona
finisce con l’essere spogliata di ogni assolutezza sotto il profilo costituzio-
nale per entrare nella disponibilità negoziale, anche unilaterale, di un terzo
che secondo una legge all’occorrenza fosse chiamato a curarne gli interessi.
Si tratta di una prospettiva nella quale risultano annullate tutte le ga-
ranzie costituzionali della persona. Non pare questo il senso proprio della
costituzione: la persona è “pre-costituzionalmente” sottratta alla disponibi-
lità della legge e degli altri poteri ad essa soggetti.
Come ricorda Böckenförde, politica ed etica sono dimensioni pre-giu-
ridiche del giuridico, cioè condizionanti il diritto nel suo evolversi in chiave
antitotalitaria ( 31 ). Si possono dunque comprendere le ragioni della diffi-
denza verso un approccio non liberale ma “liberante” rispetto alla cruciale
questione dell’oggettività della dignità umana e, per derivazione, della ne-
cessità di affermare fondamenti pre-costituzionali dei diritti e delle libertà
nella dimensione di un contesto costituzionale riconoscibile anche giuridi-
camente, supportato dalle norme e dai principi del diritto internazionale
dei diritti umani ( 32 ), non disponibile dal diritto positivo nazionale, ancor-
ché di rango costituzionale.

3. – Il fondamento pre-costituzionale della legittimazione della costituzione

Se ad ogni costituzione scritta corrisponde un contesto che orienta il


senso della sua interpretazione, vuol dire che ogni costituzione sconta dei
presupposti che la sua interpretazione solo come testo giuridico non per-
mette di evidenziare.
In altra sede si è riflettuto circa le condizioni della correlazione tra co-
munità e ordine dei poteri, che dopo la costituzione mista dell’ordine me-
dievale si sono evolute nel costituzionalismo “rivoluzionario” fondato sul-

( 30 ) Approfondimenti sul piano della filosofia politica dei profili indicati sono in V. Pos-
senti, L’uomo postmoderno. Tecnica religione politica, Genova, 2009, cap. I, spec. 20.
( 31 ) E.W. Böckenförde, La scuola storica e il problema della storicità del diritto, in Id., Di-
ritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, a cura di G. Preterossi, Bari, 2007,
31.
( 32 ) Sul punto si ricorda quanto osservato in Democrazia rappresentativa e costituzionali-
smo, cit., spec. 612 ss.
50 RENZO DICKMANN

l’esaltazione della volontà generale in parallelo con l’evolversi della realtà


statale, sulla scorta della filosofia occidentale (e delle sue contraddizioni)
dall’età moderna alla fine della seconda guerra mondiale ( 33 ).
Elusi i condizionamenti dogmatici dell’approccio alla costituzione su
di un piano solo formale, il giurista contemporaneo non può ignorare che il
collegamento tra testo e contesto costituzionale si spiega essenzialmente nel
senso che il secondo legittima il primo sulla base di una relazione di tipo
storico-politico, cioè ne fonda la legittimazione ( 34 ).
Poiché l’ermeneusi del testo visualizza anche il punto di vista dell’in-
terprete, ancorché svolta in corrispondenza delle pertinenti regole giuridi-
che e dei canoni della semantica, il risultato dell’interpretazione della costi-
tuzione-testo rimane circoscritto al caso di specie, quindi non è significati-
vo del senso dell’evoluzione della costituzione-contesto. Detto in altro mo-
do, l’interprete che si ponga davanti alla costituzione dal punto di vista del
suo testo, guarda “indietro” dal punto di vista del suo contesto, cogliendo
solo il momento iniziale in cui testo e contesto coincidevano.
Sotto il profilo della sua legittimazione, la costituzione vige dunque
quale testo di norme storicizzate alla luce e nella prospettiva del loro con-
testo.
La legittimazione in via esclusivamente giuridica della funzione della
costituzione e della sua primazia, sul piano cioè della teoria generale del di-
ritto, implica che il potere costituente sia un prius solo razionale. Invece si è
dimostrato che il giustificativo, la legittimazione, delle costituzioni demo-
cratiche è una questione di ordine storico-politico, consiste nel “bisogno di
costituzione” che un popolo avverte in una precisa contingenza storica, do-
po aver acquisito coscienza della propria capacità politica espressa da uno
o più movimenti costituzionali.
Il fondamento di una costituzione non è una questione razionale per-
ché corrisponde ad una esigenza storicamente affermatasi in una comunità

( 33 ) Sia consentito rinviare a Considerazioni sul senso della Costituzione, comunicazione al


Convegno su “Costituzionalismo e diritto costituzionale negli Stati integrati d’Europa” (Bari, 29-
30 aprile 2009), consultabile in federalismi.it, n. 9/2009 (www.federalismi.it), ed alla bibl. ivi cit.
In particolare si condivide la distinzione in diverse fasi del costituzionalismo in Europa – delle
origini, della “volontà generale” (di matrice giacobina), dell’età liberale, contemporaneo (dal se-
condo dopoguerra) – in M. Fioravanti, Costituzionalismo, cit., 5 ss., e in Il costituzionalismo glo-
bale: un’ipotesi ricostruttiva, relazione al Convegno su Globalizzazione economica e Costituziona-
lismo: l’utopia del costituzionalismo globale (Roma, 12 gennaio 2010 – atti in corso di pubblicazio-
ne).
( 34 ) Tale tesi si può dimostrare anche a contrario, in considerazione del fatto che l’univoci-
tà di tale rapporto si spiega in termini solo storici e politici, non logici. L’individuazione della su-
premazia della costituzione sul piano razionale è possibile solo nella dimensione della teoria ge-
nerale del diritto.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 51

che si è riconosciuta politicamente capace: a tal fine tale comunità-popolo


rileva ex ante, nella sua consistenza storico-politica di potere costituen-
te ( 35 ), non ex post, come fattore di validazione giuridica del testo costitu-
zionale posto. Da questo punto di vista il potere costituente del popolo non
è disponibile dalle forme della costituzione.
Il fondamento della forza giuridica della costituzione dipende allora
dall’effettività della sua legittimazione: si tratta di una questione che si pone
prima del giuridico, come questione politica di prospettiva costituzionale –
in breve “questione costituzionale” ( 36 ) – posta da un potere, il popolo, co-
stituente per il fine di fondare un nuovo ordine costituzionale in un deter-
minato momento storico ( 37 ).
A queste condizioni il potere costituente non si dissolve con la posi-

( 35 ) E.W. Böckenförde, Il potere costituente del popolo. Un concetto limite del diritto co-
stituzionale, in Id., Stato, costituzione, democrazia. Studi di teoria della costituzione e di diritto co-
stituzionale, a cura di M. Nicoletti - O. Brino, trad. it. a cura di O. Brino - M. Tomba, Milano,
2006, 118, definisce il potere costituente come “quella autorità e forza (politica) che è nella con-
dizione di produrre, sostenere e sopprimere la costituzione, nel suo diritto di validità normativa”
(segue, ibidem, nella nota 8) “Il potere costituente è quindi inteso come concetto di legittimazio-
ne”.
( 36 ) In Italia tale espressione non trova riscontri comparabili in termini lessicali: tuttavia la
dottrina costituzionalistica, subito dopo la promulgazione della Costituzione repubblicana, ha
cominciato a metterne in evidenza l’originalità rispetto agli altri atti normativi in base a conside-
razioni riferibili alla lettura prospettata nel testo. In particolare, sfogliando le pagine di alcuni de-
gli scritti più autorevoli, ci si è imbattuti in una lettura significativa da tale punto di vista. F. Pie-
randrei, L’interpretazione della Costituzione, in Studi di diritto costituzionale in memoria di Luigi
Rossi, Milano, 1952, 459 ss., riflettendo sui canoni dell’interpretazione giuridica, osserva (ibidem,
spec. 474) che le regole della Costituzione “rispondono a un fondamentale momento politico, per-
ché traducono sul piano giuridico le istanze basilari del ‘regime politico’ che certe forze siano riu-
scite ad instaurare. (...) la costituzione trova il suo fondamento in valori che, per essere supremi, si
presentano appunto come i valori accolti, relativamente all’ordine fondamentale della collettività,
dalle ideologie e dalle forze dominanti fra i consociati: valori dunque condizionati dal punto di vi-
sta storico e politico, sebbene discendano – è necessario tenerlo presente – da imprescindibili po-
stulati di ragione”. Si noti l’estremo tentativo di conciliazione tra dogmatica d’ispirazione webe-
riana (gli “imprescindibili postulati di ragione”) e matrice storica del rinnovamento costituzionale
appena avvenuto in Italia (rivelata dal riferimento al “momento politico” – il corsivo è dell’autore).
Più chiara è la lettura di E.W. Böckenförde, op. ult. cit., 113 ss., dove, in particolare (ibidem,
115), afferma: “Nessun ordinamento giuridico vigente sfugge alla necessità di fondarsi e di legit-
timarsi sulla base di circostanze pregiuridiche; esso perde altrimenti la propria forza e il proprio
diritto di validità. (...) Nella costituzione viene perciò innegabilmente alla luce il collegamento del
diritto con circostanze pregiuridiche”. La locuzione “questione costituzionale” compare in un’ac-
cezione comparabile a quella prospettata nel testo, come constitutional question, nel dibattito co-
stituzionale in corso nel Regno Unito circa i fondamenti di una “Carta fondamentale dei diritti e
delle responsabilità”, come documentato nel libro verde presentato al Parlamento dal Lord Can-
celliere e Ministro della Giustizia, Rights and Responsibilities: developing our constitutional fra-
mework, marzo 2009 (www.justice.gov.uk/publications/docs/rights-responsibilities.pdf), spec. p. 3.
( 37 ) V. Possenti, La buona società, cit., 20: “una filosofia politica sviluppata more geome-
trico ha alte probabilità di non porre la cruciale questione del fine”.
52 RENZO DICKMANN

zione della costituzione scritta per rimanere una categoria del giuridico:
permane anche dopo, come giustificativo necessario e originale di ogni
eventuale mutazione dell’ordine costituzionale.
La vicenda costituzionale italiana è esemplare sotto questo profilo
perché si è originata sotto il vigore di un preesistente ordine costituzio-
nale che, pur nel suo progressivo attenuarsi, ha conferito legittimità for-
male agli atti costituenti relativi al referendum consultivo per la scelta tra
monarchia e repubblica e all’istituzione di un’Assemblea con mandato
costituente ( 38 ).
Se la transizione costituzionale in Italia si è svolta incanalandosi in for-
me giuridiche cessate con la Costituzione vigente, si ritiene dimostrata la te-
si della neutralità politica delle forme giuridiche e la necessità di cercare il
fondamento legittimante il nuovo ordine nel contesto in cui è maturata la
transizione costituzionale e si sono formate le premesse della nuova costitu-
zione.
In tal senso il prius di molte costituzioni è evocato in preamboli o nel
relativo corpo da concetti impossibili da tradurre in termini giuridici in
quanto evocativi di una transizione ormai compiutasi, di cui permane l’ef-
fetto legittimante. Ad esempio, nel testo della Legge Fondamentale tedesca
si rinviene una locuzione sintetica dell’originalità storico-politica del nuovo
ordine costituzionale da essa fondato: “freiheitlich-democratische Grun-
dordnung”, ordinamento fondamentale liberal-democratico ( 39 ). Tali paro-
le si comprendono solo se interpretate in riferimento al contesto costituzio-
nale tedesco stabilizzatosi dopo la seconda guerra mondiale.
Quanto premesso consente di consolidare alcune acquisizioni della
presente analisi.
La costituzione promulgata vige, prima che per effetto della propria
legalità formale, in quanto espressione di un potere costituente storicamen-
te riconoscibile e originale sul piano politico, cioè grazie alla propria origi-
nale legittimazione politica.
La sua forza è “suprema” non solo in quanto di grado superiore nel-
l’ordine delle fonti ma anche perché di “qualità” diversa rispetto alla legge

( 38 ) Il decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, tradusse in norma l’accordo


che al termine della guerra fosse indetta una consultazione fra tutta la popolazione per scegliere la
forma dello Stato ed eleggere un’Assemblea costituente. Fu poi modificato dalla c.d. “costituzio-
ne provvisoria”, emanata con decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, istitutivo
del referendum per la scelta tra monarchia e repubblica e recante le norme per il funzionamento
dell’Assemblea costituente e per l’esercizio della funzione legislativa. Sul tema si veda L. Pala-
din, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, 2004, dove, spec. 37, evidenzia
una certa continuità nel processo di legittimazione e affermazione del nuovo ordine costituziona-
le.
( 39 ) Si vedano gli artt. 10.2, 11.2, 18, 21.2 e 91 della Legge Fondamentale tedesca.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 53

e agli atti di governo (normativi e non), nonché rispetto alle funzioni giudi-
ziaria e amministrativa.
La costituzione vige nella sua forza originale nella misura in cui il po-
tere che l’ha posta conserva la propria legittimazione costituente nell’ambi-
to del concreto svolgersi del processo costituzionale. La costituzione cioè è
il testo fondamentale finché il popolo ne è la fonte di legittimazione. Il lega-
me si realizza nel processo di costante implementazione e aggiornamento
della costituzione-testo alla luce del suo contesto, cioè nel processo costitu-
zionale.
L’aspirazione dell’ordine costituzionale alla stabilità non è contrad-
detta dalla possibilità di rivedere il testo della carta: le due esigenze si con-
ciliano se accomunate dalla necessità di corrispondere alla medesima que-
stione costituzionale come evolutasi nella dimensione del processo costitu-
zionale.
Per rappresentare questo concetto sono emblematiche le previsioni di
cui agli artt. 144 e 146 della Costituzione federale tedesca. L’art. 144 preve-
de la ratifica della Legge Fondamentale, cioè la sua integrazione di effica-
cia, mentre l’art. 146 ne qualifica la sua validità in prospettiva storica:
“Questa legge fondamentale, che in seguito al compimento della libertà e
della libertà della Germania vale per l’intero popolo tedesco, perde la sua
validità il giorno in cui entra in vigore una costituzione approvata con libe-
ra decisione del popolo tedesco”. La Legge Fondamentale tedesca soprav-
vivrà finché permarrà la legittimazione politica conferitale dal potere costi-
tuente che l’ha posta, il popolo tedesco.
Per l’Italia la legittimazione storico-politica del potere costituente
risulta dall’art. 1 Cost., che riconosce la sovranità popolare, e dall’art.
139 Cost., che, impedendo la revisione del modello repubblicano, rico-
nosce rango (pre)costituzionale alla scelta del popolo tra repubblica e
monarchia, e quindi al fatto politico dell’esito del referendum del 2 giu-
gno 1946, quando furono eletti anche i componenti dell’Assemblea costi-
tuente.
Il concetto ha una sua validità storica generalizzabile. Tocqueville l’ha
evidenziato in maniera efficace spiegando come la rivoluzione francese sia
stata un evento che ha permesso di registrare una transizione costituzionale
maturatasi a livello politico-sociale molti anni prima del 1789, a causa dello
spostamento da tempo in corso in Francia degli equilibri sociali ed econo-
mici e del cessato ruolo politico dell’antica nobiltà ( 40 ).

( 40 ) A. De Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, Parigi, 1856, spec. libro II, cap.
I e II.
54 RENZO DICKMANN

4. – Costituzioni nazionali e costituzioni democratiche

Le costituzioni corrispondono ai fini del costituzionalismo contempo-


raneo in quanto si leggano “a senso unico”, dal punto di vista della persona
umana, non anche da quello degli Stati, come le costituzioni concesse del
XIX secolo.
Si superano definitivamente, nei presupposti, le dottrine dello Stato
d’impianto organicistico, che consideravano la società come un elemento
irrilevante sul piano costituzionale: allo Stato spettava concedere la costitu-
zione e determinarne l’ambito di competenza, in funzione della sua titola-
rità esclusiva del potere sovrano, unica fonte di legittimazione dei poteri a
presidio e rappresentazione degli interessi del popolo-nazione. Le costitu-
zioni concesse erano costituzioni emblematiche dell’originalità nazionale
dello Stato. Con esse non si corrispondeva ad alcuna questione costituzio-
nale: i moti del XIX secolo non sono stati occasioni di legittimazione poli-
tica di quelle costituzioni perché per il relativo tramite non solo non si era
risolto l’ordine costituzionale preesistente, ma esso aveva tratto nuova legit-
timazione dopo la stagione della Restaurazione.
Data l’irrilevanza politica del concetto di “questione costituzionale”,
la coeva dottrina giuridica non aveva alcuna difficoltà a giustificare il fon-
damento della costituzione in termini solo giuridici.
Nel difetto di pluralismo costituzionale, il popolo poteva avere solo
consistenza etnica. Stato e popolo prima delle costituzioni democratiche
erano assimilati nella rappresentazione dell’idea di nazione sovrana, identi-
ficabile all’interno e nelle relazioni internazionali dalla forza (puissance)
dello Stato. La comunità internazionale era caratterizzata da relazioni im-
postate sulla base del criterio del balance of power: non era possibile indivi-
duare fini sovranazionali condivisi al di fuori di tale logica. Da qui l’oriz-
zonte essenzialmente nazionale del costituzionalismo ottocentesco ( 41 ).
Con il riconoscimento storico delle formazioni politiche presto non
furono più giustificabili letture assolutizzanti del popolo-nazione quale
premessa teorica valida anche nell’ambito delle dottrine della costituzione:
la relazione tra Stato e popolo non è più univoca né pacifica, quindi non è
spiegabile in termini solo giuridici.

( 41 ) Osserva N. Matteucci, Positivismo giuridico e costituzionalismo, cit., 1090 e 1094,


che lo stato moderno nazionale si è affermato per mezzo della sovranità, opposta sia verso l’ester-
no, emancipandosi dall’Impero e dalla Chiesa, sia verso l’interno, imponendo il proprio imperium
nelle forme del diritto direttamente sui sudditi, eliminando ogni ruolo dei gruppi intermedi e par-
ticolaristici. In questo senso (ibidem, 1073) il positivismo giuridico esprime la prevalenza del di-
ritto positivo nazionale sugli altri diritti di matrice pre-nazionale (il diritto naturale, il diritto ca-
nonico, la consuetudine e gli usi locali, lo jus commune, l’equità, ecc.).
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 55

La sua complessità si comprende come fattore evolutivo dell’ordine


costituzionale solo se trasformata, nei termini proposti, da questione teori-
ca e razionale in questione storico-politica. Dalle iniziative che maturarono
nella società per dare risposta a tale questione scaturirono vicende politiche
che portarono ad affermare il bisogno di un nuovo ordine costituzionale
democratico, all’inizio fortemente contrastato proprio sul piano della sua
legittimazione, come la vicenda di Weimar insegna.
Per altro verso una costituzione non si legge solo come norma di
organizzazione di poteri ma anche come statuto dell’equilibrio tra tali
poteri. Da un lato, registra le condizioni di tale equilibrio, riconoscen-
do parità costituzionale ai poteri statali e al popolo potere costituito;
dall’altro, introduce a livello costituzionale l’esigenza di giustizia degli at-
ti di tali poteri rispetto al tessuto di principi e valori che registra dal suo
contesto in forza della legittimazione ottenuta dal popolo potere costi-
tuente.
Assunto che le costituzioni politiche del secondo Novecento si com-
prendono solo dal punto di vista del popolo, consapevole della propria so-
vranità politica in quanto divenuto potere costituente, lo Stato non è più
l’assoluto giuridico (stato persona) conosciuto dai giuspubblicisti iniziatisi
alla scuola tedesca del XIX secolo, ma una parte del nuovo ordine costitu-
zionale, insieme di istituzioni che operano con forme democratiche per go-
vernare e assicurare giustizia.
Tuttavia alcuni elementi caratterizzanti le classiche dottrine dello Sta-
to sono sopravvissuti alla crisi dei relativi presupposti: in tal senso si leggo-
no le ricostruzioni del sistema delle fonti del diritto d’ispirazione kelsenia-
na, per le quali dalla costituzione all’ultimo atto normativo corre una uni-
voca relazione gerarchica di ordine giuridico.
Consapevole di porre una questione cruciale, nella limitatezza delle
presenti riflessioni sia consentito sostenere che, venuti meno con le costi-
tuzioni del secondo Novecento i fondamenti storici di tali ricostruzioni,
si è sensibilmente affievolito anche il relativo valore sul piano della teoria
generale del diritto, che si trova a fronteggiare un problema nuovo, la
dissoluzione dell’unitarietà del sistema delle fonti, con categorie vecchie.
Ad esempio, oltre agli argomenti forniti circa la limitazione della compe-
tenza normativa della costituzione che discende dalle sue premesse, tali
categorie non spiegano per quale ragione la norma fondamentale giuridi-
ca di una costituzione non valga di per sé a impedire la compressione
della sua forza derivante dall’appartenenza dello Stato a organizzazioni
sovranazionali e la sua incompetenza a disporre in modo contrario allo
jus gentium. Come si è visto nel § 1, le costituzioni nazionali trovano nel
diritto internazionale condizionamenti sempre più stringenti, molti dei
56 RENZO DICKMANN

quali fondati sulla necessità universalmente costituzionale di garantire i


diritti umani ( 42 ).
Legge e costituzione si trovano piuttosto in relazione di opposizione,
perché il costituzionalismo si è evoluto legittimando il potere costituente e
politico del popolo in contrapposizione (per limitarli) ai poteri di governo,
quindi anche alla legge. Lo Stato, una volta persa l’esclusiva unificante della
sovranità, consiste in un complesso di poteri coordinati all’insegna del fine
ma separatamente legittimati in relazione alle funzioni, da esercitare nel ri-
spetto del principio democratico, assurto a livello di principio fondamenta-
le di livello costituzionale.
Alla luce della soluzione della questione costituzionale, il moderno co-
stituzionalismo permette di sostenere che democrazia e costituzione s’incon-
trano non già nel testo ma prima, nel contesto costituzionale, dove (e quan-
do) si origina la sovranità del popolo autore della costituzione, di natura
ben diversa dell’idea di sovranità degli Stati nazionali. Lo svolgimento in
modo democratico di tale sovranità è un’implicazione costituzionale del
principio di autodeterminazione di ciascun popolo, che è riconosciuto in-
sopprimibile dal diritto internazionale ( 43 ).
Principio democratico e principio di autodeterminazione dei popoli
sono dunque correlati nella dimensione del processo costituzionale, dove si
origina e consolida la legittimazione della costituzione. Cessata la sovranità
assoluta degli Stati nazione, ed esauritosi l’ordine internazionale che ne era
conseguenza, è possibile sostenere che il contesto costituzionale si alimenta
anche dei principi e delle regole che condizionano l’evoluzione della comu-
nità internazionale all’insegna della tutela della persona, consentendo che
le carte costituzionali, ancorché silenti sul punto, vadano interpretate come
in linea di principio, nelle premesse, aperte al recepimento di tali principi e
regole.

5. – Sovranità e questione costituzionale: dalla comunità nazionale alla socie-


tà politica

Il diritto di voto politico libero e segreto è il diritto fondamentale rive-


lato dal costituzionalismo contemporaneo. Questo ha comportato un rin-

( 42 ) Sull’argomento si rinvia a Democrazia rappresentativa e costituzionalismo, cit., 612 ss.


( 43 ) Questa lettura è in J. Maritain, L’uomo e lo stato (1951), trad. it. di L. Frattini, Ge-
nova, 2003, 40 ss.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 57

novamento della dinamica istituzionale, portando in evidenza il necessario


ruolo costituzionale dei parlamenti ( 44 ).
I poteri di governo sono legittimati da camere rappresentative del po-
polo, titolare della sovranità, e i poteri di garanzia, per la soluzione di con-
flitti e il controllo di costituzionalità delle leggi, sono legittimati dalla costi-
tuzione a conservazione della propria funzione.
Tale prospettiva porta a considerare il punto di vista dello Stato, la
“ragion di stato”, come una derivata della garanzia dell’ordine costituzio-
nale dal punto di vista del popolo sovrano. Altrimenti la ragion di stato non
ha più dignità costituzionale.
Ciò comporta che ai fini del costituzionalismo la sovranità del popolo
non può intendersi alla maniera di Schmitt ( 45 ) come “sovranità della nazio-
ne”, a sua volta sinonimo di “sovranità statale”. La sovranità è solo una
qualità della soggettività politica di un popolo che sia riuscito ad affermarsi
come società politica, in quanto cioè abbia maturato piena coscienza del
proprio diritto all’autodeterminazione. La nazionalità è un attributo del
singolo, non del popolo: non rinforza la posizione del soggetto giuridico sul
piano delle garanzie dei propri diritti civili. La sua mancanza relativamente
ad un certo ordinamento non compromette la partecipazione del soggetto
alla tutela piena dei diritti e delle libertà proprie della natura umana. Non
occorre essere cittadini per godere pienamente della dignità di persona ( 46 ).
Le costituzioni occidentali contemporanee sono tendenzialmente
neutrali dal punto di vista dell’appartenenza nazionale quanto alla garanzia
dei diritti e delle libertà. La posizione di una questione costituzionale alla
luce di una pregiudiziale di tipo nazionale può determinare la disgregazio-
ne di un ordine costituzionale, come la storia dimostra con riferimento, ad
esempio, alla crisi che negli anni 1991-1995 ha dissolto la Jugoslavia.
Solo differenziando nazione, società politica e Stato si può apprezzare

( 44 ) Sul punto si rinvia a Democrazia rappresentativa e costituzionalismo, cit., 632.


( 45 ) C. Schmitt, Dottrina della costituzione, a cura di A. Caracciolo, Milano, 1984, 303:
“Uno stato democratico che nell’omogeneità nazionale dei suoi cittadini trova i presupposti della
sua democrazia, corrisponde al cosiddetto principio di nazionalità, secondo cui una nazione for-
ma uno stato e uno stato racchiude una nazione”.
( 46 ) Ad esempio, le normative che regolamentano l’acquisto della cittadinanza con
esclusivo rifermento al principio dello jus sanguinis scontano una prospettiva che non si con-
cilia del tutto con la lettura proposta. Ad esempio, come osserva V. Baldini, Lo stato multi-
culturale e il mito della Costituzione per valori, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 14,
una Costituzione inclusivista come quella italiana non sembra vincolare la legislazione in ma-
teria a questo solo criterio, in quanto non si fonda sulla pregiudiziale nazionale nella definizio-
ne dei diritti civili e politici, economici e sociali, dei cittadini del “popolo italiano”. A tal fine
dunque la nazionalità è un “paradigma in crisi”, come spiega S. Staiano, Migrazioni e para-
digmi della cittadinanza: alcune questioni di metodo, in federalismi.it, n. 21/2008 (www.federa-
lismi.it), spec. 8 ss.
58 RENZO DICKMANN

il valore legittimante della questione costituzionale nei termini fin qui pro-
spettati, enfatizzando il valore della costituzione nella preservazione di un
ordine costituzionale in equilibrio.
A tal fine è di aiuto il pensiero di Maritain ( 47 ), che differenzia il popo-
lo-nazione dalla società politica sotto il profilo del ruolo costituzionale del-
la persona e dimostra come solo nella società politica ne sia valorizzato il
profilo volontaristico, consentendole la partecipazione consapevole alla vi-
ta politica nelle istituzioni e nella società. Il passaggio tra le due dimensioni
si determina quando l’uomo matura il senso della propria libertà e si rico-
nosce autonomo anche verso lo Stato. Sotto questo profilo la società politi-
ca è un concetto essenzialmente storico, come storico è il processo che ne
determina il consolidamento sulla base della maturazione di una coscienza
politica nell’ambito di una comunità preesistente. Il solo profilo etnico di
questa comunità, la sua consistenza di “nazione”, non conferisce anche
consistenza politica a tale comunità ( 48 ).
Lo Stato deve corrispondere alle esigenze che maturano nella società
politica, di cui deve organizzare l’espressione con le forme della rappresen-
tanza democratica, ma non deve anche corrispondere alle rivendicazioni di
ordine etnico localizzate nella comunità, riconoscendo ad esse dignità di
questioni costituzionali. Lo Stato è parte della società politica ma è estraneo
alla comunità nazionale. Pertanto, mentre la società politica è un’idea sto-
ricizzata ed inclusiva, la comunità nazionale, in quanto si caratterizzi solo
su di un piano etnico, è incapace di per sé di esprimere una qualche forma
di coscienza politica costituzionalmente rilevante in termini originali.
Le ragioni costituzionali dello Stato democratico di diritto si origina-
no dunque con lo strutturarsi di una comunità – nazionale o plurinazionale
– in società politica.
La storia dimostra come una società politica, nella quale il tratto storico-
etnico permane solo come attributo a-politico, si preserva come originale ( 49 ).

( 47 ) J. Maritain, L’uomo e lo stato, cit., spec. 5-30. Tale posizione è ripresa e sviluppata in
V. Possenti, La buona società, cit., 40 ss. (spec. 41-42).
( 48 ) Questo aspetto è ben spiegato da E.W. Böckenförde, La nazione. Identità nella dif-
ferenza, in Id., Diritto e secolarizzazione, cit., 137 ss., dove sottolinea come il profilo della nazio-
nalità di una determinata comunità acquisisce consistenza costituzionale solo se accompagnato da
una coscienza politica, cioè “ha bisogno del sostegno di un’idea politica” (ibidem, 157).
( 49 ) J. Maritain, L’uomo e lo stato, cit., 14, osserva che tale originalità consiste in “un’ere-
dità di strutture accettate e indiscutibili, di costumi e di sentimenti comuni profondamente radi-
cati che fanno entrare nella stessa vita sociale qualcosa dei dati fisici determinati dalla natura (...),
una comune esperienza ereditaria e gli istinti morali intellettuali che costituiscono una sorta di
saggezza empirica e pratica, assai più profonda, densa e vicina al complesso e segreto dinamismo
della vita umana che non qualsiasi costruzione artificiale della ragione”. Maritain dunque non ne-
ga rilievo al profilo della nazionalità ma, mutuando allo scopo i termini della tesi esposta nel testo,
lo riconduce alla dimensione del contesto costituzionale. Al riguardo l’importanza del profilo del-
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 59

Nella società politica la comunità nazionale convive con altre comuni-


tà naturali – famiglie, associazioni, partiti – e con minoranze linguistiche in-
tegrate: l’originalità della società che ne risulta si consolida in costituzione
sotto forma di principi e valori che ne esprimono l’identità costituziona-
le ( 50 ). La preservazione di tale identità giova ad una equilibrata convivenza
all’insegna del pluralismo democratico, nel nome del quale si realizza la di-
gnità della persona, libera ed uguale anche rispetto allo Stato, che solo a
queste condizioni è a sua volta parte della società politica in quanto chia-
mato a svolgervi interventi ispirati da intenti solidali e di sostegno secondo
i noti principi di sussidiarietà e proporzionalità.

6. – Le costituzioni democratiche come simboli costituzionali

La soluzione della questione costituzionale nella prospettiva del costi-


tuzionalismo contemporaneo è anticipata da alcune carte dei primi anni
’20, la Costituzione della Germania di Weimar (1919) e quella dell’Austria
federale (1920), quest’ultima contraddistinta dalla prima corte costituzio-
nale europea, custode dell’ordine costituzionale e di un catalogo dei diritti
fondamentali che vi era stato importato dalla Costituzione austriaca del
1867. Si tratta delle prime costituzioni politiche orientate verso la persona,
poi diffusesi in Europa grazie al successo del modello nordamericano ( 51 ).
Dopo aver rilevato che le costituzioni moderne si comprendono com-
piutamente sul piano giuridico se si interpretano sulla base del senso che
loro deriva dal processo nel quale si è data risposta alla questione costitu-
zionale, è ragionevole sostenere che alla base delle costituzioni democrati-
che non ci può essere solo una norma fondamentale autenticamente giuri-
dica.
Si è dimostrato che la successione tra due ordini costituzionali può es-
sere rivoluzionaria, quindi con soluzione della continuità dell’equilibrio co-
stituzionale e delle sue fonti, ovvero non traumatica in quanto incanalata in
forme giuridiche: in entrambi i casi la legittimazione della nuova Carta si

la nazionalità nella garanzia dei diritti umani è evidenziata da H. Arendt, Le origini del totalita-
rismo, cit., 415: “La perdita dei diritti nazionali ha portato con sé in tutti i casi la perdita dei diritti
umani”.
( 50 ) La locuzione “identità costituzionale” è mutuata da BVerfGE, 2BvE, 2008, del 30 giu-
gno 2009, commentata in federalismi.it, n. 14/2009 (www.federalismi.it), da L. Cassetti, R. Dick-
mann e F. Liberati (si vedano spec. i punti 208-217).
( 51 ) Questa lettura è svolta in Considerazioni sul senso della Costituzione, cit., spec. § 3. Sul
rilievo della Costituzione di Weimar in funzione di stabilizzazione e tutela dei diritti umani si ve-
dano i contributi di F. Lanchester, Introduzione, e D. Grimm, La Costituzione di Weimar vista
nella prospettiva del Grundgesetz, nell’ambito del Convegno “Weimar e il problema politico-co-
stituzionale italiano” (Roma, 19 ottobre 2009) (gli atti sono consultabili in www.parlalex.it).
60 RENZO DICKMANN

produce in un ordine pre-costituzionale, sicché porne il fondamento solo


nel giuridico non spiega di per sé la transizione costituzionale.
Il fondamento delle costituzioni contemporanee si comprende muo-
vendo dall’assunto del primato del politico sul giuridico. In tal senso tali
costituzioni hanno un attributo indefettibile, che le rende un’esperienza
originale: sono democratiche, il relativo paradigma è la persona, non lo Sta-
to.
Il costituzionalismo del secondo dopoguerra ha assunto un preciso
orientamento in favore della persona, al punto da essersi sviluppato all’in-
segna non solo di dottrine giuridiche ma anche di principi e valori culturali
qualificanti del rinnovamento che presuppone, evocati con solennità in
molte costituzioni ( 52 ).
Si è dimostrato che le prospettive del contesto costituzionale superano
i confini nazionali dove si dispiega la forza giuridica della costituzione-te-
sto.
Si è anche dimostrato che le clausole costituzionali di principio e di
valore si dispiegano non solo con valenza evocativa ma anche con forza giu-
ridica di rango costituzionale in sede interpretativa: non sono solo parole,
spesso essenziali e riassuntive, ma esemplificano la valenza della costituzio-
ne quale simbolo della soluzione data alla questione costituzionale (da
sυνβαλλω, unisco). Alcuni attributi che rivelano una costituzione simbolo
sono “liberale”, “cristiano-sociale”, “antitotalitaria”, “con radici giudaico-
cristiane”, e via dicendo. La costituzione simbolo rappresenta sul piano
delle relazioni sociali e civili l’avvenuto consolidamento di limiti ordinativi
propri della società politica come società naturale ispirata dal bisogno di
una costituzione che assolva anche ad una funzione equilibratrice.
Ad esempio, la Costituzione federale americana, integrata (non modi-
ficata) da alcuni emendamenti nell’arco di una storia di oltre due secoli,
nella sua consistenza di documento non permette di capire la complessa
evoluzione di quell’esperienza, che invece riassume efficacemente se intesa
come simbolo: gli Stati Uniti hanno attraversato gravissime crisi senza per-
dere la propria continuità grazie all’elasticità del proprio contesto costitu-
zionale, dove la Carta scritta è risultata ampiamente integrata da elementi
di una più che solida “costituzione materiale”, alla cui formazione hanno
contribuito tutti i poteri federali, che allo scopo hanno svolto una funzione
autenticamente costituzionale, politicamente legittimata nei termini sugge-
riti nelle pagine precedenti, in funzione cioè della soluzione della medesima
questione costituzionale.
Questa lettura induce la dottrina d’oltreoceano a parlare della Costi-

( 52 ) Si veda anche la nota 24.


COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 61

tuzione federale in termini di legalized constitution, per sottolineare che so-


lo in casi estremi è stato formalmente necessario intervenire con emenda-
menti approvati con una procedura rinforzata e con il coinvolgimento degli
stati federati; ordinariamente infatti la Costituzione si è evoluta – e si evolve
– in una dimensione sostanziale, di common law, che qualifica il modello
statunitense in termini originali pur in presenza di una costituzione rigi-
da ( 53 ), non altrimenti spiegabili se non ricorrendo alle argomentazioni
svolte nelle precedenti pagine.
Questo dato risalta ponendo a confronto l’esperienza costituzionale
federale con le esperienze costituzionali degli stati federati, le cui costitu-
zioni hanno subito innumerevoli modifiche e revisioni ( 54 ). Sicché può so-
stenersi, in coerenza con le premesse della presente analisi, che la Costitu-
zione federale degli Stati Uniti (scritta e “materiale”) sia anche il contesto
(costituzionale) delle costituzioni degli stati federati, che infatti sono coin-
volti nel relativo procedimento di revisione; e che in definitiva le cinquanta
costituzioni statali si saldino con la stessa Costituzione federale, che acqui-
sisce senso compiuto in combinazione con queste e con le relative vicende
modificative.
Si tratta di un modello che, nonostante la rilevanza, solo marginalmen-
te è stato tenuto presente nello studio del fenomeno costituzionale in Euro-
pa, dove pure può ritenersi in via di formazione un contesto costituzionale
accomunante rispetto alle varie costituzioni nazionali. Alla relativa luce si
può apprezzare meglio il senso della tesi svolta, per la quale i principi ed i
valori che sono a fondamento delle costituzioni democratiche si riverbera-
no nell’interpretazione giuridica come implicazioni normative di un conte-
sto costituzionale indisponibile dalle forme delle costituzioni scritte ( 55 ).
Tale indicazione consente ad esempio di fondare il rilievo supercostituzio-
nale dei principi supremi o fondamentali rispetto alla Costituzione italiana,

( 53 ) S.M. Griffin, Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica, 1996, trad. it. a
cura di D. Girotto, Bologna, 2003, spec. 46, per la definizione di legalized constitution (per le
ragioni esposte non si condivide la traduzione di tale locuzione, ricorrente nel volume, in termini
di “costituzione assimilata alla legge”), e 108, dove parla di norme “funzionalmente equivalenti”
alla Costituzione federale.
( 54 ) S.M. Griffin, op. ult. cit., 72 ss.
( 55 ) Per una comparazione si veda E.W. Böckenförde, Diritti fondamentali come norme
di principio, in Id., Stato, costituzione, democrazia, cit., 209 ss., dove illustra la giurisprudenza del
BVerfGE, sulla base della quale i diritti fondamentali nell’ordinamento tedesco sono considerati
dotati di un doppio carattere: da una parte “diritti soggettivi di libertà” orientati alla difesa del
singolo nei confronti dello Stato; dall’altra “norme oggettive di principio” o “scelte di valore” che
formano un “ordinamento di valore oggettivo” (ibidem, spec. 214-219), che ne consente la “irra-
diazione” (Austrahlung) a tutti gli ambiti del diritto, imponendo “compiti d’azione” e “doveri di
protezione” (si vedano, ibidem, 228-230, i riferimenti alla giurisprudenza del BVerfGE).
62 RENZO DICKMANN

a fianco dei diritti inalienabili della persona umana, evidenziati dalla Corte
costituzionale ( 56 ).
Il contesto costituzionale si rivela effettivamente nell’interpretazione
giuridica come momento qualificante del processo costituzionale in corso
quando i suoi interpreti si comportino non solo come filologi del testo ma
soprattutto come storici del suo contesto. La vocazione simbolica della co-
stituzione ne rinforza la consistenza in rapporto alle sue premesse. Il meto-
do dell’interpretazione sistematica della costituzione corrisponde a tale vo-
cazione, perché ne valorizza la funzione e ne vivifica i precetti in coerenza
con il proprio senso originario ( 57 ).
La conseguenza potrebbe essere un ridimensionamento dell’assolu-
tezza della primazia del parlamento legislatore espressione della maggio-
ranza, in quanto vincolato dall’esigenza che i propri atti siano conformi ai
“principi normativi” che si originano dal contesto costituzionale ( 58 ).

7. – La funzione costituzionale come garanzia della costituzione


Il contesto di una costituzione indirizza il processo costituzionale.
Consente che il testo si consolidi, ne costituisce le radici, le rende indispo-
nibili alle forme della revisione. Il contesto emerge nell’interpretazione co-
stituzionale, che pertanto è profondamente diversa dall’interpretazione
delle altre fonti del diritto interne.

( 56 ) La Corte, nella sent., 29 dicembre 1988, n. 1146, punto 2.1 in diritto, qualifica i
principi supremi come “i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli
non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei va-
lori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana” e “non possono essere sovvertiti o mo-
dificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre
leggi costituzionali”, e sostiene la propria competenza “a giudicare sulla conformità delle leggi
di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei con fronti dei principi su-
premi dell’ordinamento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo
di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non ef-
fettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore”. In dottrina si segnalano sul
punto C. Mortati, voce Costituzione, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, spec. 214 ss.; F.P. Ca-
savola, I principi supremi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Foro it., 1995, V,
155 ss.; L. Elia, I principi supremi presi sul serio, in Giur. cost., 2009, 2147 ss. (già in Scritti in
memoria di V. Sgroi, Milano, 2008, 833 ss.); R. Bin - G. Pitruzzella, Diritto costituzionale,
2009, 327 (che dove sono intesi come sovrapposti alla Costituzione in virtù di una relazione di
“gerarchia materiale”).
( 57 ) Non è un caso che l’interpretazione sistematica sia un canone ermeneutico condiviso
dalle corti costituzionali: oltre alla Corte costituzionale italiana, si veda ad esempio, in Germania,
BVerfGE, 1, n. 14, (23 ottobre 1951) Südweststaat.
( 58 ) In tal senso E.W. Böckenförde, op. ult. cit., 256 ss., ritiene sul piano della teoria del-
lo stato che tanto più è riconosciuta capacità normativa ai diritti fondamentali, tanto minore di-
venta il ruolo del parlamento e tanto maggiore quello degli interpreti della costituzione, in primis
la Corte costituzionale.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 63

Anche una lettura di tipo positivista porta a ritenere che il testo non
esaurisca la dimensione costituzionale; tuttavia propende a considerare la
costituzione essenzialmente come testo di norme giuridiche ( 59 ).
La messa a fuoco del senso delle costituzioni democratiche, il giustifi-
cativo in termini di legittimazione che viene dalla loro dimensione materia-
le, consente di comprenderne la relazione con il diritto positivo di fonte le-
gislativa in termini rinnovati dalle premesse del costituzionalismo contem-
poraneo. Cessata l’affidabilità di una norma costituzionale autenticamente
solo giuridica, l’originale fondamento politico della costituzione la contrap-
pone strutturalmente (causalmente) alla legge, che ad essa deve adeguarsi
per preservarsi come fonte del diritto legittima.
Le norme ordinarie devono essere adattate costantemente alla costitu-
zione vivente. La costituzionalità delle norme si verifica raccordandole alle
questioni che si pongono nella società politica ed in funzione dell’ordine
per essa posto dalla costituzione ( 60 ).
Le questioni di legittimità costituzionale sono pertanto delle questioni
a loro modo “politiche”. La legittimità degli atti normativi e dei provvedi-
menti autoritativi rispetto alla legge è invece una questione solo giuridica.
Ne deriva un’insopprimibile differenza sul piano giuridico tra legalità costi-
tuzionale e legalità legale ( 61 ).
La Corte costituzionale italiana abitualmente risolve le questioni ad
essa rimesse operando una ricostruzione nella quale non manca di svolgere
argomenti con i quali ricondurre le norme impugnate ad un sistema di re-
gole e parametri unitario nella riferibilità alla Costituzione, come mirabil-
mente dimostra la sua giurisprudenza in materia di principi e valori costrui-
ta attorno al metodo del “bilanciamento” ( 62 ).
Tale giurisprudenza costituisce un’espressione “politica” originale,
non in contraddizione con il ruolo delle Camere legislative, come eviden-
ziato dall’art. 136 Cost. L’originalità politica delle Camere traduce la regola
della rappresentanza democratica nel funzionamento delle istituzioni costi-
tuzionali. Quella della Corte costituisce invece espressione di una modalità
di garanzia della Costituzione.

( 59 ) Ad esempio, si veda A. Pace, Le sfide del costituzionalismo del XXI secolo, cit., 10-11.
( 60 ) T. Ascarelli, Giurisprudenza costituzionale e teoria dell’interpretazione, in Id., Pro-
blemi giuridici, I, Milano, 1959, 140 ss.; L. Mengoni, Teoria generale dell’ermeneutica giuridica in
Id., Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, 16-23.
( 61 ) Sulla distinzione tra “legalità costituzionale” e “legalità legale” si veda Corte cost., 6 lu-
glio 2004, n. 206, punto 3.2 in diritto. In dottrina si veda in particolare M. Luciani, Su legalità co-
stituzionale, legalità legale e unità dell’ordinamento, in Scritti in onore di Gianni Ferrara, cit., 501 ss.
( 62 ) Sul punto di recente si veda A. Baldassarre, Una risposta a Guastini, cit., spec. 3281
ss.
64 RENZO DICKMANN

Si è consapevoli che la lettura fin qui svolta evoca sotto vari aspetti la
dottrina mortatiana della costituzione materiale.
Nel Mortati ( 63 ) che scriveva in assenza di una costituzione formale ed
in presenza di un ordine “costituzionale” non legittimato in termini demo-
cratici, la percezione del bisogno di una costituzione materiale non corri-
sponde alla necessità di risolvere una qualche questione fondamentale
presso la società politica ma si giustifica alla luce del fine (per lui “costitu-
zionale”) di individuare una forza capace di garantire equilibrio e stabilità
nella comunità nazionale; il che non corrisponde evidentemente alle ragio-
ni del costituzionalismo alla luce delle costituzioni democratiche del secon-
do dopoguerra ( 64 ). Nel Mortati della voce Costituzione questa indicazione
subisce un adattamento alla luce delle premesse del nuovo ordine costitu-
zionale ( 65 ).
Questo assunto si dimostra valido anche in assenza di una costitu-
zione scritta: gli inglesi dimostrano che quando esiste una dimensione
storica che accomuna in ragione del fine documenti di varie epoche a vo-
cazione costituzionale (anche se non denominati come tali), può formarsi
un contesto costituzionale vincolante quanto (se non più di) un testo
scritto ( 66 ).
Per altro verso, se la presenza di una costituzione positiva lascia pre-
sumere come avvenuta la transizione con il precedente ordine costituziona-
le, il fatto che occorra del tempo affinché tale transizione si percepisca si
spiega con la necessità che le novità costituzionali siano prima assimilate
nel contesto costituzionale. È emblematica l’esperienza italiana in materia
di controllo di costituzionalità delle leggi prima dell’entrata in funzione
della Corte costituzionale.
La lettura proposta mira a sostenere che solo l’interpretazione e l’at-
tuazione qualificate del testo costituzionale, svolte cioè da poteri espressa-
mente legittimati, lo mantengono coerente con i propri fini. Questi poteri
sono originalmente “politici” in quanto convergenti nel fine di svolgere una
specifica funzione di garanzia della costituzione. Le sedi, le forme e gli atti
in cui tali poteri assolvono al proprio compito si accomunano sul piano

( 63 ) C. Mortati, La costituzione in senso materiale, 1940, rist. Milano, 1998, con premessa
di G. Zagrebelsky, 11.
( 64 ) Sul punto si veda M. Fioravanti, Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze
attuali, Bari, 2009, 9 ss.
( 65 ) C. Mortati, voce Costituzione, cit., spec. 144-145, 153-155, 162-165, 169 ss., 214 ss.
( 66 ) Sia consentito un mero rinvio alle riflessioni di W. Bagehot, La costituzione inglese,
1867, trad. it. a cura di G. Rebuffa, Bologna, 1995, sul confronto tra dignified e efficient consti-
tution.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 65

causale in una funzione che si propone di identificare con il nome di funzio-


ne costituzionale ( 67 ).
La funzione costituzionale permette di esprimere la permanente rela-
zione, non solo giuridica, tra testo e contesto costituzionale, in base alla
quale i giudici costituzionali e altri poteri dello Stato legittimati dalla Costi-
tuzione ( 68 ) possono consolidarla e difenderla, a garanzia dei principi e va-
lori costituzionali ed opponendosi a sue torsioni e strumentalizzazioni, che
possono conseguire da scelte di governo.
La funzione costituzionale si distingue dalle funzioni legislativa, ese-
cutiva e giudiziaria, non solo in termini giuridici, per il superiore livello ge-
rarchico della fonte, ma anche dal punto di vista politico, per l’originalità
della sua legittimazione. Questa lettura è possibile solo per le costituzioni
democratiche, la cui legittimazione è permanentemente una questione po-
litica. Non è invece possibile per le costituzioni ottocentesche e per quelle
antidemocratiche, la cui legittimazione si risolve in una questione solo giu-
ridica, dal punto di vista del potere.
Si è prospettata in altra sede una concezione di costituzione che com-
bina la funzione organizzativa con quella di stabilizzazione dell’ordine so-
ciale al fine di realizzare un equilibrio tra libertà e potere nella comunità or-
ganizzata sotto il suo vigore, come risulta dalla relativa etimologia ( 69 ). In
quell’occasione si era inteso rappresentare il senso proprio e irrinunciabile
della costituzione, logicamente antecedente la propria funzione ordinatri-
ce, normativa: preservare l’equilibrio raggiunto tra potere e individui, per
favorire il benessere della comunità governata e assicurare la soddisfazione

( 67 ) Di “funzione costituzionale” in dottrina non si parla in accezioni univoche. Tutta-


via si ritiene di proporre questa locuzione in relazione agli argomenti di cui al testo rileggendo
la dichiarazione resa alla stampa dal Presidente della Corte costituzionale, Gaetano Azzariti, il
6 luglio 1957, dove sosteneva che quella della Corte è una “funzione costituzionale autono-
ma”. Sulla politicità dell’interpretazione costituzionale si veda C. Mortati, Costituzione, cit.,
180-185.
( 68 ) Oltre la Corte, in Italia possono ritenersi espressione della funzione costituzionale il
Presidente della Repubblica, le Assemblee parlamentari e il corpo elettorale secondo quanto pre-
visto dall’art. 138 Cost., ed a certe condizioni anche i Presidenti di tali Assemblee, ad esempio in
sede di vaglio di ammissibilità delle proposte legislative. La Corte costituzionale sembra consape-
vole di tale funzione quando riconosce di dover interpretare la Costituzione con l’obiettivo “della
massima espressione delle garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle
norme costituzionali che hanno ad oggetto i diritti fondamentali” (Corte cost., 4 dicembre 2009,
n. 317, punto 7 in diritto).
( 69 ) In Considerazioni sul senso della Costituzione, cit., § 1, osservavo che il termine costi-
tuzione: “pare originarsi dal concorso delle radici di due verbi latini, constituere e consistere. Il
primo significa essenzialmente ‘istituire’, ‘fondare’; il secondo ‘fermarsi’ nella prospettiva di una
sistemazione stabile”.
66 RENZO DICKMANN

degli interessi e bisogni che hanno mosso i relativi componenti a consociar-


si sotto istituzioni comuni e rappresentative.
La strutturazione delle costituzioni in termini formalmente rinforzati
traduce la specifica preoccupazione dei costituenti di non consentire che
episodiche crisi portino a rimettere in discussione le premesse dell’ordine
faticosamente consolidatosi in equilibrio: sotto questo profilo funzione co-
stituzionale e garanzia della costituzione sono compiti correlati ed indistin-
guibili.
Trasformare una questione di governo in questione costituzionale è
pertanto un atto anticostituzionale.

8. – Costituzione scritta e costituzione storicizzata


L’analisi fin qui svolta dimostra che la scrittura di una nuova costituzio-
ne in sé non è costitutiva di una transizione costituzionale: questa si riscon-
tra prima, nella dimensione del contesto costituzionale. La scrittura ne costi-
tuisce un momento di solennizzazione, attraverso il quale la costituzione co-
me ordine si conforma alle premesse che ne qualificano il contesto. Poiché è
nel contesto che matura la transizione tra due ordini costituzionali, la scrit-
tura di un documento che la registri espressamente non è una necessità di or-
dine giuridico. Per altro verso la scrittura non può costituire un limite della
prospettiva storico-politica della costituzione, nei termini evidenziati.
L’assenza (o la rarità) di modifiche della costituzione scritta da sola
non può rivelare lo stato del processo costituzionale.
Le costituzioni di matrice rivoluzionaria sono scritte per esplicitare l’in-
tento risolutorio di un precedente ordine costituzionale, che si intende rin-
novare nelle sue premesse di principio e di valore. Da questo punto di vista
ogni nuova costituzione reca in sé un giudizio di valore su quella preceden-
te. La transizione costituzionale, che giustifica questo giudizio, può anche es-
sere già maturata nel contesto costituzionale, come dimostra Tocqueville ( 70 ).
Laddove manchino momenti rivoluzionari non esiste la necessità di scrivere
una nuova costituzione quando si riveli efficace il consolidamento in corso del
contesto costituzionale simboleggiato dalla carta vigente.
Singole tappe dell’evoluzione di un determinato contesto fondativo di
una certa costituzione-ordine possono risultare da documenti “costituzio-
nali” dal punto di vista della funzione, come la Magna charta del 1215 e il
Bill of rights del 1689, che costituiscono i testi fondamentali della costitu-
zione inglese, contraddistinta da un’evoluzione senza cesure in rapporto al-
le diverse fasi del costituzionalismo.

( 70 ) Si veda la nota 40.


COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 67

Non è privo d’interesse a tal fine sottolineare come tale lettura sia so-
stenuta da altre esperienze straniere: la storia costituzionale austriaca si fon-
da su di una costante implementazione del testo del 1920, anche mediante
la “costituzionalizzazione” di atti internazionali concernenti i diritti umani,
primo dei quali la CEDU. Tale Costituzione si colloca in un contesto gover-
nato da principi fondamentali, di rilievo autenticamente normativo, quali il
principio repubblicano democratico, il principio statale federale e il princi-
pio dello stato di diritto, che ne preservano la stabilità, concorrendo a defi-
nire un contesto non superabile in sede di revisione costituzionale ( 71 ).
La Legge Fondamentale tedesca (art. 140 GG) ha importato nel suo
corpo gli artt. da 136 a 141 della Costituzione di Weimar, in materia di di-
ritti e doveri civili e politici, significandone sul punto la continuità con l’ori-
ginario contesto di Weimar.
La Costituzione francese, ai sensi del suo preambolo, si alimenta di un
bloc de constitutionnalité rappresentato dalla Dichiarazione dei diritti del-
l’Uomo del 1789, come integrata dal preambolo della Costituzione francese
del 1946 (IV Repubblica) e dalla Carta sull’ambiente del 2005 ( 72 ).
La Costituzione statunitense nel suo testo ufficiale, come rilevato in
precedenza, è ormai il simbolo di un processo costituzionale sempre in cor-
so in rapporto ai fini costituzionali originari ( 73 ).
La Costituzione belga del 1831 continua a vigere, nel testo coordinato
del 17 febbraio 1994, alla luce della costante implementazione del suo con-
testo dovuta all’irrinunciabilità delle novità del costituzionalismo contem-
poraneo europeo evidenziate soprattutto dalla Cour d’arbitrage ( 74 ).

( 71 ) T. Öhlinger, Austria, in Le Costituzioni dei Paesi dell’Unione europea, a cura di E.


Palici Di Suni Prat - F. Cassella - M. Comba, Padova, 2001, 81 ss.
( 72 ) Loi constitutionnelle 2005-205 del 1o marzo 2005.
( 73 ) Significative sono le indicazioni in tal senso della Corte suprema contenute nella sto-
rica sent. Marbury vs. Madison, 5 U.S. (1 Cranch) 137 (1803), dove sostanzialmente la Corte chia-
risce che la limitazione dei poteri che discende dal testo della Costituzione scritta si deve imple-
mentare in via effettiva e che il judicial review, in quella sede introdotto, si legittima in quanto cor-
risponda alla funzione della costituzione. Ai fini della ponderazione del concetto di “questione
costituzionale”, ricorrente nel presente saggio, è utile riportare il seguente passaggio della cit.
sent.: “La questione, se un atto, contrario alla Costituzione, possa diventare una legge del Paese, è
una questione che interessa profondamente gli Stati Uniti, ma, fortunatamente, la sua complessità
non è proporzionale al suo interesse. Sembra necessario solamente riconoscere alcuni principi,
che si suppongono già ben radicati da tempo, per deciderla. Che il popolo abbia il diritto origi-
nario di stabilire, per il proprio governo futuro, quei principi che riterrà portarlo alla felicità, è la
base su cui si fonda l’intera società americana. L’esercizio di questo diritto originario costituisce
un grande sforzo, né può né deve, essere ripetuto di frequente. Quindi, i principi, che sono stati in
tal modo stabiliti, sono considerati fondamentali, e poiché l’autorità dalla quale sono emanati è
suprema e raramente può agire, (tali principi) sono concepiti per essere permanenti”.
( 74 ) J. Sarot, P. Vandernot, E. Peremans, La jurisprudence de la Cour d’arbitrage, Brus-
sels, Bruylant, 1995.
68 RENZO DICKMANN

La Costituzione svedese consta di una pluralità di testi accomunati


nella funzione ( 75 ).
La Costituzione canadese è la risultante di un contesto definito dal-
l’art. 52(2) del Constitution Act del 1982 ( 76 ), inclusivo anche di elementi di
principio di fonte internazionale, consuetudinaria e dottrinale.
Il Bill of Rights (rappresentato dal chapter 2) della Costituzione del-
la Repubblica del Sud Africa del 1996 si interpreta presso le corti consi-
derando obbligatoriamente il diritto internazionale e facoltativamente il
diritto straniero (art. 39), al fine di garantirne l’applicazione meglio cor-
rispondente ai valori della dignità, dell’uguaglianza e della libertà della
persona.
Se si condivide quanto fin qui esposto, si può convenire circa il fatto
che ogni costituzione scritta presenta sempre una dimensione materiale che
non si può tradurre nella lingua del diritto in quanto si correla quotidiana-
mente alla dimensione complessa del contesto di riferimento, nelle sue ori-
ginali implicazioni sul piano storico, di ordine sociale, economico e cultu-
rale, che necessariamente porta a valutare quella esperienza anche rispetto
alla realtà internazionale nella quale si innesta. Una rilevante parte di que-
sta dimensione materiale si alimenta della disciplina internazionale dei di-
ritti umani, secondo quanto risulta da varie esperienze nazionali ( 77 ), alcune
delle quali appena citate.
Il testo costituzionale tanto più si consolida quanto più acquisisce i ca-
ratteri di una costituzione storicizzata. L’effettività del suo fondamento in
termini storico-politici ne garantisce la sopravvivenza e ne avvalora l’auto-
rità giuridica. In alcuni casi questo fondamento emerge a prescindere da un
testo scritto a vocazione organica, come insegnano gli inglesi.
In altri termini, una costituzione segna l’epilogo di una precedente vi-
cenda costituzionale se intesa come documento, ma se intesa come contesto
la nuova carta può rappresentare l’evoluzione della costituzione storicizzata
ove riveli continuità nello svolgimento del processo costituzionale rispetto
alla questione costituzionale originaria. In questa linea si devono leggere le
frequenti modifiche che molte costituzioni del secondo dopoguerra hanno
registrato allo scopo di preservare, non di trasformare, l’ordine costituzio-

( 75 ) T. Bjerkèn, Svezia, in Le Costituzioni dei Paesi europei, cit., 831 ss.


( 76 ) I testi della costituzione canadese sono reperibili in http://laws.justice.gc.ca/en/const/
index.html.
( 77 ) Riflessioni su questo profilo sono in B. Markesinis, J. Fedtke, Giudici e diritto stra-
niero. La pratica del diritto comparato, 2006, trad. it. a cura di A. Taruffo, Bologna, 2009, spec.
125 ss., dove si evidenzia in particolare l’esperienza di Canada e Sud Africa, e in B.O. Bryde, Il
giudice costituzionale e il dialogo dei costituzionalisti internazionali, ibidem, 397 ss. (spec. 401-
406).
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 69

nale raggiunto, come ad esempio la Legge Fondamentale tedesca e la Costi-


tuzione francese, nonché le antiche Costituzioni dell’Austria e del Belgio, la
cui vicenda si contraddistingue per la costante evoluzione dei testi, rispet-
tivamente del 1920 e del 1831, che hanno loro permesso di superare le varie
stagioni del costituzionalismo.
Questi argomenti confermano che il sistema di forme che consentono
modifiche alla costituzione scritta – il procedimento giuridico per la sua re-
visione – non legittimano il superamento o la contraddizione del processo
nel quale si è determinata la transizione costituzionale. È in tale contesto
che si è posta e risolta la questione costituzionale sulla base di un compro-
messo tra parti politiche volto a garantire stabilità e legittimazione al nuovo
ordine costituzionale. Quindi le forme della revisione non possono consen-
tire la revisione dei principi e dei valori costituzionali giustificativi del pro-
cesso costituzionale, che il nuovo testo può solo riconoscere. In tal senso è
opportuno ricordare che la revisione costituzionale è espressione di un po-
tere costituito, non costituente.
Se il costituzionalismo contemporaneo implica che i principi e i valori
risultino nel testo costituzionale non in termini statici, ma nel dinamismo
che loro deriva dall’evoluzione del suo contesto, si dimostra l’insufficienza
di approcci alla costituzione metodologicamente solo positivisti.
Per quanto concerne l’Italia, non si può negare che nel 1993 la trasfor-
mazione del sistema elettorale da proporzionale in maggioritario abbia al-
terato l’equilibrio all’epoca registrabile nella dimensione del contesto costi-
tuzionale, non ripristinato nemmeno dopo la riforma elettorale di cui alla l.
21 dicembre 2005, n. 270. Il rinnovamento della vicenda politica nazionale
che ne è derivato ha segnato lo spostamento del baricentro della forma di
governo a vantaggio dell’esecutivo, ma non ha portato alcuna variazione
delle pertinenti disposizioni costituzionali: ne è derivato, tra l’altro, un ridi-
mensionamento del ruolo del Parlamento non corrispondente ai suoi com-
piti costituzionali.
Come dimostra tale lettura fatti e atti giuridici formalmente non di
rango costituzionale possono rivelarsi dotati di effetti destabilizzanti del-
l’ordine costituzionale.
Per altro verso può riconoscersi sostanza costituzionale anche ad atti
internazionali inerenti i diritti e le libertà fondamentali, ancorché non re-
datti in termini di trattati o convenzioni, in quanto integrino o semplice-
mente orientino l’interpretazione delle pertinenti parti della costituzione
scritta.
Ad esempio, sia la “costituzione provvisoria” del Kosovo definita sulla
base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 10 giugno 1999, n.
1244, sia la Costituzione d’indipendenza del 2008, che ne ha preso il posto,
70 RENZO DICKMANN

presuppongono come costituzionali sul piano interno le norme e dichiara-


zioni internazionali ONU in vigore a tutela dei diritti umani ( 78 ).
Più in generale la Dichiarazione Universale dei Diritti umani è stata te-
nuta presente ai fini della definizione delle Costituzioni d’indipendenza di
Algeria, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Ciad, Congo, Dahomey, Guinea
equatoriale, Gabon, Guinea, Costa d’Avorio, Madagascar, Mali, Maurita-
nia, Nigeria, Ruanda, Senegal e Togo ( 79 ).
Se pertanto il processo costituzionale non si risolve in modifiche te-
stuali della carta fondamentale, non per questo esso cessa il proprio corso
nel suo contesto, del quale la carta scritta è il risvolto: i principi e valori che
si registrano in costituzione, in quanto correlati al suo contesto, sono auten-
tici fatti normativi che ne orientano l’interpretazione e l’implementazione,
con buona pace della legge di Hume, che rimane una sorta di pregiudizio
della modernità.

9. – Non coincidenza territoriale tra costituzione e contesto costituzionale

Si è sostenuto che il contesto costituzionale, che il testo scritto docu-


menta, non è sovrapponibile ai confini nazionali di un ordinamento. Del re-
sto una transizione costituzionale può conseguire ad una variazione territo-
riale, anche per effetto di accordi internazionali, come avvenuto per alcuni
Paesi europei per effetto dei trattati di pace al termine della seconda guerra
mondiale, ovvero, di recente, per alcuni stati dei Balcani occidentali all’esi-
to degli Accordi di Dayton ( 80 ).
Si può anche sostenere che un medesimo contesto può accomunare
più esperienze costituzionali nazionali. Sotto tale profilo una costituzione
può considerarsi il côté nazionale di un medesimo processo storico interna-
zionale.
Depone in tal senso, ad esempio, il riconoscimento di rilievo costitu-
zionale al contesto nel quale si innesta in termini originali il controllo di le-
galità dell’azione delle istituzioni dell’Unione europea. Dalla fondazione

( 78 ) La costituzione provvisoria del Kosovo era significativamente denominata Constitu-


tional framework for provisional selfgovernment; con il testo della costituzione in vigore è reperi-
bile in www.unmikonline.org.
( 79 ) In tal senso M.A. Glendon, Verso un mondo nuovo, cit., 388.
( 80 ) Con l’Accordo di Dayton, tecnicamente noto come General Framework Agreement for
Peace (GFAP) e stipulato il 21 novembre 1995 a Dayton, Ohio (USA), si è consentito di far ces-
sare la guerra civile nella ex-Jugoslavia, prevedendo la cessione della Slavonia Orientale dalla Ser-
bia alla Croazia ed il riconoscimento in Bosnia-Erzegovina di due entità: la Federazione croato-
musulmana risultante dagli accordi di Washington del 18 marzo 1994 (Federazione di Bosnia-Er-
zegovina, che detiene il 51% del territorio bosniaco) e la Repubblica Srpska (che detiene il restan-
te 49%).
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 71

del modello comunitario si è avviato un processo di consolidamento di


principi giuridici europei derivati dalle tradizioni costituzionali nazionali,
espressamente riconosciuto dall’art. 6.3 TUE rinnovato a Lisbona e sup-
portato dall’irrinunciabilità dei principi e degli obiettivi che concorrono a
formare l’acquis communautaire.
Questa lettura giustifica la ricerca di radici comuni a più esperienze
costituzionali, in quanto sia dimostrabile che la relativa evoluzione si ispiri
alla medesima matrice storico-culturale ( 81 ).
La storia, la cultura o l’economia, che sono le dimensioni generali di
evoluzione della persona nelle comunità nazionali, non possono contenersi
(e studiarsi) entro confini controllabili dai diritti positivi nazionali (anche
di livello costituzionale). Le società politiche che risultano da tale evoluzio-
ne presentano collegamenti non indagabili soltanto con gli strumenti delle
scienze positive, anche se condizionanti la relativa evoluzione costituziona-
le. Allora si può sostenere che le condizioni alle quali assicurare la tutela co-
stituzionale della persona non sono questioni solo nazionali, e tantomeno
solo giuridiche. In quanto capaci di condizionare i processi nazionali, si ac-
comunano in una prospettiva transnazionale sulla base di presupposti rile-
vabili in un comune contesto (pertanto) di rilievo costituzionale.
Tale contesto dopo il secondo conflitto mondiale (con evidenza mag-
giore dopo la caduta del muro di Berlino) si qualifica per l’impegno nel re-
cupero della centralità della persona, in risposta alle filosofie totalitarie ed
alle religioni politiche uscite sconfitte dal confronto con il modello demo-
cratico, ripartendo dalla visione della persona nel quadro della legge natu-
rale. Come evidenziato di recente ( 82 ), la legge naturale, in sintesi, può esse-
re correttamente intesa come la morale naturale storicizzatasi in prospettiva
universale attorno al rilievo della persona umana. Anche se strutturata sulla
base dei valori della religione cristiana, nei principi essenziali la sua voca-
zione universale è confermata da chiare affinità con le morali indotte dalle

( 81 ) P. Häberle, Una riflessione sul senso delle costituzioni, cit., 15-17, chiarisce questo
concetto sostenendo che l’Europa dispone già di un “ensemble di Costituzioni parziali, ma non ha
ancora una ‘Costituzione completa’ nel senso del classico Stato costituzionale, in quanto l’Europa
non è uno ‘Stato’” quanto piuttosto “una comunità costituzionale sui generis in divenire”, radica-
ta su almeno sei elementi della “cultura del diritto europeo”: storicità dei fondamenti filosofico-
religiosi del suo diritto; scientificità nell’elaborazione giuridica; indipendenza della giurispruden-
za; neutralità confessionale dello Stato intesa come libertà religiosa; pluralità dei diritti nazionali
nell’unità dell’identità europea; particolarità giuridica nell’universalità della cultura del diritto eu-
ropeo.
( 82 ) Per un’analisi di riferimento, in termini laici, si veda la preziosa e documentata ricerca
della Commissione teologica internazionale (CTI), Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguar-
do sulla legge naturale, Roma, 2009, documento che per l’impostazione e la bibliografia di riferi-
mento si presta ad una consultazione non condizionata dalle funzioni proprie dell’organo che l’ha
predisposto.
72 RENZO DICKMANN

grandi religioni orientali. Per i presupposti filosofici trova riscontri laici nel
pensiero greco, grazie a Platone (Gorgia e Teeteto) e Aristotele (Retorica e
Etica nicomachea) sulla scorta dell’Antigone di Sofocle, che evoca “leggi
non scritte e immutabili”, e nello stoicismo di Seneca (De vita beata) e di
Cicerone (De legibus) ( 83 ). La legge naturale è dunque anche sinonimo di
tradizioni culturali occidentali la cui origine europea in senso storico non è
negabile: il diritto naturale ne costituisce l’esplicitazione in quanto dimen-
sione giuridica naturale della persona umana ( 84 ).
La legge naturale si esprime in particolare come “diritto” naturale
quando evidenzia principi inerenti la determinazione di ciò che è giusto
nelle relazioni tra le persone ( 85 ). Il diritto naturale è un vincolo pre-giuri-
dico del diritto positivo che si origina, almeno alla luce dell’esperienza oc-
cidentale, da presupposti culturali orientati dal valore filosofico del bene,
non dell’utile ( 86 ).
Se il diritto positivo è invocato per determinare cosa sia giusto o me-
no, se il suo parametro negli stati contemporanei è la costituzione, poiché
questa alla luce degli argomenti svolti è chiamata ad orientare il diritto po-
sitivo al giusto, la costituzione che si alimenta nelle premesse di un concetto
di giustizia coincidente con il vero e il bene non può essere rispettata da un
diritto positivo concepito solo come strumento di realizzazione dell’utile.
Il diritto naturale è dunque un elemento pre-costituzionale di ordine non
giuridico che, storicizzatosi in molte costituzioni – in Europa rilevano in tal
senso alcune recenti indicazioni del Tribunale costituzionale federale tede-
sco ( 87 ) – permette di sostenere l’avvenuta costituzionalizzazione del concet-
to di giustizia sostanziale, rispetto al fine. Tale concetto di giustizia desunto

( 83 ) CTI, op. ult. cit., 23-26, anche per i riferimenti ai testi.


( 84 ) Sostiene A. Rosmini, Filosofia della politica, a cura di M. D’Addio, Milano, 1972, vol.
I, 146-147, che la dizione di diritto naturale andrebbe intesa come “diritto della natura umana” o
“diritto naturale umano” (in tal senso è autentico “diritto razionale”; ibidem, 176-177), per distin-
guerlo dalle fallaci dottrine del diritto naturale proliferate tra il XVII e il XVIII sec.
( 85 ) Cti, Alla ricerca di un’etica universale, cit., 87 ss.
( 86 ) V. Possenti, L’uomo postmoderno, cit., 185, qualifica il concetto di diritto naturale
come idea universale, non relativa, di diritto: il diritto naturale spiega il titolo di ciascuna persona
“al proprio suum”, concetto che implica l’idea di obbligazione, “l’essere cioè vincolati al rispetto
del suum di ciascuno e di tutti”. Continua Possenti (ibidem, 189): “Se non vi è un significato fon-
damentale e fermo di che cosa significhi diritto, il suo svolgimento e i suoi temi saranno soggetti
ad un continuo mutare, guidato dalla causalità e dalla contingenza del volere. Tutto diviene revo-
cabile; gli stessi diritti umani sono editti revocabili di tolleranza: come sono stati posti così posso-
no essere tolti”. Può dunque sostenersi sul piano della filosofia politica che il diritto naturale co-
stituisca il giusto fine del diritto positivo.
( 87 ) E.W. Böckenförde, Il potere costituente del popolo, cit., 137-140, ricorda che sin dal-
le prime pronunce del BVerfGE si sono individuati limiti al potere costituente del popolo, consi-
stenti sia nel sistema dei diritti dell’uomo, sia in “principi giuridici che preesistono ad ogni diritto
scritto e vanno al di là del diritto positivo”.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 73

dal contesto costituzionale è allo stesso tempo parametro e obiettivo costitu-


zionale: non è pertanto corretto relativizzare l’idea di giustizia dal punto di
vista delle singole costituzioni scritte, per fondarne una declinazione condi-
zionata a ragioni relative, diverse da quella della tutela della persona.
Questo modello si sta sviluppando come proprio di un contesto costi-
tuzionale europeo, la cui percezione, pur con denominazioni diverse, si re-
gistra da qualche tempo anche in altri autori ( 88 ).
La tesi proposta consente di sostenere sul piano dei principi che go-
vernano tale processo che è autenticamente costituzionale un’idea di giusto
coincidente con quella di bene, perché non è relativizzabile dal punto di vi-
sta dei diversi diritti nazionali.
Ne deriva che l’esigenza costituzionale di garantire la giustizia anche
sostanziale del diritto positivo legittima la subordinazione del legislatore a
principi e valori che, non essendo declinabili all’insegna dell’utile (quindi
non disponibili dal diritto positivo), come ricordato nel § 6, devono inten-
dersi implicazioni normative del contesto costituzionale. Solo riconoscen-
do in Europa un contesto costituzionale uniformatosi all’insegna di tale esi-
genza, si può spiegare perché le costituzioni nazionali si siano tutte orienta-
te alla garanzia del bene della persona dopo aver neutralizzato i relativismi
utilitaristi di matrice statalista e collettivista e i totalitarismi da essi prodotti.
Ciò vale anche ad escludere in ambito nazionale che spetti ancora allo
stato-governo individuare il giusto-utile sotto forma di fini pubblici: il con-
testo costituzionale già vincola l’interpretazione della costituzione a garan-
tire la persona partendo dalla sua aspirazione al giusto in quanto bene.
Questa lettura trova conferma in una recente nota pronuncia del Tri-
bunale costituzionale federale tedesco, per il quale è riconoscibile una di-
mensione accomunante di principi e valori autenticamente costituzionali
fondati su presupposti storici e filosofici realmente condivisi in funzione
dell’aspirazione dell’uomo al giusto-bene ( 89 ).

( 88 ) Si veda, ad esempio, D. Rousseau, La notion de patrimoine costitutionnel européen, in


Le patrimoine constitutionnel européen. Science e technique de la démocrazie, 18, Edizioni del Con-
siglio d’Europa, Strasburgo, 1997, 16 ss.; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo,
Bologna, 2002; A. Somma, Diritto comunitario e patrimonio costituzionale europeo: cronaca di un
conflitto insanabile, in Diritti sociali e Servizio sociale. Dalla dimensione nazionale a quella comu-
nitaria, Milano, 2005, 79 ss.; S. Gambino, Il diritto costituzionale europeo comune fra teoria costi-
tuzionale e prassi, in federalismi.it, n. 12/2005 (www.federalismi.it); A. D’Atena, Una costituzione
senza costituzione per l’Europa, in Dir. soc., 2009, spec. 202-207.
( 89 ) Sent. BVerfGE, 2BvE, 2008, 30 giugno 2009, cit. in nota 50, punto 218, dove precisa
che la Legge Fondamentale, “in corrispondenza dell’evoluzione internazionale che ha avuto ini-
zio soprattutto con la comparsa delle Nazioni Unite, ha un fondamento universale che non può
essere emendato dalla legge positiva”, rappresentato dai principi costituzionali essenziali che
compongono tale identità costituzionale, ai sensi dell’art. 79.3 della Legge Fondamentale.
74 RENZO DICKMANN

Tali presupposti sono rivelati da molte costituzioni europee che, pur


diverse nell’originalità storico-politica delle singole vicende nazionali, evi-
denziano una comune matrice – liberale, solidale, antirivoluzionaria e anti-
totalitaria – certificata dalla presenza di parti sovrapponibili dedicate alla
garanzia dei diritti e delle libertà della persona, soggetto naturalmente po-
litico che si esprime con l’esercizio del diritto di voto, ormai univocamente
riconosciuto quale emblema di un diritto alla democrazia quale diritto fon-
damentale della persona ( 90 ).
Si è dimostrato inoltre come dalla convergenza di queste parti costitu-
zionali si riveli un’originale e sottostante “costituzione dei diritti” ( 91 ) che
qualifica la vocazione sovranazionale del costituzionalismo: ad essa può ri-
conoscersi il rilievo di nucleo di un contesto costituzionale europeo origi-
nale, in attesa di scrivere un’autentica costituzione per l’Europa ( 92 ). In fin
dei conti i diritti umani così definiti possono essere considerati anche una
poliedrica declinazione dello stesso concetto di giustizia sostanziale, in rap-
porto al bene dell’uomo.
Nel suo spessore storico-politico la costituzione-contesto ha confor-
mato le costituzioni dei Paesi dell’Europa orientale di più recente accesso
alla democrazia, dopo la caduta del muro di Berlino: rispetto ad essi ha fun-
zionato come vincolo pre-costituzionale ai fini dell’adesione all’Unione.
Riconoscere in Europa un contesto costituzionale comune nel quale
leggere in senso convergente più costituzioni nazionali per desumerne “tra-
dizioni comuni” in funzione della relativa assimilabilità sul piano dei fini,
permette di parlare di un’identità europea ( 93 ) in corso di consolidamento,
che – ancorché non rilevabile in una costituzione scritta – ne svolge la fun-
zione come contesto che la ispirerà e renderà concreta.

( 90 ) Si veda, ad esempio, la risoluzione del Parlamento europeo dell’8 maggio 2008 sulla
relazione annuale sui diritti umani nel mondo del 2007 e sulla politica dell’Unione europea in ma-
teria, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C 271/E del 12 novembre 2009, 7 ss., spec. punto
8.
( 91 ) Democrazia rappresentativa e costituzionalismo, cit., spec. 629.
( 92 ) Per questa lettura si rinvia all’analisi svolta in Costituzione e democrazia in Europa.
Verso (e dopo) il referendum irlandese, in federalismi.it, n. 17/2009 (www.federalismi.it). Indica-
zioni di rilievo ai fini della questione di cui al testo sono offerte dalla citata sent. BVergGE, 2 BvE
2/08 del 30 giugno 2009. Alla luce dell’analisi svolta, le fonti dalle quali si alimenta tale contesto
possono individuarsi nella CEDU come interpretata dalla Corte di Strasburgo, nelle tradizioni
costituzionali comuni europee come accertate dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, nella
Carta europea dei diritti ora incorporata nel TUE, nella giurisprudenza della predetta Corte rela-
tiva al rispetto delle libertà fondamentali da parte delle Istituzioni europee e degli Stati membri e
nella giurisprudenza delle corti costituzionali nazionali, soprattutto quando ne derivino indica-
zioni convergenti alla luce dei parametri della “costituzione dei diritti” di cui al testo.
( 93 ) L’art. 7, comma 5, della Cost. del Portogallo precisa che “il Portogallo si impegna nel
rafforzamento dell’identità europea”.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 75

In questo modo, se esistono principi e valori comuni confermati dalla


riferibilità delle costituzioni nazionali ad un contesto costituzionale euro-
peo, e se ciascun ordinamento positivo è subordinato ad una costituzione
intesa non solo come testo ma anche come contesto, si può sostenere che in
Europa ogni costituzione nazionale, dopo la sua scrittura, si implementi co-
stantemente per effetto dell’intersecarsi tra il suo testo e il contesto europeo
risultante dai principi e valori risultanti dal citato insieme di riferimenti e
tradizioni costituzionali comuni.
Una conferma è rappresentata dal fatto che molte costituzioni su-
bordinano l’evoluzione del diritto interno alla produzione normativa co-
munitaria ( 94 ), e alcune contengono espliciti rinvii al diritto internaziona-
le ( 95 ).
Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea sembra aver preso co-
scienza che la normativa comunitaria può trovare limiti in valori generali,
ancorché risultanti da atti di singoli Stati membri, per valorizzare la garan-
zia dei diritti e delle libertà fondamentali ( 96 ).

10. – Alcune conclusioni

L’Unione sta vivendo una stagione costituzionale contrassegnata da


due fattori evolutivi.
Il primo si può identificare nel fine di realizzare un testo chiaro e or-
ganico delle norme convenzionali fondamentali che regolamentano il fun-
zionamento dell’Unione e delle sue Istituzioni, e si è realizzata nelle forme

( 94 ) Si veda, ad esempio, l’art. 23 della Legge Fondamentale tedesca.


( 95 ) Si appellano espressamente alla più efficace tutela che per i diritti e le libertà discenda
dal diritto internazionale le Costituzioni di Germania (art. 25), Portogallo (art. 16, paragrafo 2) e
Spagna (art. 10, paragrafo 2), che evocano la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo e le
prescrizioni del diritto internazionale in materia di diritti umani, e della Svezia (art. 23 della “Leg-
ge sulla forma di governo”, che riconosce in materia la superiorità della CEDU. In senso analogo
è anche l’art. 1, paragrafo 3, della Costituzione della Finlandia, dove si prevede che tale Paese par-
tecipa alla cooperazione internazionale per la protezione della pace e dei diritti umani e per lo svi-
luppo della società.
( 96 ) In tal senso si vedano CGCE 14 ottobre 2004, Omega, C 36/02, in Raccolta 2004,
I-09609 (citazione dalla massima n. 2; si vedano anche i punti 34-37 della sent.): “l’ordinamento
giuridico comunitario è diretto innegabilmente ad assicurare il rispetto della dignità umana quale
principio generale del diritto” e la tutela dei diritti fondamentali “rappresenta un legittimo inte-
resse che giustifica, in linea di principio, una limitazione degli obblighi imposti dal diritto comu-
nitario, ancorché derivanti da una libertà fondamentale garantita dal Trattato quale la libera pre-
stazione dei servizi”; si veda anche CGCE 14 febbraio 2008, C 244-06, Dynamic Medien Vertriebs
Gmbh, in Raccolta 2008, I-00505, spec. punti 39-45. Si veda al riguardo anche O. Pollicino,
Corti europee e allargamento dell’Europa: evoluzioni giurisprudenziali e riflessi ordinamentali, in Il
Diritto dell’Unione europea, 2009, 1 ss., spec. 24-35.
76 RENZO DICKMANN

di una codificazione innovativa (refont) dei trattati vigenti, rinnovati a Li-


sbona nel testo in vigore dal 1o dicembre 2009.
Il secondo sospinge le esperienze costituzionali dei singoli Paesi mem-
bri, nonché di quelli candidati ed aspiranti all’adesione all’Unione, a condi-
videre principi e valori comuni dando vita ad una tradizione costituzionale
europea.
Elemento accomunante è il sistema dei principi e valori che qualifica-
no i diritti e le libertà individuali, che si possono ritenere costituzionalizzati
in Europa in un contesto risultante dal sistema delle “parti prime” delle co-
stituzioni nazionali interpretate dalle Corti competenti alla luce della Carta
europea dei diritti e della CEDU, nonché della Carta delle Nazioni Unite,
della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e delle relative conven-
zioni esecutive.
In breve l’Unione europea può ritenersi coinvolta insieme ai Paesi
membri in un processo autenticamente costituzionale il cui esito non è la
scrittura di una costituzione “federale” o (solo) di un codice europeo,
quanto piuttosto il riconoscimento di una costituzione sostanziale comune,
un framework costituzionale di matrice personalista alla luce del quale va-
lutare l’effettività della tutela dei diritti e delle libertà da parte delle Istitu-
zioni dell’Unione e di ciascuno Stato membro.
Tale contesto si garantisce tanto a livello europeo quanto a livello na-
zionale valorizzando il ruolo delle istituzioni parlamentari e delle altre isti-
tuzioni che partecipano alla “funzione costituzionale”.
Ai parlamenti nazionali spetta il compito di garantire la non contrad-
dizione tra costituzione formale e contesto costituzionale in sede di forma-
zione delle decisioni di governo ( 97 ).
Queste considerazioni mostrano come il contrassegno delle costitu-
zioni nazionali del secondo Novecento non si possa limitare al profilo della
rigidità formale oppure al dato della scrittura, ma si completi con il riferi-
mento al loro contesto, autenticamente indisponibile in quanto storicamen-
te legittimante la relativa posizione ed implementazione.
Considerando che la promozione della tutela dei diritti e delle libertà
è il presupposto per l’appartenenza dei Paesi liberi alle Nazioni Unite, tutti
i suoi Membri sono chiamati a garantire il rispetto del relativo Statuto e del-
la Dichiarazione Universale ad un livello costituzionale, per riconoscere ad
essi la consistenza di quella che si è sperato potesse diventare in una logica
kantiana la “costituzione della comunità internazionale”.

( 97 ) Un’indicazione efficace in tal senso giunge dalle corti costituzionali europee con rife-
rimento al ruolo del Parlamento tedesco nel processo decisionale configurato dal Trattato di Li-
sbona (BVerfGE, 30 giugno 2009, cit., punti 289-295, 305, 406 ss.).
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 77

Sessanta anni di politiche dell’ONU in materia hanno consentito che i


modelli delle costituzioni dei Paesi membri fossero sempre più simili al mo-
dello personalista che conosciamo in Europa, ma non sono riuscite a far sì
che anche i diversi contesti costituzionali che caratterizzano le principali
aree geopolitiche si assimilassero alla luce di tale modello.
Dunque allo stato della storia non è realistico cercare di mettere a fuo-
co un contesto costituzionale di ordine globale, e quindi non è possibile
pensare di opporre con la medesima efficacia in ciascun ambito nazionale
parametri pre-costituzionali a carattere universale, anche se è doveroso
guardare alle prospettive del costituzionalismo in termini universali, come
sapientemente le Nazioni Unite, attraverso le iniziative del Segretariato ge-
nerale, continuano a sostenere ( 98 ).
È invece possibile studiare il diritto costituzionale in ciascun ambito
nazionale come diritto storicizzato alla luce di premesse indisponibili: è
esemplare a tal fine l’esperienza costituzionale degli Stati Uniti, che si com-
prende meglio se si prende atto che i relativi fondamenti a livello federale e
statale sono esplicitamente riconosciuti nella dimensione del diritto natura-
le, fuori dal giuridico in senso positivo, in un contesto nell’ambito del quale
il ruolo dello Stato si concepisce in funzione dei diritti dell’uomo, per rea-
zione storica al dispotismo razzista ( 99 ) delle potenze coloniali e in risposta
ad una originale, conseguente, questione costituzionale.
Il diritto naturale, alla luce delle considerazioni svolte, orienta i fini
del costituzionalismo sulla base di fattori accomunanti che lo rendono ori-
ginale anche sul piano culturale: l’assenza di condivisione di tali valori pre-
giudica la possibilità di esportare i suoi prodotti più virtuosi, primo dei
quali la democrazia come formula di governo nel rispetto dei diritti e delle
libertà della persona e per il suo bene ( 100 ).

( 98 ) Questo profilo è stato evidenziato in Le Nazioni Unite, la democrazia e il multicultura-


lismo. Appunti per una “Carta universale” dei principi della democrazia parlamentare, intervento al
Convegno La tutela dei diritti fondamentali nelle società multiculturali (Cassino, 26-27 novembre
2009), in federalismi.it, n. 23/2009 (www.federalismi.it). Le Nazioni Unite sostengono in modo
univoco che gli obiettivi dei diritti e delle libertà sono premessa insostituibile della diffusione del-
la pace e dello sviluppo e si perseguono con il consolidamento della democrazia, dello stato di di-
ritto e della rule of law.
( 99 ) Sulla rilevanza della componente razzista nell’evoluzione totalitaria di alcuni regimi di
stati che erano anche potenze coloniali si veda la ricostruzione di H. Arendt, Le origini del tota-
litarismo, cit., 245 ss.
( 100 ) Per creare una suggestione a supporto delle considerazioni di cui al testo si desidera
riprodurre uno dei passaggi conclusivi dell’intervento del Presidente degli Stati Uniti alla sessione
di apertura della 64a Assemblea generale dell’ONU (B. Obama, Responsible for our common fu-
ture, New York, 23 settembre 2009): “Democracy cannot be imposed on any nation from the out-
side. Each society must search for its own path, and no path is perfect. Each country will pursue a
path rooted in the culture of its people, and – in the past – America has too often been selective in
78 RENZO DICKMANN

Sotto questo profilo almeno sia consentito sostenere che gli ordinamen-
ti giuridici degli Stati Uniti e della maggioranza dei Paesi europei possono es-
sere accomunati per il riferimento ad un medesimo contesto costituzionale,
occidentale, al quale invece non sono ancora riconducibili altri Paesi, alcuni
anche geograficamente europei ed interessati ad integrarsi nell’Unione.
Il diritto naturale è parte essenziale dell’asserito contesto costituziona-
le occidentale nella misura in cui ad esso sono filosoficamente e razional-
mente riconducibili i principi e i valori che accomunano le tradizioni costi-
tuzionali nazionali e ne orientano l’evoluzione ( 101 ).
Guardando in tale direzione, è storicamente errato sostenere che il di-
ritto naturale non abbia influenzato in modo determinante nei presupposti
lo svolgimento dei processi costituzionali in Occidente. Oggi è evidente
che i principi e i valori di riferimento per garantire la giustizia sostanziale
dell’azione dello Stato nei confronti della persona sono convergenti. Ne-
garlo potrebbe essere conseguenza più di una pregiudiziale culturale che di
una lettura funzionale alla valorizzazione della costituzione ( 102 ).
Configurato l’uomo come assoluto costituzionale anche sul piano giu-
ridico, la missione del costituzionalismo del XXI secolo supera i confini na-
zionali per fondare un’esigenza sovranazionale di tutela della persona che
accomuna nei fini le singole costituzioni nazionali.
Il dato positivo di ogni costituzione in un’interpretazione moderna
non arbitraria può arricchirsi di questa lettura, come dimostra la documen-
tata evoluzione di un contesto costituzionale europeo non ancora suppor-
tato da una costituzione europea scritta.
Queste considerazioni consentono di ritenere dimostrato anche il

its promotion of democracy. But that does not weaken our commitment, it only reinforces it.
There are basic principles that are universal; there are certain truths which are self evident – and the
United States of America will never waiver in our efforts to stand up for the right of people every-
where to determine their own destiny”.
( 101 ) L. Mengoni, L’argomentazione nel diritto naturale, in Id., Ermeneutica e dogmatica
giuridica, cit., 115 ss. (spec. 116).
( 102 ) Nel proporre questa lettura può essere utile richiamare le parole di Benedetto XVI,
Enc. Caritas in veritate, Roma, 29 giugno 2009, § 59: “In tutte le culture ci sono singolari e mol-
teplici convergenze etiche, espressioni della medesima natura umana, voluta dal Creatore, e che la
sapienza etica dell’umanità chiama legge naturale. Una tale legge morale universale è saldo fonda-
mento di ogni dialogo culturale, religioso e politico e consente al multiforme pluralismo delle va-
rie culture di non staccarsi dalla comune ricerca del vero, del bene e di Dio. L’adesione a quella
legge scritta nei cuori, pertanto, è il presupposto di ogni costruttiva collaborazione sociale”. Per
una lettura “laica” comparabile si veda L. Strauss, Diritto naturale e storia (1953), trad. it. a cura
di N. Pierri, Genova (1990), 2009, 59: “Tutta l’esperienza della storia e tutta l’esperienza, certo
meno ambigua, degli affari umani possono sì attenuare, ma non cancellare l’evidenza di quelle
semplici esperienze del giusto e dell’ingiusto, su cui si fonda la filosofia per affermare che il diritto
naturale esiste”.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 79

principio che il costituzionalismo contemporaneo si fonda sulla negazione


della ragion di stato: lo conferma il dato che i modelli costituzionali in vigo-
re in quasi tutto il mondo risultano storicamente il frutto della sconfitta di
esperienze antipersonaliste e totalitarie ( 103 ).

ABSTRACT

Nel saggio si propone uno studio della costituzione che muova dall’analisi del
suo contesto. Il contesto costituzionale è inteso come la complessa dimensione sto-
rico-politica nella quale si sono affermati ed evoluti i presupposti di legittimazione
dell’ordine costituzionale. L’indagine proposta consente di valutare l’affermazione
di una costituzione attraverso una vicenda non spiegabile in termini solo giuridici,
ma come risultante della soluzione data ad una questione storico-politica originale
dal popolo quale potere costituente. Sulla base del metodo seguito si ritiene possi-
bile individuare che un contesto costituzionale sia riconoscibile quando, anche in
assenza di una costituzione scritta, siano rilevabili condizionamenti indisponibili
dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto positivo. Per l’Unione europea si
può parlare di una costituzione in itinere, espressione di un contesto costituzionale
europeo, pur registrando le difficoltà di una sua scrittura.
Il contesto costituzionale si alimenta di principi e valori che, condizionando il
processo che porta alla scrittura della costituzione, rilevano ai fini della relativa in-
terpretazione come implicazioni normative di ordine costituzionale, immodificabi-
li per via legislativa e in sede di revisione costituzionale.
Sul piano della filosofia politica si può ritenere che l’evoluzione del costitu-
zionalismo sia irreversibilmente connessa ai principi e ai valori propri della perso-
na umana come evidenziati dalla legge naturale quando si esprime come diritto na-
turale, cioè come insieme di principi e valori funzionali alla determinazione di ciò
che è autenticamente giusto nelle relazioni tra le persone. Il diritto naturale non è
dunque diritto in senso proprio, positivo, ma in quanto orienti effettivamente le
scelte giuridiche al giusto in quanto vero: la sua dimensione, naturale, è quella del
contesto costituzionale, dove si originano le premesse che orientano il processo co-
stituzionale al bene della persona.

( 103 ) La più significativa testimonianza che si ritiene di produrre a supporto di questa let-
tura sono i valori che risultano da Charta 77, significativi di un contesto costituzionale oppresso
da costituzioni, scritte, di ispirazione antipersonalista, dove la democrazia, proclamata a livello es-
senziale, legittimava la conservazione del potere totalitario (si è parlato in proposito di “democra-
zie totalitarie” in Democrazia rappresentativa e costituzionalismo, cit., 635). Non è dunque un caso
che tale documento nasca come reazione alla violazione sovietica dello spirito degli Accordi di
Helsinki, in cui si originava il tentativo di avvicinare i Paesi all’insegna della garanzia e della pro-
mozione dei diritti umani. Non è nemmeno un caso che a tale documento s’ispiri nel terzo millen-
nio, quasi a celebrarne le ragioni universali, il testo di Carta 08 – Iniziativa informale cinese per i
diritti umani e civili (consultabile in www.federalismi.it, sez. “Human rights”), che rivela all’inter-
no della società politica cinese un “bisogno” sorprendentemente forte di costituzionalismo, ispi-
rato quasi integralmente al modello contemporaneo occidentale americano ed europeo.
80 RENZO DICKMANN

The Constitution is not only a law text, but also the context of relationships
among social and political forces, by which every Constitution takes force and re-
news its legitimacy.
This context feeds on principles and values that, through the Constitution
making process, are relevant to the Constitution’s interpretation and application
itself.
As democratic Constitutions are established on the central value of human
being, their origins can be seen in a common constitutional context, inspired by
principles and values that cannot be modified by law itself, as they influence the in-
terpretation and the application of law aiming at the pursuit of good and right
from the standpoint of human being.
Saggi

GIUSEPPE MORBIDELLI

REGIONI E PRINCIPI
GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO

1. – Il diritto amministrativo è un diritto di tante cose: del potere, del-


l’interesse legittimo, dell’interesse pubblico, della discrezionalità, dei beni
pubblici, dell’organizzazione dell’ente pubblico, del provvedimento, della
giustizia amministrativa e così via, ma è anche un diritto del pluralismo del-
le fonti. Nel senso che nel diritto amministrativo forse più che in ogni altro
settore del diritto, si ha a che fare con ciò che Alberto Predieri chiamava
l’arcipelago delle fonti, che qui si intersecano come in luogo geometrico
d’incontro. Ora più che mai, dopo la Costituzione, la Comunità europea, la
rilevanza costituzionale delle fonti pattizie a seguito della l. cost. 18 ottobre
2001, n. 3; ma è sempre stato così, a partire dai rapporti tra legge e regola-
menti, tanto che non a caso grandi studiosi delle fonti, e anzi veri e propri
“regolatori” delle dinamiche delle stesse sono stati maestri insuperabili del
diritto amministrativo come Cammeo, Zanobini, Sandulli, che vi hanno de-
dicato monografie destinate a rimanere scolpite nel bronzo della nostra tra-
dizione giuridica.
V’è da dire però che se il diritto amministrativo è un crocevia o anche
un via vai delle fonti (per le loro continue modifiche nel tempo), a sua volta
la tematica delle fonti è ben lungi dall’essere ordinata, dato che non è più
decifrabile attraverso il criterio di impronta kelseniana delle preleggi e nep-
pure in quello che fa leva sul combinato gerarchia-competenza secondo la
nota ricostruzione crisafulliana ( 1 ). Il fatto è che – da tempo ma sempre più
insistentemente – la dottrina costituzionalistica più attenta e impegnata nel-
lo studio delle fonti, ha divisato la presenza di lacerazioni nelle stesse fon-
damenta concettuali della tradizione, sì da mettere in discussione persino il
carattere di “sistema chiuso” delle fonti. Non è neppure necessario ricorda-
re i contributi in questa direzione di Carlassare, Modugno, Predieri, Resci-

( 1 ) Tecnica per di più esaltata da una terminologia incisiva e quasi musicale, che pure ha
contribuito alla giusta fortuna di Crisafulli: come noto “disposizione e norma”, “a rime baciate”,
“raffrontabilità”, “forza attiva”, “forza passiva”, “preferenza” di fonti, etc. sono tutti veri e propri
“versi” crisafulliani oggi divenuti lessico corrente del diritto costituzionale.
82 GIUSEPPE MORBIDELLI

gno, Ruggeri, Sorrentino ( 2 ). È sufficiente osservare però come da essi si ri-


cava che la “teoria delle fonti” non ce la fa più a racchiudere, sistemare, or-
dinare l’“erompere” delle fonti stesse (incalzate e piegate se non schiacciate
da teoria dei valori, norme consuetudinarie, diritto “mite”, soft law, diritto
internazionale pattizio, ivi compreso quello espresso tramite sentenze, lex
mercatoria, convenzioni costituzionali, tradizioni costituzionali comuni
etc.), in sintonia del resto con la crisi dello Stato nazionale, della rappresen-
tanza secondo il modello rousseauviano, del positivismo: sicché in sostanza
non c’è più un ordine sistematico, ma casuale ( 3 ).
Al punto che recentemente, un illustre e brillante costituzionalista, R.
Bin ( 4 ), che, giù per li rami, ovvero tramite Bartole discende dalla scuola di
Crisafulli, ha tracciato un parallelismo con l’evoluzione della fisica. Come
noto la fisica classica, fondata sulle leggi universali di Newton, aveva rite-
nuto di poter rendere prevedibile qualsiasi evento in base a leggi determi-
nistiche. Ma la teoria dei quanti ha buttato all’aria questa convinzione. La
fisica classica aveva infatti un’immagine della materia e del mondo adatta
alla percezione “normale” della natura. Ma non si poteva adattare al micro-
cosmo delle particelle dell’atomo, ovvero al mondo dell’infinitamente pic-
colo, laddove i principi, i metodi di misurazione e i modelli di rappresenta-
zione classici non sono affatto adeguati. E appunto per rispondere alle esi-
genze di rappresentare quella diversa realtà, non più decifrabile con le leggi
classiche, è stata elaborata la teoria quantistica. La quale afferma che ci so-
no esperimenti per i quali il risultato esatto non è affatto prevedibile, sicché
bisogna accontentarsi di calcolare la probabilità dei vari risultati. Come è
stato icasticamente scritto da N. Bohr, uno dei fondatori della fisica quan-
tistica, va abbandonata ogni pretesa di tracciare nuove leggi deterministi-
che sul comportamento della materia.
Sicché come la meccanica quantistica ha rilevato l’insufficienza della
fisica newtoniana quale rappresentazione della materia, e l’ha messa in pro-
fonda crisi, così oggi anche la teoria delle fonti di Kelsen su cui abbiamo

( 2 ) V. ad es. il saggio di F. Modugno, dal titolo È possibile parlare ancora di un sistema del-
le fonti?, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, il quale osserva tra l’altro come “nella realtà,
nella prassi, sopravvengono dall’esterno dell’ordinamento altri numerosi tipi di fonti che non si
saprebbe, e non si sa, come collocare nella “scala” (si pensi alle fonti comunitarie) i cui problemi
di inserimento nella scala gerarchica generano la necessità di creare artificiosi ed incerti ulteriori
gradi intermedi o semi-gradi (con conseguenti definizioni di fonti collocate « sub », « para » « su-
pra » « infra » un altro « grado »)”; v. altresì A. Ruggeri, È possibile parlare ancora di un sistema
delle fonti?, in Itinerario di una ricerca sul sistema delle fonti, XII, Torino, 2009, 442 ss.
( 3 ) V. G.U. Rescigno, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in Dir. pub-
bl., 2002, 801.
( 4 ) Ordine delle norme e disordine dei concetti (e viceversa): Per una teoria quantistica delle
fonti del diritto, in Scritti in onore di L. Carlassare, e in forum AIC.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 83

studiato, e che soprattutto fa parte del patrimonio genetico non solo della
nostra cultura ma anche del nostro ordinamento positivo rivela crepe, nel
senso che non è più adeguata a spiegare i fenomeni indotti dalla trasforma-
zione degli ordinamenti giuridici e a guidare i comportamenti degli inter-
preti. Naturalmente questo non significa che siano venuti meno i vari criteri
di soluzione delle antinomie, ovvero il criterio cronologico, il criterio di
specialità, il criterio della competenza. Però tali criteri tradizionali vanno a
loro volta misurati con altri che, con specifico riguardo al nostro tema, sono
la interpretazione secondo valori, le materie trasversali, le materie “non ma-
teria” le materie “smaterializzate”, i principi dell’ordinamento comunita-
rio, il bilanciamento tra principi di pari grado.

2. – Tutto questo si riverbera sulla interpretazione dell’art. 29, l. 7 ago-


sto 1990, n. 241. Come è evidente tale disposto normativo pone il problema
del rapporto tra la l. n. 241 e la legislazione regionale (nonché con il potere
regolamentare di Comuni e Province). Nel mare magnum dei problemi sia
di costituzionalità, sia di interpretazione, sia di applicazione che l’art. 29 su-
scita, un punto è da considerare indeclinabile. Il quale è che deve escludersi
che la disciplina del procedimento amministrativo sia tutta materia statale,
e ciò sia perché lo stesso art. 29 lo esclude (v. spec. comma 3o e comma 2o-
quater), sia perché lo ha escluso la Corte costituzionale (la quale già prima
del nuovo Titolo V, aveva affermato che la “materia del procedimento”
rientra nell’interno delle singole materie) ( 5 ), sia comunque e soprattutto
perché ciò è smentito dalle previsioni dell’art. 117, comma 6o, Cost., che as-
segna a Comuni e Province il potere di regolamentare lo svolgimento delle
funzioni loro attribuite e dall’art. 123, comma 1o, Cost., che affida allo Sta-
tuto regionale la disciplina dei principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento della pubblica amministrazione, disposizione che come la
Corte costituzionale ha avuto modo di rilevare, riguarda propriamente le
regole sul corretto esercizio della funzione e sul diritto di accesso agli atti
della pubblica amministrazione ( 6 ).
Il problema della sempre difficile e perigliosa individuazione dei prin-
cipi atti ad indirizzare e “conformare” i procedimenti amministrativi delle
Regioni è stato particolarmente avvertito a seguito della riforma del Titolo
V, che ha fatto venir meno la tassatività delle competenze regionali, e nel
contempo ha determinato l’affermarsi della tesi che esclude la riconducibi-
lità delle c.d. materie residuali entro i principi generali dell’ordinamento.

( 5 ) Corte cost., 13 dicembre 1991, n. 465, in Le Regioni, 1992, 1349, con nota di G. Pa-
stori, Procedimento amministrativo e competenza regionale, richiamata e ripresa da Corte cost.
23 novembre 2007, n. 401 (parte in diritto 6.7.).
( 6 ) Corte cost., 2 dicembre 2004, n. 372.
84 GIUSEPPE MORBIDELLI

Tantoche, sull’inespresso ma inequivoco presupposto della necessità di una


rete di principi, anche in virtù del principio dell’unità giuridica conclamato
dall’art. 120 Cost., la novella dell’art. 29 introdotta con l’art. 19, l. 11 feb-
braio 2005, n. 15 ha dettato regole volte ad indicare le coordinate ineludi-
bili dal legislatore regionale (e a fortiori dai regolamenti locali). Non è un
fuor d’opera soffermarsi su tale disposizione, per quanto l’art. 10, comma
1o, l. 18 giugno 2009, n. 69 l’abbia notevolmente modificata ed integrata.
Ma come non si comprende il presente se non si comprende il passato, così
non si comprende l’attuale art. 29, se non se ne conosce il testo pregresso.
La disposizione – come noto – era così formulata: “1. Le disposizioni della
presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono
nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per
quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazio-
ni pubbliche. 2. Le Regioni e gli enti locali nell’ambito delle rispettive compe-
tenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del si-
stema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione am-
ministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”.
Il primo comma stabilisce una cosa ovvia. Ha comunque avuto il me-
rito di indurre ad una lettura meno frettolosa della nozione di “giustizia
amministrativa”, di talché è stato possibile rendersi conto di come essa ri-
comprenda non solo gli strumenti di tutela giurisdizionale e giustiziale, ma
anche gli istituti di autotutela, i vizi del provvedimento amministrativo e in
genere il regime del provvedimento, atteso che esso concorre a sua volta a
determinare il regime di tutela e dunque in pratica tutto il Capo IV-bis della
l. n. 241, del resto introdotto proprio con la novella del 2005. Il secondo
comma fa invece sorgere il problema della individuazione dei principi da
ricondurre in via immediata al rispetto del sistema costituzionale. Fatto sì è
che da tale disposizione, a prescindere dalla non ortodossa dizione per cui
la l. n. 241 disciplinerebbe “materie” ( 7 ) (quasi che la l. n. 241 faccia da leg-
ge cornice di tutte le materie in cui si svolge il procedimento amministrati-
vo) non è possibile ritenere che tutti i principi della l. n. 241 sono da ricon-
durre alla Costituzione ( 8 ). È vero che non è mancato chi ha assunto che i

( 7 ) V. del resto la sentenza della Corte cost. 23 novembre 2007, n. 401 in cui è espressa-
mente dato leggere che “il procedimento amministrativo non costituisce una vera e propria ma-
teria”.
( 8 ) V. in tal senso A. Celotto - M.A. Sandulli, Legge n. 241 del 1990 e competenze re-
gionali: “un nodo di gordio”, in Foro Amm. - C.d.S., 2005, 1946 ss., cui si rinvia, per una accurata
analisi dell’art. 29, l. n. 241, così come modificato con la l. n. 15/2005; contrari alla lettura della l.
n. 241 come norma interposta anche A. Romano Tassone, Legge n. 241 del 1990 e competenze
regionali: osservazioni sulla posizione di A. Celotto-M.A. Sandulli, in www.federalismi.it, 2006, 5,
4; P. Lazzara, La disciplina del procedimento amministrativo nel riparto delle competenze Stato-
Regione, in Dir. amm., 2007, 108 ss.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 85

principi della l. n. 241 sarebbero tutti di livello costituzionale, sì che la l. n.


241 finisce per assurgere a ruolo di norma interposta come tale vincolante
anche la legislazione statale. Ma questo è da escludere: infatti i principi di
uguaglianza e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 non hanno una tran-
sitività tale da determinare la diretta natura costituzionale dei vari principi
del procedimento amministrativo, per quanto questi siano in stretta con-
nessione e dipendenza dai primi ( 9 ). Si potrebbe invece ritenere che abbia
una diretta copertura costituzionale l’obbligo di motivazione, in quanto so-
lo l’atto motivato consente un controllo giurisdizionale pieno e dunque la
motivazione è necessaria in virtù degli artt. 24 e 113 Cost. ( 10 ). Senza con-
tare che la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di rilevare che la pub-
blicità del procedimento amministrativo costituisce un principio del patri-
monio costituzionale comune dei Paesi europei; principio stabilito, tra l’al-
tro, dall’art. 253 del Trattato istitutivo delle Comunità europee (ora art. 296
nella versione consolidata dopo il Trattato di Lisbona), che impone l’obbli-
go di motivazione degli atti comunitari ( 11 ). Fatto sì è che tale obbligo co-
nosce numerose eccezioni sia stabilite dalla legge (v. art. 3, comma 2o, l. n.
241/1990), sia individuate dalla giurisprudenza, come ad es. i provvedi-
menti in materia militare (tra cui ad es. il semplice trasferimento di un ca-
rabiniere), la revoca degli assessori da parte del Sindaco o del Presidente
della Provincia ( 12 ), il divieto di visto di ingresso non turistico ( 13 ), e anche
il giudizio espresso in forma numerica che come tale è un dispositivo, non
una motivazione ( 14 ). Sicché, a meno di non ritenere lo stesso art. 3, comma
2o, l. n. 241/1990 incostituzionale, se ne ricava che è un principio costitu-

( 9 ) V. in tal senso C.E. Gallo, La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo
Titolo V della nuova Costituzione, in www.giustamm.it.
( 10 ) V. Corte cost., 23 marzo 2007, n. 103, 9.2. parte in diritto, laddove mette in luce la
consequenzialità tra motivazione e tutela giurisdizionale.
( 11 ) V. Corte cost., 17 marzo 2006, n. 103 (parte in diritto 3.4.). V. più diffusamente sui
principi comunitari che riguardano il procedimento amministrativo D.U. Galetta, Il diritto ad
una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti
della pubblica amministrazione, in Riv. ital. dir. pubbl. comunitario, 2005, 819 ss.
( 12 ) V. Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 2009, n. 6253.
( 13 ) V. TAR Lazio, Sez. I-quater, 5 giugno 2007, n. 5159, secondo cui l’interessato può
sempre chiedere all’Amministrazione, dopo il diniego, le relative ragioni e indi proporre motivi
aggiunti.
( 14 ) Cfr. in argomento da ultimo V. Italia, Ancora sul voto numerico nei concorsi pubblici,
in Foro amm. C.d.S., 2009, 2003 ss. Per altre ipotesi in cui secondo la giurisprudenza la carenza di
motivazione non costituisce vizio del provvedimento (al punto che con riguardo ad atti vincolati
la carenza di motivazione costituirebbe vizio formale, e come tale non sarebbe ragione di annul-
lamento, ex art. 21-octies, l. n. 241/1990), Cardone, Procedimento amministrativo e partecipazio-
ne: giurisprudenza amministrativa e costituzionale e concezione dell’idea di giustizia, in Dir. pubb.,
2009, ss. 247.
86 GIUSEPPE MORBIDELLI

zionale debole in quanto pieno di eccezioni: il che riduce ex se il livello di


copertura costituzionale.
Del resto principi forti della l. n. 241, a partire da quello del giusto
procedimento, sono da sempre considerati non di livello costituzionale ( 15 )
(ed invero la stessa l. n. 241 pone alcune eccezioni). E così pure la presenza
del responsabile del procedimento o il preavviso di rigetto. Se pur essi co-
stituiscono svolgimento e integrazione dei principi di imparzialità e di buon
andamento, ed infatti la giurisprudenza amministrativa in occasione della
disamina di tali istituti è solita ricondurli alle disposizioni costituzionali del-
l’art. 97 ( 16 ), non sono tuttavia espressione diretta di disposizioni costitu-
zionali, talché la loro inosservanza da parte di leggi successive non ne deter-
mina la illegittimità costituzionale. E ancora: siamo davvero sicuri che sen-
za d.i.a. o silenzio assenso vi sarebbe ex se un vulnus nella Costituzione? Lo
stesso vale per le garanzie del cittadino nei confronti dell’azione ammini-
strativa, e richiamate sempre dall’art. 29, l. n. 241/1990: o sono riconduci-
bili direttamente alla Costituzione (v. ad es. art. 51, comma 1o, art. 97, com-
ma 3o, art. 113), oppure sono sì uno svolgimento dei principi costituzionali
ma non svolgimenti necessitati e a senso unico: ancora una volta l’esempio
del giusto procedimento ( 17 ), o quello del termine per provvedere o del di-

( 15 ) In proposito, tra le più recenti, v. le sentenze Corte cost. 17 marzo 1998, n. 68; Corte
cost. 12 luglio 1995, n. 312; Corte cost. 31 maggio 1995, n. 210; Corte cost. 19 marzo 1993, n. 103.
Per altre indicazioni v. ancora Cardone, Procedimento, cit., 254 ss. In particolare nella sentenza
12 luglio 1995, n. 312, si legge che “questa Corte ha costantemente affermato che la « disciplina
del procedimento amministrativo rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della ragio-
nevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali, fra i quali non è da ricomprendere quel-
lo del giusto procedimento amministrativo, dato che la tutela delle situazioni soggettive è comun-
que assicurata in sede giurisdizionale degli artt. 24, 1o comma, e 113 della Costituzione »”, ulte-
riori indicazioni di giurisprudenza in L. Buffoni, Alla ricerca del principio costituzionale del “giu-
sto procedimento” la “processualizzazione” del procedimento amministrativo, in A. Massera (a cura
di), Le tutele procedimentali. Profili di diritto comparato, Napoli, 2007, 192 ss.; Id., Il rango costi-
tuzionale del giusto procedimento e l’archetipo del processo, in Quad. cost., 2009, 277 ss. Nel senso
che il giusto procedimento, si configura come principio di livello costituzionale, v. invece M.C.
Cavallaro, Il “giusto procedimento” come principio di rango costituzionale, Foro amm., 2001,
1836; G. Colavitti, Il “giusto procedimento” come principio di rango costituzionale, in www.asso-
ciazionedeicostituzionalisti.it.
( 16 ) V. in proposito la fine e recentissima analisi di A. Cardone, Procedimento ammini-
strativo e partecipazione: giurisprudenza amministrativa e costituzionale e concezione dell’idea di
giustizia, in Dir. pubbl., 2009, spec. 233 e segg., ivi, v. anche indicazioni di giurisprudenza secon-
do cui il preavviso di rigetto costituisce attuazione dell’art. 97 Cost. (v. nota 17).
( 17 ) Questo non vuol dire – sia chiaro – che non costituiscono un criterio interpretativo
forte; e che comunque la dissonanza da essi deve ricevere adeguata giustificazione: ed infatti da
ultimo la Corte cost. con la sentenza 20 maggio 2008, n. 161 ha individuato una correlazione si-
cura tra giusto procedimento e art. 97 Cost., con riferimento alla norma di legge che prevede la
cessazione dell’incarico di funzioni dirigenziali ove non confermato entro 60 giorni dall’entrata in
vigore della legge stessa (v. art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262 – Disposizioni
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 87

vieto di aggravamento sono paradigmatici. Si torna ancora lì: la derivazione


costituzionale, o anche la attuazione costituzionale, non fa assurgere la leg-
ge al tono costituzionale, come è dimostrato da tutta la giurisprudenza co-
stituzionale in tema di limiti di ammissibilità del referendum abrogativo, la
quale ha tracciato la categoria della legge a contenuto costituzionalmente
vincolato, cioè quella che costituisce l’unica disciplina possibile per concre-
tare le corrispondenti previsioni costituzionali e tali non sono certo le pre-
visioni in oggetto che appunto si limitano a richiamare una tra le varie solu-
zioni astrattamente possibili per attuare la Costituzione, sicché semmai
rientra (in parte qua) tra le leggi costituzionalmente obbligatorie ( 18 ). Si è
detto anche che taluni principi possono essere ricondotti al diritto comuni-
tario ed invero lo stesso art. 41 della Carta dei diritti fondamentali del-
l’Unione europea ( 19 ) prescrive il termine ragionevole, la motivazione del
provvedimento, la partecipazione: ma ancora una volta si tratta di principi
di indirizzo o di orientamento, non di principi dotati di precettività senza
condizioni, sì da poter essere “omologati” in toto con quelli della l. n. 241.
Si pensi che anche il principio del giusto procedimento, nel contesto del di-
ritto comunitario viene ascritto nella sottocategoria del diritto al contrad-
dittorio nei confronti di provvedimenti o atti afflittivi ( 20 ). Tantoché è pre-
feribilmente definito dalla Corte come principio del rispetto del diritto di
difesa, in base al quale “qualora i provvedimenti della pubblica autorità le-
dano in maniera sensibile gli interessi dei destinatari, questi ultimi devono

urgenti in materia tributaria e finanziaria –, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,


della l. 24 novembre 2006, n. 286, che modificava il comma 8 dell’art. 19 del d. lgs. 30 marzo
2001, n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche –), affermando che “l’esistenza di una preventiva fase valutativa risulta essenziale an-
che per assicurare, specie dopo l’entrata in vigore della l. 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) come
modificata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, il rispetto dei principi del giusto procedimento, all’esi-
to del quale dovrà essere adottato un atto motivato che, a prescindere dalla sua natura giuridica,
di diritto pubblico o di diritto privato, consenta comunque un controllo giurisdizionale. Questo
anche al fine di garantire – attraverso la esternazione delle ragioni che stanno alla base della de-
terminazione assunta dall’organo politico – scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire
la prosecuzione dell’attività gestoria in ossequio al precetto costituzionale della imparzialità del-
l’azione amministrativa”: v. altresì già nello stesso senso Corte cost. 23 marzo 2007, n. 103.
( 18 ) V. Corte cost. 7 febbraio 1978, n. 16 (parte in diritto 9.).
( 19 ) Richiamato espressamente dalla Dichiarazione 1 allegata all’atto finale della conferen-
za intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 e dichiarato
come avente “forza giuridicamente vincolante in quanto conferma i diritti fondamentali garantiti
dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e
quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri”.
( 20 ) Non a caso il leading case è quello relativo al licenziamento di un funzionario europeo,
perché ubriaco aveva gettato bicchieri per strada dalla terrazza dell’edificio dove lavorava: Corte
giust. 4 luglio 1963, Maurice Alvis c. Consiglio della Comunità europea, causa n. 32/1962, in Racc.
1963, 99.
88 GIUSEPPE MORBIDELLI

essere messi in grado di presentare tempestivamente le loro difese” ( 21 ). In


altre parole, come ha ritenuto autorevole dottrina, nella giurisprudenza co-
munitaria è difficile riscontrare una apertura alla dimensione critica e col-
laborativa e non meramente difensiva del contraddittorio ( 22 ), e ciò del re-
sto è confermato dal testo dell’art. 41, comma 2o, lett. a) Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea. Semmai dal diritto comunitario si può
ricavare che le eccezioni sono tassative, da leggere restrittivamente, e che
devono essere sviluppate al massimo indicazioni volte a superare tali ecce-
zioni (v. infatti quanto osservato più avanti circa i principi in punto di mo-
tivazione ricavabili dalla l. 28 dicembre 2005, n. 262). Mentre in tema di si-
lenzio-assenso il principio del diritto comunitario è invece di sfavor ove sia
necessaria, per la natura degli accertamenti da svolgersi, una istruttoria,
non surrogabile da meccanismi basati sulla fictio iuris per cui il decorso del
tempo equivale ad autorizzazione ( 23 ). Questo non vuol certo dire che i
principi costituzionali e i principi comunitari ( 24 ) non contribuiscano ad in-
dirizzare la legislazione regionale e a maggior ragione l’azione amministra-
tiva di Regioni ed enti locali. Vuol dire però che non sono sufficienti a “reg-
gere” tutti i principi estraibili dalla l. n. 241 (a maggior ragione tutti gli altri
principi generali ricavabili aliunde). Sicché la rete dei principi ex l. n. 241 e
in genere dei principi generali dell’ordinamento attinenti all’attività ammi-
nistrativa – invero indispensabile per la stessa natura delle cose – ha neces-

( 21 ) Corte giust., 23 ottobre 1974, causa n. 17/1974, in Racc., 1974, I, 1063 ss. in www.eu-
ropa.eu.int.; v. comunque sul tema, ampiamente, S. Antoniazzi, Procedimenti amministrativi co-
munitari composti e principio del contraddittorio, in Riv. ital. dir. pubbl. comunit., 2007, 641 ss. e
ivi ulteriori indicazioni.
( 22 ) Così A. Massera, I principi generali dell’azione amministrativa, in V. Cerulli Irelli
(a cura di) La disciplina generale dell’azione amministrativa, Torino, 2006, 47. In altri termini, non
è presente (o comunque non è consolidata) nell’ordinamento comunitario la funzione “collabo-
rativa” o comunque la finalità di assicurare completezza di istruttoria che pur si inserisce a pieno
titolo nel concetto di partecipazione (la pluralità di valenze che la partecipazione assume è stata a
suo tempo rilevata da M. Nigro, Il nodo della partecipazione, ora in Scritti giuridici, II, Milano
1996, 1413 ss.). Altro sarebbe se si affermasse una lettura estensiva dell’art. 6 CEDU, sì da ricom-
prendere tra le garanzie del giusto processo anche i procedimenti amministrativi: v. in tal senso la
recente analisi di F. Goisis, Garanzie procedimentali e convenzione europea per la tutela dei diritti
dell’uomo, in Dir. proc. amm., 2009, 1328 ss., anche se invero, dalla casistica ivi esposta, le garan-
zie del giusto processo riguardano in sostanza o misure afflittive o misure ablatorie (cui corrispon-
dono fattispecie di partecipazione difensiva).
( 23 ) Sia consentito rinviare a quanto osservato in G. Morbidelli, Il silenzio-assenso, in
V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Torino, 2006,
47.
( 24 ) Da aggiungere anzi che il diritto comunitario pone sovente principi in punto di sem-
plificazione: ad es. lo sportello unico ove espletare le domande di autorizzazione necessarie al-
l’esercizio delle attività di servizi, è previsto dall’art. 6 della direttiva n. 2006/123/CE (v. in pro-
posito Corte cost., 21 gennaio 2010, n. 15 (parte in diritto 4.2.).
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 89

sità di giustificazioni teoriche diverse da quelle sottese alla novella del


2005 ( 25 ).

3. – Taluni autori hanno allora ritenuto di far leva (invero già prima
della novella del 2005) sui livelli delle prestazioni essenziali, nel senso di so-
stenere che la materia trasversale ex art. 117, comma 2o, lett. m, “determi-
nazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e so-
ciali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” è suscetti-
bile di ricomprendere anche le prestazioni che l’Amministrazione è tenuta
a erogare sotto il profilo delle procedure amministrative (tempi, avvisi di
procedimento, motivazione etc.). Come esempi di prestazioni vengono
portati anche quelli riconducibili alla c.d. semplificazione amministrati-
va ( 26 ). In altre parole il termine prestazioni viene interpretato nel senso di
attività svolta dai pubblici uffici a favore dei cittadini anche attraverso una
attività procedimentalizzata. D’altra parte, la funzione di garanzia delle po-
sizioni soggettive degli amministrati è suscettibile di ricondurre il limite dei
livelli essenziali a quello del principio di eguaglianza ( 27 ).
Tale tesi ha invero trovato molte obiezioni in dottrina ( 28 ). In sintesi:
1) la prima quella per cui la stessa l. n. 241 qualificava (all’epoca) co-
me prestazione il solo diritto di accesso (v. art. 22, comma 2o) ( 29 );

( 25 ) Nel senso che tali principi sarebbero invece ricavabili dalle norme costituzionali G.
Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione amministrativa e potestà legislativa regionale, in Dir.
amm.vo, 2006, 35; v. altresì nello stesso senso, richiamando anche i principi comunitari, B. Mat-
tarella, I procedimenti della Regione e degli enti locali, in Giorn. dir. amm., n. 11/2009, 1137 ss.
( 26 ) D. Sorace, La disciplina generale dell’azione amministrativa dopo la riforma del Titolo
V della Costituzione. Prime considerazioni, in AIPDA, Annuario, 2003, 27; v. altresì nello stesso
senso G. Morbidelli, Il procedimento, in L. Mazzarolli - G. Pericu - A. Romano - F.A. Ro-
versi Monaco - G. Scoca, Diritto amministrativo, Bologna, 2005, I; A. Romano Tassone, Leg-
ge n. 241 del 1990 e competenze regionali: osservazioni sulla posizione di A. Celotto - M.A. San-
dulli, in www.federalismi.it, 2006, n. 5, 4; cfr. altresì A. Fabri, Art. 22, legge 11 febbraio 2005, n.
15, in La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla l. n. 241/1990 riformata dalle
leggi n. 15/2005, a cura di N. Paolantonio - A. Police - A. Zito, Torino, 2006, 815; C.E. Gal-
lo, La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo titolo V Cost., in www.giustam-
m.it; S. Cresta - S. Grassi - P. Lombardi - I. Paola, La partecipazione, in Procedimento ammi-
nistrativo e partecipazione, a cura di A. Crosetti - F. Fracchia, Milano, 2002, 242 ss. La tesi ha
ricevuto alcune conferme nella giurisprudenza amministrativa: v. ad es. TAR Valle d’Aosta, 12 lu-
glio 2007, n. 106.
( 27 ) Ad analoghe conclusioni giunge Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 4a ed.,
Torino, 2002, 352, basandosi peraltro sul principio di unità giuridica ex art. 120 Cost.
( 28 ) V. in particolare G. Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione amministrativa e potestà
legislativa regionale, in Dir. amm., I, 2006, 37 ss.; R. Ursi, La disciplina generale dell’azione ammi-
nistrativa nel prisma della potestà normativa degli enti locali, in Dir. amm., 2006, 615; A. Celotto
- M.A. Sandulli, Legge 241 del 1990 e competenze regionali: un « nodo di Gordio ».
( 29 ) In tal senso v. in particolare R. Virgilio, L’applicabilità della L. 241/1990 alla luce del
Titolo V della Costituzione, relazione al Convegno La nuova disciplina dell’invalidità dei provvedi-
90 GIUSEPPE MORBIDELLI

2) la seconda che la disposizione costituzionale si riferirebbe a presta-


zioni materiali ( 30 );
3) la terza che le situazioni tutelate dalla l. n. 241 non assurgono sem-
pre allo status di diritto soggettivo e neanche di interesse legittimo, riguar-
dando talvolta situazioni intermedie;
4) la quarta che i livelli essenziali non si presterebbero ad essere defi-
niti attraverso principi;
5) la quinta che così si darebbe luogo ad un eccesso di competenze
statali, in quanto l’ambito degli istituti di garanzia espressione di una pre-
stazione di livello essenziale potrebbe avere un contenuto senza confini: vi
sarebbe così un eccesso di pervasività ( 31 ).
Invero non sono argomenti dirimenti. Non il primo, perché l’argo-
mento a contrario non è mai decisivo sia perché frutto del c.d. formalismo
interpretativo, sia perché ad esso si può contrapporre l’argomento a simi-
li ( 32 ), dal quale appunto si può ricavare che anche l’attività “burocratica”
(di ostensione di documenti) può essere considerata una prestazione. Il se-
condo è ancorato ad una lettura di “prestazioni” oltremodo restrittiva: ave-
re una esenzione o una autorizzazione è sicuramente un bene della vita, e
dunque è configurabile come prestazione. Come è stato osservato in dottri-
na “i diritti civili e sociali sono da intendere come il complesso delle pretese
che il cittadino può vantare nei confronti dell’amministrazione, intesa come
amministrazione autorità, e ciò vale segnatamente per i diritti civili, e come
amministrazione che eroga servizi e prestazioni, e ciò vale per i diritti socia-
li” ( 33 ). Ancora meno convincente è l’argomento per cui sarebbe “curiosa”
l’idea che il procedimento amministrativo costituisca sempre una prestazio-
ne che il cittadino si attende, anche quando si tratta dell’emanazione di un
provvedimento sfavorevole, quale un decreto di espropriazione od una san-
zione amministrativa ( 34 ). In realtà è una prestazione e dunque una garanzia
quella che tali procedure “ablative” si svolgano secondo imparzialità e fa-

menti amministrativi e conseguenti poteri del giudice, Catania 2-3 dicembre 2005, in www.giu-
stamm.it.
( 30 ) V. in tal senso particolarmente P. Lazzara, La disciplina del procedimento amministra-
tivo nel riparto delle competenze Stato-Regione, cit., 105 ss.
( 31 ) V. particolarmente per questi rilievi G. Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione am-
ministrativa, cit., 35.
( 32 ) V. in proposito gli insegnamenti ormai classici di G. Tarello, L’ interpretazione della
legge, Milano, 1980, 346 ss.
( 33 ) C.E. Gallo, La riforma della legge sull’azione amministrativa, cit., v. anche M. Renna,
Obblighi provvedimentali e responsabilità dell’amministrazione, in AA.VV., Verso un’amministra-
zione responsabile, Milano, 2005, 287 ss., il quale rileva che sin dall’inizio del procedimento l’am-
ministrazione ha una serie di obblighi nei confronti dei soggetti che vi devono partecipare e a que-
sti obblighi corrispondo altrettanti diritti in capo ai medesimi soggetti.
( 34 ) G. Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione amministrativa, cit., 35.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 91

cendo corretto uso della discrezionalità amministrativa. Ciò che ci si atten-


de non è il provvedimento sfavorevole, bensì che il provvedimento sfavore-
vole non vi sia o, se vi ha da essere, che faccia seguito ad un iter garantista.
Quanto alla terza critica, è possibile obiettare che si tratta sempre di
situazioni riconducibili, in una lettura sostanzialistica dell’art. 117, 2o com-
ma, lett. m, a ciò che ciascuno interessato si attende dall’Amministrazione:
è sempre il suum cuique tribuere anche se siamo in una fase endoprocedi-
mentale. I livelli essenziali fanno infatti riferimento a tutti quei diritti che
non possono cedere a fronte della legislazione regionale, perché idonei ad
esprimere l’identità dello Stato democratico ( 35 ). Né d’altra parte è possibi-
le dar rilievo al termine “diritti”, quando è noto che gli stessi diritti costitu-
zionali peraltro possono atteggiarsi come interessi legittimi ( 36 ).
Gli ultimi due argomenti possono essere esaminati congiuntamente in
quanto sono uno conseguenza dell’altro. Essi invero costituiscono mere
constatazioni: infatti una volta acquisito che le regole volte a garantire le
prestazioni burocratiche sono inquadrabili tra i l.e.p., la conseguenza è
quella tipica di tutte le materie trasversali, le quali non si arrestano ai prin-
cipi. Si può tuttavia osservare, per contrastare gli inconvenienti lamentati,
come la giurisprudenza abbia più volte affermato che il legislatore non può
invocare tale competenza di carattere trasversale per richiamare a sé l’intera
disciplina delle materie cui essa possa di fatto accedere ( 37 ), sicché ciò co-
stituisce un forte controlimite alla paventata pervasività.

4. – Non v’è dubbio però che il richiamo ai livelli essenziali costituisca


una se pur utile forzatura: così come è avvenuto per le materie – non mate-
rie, o per la lettura dell’art. 118, comma 1o – volta ad individuare una sorta
di materia statale implicita tale da attribuire alla competenza esclusiva sta-
tale tutto ciò che attiene ad esigenze unitarie secondo la notissima ricostru-
zione introdotta da Corte cost. n. 303/2003 ( 38 ), al punto che da taluni è
stato definito “bagliore di potere costituente” ( 39 ) e che abbia addirittura

( 35 ) L. Antonini, Art. 117 Cost. commi 2o, 3o, 4o, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Oli-
vetti, Commentario alla Costituzione Italiana, Torino, 2006, 2236.
( 36 ) V. in proposito l’insegnamento di A. Pace, Le garanzie dei diritti fondamentali nell’or-
dinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici comuni, in Nuove dimensioni
dei diritti di libertà (Studi in onore di P. Barile), Padova, 1990, 120 ss. tesi ora sviluppata nella
recente monografia di D. Piccione, Libertà costituzionali e giudice amministrativo, Napoli, 2009.
( 37 ) Corte cost., 19 luglio 2005, n. 285, parte 3 in diritto, e ivi ulteriori indicazioni.
( 38 ) In Giur. cost., 2003, 2675, con nota di A. Gentilini, Dalla sussidiarietà amministrati-
va alla sussidiarietà legislativa, a cavallo del principio di legalità.
( 39 ) M. Morrone, La Corte costituzionale riscrive il Titolo V?, in Forum dei quaderni costi-
tuzionali, http://web.unife it/progetti/forum-costituzionale/index.html., 8 ottobre 2002. I com-
menti alla sentenza n. 303/2003, in genere di taglio critico, sono stati numerosi: v. tra gli altri R.
92 GIUSEPPE MORBIDELLI

caratteristiche di iter argomentativo “funambolico” ( 40 ), o come è avvenuto


tante volte in passato sempre con riguardo ai rapporti Stato-Regione (dalla
legittimazione costituzionale della funzione di indirizzo e coordinamento
alla trasformazione all’interesse nazionale da limite di merito e successivo a
limite di legittimità e preventivo e alla stessa applicazione diretta salvo ce-
devolezza della legislazione statale di dettaglio).

5. – Comunque sia la l. n. 69/2009, novellando ancora la 241 non ha


condiviso le critiche della dottrina avversa alla qualificazione dei capisaldi
della l. n. 241 come l.e.p., anzi ( 41 ). E ciò nella ricerca di dare un quadro più
possibilmente chiaro della rete dei principi che avvolgono i procedimenti
amministrativi di Regioni e di enti locali, facendo altresì ricorso a più titoli
della competenza statale. Il risultato è appunto quello di determinare con
maggiore precisione le aree non disponibili da parte delle Regioni ( 42 ). A tal
fine il primo comma del nuovo art. 29 ha stabilito che si applicano a tutte le

Dickmann, La Corte Costituzionale attua (ed integra) il Titolo V (Osservazioni a Corte Cost., 1o
ottobre 2003. n. 303), in www.federalismi.it., n. 12/2002; L. Torchia, In principio sono le funzio-
ni (amministrative): la legislazione seguirà, in www.astridonline.it. Non mancano – sia chiaro –
studi che invero condividono la sentenza della Corte: v. in particolare A. D’atena, L’allocazione
delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte Costituzionale, in Giur. cost.,
2003, 2776. Sia consentito aggiungere che la tesi della competenza statale in materie regionali in
vista di esigenze unitarie ex art. 118, comma 1o, poi affermato da Corte cost. n. 303/2003, era stata
anticipata da G. Morbidelli, La localizzazione e la realizzazione delle infrastrutture e degli inse-
diamenti produttivi strategici tra Stato e Regioni, in Atti del Convegno sul Titolo V della Costituzio-
ne ed opere pubbliche, Bologna, SPISA, 18 ottobre 2002 e ivi anche la definizione della “materia
implicita trasversale” laddove vi fossero da tutelare esigenze unitarie secondo la tecnica della c.d.
sussidiarietà “ascensionale”.
( 40 ) L. Antonini, Art. 117 Cost., cit., 2244.
( 41 ) Secondo F. Figorilli - S. Fantini, Le modifiche alla disciplina generale sul procedi-
mento amministrativo, in Urbanistica e Appalti, n. 8/2009, 216 ss. Invero “il comma 2-ter della l. n.
69/2009 sembra infatti recepire gli auspici formulati da una recente dottrina che aveva criticato il
ricorso alla nozione di “livelli essenziali” per indicare i « risultati che devono essere garantiti al
cittadino nel suo rapporto con l’amministrazione-autorità », preferendo piuttosto circoscrivere la
loro portata alle prestazioni materiali assicurate dalle Amministrazioni, tra cui l’obbligo di comu-
nicare l’atto, il responsabile, il diritto di accesso”. Invero l’avviso è finalizzato alla partecipazione
(non è cioè una prestazione fine a se stessa) e lo stesso vale per gli altri istituti tutti volti ad inve-
rare garanzie: ad es. l’obbligo di concludere entro un termine prefissato il procedimento.
( 42 ) V. in tal senso A. Celotto, L’ansia riformatrice, il Gattopardo e il nuovo art. 29 della
legge 241 del 1990, come modificato dalla legge n. 69 del 2009, in www.giustamm.it, 2009, anche se
poi tale Autore, come emerge già dal titolo, afferma che poco o nulla è cambiato, atteso che gli
istituti e le discipline non disponibili da parte della Regione erano già individuabili nel vecchio
art. 29, nello stesso senso B. Mattarella, I procedimenti delle Regioni e degli enti locali, cit.,
1144. Ma questo è indiscusso, anche perché non poteva essere altrimenti. Solo che ora “la ragion
per cui” dell’applicazione dei principi alla l. n. 241 è più chiara. Tanto che B. Mattarella, I pro-
cedimenti delle Regioni e degli enti locali, cit., 1145, pure critico verso la novella del 2009, afferma
che siamo di fronte ad una ipotesi di (implicita) motivazione dell’atto legislativo laddove appunto
richiama i limiti essenziali.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 93

amministrazioni pubbliche “le disposizioni di cui agli artt. 2-bis, 11, 15 e


25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis”. V’è quindi un rinvio
testuale alle disposizioni, dal che deriva che le Regioni non possono appor-
tarvi alcuna modifica. La disciplina posta da tali disposizioni è cioè com-
piuta ed esclusiva ( 43 ). Tali disposizioni riguardano: a) le conseguenze del
ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento (art.
2-bis); b) gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento (art. 11); c)
gli accordi fra le pubbliche amministrazioni (art. 15); d) le modalità di ri-
corso al giudice amministrativo in materia di diritto di accesso (art. commi
5, 5-bis e 6); e) l’efficacia, la esecutorietà, la esecutività, la disciplina dell’in-
validità del provvedimento amministrativo, gli istituti di autotutela (v. il ca-
po IV-bis artt. da 21-bis a 21-novies). Il criterio seguito è dunque quello del-
la elencazione espressa di disposizioni (e con esse, a fortiori, dei corrispon-
denti istituti) riconducibili alla competenza statale, senza peraltro evocare
espressamente le materie ex art. 117, comma 2o (come nella novella del
2005). Si tratta comunque di disposizioni riconducibili all’ordinamento ci-
vile, come è evidente per quelle sub a, b, c, o alla giustizia amministrativa, lo
stesso per quelle sub d, e, data anche la osmosi genetica tra provvedimento
e giustizia amministrativa ( 44 ). Il Capo IV-bis invero comprende anche di-
sposizioni concernenti l’ordinamento civile. Ciò vale – a mio avviso – per
l’art. 21-sexies, relativo al recesso dai contratti e per l’art. 21-quinquies circa
l’indennizzo in caso di revoca, ma anche per gli artt. 21-bis ( 45 ) e 21-quater
sulla efficacia dei provvedimenti, e l’art. 21-ter, sull’esecutività, attengono
al sistema di reciproci diritti e obblighi che legano pubblica amministrazio-
ne e privati, come tali riconducibile all’ordinamento civile, di talché la di-
sposizione ha solo una funzione dichiarativa di ciò che già si ricava dall’art.
117 Cost. Come pure è riconducibile all’ordinamento civile la parte dello
stesso 1o comma che stabilisce l’applicazione della l. n. 241 alle società mi-
ste a totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle
funzioni amministrative di tali società incluse perciò anche a quelle a capi-
tale regionale o locale ( 46 ), e ciò sulla considerazione che il regime delle fun-
zioni amministrative di tali società fa parte dell’ordinamento (civile) della
società stessa. È infatti una caratteristica delle società a capitale pubblico

( 43 ) V. in tale senso G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, I, L’attività, Padova,


2009 (2o ed.), 68. In realtà il limite che ne deriva è quello di non modificare in alcun modo il testo
delle disposizioni elencate, ma disposizioni interstiziali o di completamento sono da ritenersi am-
missibili.
( 44 ) Così B. Mattarella, I procedimenti delle Regioni e degli enti locali, cit., 1139.
( 45 ) Tale disposizione è riconducibile anche al principio di pubblicità, che a sua volta ha
una matrice europea: Corte cost. 17 marzo 2006, n. 104.
( 46 ) Su problemi di ordine operativo che tale disposizione solleva: v. i condivisibili rilievi di
B. Mattarella, I procedimenti delle Regioni e degli enti locali, cit., 1143, nota 23.
94 GIUSEPPE MORBIDELLI

(così come gli artt. 2455 e ss. cod. civ.) ( 47 ). Del resto, proprio con riferi-
mento a società partecipate da Regioni o da enti locali, la Corte ha già
avuto modo di ricondurle all’ordinamento civile, materia nella quale
rientrano istituti di natura privatistica pur caratterizzati da elementi di
matrice pubblicistica ( 48 ). L’art. 29, al 2o comma, mantiene inalterata la
disposizione ai sensi della quale “le regioni e gli enti locali, nell’ambito
delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presen-
te legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del citta-
dino nei riguardi dell’azione amministrativa così come definite dai prin-
cipi stabiliti dalla presente legge”, di cui si è già rilevata la ridondanza
ma che comunque intende ribadire lo stretto legame tra l’art. 97 Cost. e
tutti i principi della l. n. 241 (anche quelli che non assurgono al tono co-
stituzionale), e in particolare i principi generali di cui all’art. 1, comma 1
e comma 1-bis. Nei successivi commi (2-bis, 2-ter, 2-quater) il nuovo art.
29 segue invece le indicazioni della dottrina (sopra ricordata) indicando
partitamente i principi della l. n. 241 che attengono alle prestazioni es-
senziali (anche se c’è un rinvio alle disposizioni, la formulazione “dispo-
sizioni concernenti gli obblighi dell’amministrazione di garantire etc.” si-
gnifica con chiarezza un rinvio ai principi incorporati dalle disposizioni
stesse, con conseguente facoltà delle Regioni di dar luogo ad integrazioni
e svolgimenti); ovverosia (v. comma 2-bis) le disposizioni concernenti gli
obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione
dell’interessato al procedimento (art, 7, 9, 10, 10-bis), di individuarne un
responsabile (art. 5), di concluderlo entro il termine prefissato ( 49 ) (art.
2, comma 1) e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa
(Capo V, art. 25 e ss.), nonché quelle relative alla durata massima dei
procedimenti” (v. ancora art. 2, comma 2 e ss.).
Mentre il comma 2-ter introduce la categoria dei l.e.p. “cedevoli”. So-

( 47 ) Se invece, pur qualificate nominalmente come società sono enti pubblici (come talvol-
ta avviene: v. le indicazioni di V. Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo, Torino,
2009, 118-9) allora la disposizione non può ricondursi all’ordinamento civile e allora ancora es-
sendo enti pubblici locali, riprendono espansione le competenze delle regioni sulla propria orga-
nizzazione. Si noterà che la legge non contempla le società a capitale pubblico minoritario, le qua-
li pure possono essere attributive di funzioni amministrative. Comunque le società minoritarie
esercenti funzioni pubbliche rimangono soggette, per un verso, all’art. 1 c. 1-ter della l. n. 241
(per cui sono soggette solo ai principi di cui al c. 1 del medesimo art. 1) e, per altro verso, all’in-
tegrale disciplina in materia di diritto d’accesso (art. 22, comma 1o, lett. e).
( 48 ) Corte cost. 1 agosto 2008, n. 326.
( 49 ) Nel senso che la previsione di un termine per provvedere in quanto ispirata alla sem-
plificazione e alla celerità costituisce un principio della materia (nella specie, energia) v. Corte
cost., 6 ottobre 2009, n. 282 (parte in diritto 6.1.): è ragionevole perciò dedurre che se il termine è
inserito in una disposizione di carattere generale e trasversale, transita allora a livello di principio
o comunque di l.e.p.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 95

no tali le disposizioni in punto di d.i.a. e silenzio-assenso; difatti è possibile


individuare, a seguito di intese in sede di conferenza unificata, casi ulteriori
in cui la disciplina ex art. 19 e 20, l. n. 241 (appunto in tema di d.i.a. e di
silenzio-assenso) non trovi applicazione. Si tratta di disposizione invero pe-
culiare: introduce una sorta di legge “rinforzata”, in quanto preceduta dalla
intesa (dovendosi escludere che la non applicazione di disposizioni di legge
qualificate l.e.p. venga meno per effetto di una intesa non seguita da una
legge) ( 50 ) e riduce l’autonomia regionale, perché nell’intesa le Regioni de-
vono esprimersi all’unanimità (la regola della maggioranza è espressamente
prevista per altri casi, diversi dall’intesa: v. art. 2, comma 2o, d. lgs. 28 ago-
sto 1997, n. 281), sicché è del tutto depotenziata la facoltà delle Regioni di
dar luogo a discipline diverse dai modelli degli artt. 19 e 20, dovendo rag-
giungere l’idem consensus di tutte le Regioni ( 51 ). Nel contempo dimostra
che tali istituti non sono di diretta discendenza costituzionale, tanto che
possono essere derogati.
Si può allora osservare che per effetto della novella del 2009 le critiche
alla qualificazione delle procedure amministrative come l.e.p. si fanno più
flebili: cade l’argomento a contrario, cade la incertezza di individuazione,
cade anche l’accusa di pervasività perché in concreto la individuazione di
l.e.p. si limita a rinviare agli istituti e non alle disposizioni nella loro interez-
za, come invece nel 1o comma ( 52 ), talché ad es. le forme di partecipazione,
i compiti del responsabile, la stessa tempistica dei procedimenti (ivi com-
presa la disciplina degli atti interlocutori) può essere disciplinata nella cor-
nice dei principi dalla legge regionale. Del resto il successivo comma 2o-
quater stabilisce che le Regioni e gli enti locali se non possono stabilire ga-
ranzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai li-
velli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2o-bis e 2o-ter, possono
tuttavia prevedere livelli ulteriori di tutela. Ciò del resto in armonia con il
principio più volte ribadito dalla Corte costituzionale in punto di l.e.p. per
cui resta integra la potestà stessa delle Regioni di sviluppare ed arricchire il
livello e la qualità delle prestazioni garantite dalla legislazione statale, in
forme compatibili con quest’ultima ( 53 ).

( 50 ) Non solo per la riserva di legge che vige in materia di attività amministrativa e per lo
stesso contrarius actus, ma poiché le scelte in tema di l.e.p. perlomeno nella linee generali, sono
riservate alla legge: Corte cost., 31 marzo 2006, n. 134 (parte in diritto 9.).
( 51 ) V. nello stesso senso B. Mattarella, I procedimenti delle Regioni e degli enti locali,
cit., 1194.
( 52 ) Nella specie i l.e.p. si prestano ad essere determinati attraverso prescrizioni per prin-
cipi, perché l’art. 29, se pur con la interpositio della disposizione regolante l’istituto, è indirizzato
a quest’ultimo, e dunque alle linee generali della disciplina.
( 53 ) Corte cost. 13 giugno 2006, n. 248.
96 GIUSEPPE MORBIDELLI

6. – Resta il fatto che tali indicazioni lasciano lacune. Ad es. non sono
compresi né nell’elenco dell’art. 29, comma 1, né tra i l.e.p. il divieto di ag-
gravamento, l’obbligo di motivazione che, se pur riconducibile ai principi
comunitari (come derivazione del principio di pubblicità) conosce – come
già rilevato – varie eccezioni, la previsione di previ criteri di attribuzione di
vantaggi economici, le misure di semplificazione per ciò che concerne l’at-
tività consultiva, le valutazioni tecniche, l’obbligo di acquisizione di ufficio
di documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per
l’istruttoria del procedimento, i fatti, gli stati e le qualità che la stessa ammi-
nistrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certifi-
care ( 54 ). Si tratta di disposizioni che non rientrano nelle disposizioni riser-
vate alla competenza statale né ex comma 1o, art. 29, né come l.e.p. ex com-
ma 2o-bis e comma 2o-ter ( 55 ). Né rientrano tra le previsioni di sicura ascen-
denza costituzionale ex comma 2o, con l’eccezione dell’art. 12, l. n. 241,
circa i criteri preventivi atti ad autolimitare l’assegnazione di vantaggi eco-
nomici in quanto espressione diretta del principio di imparzialità. Infatti,
ad es., la semplificazione si può fare in tanti modi (non c’è un contenuto ob-
bligato) e la motivazione non è sempre necessaria nella stessa l. n. 241 (e la
giurisprudenza – come si è visto – ha vieppiù esteso le eccezioni).
Si potrebbe dire che, alla fin fine, questo non è un problema esiziale,
in quanto l’obbligo di motivazione è previsto dagli Statuti regionali (e da
quelli degli enti locali), che il divieto di aggravamento può essere ricondot-
to all’obbligo di concludere il procedimento entro un termine prefissato e
che le semplificazioni attinenti alla acquisizione di documenti sono ricon-
ducibili all’art. 97 come espressione del buon andamento. Ma a parte il
margine di incertezza di tali attribuzioni, tantopiù in correlazione con la
puntigliosa elencazione di altri istituti, principi, disposizioni, va soprattutto
tenuto presente che il problema della soggezione alla rete dei principi non
si pone solo per quelli ricavabili dalla l. n. 241, ma per tutti i principi ordi-
namentali che caratterizzano l’azione amministrativa e la stessa organizza-

( 54 ) Altre disposizioni della l. n. 241, non riconducibili all’art. 29, sono invece di sicura
competenza statale: così l’art. 18 sulle autocertificazioni e l’art. 30 sugli atti di notorietà (da ricon-
durre entrambi all’ordinamento civile).
( 55 ) Sono invero da ricondurre direttamente all’art. 97 Cost. i principi generali elencati
dall’art. 1, comma 1o, l. n. 241, secondo cui “l’attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di tra-
sparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che discipli-
nano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”, mentre la dispo-
sizione (v. art. 1, comma 1-bis), secondo cui “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di
natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga di-
versamente”, attiene alla capacità delle persone giuridiche pubbliche: è cioè una disposizione che
va a integrare l’art. 11 cod. civ. e dunque da ricondurre alla materia ordinamento civile.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 97

zione amministrativa. Principi che non sono solo della singola materia (es.
governo del territorio o ordinamento della comunicazione o tutela della sa-
lute), ma che hanno un contenuto più generale o trasversale, in quanto at-
tengono ad ogni sorta di materia. A loro volta tali principi possono derivare
anche da norme di settore, ma ascendere, in via di sussunzione a livello di
principi generali, come del resto ebbe ad osservare la Corte nella sent. n. 6
del 26 giugno 1956: “i principi generali che scaturiscono da questa coerente
e vivente unità logica e sostanziale del diritto positivo, possono riflettere
anche determinati settori, per convergere poi in sempre più elevate diretti-
ve generali coerenti allo spirito informatore di tutto l’ordinamento”. Anche
se la l. n. 241 ha contribuito ad una estesa canonizzazione di una serie di
principi, l’ordinamento amministrativo rimane sempre strutturato attorno
ad una serie ben più estesa di principi, tra l’altro in continua evoluzione e
formazione. È noto infatti che la non codificazione del diritto amministra-
tivo ha legittimato la giurisprudenza ad individuare una summa di regole
dell’azione amministrativa, al fine di porre ordine ad una normativa copio-
sissima e stratificata. Regole che, a prescindere da quelle che si ricavano dai
principi costituzionali ( 56 ) o da quelli comunitari ( 57 ) sono: a) in parte rica-
vati dai principi del diritto privato (si pensi al principio di conservazione,
che si deduce dall’art. 1367 c.c.), o a quello della tutela dell’apparenza, che
si ricava dall’art. 113 c.c., o a quello di tutela dei terzi di buona fede (es. in
caso di annullamento di atti di aggiudicazione di contratti che si ricava dal-
l’art. 25 c.c.) o al principio di irretroattività dei regolamenti e degli atti am-
ministrativi sfavorevoli, che si ricava dalle preleggi; b) in parte estrapolate
da disposizioni contenute in leggi di particolare rilievo anche per la vastità
del campo di applicazione e/o per la accuratezza di disciplina (c.d. “leggi
forti” dell’Amministrazione), ad es. i principi in tema di concessione di be-
ni pubblici che si ricavano dal T.U. acque ed impianti elettrici o quelli in te-
ma di pubblico impiego ricavabili dal T.U. n. 3/1957; c) in parte invece ela-
borate convergendo “in positivo” i vari profili dell’eccesso di potere (c.d.
principi sul “formarsi dell’atto”) talvolta corretti e integrati in nome del-
l’equità; sicché – ed è affermazione comune in dottrina e in giurisprudenza
– il diritto amministrativo non è frutto solo delle leggi che regolano l’attività
dello Stato, ma anche dei principi che costituiscono la parte generale non

( 56 ) Nel senso che per quanto numerosi principi generali dell’ordinamento siano sanciti a
livello costituzionale, non è da dedurne la quasi irrilevanza del limite in questione: L. Paladin, La
potestà legislativa regionale, Padova, 1958, 131.
( 57 ) Ad essi è poi possibile aggiungere quelli del diritto pubblico globale: v. sul punto, an-
che per una indagine sulla loro genesi, le riflessioni di G. Della Cananea, Al di là dei confini sta-
tuali. Principi generali del diritto pubblico globale, Bologna, 2009, spec. 160 ss.
98 GIUSEPPE MORBIDELLI

scritta di tale branca del diritto ( 58 ). E tale carattere normativo dei principi
è tanto radicato che la Corte costituzionale ravvisa nei principi elaborati
dalla giurisprudenza lo strumento idoneo per assicurare il rispetto della ri-
serva di legge, pur nella sommarietà contenutistica del dettato legislativo,
che viene cioè colmato da tali principi ( 59 ). Così per continuare nelle esem-
plificazioni, si pensi ai principi in tema di procedimenti irrogativi di sanzio-
ni amministrative, che vengono ricavati dalla l. n. 689/1981, o a quelli in te-
ma di organi collegiali ricavati dal T.U. l. com. prov. n. 383/1934 (se pur
non più vigente) o ancora a quelli in materia di indici rivelatori della natura
pubblica di un ente, o in tema di presupposti per la proroga di un atto am-
ministrativo, o di sanatoria di comportamenti contra legem (c.d. sanatoria
giurisprudenziale) o di rapporti di connessione o pregiudiziali tra procedi-
menti, o di ius superveniens su domanda di autorizzazione in corso o di
clausole accidentali. Né ha alcun rilievo che si tratti di principi tratti da sin-
goli settori dell’ordinamento. Anch’essi infatti possono assurgere a livello
di principio generale dell’ordinamento se hanno il carattere di “non sussu-
mibilità in prescrizioni di ordine superiore” ( 60 ). Non solo. I principi, per
loro ontologia da un lato non si prestano ad una integrale enunciazione in
sede legislativa ( 61 ), ma dall’altro sono in continua evoluzione, e del resto
basta leggere le sentenze dell’Adunanza plenaria per vedere come essi si
fanno via via strada. Tanto per fare alcuni esempi, non è da escludere che
alla luce delle previsioni della l. n. 262/2005, che stabilisce l’obbligo di mo-
tivazione che per gli atti normativi e gli atti amministrativi generali delle au-
torità indipendenti, questo obbligo possa essere convertito in principio ge-
nerale ( 62 ) e non più di settore, o che la disciplina di cui alla riforma del di-
ritto societario in punto di discovery degli interessi degli amministratori
(artt. 2391 e 2392-bis cod. civ.) vada a configurarsi come principio generale
anche del diritto amministrativo, nel senso che la leale ostensione dell’inte-
resse personale alla delibera e l’adeguata motivazione delle ragioni e della

( 58 ) Cons. St., Ad. plen., 28 gennaio 1961, n. 3, in Cons. Stato, 1961, I, 8, ove leggesi che il
diritto amministrativo risulta non solo da norme ma anche da principi che dottrina e giurispru-
denza hanno elaborato e ridotto a unità e dignità di sistema. Il diritto giurisdizionale è comunque
evocato in numerose sentenze: v. ad es. Cons. Stato, Sez. VI, 2 aprile 1965, n. 222, in Foro amm.,
1965, I, 2.
( 59 ) V. ad es. Corte cost. 7 agosto 1988, n. 409 e 24 marzo 1993, n. 103. In dottrina il punto
è messo in luce, tra gli altri da R. Cavallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità, Mi-
lano 1990, spec. 169 ss.
( 60 ) V. in tal senso A. D’Atena, L’autonomia legislativa delle Regioni, Roma, 1974, 40, che
a sua volta riprende le considerazioni di M.S. Giannini, L’analogia giuridica, in Jus, 1942, 5.
( 61 ) L. Paladin, La potestà legislativa, cit., 138.
( 62 ) V. spunti in tal senso in M. Ramaioli, Procedimenti regolatori e partecipazione, in
www.giustamm.it, 2009.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 99

convenienza dell’operazione sia da preferire al rituale (spesso una fictio)


dell’astensione, di talché il trapianto di tale istituto (come è già avvenuto
per tante volte) dal diritto privato contribuirebbe alla trasparenza e al buon
andamento. Oppure si pensi ai principi in tema di concorsualità: per esem-
pio la giurisprudenza più recente, traendo linfa dalla normativa comunita-
ria ispirata al favor per la concorrenza e dai principi (ricavabili dall’ordina-
mento comunitario ma anche dall’art. 97 Cost.) di trasparenza e non discri-
minazione, afferma che anche le concessioni di beni pubblici sono soggette
alle regole concorsuali ( 63 ). E fin qui tutti d’accordo: ma poiché la stessa
normativa comunitaria, per gli stessi contratti pubblici (di lavori, servizi,
forniture), espressamente disciplinati e con estremo dettaglio prevede talu-
ne eccezioni a tale principio, si deve andare a verificare se tali eccezioni a
loro volta costituiscono espressione di un ulteriore principio, la cui esten-
sione è tutta da verificare.
Pertanto, a parte il fatto che non è che tutta la rete di principi estraibili
dalla l. n. 241, sia coperta (e titolata) dalla Costituzione e/o dalle norme co-
munitarie, v’è comunque l’esigenza teorica e pratica di saggiare la coerenza
della normativa regionale con i principi fondamentali, e non solo cioè con
quelli riconducibili alla l. n. 241. E se è vero che le varie legislazioni regio-
nali sul procedimento amministrativo, sono disposizioni interstiziali (v. ad
es. la disciplina della l. reg. Toscana 20 gennaio 1995 n. 9 sul procedimento
amministrativo in punto di conferenza di servizi (novellato con gli artt. 21 e
ss., l. reg. 23 luglio 2009, n. 40, o circa la necessità di comunicazione degli
atti o circa gli adempimenti a seguito di esposti o segnalazioni) o di maggio-
re garanzia o anche di rimedio a improvvide disposizioni della l. n. 241 (ad
es. l’art. 16, l. reg. Val d’Aosta sostituisce – nella disciplina del preavviso di
provvedimento di rigetto – l’interruzione dei termini di cui all’art. 10-bis, l.
n. 241 con la più coerente sospensione), occorre però tener conto di tutta la
stratificata legislazione di settore delle Regioni.

7. – Sicché la dialettica tra legislazione regionale e principi è una co-


stante permanente e in continuo divenire del nostro ordinamento, la quale
non può essere sempre risolta con lo schema, pur articolato dall’art. 29, e
tantomeno ricorrendo alla materia trasversale dei l.e.p., che, proprio per ef-
fetto dell’art. 29, costituiscono un numerus clausus.

( 63 ) V. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 3 dicembre 2009, n. 7457, in cui si ricorda come al
fine di armonizzarsi con i principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria nell’ordinamen-
to interno deve trovare ingresso il principio secondo il quale le concessioni “possono essere as-
sentite solo in esito ad una procedura di gara caratterizzata da idonea pubblicità preventiva; qua-
lora si tratti di rinnovo di concessioni di beni pubblici, la gara deve essere depurata da fattori di
vantaggio a favore dell’eventuale precedente concessionario”.
100 GIUSEPPE MORBIDELLI

Tali principi, via via che si formano e si inverano (o meglio, vengono


rilevati), “incombono” sicuramente sulle materie di competenza concor-
rente. Se in esse la legislazione regionale è soggetta al limite dei principi
fondamentali della materia (c.d. principi verticali), a maggior ragione è sog-
getta ai principi dell’ordinamento, o principi orizzontali, che tagliano in
trasversale tutte le materie, anche se talvolta svolgono una funzione mera-
mente interpretativa della disciplina della materia. Così, ad es., in materia
edilizia, i principi della materia in tema di d.i.a. edilizia o di annullamento
del permesso di costruzione, sono integrati dai principi della l. n. 241 in te-
ma di d.i.a. e di annullamento, che plasmano tali istituti, e dunque sono a
fortiori anche principi della materia ( 64 ) che a sua volta ospita detti istituti.
Di qui l’influenza e anzi la necessità di una certezza nella individuazione dei
principi. Naturalmente non è il caso di addentrarsi nel tema della metodo-
logia di individuazione dei principi né sulle varie funzioni dei principi, da
quella integratrice a quella programmatrice, da quella interpretativa a quel-
la normativa tout court, temi del resto che hanno attirato e attirano l’atten-
zione dei massimi filosofi del diritto (da Bobbio ad Hart, da Dworkin ad
Esser etc.), né dalle difficoltà di individuare in pratica, un criterio distintivo
sufficientemente netto e preciso tra i principi della materia e i principi del-
l’ordinamento, ogni principio essendo sempre, con riguardo ad un sfera
più o meno larga di ipotesi subordinate, generale, e a sua volta è possibile
ricondurlo entro un principio ancora più generale; e così via via risalendo,
fino ai massimi principi caratterizzanti l’ordinamento statale nella sua tota-
lità ( 65 ). Resta fermo però che i principi, in quanto tali, siano essi espressi o
inespressi, non hanno una fenomenologia dissonante e indipendente dal-
l’atto del giudice che li individua ( 66 ) sicché ragioni di sano realismo indu-
cono a tenere conto di quelli che sono ritenuti affermati principi nel nostro
diritto vivente ( 67 ).

( 64 ) La comunicabilità tra principi dell’ordinamento e principi fondamentali della materia


è stata da tempo sottolineata da G. Grottanelli De Santi, Perequazione, eguaglianza e principi
dell’ordinamento, in Giur. cost., 1978, 710 ss.
( 65 ) V. le osservazioni ancora decisive di V. Crisafulli, Legislazione siciliana concorrente:
limite finalistico e limiti dei principi (in tema di recesso « ad nutum »), in Giur. cost., 1958, 374.
( 66 ) Riprendendo in ciò l’osservazione di S. Bartole nei confronti di Dworkin, in Principi
generali del diritto (dir. cost.), in Enc. dir., XXXV, Milano, 494 ss.
( 67 ) Questa conclusione può sembrare una sorta di fuga dalle esigenze di ordine e di cer-
tezza che presiedono al diritto, cioè una deviazione più o meno conscia dai “territori” della legge
generale ed astratta e della architettura “palladiana” della pandettistica. Va in proposito però ri-
cordato quello che scriveva Piero Calamandrei, Maestro del mio Maestro Alberto Predieri, in un
saggio del 1955 su “La funzione della giurisprudenza nel tempo presente” (ora in Opere giuridiche,
I, Napoli, 1965, spec. 605 ss.) dove dopo aver richiamato l’antica raffigurazione della giustizia (at-
tribuita ad Irnerio), seduta in trono, sotto la madre “ragione”, con ai piedi le sue figlie (che sono
la religio, la pietas, la gratia, la vindicatio, l’observantia, la veritas), e con in grembo la figlia predi-
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 101

8. – Ma i principi dell’ordinamento si applicano nelle c.d. materie re-


siduali? La “forzatura” delle garanzie procedurali assimilate (o vertente dai
l.e.p.) – come rilevato – nasce proprio da tale dubbio (o meglio dalla con-
vinzione che non si applicano).
Va detto che le materie residuali sono, nella giurisprudenza della Cor-
te, oltremodo recessive, in quanto piegate e dalla legislazione esclusiva tra-
sversale e dai principi delle materie concorrenti, e dunque sono soggette
per tali strade ad un flusso corrente di norme; non a caso è stata abbando-
nata la loro prima aggettivazione come “esclusiva” (che del resto, per quan-
to invalsa nella prassi a proposito della competenza legislativa “primaria”
delle Regioni speciali, è un aggettivo che si ritrova solo con riguardo alla le-
gislazione della Regione Sicilia: v. art. 14 Statuto). Non solo: talvolta la Cor-
te, applicando il criterio della prevalenza ( 68 ) che si ha quando appaia evi-
dente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad
una materia piuttosto che ad altre ( 69 ), ha ricondotto la materia residuale in
materia a competenza concorrente. Così, ad esempio, la materia degli asili
nido (materia appunto innominata) è stata ricondotta in parte all’interno
della materia istruzione e in parte a quella del lavoro (di competenza con-
corrente ( 70 )), mentre la materia dell’urbanistica è stata ricondotta alla ma-
teria governo del territorio (competenza concorrente ( 71 )): talché il titolo

letta, l’equità, rilevava “io ho il sospetto che in generale noi giuristi, abusiamo della logica (che
elabora il “dubbio concettuale”): anche nel campo della giustizia noi abbiamo ereditato, forse
dalla scolastica medievale più che dall’aequitas romana, la tendenza alle architetture sistematiche:
fabbrichiamo castelli di concetti per darvi decoroso alloggio alla giustizia, e non ci accorgiamo
che a poco a poco si trasformano in prigioni sbarrate da cui essa non riesce a più a liberarsi”. E
dalle quali prigioni si esce invero attraverso il combinato disposto dei principi regolatori e del-
l’analisi rigorosa, puntuale e calibrata del caso di specie. Ed è poi del resto quello che si fa conti-
nuamente e si è sempre fatto a Palazzo Spada, tanto che un altro grande maestro fiorentino, Fe-
derico Cammeo, nella sua lezione bolognese dedicata all’equità nel diritto amministrativo, ebbe a
dire che essendo il diritto amministrativo il vero risvolto giuridico della vita che di continuo di-
viene e senza fine fluisce, e che affronta problemi sociali, economici e tecnici che per la loro com-
plessità non si prestano ad essere risolti in una formula legislativa, ha sempre necessità dell’inter-
vento accorto ed equilibrato del giudice (per un recente ed esemplare impiego dell’equità v. TAR
Sardegna, Sez. I, 7 dicembre 2009, n. 2011, in www.giustamm.it, 2009, dove la non osservanza di
un ordine del superiore (si versava in materia di disciplina militare) è stata giustamente contrad-
detta dalla situazione familiare del ricorrente, che doveva assistere la moglie gravissimamente in-
valida e sola in casa, talché non gli era più possibile trattenersi in servizio).
( 68 ) Criterio che è stato peraltro fortemente criticato dalla dottrina: ad es. M. Bin, Preva-
lenza senza criterio, in Le Regioni, 2009, 618 ss., Id., Alla ricerca della materia perduta, in Le Re-
gioni, 398 ss.; E. Buoso, Concorso di competenze, clausole di prevalenza e competenze prevalenti,
in Le Regioni, 2008, 61 ss.; v. anche F. Manganiello, Perché la prevalenza è sempre la risposta?
Nota a Corte Cost. n. 88/2009, in www.forumcostituzionale.it.
( 69 ) Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50 (parte in diritto n. 5.).
( 70 ) Corte cost. 23 dicembre 2003, n. 370 (parte in diritto n. 4.).
( 71 ) Corte cost. 1 ottobre 2003, n. 303.
102 GIUSEPPE MORBIDELLI

competenziale prevalente (o meglio, ritenuto tale dalla Corte) acquisisce


anche la competenza regionale “per accessione”, con conseguente restri-
zione della sfera di competenze ascrivibili alla potestà. Non solo: altre volte
addirittura la competenza statale viene affermata attraverso il riferimento a
valori, come è avvenuto con riguardo alla legge sui finanziamenti per l’ac-
quisto e per l’utilizzo di personal computers da parte dei giovani, ritenuti
corrispondenti a finalità di interesse generale, quale è lo sviluppo della cul-
tura, nella specie attraverso l’uso dello strumento informatico, il cui perse-
guimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 Cost.)
anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e Regioni di
cui all’art. 117 della Costituzione ( 72 ). Non mancano tuttavia materie (o
spezzoni di materie) ritenute suscettibili di costituire un settore autonomo
o comunque non percorribile dalla legislazione statale il che avviene quan-
do la Corte dà corpo ad una interpretazione sostanziale della materie inte-
ressate, lasciando sotto traccia il criterio della prevalenza e quello finalisti-
co ( 73 ). Ciò è avvenuto per la istruzione e formazione professionale, ove
non collegata con rapporti di lavoro (e dunque con l’ordinamento civile),
cioè non preordinate in via immediata ad eventuali assunzioni ( 74 ), nonché
per l’artigianato, il che abilita le Regioni ad adottare “misure di sviluppo e
sostegno del settore e, in quest’ambito, la disciplina dell’erogazione di age-
volazioni, contributi e sovvenzioni di ogni genere” ( 75 ). Non diverse sono le
conclusioni che emergono dalle sentenze Corte cost. 8 giugno 2005, n. 222
con riguardo alla materia relativa al trasporto pubblico locale; mentre la
sent. 23 dicembre 2005, n. 456 che riconduce alla competenza residuale la
disciplina delle Comunità montane, materia non ricompresa tra quelle ri-
servate alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117.2, lett. p), che ri-
guarda la legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali
di Comuni, Province. Analogamente è stata considerata materia residuale
l’agriturismo (v. sent. Corte cost. 12 ottobre 2007, n. 339) ( 76 ). Ed infatti in
dottrina non è mancato chi ( 77 ) ha ritenuto pur con alcune cautele, che “la
potestà legislativa residuale si esercita su materie importanti: i principali
settori economici, un’area vasta dei servizi alla persona, parti fondamentali
della regolazione dell’uso del territorio: sul piano dell’estensione orizzonta-

( 72 ) V. Corte cost. 21 ottobre 2004, n. 307.


( 73 ) V., anche per gli esempi le riflessioni sul tema di A. Morrone, Il diritto regionale nella
giurisprudenza e nelle fonti, Padova, 2008, 90-1.
( 74 ) V. le sentt. Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50 (parte in diritto 17.), v. altresì Corte cost.
28 gennaio 2005, n. 51.
( 75 ) Corte cost., 21 agosto 2005, n. 162 (parte in diritto 3.).
( 76 ) V. in proposito più diffusamente quanto osservato da P. Caretti - G. Tarli Barbie-
ri, Diritto regionale, Torino, 2008, 83 ss.
( 77 ) L. Torchia, La potestà legislativa residuale delle regioni, in Le Regioni, 2002, 343-363.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 103

le si tratta, quindi, di una potestà legislativa significativa e rilevante, non ri-


dotta a pochi oggetti di scarso interesse”.
Ebbene in tutte tali materie residuali secondo la tesi assolutamente
prevalente non vi sarebbe il limite dei principi generali dell’ordinamento.
La dottrina, se pur con scarsa motivazione, sostanzialmente riconducibile
alla lettera dell’art. 117, comma 1o, Cost. e della (ritenuta) piena parità e di-
gnità tra legislazione statale e legislazione regionale è concorde in tal sen-
so ( 78 ). Riflessi di questa tesi sono ravvisabili nell’art. 1, comma 1o, l. 5 giu-
gno 2003, n. 131 che, nell’enunciare i vincoli della potestà legislativa delle
Regioni, non enumera i principi fondamentali. Ma anche la Corte costitu-
zionale è di tale avviso: v. appunto Corte cost. 24 luglio 2003, n. 174 (3.2)
“nelle materie di cui al quarto comma del nuovo art. 117 della Costituzio-
ne” – valgono soltanto i limiti di cui al primo comma dello stesso articolo
(e, se del caso, quelli indirettamente derivanti dall’esercizio da parte dello
Stato della potestà legislativa esclusiva in “materie” suscettibili, per la loro
configurazione, di interferire su quelle in esame). E anche di recente ( 79 ) la
Corte ha affermato che mentre la potestà legislativa regionale disciplinata
dall’art. 117, quarto comma, è sottoposta solo ai limiti dettati dal primo
comma dello stesso articolo, la potestà legislativa delle Regioni a statuto
speciale in materia di organizzazione delle società dipendenti, esercenti
l’industria o i servizi, deve sottostare agli ulteriori e più severi limiti deri-
vanti dagli artt. 14 e 17 dello statuto della Regione siciliana (rispettivamen-
te, riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente e principi e in-
teressi generali cui si informa la legislazione dello Stato), dall’art. 4 dello
statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia (principi generali dell’ordina-
mento giuridico della Repubblica, norme fondamentali delle riforme eco-
nomico-sociali, interessi nazionali e delle altre regioni) e dall’art. 2 dello
statuto della Regione Valle d’Aosta (principi dell’ordinamento giuridico
della Repubblica, interessi nazionali, norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica).
A nostro avviso tale tesi richiede una rivisitazione. Infatti se è vero che
il nuovo art. 117 non prevede il limite dei principi dell’ordinamento, è an-
che vero che esso non era previsto nemmeno dal vecchio art. 117, e lo si ri-
cavava dagli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale. Questo argomen-
to non sarebbe dirimente, attesa la comunicabilità tra principi dell’ordina-
mento e principi della materia, con riguardo alla competenza concorrente

( 78 ) V.S. Bartole - R. Bin - G. Falcon - R. Tosi, Diritto regionale. Dopo le riforme, Bo-
logna, 2003, 168; P. Cavalieri, Diritto regionale, Padova, 2006, 129; B. Mattarella, I procedi-
menti delle Regioni e degli enti locali, cit.; C.E. Gallo, La riforma della legge sull’azione ammini-
strativa, cit.
( 79 ) Corte cost. 1 agosto 2008, n. 326 (parte in diritto 8.1.).
104 GIUSEPPE MORBIDELLI

tipica delle Regioni ordinarie ante l. cost. n. 3/2001: ma è invece dirimente


rilevare come sia stato ritenuto un limite consustanziale alla legislazione re-
gionale c.d. esclusiva ( 80 ). Non solo infatti perché è previsto dagli Statuti
delle Regioni speciali a presidio dell’unità ex art. 5 Cost. nei confronti della
legislazione esclusiva di cui essi dispongono, ma anche perché è stato rite-
nuto applicabile anche nella Regione Sicilia (nel cui Statuto non v’è tale li-
mite), così superando la giurisprudenza dell’Alta Corte per la Regione sici-
liana, la quale negava che le leggi regionali di rango “esclusivo” incontras-
sero un limite implicito nei principi ispiratori dell’ordinamento giuridico
statale ( 81 ). In altri termini è sempre stato considerato un limite essenziale
onde assicurare la reductio ad unitatem della legislazione c.d. esclusiva. Co-
me ebbe ad affermare la Corte costituzionale con sentenza n. 6/1956 i prin-
cipi in parola sono gli orientamenti di carattere fondamentale desumibili
dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dall’intima razionalità
delle norme che concorrono a formare il tessuto dell’ordinamento giuridi-
co, costituendo la coerente e vivente unità logica e sostanziale del diritto po-
sitivo. L’obiezione che viene avanzata è che tale limite non vale più nemme-
no nelle Regioni speciali, laddove sono previste aree di autonomia più am-
pia (ex art. 10, l. cost. n. 3/2001), come avviene soprattutto nelle materie re-
siduali sulla base del postulato che in tali materie sono vigenti solo i limiti
espressi ex art. 117, comma 1o. Se invece, dal complesso del sistema costi-
tuzionale, e dunque anche dagli Statuti speciali, si deduce che nella compe-
tenza esclusiva (terminologia impropria anche prima della riforma del tito-
lo V, e che dunque è accostabile in tutto alla residuale: entrambe non hanno
il limite dei principi della materia), il limite dei principi dell’ordinamento
ha da esservi, allora l’obiezione viene meno in radice. E la vigenza di tale li-
mite la si ricava non solo anche dalla sua applicazione in Sicilia pur in as-
senza di uno Statuto, ma dall’art. 120 Cost., che evoca il principio dell’unità
giuridica, la quale si invera anche e soprattutto nei principi fondamentali
elaborati per dare certezza attraverso un lavoro sagace e costante di giuri-
sprudenza e dottrina e che non a caso Mortati riconduceva addirittura alla
costituzione materiale. In altre parole il mero silenzio dell’art. 117 non è de-
cisivo. Del resto anche riguardo all’interesse nazionale ( 82 ) si è detto che se

( 80 ) Cfr. in proposito per tutti V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, 5o edizio-
ne, Padova, 1984, 112.
( 81 ) Cfr. in proposito gli argomentati e dirimenti rilievi di L. Paladin, La potestà legislati-
va regionale, cit., spec. 135 ss., e ivi numerose indicazioni di dottrina (e di giurisprudenza dell’Al-
ta Corte).
( 82 ) S. Bartole - R. Bin - G.Falcon - R. Tosi, Diritto regionale, cit., 165. Altri hanno rin-
venuto nel criterio della prevalenza la riedizione post-riforma dell’interesse nazionale, come aveva
già previsto F. Benelli, La smaterializzazione delle materie, Milano, 2006, 121 ss. Sui diversi volti
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 105

pure il vigente art. 117 non riporta più questo limite, e dunque non è più
operante come tale, tuttavia è da considerare che vige comunque il dovere
di leale collaborazione tra le istituzioni che compongono la Repubblica che
la Corte costituzionale ha ricondotto all’art. 5 Cost. (ma rileva anche il ri-
chiamo testuale all’art. 120, comma 2), e che dunque leggi regionali che fos-
sero apertamente in contrasto con gli interessi nazionali o di altre Regioni
potrebbero considerarsi illegittime e per violazione di tale dovere, e perciò
per violazione del limite della Costituzione ( 83 ). Va ricordato poi che la
stessa Corte ha più volte richiamato i limiti impliciti della legislazione regio-
nale ricavabile dal Titolo V ( 84 ), e l’unità dell’ordinamento civile ha tutti i
titoli per essere ascritta in tale genus. In altre parole la tesi della indeclina-
bilità dei principi generali anche nelle materie residuali nasce dalla nozione
stessa di ordinamento giuridico che per essere tale – come qualunque rete –
deve essere legato da fili conduttori e connettivi, non riconducibili sempre
alla Costituzione (si pensi ai diritti quesiti o alla irretroattività dei regola-
menti e della tipicità dei provvedimenti). La realtà è che, di solito, il limite
in questione è stato sottovalutato, sia perché spesso finisce per coincidere
con principi costituzionali o comunitari, sia perché nelle Regioni ordinarie,
sino alla riforma del Titolo V, v’era comunque la linea avanzata di difesa
dell’unità rappresentata dai principi della materia, sia perché sovente era
interscambiabile e anzi confuso con il limite della grande riforma e con
quello dell’interesse nazionale. Però, se c’è un area dove tale limite ha un ri-
lievo di primaria importanza, è proprio quella dell’attività e dell’organizza-
zione amministrativa, stante la risalente tradizione e necessità di regolazio-
ne per principi che le caratterizzano. Questo anche per la mobilità, per non
dire volatilità che i principi possono assumere, in un periodo di continua
evoluzione legislativa e per di più di legislazione per codici, come tali sedi
idonee a porre nuovi principi, si pensi ad es. alla tematica della sanatoria
giurisprudenziale, su cui l’ordinamento dà indicazioni divergenti (v. ad es.
art. 167 Codice dei beni culturali e art. 36 T.U. Edilizia), e di talché è di-
scussa la vigenza a livello di principio generale (es. in materia di concessioni
di beni pubblici) ( 85 ). Il che rende necessario un continuo monitoraggio
dell’evoluzione ordinamentale. Crisafulli ebbe a osservare che “sarà pure
una ipotesi scolastica (ma in realtà – come ha osservato G.U. Rescigno –

che l’interesse nazionale sta assumendo nella giurisprudenza costituzionale, cfr. da ultimo A.
Guazzarotti, Diritti fondamentali e Regioni: il nuovo Titolo V della prova della giurisprudenza
costituzionale, in Ist. del federalismo, 2008, 599 ss.
( 83 ) V. ancora S. Bartole - R. Bin - G.Falcon - R. Tosi, Diritto regionale, cit., 165.
( 84 ) Corte cost., 31 marzo 2006, n. 134 (parte in diritto n. 9).
( 85 ) V. G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007,
703 ss.
106 GIUSEPPE MORBIDELLI

non esistono casi di scuola nel diritto costituzionale ( 86 ) n.d.r.) ma a me par-


rebbe certo che il cambiamento di un principio generale produrrebbe sulla
normazione regionale di competenza piena gli stessi effetti che il cambia-
mento dei principi contenuti nelle leggi cornice determina sulla normazio-
ne regionale” ( 87 ). Sicché al variare dei principi viene meno la legislazione
regionale eventualmente incompatibile. Non interessa qui andare a vedere
se si tratti di abrogazione o di altro fenomeno ( 88 ), in quanto la giurispru-
denza della Corte costituzionale si limita a parlare di cessazione di efficacia
delle anteriori leggi regionali di dettaglio divenute incompatibili con nuovi
principi statali, senza preoccuparsi di dare una definizione teorica.
Tanto è rilevante questa esigenza di una salda rete ordinamentale, che
se non si ritenesse di seguire la tesi qui propugnata (s’intende con riguardo
alle materie residuali, perché nelle concorrenti l’effetto espulsivo della legi-
slazione regionale in contrasto con i principi sopravvenuti è sicuro), si deve
ricorrere – come ha fatto il legislatore – al salvacondotto rappresentato dai
l.e.p., che però: a) potrebbe riguardare al più i principi di garanzia, non i
principi di funzionalità dell’organizzazione, che solo in via indiretta in
quanto incidono sul buon andamento possono essere considerati garanzia;
b) salvaguardarebbe meno la stessa autonomia delle Regioni, in quanto non
è detto che i l.e.p. debbano attestarsi a livello di principi (anche se incon-
trano il limite della proporzionalità); c) ma soprattutto i l.e.p., a differenza
dei principi, che si formano a germinazione spontanea dall’ordinamento,
hanno bisogno di un riconoscimento espresso da parte della legislazione, e
dunque si determinerebbero continue incertezze e continui vuoti.

( 86 ) Il caso Mancuso ovvero dell’inesistenza di casi di scuola, ovvero ancora del dovere dei
giuristi di rispondere ai quesiti giuridicamente possibili, in Dir. pubbl., 1996, 235 ss.
( 87 ) V. Crisafulli, La legge regionale nel sistema delle fonti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1960,
280-281. Sul punto v. analogamente già L. Paladin, La potestà legislativa regionale, cit., 253.
( 88 ) Nel senso dell’abrogazione tra i tanti, si veda L. Paladin, La potestà legislativa regio-
nale, cit., cap. 4, n. 6; M. Mazziotti, Studi sulla potestà legislativa delle Regioni, Milano, 1961, 87
ss.; V. Italia, Le disposizioni di principio stabilite dal legislatore, Milano, 1970, 269; V. Crisaful-
li, L’attuazione delle regioni di diritto comune e la Corte costituzionale, in Pol. del dir., 1972, 665.
Vi sono però altre posizioni: ad es. secondo F. Cuocolo (Diritto regionale italiano, Torino, 1991,
140) la soluzione più probabile è che i nuovi principi rendano invalida la legge regionale, creando
per la regione, il diritto-dovere di modificare la sua legge; e se la regione non provvede, le dispo-
sizioni contrastanti non saranno abrogate ma perderanno efficacia per impossibilità di applicazio-
ne. Mentre E. Silvestri, Leggi cornice, in Riv. trim. dir. pubbl., 1970, 1018 ss. e G. Meloni, La
potestà legislativa regionale nei rapporti con la legge statale, Milano, 1991, 55 ss. parlano di legge
statale e legge regionale come fonti collegate, per cui la caduta alla prima porta con se la caduta
dell’altra S. Bartole (in collaborazione con F. Mastragostino - L. Vandelli), Le autonomie
territoriali, Bologna, 1991, 159 ss.: parla di legge statale che abroga la legge regionale, ma a patto
di ritenere che il citato art. 10 abbia ridefinito l’effetto abrogativo e rinviando all’esperienza per
una piena ed esauriente risposta: ma comunque l’effetto è sempre quello della perdita di efficacia
della fonte subordinata.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 107

In conclusione il nuovo art. 29 pone più problemi di quelli che risolve


(ma lo stesso poteva dirsi già per il testo precedente): e la sua stessa “archi-
tettura compositiva” lo dimostra. Del resto si tratta di un’opera di autoqua-
lificazione, che come tale non è mai decisiva. Non v’è dubbio che offre ta-
lune indicazioni, di cui in sede interpretativa non si può non tenere conto.
Ma ha anche il difetto di distogliere dall’attenzione verso i principi generali
(scritti e non scritti) ricavabili aliunde. Principi comunque che, anche senza
una diretta derivazione costituzionale, investono ogni sorta di competenza
regionale, perché costituiscono la linfa stessa e l’ubi consistam dell’ordina-
mento, anzi di qualunque ordinamento: e le prescrizioni degli Statuti spe-
ciali circa la presenza di tale limite alle competenze legislative regionali c.d.
esclusive costituiscono esplicitazione e conferma della presenza di tale
principio superiore.

ABSTRACT
L’articolo è dedicato allo spinosissimo rapporto tra le Regioni ed i principi
generali del diritto amministrativo.
A questo riguardo, l’Autore anzitutto sottolinea la particolare natura del di-
ritto amministrativo italiano, che definisce come un “crocevia o anche un via vai del-
le fonti”, le quali peraltro oggi si presentano in forma quanto mai disomogenea, al
punto da risultare sostanzialmente inidonee a spiegare i fenomeni indotti dalla tra-
sformazione degli ordinamenti giuridici e a guidare i comportamenti degli inter-
preti.
Tracciato tale contesto problematico, l’Autore introduce quindi il riferimen-
to all’art. 29 della L. 241/1990, che intende come norma chiave del rapporto tra le-
gislazione regionale ed i principi di diritto ascrivibili al procedimento amministra-
tivo. Da tale norma Egli trae infatti la considerazione che la disciplina del procedi-
mento amministrativo non è di esclusiva competenza statale, ciò che apre la strada
alla “perigliosa” individuazione dei principi atti ad indirizzare i procedimenti am-
ministrativi delle Regioni, tanto più dopo la riforma del Titolo V della Costituzio-
ne, che ha fatto venir meno la tassatività delle competenze regionali ed ha al con-
tempo determinato l’affermarsi della tesi che esclude la riconducibilità delle c.d.
materie residuali entro i principi generali dell’ordinamento.
L’Autore esclude che tutti i principi della L. 241 siano da ricondurre alla Co-
stituzione, quali espressioni od articolazioni dei principi di imparzialità e buon an-
damento, ovvero ai principi di matrice comunitaria, atteso che né gli uni né gli altri
hanno una transitività tale da determinare la diretta natura costituzionale dei vari
principi del procedimento amministrativo; ricorda inoltre che una certa dottrina e
poi il legislatore del 2009, il quale ha novellato il testo dell’art. 29 L. 241, per risol-
vere il problema dei vincoli gravanti sulla potestà legislativa regionale in materia di
procedimento amministrativo hanno fatto leva sui c.d. livelli essenziali delle presta-
zioni (l.e.p.) di cui all’art. 117 comma 2 lett. m) Cost., qualificando in tali termini i
capisaldi della L. 241, col risultato che le Regioni, pur vedendo salvaguardata la lo-
108 GIUSEPPE MORBIDELLI

ro potestà di arricchire il livello delle prestazioni garantite dalla legislazione statale,


non possono tuttavia stabilire, in tema di procedimento amministrativo, garanzie
inferiori a quelle assicurate ai privati dallo Stato.
Nell’articolo, tuttavia, si evidenzia criticamente che la dialettica tra la legisla-
zione regionale ed i principi è una costante permanente ed in continuo divenire
dell’ordinamento, che dunque non si presta ad essere integralmente risolta con lo
schema dei l.e.p., oltretutto costituenti, proprio per effetto dell’art. 29 L. 241, un
numerus clausus. Infatti, il procedimento amministrativo è soggetto anche a princi-
pi che non sono solo della singola materia, ma hanno un contenuto più generale o
trasversale, oltre che in continuo divenire, come tale certamente idoneo a confor-
mare anche la legislazione regionale. Per far sì che questo processo possa piena-
mente svolgersi, in coerenza con lo spirito informatore di tutto l’ordinamento,
l’Autore conclusivamente ritiene però necessaria la rivisitazione della tesi tradizio-
nale, radicata sia in dottrina sia in giurisprudenza, secondo la quale il vincolo dei
principi generali dell’ordinamento non si applicherebbe in relazione alle materie
su cui si esplica la c.d. potestà legislativa residuale delle Regioni. Per questa rivisi-
tazione Egli propone ampie ed argomentate considerazioni di ordine teorico gene-
rale, ispirate da ragioni di coerenza logica e sistematica dell’intero sistema giuridi-
co.

The article deals with the complex relationship between Italian Regions and
the general principles of Administrative Law.
Firstly, the Author focuses on the peculiar natura of Italian Administrative
Law describing it as a “crossroads or a sort of round about of the sources” that at
present are extremely inconsistent, as to seem totally unsuitable to explain the
events caused by the alteration of the juridical regulations or else to rule the atti-
tudes of the judges. Within this problematic context, the Author refers to article 29
of Italian statute n. 241/1990, seen as a key rule of law for the relationship between
Regional Law and the principles regarding administrative proceedings. Starting
from that, the Author observes that administrative legal proceedings are not an ex-
clusive state dominion and identifies the principles directing the administrative
proceedings of the Regions, especially after the reform of title V of Italian Consti-
tution, which overrules the possibility of including the so called “Materie Residu-
ali” (matters not listed by art. 117 of Italian Constitution) within the general prin-
ciples of the italian legal order.
Secondly the Author rules out that all the principles of statute 241 can be
managed by the Constitution, like demonstrations of the principles of impartiality
and good management, or else Community principles, since neither of them can
define the direct constitutional nature of the multiple values of the administrative
procedure; the Author then argues that the reform of article 29 of stature 241,
which was inspired in 2009 by the reference to the so called “essential performance
levels” as secured exclusively by the State, aims at solving the problem of the bonds
burdening the regional legislative power as far as the administrative procedures are
concerned. As a result Regions are now able to improve the level of the perfor-
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 109

mances ensured by State legislation, but not to set standards below the ones se-
cured by the same legislation.
Thirdly, the article critically underlines that the relationship between re-
gional legislation and the principles is continuous and is constantly mutating
within the regulations, and therefore it is not possible to use the “essential perfor-
mance levels” that become numerus clausus for the effects of article 29 of the stat-
ute n. 241. Indeed the administrative procedure undergoes general principles that
are continuously evolving, and can influence Regional Legislation.
In order to enable this process to perform, the Author finally argues that a re-
view of the traditional thesis is needed, so that the limit of the general principles
cannot be applied to matters on which rule maling power is held exclusively by the
Regions. As far as this review is concerned, the Author proposes several theoretical
arguments, inspired by reasons of consistency towards the entire juridical system.
Saggi

ALESSANDRO PACE

I DIRITTI DEL CONSUMATORE:


UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? ( * )

Sommario: 1. Le prime tre generazioni di diritti. – 2. Il riconoscimento internazionale dei


diritti di prima e di seconda generazione. I diritti di terza generazione. – 3. La matrice
internazionalistica della distinzione dei diritti in generazioni. – 4. La derivazione co-
munitaria della protezione dei diritti del consumatore. – 5. L’ambito di tutela del con-
sumatore secondo il nostro ordinamento. – 6. L’Assemblea costituente e la tutela del
contraente debole. – 7. I servizi pubblici. – 8. Conclusioni.

1. – Le prime tre generazioni di diritti

È pacifico tra i costituzionalisti ( 1 ) e gli internazionalisti ( 2 ) che i diritti


di prima generazione sono quelli di matrice individualistica proclamati nella
Déclaration del 1789 e, prima di essa, dal Virginia Bill of Rights (1776): dichia-
razioni ispirate ai medesimi principi ( 3 ), ma profondamente diverse per le con-
dizioni storiche e sociali che le avevano determinate ( 4 ) (il che avrebbe ine-

(*) Il presente contributo, costituisce, con modifiche, la relazione alla Conferenza su «Di-
ritti dell’individuo e diritti del consumatore», tenuta il 14 dicembre 2007 all’Università degli Studi
di Milano-Bicocca, in occasione delle celebrazioni per il X anniversario di fondazione dell’Uni-
versità. Esso apparirà anche negli Scritti in onore di Angelo Antonio Cervati.
( 1 ) V. P. Ridola, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, in R. Nania -
P. Ridola, I diritti costituzionali, II ed., vol. I, Giappichelli, Torino, 2006, 5 ss.
( 2 ) U. Villani, La protezione internazionale dei diritti umani, Luiss, Roma, 2005, 18 s.
( 3 ) È arcinota la polemica tra E. Boutmy e G. Jellinek sull’originalità, o meno, della conce-
zione dei diritti sottesa alla Déclaration. Sul punto v. B. Mirkine-Guetzevitch, Le costituzioni
europee (Les Constitutions européennes, 1951), trad. it. S. Cotta, Comunità, Milano, 1954, 114 s. e
D. Nocilla, Introduzione a G. Jellinek, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (Die
Erklärung der Menschen- und Bürgerrechte, IV ed., 1927), trad. it. D. Nocilla, Giuffrè, Milano,
2002, V ss.
( 4 ) Il pauperismo era praticamente sconosciuto nelle ex colonie. Questo avrebbe fatto dire
ad A. de Tocqueville, La democrazia in America (De la démocratie en Amerique, 1835), Utet,
Torino, 1968, 592: « Il grande vantaggio degli Americani è di essere arrivati alla democrazia senza
aver dovuto passare attraverso una rivoluzione democratica e di essere nati uguali al posto di di-
ventarlo ». Addirittura nell’incipit dell’introduzione, Tocqueville aveva scritto: « Tra le novità che
attirarono la mia attenzione durante la mia permanenza negli Stati Uniti, nessuna mi ha maggior-
mente colpito dell’eguaglianza delle condizioni » (ivi, 15).
Ancorché in diversi passi della sua opera Tocqueville dimostri di essere a conoscenza della
112 ALESSANDRO PACE

luttabilmente diversificato le due rivoluzioni) ( 5 ). Esse così si presentano: con


una migliore enunciazione tecnica e una maggior ricchezza di enunciati, la car-
ta francese; con una maggiore attenzione ai problemi della forma di governo,
la carta americana (pur non dovendosi sottovalutare l’importanza dell’enun-
ciato rousseauiano di cui all’art. 6 della Déclaration) ( 6 ) .
I diritti proclamati nella Déclaration comprendono l’eguaglianza giuri-
dica ( 7 ), taluni diritti di libertà (la libertà di autodeterminarsi, la libertà di opi-
nione, di espressione e di stampa ( 8 )), la proprietà – « diritto inviolabile e sa-
cro » ( 9 ) –, talune pretese nei confronti di corrispondenti divieti posti a ca-

schiavitù negli Stati del sud, egli non la prende mai direttamente in considerazione, diversamente
da H. Arendt, Sulla rivoluzione (On Revolution, 1963), trad. it. M. Magrini, Comunità, Milano,
1996, 74, ed ivi il rilievo che « l’istituzione della schiavitù porta con sé un’oscurità ancor più nera
dell’oscurità della povertà ». La Arendt sottolinea che verso la metà del XVIII secolo vivevano in
America (del nord) 400.000 neri accanto a circa 1.850.000 bianchi.
( 5 ) Si v. per tutti H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit., 98, per la quale la rivoluzione ameri-
cana era fermamente orientata verso l’instaurazione della libertà e la fondazione di istituzioni du-
rature, mentre la rivoluzione francese avrebbe deviato da un tale orientamento « spinta dall’ur-
genza delle sofferenze del popolo ». Sul punto v. anche P. Reynaud, America e Francia: due rivo-
luzioni a confronto, in F. Furet (cur.), L’eredità della Rivoluzione francese, Laterza, Roma - Bari,
1989, 25 ss. e G. Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Feltrinelli,
Milano, 2006, 89 ss.
( 6 ) Art. 6: « La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno il diritto
di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla loro formazione... ».
( 7 ) Si vedano sia l’art. 1 (« Gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti. Le di-
stinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune ») che la seconda parte del già
cit. art. 6 (« ... Essa (la legge) deve essere la stessa per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti
i cittadini, essendo eguali ai suoi occhi, sono egualmente ammissibili a qualsiasi carica, posto o im-
piego pubblico, in considerazione della loro capacità e senz’altra distinzione che quella delle loro
virtù e dei loro talenti »). Com’è arcinoto, già nella notte del 4 agosto l’Assemblea costituente ave-
va votato l’abolizione del regime feudale e di tutti i privilegi. Sull’eguaglianza nella Déclaration v.
il bel saggio di M. Azuf, Egalité, in F. Furet - M. Azuf, Dizionario critico della rivoluzione fran-
cese (Dictionnaire critique dela Révolution française, 1988), Bompiani, Milano, 1988, 624 ss.
( 8 ) Artt. 4 e 11. Ma v. anche l’art. 10 (« Nessuno può essere perseguito per le sue opinioni,
anche religiose, a condizione che la manifestazione delle stesse non turbi l’ordine pubblico stabi-
lito dalla legge ») che costituisce un corollario della garantita libertà di espressione.
( 9 ) Art. 17. L’idea della sacertà della proprietà entrerà in crisi quando sarà contrapposta
da Robespierre – sulla spinta della sanculotteria (v. infra la nota 33) – alla « più sacra di tutte le
leggi, il benessere del popolo, il più inconfutabile di tutti, la necessità » (v. H. Arendt, Sulla ri-
voluzione, cit., 61). Dello stesso Robespierre riporto qui di seguito gli articoli relativi al diritto di
proprietà contenuti nel suo progetto presentato alla Società dei Giacobini nell’aprile del 1793,
peraltro non approvato dalla Convenzione (trascrivo da B. Mirkine-Guetzevitch, Le costitu-
zioni europee, cit., 117): « Art. 7: La proprietà è il diritto che ha ciascun cittadino di godere e di
disporre della parte di beni che gli viene garantita dalla legge. - Art. 8: Il diritto di proprietà è li-
mitato come gli altri, dall’obbligo di rispettare i diritti altrui. - Art. 9: Esso non può pregiudicare
né la sicurezza, né la libertà, né la esistenza, né la proprietà dei nostri simili. - Art. 10: Qualsiasi
possesso, qualsiasi traffico che violi questo principio è essenzialmente illecito ed immorale ». Ciò
nondimeno l’inviolabilità del diritto di proprietà verrà ribadita nelle Carte costituzionali del 1814
(art. 9) e del 1830 (art. 8) nonché nella stessa costituzione repubblicana del 1848 (art. 11), pur
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 113

rico dei titolari di pubblici poteri (la c.d. libertà dagli arresti, la presunzione
d’innocenza ( 10 ), la legalità delle pene e la proporzionalità delle medesime) ( 11 )
riconducibili ai diritti di libertà e, infine, norme-principio attinenti alla fun-
zione e alla struttura della società politica che si intendeva instaurare in Fran-
cia ( 12 ) – e che polemicamente si auspicava potesse avvenire anche altrove ( 13 )
– con un primo nucleo di diritti di partecipazione alla vita pubblica ( 14 ).
Dal canto suo la dichiarazione della Virginia si basava sulla legge na-
turale – come già la dichiarazione d’indipendenza – e in forza di questa pro-
clamava che gli uomini sono egualmente liberi e indipendenti, che hanno
taluni diritti innati, e cioè « il godimento della vita, della libertà, mediante
l’acquisto e il possesso della proprietà, e il perseguimento della felicità e si-
curezza ». Tra i diritti civili essa però si limitava a riconoscere solo la libertà
di stampa e la libertà personale, anche con riferimento al processo e alle re-
lative possibili sanzioni personali e pecuniarie e con un espresso divieto dei
mandati generali di arresto.
La fortuna di questi diritti di prima generazione non fu tuttavia imme-
diata, almeno in Europa ( 15 ). In conseguenza della discesa in Italia dell’ar-
mata di Bonaparte, essi furono prontamente recepiti nelle Costituzioni del-
le Repubbliche Cisalpina e Cispadana (1797) e di Bologna (1797 e 1798) – e
poi, per libera scelta dei diretti interessati, nelle Costituzioni del Popolo li-
gure (1797), della Repubblica romana (1798) e di quella napoletana (1799)
–, ma, com’è noto, tali diritti ebbero vita breve.

prevedendosi, nei successivi articoli, la possibilità dell’esproprio per motivo d’interesse pubblico
e previo indennizzo.
( 10 ) Così l’art. 9.
( 11 ) Artt. 7 (« Nessuno può essere accusato, arrestato o detenuto che in casi previsti dalla
legge e secondo le forme prescritte... ») e 8 (« La legge non deve prevedere che le pene stretta-
mente ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito che in forza di una legge ema-
nata e promulgata prima del reato e legalmente applicata »).
( 12 ) Artt. 1, 2, 3, 5, 6, 12, 13, 14, 15 e 16.
( 13 ) V. il famosissimo art. 16: « Qualsiasi società nella quale la garanzia dei diritti non sia
assicurata, né sia determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione ». Se è vero che tale
articolo ha finito, culturalmente, per costituire il « manifesto (...) di tutto il costituzionalismo mo-
derno » (M. Luciani, Sui diritti sociali, in Studi in onore di M. Mazziotti di Celso, vol. II, Cedam,
Padova, 1995, 103 s.), non è men vero che, all’origine, esso aveva politicamente una portata espli-
citamente polemica nei confronti di tutte le monarchie che circondavano la Francia rivoluzionaria
e, insieme, costituiva un invito alle élites dei paesi confinanti a seguire l’esempio francese.
( 14 ) Sostiene addirittura L. Carlassare, La « Dichiarazione dei diritti » del 1789 e il suo
valore attuale, in Id. (cur.), Principi dell’89 e Costituzione democratica, Cedam, Padova, 1991, 7,
che nella « Dichiarazione dell’89 le tre istanze – liberalismo, costituzionalismo e democrazia – ri-
sultano tutte presenti; le basi dello Stato di diritto democratico sono dunque poste ».
( 15 ) ... diversamente da ciò che avvenne negli Stati Uniti d’America, con i primi dieci emen-
damenti della Costituzione federale (1791), che erano stati già in parte anticipati, oltre che dalla Co-
stituzione della Virginia, dalle Costituzioni della Pennsylvania (1776), del Maryland (1776), della
North Carolina (1776), del Vermont (1777), del Massachussets (1780) e del New Hampshire (1784).
114 ALESSANDRO PACE

Una più effettiva diffusione di essi, in Europa, si avrà pertanto solo


dopo la Restaurazione ( 16 ), a partire dalla Carta costituzionale francese del
1814 e soprattutto dopo la Carta costituzionale francese orleanista (1830) e
la Costituzione belga (1831). Le prime due proclamavano – oltre, beninte-
so, all’eguaglianza giuridica e all’inviolabilità della proprietà – la libertà in-
dividuale (che comprendeva la libertà della persona fisica o libertà dagli ar-
resti, pur non identificandosi del tutto con essa), la libertà di culto, la liber-
tà di stampa e l’inviolabilità della proprietà, mentre la Costituzione belga –
la più completa dell’epoca – vi aggiunse le libertà di domicilio, di corri-
spondenza, di insegnamento, di riunione pacifica e di associazione. Nessu-
na però – tanto meno lo Statuto del regno di Sardegna (1848) e la Costitu-
zione (federale) della Confederazione svizzera (1848) – andò al di là di
quanto era stato proclamato nella Déclaration dell’89 (anzi tutte queste fu-
rono più restie nel riconoscimento di ulteriori diritti). Merita invece una fa-
vorevole menzione, sotto questo aspetto, la Costituzione tedesca del 1849
(c.d. Paulskirchenverfassung), la quale, ancorché prevedesse soltanto diritti
di libertà, ne previde un’enunciazione ancor più estesa della Costituzione
belga, con uno straordinario tecnicismo di cui si giovò, con enunciati più
sobri, la Costituzione prussiana dell’anno successivo (c.d. Verfassungu-
rkunde), peraltro in un contesto ben più statualista ( 17 ).
Norberto Bobbio, nei suoi scritti, ha ripetutamente sottolineato che,
senza questi diritti di prima generazione – con i quali si identificano soltan-
to situazioni soggettive immediatamente esigibili per il solo fatto della loro
proclamazione – in nessun paese al mondo sarebbe stato possibile uno svi-
luppo della società in senso democratico. Con la loro proclamazione si in-
verte infatti il rapporto tra potere e libertà che porterà l’individuo nel seco-
lo XX ad essere elevato a soggetto potenziale della stessa comunità interna-
zionale ( 18 ).
Per assistere alla nascita dei diritti di seconda generazione bisognerà

( 16 ) Costituì un segno dei tempi che Napoleone, nelle cui Costituzioni imperiali non erano
stati mai proclamati diritti dei cittadini, inserisse, nell’Atto addizionale alle Costituzioni dell’Im-
pero (1815), cui collaborò niente meno che Benjamin Constant, la libertà di stampa, di culto, il
diritto al giudice naturale e la c.d. libertà dagli arresti. Sul punto v. D. de Villepin, I centogiorni
o lo spirito di sacrificio (Le Cent-Jours ou l’esprit de sacrifice, 2001), trad. it. M.V. D’Avino, Ed. Al-
tana, Roma, 2005, 298 ss.
( 17 ) C.F. von Gerber, Sui diritti pubblici (Über Öffentliche Rechte, 1852), in Id., Diritto
pubblico, trad. it. P.L. Lucchini, Giuffrè, Milano, 1971, 67 ss.; F. Lassalle, Delle Costituzioni
(Was non? Zweiter Vortrag über Verfassungswesen, 1862), trad. it. A. Rovini, Morgini, Roma, 21;
F. Neumann, Lo Stato democratico e lo Stato autoritario (The Democratic and the Authoritarian
State, 1957), trad it. G. Sivini, il Mulino, Bologna, 1973, 45 ss.; 37.
( 18 ) N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, 113 ss., 117. Nello stesso senso, v.
L. Carlassare, La « Dichiarazione dei diritti » del 1789, cit., 9 s.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 115

aspettare mezzo secolo, e cioè la Costituzione francese (repubblicana) del


1848 ( 19 ). Diversamente dai diritti di prima generazione che consistono in
diritti di libertà (droits-libertés) e tutt’al più nell’imposizione di obblighi
« modali » a carico dei pubblici poteri (per ciò che attiene all’arresto, alla
giustizia penale e all’irrogazione della pena), i diritti di seconda generazio-
ne, e cioè i diritti sociali, consistono in pretese (droits-créances) all’otteni-
mento di prestazioni positive da parte dello Stato in materia sociale ed eco-
nomica, e ciò – ma solo in prospettiva – allo scopo di rendere effettivi per
tutti i diritti di prima generazione ( 20 ).
Di qui la loro notorietà anche come « diritti all’eguaglianza » ( 21 ), il
cui nucleo originario – così come desumibile dalla relazione alla Conven-
zione del 17 aprile 1793 di Charles-Gilbert Romme, che per primo vi fece
riferimento ( 22 ) – comprende il diritto all’istruzione, il diritto all’assistenza
sociale e il diritto al lavoro (ai quali successivamente si aggiungerà – coeren-
temente – il diritto all’assistenza sanitaria) ( 23 ): « prestazioni che in tanto
sono possibili, in quanto gli associati mettono parzialmente in comune le
loro risorse individuali, allo scopo di raggiungere la sicurezza e un più ele-
vato gradi di benessere » ( 24 ). (Va tuttavia notato, ancorché incidentalmen-
te, che ad una logica tutt’affatto diversa risponde la garanzia costituzionale
della libertà di matrimonio e dei diritti della famiglia e dei figli che talvolta
vengono fatti rientrare tra i diritti sociali ( 25 ), ma che in effetti non sono né

( 19 ) Ma la chiosa di G. Ferrara, La Costituzione, cit., 142 agli avvenimenti del 1848 in


Francia è ben più critica ed amara: « Per i diritti sociali, come per quelli al lavoro e alla riduzione
della giornata lavorativa, non era giunto il tempo del riconoscimento e per essi non ci fu spazio
nella Costituzione che sarebbe stata approvata: avrebbero dovuto attendere cento anni ancora di
sfruttamento, di repressioni, di eccidi e di lotte per essere riconosciuti costituzionalmente ».
( 20 ) L. Ferry - A. Renault, Droits-libertés et droits-créances. Raymond Aron critique de
Friedrich-A. Hayek, in Droits, n. 2, PUF, Paris, 2005, 75: « ... droits économique et sociaux qui ex-
primeraient comme des créances que tous les membres d’une société pourraient présenter à l’Etat et
que celui-ci serait tenu d’honorer en assurant à chacun la sécurité sociale, un emploi librement choisi
ou encore un niveau de vie convenable ».
( 21 ) A. Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza sostanziale, Jovene,
Napoli, 1999. Che i diritti sociali traggano dal principio di eguaglianza « alimento e giustificazio-
ne » è ripetutamente sottolineato anche da M. Luciani, Sui diritti sociali, cit., 101, 111, 115, 130,
132.
( 22 ) V. la precisa ricostruzione dei lavori preparatori in M. Mazziotti, Lo spirito del dirit-
to sociale nelle costituzioni e nelle leggi della Francia rivoluzionaria, in Arch. giur., 1954, vol.
CXLII, 60 s. che riporta il pensiero di E.-J. Sieyes e di C.-G. Romme.
( 23 ) Per alcune indicazioni legislative e dottrinali in tema di assistenza sanitaria immedia-
tamente successive all’unità d’Italia, v. L. Carlassare, L’art. 32 della Costituzione e il suo signifi-
cato, nel volume L’amministrazione sanitaria (a cura di R. Alessi), negli Atti del Congresso cele-
brativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione (1965), Neri Pozza, Vicenza, 1967,
106.
( 24 ) M. Mazziotti, Lo spirito del diritto sociale, cit., 60 s.
( 25 ) Così A. Baldassarre, voce Diritti sociali, cit., 13 ss., nonostante lo stesso a., in quello
116 ALESSANDRO PACE

diritti all’eguaglianza, né diritti di libertà, tranne la « libertà » di scelta del


coniuge. Una volta costituzionalmente riconosciuto il « valore » della fami-
glia, tali diritti si caratterizzano infatti per la loro funzionalizzazione all’in-
teresse del gruppo e a quello reciproco dei loro componenti) ( 26 ).
Detto così, sembrerebbe doversi ritenere che i problemi sociali non
fossero stati « avvertiti » nell’Assemblea costituente del 1789. Il che non è
affatto vero, anche con riferimento agli stessi moderati ( 27 ). Dei secours pu-
blics ( 28 ) e dell’istruzione pubblica si parla infatti nelle Disposizioni fonda-
mentali della Costituzione del 1791 come anche negli artt. 21 ( 29 ) e 22 ( 30 )
della Déclaration del 1793 ( 31 ). Tuttavia mentre nella Costituzione del 1791
se ne parla in termini di mera beneficenza pubblica e ci si riferisce ai soli in-
segnamenti indispensabili, nella Costituzione del 1793 si afferma il « debito
sacro » dell’assistenza e si sottolinea essere l’istruzione un « bisogno di tut-
ti » il che comprova la diversità dello spirito che animava i lavori della Con-
venzione ( 32 ) rispetto alla Costituente. In questo senso è significativo che
entrambi tali pubblici doveri vengono ribaditi nell’art. 122 sotto il titolo
« Della garanzia dei diritti ». Il fatto che la Costituzione del 1793 non sia

stesso scritto, sottolinei che tali diritti « hanno la loro giustificazione teorica nel diverso concetto
di liberazione da determinate forme di privazione e, quindi, hanno come scopo la realizzazione del-
l’eguaglianza o, più precisamente, una sintesi tra libertà ed eguaglianza » (ivi, 69). Va tuttavia sot-
tolineato, per quel che può servire, che la nostra Costituzione, nell’intestazione del titolo II della
Parte prima, non parla di « rapporti sociali », ma di « rapporti etico-sociali » e quindi dichiarata-
mente allude ad un concetto più ampio di quello originario.
Opportunamente A. Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza, cit., sot-
tolinea come l’ambiguità dell’espressione abbia indotto gli studiosi a farne un uso smodato in
contrasto con la originaria struttura di tali diritti, di qui la sua scelta bene evidenziata nel titolo
dell’opera.
( 26 ) Così A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, III ed., Cedam,
Padova, 2003, 122 ss.
( 27 ) M. Mazziotti, Lo spirito del diritto sociale, cit., 52 ss.
( 28 ) Titolo primo. Disposizioni fondamentali garantite dalla Costituzione: « Sarà creato un
istituto generale dei Soccorsi pubblici, per allevare i minori abbandonati, soccorrere i poveri in-
fermi e procurare il lavoro ai poveri che ancorché idonei al lavoro non abbiano potuto procurar-
selo. // Sarà creato e organizzato un’Istruzione pubblica comune a tutti i cittadini, gratuita per ciò
che attiene agli insegnamenti indispensabili che gli istituti distribuiranno gradualmente... ».
( 29 ) Art. 21: « I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società deve assicurare la sussi-
stenza ai cittadini sfortunati sia procurando loro il lavoro, sia assicurando il mantenimento a
quanti abbiano superato l’età per lavorare ».
( 30 ) Art. 22: « L’istruzione è un bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo
potere il progresso della pubblica ragione (raison), e deve mettere l’istruzione alla portata di tut-
ti ».
( 31 ) Il punto è giustamente sottolineato da L. Carlassare, La « Dichiarazione dei diritti »
del 1789, cit., 20.
( 32 ) M. Mazziotti, Lo spirito del diritto sociale, cit., 66, riporta la famosa frase di Cambon
alla Convenzione, il 17 aprile 1793:: « Avevamo fatto soltanto la rivoluzione della libertà; ora ab-
biamo fatto quella dell’eguaglianza, ritrovata sotto le rovine del trono... ».
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 117

mai entrata in vigore ( 33 ) ne riduce però assai l’importanza storico-politica


ai fini del nostro discorso ( 34 ).
Condivisibile è quindi la diffusa tesi secondo la quale – come anticipa-
to – i diritti di seconda generazione sono bensì nati in Francia, ma nell’am-
bito della Costituzione repubblicana del 1848. A conferma della tesi che es-
si non si ponevano in antitesi con i droits-libertés, ma – in prospettiva – la
loro previsione era finalizzata ad un più diffuso esercizio di essi ( 35 ), deve
essere sottolineato che in questa Costituzione sono ancora i soli diritti di
prima generazione ad essere espressamente elencati (ma con la significativa
aggiunta del diritto al giudice naturale, del divieto della pena di morte, del
divieto della schiavitù, della libertà del lavoro e dell’impresa).
E l’importanza della proclamazione nell’VIII disposizione del Pream-
bolo nella quale ad essi si fa cenno (« La Repubblica deve proteggere il cit-
tadino nella sua persona, nella sua famiglia, nella sua religione, nella sua
proprietà, nel suo lavoro e mettere alla portata di ciascuno l’istruzione indi-
spensabile per tutti gli uomini; essa deve, mediante un’assistenza fraterna,
assicurare l’esistenza dei cittadini che la necessitino, sia procurando loro un
lavoro nei limiti delle sue risorse, sia donando degli aiuti a coloro che, privi di
una famiglia, non abbiano più l’età per lavorare. – Al fine di realizzare tutti
questi doveri, e per la garanzia di tutti questi diritti, l’Assemblea nazionale,
fedele alle tradizioni delle grandi Assemblee che hanno inaugurato la Rivo-
luzione francese, decreta come segue, la Costituzione della Repubblica »), è
dovuta non solo all’esplicita qualificazione dell’istruzione, dell’assistenza
sociale e del lavoro come diritti del cittadino, ma anche perché se si ritiene
che i diritti all’eguaglianza consistono soprattutto in diritti (« pretese ») al-

( 33 ) Ma v. l’interessantissimo saggio di A. Soboul, Movimento popolare e rivoluzione bor-


ghese. I sanculotti parigini nell’anno II (1958), Istituto storico italiano per l’età moderna e contem-
poranea, Roma, 1988, 45 ss., relativamente al passaggio culturale dal diritto all’esistenza all’egua-
glianza nei godimenti.
( 34 ) Si vedano in proposito anche gli articoli del progetto di Robespierre (v. supra la nota
10) dedicati ai diritti sociali: « Art. 11: La società è obbligata a provvedere al sostentamento di tut-
ti i suoi membri, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di sussistenza a coloro che
non sono in grado di lavorare. - Art. 12: I soccorsi necessari per sollevare l’indigenza sono un de-
bito del ricco nei confronti del povero; alla legge spetta il determinare la maniera in cui questo de-
bito deve venir assolto. - Art. 13: I cittadini le cui rendite non eccedono la somma necessaria alla
loro sussistenza sono dispensati dal contribuire alle pubbliche spese. Gli altri devono sopportar-
ne il peso progressivamente secondo l’ammontare dei loro beni. - Art. 14: La società deve favorire
con tutte le sue forze i progressi della ragione, mettendo l’istruzione alla portata di tutti i cittadi-
ni ».
( 35 ) Pur con varietà di argomentazioni v. in questo senso C. Rosselli, Socialismo liberale
(1930), Einaudi, Torino, 1979, 87 ss.; R. Aron, Essai sur les libertés, Calman-Levy, Paris, 1965,
239; Id., Etudes politiques, Gallimard, Paris, 1972, 242 ss.; M. Mazziotti, Lo spirito del diritto
sociale, cit., 95; A. Baldassarre, voce Diritti sociali, cit., 7; L. Carlassare, La « Dichiarazione dei
diritti » del 1789, cit., 26; M. Luciani, Sui diritti sociali, cit., 105 s.
118 ALESSANDRO PACE

l’ottenimento di prestazioni positive da parte dei pubblici poteri, era ed è


del tutto logico che essi venissero proclamati sotto forma di puntuali obbli-
ghi positivi posti a carico della Repubblica. Il che veniva riconfermato nel
non meno importante art. 13 secondo il quale « La Costituzione garantisce
ai cittadini la libertà di lavoro e d’industria. La società favorisce ed incorag-
gia lo sviluppo del lavoro mediante l’insegnamento primario gratuito,
l’educazione professionale, l’eguaglianza dei rapporti tra datore di lavoro e
dipendente, gli istituti di previdenza e di credito, le istituzioni agricole, le
associazioni volontarie e l’istituzione, da parte dello Stato dei Dipartimenti
e dei Comuni, di lavori pubblici allo scopo di dare lavoro ai disoccupati;
fornisce l’assistenza ai minori abbandonati, agli infermi e agli anziani indi-
genti a cui non possono provvedere le loro famiglie ».
Un riconoscimento graduale dei diritti all’eguaglianza lo si avrà, nei
vari Paesi europei, solo a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX ( 36 ) e
solo dopo lotte sanguinose. Ciò non di meno, nella stessa Costituzione di
Weimar del 1919 – la prima a proclamare i diritti sociali ( 37 ) – la tutela dei
giovani contro lo sfruttamento e l’abbandono morale, spirituale e fisico
(art. 122), l’obbligatorietà dell’istruzione per otto anni scolastici (art. 145),
l’assistenza sanitaria e previdenziale (art. 161), la garanzia di un minimo di
diritti sociali comuni a tutti (art. 162), venivano ancora proclamate non co-
me diritti del cittadino ma come doveri del pubblico potere (identificabile,
a seconda dei casi, nel Reich, nei Länder o nei comuni) a favore dei singoli.
Con il che veniva ancora una volta confermato il ruolo essenziale dello Sta-
to per la pratica efficacia di tali diritti, quale già era emerso dalle Costitu-
zioni della Francia rivoluzionaria ( 38 ).
Successivamente i diritti di seconda generazione si incanaleranno in
due diverse direttrici di sviluppo ( 39 ): da un lato, negli ordinamenti del so-
cialismo reale ( 40 ) (nei quali i diritti di prima generazione sarebbero stati
trasformati in una lustra, essendo condizionati all’interesse dei lavorato-

( 36 ) Cfr. R. Pessi, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Cedam, Padova, 2006, 24 ss.
( 37 ) Indicazioni in B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali. Indagine sulla struttura costi-
tuzionale dei diritti sociali, Giuffrè, Milano, 2001, 70 ss.
( 38 ) M. Mazziotti, Lo spirito del diritto sociale, cit., 96 ss.
( 39 ) Così P. Ridola, Libertà e diritti, cit., 6 s.
( 40 ) La Costituzione sovietica del 1936 proclamava il diritto di tutti i cittadini ad un posto
di lavoro garantito e remunerato; il diritto al riposo e ad un orario di lavoro, a secondo degli im-
pieghi, di un massimo di sette ore o di sei o quattro ore per lavori particolarmente usuranti; il di-
ritto all’assistenza sociale e sanitaria; il diritto all’istruzione primaria generale ed obbligatoria; il
diritto alla parità dei sessi nella vita economica, governativa, culturale, sociale e politica. Garanti-
va inoltre ai cittadini sovietici anche diritti di prima generazione quali la libertà di parola, di stam-
pa, di riunione e di corteo, purché « conformi agli interessi dei lavoratori e allo scopo di consoli-
dare il regime socialista ». A queste condizioni l’esercizio di tali diritti veniva garantito con la mes-
sa a disposizione dei relativi mezzi di diffusione.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 119

ri e al consolidamento del regime socialista) ( 41 ) e in quelli totalitari nazifa-


scisti ( 42 ), nei quali era il concetto stesso di diritto soggettivo ad essere po-
sto in dubbio ( 43 ); dall’altro, negli ordinamenti di democrazia liberale, dove
avrebbero trovato, nelle Costituzioni del secondo dopoguerra (ma non in
tutte) ( 44 ) anche un pieno riconoscimento formale come « diritti » (pur con
talune remore: si pensi al Grundgesetz tedesco che, pur qualificando la Re-
pubblica federale di Germania come Stato federale democratico e socia-
le ( 45 ), non contiene alcuna proclamazione di diritti sociali nel timore delle
possibili conseguenze sulla stabilità finanziaria): un pieno ed effettivo rico-
noscimento in termini di « diritti » ( 46 ), che addirittura prescinde, in taluni

( 41 ) Ciò non di meno l’inclusione nel catalogo dei diritti della Costituzione bolscevica del
1936, accanto ai diritti di libertà, dei diritti sociali (v. la nota precedente) impressionò uno studio-
so sensibile come Piero Calamandrei e lo condusse, nel saggio del 1945 su L’avvenire dei diritti di
libertà (pubblicato come introduzione alla ristampa dell’opera di F. Ruffini, Diritti di libertà,
Nuova Italia, Firenze, 1946, e ripubblicato in P. Calamandrei, Opere giuridiche, Morano, Na-
poli, vol. III, 182 ss.) a ritenere che i diritti sociali potessero essere identificati con i diritti di liber-
tà addirittura nella stessa loro struttura (sul punto, criticamente v. il mio Diritti di libertà e diritti
sociali nel pensiero di Piero Calamandrei, in AA.VV., Piero Calamandrei. Ventidue saggi su un
grande maestro a cura di P. Barile, Giuffrè, Milano, 313 ss.). Il che merita di essere ricordato per-
ché tale equiparazione ha finito per alimentare la fuorviante contrapposizione libertà negative e
libertà positive: dico fuorviante perché mentre le c.d. libertà negative, consistendo nella facultas
agendi derivante dall’autonomia della persona, sono diritti positivi a tutti gli effetti, le c.d. libertà
positive, risolvendosi in diritti a prestazioni positive, non consistono in libertà, ma in pretese ge-
neralmente inesigibili senza il previo intervento del legislatore.
( 42 ) V. ad es. la Carta del lavoro fascista del 21 aprile 1927.
( 43 ) Ampi riferimenti in M. La Torre, La « lotta contro il diritto soggettivo ». Karl Larenz e
la dottrina giuridica nazionalsocialista, Giuffrè, Milano, 1988. Per il fascismo italiano v. già F. Ruf-
fini, Diritti di libertà, cit., 100 s.
( 44 ) Ad esempio, nella Cost. spagnola (1978) sono espressamente riconosciuti come diritti
sociali soltanto il diritto alla tutela della salute (art. 43) e il diritto ad una abitazione decorosa (art.
47). V. anche la Cost. greca (1975/1986) la quale allude soprattutto ai doveri incombenti sullo
Stato (artt. 16, comma 2, istruzione; 22, comma 1, lavoro; 22, comma 4, sicurezza sociale).
( 45 ) Artt. 20 e 28 GG.
( 46 ) Ad esempio con riferimento al diritto sociale alla salute, questo ha una portata imme-
diatamente precettiva quando si tratti di prestazioni mediche indispensabili per garantire l’inte-
grità psico-fisica del soggetto (art. 32) (v. da ultimo L. Principato, Il contenuto minimo e la tu-
tela cautelare del diritto alle cure mediche, in rapporto alle condizioni economiche del malato ed alle
esigenze di bilancio dello Stato, in Giur. cost., 2008, 3923 ss.). In tal caso il diritto all’erogazione
immediata è generale, laddove la gratuità delle prestazioni dipende dalla condizione di indigenza,
come previsto dall’art. 32, comma 1, ult. parte. In tal senso v. già L. Carlassare, L’art. 32 della
Costituzione, cit., 117. Oppure quando il diritto sociale rilevi come diritto al pari trattamento (art.
37). Oppure, ancora, quando il diritto sociale si risolva in una pretesa nei confronti di soggetti pri-
vati e nei confronti dello Stato e degli enti pubblici che agiscono jure privatorum (è il caso del di-
ritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente, del diritto al riposo settimanale e alle ferie, del
diritto al mantenimento del posto di lavoro salvo giusta causa o giustificato motivo). A tal propo-
sito v. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionale, cit., 152 ss.; sul punto, v. anche M. Maz-
ziotti, voce Diritti sociali, in Enc. dir., vol. XII, Giuffrè, Milano, 1964, 804 che spiega come mai
120 ALESSANDRO PACE

casi, grazie all’opera dei giudici costituzionali, dal condizionamento delle


previe risorse pubbliche disponibili ( 47 ).

2. – Il riconoscimento internazionale dei diritti di prima e di seconda genera-


zione. I diritti di terza generazione

A livello internazionale sia i diritti di prima che di seconda generazio-


ne hanno trovato contestuale riconoscimento, in sede ONU, nella Dichia-
razione universale del 1948, dopo un biennio di discussioni nelle quali si
contrapposero soprattutto – ma non soltanto ( 48 ) – i Paesi di democrazia li-
berale e quelli di democrazia socialista. A questa Dichiarazione, importan-
tissima politicamente, ma priva di valore giuridico, hanno fatto seguito la
Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel 1950 e, con molte perplessi-
tà ( 49 ), la Carta sociale europea nel 1961, nonché, ancora in sede ONU, i
due Patti internazionali del 16 dicembre 1966: quello relativo ai diritti civili
e politici, entrato in vigore a livello internazionale il 23 marzo 1976, e quel-
lo sui diritti economici, sociali e culturali, entrato in vigore a livello interna-
zionale il 3 gennaio 1976. Nel primo sono proclamati a livello internaziona-
le i diritti di prima generazione, nel secondo i diritti di seconda generazio-
ne.
In questo secondo Patto vengono però riconosciuti non solo i diritti
etico-sociali ed economici, ma viene proclamato il diritto dei popoli all’au-
todeterminazione e alla libera disponibilità delle proprie ricchezze naturali.
In quella sede gli Stati firmatari si impegnarono a dare la piena attuazione ai
diritti proclamati nel Patto mediante l’assistenza e la cooperazione interna-
zionale.

questi diritti possano essere considerati sociali ancorché la prestazione positiva non sia a carico
dello Stato.
Tra le Costituzioni più generose in materia di diritti sociali, esplicitamente riconosciuti co-
me tali, v. la Cost. portoghese (1974) che tutela il diritto al lavoro (art. 58), i diritti dei lavoratori
(art. 59), la sicurezza sociale (art. 63), la salute (art. 64), l’abitazione e l’urbanismo (art. 65), l’edu-
cazione, cultura e scienza (art. 73), l’istruzione (art. 74).
( 47 ) Nella scia di alcune decisioni del Tribunale costituzionale federale tedesco (BVefGE,
vol. 3, 330; BVerfGE, vol. 33, 303), si parla, a tal riguardo, di diritti sottoposti alla « riserva del
ragionevole e del possibile »: per tutti v. A. Baldassarre, voce Diritti sociali, cit., 31; 72; A.
Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza sostanziale, cit., 178 ss.; L. Principa-
to, I diritti sociali nel quadro dei diritti fondamentali, in Giur. cost., 2001, 887 ss. Da ultimo, anche
per ulteriori richiami di giurisprudenza, v. Corte cost., sent. n. 354/2008.
( 48 ) A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari, 2003, 31 ss. ricor-
da il ruolo svolto anche dai Paesi dell’America latina e quelli musulmani, che espressero riserve in
materia di religione e di vita familiare.
( 49 ) C. Tomuschat, Human Rights Between Idealism and Realism, Oxford Univ. Press,
Oxford, 2003, 31.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 121

I diritti di terza generazione si collegano appunto a queste tematiche.


Per gli internazionalisti essi costituirebbero « il risultato, principalmente,
delle istanze dei Paesi del terzo mondo tese a realizzare la liberazione dei
popoli dalla dominazione straniera, dapprima politica, poi economica »:
diritti che « appartengono, simultaneamente, all’individuo e al popolo di
cui egli fa parte » ( 50 ).
Oltre al diritto all’autodeterminazione già previsto nel Patto sui diritti
economici, sociali e culturali, i diritti di terza generazione includono il di-
ritto allo sviluppo (così la Carta africana dei diritti dell’Uomo e dei Popoli,
proclamata a Banjul il 28 giugno 1981, che però prevede anche un limitato
numero di diritti economici e sociali: diritto al lavoro, alla salute e all’istru-
zione) ( 51 ), il diritto a beneficiare delle risorse del patrimonio comune del-
l’umanità (così la Dichiarazione dell’Assemblea generale dell’ONU dell’8
novembre 1984) ( 52 ), il diritto alla pace (così la Dichiarazione dell’ONU del
12 novembre 1984) ( 53 ) e il diritto ad un ambiente pulito (così la Dichiara-
zione della Conferenza ONU di Stoccolma, giugno 1972, seguita dalla più
prudente e riduttiva Dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Ja-
neiro del 14 giugno 1992) ( 54 ).
Con riferimento ai diritti di terza generazione, sono state sollevate
perplessità circa la loro titolarità, circa i destinatari dei relativi obblighi e
addirittura circa lo stesso loro ambiguo contenuto ( 55 ).
Di questi diritti di terza generazione un concreto rilievo costituzio-
nalistico l’ha avuto il solo diritto alla protezione dell’ambiente e della
qualità della vita, il quale è stato inserito in diverse Costituzioni, o in via
originaria o in sede di revisione (v. ad es. art. 45 Cost. spagnola [1978],
art. 66 Cost. portoghese [1989], art. 44 Cost. slovacca [1992], art. 53
Cost. estone [1992], art. 24 Cost. greca [1995], art. 21 Cost. Paesi Bassi
[1983], art. 20 Legge fond. Germania [1994]) ( 56 ) oppure, come in Italia,
per merito di una lettura aggiornata del concetto di « paesaggio » (art. 9

( 50 ) U. Villani, La protezione internazionale dei diritti umani, cit., 18 s.


( 51 ) A. Amor, Les droits de l’homme de la 3.e génération, Relazione generale sul tema al II
Congresso mondiale dell’Associazione internazionale di diritto costituzionale, Parigi-Aix-en-Pro-
vence, 31 agosto-5 settembre 1987, 6; U. Villani, La protezione internazionale dei diritti umani,
cit., 18; C. Tomuschat, Human Rights, cit., 33 e 48.
( 52 ) A. Amor, Les droits de l’homme de la 3.e génération, cit., 35 ss.; U. Villani, La prote-
zione internazionale dei diritti umani, 19; C. Tomuschat, Human Rights, cit., 50.
( 53 ) A. Amor, Les droits de l’homme de la 3.e génération, cit., 11 ss.; U. Villani, La prote-
zione internazionale dei diritti umani, 19: C. Tomuschat, Human Rights, cit., 49.
( 54 ) A. Amor, Les droits de l’homme de la 3.e génération, cit., 21 ss.; C. Tomuschat, Hu-
man Rights, cit., 50.
( 55 ) In questo senso v. G. Bognetti, voce Diritti dell’uomo, in Dig. disc. priv., vol. V, Utet,
Torino, 1989, 395; C. Tomuschat, Human Rights, cit., 50 ss.
( 56 ) Riprendo tali indicazioni normative da P. Ridola, Libertà e diritti, cit., 8.
122 ALESSANDRO PACE

Cost.) da parte della Corte costituzionale sulla scia della dottrina ( 57 ).


Si è tuttavia esattamente rilevato come la protezione della qualità della
vita e della integrità del patrimonio naturale e genetico dell’umanità impli-
chi una conseguente responsabilità delle attuali generazioni verso le future,
che dà luogo a non pochi problemi pratici e, soprattutto, politici ( 58 ). Dallo
stesso studioso si è inoltre sottolineato che i diritti di terza generazione
avrebbero altre ricadute interne ai singoli ordinamenti nazionali oltre alla
generale sensibilizzazione per i problemi dell’ambiente pulito: essi conden-
serebbero tendenze e indirizzi differenti, dai quali deriverebbe l’universa-
lizzazione dei diritti di prima e seconda generazione ( 59 ).
In effetti l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza di tutti i dirit-
ti umani è stata esplicitamente proclamata nella Conferenza mondiale sui di-
ritti umani tenuta a Vienna nel 1993 su iniziativa dell’Assemblea generale del-
l’ONU ( 60 ) e, più di recente, ribadita nella risoluzione n. 53/168 del 10 dicem-
bre 1998, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU in occasione del cin-
quantesimo anniversario della Dichiarazione Universale del 1948. Si sono però
obiettate, con non minore autorevolezza, le permanenti gravi divergenze fi-
losofiche e culturali sullo stesso concetto di diritti umani, sulla loro protezio-
ne internazionale nonché su singoli diritti, alla luce delle quali si è concluso
che, oggi come oggi, l’universalizzazione dei diritti è ancora un mito ( 61 ). Un
mito destinato a restare tale finché esisteranno gli Stati nazionali.

3. – La matrice internazionalistica della distinzione dei diritti in generazioni

La distinzione dei diritti dell’uomo in generazioni ha indubbiamente


una matrice internazionalistica, essendo stata innanzi tutto effettuata in atti
adottati dall’Assemblea generale dell’ONU. Essa – si è sottolineato – pre-
senterebbe « una certa utilità non solo a fini classificatori e di “sistemazio-
ne” della materia, ma anche per mettere in luce le origini, le istanze, le ideo-
logie di cui tali diritti sono espressione » ( 62 ).
Da un punto di vista costituzionalistico si può senz’altro essere d’ac-
cordo con questa affermazione. Per vero, mentre l’avvento dei diritti di pri-
ma generazione, come già sottolineato, invertì (in prospettiva) il rapporto

( 57 ) A. Predieri, voce Paesaggio, in Enc. dir., vol. XXXI, Giuffrè, Milano, 1981, 510; Cor-
te cost., sent. n. 210/1987.
( 58 ) Per maggiori indicazioni normative e per i problemi che suscita l’etica della responsa-
bilità v. P. Ridola, Libertà e diritti, cit., 8 s.
( 59 ) P. Ridola, Libertà e diritti, cit., 7.
( 60 ) Dichiarazione di Vienna del 25 giugno 1993, parte I, n. 5. V. anche il n. 32.
( 61 ) A. Cassese, I diritti umani, cit., 55 ss.
( 62 ) U. Villani, La protezione internazionale dei diritti umani, 17.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 123

tra potere e libertà, l’avvento dei secondi, come sottolineato da Calaman-


drei, ha integrato il catalogo dei diritti liberali in senso democratico ( 63 ) fa-
cendo emergere una nuova forma di Stato ( 64 ).
Volendo seguire criteri altrove da me utilizzati ( 65 ), direi quindi che la
differenza tra i diritti di prima e di seconda generazione è sia strutturale che
funzionale. È strutturale perché i diritti di prima generazione (secolo XVIII)
non contemplano diritti a prestazioni positive da parte dei pubblici poteri, co-
me invece si pretenderà dopo il 1848 con i diritti sociali. Come spesso si di-
ce, ancorché con un’espressione potenzialmente fuorviante ( 66 ), essi si risol-
vono in mere « libertà negative », che corrispondono per l’appunto ai valori
individualistici fatti valere nel Virginia Bill of Rights e nella Déclaration del 1789.
La differenza tra i diritti di prima e di seconda generazione è però an-
che funzionale. Il passaggio (rectius, l’arricchimento) dai primi ai secondi iden-
tifica il diverso ruolo che le masse di cittadini intendevano ormai assumere nei
confronti dello Stato e, reciprocamente, il diverso ruolo che si pretendeva che
lo Stato svolgesse nei confronti delle masse. Il che implica – in un contesto ul-
teriormente mutato, come quello in cui viviamo – conseguenze di non poco
momento sulla stessa purezza concettuale dei diritti di prima generazione.
Se infatti è vero che i diritti di libertà, in linea di principio, non ab-
bisognano dell’intervento del legislatore per poter essere concretamente
esercitati, è altrettanto vero che – nell’attuale contesto socio-economico
condizionato dalla tecnologia elettronica, dai mass media e dalle imprese
sovranazionali – una loro efficace attuazione, diversamente da quel che
era ancora possibile ipotizzare nella prima metà del secolo XX, richiede
ormai, di necessità, un intervento pubblico di sostegno ( 67 ) perché l’eser-
cizio dei diritti di libertà non sia una lustra ( 68 ).

( 63 ) P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà, in Opere giuridiche, cit., 194 ss..
( 64 ) M. Esposito, Profili costituzionali dell’autonomia privata, Cedam, Padova, 2003, 13 s.
( 65 ) A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, cit., 83 ss., 94 ss.
( 66 ) Anzi doppiamente fuorviante, da un lato perché qualifica col sostantivo «libertà» an-
che i diritti sociali che, risolvendosi in mere «pretese», non implicano un comportamento attivo
del soggetto (laddove i diritti di libertà sono, invece, per definizione, situazioni soggettive attive
costituendo il libero svolgimento della personalità umana), dall’altro utilizza un aggettivo («nega-
tive») che è fuorviante con riferimento al contenuto dei diritti di libertà che, come testè ricordato,
è per definizione positivo. Amplius v. A. Pace, Libertà e diritti di libertà, in Giornale di storia cost.,
n. 17, 2009, 21 ss.
( 67 ) Di qui, a mio parere, una lettura in positivo dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost., nel
senso che lo Stato ha competenza non solo a determinare i livelli essenziali delle prestazioni con-
cernenti i diritti civili, ma anche ad effettuare interventi di sostegno quando non vi provvedano le
Regioni. Sul punto mi permetto di rinviare al mio I progetti PC ai giovani e PC alle famiglie: eser-
cizio di potestà legislativa esclusiva statale o violazione della potestà regionale residuale?, in Giur.
cost., 2004, 3222.
( 68 ) Generalizza eccessivamente questa circostanza M. Luciani, Sui diritti sociali, cit., 121.
124 ALESSANDRO PACE

Quanto ai diritti di terza generazione, se con essi si fa riferimento alla


protezione dell’ambiente e della qualità della vita, non v’è dubbio che la lo-
ro autonoma classificazione abbia il merito di metterne in luce « le origini,
le istanze, le ideologie di cui tali diritti sono espressione » ( 69 ).
Le quali origini, istanze e ideologie, una volta raggiunta la consapevo-
lezza dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la difficoltà di sbarazzarsi dei
rifiuti solidi, il sovraffollamento dell’ambiente, suscitano perplessità con ri-
ferimento alle negative conseguenze sull’ambiente derivanti da un ulteriore
sviluppo produttivo. Già da tempo si è infatti sottolineato come sin dagli
anni ’70 gli Stati Uniti avessero « raggiunto la soglia al di là della quale in-
crementi addizionali del tenore di vita producono scarsi benefici (se non
addirittura nessun beneficio) » ( 70 ). E già da tempo si è preconizzato che
« le conseguenze negative di un incremento nel volume dei beni di consu-
mo siano destinate ad accelerarsi in futuro, e che presto supereranno gli ef-
fetti positivi » ( 71 ).
Il che induce a prospettare il dubbio se, dal punto di vista politico, sia
producente che i diritti del consumatore e dell’utente vadano considerati
disgiuntamente dai diritti alla protezione dell’ambiente e della qualità della
vita, e non sia invece più opportuno, sotto questo profilo, farli rientrare tra
i diritti di terza generazione.
Detto questo per scrupolo di completezza, avverto però che i diritti
del consumatore che qui di seguito esaminerò alla luce della normativa co-
munitaria e nazionale sono i diritti ad esso riconosciuti a fronte del potere
del professionista-imprenditore. Il che consente di avvertire fin d’ora – ma
questo è ovvio – che non si tratta di « nuovi » diritti, perché, mentre a livel-
lo costituzionale, essi sono già compiutamente prefigurati direttamente dal-
l’art. 41, comma 2 e indirettamente dall’art. 97, comma 1, a livello europeo
la protezione dei consumatori costituisce un punto parimenti fermo, com’è
testimoniato dall’art. 153 TCE, dall’art. II-98 del Trattato costituzionale
europeo e dall’art. 169 del Trattato di Lisbona sul funzionamento del-
l’Unione europea.

4. – La derivazione comunitaria della protezione dei diritti del consumatore

È pacifico che la protezione dei consumatori sia da attribuire a merito


della Comunità europea e che le innovazioni, sul punto, del nostro ordina-
mento siano state « guidate » politicamente da Bruxelles ancor prima che

( 69 ) U. Villani, La protezione internazionale dei diritti umani, 17.


( 70 ) G. Katona, voce Consumi, in Enc. novecento, vol. II, Ist. Enc. it., Roma, 1975, 972.
( 71 ) G. Katona, voce Consumi, cit., 972.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 125

una specifica base giuridica fosse data, in sede comunitaria, alla tutela dei
consumatori, il che è avvenuto solo col Trattato di Maastricht (1992) e con
l’inserimento dell’art. 129 A nel TCE.
L’assenza, nell’originario TCE, di disposizioni specifiche aventi porta-
ta generale non ha infatti impedito che una politica legislativa comunitaria
a favore del consumatore si venisse delineando e poi speditamente progre-
disse, soprattutto per merito di taluni Stati membri che già vantavano in
proposito una diffusa sensibilità sociale e una più solida cultura giuridica in
materia.
A tal fine vennero infatti utilizzate varie norme del Trattato, sulla po-
litica agricola e sui prezzi ragionevoli; sull’esenzione delle norme a tutela
della concorrenza in caso di accordi, intese o pratiche concordate che con-
tribuiscano a migliorare la produzione o distribuzione dei prodotti e infine
la norma che configura come pratica abusiva anche il fatto di limitare la
produzione, gli sbocchi e lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori ( 72 ).
Sta di fatto che già nella Dichiarazione dei Capi di Stato e di governo
emessa a conclusione del Vertice di Parigi del 19 e 20 ottobre 1972 la Com-
missione veniva formalmente incaricata di stendere un programma a tutela
del consumatore. Nel 1975 la Commissione elaborava il primo programma
preliminare della CEE per una politica di protezione e di informazione del
consumatore, in cui venivano tracciate « le direttrici fondamentali sulle
quali si svilupperà l’opera di armonizzazione a livello comunitario: a) dirit-
to alla protezione della salute e della sicurezza; b) diritto alla tutela degli in-
teressi economici; c) diritto al risarcimento dei danni; d) diritto all’informa-
zione e all’educazione; e) diritto alla rappresentanza (diritto di essere ascol-
tato) » ( 73 ).
Venivano quindi adottate – già prima dell’inserimento, nel TCE, del
cit. art. 129 A ad opera del trattato di Maastricht – le seguenti direttive: la
Dir. 76/768/CEE del 27 luglio 1976 del Consiglio concernente il « riavvici-
namento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici »;
la Dir. 84/450/CEE del 10 settembre 1984 del Consiglio relativa al « ravvi-
cinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative de-
gli Stati Membri in materia di pubblicità ingannevole »; la Dir. 85/374/CEE
del 25 luglio 1985 del Consiglio relativa al « riavvicinamento delle disposi-
zioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in ma-
teria di responsabilità per danno da prodotti difettosi »; la Dir. 85/577/CEE
del 20 dicembre 1985 del Consiglio per la « tutela dei consumatori in caso di

( 72 ) Per un rapido ma esauriente e preciso sguardo d’insieme dei fatti sopra accennati v.
F.P. Mansi, Art. 153 TCE, cit., 816.
( 73 ) F.P. Mansi, Art. 153 TCE, cit., 816.
126 ALESSANDRO PACE

contratti negoziati fuori dei locali commerciali »; la Dir. 87/102/CEE del 22


dicembre 1986 del Consiglio relativa al « riavvicinamento delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri in materia di
credito al consumo »; la Dir. 88/378/CEE del 3 maggio 1988 del Consiglio
relativa al « riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti
la sicurezza dei giocattoli »; la Dir. 90/314/CEE del 13 giugno 1990 del
Consiglio concernente « i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso” »;
la Dir. 90/496/CEE del Consiglio del 24 settembre 1990 relativa all’« eti-
chettatura nutrizionale dei prodotti alimentari » e la Dir. 93/13/CEE del 5
aprile 1993 del Consiglio concernente « le clausole abusive nei contratti sti-
pulati con i consumatori ».
Dopo l’entrata in vigore (1o novembre 1993) del Trattato di Maastri-
cht, e quindi del nuovo art. 129 A ( 74 ), sono state adottate le seguenti ulte-
riori direttive: la Dir. 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del
26 ottobre 1994 concernente « la tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei
contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale
di beni immobili »; la Dir. 97/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
27 gennaio 1997 relativa ai « bonifici transfrontalieri »; la Dir. 97/7/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997 riguardante « la
protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza »; la Dir. 97/55/
CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 ottobre 1997 recante par-
ziali modifiche della Direttiva 84/450/CE relativa alla « pubblicità inganne-
vole al fine di includervi la pubblicità comparativa »; la Dir. 98/6/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 relativa alla « pro-
tezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offer-
ti ai consumatori »; la Dir. 98/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 16 febbraio 1998 che modifica la direttiva 87/102/CEE del Consiglio
del 22 dicembre 1986 relativa « ravvicinamento delle disposizioni legislative,

( 74 ) Testo dell’art. 129 A:


« 1. La Comunità contribuisce al conseguimento di un livello elevato di protezione dei con-
sumatori mediante:
a) misure adottate in applicazione dell’articolo 100 A nel quadro della realizzazione del
mercato interno;
b) azioni specifiche di sostegno e di integrazione della politica svolta dagli Stati membri al
fine di tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori e di garantire loro
un’informazione adeguata.
2. Il Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all’art. 189 B e previa con-
sultazione del Comitato economico e sociale, adotta le azioni specifiche di cui al paragrafo 1, let-
tera b).
3. Le azioni adottate in applicazione del paragrafo 2 non impediscono ai singoli Stati mem-
bri di mantenere e di prendere misure di protezione più rigorose. Tali misure devono essere com-
patibili con il presente trattato. Esse sono notificate alla Commissione ».
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 127

regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al


consumo ».
Infine, dopo l’entrata in vigore (1o maggio 1998) del Trattato di Am-
sterdam (1997) – e quindi dell’attuale art. 153 TCE modificativo dell’art.
129 A ( 75 ), che attribuisce alla Comunità una competenza solo concorrente,
pertanto esercitabile secondo il principio di sussidiarietà – sono state adot-
tate le seguenti ulteriori direttive: la Dir. 98/27/CE del Parlamento euro-
peo e del Consiglio del 19 maggio 1998 relativa a « provvedimenti inibitori a
tutela degli interessi dei consumatori »; la Dir. 1999/34/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 10 maggio 1999 che modifica la direttiva 85/
374/CEE del Consiglio relativa al « ravvicinamento delle disposizioni legi-
slative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di re-
sponsabilità per danno da prodotti difettosi »; la Dir. 2000/13/CE del Parla-
mento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000 relativa al « riavvicina-
mento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la
presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità »; la Dir.
2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 re-
lativa a « taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in
particolare il commercio elettronico, nel mercato interno »; la Dir. 2001/101/
CE della Commissione del 26 novembre 2001 recante « modificazioni della
direttiva 2000/13/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al rav-
vicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e
la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità »; la
Dir. 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 dicembre
2001 relativa alla « sicurezza generale dei prodotti »; la Dir. 2002/65/CE del

( 75 ) L’art. 153 TCE nell’attuale formulazione (art. 2, par. 27, Trattato di Amsterdam in
corsivo):
« 1. Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di pro-
tezione dei consumatori, la Comunità contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi eco-
nomici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’or-
ganizzazione per la salvaguardia dei propri interessi.
2. Nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono prese in
considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori.
3. La Comunità contribuisce al conseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo 1 mediante:
a) misure adottate a norma dell’articolo 95 nel quadro della realizzazione del mercato in-
terno;
b) misure di sostegno, di integrazione e di controllo della politica svolta dagli Stati mem-
bri.
4. Il Consiglio, deliberando secondo la procedure di cui all’art. 251 e previa consultazione
del Comitato economico e sociale, adotta le misure di cui al paragrafo 3, lettera b).
5. Le misure adottate a norma del paragrafo 4 non impediscono ai singoli Stati membri di
mantenere o di introdurre misure di protezione più rigorose. Tali misure devono essere compati-
bili con il presente trattato. Esse sono notificate alla Commissione ».
128 ALESSANDRO PACE

Parlamento europeo e del consiglio del 23 settembre 2002 concernente « la


commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori » e che
modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/
27/CE.
Merita inoltre di essere ricordata la comunicazione della Commissio-
ne al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale
europeo del 13 marzo 2007, relativa alla « Strategia per la politica dei consu-
matori dell’UE 2007-2013 », nella quale, ricollegandosi alla dir. 98/27/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 1998, la Commissio-
ne preconizzava la possibilità di intervenire sui meccanismi di ricorso collet-
tivo a tutela dei consumatori.
Una notazione conclusiva sul punto. L’art. 153 TCE prescrive che gli in-
terventi della Comunità devono assicurare « un livello elevato di protezione
dei consumatori ». Il che, se può soddisfare i Paesi con una scarsa sensibilità
culturale per questo problema – come purtroppo il nostro –, è invece causa
di preoccupazione in Paesi culturalmente più avanzati sul punto, nei quali si
teme che l’armonizzazione delle normative di tutela del consumatore ad un
livello elevato possa pregiudicare la tutela (comunitaria) degli scambi com-
merciali nel mercato interno. Conseguentemente, vengono piuttosto auspi-
cate una più sistematica normativa di standard minimi e una maggiore traspa-
renza delle normative e delle prassi nazionali ( 76 ).

5. – L’ambito di tutela del consumatore secondo il nostro ordinamento

Tenuto conto che la normativa vigente identifica la nozione di con-


sumatore e, in contrapposto ad esso, quella di professionista (che viene
identificato anche nei soggetti non imprenditori esercenti un’attività intel-
lettuale) ( 77 ) e avendo presente che i diritti del consumatore e dell’utente

( 76 ) G. Howells - T. Wilhelmsson, EC consumer law: has it come of age?, in Eur. Law


Rev., anno 28o, 2003, 377 ss. Deve tuttavia avvertirsi che Howells e Wilhelmsson sono critici di
tutti e tre i capisaldi della politica comunitaria di tutela del consumatore: la co-regulation, gli ob-
blighi di informazione e le clausole generali.
( 77 ) In questo senso v. tra gli altri F. Greco, Profili del contratto del consumatore, Jovene,
Napoli, 2005, 114.
Nel codice del consumo, così come da ultimo modificato con d. lgs. 23 ottobre 2007, n.
223, si dispone, tra le disposizioni generali, che, ove non diversamente disposto, si intende per
« consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta » (art. 3, lett. a]). Corrispondente-
mente si intende per « professionista: la persona fisica e giuridica che agisce nell’esercizio della
propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale ovvero un suo interme-
diario » (art. 3, lett. c]).
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 129

sono finalizzati: alla tutela della salute, alla sicurezza e alla qualità dei pro-
dotti e dei servizi; ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubbli-
cità; all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fe-
de, correttezza e lealtà; all’educazione al consumo; alla correttezza, alla
trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali; alla promozione e allo
sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consu-
matori e gli utenti; all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di
qualità e di efficienza ( 78 )..., ebbene, tutto ciò tenuto presente, gli ambiti
della tutela del consumatore secondo il nostro ordinamento – quali risul-
tano dalle modificazioni del codice del consumo disposte dal d. lgs. 23 ot-
tobre 2007, n. 223 – potrebbero in estrema sintesi dirsi i seguenti:
– è previsto un impegno dei soggetti pubblici e, per quel che possa
valere, dei soggetti privati a favorire la consapevolezza dei consumatori dei
loro diritti e interessi, lo sviluppo dei rapporti associativi, la partecipazione

Per quel che qui interessa, si intende infine per « prodotto (...) qualsiasi prodotto destinato
al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizi... ».
Una deroga alla nozione di consumatore di cui all’art. 3 è nell’art. 5, comma 1, nel titolo II,
concernente le « Informazioni ai consumatori ». Secondo tale disposizione « Fatto salvo quanto
disposto dall’art. 3, comma 1, lett. a), ai fini del presente titolo, si intende per consumatore o uten-
te anche la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali ».
Un’ulteriore deroga è nel titolo III dedicato alle « Pratiche commerciali, pubblicità, e altre
comunicazioni commerciali », il cui art. 18 (« Definizioni ») recita: « Ai fini del presente titolo, si
intende per:
a) “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del pre-
sente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industria-
le, artigianale o professionale;
b) “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali og-
getto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale
o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista ».
( 78 ) Art. 2 del codice del consumo:
« 1. Sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consuma-
tori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e
associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la discipli-
na dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni.
« 2. Ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti:
a) alla tutela della salute;
b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;
c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità;
c-bis) all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e
lealtà;
d) all’educazione al consumo;
e) alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali;
f) alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico
tra i consumatori e gli utenti;
g) all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza ».
130 ALESSANDRO PACE

ai procedimenti amministrativi, nonché la rappresentanza negli organismi


esponenziali ( 79 );
– le attività destinate all’educazione dei consumatori, svolte da sog-
getti pubblici o privati, non devono avere finalità promozionale di servizi e
prodotti ma devono essere dirette ad esplicitare le caratteristiche di beni e
servizi e a rendere chiaramente percepibili benefici e costi conseguenti alla
loro scelta, con particolare attenzione per le categorie di consumatori mag-
giormente vulnerabili ( 80 );
– sono disciplinati il contenuto minimo delle informazioni che devo-
no essere rese al consumatore dal professionista e le modalità con le quali
tali informazioni devono essere fornite, anche con riferimento alla traspa-
renza del prezzo ( 81 );
– le pratiche commerciali vietate sono distinte in sottocategorie: pra-
tiche scorrette, ingannevoli sotto vari aspetti, « comunque ingannevoli »,
aggressive e « in ogni caso aggressive ») ( 82 );
– sono disciplinate le modalità della comunicazione pubblicitaria e
viene rafforzata la posizione del consumatore nelle televendite ( 83 );
– è modificata la disciplina delle clausole vessatorie ( 84 );
– le modalità contrattuali vengono sottoposte a disciplina differenzia-
ta, anche per ciò che attiene al recesso, a seconda del luogo di conclusione
del contratto (fuori dei locali commerciali e a distanza, e in taluni casi anche
quelli conclusi nei locali commerciali) ( 85 );
– è disciplinata la commercializzazione a distanza di servizi finanziari
ai consumatori ( 86 );
– è disciplinata l’acquisizione contrattuale di diritti di godimento ri-
partito di beni immobili ( 87 );
– è disciplinata la vendita di pacchetti turistici relativi a viaggi, vacan-
ze e circuito tutto compreso ( 88 );

( 79 ) Art. 4, comma 1.
( 80 ) Art. 4, comma 2.
( 81 ) Artt. 5-17, 52.
( 82 ) Artt. 20-27-quater.
( 83 ) Artt. 28-32.
( 84 ) ... già risalente alla l. 6 febbraio 1996, n. 52, introduttiva degli artt. 1469-bis-1469-
sexies c.c. L’art. 1469-sexies c.c. è stato successivamente modificato a seguito della condanna della
Repubblica italiana per infrazione dell’art. 7, n. 3 della dir. 93/13/CEE, nella parte in cui le asso-
ciazioni che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali del contratto non venivano indicate
come soggetti passivi dell’azione inibitoria. V. CGCE, sez. V, 24 gennaio 2002, Commissione c.
Repubblica italiana, causa C-372/99. V. ora gli artt. 33-37.
( 85 ) Artt. 45-67.
( 86 ) Artt. 67-bis-67 vicies semel.
( 87 ) Artt. 69-81.
( 88 ) Artt. 82-100.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 131

– sono disciplinati i requisiti di sicurezza ( 89 ) e di qualità dei prodotti,


con relativi obblighi anche del distributore, i controlli e la sorveglianza del
mercato ( 90 ), la responsabilità del produttore ( 91 );
– è disciplinata la responsabilità per danno da prodotti difettosi ( 92 );
– è disciplinata la vendita dei prodotti di consumo ( 93 );
– sono disciplinati il consiglio degli utenti e le associazioni dei consu-
matori e degli utenti che ne fanno parte ( 94 );
– è prevista la legittimazione ad agire delle associazioni dei consuma-
tori e degli utenti ( 95 );
– è riconosciuta alle associazioni dei consumatori e degli utenti la
possibilità di richiedere al tribunale l’inibizione degli atti e dei comporta-
menti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti ( 96 );
– infine, con l’art. 2, commi 446-449 della legge 24 dicembre 2007
(legge finanziaria 2008), è stata inserito nel codice di consumo l’art. 140-bis
(che, a seguito di proroghe, dovrebbe entrare in vigore il 1o luglio 2009) in-
troduttivo nel nostro ordinamento della c.d. class action (azione collettiva
risarcitoria) nei confronti delle imprese quando siano lesi i diritti di una
pluralità di consumatori o di utenti ( 97 ).

6. – L’Assemblea costituente e la tutela del contraente debole

L’identificazione, sia pur generica, degli ambiti di tutela del consuma-


tore, in una col quesito se i diritti dei consumatori costituiscano una nuova
generazione di diritti, richiama alla mente il notissimo auspicio, rivolto da
Piero Calamandrei all’Assemblea costituente, il 4 marzo 1947, nel corso

( 89 ) Artt. 102-105.
( 90 ) Artt. 107-110.
( 91 ) Art. 111 e titolo II.
( 92 ) Artt. 114-127.
( 93 ) Artt. 128-135.
( 94 ) Artt. 136-138.
( 95 ) Artt. 139-141.
( 96 ) Artt. 37 e 139.
( 97 ) Art. 140-bis, comma 1: « Le associazioni di cui al comma 1 dell’art. 139 e gli altri
soggetti di cui al comma 2 del presente articolo sono legittimati ad agire a tutela degli interessi
collettivi degli utenti richiedendo al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento
del diritto al risarcimento del danno e la restituzione delle somme spettanti ai singoli consu-
matori o utenti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’art.
1342 c.c. ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scor-
rette o di comportamenti anticoncorrenziali, quando siano lesi i diritti di una pluralità di con-
sumatori o di utenti ».
132 ALESSANDRO PACE

della discussione generale del progetto di Costituzione ( 98 ): « La Costitu-


zione deve essere presbite, deve vedere lontano, non essere miope ».
E fa venire alla mente un altro importante intervento, quello del libe-
rale on. Lucifero nella riunione della I sottocommissione dell’Assemblea
costituente del 10 settembre 1946, nel quale venne sottolineato, con grande
sensibilità, che i diritti di libertà possono essere violati non soltanto dai po-
teri esecutivo, legislativo e giudiziario, ma anche dal « quarto potere, quello
economico ». Per cui, egli aggiunse, anche nei confronti di questo potere lo
Stato deve apprestare la sua tutela, essendo « lo Stato di tutti, non lo Stato
di una classe » ( 99 ).
Già in sede costituente era perciò avvertito, anche con riferimento ai
diritti di libertà (quale appunto la libertà d’iniziativa economica privata),
che i limiti ad essi previsti nelle norme costituzionali (nella specie, l’art. 41,
comma 2, Cost.) costituiscono, per i terzi, il fondamento di contrapposti di-
ritti.
In coerenza con questa impostazione qualche anno dopo sarebbe sta-
to autorevolmente evidenziato che nella nuova Costituzione « (l)’uomo,
l’individuo, non vi è riguardato soltanto come cittadino o comunque nei so-
li rapporti con i soggetti governanti, ma anche nei suoi nessi sociali privati,
nella concreta situazione che occupa in seno alla società civile. Giacché la
Costituzione non si contenta di determinare un orientamento democratico
della società politica, garantendo le libertà fondamentali nei confronti della
autorità pubblica, ma tende a realizzare altresì un ordinamento democrati-
co della società civile, garantendo la libertà anche nei confronti della auto-
rità privata (che è quanto dire: dell’altrui libertà che sia diventata o sia su-
scettibile di diventare autorità) » ( 100 ).
Ebbene, le normative comunitaria e nazionale a tutela del consumato-
re affrontano (o tentano di risolvere) proprio quegli stessi gravi problemi
già emersi in sede costituente con riferimento ai limiti delle autorità priva-
te ( 101 ): problemi che si riconnettono, a mio sommesso avviso, non tanto al

( 98 ) La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Ca-


mera dei deputati, Segretariato generale, Roma, 1970, vol. I, 163.
( 99 ) La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, cit.,
vol. VI, 330.
( 100 ) V. Crisafulli, Individuo e società nella Costituzione italiana, in Dir. lav., 1954, parte
I, 76.
( 101 ) Attraverso l’art. 1469-bis, c.c. (ora art. 33 codice del consumo) « si consente al giudice
di valutare se ricorra o meno una fattispecie di abuso di potere contrattuale, che ripugna all’ordi-
namento siccome in contrasto con l’utilità sociale, nella misura in cui il pur fondamentale valore
dell’autonomia dei singoli si manifesti come potere di fatto di imposizione, che, negando l’auto-
nomia altrui e, quindi, la libertà, disconosce insieme la personalità e, in definitiva, la dignità: l’au-
torità privata, detto in altri termini, è assunta e prevalutata come possibile e in quanto tale nega-
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 133

compito generico della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine eco-


nomico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana
(art. 3, comma 2, Cost.), quanto al rilievo specifico che, in uno Stato di di-
ritto (e a fortiori in uno Stato costituzionale di diritto), il potere legittimo è
soltanto quello pubblico, rispettoso del principio di competenza e derivan-
te, sia pure indirettamente, dal consenso popolare. Dal che consegue che i
limiti previsti dall’art. 41, comma 2, Cost. con riferimento alla sicurezza, al-
la libertà e alla dignità umana sono coessenziali allo stesso riconoscimento
della libertà d’iniziativa economica privata, configurando, tali limiti, la stes-
sa dimensione della situazione soggettiva costituzionalmente tutelata ( 102 )
(e, quindi, l’intermediazione del legislatore, per quanto opportuna, è a
stretto rigore necessaria solo con riferimento all’utilità sociale) ( 103 ).
Di qui – a mio avviso – la conferma che è l’art. 41, comma 2, Cost. in sé
e per sé considerato (e non nel combinato disposto con l’art. 3, comma 2,
Cost.), che richiede, nell’ipotesi delle clausole vessatorie (ma praticamente
in tutte le ipotesi previste nella normativa a tutela del consumatore), « che
in situazioni di sproporzione di forze (...) il comportamento (del professio-
nista) venga valutato secondo canoni di correttezza e di buona fede più
stringenti di quel che accade quando le parti si possano considerare dotate
di pari bargaining power, e, in definitiva, perfettamente e responsabilmente
consenzienti in ordine al compromesso raggiunto con il negozio giuridi-
co » ( 104 ).
Ciò significa, più in generale, che nella normativa di tutela del consu-
matore il legislatore ha spostato in favore del consumatore « il punto di

tivamente apprezzata siccome ostacolo alla libertà e alla partecipazione di tutti i consociati. Ne
consegue che gli atti che esprimano essa autorità non potranno godere della tutela della colletti-
vità, non ne saranno diritto: potranno restare soltanto sul piano del diritto dei privati ». Così M.
Esposito, La tutela dei consumatori tra codice civile e Costituzione, in Giur. merito, 2000, 216.
( 102 ) A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, II ed., Cedam, Pado-
va, 1992, 480 ss.
( 103 ) « Superata (e in buona parte per merito della Corte costituzionale) quella tesi del va-
lore direttivo di tutte le disposizioni costituzionali (tesi che ebbe successo appena entrata in vigo-
re della Costituzione), dovrebbe dedursene che anche nel campo dello svolgimento dell’iniziativa
economica, indipendentemente da leggi che diano maggiore precisione o concretizzazione alle
formule adottate dalla Costituzione lì dove essa stabilisce limiti, divieti o binari per lo svolgimento
delle iniziative, i singoli siano tenuti a rispettare i limiti fissati dall’art. 41, secondo comma, Cost.,
i giudici a decidere sul loro rispetto e le autorità esecutive, nei limiti di propria competenza, ad
imporne l’esecuzione anche attraverso l’emissione di atti regolamentari. Questi regolamenti, poi-
ché i limiti e i criteri direttivi ai quali debbono attenersi sono già offerti dalla Costituzione nell’art.
41, secondo comma, abbisognano di trovare nelle leggi solo il proprio fondamento o la propria
attribuzione di competenza, ma non anche le direttive ed i limiti ». Così C. Esposito, I tre commi
dell’art. 41 della Costituzione, in Giur. cost., 1961, p. 33 ss. Diversamente v. A. Pace, Problematica
delle libertà costituzionali. Parte speciale, cit., 484, ma con riferimento alla sola utilità sociale.
( 104 ) M. Esposito, La tutela dei consumatori, cit., 214.
134 ALESSANDRO PACE

equilibrio che l’impresa aveva attirato verso di sé attraverso l’uso combina-


to dell’autonomia contrattuale e delle condizioni generali di contrat-
to » ( 105 ).
Né potrebbe obiettarsi che ciò urterebbe contro la disciplina costitu-
zionale dell’autonomia negoziale. Questa, lungi dal rientrare nell’indistinto
alveo dell’art. 2 Cost. – come pure si è sostenuto –, è infatti specificamente
disciplinata dalla stessa norma costituzionale applicabile alla situazione so-
stanziale di riferimento (nella specie, la libertà d’iniziativa economica priva-
ta e quindi l’art. 41 Cost.) ( 106 ).
Identico fondamento costituzionale, e cioè l’art. 41, comma 2, Cost.,
ha anche il diritto del consumatore ad essere informato sui contenuti del
prodotto e sulle caratteristiche del servizio (non già ovviamente sulle poli-
tiche commerciali dell’impresa e tanto meno sui suoi aspetti organizzativi).
Pur negandosi l’esistenza di un generale diritto del quisque de populo
ad ottenere informazioni da soggetti privati (persone fisiche e giuridiche)
perché esso pregiudicherebbe la generale libertà di manifestazione del pen-
siero spettante a tutti (art. 21 Cost.), sono invece predicabili, nel nostro or-
dinamento costituzionale, specifici diritti ad essere informati. Essi si identi-
ficano con diritti a prestazioni informative, e cioè con pretese desumibili da
specifiche disposizioni costituzionali (ad es. l’art. 32 Cost. e, per l’appunto,
l’art. 41, comma 2, Cost.) dalle quali sia appunto deducibile la possibilità
del legislatore di imporre obblighi di informazione a carico di privati e in
favore di altri privati ( 107 ).
Si deve però sottolineare che il codice del consumo fa talvolta riferi-
mento al consumatore « medio ». Ciò significa che esso non tutela, per de-
finizione, il consumatore sprovveduto (così negli artt. 22 e 24, con riferi-
mento, rispettivamente, alle « omissioni ingannevoli » e alle « pratiche
commerciali aggressive »). Infatti i consumatori « particolarmente vulnera-
bili » vengono presi in riferimento solo nell’ipotesi dell’art. 52, comma 2,
con riferimento ai contratti a distanza. In tal caso il punto di equilibrio con-
trattuale è ancora più spostato verso il consumatore.
Altre volte il codice di consumo prende in considerazione specifiche
categorie di consumatori, come quella dei « consumatori per via elettroni-

( 105 ) V. Zeno Zencovich, voce Consumatore (tutela del), diritto civile, postilla di aggior-
namento, in Enc. giur., vol. VIII, Ist. Enc. it., 2000, 2.
( 106 ) In questo senso v. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, cit.,
469, anche per ulteriori indicazioni di giurisprudenza costituzionale e dottrina.
( 107 ) Sul punto, da ultimo, v. in questo senso A. Pace, Libertà di informare e diritto ad es-
sere informati: due prospettive a confronto nell’interpretazione e nelle prime applicazione dell’art. 7,
primo comma, del t.u. della radiotelevisione, in Dir. pubbl., 2007, 459 ss. nonché in www.associa-
zionedeicostituzionalisti.it.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 135

ca » (art. 68), come quella dei consumatori « di pacchetti turistici » (art. 83)
e come quella dei « consumatori che si trovano in condizioni di rischio nel-
l’utilizzazione del prodotto » (art. 103), con conseguente modifica, razio-
nalmente giustificabile ex art. 3 Cost., della disciplina generale altrimenti
applicabile al « consumatore » puro e semplice.
Una accezione estensiva della nozione di consumatore (art. 3 cod.
cons.) è nell’art. 5, comma 1, del titolo II, concernente le « Informazioni ai
consumatori », secondo il quale « Fatto salvo quanto disposto dall’art. 3,
comma 1, lett. a), ai fini del presente titolo, si intende per consumatore o
utente anche la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni com-
merciali ».

7. – I servizi pubblici
Fin qui si è parlato esclusivamente del settore privato – e quindi del-
l’art. 41 Cost. –, ma l’art. 2, comma 2, cod. cons. riconosce ai consumatori
anche il fondamentale diritto « all’erogazione di servizi pubblici secondo
standard di qualità ed efficienza », il che sposta l’attenzione sull’art. 97
Cost.
A tal riguardo il codice di consumo, all’art. 101, si limita ad un mero
rinvio al legislatore statale e regionale ( 108 ). Con un ulteriore rinvio, lo stes-
so articolo riserva al legislatore di stabilire l’obbligo, da parte di determina-
ti enti erogatori di servizi pubblici, di adottare, attraverso specifici mecca-
nismi di attuazione diversificati in relazione ai settori, apposite carte di ser-
vizi.
Al riguardo mette conto di ricordare che, già prima dell’entrata in vi-
gore del codice di consumo, l’art. 35 della legge finanziaria per il 2002 (l. 28
dicembre 2001, n. 448) – recante un complesso di disposizioni concernenti

( 108 ) L’art. 101 (« Norma di rinvio ») dispone:


« 1. Lo Stato e le regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, garantiscono i diritti degli
utenti dei servizi pubblici attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri della
normativa vigente in materia.
« 2. Il rapporto di utenza deve svolgersi nel rispetto di standard di qualità predeterminati e
adeguatamente resi pubblici.
« 3. Agli utenti è garantita, attraverso forme rappresentative,la partecipazione alle procedure
di definizione e di valutazione degli standard di qualità previsti dalle leggi.
« 4. La legge stabilisce per determinati enti erogatori di servizi pubblici l’obbligo di adottare,
attraverso specifici meccanismi di attuazione diversificati in relazione ai settori, apposite carte di ser-
vizi ».
Che nella specie vi sia un concorso di competenze legislative statali e regionali è stato rite-
nuto dalla Corte costituzionale, prima dell’entrata in vigore del codice del consumo, con la sent.
n. 272 del 2004, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, comma 1, lett. e) del d.l. 30 set-
tembre 2003, n. 269 nonché, per incostituzionalità derivata, di altre disposizioni correlate.
136 ALESSANDRO PACE

sia la proprietà e la gestione delle reti, sia l’erogazione dei servizi – aveva in-
trodotto, sostituendo l’art. 113 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (t.u. ord.
enti locali), il principio generale secondo il quale l’erogazione dei servizi di
rilevanza industriale, ormai completamente liberalizzato, avviene in regime
di concorrenza, attraverso l’affidamento della titolarità del servizio a socie-
tà di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare ad evidenza pub-
blica.
In materia è poi intervenuto l’art. 2 comma 461 della legge finanzia-
ria per il 2008 (l. 24 dicembre 2007, n. 244), che ha ribadito che gli enti
locali, in sede di stipula dei contratti di servizio, devono prevedere l’obbli-
go per il soggetto gestore del servizio pubblico – previe intese con le asso-
ciazioni dei consumatori e imprenditoriali interessate – di emanare una
carta della qualità del servizio nella quale, oltre agli standard di qualità e
di quantità delle prestazioni, devono essere pubblicizzate le modalità per
l’accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclami e per
adire le vie conciliative e giudiziarie, le consultazioni obbligatorie delle as-
sociazioni dei consumatori, la verifica periodica dell’adeguatezza dei para-
metri qualitativi e quantitativi del servizio, la previsione di un sistema di
monitoraggio ecc. ( 109 ).

( 109 ) Art. 2, comma 461, della l. 24 dicembre 2007, n. 244:


« Al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di ga-
rantire la qualità, l’universalità e l’economicità delle relative prestazioni, in sede di stipula dei con-
tratti di servizio gli enti locali sono tenuti ad applicare le seguenti disposizioni:
a) previsione dell’obbligo per il soggetto gestore di emanare una « Carta della qualità dei
servizi », da redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei con-
sumatori e con le associazioni imprenditoriali interessate, recante gli standard di qualità e di
quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le
modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le
vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell’utenza, in forma specifica o me-
diante restituzione totale o parziale del corrispettivo versato, in caso di inottemperanza;
b) consultazione obbligatoria delle associazioni dei consumatori;
c) previsione che sia periodicamente verificata, con la partecipazione delle associazioni dei
consumatori, l’adeguatezza dei parametri quantitativi e qualitativi del servizio erogato fissati nel
contratto di servizio alle esigenze dell’utenza cui il servizio stesso si rivolge, ferma restando la pos-
sibilità per ogni singolo cittadino di presentare osservazioni e proposte in merito;
d) previsione di un sistema di monitoraggio permanente del rispetto dei parametri fissati
nel contratto di servizio e di quanto stabilito nelle Carte della qualità dei servizi, svolto sotto la di-
retta responsabilità dell’ente locale o dell’ambito territoriale ottimale, con la partecipazione delle
associazioni dei consumatori ed aperto alla ricezione di osservazioni e proposte da parte di ogni
singolo cittadino che può rivolgersi, allo scopo, sia all’ente locale, sia ai gestori dei servizi, sia alle
associazioni dei consumatori;
e) istituzione di una sessione annuale di verifica del funzionamento dei servizi tra ente lo-
cale, gestori dei servizi ed associazioni dei consumatori nella quale si dia conto dei reclami, non-
ché delle proposte ed osservazioni pervenute a ciascuno dei soggetti partecipanti da parte dei cit-
tadini;
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 137

Infine l’art. 4 della legge delega 4 marzo 2009, n. 15, sull’ottimizzazio-


ne della produttività del lavoro pubblico e dell’efficienza e trasparenza del-
le amministrazioni pubbliche, ha previsto, alla lett. l), tutta una serie di
principi e di criteri direttivi, al fine di garantire gli interessati in caso di pre-
giudizi loro derivanti dalla violazione di standard qualitativi ed economici o
degli obblighi contenuti nelle carte dei servizi, dall’omesso esercizio di po-
teri di vigilanza, di controllo o sanzionatori, dalla violazione dei termini o
dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali.

8. – Conclusioni
I diritti del consumatore consistono in tecniche di « difesa » nei con-
fronti del contraente più forte, e ciò tanto nel caso che questo sia un profes-
sionista privato che si muove in un’ottica di libertà costituzionalmente ga-
rantita dall’art. 41, commi 1 e 2; quanto nel caso che questo sia un profes-
sionista privato che debba tener conto dei fini sociali previsti dall’art. 41,
comma 3, Cost. (ipotesi del servizio pubblico gestito da un’impresa priva-
ta); quanto infine nel caso che il servizio pubblico sia gestito direttamente
da un ente pubblico, che esercita le sue competenze in forza di disposizioni
di legge e regolamentari in conformità con l’art. 97, comma 2, Cost.
Anche a voler considerare il consumo in funzione della capacità di
spesa – e cioè il consumo che consente all’individuo benestante di « collo-
carsi nel modo migliore possibile all’interno della gerarchia sociale » ( 110 ) –
nessuno infatti parla più oggigiorno di « sovranità del consumatore » ( 111 ).
Gli stessi studiosi che rifiutano le tesi più radicali, secondo le quali il con-
sumatore non sarebbe altro che un burattino manovrato da esperti di
marketing e di pubblicità e che le sue scelte sarebbero sempre condizionate
dalle grandi imprese ( 112 ), sono infatti costretti ad ammettere che le « cono-
scenze e le informazioni disponibili al consumatore medio appaiono insuf-
ficienti a consentirgli una scelta pienamente ragionata » ( 113 ).
Di qui il tipo di situazioni giuridiche soggettive che gli ordinamenti
nazionale e comunitario prefigurano a tutela del consumatore, che si risol-

f) previsione che le attività di cui alle lettere b), c) e d) siano finanziate con un prelievo a
carico dei soggetti gestori del servizio, predeterminato nel contratto di servizio per l’intera durata
del contratto stesso ».
Numerose sono le Carte dei diritti rinvenibili sui vari siti web dei Comuni.
( 110 ) V. G. Ragone, voce Consumi - Sociologia, in Enc. sc. sociali, vol. II, Ist. Enc. it., Roma,
1992, 331, che cita al riguardo J. Baudrillard, La società dei consumi, il Mulino, Bologna, 1976.
( 111 ) G. Katona, voce Consumi, cit., 961.
( 112 ) G. Katona, voce Consumi, cit., 971; G. Alpa, voce Consumatore, tutela del –, in Enc.
sc. sociali, vol. II, cit., 307.
( 113 ) G. Katona, voce Consumi, cit., 971.
138 ALESSANDRO PACE

vono esclusivamente in « pretese » o in « diritti potestativi ». Alle prime


corrispondono « obblighi » modali del professionista (nella specie: obbli-
ghi di prestazione); ai secondi corrisponde invece una « situazione di sog-
gezione » del medesimo (come nel caso delle ipotesi di recesso) ( 114 ).
Quanto alle prestazioni positive del professionista a fronte di possibili
legittime pretese del consumatore, esse consistono in obblighi di informa-
zione nei confronti del medesimo consumatore ( 115 ). Per il resto la pretesa
del consumatore può avere ad oggetto, come già accennato, soltanto obbli-
ghi modali di comportamento del professionista ( 116 ).
Il discorso non cambia per quanto attiene al rapporto intercorrente
tra l’utente e il gestore del servizio pubblico. Tranne che per il fatto che il
gestore del pubblico servizio non si muove in un’ottica di libertà ma eserci-
ta un munus pubblico – come tale caratterizzato da doverosità nell’eserci-
zio e dal perseguimento di fini di interesse pubblico – la consistenza delle
situazioni soggettive dell’utente di servizi pubblici non si differenzia infatti
da quelle che il consumatore vanta nei confronti del professionista privato.
In conclusione poiché i diritti del consumatore non presentano carat-
teristiche di novità rispetto alle categorie giuridiche presenti in Costituzio-
ne, né la locuzione « consumatore » sembra potersi sovrapporre alle locu-
zioni « cittadino » e « lavoratore » a cui allude il secondo comma dell’art. 3
Cost., la prospettazione di una nuova generazione di diritti con specifico ri-
ferimento ai consumatori non sembra presentare alcuna utilità sistematica
o classificatoria.
Un tentativo del genere potrebbe però avere un’utilità meramente
pratica – e non spetterebbe certo al giurista di caldeggiarne l’introduzione
– qualora si ritenesse, dagli esperti di comunicazione, che il far assurgere i
diritti del consumatore alla dignità di una nuova generazione dei diritti, alla
pari dei diritti di libertà del 1789, dei diritti sociali del 1848 e dei diritti alla
tutela dell’ambiente e alla protezione della qualità della vita (e cioè dei di-
ritti di terza generazione di cui si è detto al n. 2), possa comunque servire –
soprattutto se adeguatamente pubblicizzata sui mass media – a far acquisire
ai consumatori la consapevolezza dell’importanza del concreto esercizio
dei loro diritti.
Ma, a tal riguardo, il giurista potrebbe solo osservare l’evidente spro-
porzione d’importanza tra questa e le prime tre generazioni di diritti.

( 114 ) V. ad es. gli artt. 47 ss., 54 ss., 73 ss.


( 115 ) V. ad es. gli artt. 6 ss., 13 ss.
( 116 ) V. ad es. gli artt. 6 ss., 13 ss., 19 ss., 33 s., 51 ss., 74, 86 ss.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 139

ABSTRACT

Dopo aver individuato la differenza sia strutturale che funzionale dei diritti
di prima e di seconda generazione (rispettivamente, i diritti di libertà e i diritti so-
ciali) e le caratteristiche dei diritti di terza generazione, di matrice internazionali-
stica, l’a. evidenzia il fondamento comunitario dei diritti del consumatore e ne ana-
lizza la struttura, essenzialmente di «difesa» nei confronti del «professionista», e
conclude nel senso che i diritti del consumatore non presentano caratteristiche di
novità rispetto alle categorie giuridiche presenti in Costituzione, né la locuzione
«consumatore» sembra potersi sovrapporre alle locuzioni «cittadino» e «lavorato-
re» a cui allude il secondo comma dell’art. 3 Cost.
Pertanto, a suo modo di vedere, la prospettazione di una nuova generazione
di diritti con specifico riferimento ai consumatori non sembra presentare alcuna
utilità sistematica o classificatoria.
Un tentativo del genere potrebbe però avere un’utilità meramente pratica – e
non spetterebbe certo al giurista di caldeggiarne l’introduzione – qualora si ritenes-
se, dagli esperti di comunicazione, che il far assurgere i diritti del consumatore alla
dignità di una nuova generazione dei diritti, alla pari dei diritti di libertà del 1789,
dei diritti sociali del 1848 e dei diritti alla tutela dell’ambiente e alla protezione del-
la qualità della vita (e cioè dei diritti di terza generazione di cui si parla nel § n. 2
del saggio), possa comunque servire – soprattutto se adeguatamente pubblicizzata
sui mass media – a far acquisire ai consumatori una maggior consapevolezza del-
l’importanza del concreto esercizio dei loro diritti.
Attualità

ELEONORA RINALDI

LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERII ( * )

Sommario: 1. Spunti per una riflessione. – 2. Il principio di segretezza nella Costituzione


repubblicana. – 2.1. La nozione sostanziale di segreto alla luce della legislazione incri-
minatrice dei reati di rivelazione. – 3. Segreto di Stato e giurisprudenza costituzionale.
– 4. (Segue) Segreto di Stato e giurisprudenza costituzionale. La “sentenza-guida” n.
86/1977. – 5. L’ambigua attuazione dei principi sanciti dalla sentenza n. 86/1977 nella
perimetrazione sostanziale del segreto di Stato operata dalla prima legge in materia (l.
n. 801/1977). – 6. La l. n. 801/1977 e la disciplina dei controlli sull’esercizio della fun-
zione di segretazione. – 7. La perimetrazione sostanziale del segreto di Stato nella l. n.
124/2007. – 8. L’opposizione processuale del segreto. – 9. (Segue) ... e la disciplina dei
controlli. – 10. Il controllo sui limiti materiali della segretazione. – 11. Qualche rifles-
sione conclusiva su Corte costituzionale ed arcana imperii.

1. – Spunti per una riflessione

Questo scritto prende spunto da una recente e già ampiamente com-


mentata pronuncia della Corte costituzionale in materia di segreto di Stato
(sentenza n. 106/2009) ( 1 ).
La sentenza, lo ricordiamo, decide sei conflitti di attribuzione tra po-
tere Esecutivo e potere Giudiziario, insorti a partire dal processo penale re-
lativo al sequestro di persona attuato in danno dell’imam della moschea di
Milano (meglio noto come Abu Omar) ( 2 ) che nell’ipotesi oggetto di accer-

(*) Questo scritto è una versione rielaborata ed approfondita del mio contributo alla Rac-
colta di scritti in onore di Alessandro Pace, intitolato « La Corte costituzionale e gli arcana imperii.
Spunti per una riflessione ».
( 1 ) La decisione dei conflitti di attribuzione insorti tra potere esecutivo ed autorità giudi-
ziaria relativamente all’ambito di operatività del segreto di Stato (come limite alla prova penale)
ha già costituito in passato l’occasione di approfondite indagini sui limiti sostanziali di applicazio-
ne dell’istituto, cfr. il fondamentale saggio di A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, Giur.
cost., 1976, 1759, nonché G. Musio, Il segreto politico-militare di fronte alla Corte costituzionale,
in Giur. cost., 1976, 588 ss., entrambi a partire dalla sentenza n. 82/1976. In nota alla sentenza del-
la Corte costituzionale, n. 106/2009, cfr. invece F. Ramacci, Segreto di Stato, salus rei publicae e
« sbarramento » ai p.m., Giur. cost., 2009, 1015 ss.; A. Anzon, Il segreto di Stato ancora volta tra
Presidente del Consiglio, autorità giudiziaria e Corte costituzionale, ivi, 1021 ss.; V. Fanchiotti, Il
gusto (amaro) del segreto, ivi, 1033 ss.
( 2 ) Per tale processo sono rinviati a giudizio trentacinque imputati, tra cui numerosi diri-
142 ELEONORA RINALDI

tamento giurisdizionale, sarebbe stato prelevato a Milano da agenti della


CIA (variamente coadiuvati da cittadini italiani appartenenti al Sismi od al-
l’Arma dei Carabinieri), e portato fuori dai confini nazionali per esservi in-
terrogato con strumenti di tortura onde verificarne l’appartenenza a gruppi
terroristici.
A fondamento dei ricorsi della Presidenza del Consiglio, l’ipotizzata
invasione della sfera di attribuzioni che la Procura della Repubblica di Mi-
lano (seguita dal GIP-GUP, nonché dal giudice monocratico del dibatti-
mento) avrebbe operato con l’utilizzazione di documenti coperti da segreto
di Stato – prima a fini di indagine, poi come elementi posti a fondamento
della richiesta di rinvio a giudizio (documenti classificati nel verbale del se-
questro avvenuto all’esito della perquisizione di locali del Sismi siti in via
Poma: il c.d. reperto D-19): si sottopone così alla Corte costituzionale la
questione dell’opponibilità del segreto di Stato su date informazioni suc-
cessivamente alla loro apprensione ed utilizzazione processuale ( 3 ).
La questione involge, a ben vedere, la ricostruzione della nozione di
segreto di Stato operante nel nostro ordinamento: ammettere che l’opposi-
zione del segreto non rispettosa della sequenza procedimentale legislativa-
mente indicata possa precludere, con effetto retroattivo, l’utilizzazione, ai
fini del rinvio a giudizio e nel dibattimento, di fonti di prova già acquisite in
fase di indagini preliminari, significa, infatti, escludere l’esistenza di limiti
procedimentali relativamente all’esercizio della funzione di segretazione,
ed accogliere implicitamente, una nozione ontologica di segreto che, sulla
base di tali premesse, diviene intrinsecamente inerente ad una notizia, fatto
o documento, sì da poter essere soltanto accertata ( 4 ).
Né la sentenza chiarisce la questione della legittimità dell’opposizione
del segreto di Stato nell’ambito di un procedimento penale finalizzato ad
accertare un reato asseritamente eversivo dell’ordine costituzionale (il rapi-
mento dell’imam finalizzato alla sottoposizione a tortura).
La sottile distinzione tra fatto-reato (non segretato) e fonti di prova
del medesimo (legittimamente segretate), unita alla sovrapposizione tra
ambito di applicabilità della disciplina sostanziale (legittima apposizione)
ed ambito di applicabilità della disciplina processuale (legittima opposizio-

genti e funzionari del Sismi (ora sostituito dall’AISE), alcuni appartenenti all’Arma dei Carabinie-
ri e svariati funzionari della CIA, cittadini americani, operanti in Italia, cfr. V. Fanchiotti, op.
ult. cit., 1033.
( 3 ) « Una volta risolto positivamente il primo quesito occorreva poi accertare in quale rap-
porto si ponesse l’obbligo di rispetto del segreto con le scansioni del procedimento penale, anche
a tutela dell’integrità del contraddittorio », così G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, in www.as-
sociazionedeicostituzionalisti.it, 3, nota 2.
( 4 ) Così A. Anzon, op. ult. cit., 1023.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 143

ne) consente, infatti, di eludere la questione della delimitazione delle mate-


rie segretabili.
La rinuncia del giudice costituzionale a sindacare l’osservanza dei li-
miti funzionali della segretazione ( 5 ) – e, attraverso la sovrapposizione tra
ambito di applicabilità dell’eccezione prevista dall’art. 204 c.p.p. e discipli-
na sostanziale – degli stessi limiti materiali (costituiti dai « fatti eversivi del-
l’ordine costituzionale ») ( 6 ) determina, dunque, la perdita di una preziosa
occasione di puntualizzazione dei limiti di ammissibilità nel nostro ordina-
mento della risalente (ed oggi “rispolverata”) nozione di arcana imperii ( 7 ),
ed ingenera più di un’amara riflessione sull’effettiva tenuta, in questo am-
bito, di un equilibrato rapporto tra gli organi costituzionali, oltre che sullo
stato di salute della nostra democrazia (che di tale rapporto si alimenta).

2. – Il principio di segretezza nella Costituzione repubblicana

La disciplina del segreto di Stato nel nostro ordinamento rimane per


anni, anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, quella dettata della
legislazione prerepubblicana, per molti aspetti contrastante con i principi
del rinnovato assetto costituzionale che, largamente ispirato dal metodo
democratico, garantisce la partecipazione del popolo all’esercizio del pote-
re anche attraverso il controllo sull’attività pubblica ( 8 ).
Rispetto a tali principii, è ovvio, le norme legislative (preesistenti) a tu-

( 5 ) A partire dalla distinzione tra tutela degli interessi supremi dello Stato e tutela degli in-
teressi « del Governo e dei partiti che lo sorreggono », sulla base della mai smentita distinzione
elaborata dalla sentenza n. 86/1977, su cui più avanti infra.
( 6 ) Si legge infatti nella sentenza n. 106/2009 che il fatto-reato costituito dal rapimento del-
l’imam di Milano (da cui, è noto, origina la vicenda) non è segretato, sì che, ogni riflessione sul ca-
rattere eversivo o non del sequestro contestato nel processo penale appare a ben vedere superflua.
( 7 ) La nozione, risalente al diritto romano risulta elaborata, nei suoi aspetti essenziali, già in
età regia, cfr. AA.VV., I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 461-462, quando
è definita come secreta imperii od arcana imperii (questo inteso come potere politico supremo) per
essere affiancata in età repubblicana dalla dizione di secreta ad rem publicam pertinentia.
( 8 ) L’assunto risulta confermato a contrario dal carattere elitario del segreto, in genere as-
sociato, in veste di soggetti attivi, ad un’èlite di ceppi etnici, o di gentes, o di autorità uniche o col-
legiali, od ancora di “corpi separati”, appannaggio necessario a non farsi includere nel volgo. Né
è discutibile il nesso tra il verbo divulgare, ricorrente nel lessico del « disvelamento di segreti e di
pubblicazione di documenti », ed il termine latino vulgus notoriamente contrapposto ai civitatis
principes, cfr. R. Orestano, Sulla problematica del segreto nel mondo romano, in AA.VV., Il se-
greto nella realtà giuridica italiana, Padova, 1983, 109. La vicenda è emblematica e conferma gli
elementi strutturali tuttora ascrivibili a tanti segreti: « il potere come instrumentum regni, addirit-
tura dotato di componenti mistiche, la custodia, la corruzione, la punizione. Il secernere sacra pro-
fanis ben prima dell’operazione concettuale volta a distinguere la sfera del divino da quella del-
l’umano, indica il materiale allontanamento dei profani, in molti culti, dal luogo in cui si compio-
no certi riti, definiti per antonomasia arcana o mysteria, cfr. Idem, op. ult. cit., 99-107.
144 ELEONORA RINALDI

tela di un’ampia sfera di segreti pubblici (oltre che del segreto di Stato) co-
stituiscono una vistosa deroga.
Esclusane l’automatica abrogazione in seguito all’entrata in vigore
della Carta repubblicana ( 9 ), la verifica sulla legittimità costituzionale della
disciplina prerepubblicana avviene, tuttavia, in modo graduale e secondo
diverse modalità, in relazione alle diverse ipotesi.
La Costituzione repubblicana non ignora del resto completamente il
principio di segretezza ed anzi espressamente prevede, all’art. 64, comma 2,
Cost., il possibile svolgimento di sedute “segrete” delle due Camere ( 10 ).
La circostanza che mai tale principio sia espressamente menzionato
con riguardo allo svolgimento della funzione amministrativa e giurisdizio-
nale e che invece espressamente lo sia con riguardo all’attività politica delle
Camere costituisce una “stranezza” solo apparente rispetto al principio di
pubblicità dei lavori parlamentari ed un solo apparente paradosso rispetto
all’attività degli organi immediatamente rappresentativi della volontà po-
polare.
La previsione citata può, infatti, essere letta come strumentale a ga-
rantire – attraverso lo svolgimento eventuale di sedute segrete, relative a
dibattiti, indagini conoscitive, udienze, etc. – la partecipazione delle Ca-
mere a decisioni in passato riservate al solo Governo proprio a causa
dell’impossibilità di derogare al principio di pubblicità dei lavori parla-
mentari ( 11 ).
Essa potrà essere utilizzata, pertanto, anche a sostegno del deferimen-
to all’asse Governo/Parlamento del compito di determinare ed attuare l’in-
dirizzo politico in materia di sicurezza interna ed internazionale.
L’esigenza di contemperare l’efficacia del controllo parlamentare sulla
politica governativa con l’ineliminabile necessità di riservatezza in tale cam-
po, è infatti soddisfatta grazie alla previsione dell’art. 64, comma 2, Cost.,
attuata dagli artt. 63, comma 3, Reg. Camera (« Su richiesta del Governo o
di un presidente di gruppo o di 10 deputati l’Assemblea può deliberare di
riunirsi in seduta segreta ») e 57 Reg. Senato (« Le sedute dell’Assemblea
sono pubbliche. Tuttavia, su domanda del Governo o di un decimo dei
componenti del Senato, l’Assemblea può deliberare senza discussione di

( 9 ) Cfr., in via generale, Corte costituzionale sent. n. 1/1956 ed il Dibattito sulla competen-
za della Corte costituzionale in ordine alle norme anteriori alla Costituzione, in Giur. cost., 1956,
261 ss.
( 10 ) « Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Ca-
mere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta ».
( 11 ) In nessun caso, le sedute segrete potranno infatti riguardare il procedimento di ado-
zione di deliberazioni formali od atti legislativi, la cui condizione di efficacia è costituita dalla
pubblicazione dell’atto in Gazzetta Ufficiale, cfr. A. Manzella, Le Camere, art. 64, in Commen-
tario della Costituzione, Bologna-Roma, 1983, 43 ss.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 145

adunarsi in seduta segreta »). All’attività dell’Assemblea, riunitasi, ove oc-


corra, in seduta segreta, si affiancherà poi, l’azione delle commissioni par-
lamentari ( 12 ) non vincolate (a differenza del plenum) al principio della se-
duta pubblica (le deroghe nell’interesse dello Stato riguarderanno semmai
« il principio di pubblicità dei lavori ») ( 13 ).

2.1. – La nozione sostanziale di segreto alla luce della legislazione incrimina-


trice dei reati di rivelazione

La menzione del principio di segretezza con riguardo all’attività delle


Camere non risolve, evidentemente, i dubbi circa la compatibilità della di-
sciplina legislativa sulla rivelazione dei segreti concernenti l’attività del-
l’Esecutivo con i principi costituzionali. Le norme penali previgenti, infatti,
da una parte, sanzionano in via generale la violazione dell’obbligo di segre-
to d’ufficio incombente (vigente lo Statuto) – anche in assenza di norme
che espressamente lo prevedano – su tutti coloro che, a qualsiasi titolo, sia-
no posti a servizio dell’Amministrazione, dall’altra delineano ipotesi di rea-
to specifiche con riguardo alla rivelazione di segreti pubblici, qualificati ora
come segreti di Stato in senso stretto, ora come « notizie di cui l’Autorità
competente ha vietato la divulgazione ».
Ed è “parallelamente” limitata, nel coevo codice di rito, l’attività d’in-
dagine del giudice penale che, in fase di accertamento di qualsivoglia noti-
zia di reato, possa variamente “intaccare” l’aura di riservatezza con la quale
gli organi politici e militari dello Stato abbiano deciso di coprire certi “af-
fari”.
Tanto le norme del codice penale disciplinanti i reati in danno dello
Stato o della pubblica amministrazione (artt. 261, 262, 263, 325 e 326
c.p.) ( 14 ), quanto le norme che di queste costituiscono il “riflesso proces-

( 12 ) Laddove le commissioni operino in regime di segreto, è vietata, inoltre, la partecipa-


zione alle sedute di parlamentari estranei: tale divieto, assoluto con riguardo ai senatori, è invece
derogabile (previa autorizzazione del presidente della commissione interessata) con riguardo ai
deputati. A tali previsioni si affianca l’art. 31, comma 3, Reg. Senato che impone, nei casi sopra
indicati, un vincolo personale di segreto per i componenti della commissione, regola da ritenersi
implicitamente operante anche con riguardo ai componenti l’Assemblea in seduta segreta, così A.
Manzella, op. ult. loc. cit.
( 13 ) È la maggioranza della commissione a decidere la non menzione, nel resoconto rias-
suntivo e nel resoconto stenografico dei lavori che si ritiene debbano rimanere segreti (art. 63,
comma 3, Reg. Camera ed art. 33, comma 2, Reg. Senato), cfr. A. Manzella, Le Camere, cit. 43.
Nessuna deroga è, invece, prevista per la documentazione dei lavori, con riguardo ai quali deve
constare in ogni caso la redazione del processo verbale, venendo meno la normale ostensibilità a
terzi.
( 14 ) Tali norme “subiscono” interventi della Corte costituzionale tesi a fornire delle stesse
146 ELEONORA RINALDI

suale” giungono, invero, all’attenzione della Corte costituzionale che, nel


reinterpretare le norme sui pubblici segreti alla luce del principio di ogget-
tività/controllabilità della loro azione, afferma l’incostituzionalità dell’in-
controllabile discrezionalità dell’Amministrazione, ove questa decida di
non comunicare all’autorità giudiziaria gli atti e le relazioni (contenenti ac-
certamenti di fatti o accertamenti materiali attraverso cui controllare l’azio-
ne pubblica) ( 15 ) relativi ad un’inchiesta svolta.
Il leading case (sent. n. 53/1966) origina dalle censure promosse avver-
so le norme sul c.d. segreto ferroviario ( 16 ) ed è di fondamentale importanza
perché indicativo dei “termini” fondamentali del bilanciamento in materia
di “segreti pubblici”: con specifico riguardo all’attività della P.A., la “rilet-
tura” conforme a Costituzione dei divieti di rivelazione gravanti sui soggetti
che di certe informazioni vengano a conoscenza in ragione delle proprie
funzioni (divieto sanzionato in via generale dall’art. 326 c.p. repressivo del-

una rilettura conforme a Costituzione, specie in relazione ai principii di legalità ed adeguatezza


della sanzione penale, cfr., ex plurimis, Corte cost. sentt. nn. 18/1966 e 18/1981. E, per esempio,
si chiarisce, in entrambe le sentenze citate, che il divieto alla divulgazione di determinate notizie,
discrezionalmente disposto dalla P.A., è finalizzato a tutelare il perseguimento di finalità pubbli-
che inidonee ad alterare l’assetto delle attribuzioni spettanti ai poteri dello Stato: al di fuori della
dialettica tra gli organi costituzionali dello Stato-persona, l’acquisizione di notizie segrete da parte
di un privato ben può essere sottoposta a restrizioni maggiori, includendo notizie che, non atti-
nenti alla sicurezza nazionale, ma relative ad interessi comunque rilevanti, possono, se rivelate,
determinare l’irrogazione di una sanzione penale (meno grave rispetto a quella prevista dall’arti-
colo 261 c.p. con riguardo alla rivelazione di segreto di Stato). Sul punto, cfr. P. Pisa, Segreto di
Stato e libertà di stampa. Che cosa insegna il « caso Panorama », Pol. dir., 1988, 515 ss., e ampia-
mente L. Fioravanti, Profili penali dei pubblici segreti, Padova, 1991.
( 15 ) Nel 1966 è così dichiarata l’illegittimità, del “segreto ferroviario” e l’art. 4, l. 25 giugno
1909, n. 472 (secondo il quale « salvo il disposto dell’art. 361 c.p. 1930 le amministrazioni ferro-
viarie di Stato o concesse a privati non sono tenute a comunicare all’autorità giudiziaria gli atti e le
relazioni delle inchieste che esse effettuano in ogni caso di sinistro che abbia recato danno alle
persone o alle cose ») è annullato in ragione dell’inammissibilità degli ostacoli opposti all’indagi-
ne del giudice nel valutare la fondatezza del segreto (richiamandosi, a sostegno delle argomenta-
zioni contenute in sentenza, che perfino il più “delicato” segreto militare « ... per l’ordinamento
generale non è protetto dall’incontrollata e incontrollabile discrezionalità dell’amministrazione
competente, ma subisce un sindacato giurisdizionale »). Il principio è poi recepito dal Tribunale
supr. mil. sent. 17 marzo 1971, in Riv. dir. proc., 1974, 167, con nota di M.T. Sturla, Segreto po-
litico-militare e sindacato giurisdizionale. Sulla vicenda cfr. anche G. Musio, Il segreto politico-mi-
litare di fronte alla Corte costituzionale, Giur. cost., 1976, 598-599.
( 16 ) Cfr. ancora Corte costituzionale sent. n. 53/1966, sugli artt. 4 ed 11 della l. n. 372/
1909 e sull’art. 173 del T.U. delle leggi per le ferrovie concesse all’industria privata, approvato
con R.D. 9 maggio 1912, n. 1447, tesi a stabilire che, « salvo il disposto dell’art. 180 del codice pe-
nale abrogato (art. 361 del codice penale vigente) le amministrazioni ferroviarie di Stato o conces-
se a privati non sono tenute a comunicare all’autorità giudiziaria gli atti e le relazioni delle inchie-
ste che esse effettuano in ogni caso di sinistro che abbia recato danno alle persone o alle cose »
(alla sentenza citata adde Corte cost. sent. n. 114/1968, sull’art. 349 ult. parte c.p.p.; e sentenza n.
18/1966, relativa all’art. 684 c.p., unitamente all’art. 164, n. 1, c.p.p.; nonché sent. n. 18/1981 sul-
la stessa questione).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 147

la violazione del segreto d’ufficio) ( 17 ) è, infatti, imposta, immediatamente


dai principii costituzionali di buon andamento ed imparzialità della funzio-
ne amministrativa (art. 97 Cost.) che, superando una concezione dell’atto
amministrativo come diretto a tutelare l’interesse soggettivo di un’Ammini-
strazione radicalmente “separata” dalla collettività ( 18 ), precludono un re-
gime di segretezza espressivo della generale inconoscibilità degli atti della
Pubblica Amministrazione.
La ponderazione dei canoni suddetti con il generale dovere di fedeltà
alla Repubblica imposto dall’art. 54 Cost. a tutti i cittadini chiamati ad eser-
citare pubbliche funzioni, consente pertanto di soddisfare – almeno per ciò
che riguarda la disciplina del segreto ferroviario – le istanze di democratiz-
zazione di un’Amministrazione diretta espressione del corpo sociale ( 19 ),
associando la segretezza alla qualità delle informazioni segretate piuttosto
che alla qualità dei soggetti agenti (pubblici funzionari) ( 20 ).

( 17 ) Punto di riferimento “obbligato” per l’individuazione della figura del segreto d’ufficio
è, all’epoca della sentenza, l’art. 15 del t.u. degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3) secondo il quale « l’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio e non può dare a chi
non ne abbia diritto, anche se non si tratti di atti segreti, informazioni o comunicazioni relative a
provvedimenti od operazioni amministrative di qualsiasi natura ed a notizie delle quali sia venuto
a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per l’amministrazione o per i
terzi nell’ambito delle proprie attribuzioni; l’impiegato preposto ad un ufficio rilascia, a chi ne ab-
bia interesse, copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dalle leggi, dai re-
golamenti e dal capo servizio ». La formulazione piuttosto oscura del riportato articolo determi-
nerà il riconoscimento di un ampio raggio di operatività della nozione di segreto d’ufficio, non ri-
dimensionato neppure dall’interpretazione della norma che ne reprime la violazione (art. 326
c.p.), cfr. G. Arena, Il segreto amministrativo, Padova, 1983-84, II, 218 ss.
( 18 ) L’idea di un’Amministrazione immediatamente collegata alla collettività determina,
all’opposto, « la proiezione funzionale del bene comune nella forma pubblica della procedura »,
cfr., G. Arena, op. ult. loc. cit.
( 19 ) Nel senso di associare agli artt. 1 e 49 Cost., ed all’art. 3, comma 2, Cost., il principio di
conoscibilità dell’azione amministrativa da parte di tutti i consociati, già G. Barone, L’intervento
del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1969; A. Cerri, Imparzialità e indirizzo po-
litico nella pubblica amministrazione, Padova, 1973; P. Barile, Democrazia e segreti, Quad. cost.,
1987, 424 ss. Sulla conoscibilità dell’azione amministrativa, inoltre, A.M. Sandulli, Repubblica e
legalità, in Nord e Sud, 1966, n. 74, 11: « In uno Stato veramente democratico – in uno Stato, cioè,
nel quale governanti e governati veramente si identifichino – la pubblica amministrazione deve
essere una casa di vetro, nella quale tutti debbono poter guardare, poiché chi opera in essa lo fa a
spese di tutti, per conto di tutti e nell’interesse di tutti: onde deve operare (e la Costituzione lo
dice espressamente) in modo efficiente ed imparziale ». La continua vigilanza sull’operato del-
l’amministrazione, garanzia della trasparenza dell’azione amministrativa è infatti strumentale a fa-
re in modo che i pubblici funzionari non prendano in considerazione interessi “di parte”, non ga-
rantiti dalla legge, così da ledere il canone costituzionale dell’imparzialità (così già C. Esposito,
Riforma dell’amministrazione e diritti costituzionali dei cittadini, La Costituzione italiana. Saggi,
Padova 1954, 257 ss.).
( 20 ) Nella disciplina preesistente alla Costituzione, la rivelazione del segreto d’ufficio è in-
fatti considerata penalmente illecita di per sé, anche ove non produca nocumento all’Amministra-
148 ELEONORA RINALDI

La generale presunzione di riservatezza delle funzioni pubbliche è così


ridimensionata ( 21 ), sia con riguardo ai casi in cui essa opera come limite al-
l’esercizio della funzione giurisdizionale (spettando al giudice accertare se pos-
sa compiersi, « con riguardo alle circostanze » – senza grave danno per la par-
te o per il terzo – l’esibizione processuale di cose che sono nel possesso del-
l’una o dell’altro), sia laddove operante come limite alla conoscibilità di atti
o fatti per i privati cittadini (che chiedano di avere accesso ai medesimi) e la
sottoposizione a sindacato giurisdizionale (di legittimità) della discreziona-
lità amministrativa volta a tutelare dati interessi ( 22 ) concorre a delineare una
nozione non arbitraria di segreto pubblico ( 23 ).

zione od a terzi (mentre il verificarsi del danno è ritenuto presupposto per l’applicazione di san-
zioni più gravi) ed è associata al generico dovere di fedeltà dei funzionari all’ordinamento speciale
“pubblica amministrazione”, oltre che alla necessità di astenersi dalla rivelazione di notizie che
possa, secondo autonome valutazioni degli stessi funzionari, recare nocumento agli interessi di
quest’ultima. Addirittura, l’indeterminatezza della nozione induce alcuni autori – Riccio S., Abu-
so d’ufficio, in Noviss. dig. it., I, 1, Torino, 1957, 116 – e la prevalente giurisprudenza, a giustifi-
carne l’obbligo, tanto se previsto da norme legislative e/o regolamentari, quanto se scaturente da
istruzioni di servizio o prassi amministrative e, addirittura, laddove manchino anche queste ulti-
me, in virtù del generale disposto dell’art. 5 del d.P.R. n. 3/1957, sullo statuto degli impiegati ci-
vili dello Stato, cfr. M. Raveraira, Segreto nel diritto costituzionale, Dig. disc. pubbl., Torino,
1999, 29. I documenti amministrativi divengono pertanto consultabili solo dopo essere stati ver-
sati negli archivi di Stato, 40 anni dopo l’esaurimento degli affari cui si riferiscono, cfr. A.M. San-
dulli, Documento, Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 615. Invero, la tesi suddetta, esprimente l’incon-
dizionata prevalenza di un’idea di potestà pubblica fondata esclusivamente sull’autorità persona-
le di chi detiene il potere, piuttosto che sul valore che a questa riconosce un ordinamento, già an-
teriormente all’entrata in vigore della legislazione degli anni Novanta sul diritto di accesso agli atti
amministrativi era apparsa ad alcuni autori eccessiva, cfr. A.Anzon, Segreto di Stato e Costituzio-
ne, Giur. cost., 1976, 1761 e, nel senso di ancorare la pretesa del singolo di conoscere le informa-
zioni che lo riguardano, ove detenute da uffici pubblici, al diritto alla privacy come diritto all’in-
tangibilità della vita privata, cfr. almeno S. Rodotà, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bo-
logna, 1973, 71 ss.; Id., Progresso tecnico e problemi istituzionali nella gestione delle informazioni,
AA.VV., Privacy e banche dati, Bologna, 1981, 30 ss.; M. Patrono, Privacy e vita privata (dir.
pen.), Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, 560 ss.
( 21 ) Al fine di proteggere determinati interessi costituzionali, essa dovrà pertanto rivelarsi in-
dispensabile a realizzare le finalità dell’azione pubblica nel caso di specie, cfr. A. Cerri, Imparzia-
lità e indirizzo politico, cit., 216 ss.; C. Chiola, L’informazione nella Costituzione, Padova, 1973, 105
ss.; A. Loiodice, Contributo allo studio sulla libertà di informazione, Napoli, 1969, 278 ss.; P. Co-
stanzo, Informazione (principi costituzionali della), Dig. disc. pubbl., VIII, Torino, 1992 e, riassun-
tivamente, A. Anzon, Segreto, VI, Segreto d’ufficio. Dir. amm., Enc. giur., Roma, 1996, 1 ss.
( 22 ) Sulla regola della discrezionalità amministrativa nel concedere conoscenza, copia o at-
testazione di documenti per i quali non esiste un dovere in tale senso, cfr. A.M. Sandulli, Docu-
mento, (dir. amm.), Enc. dir., XIII, Milano 1964, 619. Alla sentenza sul “segreto ferroviario”, oc-
corre aggiungere anche le sentenze nn. 18/1966 e 18/1981. Anche queste, nel quadro di una tra-
dizione complessivamente ispirata alla non pubblicità dei documenti in possesso dei pubblici uf-
fici, chiariscono infatti l’esigenza di controllabilità giudiziale del potere teso ad accordare/negare
la conoscibilità di tali documenti.
( 23 ) L’orientamento della giurisprudenza penale sul punto è, invero, oscillante (cfr. A. An-
zon, Segreto, cit., 1777-1781). A volte prevale infatti l’orientamento per cui, tanto i provvedimen-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 149

La “scrittura” delle regole di gestione del segreto, applicate caso per


caso dalla P.A. ( 24 ) avviene, tuttavia, solo a distanza di anni dalla pronuncia
in discorso, in seguito all’approvazione della « Disciplina generale del pro-
cedimento amministrativo » (l. n. 241/1990), che il bilanciamento tra tra-
sparenza ed altre finalità costituzionalmente rilevanti “meritevoli di segre-
tezza” realizza in via generale ed astratta negli artt. da 24 a 28, che espres-
samente connettono la disciplina sul segreto d’ufficio al diritto di accesso
agli atti amministrativi ( 25 ).
Sancita la regola generale del diritto di accesso agli atti amministrativi
in capo ai soggetti che dimostrino di avervi interesse ( 26 ), sono esclusi per-

ti amministrativi impositivi di classificazione di segretezza quanto i provvedimenti impositivi del


divieto di divulgazione in quanto integrativi di norme penali “in bianco”, devono essere sottopo-
sti al controllo di legittimità del giudice penale, cfr. Trib. Roma, Uff. istr. X-y, in Giust. pen.,
1971, II, 223. La verifica circa l’inerenza delle notizie segretate all’interesse della sicurezza o di al-
tro interesse politico dello Stato è inoltre ricondotta, dalla sentenza in discorso, al profilo della
violazione di legge, perché la non inerenza è ritenuta prova di un’attività che eccede dalla compe-
tenza affidata alla P.A. Alla pronuncia menzionata si affiancano poi sentenze in cui il giudice pe-
nale (cfr. Corte Assise di Roma, dec. 11 giugno 1975, Ghiotto/Il Mondo) arresta il proprio con-
trollo all’esistenza del divieto di divulgazione. Più di recente, ancora vigente la l. n. 801/1977, la
Corte di Cassazione (con riguardo alle notizie riservate), si è espressa nel senso di ritenere che il
divieto di divulgazione possa comportare la sanzione penale solo se riferito agli stessi interessi co-
perti dalla l. n. 801/1977 e solo ove corrispondente ad un concreto pericolo di lesione di tali inte-
ressi. I giudici si sono così dichiarati competenti a valutare la legittimità sostanziale degli atti “se-
greganti” in relazione a tali aspetti, cfr. Cass., Sez. I, 29 gennaio 2002, n. 3348, in Cass. pen., 2002,
2694 ss.; sul punto, cfr. M. Manetti, in A. Pace-M. Manetti, Art. 21. La libertà di manifestazio-
ne del proprio pensiero, in Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 2006, 194.
( 24 ) « Senonché la gestione del segreto nella prassi burocratica sembrava particolarmente
flessibile, dando luogo ad una maggiore apertura dell’amministrazione verso l’esterno; tuttavia ta-
le tendenza, in presenza del contesto normativo non riformato (n.d.A) determinava un’accentua-
zione dell’arbitrarietà e della parzialità dell’attività amministrativa, poiché la scelta delle informa-
zioni da rendere pubbliche e, soprattutto, dei soggetti da ammettere alla conoscenza era svinco-
lata da qualsiasi parametro ed era perciò rimessa alla volontà della stessa amministrazione », cfr.
G. Pitruzzella, Segreto, I) Profili costituzionali, Enc. giur., Roma, 1992, 6; cui adde G. Arena, Il
segreto amministrativo. Profili teorici, Padova, 1984; G. D’Auria, Trasparenze e segreti nell’ammi-
nistrazione italiana, Pol. dir., 1990, 93 ss.
( 25 ) In particolare, il dovere di mantenimento del segreto d’ufficio da parte del pubblico
impiegato (art. 28 l. cit., sostitutivo dell’art. 15, t.u. n. 3/1957) è immediatamente delimitato dal
contenuto del diritto di accesso ai documenti, sì da essere letto come speculare alle eccezioni pre-
viste per l’ambito di operatività di tale diritto. L’accesso ai documenti da parte del diretto interes-
sato (prendendone visione ed estraendone copia), in assenza di disciplina legislativa, era stato in-
vero riconosciuto in via giurisprudenziale come diretta esplicazione del principio di cui all’art.
113 Cost., quando preordinato al ricorso giurisdizionale nei confronti dell’atto finale (cfr. G. Vir-
ga, Il diritto di accesso dei cittadini agli atti della p.a. e la sua tutela giurisdizionale nell’ordinamento
vigente, Foro amm., 1989, 661 ss.).
( 26 ) Nel dettare la disciplina generale del procedimento amministrativo, la l. n. 241/
1990 provvede anche sostituire il menzionato art. 15, t.u. degli impiegati civili dello Stato.
Espressamente collegando l’accesso agli atti e documenti amministrativi alla trasparenza del-
l’attività amministrativa, onde favorirne lo svolgimento imparziale, l’art. 22, l. n. 241/1990 ri-
150 ELEONORA RINALDI

tanto dall’operatività della norma, in via di eccezione (art. 24 l. cit.), gli « at-
ti coperti da segreto di Stato o da altri segreti altrimenti previsti dall’ordi-
namento, gli atti afferenti alla difesa nazionale, alle relazioni internazionali
alla politica monetaria e valutaria, alla prevenzione e repressione della cri-
minalità » ( 27 ).
La concreta specificazione di tali interessi è poi affidata dalla legge
ad un regolamento governativo (art. 24, comma 6) e, sulla base di que-
sto, a regolamenti delle singole amministrazioni ( 28 ). Malgrado i dubbi di
parte della dottrina costituzionalistica in ordine alla legalità sostanziale
dei regolamenti previsti dalla legge in discorso, l’approvazione di que-
st’ultima costituisce un significativo progresso sulla strada dell’oggettiva-
zione/delimitazione del segreto amministrativo ( 29 ) immediatamente ga-
rantita dal rinvio della legge alle disposizioni limitative del diritto di ac-
cesso ( 30 ): questo può essere, infatti, riferito solo alle informazioni « sui
procedimenti e (alle) notizie apprese a causa delle... funzioni (del p.u.) le
quali, in base ad apposite disposizioni di legge o di regolamento governa-

conosce così « a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti,
il diritto di accesso ai documenti amministrativi ». Non è riconosciuto a “chiunque” il diritto
di accedere ai documenti amministrativi, ma neppure l’accesso può dirsi limitato ai soli sog-
getti interessati a partecipare al procedimento. Accanto a tali soggetti, infatti, la cerchia dei le-
gittimati all’esercizio del diritto di accesso include infatti tutti coloro che, al fine di tutelare
« situazioni giuridicamente rilevanti » possano vantare un interesse non di mero fatto, ma ri-
conosciuto e tutelato dall’ordinamento, cfr. da ultimo almeno V. Cerulli - Irelli, Lineamenti
di diritto amministrativo, Torino, 2008, 246 ss.; e (a cura di) F.G. Scoca, Diritto amministra-
tivo, Torino, 2008, 243 ss.
( 27 ) Già la Corte costituzionale nelle sentt. nn. 114/1968 e 175/1970 sul “segreto di poli-
zia” aveva fatto riferimento a tali interessi come giustificativi di limitazioni nella conoscibilità di
dati atti e documenti. Sulle deroghe al generale principio di pubblicità, in nome della sicurezza
pubblica (artt. 13, 16, 17 e 25 Cost.) che « ben può giustificare limiti alla circolazione delle infor-
mazioni in possesso della pubblica amministrazione e sulla sua attività, quando siano indispensa-
bili all’espletamento delle funzioni di prevenzione e repressione della criminalità, ... di disciplina
e controllo del credito e di tutela del risparmio (art. 47 Cost.) », cfr. A. Anzon, Segreto, cit., 2.
( 28 ) Dubbi sull’osservanza del principio di legalità appaiono tuttavia giustificati tanto dalla
circostanza che l’esercizio della potestà regolamentare sia delimitato solo attraverso l’indicazione
degli interessi da perseguire, quanto dal fatto che l’indicazione dei medesimi, oltre che ampia, sia
tra l’altro contraddittoria, visto che alcuni di essi sono palesemente riconducibili ad interessi pro-
tetti attraverso l’apposizione del segreto di Stato (l. n. 801/1977), cfr. G. Tarantini, Pubblicità
degli atti e diritto di accesso, in AA.VV., Procedimento amministrativo e diritto di accesso (legge 7
agosto 1990 n. 241), Napoli, 1991, 54.
( 29 ) Cfr. M. Manetti, in A. Pace - M. Manenti, Art. 21. La libertà di manifestazione del
proprio pensiero, Commentario della Costituzione, cit., 194-195.
( 30 ) Non è semplice, invero, identificare “le altre situazioni giuridicamente rilevanti” (oltre
a quelle che trovano espressione nella partecipazione al procedimento), a tutela delle quali possa
essere riconosciuta la titolarità del diritto di accesso. « Esemplificando, potrà trattarsi di interessi
collegati all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di cronaca, della li-
bertà di ricerca scientifica, di protezione della privacy etc. », cfr. A. Anzon, Segreto, cit., 4.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 151

tivo, in relazione alla tutela di determinati interessi, sono sottratte al dirit-


to di accesso » ( 31 ).
E quand’anche di incerta classificazione, il diritto riconosciuto dal-
l’art. 22, l. n. 241/1990, trova il proprio giudice naturale nel giudice ammi-
nistrativo (seppure con le particolari modalità procedurali previste dall’art.
25), sia in caso di diniego che di differimento dell’accesso agli atti ( 32 ).

3. – Segreto di Stato e giurisprudenza costituzionale

Ma il settore più delicato del confronto tra i principi costituzionali e la


disciplina previgente è dato dalle norme penali che tutelano i segreti corre-
lati all’attività politico-amministrativa dello Stato.
Sulla base di un’impostazione confliggente sia con quanto argomenta-
bile a partire dagli artt. 1 e 64 della Costituzione sia con la chiara distinzio-
ne che la Costituzione opera tra funzione di governo e funzione ammini-
strativa del potere esecutivo (artt. 95 e 97 Cost.) ( 33 ), le norme del codice
penale del 1930 non distinguono infatti in modo netto il segreto volto a tu-
telare la sopravvivenza di una comunità politicamente organizzata ed i se-
greti meramente preordinati ad evitare ingerenze esterne nella gestione del
potere pubblico (mentre le norme del codice di rito specificamente riguar-
danti l’uso del segreto come limite della funzione giurisdizionale disciplina-
no solo i rapporti tra potere esecutivo e magistratura, in nessun modo oc-
cupandosi dei possibili controlli del Parlamento sull’attività governativa a
tutela della sicurezza nazionale, interna ed esterna) ( 34 ).

( 31 ) Così A. Anzon, Segreto, cit., 5.


( 32 ) Cfr. P. Costanzo, Informazione, cit., 72 ss.; P. Carnevale, Note e considerazioni sul-
la disciplina del procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi (...
7 agosto 1990, n. 241), in Trib. Amm. Reg., 1990, II, 335 ss.
( 33 ) Da, ultimo, cfr. almeno (a cura di) F.G. Scoca, Diritto amministrativo, cit., 18-20, e
82.
( 34 ) Deferenti alla “ragion di Stato”, le norme in discorso incriminano ogni attività finaliz-
zata alla rivelazione di segreti pubblici (artt. 256-263 c.p.), qualificati ora come segreti di Stato in
senso stretto, ora come « notizie di cui l’Autorità competente ha vietato la divulgazione ».
L’inserimento delle norme penali sostanziali a tutela dei segreti nel Titolo « Dei delitti con-
tro la personalità dello Stato » ed in particolare nel Capo relativo ai delitti contro la personalità
internazionale dello Stato è evidentemente diretto “portato” delle premesse ideologiche ispiranti
il legislatore nel delineare l’area di tutela del segreto: le disposizioni in discorso infatti sono dirette
alla protezione penale « non soltanto della sicurezza, ma dell’intera personalità dello Stato », cfr.
Relazione ministeriale sul progetto definitivo del nuovo codice penale, in Lavori preparatori del co-
dice penale e del codice di procedura penale, vol. V, parte II, Roma, 1929, par. 260, 34, su cui, V.
Grevi, Segreto di Stato e processo penale: evoluzione normativa e questioni ancora aperte, in Segre-
to di Stato e giustizia penale, M. Chiavario (a cura di), Bologna, 1978, 40 ss. Dal punto di vista
del funzionario che, per ragioni correlate allo svolgimento della funzione, venga a conoscenza di
152 ELEONORA RINALDI

Assente ogni definizione esplicita, la tutela penale sostanziale del se-


greto risulta così imperniata (nel diritto comune) sugli artt. 256-263 ( 35 )
c.p. e sul R.D. n. 1161/1941 (contenente « norme relative al segreto milita-
re ») ( 36 ), specificamente dettato per assicurare « ai fini della tutela del se-

atti o fatti coperti da segreto di Stato, la rivelazione dei medesimi, è pertanto del tutto simile alla
violazione del segreto d’ufficio, salva evidentemente la maggiore gravità del reato e della correla-
tiva sanzione (oltre alla possibilità di sottrarsi al dovere di testimonianza).
( 35 ) Gli artt. 256-263 c.p. prevedono così i reati di procacciamento, spionaggio e rivelazione
e puniscono, quale oggetto della condotta criminosa, « chiunque si procura » (a scopo di spionag-
gio o non) o « rivela » (a scopo di spionaggio o non) le notizie « che nell’interesse della sicurezza
dello Stato, o comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale dello Stato, debbono ri-
manere segrete » (art. 256, comma 1, c.p.), incriminando, più in generale, gli stessi comportamen-
ti, se aventi ad oggetto notizie « contenute in atti del governo da esso non pubblicati per ragioni di
ordine politico, interno o internazionale », in quanto segrete nell’interesse politico dello Stato.
Rientrano nell’ambito di operatività della tutela penale comune di tali segreti, anche il pro-
cacciamento, lo spionaggio e la rivelazione di « notizie di cui la competente autorità ha vietato la
divulgazione » (artt. 256, comma 3; 258 e 262): trattasi delle c.d. notizie riservate, prese in consi-
derazione anche dal già citato R.D. n. 1161/1941 – che collega il divieto di divulgazione (art. 2) a
tutte le notizie comunque « riferibili a materiale o avvenimenti interessanti l’efficienza bellica del-
lo Stato, ovvero interessanti le operazioni militari in progetto o in atto » ed alle notizie « aventi co-
munque interesse militare » (comma 1) – e dai codici penali militari, di pace (art. 93) e di guerra
(art. 72).
( 36 ) La nozione di segreto militare è precisata dai codici militari e dal R.D. n. 1161/1941
cui è allegato un minuzioso elenco di notizie da considerare riservate, cfr. P. Pisa, Le premesse so-
stanziali della normativa sul segreto di Stato, in AA.VV., Segreto di Stato e giustizia penale, (a cura
di M. Chiavario), Bologna, 1978, 25 ss. Le materie allegate sono: l’ordinamento e la dislocazione
delle forse armate, sia in pace, sia in guerra; la loro efficienza, il loro impiego, la loro preparazio-
ne; i mezzi di comunicazione e di trasporto; le loro dotazioni, scorte e commesse di materiali: le
fortificazioni, basi ed impianti; etc. Ed è stato, a tale riguardo, giustamente rilevato, che il « divie-
to di divulgazione concernente le notizie relative agli oggetti indicati appaia fin troppo chiara-
mente collegato ad esigenze tipiche della seconda guerra mondiale e comunque rispecchi una co-
noscenza e una preparazione tecnico-scientifico-militare ormai radicalmente superata dagli avve-
nimenti e dalle nuove scoperte tecnologiche applicate agli armamenti, che hanno rivoluzionato la
conduzione delle operazioni belliche, mentre l’impiego dei moderni strumenti di spionaggio ha
reso del tutto illusoria la possibilità di tenere celate certe notizie », cfr. A. Anzon, Segreto di Stato
e Cost., cit., 1765. Al Regio decreto occorre aggiungere gli artt. 86 ss., c.p. militare di pace, e 59
ss., c.p. militare di guerra. I codici penali militari prevedono, infatti, ipotesi di reato analoghe ri-
spetto a quelle del codice penale comune, distinguendo lo spionaggio di notizie segrete da quello
di notizie riservate. Il c.p.m. di guerra, oltre a prevedere la tutela delle notizie riguardanti lo stato
o la situazione delle forze armate, « i piani di operazioni o spedizioni, i segnali di qualunque na-
tura, i luoghi di rifornimento, lo stato delle provvigioni in armi, munizioni, combustibili, viveri o
denari », estende poi la previsione normativa, a tutte le notizie che possono compromettere la si-
curezza di posizioni, mezzi, stabilimenti o posti militari o, comunque, la sicurezza delle forze ar-
mate dello Stato (artt. 59-66). Il c.p.m. pace, in riferimento ai reati di rivelazione e procacciamen-
to di segreti militari contempla infine le « notizie concernenti le forze, la preparazione, la difesa
militare dello Stato o che devono rimanere segrete ». Sulla disciplina riportata, cfr. A. Anzon, op.
ult. cit., 1763 e G. Scandurra, Spionaggio militare e rivelazione di segreti militari, Noviss. dig. it.,
XVIII 1971, 4 ss.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 153

greto, l’esercizio di una rigorosa vigilanza sugli atti, documenti ed oggetti


relativi ».
Anche se non pienamente sovrapponibili alla tutela penale sostanzia-
le ( 37 ), le norme del codice di rito confermano il carattere indeterminato del
segreto preso in considerazione nel diritto penale sostanziale ( 38 ), dal mo-

( 37 ) Ed invero, mentre sul piano oggettivo, gli artt. 342 e 352 c.p. presuppongono il con-
cetto penalistico di segreto ricavabile dal combinato disposto degli artt. 256, commi 1 e 2, 257,
comma 1, e 261, comma 1, c.p.p., sul piano soggettivo la “corrispondenza” non risulta piena, es-
sendo le norme processuali incentrate sul divieto di interrogare i soli pubblici ufficiali, pubblici
impiegati ed incaricati di pubblico servizio « sui segreti politici o militari dello Stato, o su... altre
notizie che palesate possano nuocere alla sicurezza dello Stato o all’interesse politico, interno o in-
ternazionale dello Stato medesimo » (così l’art. 352 c.p.p., ora art. 202 c.p.p., relativo al dovere
gravante su tali soggetti di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato), nonché sul-
l’esonero degli stessi dal dovere di esibizione di documenti o cose (se richiesti dall’autorità giudi-
ziaria), previa dichiarazione « per iscritto, anche senza motivazione, che si tratta di segreto politi-
co o militare » (art. 342, comma 1, c.p.p., ora 256 c.p.p. sui limiti al dovere di esibizione di atti e
documenti, laddove l’autorità giudiziaria ne faccia richiesta). E così, se è vero che, nella massima
parte dei casi, sono questi soggetti i depositari dei segreti di Stato che il legislatore intende sot-
trarre alla pubblicità nel processo, non può escludersi che anche persone prive delle qualifiche
suddette vengano a conoscenza dei medesimi e che, in tal caso, le garanzie processuali previste
dagli artt. 342 e 352 c.p.p. (v.t.) risultino non invocabili. A tale disparità deve aggiungersi la (ori-
ginariamente) diversa disciplina protettiva del segreto all’interno del processo. Ed infatti, mentre
l’artt. 342 c.p.p. (ora 256 c.p.p.) consente (recte: consentiva) di sottrarsi all’adempimento del do-
vere di esibizione documentale previa opposizione del segreto politico-militare, (oggi la dizione
originaria è sostituita dalla comprensiva nozione di segreto di Stato) senza altre specificazioni,
l’esame testimoniale è vietato, dall’artt. 352 c.p.p., non solo in ordine a tale segreto ma, più in ge-
nerale, con riguardo a tutte le « altre notizie che palesate possono nuocere alla sicurezza dello Sta-
to o all’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato medesimo » (attualmente è l’art.
202 c.p.p. a disciplinare l’obbligo di astenersi dal deporre a carico di pubblici ufficiali, pubblici
impiegati ed incaricati di pubblico servizio sui fatti coperti da « segreto di Stato »).
( 38 ) La circostanza che la tutela processuale del segreto sia estesa, anche se solo con riguar-
do all’istituto della testimonianza, anche ad altre notizie che, non riconducibili alla categoria del
segreto, siano tali da nuocere comunque, se palesate, « alla sicurezza dello Stato o all’interesse po-
litico, interno o internazionale dello Stato medesimo » (art. 352, comma 2, c.p.p.) induce infine a
“sospettare” che tale formula possa essere riferita anche alle notizie « di cui l’autorità competente
ha vietato la divulgazione », notizie che, divenute oggetto di autonoma tutela da parte del legisla-
tore penale, negli artt. 256, comma 3, 258 e 262 c.p., – verrebbero in tal modo a beneficiare del-
l’allargamento del privilegio processuale previsto dagli artt. 342 e 352 c.p.p. 1930, oltre i limiti del
segreto di Stato in senso stretto, ponendo in termini ancor più spinosi la questione dei controlli
sulla legittimità delle dichiarazioni di opposizione (sull’apparente continuità tra disciplina libera-
le contenuta nel codice penale del 1889 – e disciplina “fascista” – codice penale del 1930 – del se-
greto di Stato, cfr. V. Grevi, Segreto di Stato e processo penale: evoluzione normativa e questioni
ancora aperte, in AA.VV. (a cura di M. Chiavario), Segreto di Stato e giustizia penale, cit., 42). Sul
carattere soggettivo ascrivibile sia alle notizie segrete che a quelle riservate, cfr. A. Anzon, Segreto
di Stato e Costituzione, cit., 1755 ss., specie 1768-1769: « ... la nozione appare caratterizzata in
senso nettamente soggettivo e non può in alcun modo ancorarsi a parametri oggettivi... la qualifi-
ca di segretezza può derivare ad una notizia esclusivamente da una scelta dell’autorità competente
(espressa anche in maniera tacita) e non già dalla natura della notizia stessa », cui adde P. Pisa, Il
segreto di Stato, cit., 93. Non è infatti difficile individuare nella categoria della notizie riservate (le
154 ELEONORA RINALDI

mento che, anche in fase di opposizione del segreto di Stato al giudice pe-
nale con effetti impeditivi dell’accertamento di un reato, la distinzione tra
segreto politico e segreto militare rimane meramente formale ( 39 ) e tutto
quanto non risulta riconducibile alla tutela della sicurezza dello Stato, at-
traverso la nozione di segreto militare, è tutelabile attraverso il richiamo –
fatto dal teste o dal soggetto cui si chiede l’esibizione di un documento – al-
l’interesse politico dello Stato.
I contenuti del c.d. interesse politico rimangono, anzi, talmente indefi-
niti da rendere per alcuni versi superflua la stessa distinzione tra notizie co-
perte dal segreto di Stato (in senso stretto) e notizie “riservate” ( 40 ) (di cui
sia stata vietata cioè l’ulteriore divulgazione) costituenti, secondo parte del-
la dottrina, « una sfera di segreti costruiti secondo parametri soggettivi sot-
tratti in larga misura al controllo giurisdizionale » ( 41 ).
Premesse ideologiche evidentemente diverse rispetto a quelle ispira-
trici della Carta repubblicana contraddistinguono dunque una disciplina
che affida la delimitazione (oggettiva e soggettiva) dell’ambito di operativi-
tà del segreto politico-militare esclusivamente all’amministrazione compe-

« altre notizie ») la creazione di una sfera di segreti ispirata ad un criterio meramente soggettivo,
onde consentire alla Pubblica Amministrazione di sottrarre determinate notizie ad ulteriore cir-
colazione, previa valutazione (essenzialmente insindacabile) della pericolosità della divulgazione
delle stesse per dati interessi statuali.
( 39 ) Come nel codice sostanziale, del tutto imprecisato rimane il « parametro impalpabi-
le » dell’interesse politico interno o internazionale dello Stato (l’espressione virgolettata è di P.
Pisa, Le premesse sostanziali della normativa sul segreto di Stato, cit., 26).
( 40 ) La distinzione tra i due tipi di notizia rimane, tuttavia, rilevante in quanto le norme in-
criminatrici del procacciamento o della rivelazione di notizie riservate “semplificano” l’accerta-
mento giurisdizionale in ordine alla natura segreta della notizia ed in ordine al dolo dell’imputato,
non dovendosi verificare che il presunto reo fosse a conoscenza che la notizia era “segreta” a tu-
tela della sicurezza o di altri interessi politici dello Stato, così P. Pisa, op. ult. cit., 28, richiamando
la sentenza della Corte d’Assise di Roma, sul caso Ghiotto incriminato per aver rivelato notizie
“riservate”, cfr. Ass. Roma, 11 giugno 1975, Ghiotto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1975, 1370 ss.
( 41 ) P. Pisa, op. ult. cit., 28. Tanto l’art. 342 c.p.p. che l’art. 352 c.p.p. contemplano, infatti,
l’eventualità che l’a.g. procedente non ritenga fondate le dichiarazioni di opposizione del segreto:
in tal caso essa è tenuta a farne rapporto al procuratore generale presso la Corte d’Appello e que-
st’ultimo ad informare il Ministro della Giustizia, preposto a decidere sull’autorizzazione a pro-
cedere per « rifiuto di testimonianza, falsità o reticenza », laddove ritenga infondata l’opposizione
del segreto (così l’art. 352, comma 3, c.p.p. letto in rapporto all’art. 372 c.p. relativo alle descritte
ipotesi di reato). Sancito (al comma 2), il divieto di interrogare (a pena di nullità) i pubblici uffi-
ciali, i pubblici impiegati e gli incaricati di pubblico servizio « sui segreti politici o militari dello
Stato, o sul altre notizie che palesate possono nuocere alla sicurezza dello Stato, o all’interesse po-
litico, interno o internazionale dello Stato medesimo », l’art. 352 prevede, a propria volta (comma
3) che « se l’autorità procedente non ritiene fondata la dichiarazione fatta da alcuna delle predette
persone, ne fa rapporto al procuratore generale presso la Corte d’appello, che ne informa il mini-
stro della giustizia », aggiungendo altresì che non si procede in tal caso per il reato relativo al ri-
fiuto di testimonianza, falsità o reticenza (art. 372 c.p.) in assenza di autorizzazione del ministro
della giustizia.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 155

tente ( 42 ) ed anche con riguardo al segreto di Stato in senso stretto il con-


trollo delineato sulle ragioni di quanti, nelle diverse situazioni, adducano
l’esistenza del segreto, rimane fittizio (e sottratto ai soggetti “esterni” al-
l’Esecutivo), spettando al Ministro la competenza a decidere, in via ultima-
tiva, sulla fondatezza della segretazione opposta in sede processuale ( 43 ).
Malgrado l’evidente dissonanza delle norme richiamate rispetto all’in-
tero assetto dei rapporti tra gli organi costituzionali, oltre che a svariati di-
ritti costituzionalmente garantiti ai singoli (dal diritto di difesa alla libertà
di manifestazione del pensiero), gli interventi della Corte costituzionale ri-
mangono inizialmente ispirati da una sostanziale prudenza e caratterizzati
da una paziente opera di “cesellatura” della disciplina vigente, di cui si ri-
conosce implicitamente la sopravvivenza.
L’iniziale adesione all’impostazione di quanti guardano al segreto es-
senzialmente nella veste di limite alla libertà di informazione produce infat-
ti – paradossalmente – esiti fuorvianti che, condizionati da un’accezione
dell’interesse della collettività all’informazione come mero risvolto passivo
della libertà di manifestazione del pensiero (così Corte costituzionale sent.
nn. 94/1976, 105/1972, 1/1981) finisce per depotenziare il contenuto di ta-
le interesse ( 44 ), in ossequio alla pur giustamente richiamata matrice indivi-
dualistica della libertà di espressione ( 45 ).

( 42 ) Il legislatore del 1930 poteva infatti contare o su un atteggiamento sostanzialmente


agnostico da parte dei giudici (con spostamento della competenza a procedere a giudizio di peri-
colosità circa la diffusione della notizia, in capo all’Esecutivo), o addirittura sulla sostanziale con-
sonanza degli stessi con gli indirizzi politici dominanti, cfr. P. Pisa, Il segreto di Stato, Milano,
1977, 88. Il Procuratore generale non svolge, nella disciplina in discorso, un ruolo significativo e
l’informativa al Ministro di Grazia e Giustizia era un atto dovuto. Né si specificavano gli adempi-
menti cui il Ministro era tenuto successivamente alla comunicazione suddetta: la valutazione po-
sitiva del medesimo in ordine alla sussistenza del segreto “chiudeva” evidentemente la vicenda,
mentre la valutazione negativa apriva il procedimento penale per falsa testimonianza nei confron-
ti di chi avesse falsamente opposto l’eccezione di segretezza.
Evidente il “disegno” sotteso ad una regolamentazione così scarna: l’intento di assegnare al
Ministro il ruolo di unico dominus della vicenda.
( 43 ) In una logica di accentramento del potere, riconducibile ai principi di gerarchia ed
unitarietà di indirizzo politico-amministrativo, la concreta gestione del segreto come limite alla
prova penale si “risolve”, così, nell’ambito degli interna corporis dell’ordine amministrativo, cfr.
Pisani, Testimonianza e segreti, in La testimonianza nel processo penale, Milano, 1974, 71.
( 44 ) Cfr. G. Pitruzzella, Segreto, I) Profili costituzionali, cit., 2.
( 45 ) Cfr. C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1958, 12 e, più
tardi, A. Pace, Stampa, giornalismo, radiotelevisione, Padova, 1983, 9-16, che tuttavia, nel pro-
sieguo del citato lavoro, mette in guardia dai rischi connessi all’adesione alla matrice individua-
listica della libertà di espressione: « Accedere alla tesi della natura individualistica della libertà
di espressione non significa tuttavia che la Costituzione si limiti a garantire la libera manifesta-
zione del pensiero con i soli mezzi a disposizione del soggetto. Una cosa, infatti, è negare che la
garantita libertà dell’individuo di manifestare il proprio pensiero debba necessariamente perse-
guire finalità di interesse generale; altro è invece sostenere che l’interesse generale – di cui il le-
156 ELEONORA RINALDI

Solo in seguito alla riconduzione esplicita del medesimo all’esigenza di


legittimazione di istituzioni governanti che possano dirsi autenticamente
democratiche (in ossequio all’art. 1, comma 2, Cost.) ( 46 ), la rilettura delle
norme di tutela del segreto inerente alle funzioni di governo degli organi
costituzionali è correttamente reimpostata, profilandosi non tanto l’esisten-
za di un diritto costituzionale di accesso alle fonti notiziali (diretto portato
di una non meglio precisata ed eterogenea libertà di informazione) ( 47 ),
quanto quella di un principio direttivo di rango costituzionale che orienti il
legislatore a rendere « ... massimamente disponibili e accessibili le fonti no-
tiziali » ( 48 ); a partire da tali acquisizioni inizia un più proficuo confronto
tra la disciplina del segreto e la diversa visione del potere (e dei rapporti tra
poteri dello Stato) promanante dalla Costituzione repubblicana ( 49 ).
La dinamica dei rapporti tra potere esecutivo e potere giurisdizionale
nella gestione del segreto di Stato è così sottoposta alle valutazioni del giu-
dice costituzionale nel 1976 ( 50 ), in seguito alle censure prospettate avverso
le due norme-cardine del “vecchio” codice di rito in materia, gli artt. 342 e
352 c.p.p. ( 51 ) (oggi sostituiti dagli artt. 202 e 256 c.p.p. 1988).

gislatore ordinario è il qualificato interprete – debba condurre all’ampliamento delle fonti di in-
formazione » (53).
( 46 ) Cfr. da ultimo, R.A. Dahl, Sull’uguaglianza politica (2006), tr. it. Roma-Bari 2007,
specie 11 e, sull’esistenza di una libertà “istituzionale” dell’informazione come limite al segreto,
nella veste di principio generale dell’ordinamento, ancora di recente A. Pace, L’apposizione del
segreto di Stato nei principi costituzionali e nella legge n. 124 del 2007, Giur. cost., 2008, 4051.
( 47 ) Cfr. G. Pitruzzella, op. ult. cit., 2.
( 48 ) Cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, pt. II, Padova, 1992, 383 ss.,
428.
( 49 ) Così G. Pitruzzella, op. cit., 2: « Sembra comunque possibile individuare un princi-
pio generale del diritto costituzionale che, coerentemente con l’ispirazione democratica dell’ordi-
namento, indirizza lo sviluppo di quest’ultimo verso la massima apertura delle fonti di informa-
zione all’attività dei cittadini, sì da realizzare la più ampia visibilità del potere pubblico ».
( 50 ) In seguito al deposito delle ordinanze del Pretore di Verona e del Giudice Istruttore
del Tribunale di Ravenna, che censurano variamente i divieti probatori nel processo penale aven-
te ad oggetto l’accertamento di fatti (e connesse responsabilità) collegati alla materia del segreto
politico-amministrativo. Si registrano parallelamente in questo periodo i contributi dottrinari più
significativi in ordine a tale profilo, cfr. almeno, P. Pisa, Osservazioni sulla tutela penale dei segreti
di Stato, in Arch. giur. Serafini, 1975, fasc. 2, 131 ss., ed Idem, La tutela penale del segreto di Stato
dalle codificazioni preunitarie al codice Rocco, in Annali Genova, 1975; Id., Il segreto di Stato, Mi-
lano, 1977; A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, cit.; G. Musio, Il segreto..., cit. Con riguar-
do alla sentenza n. 82/1976 riferisce di « un certo disagio – da parte dei giudici costituzionali –
nell’affrontare lo spinoso problema e (dei) prodromi di un atteggiamento assai cauto e tendenzial-
mente legittimante in larga misura il segreto di Stato », P. Pisa, Il segreto di Stato di fronte alla
Corte costituzionale: luci ed ombre in attesa della riforma, Giur. cost., 1977, 1206 ss., 1207.
( 51 ) Secondo tali disposizioni i pubblici ufficiali, impiegati e incaricati di pubblico servizio
possono opporsi alla richiesta di esibizione, avanzata dall’autorità giudiziaria, di atti, documenti o
cose esistenti presso di loro per ragioni di ufficio, solo che dichiarino, anche senza motivazione,
trattarsi di segreto politico o militare (art. 342, comma 1, c.p.p.). I medesimi soggetti poi non de-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 157

La sentenza n. 82/1976 evita, invero, di pronunciarsi nel merito ed op-


ta per la manifesta irrilevanza della massima parte delle questioni di legitti-
mità prospettate ( 52 ) decidendo (nel senso dell’infondatezza) la sola que-
stione (tutto sommato marginale) relativa alla necessità che, per il prosegui-
mento del procedimento penale, l’autorizzazione a procedere per i delitti di
reticenza e falsa testimonianza nei confronti dei soggetti che rifiutino di te-
stimoniare (art. 372 c.p.) opponendo il segreto politico-militare, sia rilascia-
ta dal Ministro di Grazia e Giustizia ( 53 ).
La pronuncia rimane ciononostante significativa, in quanto i giudici
costituzionali non mancano di sottolineare che la non irrazionalità del mo-
do ed intensità di protezione accordati alle varie specie di segreti è diretta-
mente funzionale alla rilevanza degli interessi cui questi ineriscono « toc-
cando il grado più alto quando sia in giuoco il segreto militare vero e pro-
prio ».
Né di quest’ultimo si manca di sottolineare lo stretto legame con il
« supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità interna-
zionale, ... cioè l’interesse dello Stato-comunità alla propria integrità terri-
toriale, indipendenza e – al limite – alla sua stessa sopravvivenza... interesse
avente connotati tali da poter essere ritenuto... preminente su ogni altro in
tutti gli ordinamenti statali » (ed immediatamente riconducibile alla formula
solenne dell’art. 52 Cost. che proclama la difesa della Patria “sacro dovere del
cittadino”).
Pur non entrando nel merito delle censure sottoposte, la Corte costi-
tuzionale indica, pertanto, la possibilità di delineare un assetto dei rapporti
tra ambito di esercizio della funzione di segretazione ed esigenza di accer-

vono a pena di nullità, essere interrogati sui segreti politici o militari dello Stato o su altre notizie
che, palesate, possano nuocere alla sicurezza dello Stato o su altre notizie che, palesate, possano
nuocere alla sicurezza dello Stato o all’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato me-
desimo (art. 352, comma 2). In entrambi i casi, se l’autorità procedente non ritiene fondata la di-
chiarazione che oppone il segreto, non può fare altro che farne rapporto al Procuratore generale
presso la Corte d’Appello che, a sua volta, ne informa il Ministro di Grazia e Giustizia competen-
te al rilascio dell’autorizzazione a procedere contro i soggetti menzionati per il reato di testimo-
nianza falsa o reticente ex art. 372 c.p.
( 52 ) Critico sulle argomentazioni a partire dalle quali la Corte dichiara l’inammissibilità
delle censure in discorso, perché fondate su « considerazioni troppo limitate nel loro tecnicismo a
fronte di un quesito, così fondamentale, da non meritare un esame fermo all’esteriorità del fatto »,
G.Musio, Il segreto, cit., 591. Di occasione “perduta” parla anche A. Anzon, Segreto di Stato e
Costituzione, cit., 1755 ss., 1757.
( 53 ) « ... l’asserita illegittimità costituzionale dello stesso art. 342, comma 3, nella parte in
cui, attraverso il rinvio all’ultimo comma dell’art. 352, subordina il perseguimento dell’azione pe-
nale alla autorizzazione a procedere del Ministro di Grazia e Giustizia... è l’unica questione diret-
tamente rilevante nel giudizio “a quo” »; secondo la Corte costituzionale (sent. n. 82/1976), l’in-
fondatezza delle censure sollevate con riguardo alla normativa citata è, oltre tutto, dichiarata ri-
spetto all’art. 3 Cost.
158 ELEONORA RINALDI

tamento giurisdizionale dei reati, ispirato, nel rinnovato quadro costituzio-


nale ( 54 ), alla logica della graduazione degli interessi protetti dalle diverse
categorie di segreto, sì da prefigurare modalità di conciliazione tra immoti-
vata ed insindacabile opposizione del segreto da parte dell’esecutivo e prin-
cipii costituzionali quali l’esclusiva sottoposizione del giudice alla legge
(art. 101 Cost.), l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere (art.
104 Cost.), l’obbligatorio esercizio dell’azione penale da parte del P.M.
(art. 112 Cost.), che tali interessi bilancino in modo diverso rispetto al de-
terminarsi dell’automatica paralisi dell’attività giurisdizionale ( 55 ).

4. – (Segue) Segreto di Stato e giurisprudenza costituzionale. La “sentenza-


guida” n. 86/1977
A distanza di un anno dalla pronuncia suddetta, nelle more dell’iter di
approvazione della prima legge specificamente riferita al segreto di Stato (l.
n. 801/1977, « Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la
sicurezza e disciplina del segreto di Stato »), le censure di illegittimità costi-
tuzionale avverso gli artt. 342 e 352 c.p.p. (« limitatamente alla parte relati-
va al segreto politico-militare, in relazione agli artt. 101, 102 e 112 Cost. »)
sono nuovamente portate all’esame della Corte ( 56 ), unitamente al deposito
di un ricorso per conflitto di attribuzioni fra potere esecutivo e potere giu-
diziario seguito al rifiuto del Presidente del Consiglio di trasmettere all’au-
torità giudiziaria, nella loro integrità, documenti ritenuti coperti dal segreto
politico.
Ed invero, anche se il conflitto originato dall’opposizione del segreto
di Stato nel processo penale veniva dichiarato inammissibile – in ragione
dell’inerzia processuale dei giudici istruttori che, dopo aver notificato il ri-
corso, non procedono tempestivamente al deposito del medesimo – rima-

( 54 ) Con specifico riguardo ai diritti dell’imputato nel processo, rimane invece non chiarita
la questione della compatibilità tra l’art. 24 Cost. e gli artt. 342 e 352 c.p.p., vista la forte riduzione
delle possibilità per l’imputato di difendersi, adducendo prove a discarico, laddove queste non ri-
sultino acquisibili nel processo in seguito all’opposizione del segreto.
( 55 ) Già anteriormente al primo intervento della Corte costituzionale sulla tutela proces-
suale del segreto, è P. Pisa, Il segreto di Stato. Profili penali, Milano, 1977, 175-177, a suggerire
una reinterpretazione “conforme a Costituzione” delle norme relative, riconoscendo tuttavia « il
limite di fondo di un’interpretazione adeguatrice. Se si rimane sul piano della legislazione ordina-
ria vigente non è possibile negare il sostanziale affidamento all’esecutivo della valutazione in or-
dine alla sussistenza o meno del segreto di Stato, invocato per impedire determinate acquisizioni
probatorie in un processo penale; e in maniera corrispondente non può disconoscersi la carenza
di effettivi strumenti di controllo di detta scelta da parte dell’autorità giudiziaria » (176).
( 56 ) A partire dal procedimento penale pendente a carico di Edgardo Sogno Rata del Val-
lino, dinanzi al Giudice istruttore di Torino (cui si aggiungerà il Giudice istruttore presso il Tri-
bunale di Roma).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 159

neva riconosciuta, in via di principio, a ciascun giudice, la legittimazione a


proporre ricorso nei confronti dell’Esecutivo, laddove lo “sbarramento” al-
l’esercizio del potere giurisdizionale originato dall’applicazione degli artt.
342 e 352 c.p.p. (preclusivi dell’acquisizione di elementi di prova necessari
per l’accertamento dei fatti nel processo penale) fosse stato ritenuto illegit-
timo.
La ritenuta ammissibilità del conflitto sul piano oggettivo (ord. n. 87/
1977) ( 57 ) segna una tappa “cruciale” per la “legalizzazione” sul piano co-
stituzionale del segreto “politico”, implicitamente riconoscendosi l’esigen-
za di intervento “ultimativo” della Corte costituzionale laddove l’applica-
zione delle norme costituzionali che regolano l’esercizio della giurisdizione
fosse stata impedita da valutazioni discrezionali dell’Esecutivo tese ad af-
fermare l’esistenza di arcana imperii meritevoli di tutela.
L’impostazione accolta dalla Corte è implicitamente ribadita dalla coe-
va sentenza n. 86 che, relativa alla questione di legittimità costituzionale pro-
mossa in via incidentale rispetto agli artt. 342 e 352 c.p.p., è da molti “addi-
tata” quale leading case del “nuovo corso” (giurisprudenziale) in materia ( 58 ).
Pure sollecitata da questioni inerenti il meccanismo processuale di tu-
tela del segreto di Stato, la pronuncia non manca, infatti, di confrontarsi
con il profilo sostanziale della delimitazione della sfera di segretezza (poli-
tico-militare) costituzionalmente legittima in un ordinamento democratico
e, malgrado diverse “anomalie” procedurali consentissero di optare nuova-
mente (come già avvenuto nella sentenza n. 82/1976) ( 59 ) per l’inammissi-
bilità delle censure (la questione è sollevata dal giudice istruttore di Torino
al momento stesso della dichiarazione di incompetenza territoriale, anche
se poi il g.i. di Roma, cui gli atti pervengono per competenza, tiene un com-
portamento adesivo alle prospettate eccezioni di illegittimità costituziona-
le), il giudice costituzionale sceglie di pronunciarsi nel merito ( 60 ).
Ribadita la prospettiva della graduazione tra gli interessi concorrenti
in materia, si ricostruiscono così due ordini di limiti che, strumentali a de-

( 57 ) L’ordinanza n. 87 è preceduta dalla ordinanza n. 49 resa all’esito di una sommaria de-


libazione sull’ammissibilità del conflitto.
( 58 ) Cfr. G. Pitruzzella, Segreto. I) Profili costituzionali, cit., 5; M. Raveraira, Segreto
nel diritto costituzionale, Dig. disc. pubbl., cit., 27; e, in nota alla sentenza, P. Pisa, Il segreto di Sta-
to di fronte alla Corte costituzionale: luci ed ombre in attesa della « riforma », Giur. cost., 1977,
1206 ss. Per una lettura difforme della citata sentenza, cfr. invece A.M. Sandulli, Note minime
in tema di segreto di Stato, Giur. cost., 1977, 1200 ss.
( 59 ) Su cui cfr. G. Musio, Il segreto politico-militare di fronte alla Corte costituzionale, cit.,
588 ss., specie (in ordine alla declaratoria di inammissibilità di alcune questioni), 591-592.
( 60 ) Sul valore della pronuncia che superando « lo spunto per un fin de non recevoir » af-
fronta il merito della questione, cfr. P. Pisa, Il segreto di Stato di fronte alla Corte costituzionale:
luci ed ombre in attesa della « riforma », in Giur. cost., 1977, 1206 ss., specie 1207.
160 ELEONORA RINALDI

limitare l’operatività del segreto di Stato quale legittimo impedimento al-


l’accertamento giurisdizionale di un reato, delineano anche l’accezione so-
stanziale dello stesso: il primo è un limite funzionale in ragione del quale, ai
fini della prevalenza su altri valori costituzionali, il principio di segretezza
« deve... trovare, ..., fondamento e giustificazione in esigenze fatte proprie e
garantite dalla Costituzione » (artt. 52 e 126 Cost.) collocabili ad un livello
superiore rispetto ai valori in conflitto ( 61 ) ed in ogni caso in ragionevole
rapporto con la scelta di utilizzare il segreto quale mezzo di tutela; il secon-
do ha carattere materiale ed impedisce in qualunque caso l’allegazione del
segreto per ostacolare l’accertamento giurisdizionale del compimento di
« fatti eversivi dell’ordine costituzionale ».
I due ordini di limiti sono, a ben vedere, collegati: la circostanza che il
segreto politico-militare « fondato sul supremo interesse della sicurezza del-
lo Stato nella sua personalità internazionale » (Corte cost. sent. n. 86/1977)
possa essere riferito anche alla tutela della sicurezza interna intesa come
« necessità di protezione da ogni azione violenta o comunque non confor-
me allo spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei su-
premi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a Stato »
spiega infatti l’assoluta contraddittorietà della copertura offerta dal segreto
di Stato rispetto al compimento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale;
« un principio di segretezza che possa resistere anche dinanzi ad altri valori
costituzionali, quali quelli tutelati dal potere giurisdizionale, deve, (infatti),
trovare, ..., fondamento e giustificazione in esigenze anch’esse fatte proprie
e garantite dalla Costituzione e che possano essere poste su un piano supe-
riore », esigenze rigorosamente “limitate” alla difesa della Patria (art. 52
Cost.) ed alla tutela della sicurezza nazionale (– di cui all’art. 126 Cost., – da
intendersi come esigenza di protezione dello Stato « da ogni azione violen-
ta o comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro
assetto costituzionale ») ( 62 ).
Che questo sia, ad avviso del giudice costituzionale, l’ambito di opera-
tività del segreto di Stato non appare seriamente opinabile, tanto più che gli
interessi istituzionali menzionati sono nettamente contrapposti agli interes-
si « del Governo e dei partiti che lo sorreggono » ed in quanto connessi alla

( 61 ) Tale argomentazione era già stata seguita dalla giurisprudenza costituzionale incentra-
ta sul parametro degli interessi protetti, onde il segreto risulta legittimo purché correlato alla ne-
cessità di tutelare beni diversi ma garantiti in Costituzione. Della stessa è dato riscontrare l’utiliz-
zo, a sostegno di una declaratoria di illegittimità costituzionale, nella sentenza n. 53/1966 che, sul-
la base di tali premesse, annulla la norma sul « segreto ferroviario ».
( 62 ) Non espressamente dichiarata, ma implicitamente sottesa all’argomentazione utilizza-
ta, l’esigenza che il bilanciamento intervenuto, sia sottoposto ad un giudizio di proporzionalità in
senso stretto, all’esito del quale si verifichi che lo strumento del segreto è indispensabile a garan-
tire la protezione degli interessi prevalenti.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 161

salvaguardia dell’essenza democratica del nostro ordinamento, prevedibil-


mente delimitati rispetto alla circostanza che il segreto possa essere invoca-
to per impedire l’« accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituziona-
le ».
Lo “sfoltimento” degli interessi in grado di giustificare il segreto di
Stato è inoltre strettamente correlato ad un preciso sistema di controlli sugli
atti di esercizio della funzione di segretazione ( 63 ): la formulazione indub-
biamente generica dei beni giuridici meritevoli di tutela ed il riconoscimen-
to del carattere “altamente discrezionale” dell’attività di apposizione del
vincolo di non conoscibilità ( 64 ) richiedente come tale l’attribuzione di una
competenza esclusiva al Presidente del Consiglio impone, infatti, di preci-
sare che l’ineliminabile corollario del limite funzionale della tutela di inte-
ressi supremi è l’accertata esistenza « in ogni singolo caso concreto, (di) un
ragionevole rapporto di mezzo a fine » ( 65 ).
Sennonché, la valutazione sulla congruità dei mezzi apprestati a ga-
ranzia della sicurezza dello Stato, « connaturale agli organi ed alle autorità
politiche preposte alla sua tutela » e non consona all’attività del giudice
comune (essendo inibito al potere giurisdizionale sostituirsi alle valutazio-
ni dell’esecutivo) dovrà ricondursi alla sede naturale nella quale l’esecuti-
vo deve dare conto del suo operato di carattere politico: « ... dinanzi alla
rappresentanza del popolo cioè, ... cui appartiene quella sovranità che po-
trebbe essere intaccata » in tali circostanze ed alla quale il Governo deve
indicare « le ragioni fondamentali dell’eventuale determinazione del se-
greto ».
E l’indicazione alle Camere delle ragioni della segretazione, oltre che
strumentale al sindacato politico del Parlamento – contribuendo ad assicu-
rare « con i mezzi che sono propri del Parlamento stesso, l’equilibrio fra i
vari poteri » – consentirà di evitare « situazioni che potrebbero sfociare in
un conflitto di attribuzioni ».
La natura « squisitamente politica » del giudizio sui mezzi idonei e ne-
cessari a garantire la sicurezza dello Stato è così chiaramente collocata lun-
go il crinale delle sfere di attribuzione rispettive dei poteri esecutivo e giu-
diziario ed al fine di impedire che l’esistenza di una preclusione in capo al-
l’autorità giudiziaria a svolgere ogni controllo sul merito degli atti di segre-
tazione si traduca nell’esercizio di un potere « assolutamente... incontrol-

( 63 ) Così P. Pisa, voce Segreto, II) Tutela penale del segreto, Enc. giur., Roma, 1992,
2.
( 64 ) In quanto volto a tutelare « i soli interessi istituzionali (che) devono attenere allo Sta-
to-comunità ».
( 65 ) Par. 5, del Cons. dir.
162 ELEONORA RINALDI

labile » (quindi del tutto irresponsabile) ( 66 ) si affida alla sede del conflitto
l’insopprimibile funzione di garanzia della legalità costituzionale del segre-
to di Stato.

5. – L’ambigua attuazione dei principi sanciti dalla sentenza n. 86/1977 nella


perimetrazione sostanziale del segreto di Stato operata dalla prima legge
in materia (l. n. 801/1977)

Malgrado le indicazioni della Corte costituzionale in merito all’esi-


stenza di varie specie di segreto ed all’esigenza di graduare i riflessi proces-
suali della tutela penale sostanziale, limitando le ipotesi di paralisi della
funzione giurisdizionale ai soli casi in cui vengano in rilievo interessi supre-
mi, la prima legge sul segreto di Stato (l. n. 801/1977) tiene in vita per vari
aspetti le ambiguità ascrivibili alle norme preesistenti.
Implicitamente escludendo che il segreto possa ritenersi preordinato
alla sola tutela della sicurezza dello Stato ed estendendone l’ambito di ope-
ratività alla protezione di interessi politici diversi, la legge adotta, infatti,
una nozione “comprensiva” di segreto di Stato (inclusiva tanto del segreto
politico quanto di quello militare, in passato distintamente menzionati dal-
le norme del codice di rito) ( 67 ) ed include, nell’elencazione dell’art. 12, ma-
terie non sempre meritevoli di così elevato grado di protezione. In partico-
lare, l’ambito di applicabilità della l. n. 801/1977 è riferito non solo alle no-
tizie la cui diffusione è idonea a recar danno all’integrità dello Stato, anche
in relazione ad accordi internazionali, alla sua indipendenza, nei confronti
di altri paesi, alla preparazione e difesa militare dello Stato, ma anche alle
notizie la cui diffusione può compromettere le « relazioni con altri Stati »
ed a quelle... la cui divulgazione è in grado di pregiudicare, oltre che la di-
fesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a fondamento dello Stato de-

( 66 ) Sul punto, cfr. P. Pisa, Il segreto di Stato di fronte alla Corte costituzionale. Luci ed om-
bre in attesa della « riforma », cit., 1206 ss.
( 67 ) Sulle origini della nozione, cfr. U. Rossi - Merighi, Segreto di Stato tra politica e am-
ministrazione, Roma, 1994, 31 ss., che riconduce le origini del superamento della duplice nozio-
ne al « processo De Lorenzo-L’Espresso », originato dalla querela per diffamazione intentata da
De Lorenzo (ex comandante generale dei Carabinieri) avverso il settimanale, per una serie di ar-
ticoli pubblicati in cui veniva accusato di partecipazione alla preparazione di un colpo di Stato
nell’estate del 1964, nonché all’inchiesta parlamentare, pure correlata agli eventi del giugno-
luglio 1964, la cui legge istitutiva assegnava « alla Commissione d’inchiesta (c.d. sul Sifar) il
compito di formulare proposte in relazione alla materia del segreto, ai fini di una ordinata ed
efficiente difesa della sicurezza esterna ed interna conforme all’ordinamento democratico dello
Stato » (34).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 163

mocratico « ... il libero esercizio delle funzioni degli organi costituziona-


li » ( 68 ).
Il riferimento alle « ... relazioni con altri Stati... (ed al) libero esercizio
delle funzioni degli organi costituzionali » “riecheggia” infatti, a ben vedere,
il disposto dell’art. 256 c.p. incriminante il « Procacciamento di notizie
concernenti la sicurezza dello Stato » che, oltre a tutelare la riservatezza
delle notizie relative alla sicurezza nazionale è, più in generale, riferito alle
notizie che « contenute in atti del Governo, da esso non pubblicati per ra-
gioni d’ordine politico, interno o internazionale » ( 69 ), devono comunque
rimanere segrete in nome di un interesse politico non meglio qualifica-
to ( 70 ), mentre nell’uso della nozione di divulgazione emerge la formulazio-
ne utilizzata dall’art. 262 c.p., che incrimina il comportamento di « Chiun-
que rivela notizie delle quali l’Autorità competente ha vietato la divulgazio-
ne ».
L’estensione del regime del segreto di Stato a tutto quanto può com-
promettere il « libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali » ap-
pare, inoltre, problematica, in quanto suscettibile di essere riferita a settori
agevolmente riconducibili al grado di tutela offerto dalle norme sul segreto
d’ufficio (applicabili allorquando sia violato un segreto amministrativo in
senso stretto).
Non affrontando la questione della distinzione tra i “livelli” di segreto,
la l. n. 801/1977 recepisce, dunque, “in blocco” l’ampia nozione presente
nel codice penale del 1930 e rinuncia all’adozione di norme processuali dif-
ferenziate volte a tutelare in modo diverso gli « interessi relativi al... libero
esercizio delle funzioni degli organi costituzionali od alla difesa... delle rela-

( 68 ) In senso analogo a quanto qui sostenuto, cfr. G. Pitruzzella, Segreto. I) Profili costi-
tuzionali, cit., specie 5-6; P. Pisa, Segreto. II) Tutela penale del segreto, ivi, 2-3, che a tal proposito
rileva « il rischio di trasferimento a livello di segreto di Stato di meri segreti d’ufficio »; cui adde,
M. Raveraira, Segreto nel diritto costituzionale, cit., 18 ss., specie 28.
( 69 ) La norma neppure circoscrive l’invocabilità del segreto alle ipotesi di tutela delle buo-
ne relazioni con altri Stati, sì che tale settore di segreti veramente presenta eccessive potenzialità
espansive; per fare un esempio, « si macchierà quindi del delitto di rivelazione di segreti di Stato,
il giornalista che pubblicherà notizie in grado di compromettere ulteriormente i nostri rapporti
col governo cileno di Pinochet », così P. Pisa, op. ult. cit., 37.
( 70 ) Che le ipotesi di segretazione possano non riguardare la sola sicurezza dello Stato –
sia interna che esterna – non appare, alla luce dei lavori preparatori del codice penale del
1930, seriamente contestabile. La Relazione ministeriale al codice tuttora vigente chiarisce in-
fatti che « il progetto non limita la portata delle sue disposizioni ai soli segreti politici e mili-
tari inerenti alla sicurezza dello Stato... ma la estende a tutte le notizie che comunque, nell’in-
teresse politico, interno o internazionale, dello Stato devono rimanere segrete », includendo,
tra i possibili oggetti, anche « l’interesse (dello Stato) alla solidità delle sue finanze » al fine di
raggiungere « ... le mete più fulgide di prestigio politico o verso un assetto sempre più propi-
zio della pubblica economia », cfr. Relazione II, n. 260, 34, testualmente riportata da A. An-
zon, Segreto, cit., 1766.
164 ELEONORA RINALDI

zioni con gli altri Stati » – che, pur di rilievo costituzionale, sembrano carat-
terizzati in senso amministrativo e non politico ( 71 ) –, senza chiarire per al-
tro aspetto la sorte delle notizie riservate.
Eppure, il riferimento espresso, contenuto nella sentenza n. 86/1977
(di poco anteriore all’entrata in vigore della legge), agli artt. 52 e 126 Cost.
aveva offerto, con riguardo all’esigenza di delimitazione dell’ambito di ope-
ratività del medesimo, precise indicazioni: l’associazione tra il dovere di di-
fesa della Patria di cui all’art. 52 Cost. ed il concetto di « sicurezza naziona-
le » (contenuto nell’art. 126) da una parte ed il segreto di Stato dall’altra,
suggeriva, infatti, di riferire il dovere di cui all’articolo 52 alla tutela dello
Stato da aggressioni “esterne” (provenienti dall’estero) ( 72 ), sì da legittima-
re soltanto quel settore del segreto (prima segreto politico-militare) collega-
to alla tutela della sicurezza esterna dello Stato italiano, strettamente stru-
mentale a garantire l’integrità/funzionalità dell’apparato di difesa dello Sta-
to verso nemici esterni ( 73 ), mentre gli aspetti della « sicurezza interna » –,
in particolare l’interesse alla saldezza complessiva delle istituzioni repubbli-
cane, in quanto immanente al nostro ordinamento e correlato alla tutela
delle istituzioni repubblicane, oltre che alla protezione dell’inviolabilità
dell’ordinamento democratico – potevano agevolmente essere ricondotti
all’art. 1 Cost., pure richiamato in sentenza ( 74 ).

( 71 ) Cfr. M. Manetti, op. ult. cit., 193. Rimane tuttora assegnato al giudice il compito di
individuare le condotte di rivelazione, graduandone, a fini di irrogazione della sanzione, la gravi-
tà. Né la conclusione suddetta appare suscettibile di ripensamento, alla luce dell’art. 24 della l. n.
241/1990 che, fissando i limiti del diritto di accesso, così individua gli interessi da salvaguardare:
« a) la sicurezza, la difesa nazionale, e le relazioni internazionali; b) la politica economica e valu-
taria; c) l’ordine pubblico e la prevenzione e la repressione della criminalità; d) la riservatezza di
terzi, persone, gruppi e imprese »; la giurisprudenza continua infatti ad applicare la sanzione pe-
nale a chi contravvenga al divieto di divulgazione solo se si ritengano concretamente lesi gli inte-
ressi previsti dalla l. n. 801/1977 o solo laddove ritenga ravvisabile un concreto pericolo di lesione
per tali interessi, sindacando, per questi aspetti, la legittimità degli atti impositivi del segreto, così
Cass., I Sez. penale, 29 gennaio 2002, n. 3348, in Cass. Pen., 2002, 2694 ss. Sulla genericità della l.
n. 801/1977 in quanto non elenca le categorie di notizie segretabili, cfr. già P. Barile, Democrazia
e segreto, Quad. cost., 1987, 38.
( 72 ) Cfr. Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967, 237 ss.;
Carbone, I doveri pubblici individuali nella Costituzione, Milano, 1968, 123; C. Chiola, L’infor-
mazione nella Costituzione, Padova, 1973, 120.
( 73 ) Potendosi al massimo associare, ai profili suddetti, un aspetto peculiare del segreto di-
plomatico, onde garantire la segretezza di trattative e contatti tra Stati aderenti ad una medesima
organizzazione (per esempio la NATO) per predisporre sistemi di difesa multilaterali. Dovrebbe-
ro, pertanto, rimanere fuori dall’ambito di operatività di siffatta sfera di segretezza « quegli altri
segreti ispirati all’esigenza di tutelare non già la sicurezza (intesa come sicurezza esterna) dello
Stato, bensì altri interessi politici del medesimo », così P. Pisa, Il segreto, cit., 216.
( 74 ) Tale chiave di lettura risulta confermata dalla precisazione (contenuta in sentenza) che
il concetto di difesa della Patria (nel significato specifico prima indicato della « difesa militare »)
va posto in relazione « con altre norme della stessa Costituzione che fissano elementi e momenti
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 165

La sostituzione (disposta dall’art. 13, l. n. 801/1977) alle parole « se-


greto politico o militare », contenute nel primo comma dell’art. 342 c.p.p.
(1930), della comprensiva nozione di segreto di Stato esprime, all’opposto,
la sopravvivenza di un’impostazione “conservatrice”, nel rispetto della
quale il legislatore non rinuncia soltanto a distinguere espressamente tra i
diversi livelli di segreto, ma anche a garantire la rispondenza delle norme
penali sostanziali al principio di tassatività delle norme incriminatrici ( 75 ).
In relazione a quanto espressamente disposto dall’art. 18, l. cit., (« Si-
no alla data di emanazione di una nuova legge organica relativa alla materia
del segreto, le fattispecie previste e punite dal Libro II, Titolo I, capi I e V
del codice penale, concernenti il segreto politico interno e internazionale,
debbono essere riferite alla definizione di segreto di cui agli articoli 1 e 12
della presente legge ») la sopravvivenza di tutte le norme relative al procac-
ciamento, allo spionaggio (sia politico-militare che relativo a notizie di cui è
stata vietata la divulgazione) ed alla rivelazione (anch’essa relativa a segreti
di Stato – art. 261 c.p. – od a notizie di vietata divulgazione, ex art. 262 c.p.)
è, così, data per scontata dalla giurisprudenza di merito variamente forma-
tasi su tali fattispecie ( 76 ) e, quand’anche l’esigenza di rigorosa oggettivazio-

imprescindibili del nostro Stato: in particolare... la indipendenza nazionale, i principi della unità e
della indivisibilità dello Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri dello Stato stesso nella
formula di Repubblica democratica (art. 1) », sì che, tutte le fattispecie di opposizione del segreto
di Stato dovrebbero poter essere ricondotte a tale orbita. Già con riguardo alle norme del codice
penale (artt. 270-274 c.p.) del resto si sottolineava, cfr. A. Anzon, Il segreto di Stato, cit., come
« il segreto posto a garanzia della sicurezza esterna non si esauris(se) nel segreto militare, posto
che si possono ipotizzare categorie di notizie (si è fatto l’esempio di quelle relative alla utilizzazio-
ne dell’energia atomica oppure a contatti diplomatici) le quali, pur ricollegandosi alla sicurezza
medesima, possono non rientrare nella sfera di attribuzioni istituzionalmente affidata all’autorità
militare. È l’esigenza di evitare le conseguenze assurde, correlate ad un’eccessiva tipizzazione del-
le ipotesi di legittima segretazione a determinare una decisa opzione in favore dell’affidamento al-
l’interprete, in fase applicativa, della selezione equilibratrice degli interessi in gioco, malgrado
detta selezione risultasse di competenza del legislatore, mentre la nozione di segretezza interna
appare riferibile alla saldezza complessiva del regime istituzionale delineato dalla Costituzione.
Rientreranno così nell’ambito di operatività della nozione i piani di difesa contro l’eversione, le
misure di protezione di obbiettivi strategici importanti, le cautele antiterrorismo a protezione di
obbiettivi di primaria importanza » (1767).
( 75 ) Così, persuasivamente, P. Pisa, Segreto, cit., 199-200: « Tirando quindi le fila del di-
scorso riteniamo di poter concludere che, se da un lato si può giungere a determinare taluni grup-
pi di interessi politici (...), è innegabile che la categoria degli interessi politici sfugge alla possibi-
lità di una determinazione sufficientemente rigorosa, in grado di orientare... il comportamento
dei consociati... Le norme del codice penale appaiono quindi, a nostro avviso, in contrasto con il
principio di tassatività delle incriminazioni sancito dall’art. 25 Cost. ». Sulla costituzionalizzazio-
ne del principio di tassatività delle norme penali incriminatrici, cfr. almeno, F. Bricola, La di-
screzionalità nel diritto penale, Milano, 1965, 277 ss.
( 76 ) Sicché, mentre nei reati riguardanti le notizie segrete il giudice si spinge ad accertare in
concreto l’idoneità della divulgazione della notizia a pregiudicare gli interessi indicati dall’art. 12,
166 ELEONORA RINALDI

ne imponesse l’adozione di una nozione più ristretta, tanto la nozione di se-


greto volta a tutelare non meglio specificati interessi politici, quanto l’ambi-
gua sovrapposizione tra tutela penale delle notizie segrete e tutela delle no-
tizie riservate rimangono in vita ( 77 ).
L’ampia formulazione della nuova legge relativamente alla tutela degli
interessi politici dello Stato comporta così che, onde evitare che ad ipotesi
di diversa gravità, correlate alla tutela di interessi diversi, sia applicata iden-
tica sanzione (occorre, per esempio, evitare, che le pene gravissime irrogate
per la rivelazione di segreti di Stato – art. 261 c.p. – o per l’ipotesi di spio-
naggio politico-militare – art. 257 c.p. – trovino applicazione anche in casi
meno gravi), le norme penali relative alla divulgazione di notizie riservate
siano ricondotte all’alveo della l. n. 801/1977 e ritenute applicabili purché i
comportamenti perseguiti siano concretamente lesivi degli interessi tutelati
dall’art. 12 della l. n. 801/1977 ( 78 ).
Senonché, mentre l’esigenza di adeguatezza della sanzione penale –
dunque l’applicabilità della stessa ai soli comportamenti effettivamente pe-
ricolosi ed alla tutela dei soli beni costituzionalmente rilevanti ( 79 ) – è, al-
meno in parte, garantita dallo svolgimento del sindacato giurisdizionale di
legittimità sugli atti impositivi del vincolo di non conoscibilità ( 80 ), la riser-
va di legge in materia penale rimane insoddisfatta in ragione del discutibile
rinvio all’intervento di organi diversi dal legislatore in funzione « integratri-
ce » delle fattispecie penali (gli atti amministrativi elencanti le notizie riser-
vate) ( 81 ), mentre la conciliazione con il principio di tassatività delle fatti-

l. n. 801/1977, nei delitti concernenti notizie riservate si ritiene sufficiente riscontrare l’esistenza
del divieto dell’autorità competente, fermo restando il sindacato di legittimità del giudice penale
sull’atto amministrativo che impone il divieto di divulgazione, cfr. P. Pisa, voce Segreto. II) Tutela
penale del segreto, cit., 3, e, più diffusamente, Idem, Il segreto di Stato, cit. Sull’inesistenza di una
reale diversità concettuale tra le due categorie di notizie cfr. già, A. Anzon, Segreto di Stato, cit.,
1773.
( 77 ) Il codice penale vigente distingue, infatti, sul piano della gravità (e della conseguente
sanzione), lo “Spionaggio politico o militare” (art. 257 c.p.) dallo “Spionaggio di notizie di cui è
stata vietata la divulgazione” (art. 258 c.p.), e la “Rivelazione di segreti di Stato” (art. 261 c.p.)
dalla “Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione” (art. 262 c.p.).
( 78 ) Così Cass. Pen., Sez. I, 29 gennaio 2002, n. 3348 (in Cass. pen., 2002, 2694 ss.) che su-
pera l’orientamento inizialmente restrittivo (v. Cass. Pen., sez. I, 23 aprile 1982, Riv. pen., 1982,
886 ss. e Cass. Pen. 4 luglio 1985, Giur. it., 1986, II, 436), secondo cui le notizie riservate doveva-
no ritenersi estranee alla definizione dell’art. 12 della l. n. 801/1977.
( 79 ) Cfr. da ultimo, M. Manetti, in A. Pace - M. Manetti, Art. 21. La libertà di manife-
stazione del proprio pensiero, cit., 182 ss., 190.
( 80 ) Ass. App. Roma, 20 dicembre 1978, in Giur. mer., 1980, II, 639; Assise Roma, sent. n.
21/1997; e Cass., Sez. I, sent. 29 gennaio 2002, n. 3348 (citata in nota supra).
( 81 ) Si fa riferimento in particolare al R.D. 11 luglio 1941, n. 1161 che pure, in alcune parti,
non soddisfa appieno il principio di tassatività (v. art. 2, comma 1, ultima parte, sul divieto, per
determinati soggetti, di divulgare « notizie aventi comunque interesse militare »). Si è già eviden-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 167

specie incriminatrici delle disposizioni che incriminano l’acquisizione e di-


vulgazione di notizie coperte dal segreto di Stato, rimane problematica in
ragione del generico riferimento di tali norme a parametri quali la « sicu-
rezza » e « l’interesse politico interno o internazionale dello Stato » ( 82 ).

6. – La l. n. 801/1977 e la disciplina dei controlli sull’esercizio della funzione


di segretazione

In ordine ai controlli sull’esercizio del potere di segretazione ( 83 ), la l. n.


801/1977 disciplina due fattispecie: il rifiuto di testimoniare o di esibire dati
atti o documenti, da parte di un pubblico ufficiale od incaricato di pubblico
servizio (rifiuto determinante l’interpello incidentale del Presidente del Con-

ziata del resto la matrice storica delle disposizioni in questione (artt. 256, 258, 262 c.p.), frutto di
una consapevole rinuncia del legislatore a delineare compiutamente le fattispecie ivi previste, non
tanto in ragione dell’impossibilità di concretizzare obbiettivamente a priori le notizie riservate
(come dimostra del resto l’avvenuta codificazione amministrativa delle ipotesi in discorso, v. R.D.
n. 1161/1941) quanto del preciso intento di consentire solo all’esecutivo il controllo delle infor-
mazioni di rilievo politico o militare, esclusa qualunque forma di sindacato giurisdizionale, cfr. P.
Pisa, Il segreto, cit., 181-182.
( 82 ) L’esigenza di graduazione tra i diversi tipi di segreto – che, pure volti a tutelare inte-
ressi costituzionalmente rilevanti non sempre rientrano nell’ambito di applicabilità degli artt. 52 e
126 Cost. – è ciononostante ribadita, anche di recente, dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 295/2002 che nuovamente distingue tra due categorie: la prima inclusiva delle notizie coperte
da segreto di Stato in senso stretto; la seconda inclusiva delle notizie riservate, tutelabili attraverso
l’applicazione della normativa penale sui reati di rivelazione.
Ed invero, nel distinguere tra la categoria degli atti esclusi dall’accesso perché coperti dal « se-
greto di Stato ai sensi dell’art. 12 della l. n. 801/1977 » e quella degli atti oggetto di « segreto o di-
vieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento » (potrebbe trattarsi infatti di atti coper-
ti da segreto d’ufficio, cfr. da ultimo G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, in www.associazione-
deicostituzionalisti.it, in corso di pubblicazione in Cass. pen., 2009, 7-9) la sentenza non rinvia sem-
plicemente alle distinte discipline riguardanti le due categorie di notizie ma, in ragione « dell’esigenza
di revisione complessiva della materia in esame... avvertita... già all’epoca dell’emanazione della l.
n. 801/1977, il cui art. 18 assegnava carattere di “transitorietà” al regime delineato dal Titolo I del
Libro II del codice penale », auspica « una nuova legge organica relativa alla materia del segreto ».
Contra AA.VV., I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 726, che le notizie di vie-
tata divulgazione sembrano ricondurre « ai medesimi interessi che giustificano l’opposizione del se-
greto di Stato... purché idonee a recare un concreto pregiudizio ai medesimi interessi ».
( 83 ) Nella legge di riforma la concreta operatività della funzione di segretazione, origina-
riamente affidata alla sola dinamica dei rapporti tra Magistratura e Governo, in ragione del rifiuto
di testimoniare dovuto all’opposizione di un segreto di Stato, con interpello per conferma al Pre-
sidente del Consiglio, si orienta a privilegiare, accogliendo le indicazioni della coeva sentenza n.
86, la dialettica tra Governo e Parlamento, attraverso il controllo a quest’ultimo demandato sulle
scelte governative. Invero, dalla Relazione sulla proposta di legge n. 385 (Balzamo e altri), cfr. V.
Grevi, Segreto di Stato e processo penale, cit., 85, emerge come fossero state prospettate forme di-
verse di controllo parlamentare, in particolare nella forma del controllo preventivo rispetto al
provvedimento di conferma, od attraverso un controllo successivo “attivato” dal giudice attraver-
so il ricorso ad una specifica commissione interparlamentare « per la tutela del segreto ».
168 ELEONORA RINALDI

siglio, da parte del giudice, affinché questi si pronunci sul mantenimento del-
la segregazione, ex art. 15) e l’opposizione del segreto (art. 11, l. cit.) ( 84 ) da
parte del Presidente del consiglio al Comitato parlamentare di controllo, lad-
dove quest’ultimo abbia richiesto (al Presidente del consiglio od al comitato
interministeriale per le informazioni e la sicurezza) « informazioni sulle linee
essenziali delle strutture e dell’attività dei Servizi » ( 85 ).
Pur non ricostruendo esattamente l’apposizione e conferma del segre-
to come atti governativi originariamente illegittimi perché lesivi della fun-
zione giurisdizionale, sanabili in ogni caso in seguito ad un bill di indennità
del Parlamento, la legge accoglie senz’altro il principio (promanante dalla
sentenza n. 86/1977) del controllo parlamentare sulla politica governativa
in materia ( 86 ), disponendo che, in caso di conferma dell’opposizione del
segreto di Stato al giudice penale (ma anche, in caso di opposizione del se-
greto, ad una Commissione parlamentare d’inchiesta), il Presidente del
Consiglio debba dare comunicazione al Comitato parlamentare previsto
dall’articolo 11 della legge con funzioni di « controllo sull’applicazione dei
principi (ivi) stabiliti », tenuto a riferirne alle Camere ogni qual volta l’op-
posizione del segreto sia ritenuta infondata ( 87 ).
Identica sequenza procedimentale è prevista qualora il segreto sia op-

( 84 ) Così recita l’art. 11 della l. n. 801/1977: « Un Comitato parlamentare costituito da


quattro deputati e quattro senatori nominati dai Presidenti dei due rami del Parlamento sulla ba-
se del criterio di proporzionalità, esercita il controllo sull’applicazione dei principi stabiliti dalla
presente legge.// A tal fine il Comitato parlamentare può chiedere al Presidente del Consiglio dei
Ministri e al Comitato interministeriale di cui all’articolo 2 informazioni sulle linee essenziali delle
strutture e dell’attività dei Servizi e formulare proposte e rilievi.// Il Presidente del Consiglio dei
Ministri può opporre al Comitato parlamentare, indicandone con sintetica motivazione le ragioni
essenziali, l’esigenza di tutela del segreto in ordine alle informazioni che a suo giudizio eccedono
i limiti di ci al comma precedente// ».
( 85 ) Il dovere, per il Presidente del Consiglio opponente il segreto, di esporre « le linee es-
senziali delle strutture organizzative e dell’attività dei servizi » è espressamente sancito solo in
quest’ultima ipotesi. L’ampia discrezionalità del Presidente del Consiglio nella prima ipotesi è,
tuttavia, temperato dall’obbligo di informativa alle Camere, in ragione del rapporto istituzionale
tra Governo e Parlamento, rapporto che, oltre tutto, sembra consentire l’ipotesi di un coinvolgi-
mento del Capo dello Stato.
( 86 ) Politica esecutiva dell’indirizzo politico determinato dal Governo e dalla maggioranza
parlamentare che questo sostiene Cfr. U. Rossi - Merighi, Segreto di Stato. Tra politica e ammi-
nistrazione, cit., 71 ss., specie 84-87.
( 87 ) Ancora l’art. 11, commi 5 e 6: « ... il Comitato parlamentare ove ritenga, a maggioran-
za assoluta dei suoi componenti, che l’opposizione del segreto (ad esso comitato, cfr. comma 3)
non sia fondata, ne riferisce a ciascuna delle Camere per le conseguenti valutazioni politiche.//I
componenti del Comitato parlamentare sono vincolati al segreto relativamente alle informazioni
acquisite e alle proposte e ai rilievi formulati ai sensi del terzo comma. Gli atti del Comitato sono
coperti dal segreto ». Valorizza il profilo procedimentale della disciplina in quanto strumentale
ad un « reale controllo (dell’utilizzazione del potere)... anche sulla base degli strumenti già esi-
stenti » A. Anzon, Segreto di Stato, cit., 1769.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 169

posto immediatamente al Comitato (relativamente alle informazioni richie-


ste ex art. 11 l. cit.), sì che, anche in questo caso, « il Comitato parlamenta-
re, ove ritenga, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, che l’opposi-
zione del segreto non sia fondata, ne riferisce a ciascuna delle Camere per le
conseguenti valutazioni politiche » ( 88 ).
La disciplina legislativa non specifica, invece, le caratteristiche del
provvedimento di conferma del segreto opposto nel processo penale, di
cui, diversamente da quanto sancito nella sentenza n. 86/1977, non si pre-
scrive in via generale l’obbligo di motivazione, espressamente imposto (art.
11, l. cit.) solo con riguardo al provvedimento di opposizione del segreto al
Comitato parlamentare che abbia richiesto « informazioni sulle linee essen-
ziali delle strutture e dell’attività dei Servizi » e, sempre nell’orbita dei rap-
porti tra Presidente del Consiglio e Camere, quando della conferma del se-
greto opposto nel processo penale si dia comunicazione a queste ultime
(artt. 16 e 17, l. cit.) ( 89 ).
La Presidenza del Consiglio, ove interpellata dal giudice penale per la
conferma di un segreto di Stato si attiene, tuttavia, negli anni ad un’inter-
pretazione della lettera della legge che considera la motivazione parte inte-

( 88 ) Comprensibile che le competenze in materia siano ricondotte all’orbita della politica


generale del Governo, meno che siano accentrate in capo al Presidente del Consiglio cui è formal-
mente attribuito il potere di opposizione (poi Co.pa.co) e conferma (all’autorità giudiziaria) del
segreto, sì da determinare una concentrazione di poteri che, incidente sulle competenze ministe-
riali e giustificabile in nome della gestione di interessi supremi ed unitari (i soli legittimanti l’uso
dell’istituto), avrebbe potuto più fondatamente condurre ad una disciplina di esercizio del potere
in forma collegiale (anche in ragione della sottolineatura del legame contenuta nella sentenza n.
86/1977, tra gestione di interessi supremi ed unitari e responsabilità del Governo nella sua globa-
lità). Ed invero, il coinvolgimento del Consiglio dei Ministri nella sua collegialità è stato prefigu-
rato, così come esso è coinvolto nelle delibere relative alla proposizione e resistenza in giudizio
nell’ambito dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, laddove dovessero insorgere que-
stioni rispetto ad atti oppositivi del segreto, cfr. S. Labriola, Lineamenti costituzionali della Pre-
sidenza del Consiglio, in Costituzione e struttura del Governo, ricerca CNR, Padova, 1979, 117 ss.,
cui adde, U. Rossi - Merighi, op. cit., 82. Dubbi, in ordine alla possibilità di opporre il segreto di
Stato ad organi parlamentari (al Comitato preposto al controllo ma anche alle commissioni parla-
mentari di inchiesta) esprime A. Anzon, Segreto, cit., 1799. Contra, con specifico riguardo alle
Commissioni parlamentari di inchiesta, A. Pace, Il potere di inchiesta delle Assembleee Legislati-
ve. Saggi, Milano, 1973, 63 ss. e 169 ss., sottolineando tuttavia che, ove si guardi alla questione
dall’« angolatura della natura governativa delle inchieste parlamentari... il limite del segreto op-
ponibile alle commissioni d’inchiesta diventa, in buona parte (e cioè nella misura in cui esso non
superi la disponibilità dell’esecutivo) un falso problema; e mera astrazione intellettualistica appa-
re pertanto l’ipotesi di un conflitto di attribuzioni tra Parlamento e Governo in ordine all’allinea-
mento di una notizia richiesta in virtù dei poteri istruttori ex art. 82, comma 2, Cost. » (171).
( 89 ) L’art. 202 c.p.p. 1988 ha confermato poi la disciplina preesistente, malgrado, nella
versione originariamente presente nel progetto si facesse riferimento alla doverosa motivazione
del provvedimento di conferma dell’opposizione del segreto di Stato, cfr. U. Rossi - Merighi, Se-
greto di Stato, cit., 83.
170 ELEONORA RINALDI

grante del provvedimento di conferma ( 90 ), sì da garantire – (non tanto un


sindacato dell’autorità giudiziaria sulla legittimità dell’atto, ciò che sembra
contrastare con quanto sancito dalla stessa sentenza n. 86), – che la (control-
labile ed oggettiva) nozione di segreto prefigurata dalla giurisprudenza co-
stituzionale, non trasmodi in un’arbitraria nozione soggettiva, esentata an-
che dal sindacato “ultimo” della Corte costituzionale in sede di conflitto di
attribuzioni ( 91 ).
La questione dei controlli sulle scelte governative in materia di gestio-
ne del segreto rimaneva comunque non espressamente risolta anche in se-
guito alla redazione del nuovo codice di procedura penale (1988) ( 92 ), la cui

( 90 ) Anche a voler tacere dell’esigenza di fornire una motivazione “comunque” all’A.G.


procedente in quanto il provvedimento di conferma ha carattere restrittivo della sfera giuridica
del privato, cfr. U. Rossi - Merighi, Segreto di Stato, cit., 86-87, nelle non molte occasioni in cui
è stata interpellata, la Presidenza del Consiglio ha infatti motivato il provvedimento trasmesso al-
l’autorità richiedente, cfr. G. Paolozzi, La tutela processuale del segreto di Stato, Milano, 1983,
410.
( 91 ) L’ambiguità e l’incompiutezza delle scelte legislative impongono, dunque, con riguar-
do alla disciplina legislativa del 1977, la strada dell’interpretazione conforme a Costituzione, pure
osteggiata dalle tesi di quanti sostengono la non obbligatorietà della motivazione del provvedi-
mento, in particolare con riguardo alla circostanza che, nei casi in cui detta motivazione ha voluto
imporre, il legislatore lo ha prescritto espressamente (artt. 16 e 17 l. cit.), cfr. M.T. Sturla, Segre-
to di Stato, Motivazione del provvedimento di conferma e controllo giurisdizionale, Studi parmensi,
Milano, 1979, 336, secondo la quale, con riguardo al provvedimento di conferma del segreto la
diversa disciplina dell’obbligo di motivazione risponde « all’eterogeneità degli interessi tutelati »,
rinviandosi una più soddisfacente definizione della dinamica dei rapporti tra esecutivo ed autori-
tà giudiziaria alla futura legge organica sulla materia.
( 92 ) Per l’elaborazione del nuovo codice di procedura penale, si tiene conto anche dell’esi-
to dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio del 1964
(commissione sul “caso SIFAR”). La Commissione in discorso, istituita dalla l. 31 marzo 1969, n.
93, è chiamata a: « a) accertare, secondo le indicazioni contenute nella relazione della Commis-
sione ministeriale d’inchiesta nominata con decreto ministeriale 12 gennaio 1968 e presieduta dal
generale Lombardi, depositata presso le presidenze delle due Camere, le iniziative prese e le mi-
sure adottate nell’ambito degli organi competenti in materia di tutela dell’ordine pubblico e della
sicurezza, in relazione agli eventi del giugno-luglio 1964; b) esaminare quali di tali iniziative e mi-
sure debbano considerarsi in contrasto con le disposizioni vigenti e gli ordinamenti costituiti per
la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza »; « c) formulare proposte in relazione ad un even-
tuale riordinamento degli organi preposti alla tutela della sicurezza e alla tutela dell’ordine pubblico
ed in relazione alla disciplina vigente in materia di tutela del segreto, ai fini di una ordinata ed effi-
cace difesa della sicurezza esterna ed interna conforme all’ordinamento democratico dello Stato »
(così l’art. 1 della legge in discorso). Sul punto, (a cura di) M. Chiavario, Segreto di Stato e giu-
stizia penale, cit., 213 ss., che interamente ripercorre la quasi ventennale gestazione dei lavori par-
lamentari che, previa approvazione di una legge delega, hanno portato all’approvazione del codi-
ce di procedura penale del 1988. In particolare, la consapevolezza dei limiti che al diritto di difesa
poteva apportare l’opposizione del segreto politico-militare e dei gravi ostacoli che, all’accerta-
mento dei fatti (e delle eventuali responsabilità) può provocare una gestione dello strumento del
segreto affidato esclusivamente all’esecutivo impone all’attenzione delle forze politiche l’esigenza
di una svolta rispetto alle scelte operate dal legislatore del 1930 (sul punto, cf. V. Grevi, in op. ult.
cit., 54-55).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 171

discussione affrontava il problema dei limiti al potere governativo di


« sbarramento » della funzione giurisdizionale.
Fra le diverse proposte, due in particolare, furono infatti prese in con-
siderazione dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati in fase
di esame del disegno di legge delega per la redazione del nuovo codice: la
prima contemplava la possibilità di affidare all’Autorità giudiziaria ordina-
ria il controllo sulle dichiarazioni rese nel processo in merito all’esistenza di
un segreto di Stato; la seconda era tesa ad affidare lo stesso tipo di controllo
ad un organo politico (interno al Parlamento) o politico-giurisdizionale (la
Corte costituzionale in sede di conflitto tra poteri).
Senonché, rispetto ad entrambe le opzioni prevaleva l’emendamento
della Commissione Giustizia che semplicemente esclude il sindacato del
giudice sulla dichiarazione relativa al segreto, individuando nel Presidente
del Consiglio l’unico organo tenuto a risponderne al Parlamento. In que-
sta logica, in caso di conferma del segreto, al giudice non rimaneva che la
dichiarazione di non doversi procedere nell’azione penale, ove « la cono-
scenza dell’atto, del fatto, o della dichiarazione sia essenziale per il proces-
so ».
Sedata ogni discussione sul punto, l’emendamento approvato dalla
Commissione dava vita così all’art. 202 c.p.p. ( 93 ) (ora in parte novellato
dalla l. n. 124/2007) ( 94 ) che, intatto, in materia di segreto, il privilegio del-
l’Esecutivo, ha escluso la magistratura dall’orbita del controllo sulla confer-
ma del segreto, privilegiando, anche all’indomani della riforma dell’intero
codice di rito, una gestione del medesimo affidata all’asse Governo-Parla-
mento ( 95 ).

( 93 ) Scompare, invece, nei nuovi artt. 202, 204 e 256 c.p.p. (in ispecie nel nuovo art.
202) la subordinazione della procedura di interpello al sospetto del Magistrato di infondatezza
dell’atto oppositivo, dovendo, l’autorità procedente attivarla in ogni caso. Sicché, confermato
il diritto – dovere di opporre il segreto in capo ai soli pubblici ufficiali, pubblici impiegati ed
incaricati di pubblico servizio, rimangono non ancora definite le questioni inerenti la mancan-
za o perdita dello status richiesto al depositario del segreto, « nonché (la) sussistenza, in capo
all’interrogato, della qualità di indagato, imputato od altra ancora... e non già di semplice te-
stimone ». Cfr. V. Grevi, op. ult. loc. cit., e da ultimo, sull’opposizione del segreto da parte
dell’imputato, gen. Pollari, nel processo penale da cui origina il conflitto deciso con la senten-
za n. 106/2009, la nota di A. Masaracchia, Diritto alla prova dell’imputato e segreto di Stato:
corsi e ricorsi storici di una questione definitivamente chiarita, in www.associazionedeicostituzio-
nalisti.it.
( 94 ) Esaustivamente, sull’intera legge, da ultimo, AA.VV., I Servizi di informazione e il se-
greto di Stato, cit., specie 430 ss.
( 95 ) In tal senso, già all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 801/1977, P. Pisa, Le pre-
messe sostanziali, cit., 38.
172 ELEONORA RINALDI

7. – La perimetrazione sostanziale del segreto di Stato nella l. n. 124/2007

La discrezionalità degli organi costituzionali dello Stato immediata-


mente chiamati al bilanciamento sotteso all’esercizio della funzione di se-
gretazione trova oggi il proprio perimetro nella l. n. 124/2007 che ne defi-
nisce i limiti formali e materiali, sulla base dei principi costituzionali con-
correnti in materia ( 96 ).
La questione dei limiti del segreto di Stato dev’essere dunque riconsi-
derata a partire dalla disciplina del procedimento di apposizione che, speci-
ficamente disciplinato e nettamente distinto dalla fase dell’opposizione
processuale e della conferma, esclude ogni possibilità di sovrapposizione
tra i due momenti, risolvendo una questione in passato foriera di abusi nel-
l’applicazione delle norme rilevanti in materia ( 97 ).
Carente una specifica disciplina del procedimento appositivo, gli or-
gani titolari del potere di segretazione si sono, infatti, avvalsi, in più occa-
sioni – (da ultimo proprio nelle vicende concrete dalle quali originano i
conflitti decisi con la sentenza n. 106/2009) – della possibilità di invocare la
copertura offerta dal segreto richiamando atti preesistenti solo generica-
mente riferibili ai fatti oggetto di accertamento giurisdizionale (spesso di-
rettive “riservate” inviate dalla Presidenza del Consiglio ai funzionari dei
Servizi per le informazioni e la sicurezza dello Stato), atti che sono stati uti-
lizzati “al momento opportuno” – in genere proprio nella fase dell’interpel-
lo per conferma del segreto opposto in un processo penale – in funzione
“segretante” questa o quella notizia (od atto o documento) ( 98 ).

( 96 ) Tenendo conto quindi dell’interesse generale della collettività ad accedere alle fonti
notiziali, – correlato al dovere della Repubblica di garantire al massimo l’accesso alle informazioni
di natura pubblica – dell’interesse all’accertamento giurisdizionale dei reati e dell’ovvia necessità
di impedire la divulgazione di atti e fatti la cui conoscenza possa rivelarsi pregiudizievole per la
garanzia delle condizioni di esistenza/continuità dello Stato. La necessaria opera di mediazione
rientrerà evidentemente nella competenza del legislatore dello Stato (art. 117, comma 2, lett. d,
Cost.), nel rispetto delle riserve di legge assolute e relative variamente rilevanti in materia; sul
punto, cfr. A. Pace, L’apposizione del segreto, cit., specie 4045-4048.
La Corte costituzionale sarà pertanto chiamata a garantire l’osservanza dei limiti legislati-
vamente definiti (formali e materiali), oltre, ovviamente, ai limiti funzionali immediatamente cor-
relati alla finalizzazione dell’attività alla « salvaguardia dei supremi e imprescindibili interessi del-
lo Stato ».
( 97 ) Così A. Pace, L’apposizione del segreto di Stato nei principi costituzionali e nella legge
n. 124 del 2007, cit., 4049.
( 98 ) Cfr., con specifico riguardo alle vicende concrete da cui muove la sentenza n. 106/
2009, G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, cit., 14, « Il segreto, dunque, è legittimamente fatto
valere perché l’area dei rapporti tra Servizi è considerata segreta dalla circolare riservata del 1985
e perché nella nota in data 11 novembre 2005, confermata dalla nota del 2006, si ribadiva in linea
generale la sussistenza del segreto su determinate aree e cioè sui rapporti con i Servizi collegati »
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 173

La legge di riforma, al contrario, è ispirata dall’esigenza di garantire la


(finora) più volte, pretermessa esigenza di predeterminazione legislativa
(ed ove occorra regolamentare) delle ipotesi di apposizione del vincolo di
non conoscibilità, seguita dalla classificazione del documento resasi even-
tualmente necessaria.
In particolare, la questione della competenza è risolta dalla l. n. 124 at-
tribuendo il potere di apposizione al Presidente del Consiglio (la delega
amministrativa, è contemplata dall’art. 3 della legge solo per le funzioni
non attribuite al presidente del consiglio in via esclusiva e solo in favore di
un ministro senza portafoglio o di un sottosegretario di Stato), ed introdu-
cendo una netta cesura rispetto alle norme della l. n. 801/1977 che al Pre-
sidente del Consiglio riconoscevano (art. 1, comma 2) solo il controllo
« sull’applicazione dei criteri relativi all’apposizione del segreto di Stato e
alla individuazione degli organi a ciò competenti » (con competenza esclu-
siva solo in materia di conferma dell’opposizione del segreto nell’ambito di
un processo penale – art. 202 c.p.p.) ( 99 ); oggi, all’opposto, il Presidente del
Consiglio è indicato, oltre che come competente all’apposizione, anche co-
me impossibilitato a delegarne l’esercizio ( 100 ).
Dalla disciplina dei presupposti di esercizio del potere di apposizione
del vincolo scaturiscono, inoltre, specifici limiti “funzionali” ( 101 ).
Immediatamente dopo aver elencato (art. 39, comma 1, l. n. 124/
2007) gli interessi a tutela dei quali può legittimamente essere esercitata
l’attività appositiva – « l’integrità della Repubblica, anche in relazione ad

(si rilevano peraltro le incongruenti conclusioni cui la sentenza giunge con riguardo al regime di
utilizzabilità delle prove comunque acquisite).
( 99 ) L’apposizione del segreto ad opera di soggetto diverso dal Presidente del consiglio è
evenienza effettivamente realizzatasi nel 2005, quando è il Ministro dell’interno ad apporre il se-
greto su dati luoghi nel corso della vicenda relativa a “Villa La Certosa”, sulla vicenda, cfr., R.
Chieppa, Una discutibile cessazione della materia del contendere su apposizione del segreto di Sta-
to. Nota a ord. C. Cost. 25 ottobre 2005, n. 404, in Giur. cost., 2005, 3988 ss.; L. Elia, La “Certosa”:
una inammissibilità che non convince. Nota a ord. C. cost. 25 ottobre 2005, n. 404, ibidem, 3953 ss.;
A. Masaracchia, Lo strano caso del segreto di Stato sulla villa “La Certosa”, ibidem, 4067; P. Pisa,
Segreto di Stato: un caso anomalo, ivi, 3999.
( 100 ) Ma contra, argomentando dalla formulazione dell’art. 39, comma 1, della l. 124, A.
Pace, op. ult. cit., 4050.
( 101 ) Distingue invece tra limiti funzionali, limiti formali (cui è ricondotta l’operatività dei
limiti da me qualificati come funzionali) e limiti materiali (dei « fatti eversivi ») A. Pace, L’appo-
sizione del segreto, cit., 4041 ss. Personalmente ritengo che anche i c.d. limiti formali, dall’A. ri-
condotti – per esempio – alla necessaria specificità del contenuto dell’atto di apposizione del se-
greto (il provvedimento deve cioè riferirsi « ad informazioni, documenti, atti, attività, cose o luo-
ghi la cui conoscenza al di fuori degli ambiti e delle sedi autorizzate, sia tale da ledere gravemente
quelle date finalità e soltanto quelle » (4051), rientrino, come limiti rilevanti nel procedimento di
esercizio della funzione, tra i limiti funzionali (la cui inosservanza rileverà in sede di sindacato sul-
l’eccesso di potere, come nelle altre ipotesi).
174 ELEONORA RINALDI

accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a


suo fondamento, all’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle
relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato » – la
legge (art. 39, comma 3) precisa, infatti, che « Sono coperti dal segreto di
Stato le informazioni, i documenti, gli atti, le attività, le cose o i luoghi la cui
conoscenza al di fuori degli ambiti e delle sedi autorizzate, sia tale da ledere
gravemente le finalità di cui al comma 1 ».
Precisando, unitamente agli interessi tutelabili, il livello di gravità del-
la lesione, la disciplina legislativa accoglie, dunque, chiaramente l’idea che
l’esercizio del potere di segretazione al livello più alto, costituito dall’appo-
sizione del segreto di Stato, debba costituire l’extrema ratio, dal momento
che, in tutti i casi in cui gli interessi giuridici tutelabili non siano compro-
messi in modo grave, rimane operante – sia sul piano amministrativo che su
quello penale ( 102 ) – la tutela correlata ad una diversa classifica di segretezza
del documento (art. 42 l. cit.).
La ratio sottesa alla legge del 2007 è evidentemente la riconduzione
dell’ambito di operatività del segreto di Stato ad un numero il più possibile
limitato di ipotesi, escludendone comunque, in modo assoluto, l’uso con ri-
guardo a « notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o eversivi
dell’ordine costituzionale o fatti costituenti i delitti di cui agli artt. 285, 416-
bis, 416-ter, e 422 del codice penale ».
Dall’apprezzabile perimetrazione dei “supremi interessi” legittimanti
l’apposizione del segreto emerge, infine, l’eliminazione della tutela del « li-
bero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali », interesse correlato
ad una sorta di « super segreto d’ufficio » fortemente stigmatizzato in pas-
sato perché suscettibile di determinare l’eccessiva dilatazione dell’ambito
di operatività del segreto di Stato ( 103 ), mentre sopravvive il riferimento alle
relazioni con altri Stati, già in passato “additato” come ambiguo e suscetti-
bile, in ragione delle proprie potenzialità espansive, di ingenerare situazioni
di tensione con l’attuazione di altri principi costituzionali ( 104 ).

( 102 ) E, sul piano del diritto penale sostanziale in particolare, opererà la tutela apprestata
dalle nome sui reati di rivelazione di notizie di cui la competente autorità abbia vietato la divulga-
zione (come sembra potersi arguire in M. Manetti, Art. 21, cit., 192).
( 103 ) Così P. Pisa, Le premesse « sostanziali » del segreto di Stato, cit., 36. Questo da un lato
perché, certamente, la tutela del libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali era pa-
lesemente invocabile per tutelare segreti “diversi” rispetto a quelli correlati alla difesa nazionale
ed alla sicurezza delle istituzioni democratiche (già specificamente considerati dall’art. 12 della l.
n. 801/1977 ed oggi dall’art. 39, comma 1, l. n. 124/2007), dall’altro perché risultava del tutto
oscuro in che misura una qualche forma di pubblicità potesse incidere sulla libertà di esercizio di
una pubblica funzione, cfr. P. Pisa, Le premesse sostanziali del segreto di Stato, cit., 36 ss.
( 104 ) Lucide in proposito ancora le riflessioni di P. Pisa, Le premesse « sostanziali », cit.,
37.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 175

La perimetrazione della funzione di segretazione operata in via legisla-


tiva è “completata” dal d.P.C.m. 16 aprile 2008 che, in attuazione dell’art.
39, comma 5, della nuova legge, è chiamato a definire i criteri « per l’indi-
viduazione delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle
cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato ».
Senonché, l’enumerazione dei criteri operata dall’art. 3 del d.P.C.m. –
idoneità della diffusione delle notizie a recare un danno grave ad uno o più
dei seguenti interessi, « l’integrità della Repubblica, anche in relazione ad
accordi internazionali, la difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a
suo fondamento; l’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e le rela-
zioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato » – risulta va-
nificata dall’art. 5 del decreto che, attraverso la dicitura Materie di riferi-
mento, amplia gli ambiti di esercizio della funzione di segretazione alle ipo-
tesi contenute nell’elenco allegato al d.P.C.m. ed in particolare alla « tutela
di interessi economici, finanziari, industriali, scientifici, tecnologici, sanitari e
ambientali ».
Ed invero, al di là delle obiezioni relative alla circostanza che, chiama-
to a definire i criteri (ex art. 39, comma 5, l. n. 124), il d.P.C.m. dedichi ven-
ti articoli alla disciplina di profili totalmente diversi, le origini della descrit-
ta “dilatazione” risultano agevolmente rinvenibili nei lavori preparatori
della l. n. 124, la cui lettura evidenzia il tentativo (in prima battuta non riu-
scito) di inserire, già in fase di approvazione della legge, il parametro degli
interessi suddetti, pure vistosamente “somiglianti”, nel loro tenore lettera-
le, agli interessi elencati nella risalente relazione ministeriale allegata al co-
dice penale del 1930; il riferimento, contenuto nell’allegato al regolamento
agli interessi finanziari, industriali etc., riecheggia, così, le parole della rela-
zione ministeriale del 1930 relative alle norme incriminatrici dei reati di ri-
velazione: « ... i segreti di Stato... possono avere l’oggetto più vario, dalla si-
curezza politica e militare dello Stato alla solidità delle sue finanze » ed es-
sere pertinenti « ... a qualsiasi interesse... nel dominio economico-sociale...
per assolvere la sua missione di condurre il Paese verso mete più fulgide di
prestigio politico o verso un assetto sempre più propizio della pubblica econo-
mia » ( 105 ).
Il regolamento del 16 aprile 2008 reinserisce, pertanto, [lett. a) del-
l’art. 5], tra i beni giuridici meritevoli della tutela offerta dal segreto di Sta-
to, un insieme di interessi che, oltre a non essere espressamente qualificati

( 105 ) È noto come, per questa parte, la Relazione allegata al codice penale avesse l’obbiet-
tivo di chiarire la formulazione dell’art. 256 c.p. sulla rivelazione di notizie che avrebbero dovuto
rimanere segrete nell’interesse della sicurezza dello Stato e, più in generale, sulla rivelazione di
notizie comunque segrete « nell’interesse politico (interno od internazionale) dello Stato medesi-
mo », cfr. Relaz. II, n. 260, 34.
176 ELEONORA RINALDI

come supremi dalla l. n. 1 (frustrando, almeno per questa parte, il tentativo


di più rigorosa perimetrazione dell’ambito di operatività dell’istituto) 24 (v.
art. 1), appaiono in pericoloso rapporto di parentela con il vecchio interes-
se politico ( 106 ), interesse che del resto “permane” nel riferimento espresso
della legge alle relazioni con gli altri Stati, pure di generica consistenza e tut-
tora legittimante l’apposizione del vincolo di non conoscibilità.
Tale approdo, in quanto riferito ad una legge approvata “nelle more”
della sentenza della Corte costituzionale (da cui questo scritto muove), in-
duce a riflessioni che, se non altro per ragioni di realismo giuridico, travali-
cano la pura e semplice stigmatizzazione.
Già in passato è stata, infatti, rilevata l’impossibilità di addivenire ad
un’indicazione tassativa delle categorie di atti, notizie, documenti, legitti-
manti l’apposizione del segreto di Stato, in ragione dell’assenza di parame-
tri idonei a determinare a priori la pericolosità della divulgazione di notizie
inerenti ad interessi politici ( 107 ).
Ed è sintomatico che, per anni, anteriormente all’adozione della pri-
ma legge in materia (l. n. 801/1977), le nozioni di segreto politico e segreto di
Stato siano state usate come fungibili, oltre che come distinte dalla nozione
di « segreto militare » ( 108 ).
Tale rilievo conferma, per un verso, la difficoltà di categorizzazione di
atti, notizie e documenti che, pure non riconducibili ad esigenze di difesa
militare dello Stato, egualmente attengano alla garanzia delle condizioni di
esistenza/continuità del medesimo, per altro aspetto, l’idea che, inteso ogni
Stato nel senso più ampio di comunità politica organizzata, ogni segreto
che miri a salvaguardarne l’esistenza non può che partecipare dell’essenza
politica di tale organizzazione.

( 106 ) Così A. Anzon, Il segreto di Stato ancora una volta tra Presidente del Consiglio, auto-
rità giudiziaria e Corte costituzionale, in Giur. cost., 2/2009, 1020-1033. Ora, anche in ragione di
quanto espressamente disposto dall’art. 2 del d.P.C.m. che, in attuazione degli artt. 39-42 della
legge espressamente distingue tra segreto di Stato e Classifiche di segretezza, non pare proprio
che residui alcuno spazio alla tutela degli interessi politici tramite l’extrema ratio del provvedi-
mento appositivo del segreto, risultando preordinata a tale scopo la più proporzionata tutela cor-
relata all’attribuzione di una diversa classifica di segretezza.
Ma il d.P.C.m. in discorso concorre ad ampliare la discrezionalità della funzione di ap-
posizione del segreto anche da un altro punto di vista. Mentre l’art. 39, con riguardo all’am-
bito di operatività del segreto di Stato fa riferimento a « gli atti, i documenti, le norme, le at-
tività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della Repubbli-
ca », l’art. 3 del regolamento, nella definizione dei criteri di operatività del segreto di Stato,
parla di « informazioni, ..., notizie, documenti, atti, attività, luoghi ed ogni altra cosa la cui dif-
fusione sia idonea a recare un danno grave ad uno o più dei seguenti supremi interessi dello
Stato ».
( 107 ) Cfr. A. Anzon, Segreto di Stato, cit., 1759 ss.
( 108 ) Così, U. Rossi-Merighi, Il segreto di Stato, cit., 38.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 177

L’impossibilità di determinare a priori i contenuti del segreto di Stato,


in passato variamente emergente attraverso la discussa formula dell’interes-
se politico può dirsi, pertanto, all’origine della sopravvivenza, nella legge
odierna e nel regolamento attuativo, delle formule volte ad ampliare la di-
screzionalità dell’organo competente nell’apposizione del vincolo a tutela
degli interessi indicati ( 109 ).

8. – L’opposizione processuale del segreto


Le scelte della l. n. 124/2007 in ordine alla tipologia di beni tutelabili
tramite la funzione di segretazione risultano tuttavia “bilanciate”, a garan-
zia della perimetrazione sostanziale della funzione, dalla disciplina relativa
alla gestione del segreto in sede processuale.
Si è visto come la legge precedentemente vigente (l. n. 801/1977) pri-
vilegiasse, nella gestione del segreto di Stato, la dialettica tra Governo e
Parlamento, non prendendo espressamente posizione sul ruolo del giudice
costituzionale in fase di controllo dei provvedimenti di conferma del segre-
to opposto nel processo penale ( 110 ).
La posizione della Magistratura rimaneva, in ogni caso, marginale,
non solo in ragione dell’ampia formulazione degli interessi tutelabili con
l’apposizione del segreto (formulazione destinata ad enfatizzare la discre-
zionalità dell’autorità amministrativa competente), quanto perché la disci-
plina legislativa non si occupava specificamente della sequenza procedi-
mentale di apposizione, opposizione e conferma del segreto, rendendo di
difficile praticabilità qualunque controllo in materia ( 111 ).
Né la legge del 1977 prevedeva espressamente, lo si è già detto, la mo-
tivazione del provvedimento di conferma del segreto di Stato opposto nel
processo penale, diversamente da quanto disposto, in modo indubitabile,

( 109 ) L’art. 39 recita infatti: sono coperti dal segreto di Stato « gli atti, i documenti, le noti-
zie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno... all’integrità della Re-
pubblica... », mentre il riferimento alla gravità del pregiudizio (specificato dal d.P.C.m., 8 aprile
2008 che parla di idoneità della diffusione della notizia a recare un danno grave), conferma il ca-
rattere discrezionale del provvedimento appositivo, conseguenza della non determinabilità “a
priori” delle notizie segretabili.
( 110 ) La scarna formulazione della legge, che pure alimenta un vivace dibattito dottrinario
sul ruolo del giudice del segreto, non impedisce tuttavia che la Corte costituzionale si pronunci
talora sul merito dei conflitti sollevati (sentenza n. 110/1998). La sentenza n. 404/2005 si pronun-
cia invece nel senso dell’inammissibilità del conflitto per intervenuta cessazione della materia del
contendere.
( 111 ) Tali direttive risultano ora sostituite dalle disposizioni regolamentari che, in attuazio-
ne della legge sono chiamate a definire in via generale ed in regime di pubblicità, i criteri di eser-
cizio della funzione, e dalle diverse classifiche di segretezza preposte a graduare i livelli di tutela
del segreto in relazione al carattere supremo o non dell’interesse tutelato.
178 ELEONORA RINALDI

con riguardo alla comunicazione del medesimo alle Camere (artt. 16 e 17, l.
n. 801/1977) ( 112 ).
Anche per questa ragione, il giudizio sulla legittimità dell’opposizione
del segreto nel processo penale, sollecitato dalla proposizione del conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato – non espressamente considerato, ma
neppure escluso – risultava difficilmente attuabile ( 113 ).
Al contrario, la l. n. 124 disciplina partitamente l’esercizio della fun-
zione di segretazione, nettamente distinguendo il momento della predeter-
minazione dei criteri di esercizio della funzione e l’adozione del provvedi-
mento di apposizione (artt. 39 e 42, l. cit.), dall’opposizione del segreto in
sede processuale, solo eventualmente seguita dalla conferma del Presidente
del consiglio interpellato ( 114 ).
E così, mentre l’indicazione (nell’art. 39, l. n. 124/2007) degli interessi
meritevoli di tutela delimita l’operatività del segreto di Stato sul piano so-
stanziale a seguito di una valutazione del legislatore, l’opposizione dello
stesso nel processo (seguita da interpello e conferma) ne esprime la dispo-
nibilità da parte dell’Esecutivo ( 115 ).
Il segreto, cioè, sussiste sul piano oggettivo quando una serie di atti,
fatti, notizie e/o documenti è ritenuta idonea, anche in seguito all’adozione
di un atto generale ed astratto, a recare danno « all’integrità della Repub-

( 112 ) Anche se, in via di prassi, la Presidenza del Consiglio ha motivato il provvedimento di
conferma del segreto opposto nel processo penale.
( 113 ) Alla sentenza n. 82/1976 seguono la sentenza della Corte costituzionale n. 87/1977 e,
più di recente, l’ordinanza n. 259/1986, dichiarativa dell’inammissibilità del conflitto di attribu-
zioni tra il giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze ed il Presidente del Consiglio dei Mi-
nistri, relativamente alla rivelazione della fonte delle informazioni fornite dai Servizi al giudice e la
sentenza n. 404/2005 (con nota di A. Ridolfi, Villa Certosa e segreto di Stato: inammissibile per
intervenuta cessazione della materia del contendere, il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato,
in www.associazionedeicostituzionalisti.it) di inammissibilità (per sopravvenuta cessazione della
materia del contendere) del ricorso depositato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Tempio Pausania contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in cui si lamentava la meno-
mazione dei poteri dell’autorità giudiziaria, in conseguenza degli atti ministeriali (impugnati) re-
lativi all’apposizione e conferma del segreto di Stato su luoghi e fabbricati che la Procura aveva
chiesto di ispezionare (in ispecie l’area denominata “Villa La Certosa”, in località Punta della Vol-
pe, Olbia, in locazione al Presidente del Consiglio in carica). In relazione allo svolgimento di un
procedimento penale avviato dopo la pubblicazione di notizie giornalistiche e successive relazioni
del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, nei confronti di persone da individuare e, successi-
vamente, « nei confronti dell’amministratore della società proprietaria di un’area di 50 ettari in
località Punta – Lada – Porto Rotondo, ... si ipotizzava la realizzazione di opere edilizie in assenza
della prescritta concessione e/o in difformità delle autorizzazioni a suo tempo rilasciate in viola-
zione di prescrizioni di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legisla-
tive e regolamentari in materia edilizia)... ».
( 114 ) Sulla distinzione tra apposizione ed opposizione del segreto, cfr. da ultimo G. Salvi,
Segreto, cit. par. 5 e 6.
( 115 ) Così G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, loco cit.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 179

blica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzio-


ni poste dalla Costituzione a suo fondamento » (se poi, l’informazione se-
gretata è contenuta in un documento, questo è dovutamente classificato);
mentre l’opposizione riguarda la rilevabilità dello stesso nel processo per-
ché riferito ad una precisa fonte di prova: diversamente dall’apposizione,
eventualmente riguardante anche più informazioni (se le informazioni sono
contenute in un atto questo viene classificato all’esito dell’apposita proce-
dura), l’opposizione, cioè, non può che avere ad oggetto la singola fonte
che quell’informazione contiene e può, nel caso concreto, discostarsi dalla
previa apposizione.
La distinzione (legislativa) tra apposizione e fase oppositiva (seguita
dall’interpello per conferma) consente così (all’Esecutivo) di individuare
caso per caso una preminente esigenza di segretezza rispetto all’interesse al-
l’accertamento giurisdizionale di un fatto-reato; non solo la distinta disci-
plina del procedimento di opposizione presuppone l’avvenuto svolgimento
della prima fase del procedimento, ad evitare che l’eccezione di cui all’art.
204 c.p.p. copra retroattivamente condotte illecite, ma la motivazione del
provvedimento di conferma, è chiamata a giustificare la proporzionalità del
sacrificio imposto, in nome del segreto, all’esercizio della funzione giurisdi-
zionale ( 116 ).
Il comma 5 dell’art. 40 – secondo cui « L’opposizione del segreto di
Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio, inibisce
all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione, anche indiretta, delle
notizie coperte dal segreto » – ha, in questa logica, una specifica ragion
d’essere: l’obbiettivo di evitare che, avvenuta l’apposizione del segreto con
riguardo ad un’intera categoria di notizie, debba procedersi, in ogni singolo
caso, all’individualizzazione dell’informazione, grazie alla sequenza del-
l’opposizione e dell’interpello per conferma è, infatti, perseguito (sulla base
di indicazioni già fornite dalla giurisprudenza costituzionale) ( 117 ), attraver-
so il divieto di utilizzazione “indiretta” delle notizie coperte dal segreto,
evidentemente riferito alle ipotesi in cui il giudice cerchi di utilizzare a fini

( 116 ) La circostanza che dall’apposizione si calcolino i termini di durata del segreto (art.
39), unitamente alla forma scritta richiesta per il provvedimento, non lascia infatti adito a dubbi,
mentre il fatto che in alternativa si consideri, come dies a quo, quello dell’opposizione del segreto
al giudice non è di per sé indicativa, in quanto l’unica ipotesi in cui il computo del temine potrà
avvenire a partire da questo secondo momento sarà dato dal caso in cui solo in fase di opposizione
al giudice sorga l’esigenza di apposizione del segreto (e l’apposizione non potrà comunque ope-
rare retroattivamente).
( 117 ) Cfr. Corte costituzionale sent. n. 487/2000.
180 ELEONORA RINALDI

processuali informazioni comunque riconducibili all’area del segreto già le-


gittimamente opposto ( 118 ).
Lo specifico legame tra la non conoscibilità di certi fatti e la tutela di
dati interessi (indicati dalla legge e dal DPCM di attuazione come merite-
voli di tutela), con effetto ostativo dell’accertamento giurisdizionale di reati
è, pertanto, costituito dall’esercizio della funzione di ponderazione nel caso
singolo degli interessi variamente concorrenti ( 119 ) (non lasciando spazio al-
cuno all’ontologica inerenza di date notizie alla tutela di certi interessi nel-
l’ordinamento costituzionale) ( 120 ), e l’esercizio del potere, necessariamente
ancorato « all’irragiungibile varietà del concreto » ( 121 ), solleciterà una va-
lutazione, caso per caso, sulla congruità del ricorso alla segretazione in rap-
porto al parametro della lesività e gravità degli effetti derivanti dal disvela-
mento di date circostanze.
Tale controllo è destinato ad articolarsi su due livelli: e così mentre
con riguardo al provvedimento impositivo del vincolo, – secondo uno
schema del tutto analogo a quello caratterizzante l’applicazione delle al-
tre norme incriminatrici dei reati di rivelazione ( 122 ) – il giudice penale,
chiamato ad accertare la sussistenza del reato, deve contestualmente va-
lutare la legittimità del provvedimento integrativo dell’art. 262 c.p., il
“riflesso processuale” della medesima disposizione è associato ad un si-
stema di controlli del tutto peculiare rispetto alle altre ipotesi di segreta-
zione.
L’opposizione dell’eccezione processuale di esistenza del segreto di
Stato impone infatti, immediatamente, al giudice penale di astenersi dal-
l’acquisizione processuale dell’informazione richiesta e tale conseguenza è

( 118 ) Cfr. G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, cit., 11: « l’accertamento penale trova nel
segreto uno sbarramento non aggirabile; esso potrà proseguire solo se basato su informazioni au-
tonome ».
( 119 ) La valutazione sull’idoneità lesiva del disvelamento di dati atti, notizie documenti etc.
imporrà di ascrivere al provvedimento natura costitutiva del segreto di Stato, questo presuppo-
nendo necessariamente una valutazione discrezionale dell’autorità competente finalizzata ad
escludere, chiunque non vi abbia titolo, dalla conoscenza di ciò che è tenuto segreto, ma contra
AA.VV., I Servizi, cit., 511-512.
( 120 ) Sul nesso di strumentalità tra funzione di segretazione e la tutela degli interessi legi-
slativamente indicati, forse la l. n. 801/1977 lasciava adito a qualche dubbio che consentiva di so-
stenere il carattere ontologicamente segreto di date notizie, oggi sicuramente da escludersi.
Quanto sostenuto nel testo non contrasta evidentemente con il carattere doveroso dell’atto di ap-
posizione che apre invece le porte al controllo del medesimo, tanto per ciò che riguarda l’osser-
vanza della tempistica della procedura di segretazione quanto per ciò che attiene all’osservanza
degli altri limiti funzionali.
( 121 ) L’espressione è mutuata da R. Bin, Giudizio in astratto e delega di bilanciamento in
concreto, Giur. cost., 1991, III, 3574-3582.
( 122 ) Sul sindacato in discorso, cfr. supra, par. 2.1.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 181

superabile solo previa proposizione del conflitto di attribuzione, nei con-


fronti dell’Esecutivo.
Diversamente da altre ipotesi di opposizione del segreto, cioè, il giudi-
ce penale deve limitarsi ad attivare la procedura di interpello per conferma
del segreto opposto, salvo proporre un ricorso per conflitto, laddove l’Ese-
cutivo confermi il divieto di acquisizione processuale di una certa informa-
zione mentre il giudice ritenga di dover procedere comunque.
Il segreto preso in considerazione dall’art. 204 c.p.p. (sostitutivo degli
artt. 342 e 352, c.p.p. 1930) ha dunque un ambito operativo diverso, sia da
quello sotteso alla nozione contemplata dai reati di rivelazione (artt. 256-
262 c.p.), che da quello sotteso alle norme del codice di rito disciplinanti
l’opposizione del segreto d’ufficio (o del segreto professionale).
La rivelazione (e non solo la rivelazione di segreti inerenti alla sicurez-
za nazionale), può essere infatti sanzionata dal giudice penale solo se esso è
posto in grado di verificare la legale apposizione del segreto (e l’attualità
dell’interesse protetto) ( 123 ), mentre in caso di opposizione processuale, per
espressa scelta del legislatore, la fondatezza della dichiarazione di astensio-
ne, non valutabile dal giudice penale (diversamente, l’art. 201 c.p.p. in re-
lazione all’art. 200, co. 2 e 3, c.p.p.) è in ultima istanza verificata dalla Corte
costituzionale ( 124 ).

9. – (Segue) ... e la disciplina dei controlli

La disciplina dell’art. 40, l. n. 124/2007 (che novella l’art. 202 c.p.p. –


quindi l’opposizione del segreto nel processo) va letta, dunque, in rapporto
al successivo art. 41 (specie al comma 8) che, nel disciplinare la procedura
di conferma successiva all’interpello formulato dall’A.G. al Presidente del
Consiglio circa la sussistenza del segreto di Stato, prevede « un atto moti-
vato del Presidente del consiglio dei ministri » ( 125 ) ed in ossequio alla pie-

( 123 ) Cfr. la più volte citata sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, 29 gennaio 2002, n.
3348. Sui poteri cognitivi del giudice relativamente ai provvedimenti integrativi di norme penali
“in bianco” cfr. già A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, cit., 1777-1782.
( 124 ) Salvo, evidentemente, il giudizio di responsabilità politica espresso, ex art. 31, l. n.
124/2007, dal Parlamento. Rimane in vita, tuttavia, la possibilità per il Presidente del consiglio
dei ministri di confermare anche al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica
(COPASIR), organo chiamato a far valere la responsabilità politica del Governo in materia, l’esi-
genza di riservatezza opposta con riguardo alla richiesta esibizione di atti o documenti (conferma
della quale il COPASIR potrà soltanto dare comunicazione alle due Camere, così l’art. 31, comma
10).
( 125 ) Nella nuova legge, la conferma del segreto produce dunque un effetto inibitorio im-
mediato che apre ai magistrati (cui sia stato opposto il segreto in fase di esame o di interrogatorio)
182 ELEONORA RINALDI

na controllabilità del provvedimento, precisa che « In nessun caso il segre-


to di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le neces-
sarie garanzie per la segretezza del procedimento » ( 126 ).
Senonché, la specificazione del thema decidendum del giudizio instau-
rato ( 127 ) deve confrontarsi con la perdurante, mancata categorizzazione
degli atti coperti dal segreto e con la genericità di contenuti comunque im-
putabile agli interessi indicati dal legislatore come meritevoli di tutela ( 128 ).
La scelta di non enumerare gli atti, i luoghi, le notizie “segretabili”,
pur inserita in un contesto normativo che considera come fasi procedimen-
tali distinte, l’apposizione, l’opposizione processuale e la conferma scaturi-
sce, infatti (lo si è detto) ( 129 ), dalla riconosciuta impossibilità di prevedere
in modo puntuale le ipotesi in cui si renderà necessaria la segretazione di
determinate informazioni contenute in atti, documenti, notizie, luoghi, con
effetti impeditivi dell’azione penale.

due “strade” dagli sbocchi opposti, la presa d’atto o la proposizione del conflitto di attribuzione
nei confronti dell’Esecutivo (disciplinato dall’art. 40 l. cit.).
L’effetto preclusivo (dell’acquisizione anche indiretta delle notizie coperte da segreto di
Stato) non impedisce al giudice di procedere, nell’accertamento del fatto-reato, in base « ad ele-
menti autonomi ed indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto di Stato ».
La preclusione, scaturente dal provvedimento di conferma ed il potere-dovere di prosegui-
re nella funzione giurisdizionale di accertamento del reato in base ad elementi autonomi, sono
dalla legge inscindibilmente connessi: una diversa impostazione altererebbe, infatti, « l’equilibrio
dei rapporti tra potere esecutivo e autorità giudiziaria che dovrebbero essere improntati al prin-
cipio di legalità ».
E non è chi non veda come una segretazione non avente oggetto specifico e concernete ge-
nericamente tutto l’assetto della relazioni tra organi di intelligence di due Paesi (relazioni inte-
granti esse stesse il fatto reato), alteri il funzionamento effettivo della descritta dinamica. Cfr.
AA.VV., I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 610. La decisione del giudice
costituzionale chiude la dialettica tra i due poteri, all’esito di un giudizio che, esclusa l’opponibi-
lità del segreto alla Corte stessa, non può ritenersi limitato alla mera individuazione del potere
competente, dovendo riferirsi anche alla valutazione sulla sussistenza o meno dei presupposti del
segreto, come agevolmente desumibile dalla inopponibilità alla Corte del segreto stesso.
( 126 ) L’art. 40 (commi 7 ed 8) della l. n. 124/2007 costituisce la “norma di chiusura” in ma-
teria di segretazione che, esplicitamente individuando nel giudice costituzionale l’organo compe-
tente a dirimere le controversie in materia, a questi consente di accedere anche ai profili coperti
da segreto di Stato. Sarebbe questa, ad avviso di molti autori, la “novità assoluta” della l. n. 124/
2007, cfr. V. Grevi, Nessun segreto (di Stato) per la Corte costituzionale, in Il Corriere della Sera,
14 ottobre 2007, 34; e C.F. Grosso, L’alibi del segreto di Stato, La Stampa, 17 febbraio 2007 se-
condo cui « l’ultima parola sull’esistenza del segreto... con la riforma... viene attribuita a un orga-
no indipendente di altissima caratura ».
( 127 ) Né la scelta della Corte costituzionale a dirimere in conflitti tra potere Esecutivo e po-
tere Giudiziario può stupire, visto che gli stessi sono « costituzionalmente equiordinati e (non ri-
sulta) corretto che nessuno dei due prevarichi l’altro », così L. Violante, Atti Camera, Assem-
blea, Resoconto della seduta del 5 febbraio 2007, 4.
( 128 ) Sulla perimetrazione sostanziale del segreto di Stato operata dalla l. n. 124/2007 e su-
gli elementi di continuità rispetto alla legislazione previgente, v. supra par. 7.
( 129 ) Supra par. 7.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 183

Muovendo dalle risalenti indicazioni della giurisprudenza costituzio-


nale, il legislatore del 2007 ha, pertanto, proceduto all’elencazione degli in-
teressi cui può essere riferito il concetto di sicurezza dello Stato (sia interna
che esterna) di cui all’art. 52 Cost. e rimesso alla competenza del Presidente
del Consiglio il compito di valutare la prevalenza di tali interessi rispetto ai
principi costituzionali concorrenti direttamente rilevanti nel processo (artt.
24, 101, 104, 112 Cost.).
Gli atti di apposizione sono così disegnati come immediatamente at-
tuativi di un giudizio di prevalenza degli interessi tutelati attraverso l’appo-
sizione del vincolo di non conoscibilità ( 130 ), mentre in fase di opposizione
processuale il Presidente del Consiglio interpellato ai fini della conferma
valuta la proporzionalità del sacrificio imposto all’interesse giurisdizionale
all’accertamento dei reati con riguardo al caso specifico.
È a partire da questo momento che la disciplina del segreto di Stato si
divarica da quella più generale del segreto meramente amministrativo
(d’ufficio): in caso di opposizione del segreto di Stato su una determinata
fonte di prova è previsto, infatti, che il sindacato sulla legittima opposizione
dell’eccezione, seguita dalla conferma dell’Esecutivo, sia svolto, data la na-
tura politico-amministrativa del segreto medesimo, dalla Corte costituzio-
nale ( 131 ) che, nella soluzione dei conflitti scaturenti dalla gestione del se-
greto avrà poteri cognitivi “pieni”, dovendo spingersi ad uno scrutinio
stretto di proporzionalità del sacrificio imposto agli altri diritti costituzio-
nali ( 132 ).
Deviando da una prassi giurisprudenziale finora abbastanza consoli-
data, volta a verificare soltanto la legittimità formale del provvedimento
(cioè la legittimazione soggettiva, la correttezza dell’istruttoria definita dal-
la legge e la credibilità “esterna” delle motivazioni addotte dal Presidente
del consiglio) la legge impone, così, l’adozione di modalità di sindacato più
stringenti, completate dalla prevista inopponibilità del segreto alla Corte
costituzionale ( 133 ).

( 130 ) Sugli atti politici cfr. almeno E. Cheli, Atto politico e funzione di indirizzo politico,
Milano, 1961, 55 ss. e P. Barile, I poteri del Presidente della Repubblica, Riv. trim. dir. pubbl.,
1958, 308; e Idem, La Corte costituzionale, organo sovrano: implicazioni pratiche, Studi in onore di
E. Crosa, II, Milano, 1960, 918 ss.
( 131 ) Cfr. G. Salvi, op. ult. loc. cit.
( 132 ) Coerente con tale scelta è la previsione del comma 8 dell’art. 40, secondo cui è la
Corte ad « adotta(re) le garanzie per la segretezza del procedimento necessarie cioè a non
compromettere la segretezza di atti e fatti comunque entrati nel proprio patrimonio conosciti-
vo: la previsione è quanto mai significativa, in quanto presuppone il rispetto delle prerogative
della Corte costituzionale nella scelta delle cautele idonee a preservare le informazioni segre-
tate ».
( 133 ) L’opzione in favore di questa seconda possibilità è netta in seguito all’emendamento
184 ELEONORA RINALDI

Sulla base della legislazione in materia, la Corte costituzionale ha,


dunque, il preciso dovere di sindacare il « concreto atteggiarsi della se-
quenza rappresentata dall’apposizione/opposizione/conferma del segre-
to », ben al di là dell’(ovvia) circostanza che la motivazione del provvedi-
mento di conferma investa « relazioni tra organi costituzionali aventi rile-
vanza sul piano puramente politico » ( 134 ).
Ribadita, in via di principio, la competenza a valutare « la sussistenza
o insussistenza dei presupposti del segreto di Stato ritualmente opposto e
confermato »; acquisita, attraverso apposita istruttoria, la motivazione del
provvedimento di conferma, la legittimità di quest’ultimo sarà sindacata
sulla base del bilanciamento effettuato con gli interessi rilevanti nel proce-
dimento penale ( 135 ).

10. – Il controllo sui limiti materiali della segretazione

L’individuazione dei limiti materiali del segreto di Stato non costitui-


sce una novità della l. n. 124/2007 (così l’art. 39, comma 1: « In nessun caso
possono essere oggetto di segreto di Stato notizie, documenti o cose relativi
a fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale o a fatti costituenti
i delitti di cui agli artt. 285, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale ») ( 136 ),

approvato durante la seduta del 14 febbraio 2007, Atti Camera. Assemblea. Resoconto seduta del
14 febbraio 2007, All. A, 37.
( 134 ) L’esclusione di ogni sindacato esprime all’opposto il tentativo di recuperare surretti-
ziamente la nozione di atto politico propria delle prime monarchie costituzionali in ossequio alle
caratteristiche oggettive della funzione di segretazione “disegnate” dalla giurisprudenza costitu-
zionale e “normativizzate” dalla l. n. 124/2007. Nell’ambito dell’attività svolta dagli organi del-
l’apparato amministrativo l’essenza della funzione di governo consisterebbe dunque in una liber-
tà assoluta « non... condizionata al rispetto di particolari disposizioni legislative; ma solo dell’in-
teresse generale dello Stato », così E. Chieli, Atto politico e funzione di indirizzo politico, cit., 33.
( 135 ) Incomprensibile risulta pertanto che, nella sentenza n. 106/2009, le istanze istrut-
torie formulate dalle difesa del giudice del dibattimento siano ritenute « inconferenti... giac-
ché... investono relazioni tra organi costituzionali aventi rilevanza sul piano puramente politi-
co » (così la sentenza n. 106/2009 con specifico riguardo alle richieste contenute nel ricorso n.
20/2008).
( 136 ) La ratio dei limiti materiali è ovvia sol che si considerino le “origini” del limite indivi-
duato in materia dalla giurisprudenza costituzionale (sin dal 1977), dalla prima legge di riforma
(nello stesso anno) ed ancor prima (1968), dal progetto di legge Boldrini per l’istituzione di una
commissione d’inchiesta sul SIFAR (A. Pace, L’apposizione, cit., 2): sarebbe infatti intrinseca-
mente contraddittorio che le disposizioni « poste a tutela del segreto di Stato (potessero) agevo-
lare la commissione di fatti diretti a minare gli stessi valori che il segreto è chiamato a protegge-
re », così C. Bonzano, Segreto, XI) Tutela processuale del segreto di Stato, in Enc. giur., Roma,
2001, 6.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 185

essendo già prevista dalla precedente normativa sostanziale (art. 12, l. n.


801/1977) ( 137 ).
Diversamente dal passato, però, la disciplina legislativa del 2007 di-
stingue con precisione il momento dell’apposizione da quello dell’opposi-
zione del vincolo di non conoscibilità, tanto al fine di impedire che quanto
non previamente “coperto” da segreto possa essere opposto come tale al
giudice penale in fase di accertamento di un reato, quanto per garantire che
l’operatività del segreto come limite alla prova penale avvenga all’esito di
un giudizio di proporzionalità del sacrificio imposto, nel caso singolo, al-
l’interesse generale all’accertamento dei reati.
In questa logica, e tenuto conto del fatto che uno degli ambiti “privi-
legiati” d’azione dei Servizi di informazione e sicurezza è l’attività di pre-
venzione dei fenomeni di terrorismo ed eversione, – attività della quale può
rendersi necessario tutelare la segretezza ( 138 ) – il legislatore del 2007 ha
compiuto una scelta netta e significativa: “elevare” il processo penale a sede
di valutazione dell’operatività in concreto del limite dei “fatti eversivi”.
Il limite materiale dei « fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costi-
tuzionale » (art. 39, comma 11), è cioè affermato, in via generale, dall’art.
39, comma 11, l. cit., ma il ruolo effettivamente svolto nella fattispecie con-
creta dipende dall’ambito di operatività riconosciuto dal giudice all’ecce-
zione processuale prevista dall’art. 204 c.p.p. ( 139 ).

( 137 ) Quest’ultima, invero, disciplinando i casi di esclusione del segreto, per un verso rece-
piva la precisa indicazione fornita dalla sentenza n. 86/1977 (« mai il segreto potrebbe essere al-
legato per impedire l’accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale »), per altro aspetto,
dava solo parziale attuazione alla medesima, poiché, “richiamati” (come limite materiale) i soli
fatti eversivi, non impediva di invocare il segreto su fatti diversi, la cui conoscenza fosse comun-
que necessaria ad accertare attività volte a sovvertire l’ordine costituzionale. Tale circostanza è
destinata ad incidere significativamente sulle possibilità operative del limite materiale previsto
dalla l. n. 801/1977, non risultando idonea ad impedire, (in vicende tristemente note), l’uso ille-
cito del segreto di Stato. Con riguardo all’uso che del segreto di Stato è stato fatto nella tragedia di
Ustica e nel caso Gladio, cfr. G. Salvi, Il segreto di Stato. Interpretazione estensiva della fattispe-
cie, Guida al diritto, suppl. a Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2007, n. 40, 43.
( 138 ) Cfr., tra l’altro, l’art. 40, comma 3, l. n. 124/2007, che inserisce nell’art. 204 c.p.p. il
comma 1-bis: « ... Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli artt. 201, 202 e 203 fatti,
notizie o documenti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informa-
zione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione
prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. Si considerano vio-
lazioni della predetta disciplina le condotte per le quali, essendo stata esperita l’apposita proce-
dura prevista dalla legge, risulta esclusa l’esistenza della speciale causa di giustificazione ».
( 139 ) La seconda innovazione della l. n. 124/2007 risiede nel fatto che, in base ai commi 2 e
4 dell’art. 40 della legge di riforma, la segretazione è esclusa (attraverso l’integrazione dell’art.
204, comma 1, primo periodo, c.p.p.) non solo con riguardo a « fatti, notizie o documenti concer-
nenti reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale » (previsione già contenuta nella
disciplina del 1977) ma anche a « fatti, notizie o documenti concernenti i delitti previsti dagli artt.
285, 416-bis, 416-ter, e 422 del codice penale » (così l’art. 40, comma 2, l. cit.).
186 ELEONORA RINALDI

Novellando l’art. 204 c.p.p., già il legislatore del c.p.p. 1988 riconosce-
va del resto al giudice penale sia il potere di qualificazione del reato che
quello di valutare l’inerenza o meno dei fatti non integranti la figura di rea-
to ai reati diretti all’eversione dell’ordine costituzionale (all’accertamento
dei quali è finalizzato il procedimento penale pendente), mentre l’eventua-
lità che la suesposta valutazione di “inerenza” potesse divenire strumentale
all’aggiramento di un segreto legittimamente apposto (ed opposto) era (ed
è) “bilanciata” dal previsto obbligo di comunicazione al Presidente del
Consiglio del provvedimento giurisdizionale che, sulla base della stessa, ri-
gettasse l’eccezione (ipotesi nella quale il Presidente del Consiglio che ri-
tenga illegittimamente aggirato un segreto di Stato potrà promuovere il
conflitto tra poteri dello Stato).
Nella logica dei rapporti tra disciplina sostanziale e disciplina proces-
suale risulta così problematica la previsione dell’art. 66, comma 2, disp. att.,
c.p.p. inserito dalla l. n. 124/2007 (art. 41, comma 4), secondo cui, « Quan-
do perviene la comunicazione prevista dall’art. 204, comma 2, del codice, il
Presidente del consiglio dei Ministri, con atto motivato, conferma il segreto
se ritiene che non ricorrano i presupposti indicati nei commi 1, 1-bis e 1-ter
dello stesso articolo, perché il fatto, la notizia o il documento coperto dal
segreto di Stato non concerne il reato per cui si procede » ( 140 ).
È da escludere infatti che il Presidente del Consiglio possa esprimere
un convincimento ragionevole circa l’inerenza di un dato « fatto, ... notizia,
o... documento » al reato per cui il giudice penale sta procedendo.
Piuttosto che attuare l’art. 204 c.p.p., l’art. 66, comma 2, disp. att.,
“tradisce”, dunque, il tentativo di “emarginare” l’autorità giudiziaria quale
unica autorità competente ad esprimere la valutazione sulla natura giuridi-
ca del fatto oggetto di accertamento e sottende l’idea che il rilievo proces-
suale di una fonte di prova possa essere “deciso” interamente dall’Esecuti-
vo ( 141 ).

( 140 ) La norma conclude stabilendo che « In mancanza, decorsi trenta giorni dalla notifi-
cazione della comunicazione, il giudice dispone il sequestro del documento o l’esame del soggetto
interessato ».
( 141 ) La norma sostanziale dovrebbe ovviamente prevalere su quella processuale (invero,
manca per il momento una presa di posizione sul punto, mentre è evidente che l’ostacolo non è
aggirabile riconoscendo al giudice il potere di qualificare il fatto ed al Presidente del consiglio
quello di segretare la fonte di prova relativa ad una singola circostanza), cfr. AA.VV., I Servizi,
cit., 651. La giustificazione addotta a sostegno dell’art. 66 disp. att. risiede nel fatto che, mentre
l’art. 204 c.p.p., escludendo l’opponibilità del segreto, parlerebbe di « reati diretti all’eversione
dell’ordine costituzionale », l’art. 39, comma 11, l. n. 124/2007, riferendosi all’applicabilità della
norma sul piano sostanziale, prenderebbe in considerazione le « notizie, documenti o le cose... re-
lativi ad atti... eversivi dell’ordine costituzionale », sì che, diversamente dal giudice, in fase defini-
toria (art. 39) il Presidente del consiglio valuterebbe il fatto in quanto tale (ignorando del tutto il
collegamento col soggetto attivo).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 187

Quanto alla nozione sostanziale contemplata dall’art. 39, l. n. 124/


2007, non convince, infine, l’idea che il concetto di « fatti eversivi dell’or-
dine costituzionale », ivi menzionato, sia più ampio dei reati eversivi nomi-
nativamente considerati dal codice penale ( 142 ) e che, pertanto, in quanto
« non identificante fattispecie criminose nominativamente individuate »,
esso sarebbe volto a perseguire « lo scopo ben diverso di qualificare le più
varie e disparate fattispecie di reato che, in sede interpretativa, siano ritenu-
te suscettibili di pregiudicare i principi supremi del nostro ordinamento co-
stituzionale, quali si andranno evolvendo nella giurisprudenza costituzio-
nale in una con la mutata sensibilità dei consociati » ( 143 ).
Tale chiave di lettura, pure ispirata dal condivisibile intento di inclu-
dere nell’orbita dei principi supremi le libertà (artt. 13, 14 e 15 Cost.) rite-
nute « ... più intimamente connesse all’individualità umana » ( 144 ), e condi-
visibile, se volta a distinguere la fase dell’apposizione e quella dell’opposi-
zione appare, infatti, inaccettabile ( 145 ), in quanto preordinata a divaricare
l’ambito di applicazione della norma sostanziale (art. 39, co. 11, l. cit.) da
quello della norma processuale (art. 204 c.p.p.), a discapito del principio di
tassatività dei reati.
La circostanza invocata a sostegno di tale lettura, il fatto cioè che al-
l’epoca dell’individuazione del limite dei fatti eversivi (con la sentenza 86/
1977) il reato corrispondente non fosse ancora specificamente previ-
sto ( 146 ), sembra del resto conseguenza della matrice ideologica del codice
penale del 1930 che, teso ad identificare l’ordine pubblico “di polizia” (o
amministrativo) con l’ordine costituzionale, entrambi originariamente inte-
si nell’accezione di ordine ideal-normativo ( 147 ), non abbisognava, nella
versione originaria, della previsione specifica di reati diretti all’eversione
dell’ordine costituzionale perché ogni singolo reato contro l’ordine pubbli-
co era al tempo stesso lesivo dell’ordine costituzionale.
Né ciò impedisce di rilevare, dopo la pronuncia del 1977 – e con l’in-
tento specifico di garantire la tipicità della norma penale incriminatrice, alla
luce di un’interpretazione conforme a Costituzione ( 148 ) – l’esistenza di un

( 142 ) Cfr. A. Pace, Il diritto costituzionale, cit., 1116-1117.


( 143 ) Ancora A. Pace, op. ult. cit., 1118.
( 144 ) Così A. Pace, op. ult. loc. cit.
( 145 ) Così A. Anzon, Il segreto di Stato ancora una volta tra Presidente del Consiglio, auto-
rità giudiziaria e Corte costituzionale, cit., 1032.
( 146 ) Cfr. A. Pace, op. ult. loc. cit.
( 147 ) Sulla distinzione tra ordine pubblico in senso ideale ed ordine pubblico in senso ma-
teriale, cfr. già A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in estratto da Ar-
ch. giur. Serafini, CLXV, 3-24.
( 148 ) Interpretazione cui richiama F. Ramacci, Segreto di Stato, saluse rei publicae e « sbar-
ramento » ai p.m., cit., 1019.
188 ELEONORA RINALDI

intervento del legislatore, a configurare la generale circostanza aggravante


di terrorismo ed eversione, nonché altre ipotesi tipiche di reato (artt. 289-
bis c.p., 280 c.p., 270-bis c.p.). Ciò al fine di ovviare all’assenza di una nor-
ma invocabile per la sanzionabilità penale delle condotte dirette a ledere il
bene della sicurezza (interna ed esterna) dello Stato, nei casi in cui dati
comportamenti materiali non contrastassero semplicemente con l’ordine
pubblico amministrativo (comunque inteso, nel nuovo assetto costituziona-
le, in senso materiale) ( 149 ) ma avessero il fine specifico di sovvertire in ra-
dice « le strutture organizzative supreme e gli istituti essenziali che la Costi-
tuzione ha posto a presidio del metodo democratico (corsivo mio) » ( 150 ).
Nè, successivamente, per estendere « interpretativamente (la fattispe-
cie) già prevista » ( 151 ) di terrorismo (interno) alle ipotesi di terrorismo in-
ternazionale, il legislatore omette un ulteriore intervento (sempre al fine
soddisfare il principio di tassatività dei reati) al fine specifico di precisare
che « ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quan-
do gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o
un organismo internazionale » (così l’art. 270-bis, c.p. modif. dal D.L. 18
ottobre 2001, n. 374, conv. in l. n. 438/2001) ( 152 ).

( 149 ) Sulla questione definitoria del concetto di ordine costituzionale, con particolare ri-
guardo alla possibile sovrapposizione tra questo e la nozione di ordine pubblico il dibattito dottri-
nario è assai esteso. Per una panoramica dei diversi significati ricavati dall’interpretazione dell’art.
12, comma 2, l. n. 801/1977, cfr. tuttavia almeno A. Pace, Il diritto costituzionale come regola e
limite del potere, in Scritti in onore di Lorenza Carlassare, III, Napoli, 2009, 1103-1105. Sul con-
cetto di ordine pubblico, cfr. almeno L. Paladin, voce Ordine pubblico (dir. pubbl.), Enc. dir.,
XXX, Milano, 1980, 1057; C. Fiore, voce Ordine pubblico (dir. pen.), ivi, 1092, e più di recente
A. Cerri, voce Ordine pubblico. II) Diritto costituzionale, in Enc. giur., Roma, 1990, e Postilla di
aggiornamento, ivi (2007); infine, con riguardo all’esigenza di distinguere tra la nozione penalisti-
ca di ordine pubblico e quella amministrativistica, M. Manetti, in A. Pace - M. Manetti, Art.
21, cit., 249 ss.
( 150 ) Così, anche A. Anzon, Segreto, cit., 1795.
( 151 ) Cfr. G. Salvi, Il segreto di Stato. Interpretazione estensiva della fattispecie, cit., 73.
( 152 ) Ovviamente rimangono in vigore, perché non contrastanti con la nuova normativa, le
previsioni di non opponibilità del segreto disciplinate da altre fonti e non attinenti a fatti eversivi,
cfr. art. 6, l. n. 219/1989, concernente i reati previsti dall’art. 90 Cost.; art. 10, l. n. 374/1997, nor-
me per la messa al bando delle mine antipersona; art. 9, l. n. 106/1999, di ratifica della convenzio-
ne internazionale sulle mine antipersona. Né i più recenti interventi legislativi (norme interpreta-
tive) sembrano essersi mossi in direzione diversa ed anzi, precisando che la finalità di terrorismo
ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione od un
organismo internazionale (270-bis, comma 3, c.p., introdotto dalla l. n. 438/2001) ed estendendo
ulteriormente il concetto attraverso l’art. 270-sexies c.p. (introdotto dalla l. n. 155/2005) – sulla
base del quale « sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura e
contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono
compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizza-
zione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare le strut-
ture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazio-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 189

Con riguardo all’individuazione del limite materiale dei fatti eversivi,


le considerazioni svolte suggeriscono dunque, di accantonare la prospettiva
della “non coincidenza” tra ambito di applicabilità dell’art. 39, l. cit. ed am-
bito di applicabilità dell’art. 204 c.p.p., imponendo semmai di soffermarsi
sulle caratteristiche delle fattispecie astratte dei reati diretti all’eversione
dell’ordine costituzionale, sia per ciò che riguarda l’elemento soggettivo
che per quanto riguarda l’elemento oggettivo richiesti per la sussistenza del
reato ( 153 ).
Invero, sin dall’introduzione nel nostro ordinamento (ad opera del
D.L. 21 marzo 1978, n. 59, conv. in l. n. 191/1978) – attraverso l’inserimen-
to nel codice penale di una nuova fattispecie delittuosa, il sequestro di per-
sona con finalità di terrorismo o di eversione (art. 289-bis c.p.) – la nozione
di eversione è associata a quella di terrorismo, entrambe concorrendo (a di-
stanza di poco più di un anno) ad integrare la generale circostanza aggra-
vante applicabile a tutti i reati puniti con pena diversa dall’ergastolo (così
l’art. 1 del D.L. n. 625/1979, conv. in l. n. 15/1980).
Anche l’entrata in vigore, a breve distanza di tempo (e nel contesto
della c.d. « legislazione dell’emergenza »), delle norme incriminatrici di

ne internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terro-
rismo da convenzioni o da altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia » – le più re-
centi norme legislative rendono perfino meno consistente (forse annullandola) la distinzione tra
terrorismo e fatto eversivo dell’ordine costituzionale. Già la Convenzione di Ginevra del 16 di-
cembre 1937 (Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo), mai ratificata,
conteneva una definizione di carattere generale degli atti di terrorismo. Dopo vari tentativi, coglie
in un prospettiva globale il fenomeno in discorso, la Convenzione europea per la repressione del
terrorismo, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1977 che abbina al sistema casistico (elencando
specifiche attività criminose con finalità di terrorismo) l’enucleazione di un concetto unitario. In
passato, infatti, la giurisprudenza riteneva che costituisse finalità di terrorismo « quella di incute-
re terrore nella collettività con azioni criminose indiscriminate, dirette cioè non contro singole
persone ma contro quello che esse rappresentano o, se dirette contro la persona indipendente-
mente dalla sua funzione nella società, miranti ad incutere terrore per scuotere la fiducia nell’or-
dinamento costituito o indebolirne le strutture. La finalità di eversione si identifica invece nel fine
più diretto di sovvertire l’ordine costituzionale e di travolgere l’assetto pluralistico e democratico
dello Stato, disarticolandone le strutture, impedendone il funzionamento o deviandolo dai prin-
cipi fondamentali che costituiscono l’essenza dell’ordinamento costituzionale », così Cass., Sez. I
penale, sent. 11382, 5 novembre 1987.
( 153 ) Cfr. G. Salvi, Il segreto di Stato. Interpretazione estensiva della fattispecie, cit., 73:
« Non potranno essere considerate segrete sin dall’origine, le informazioni concernenti tali fatti e
da ciò discende la non apponibilità di un segreto che non può sussistere ». Mentre l’art. 39, com-
ma 11, contempla, infatti, come ipotesi di esclusione del segreto i fatti di terrorismo od eversivi
dell’ordine costituzionale, o quelli costituiti dai reati tassativamente indicati, l’art. 204 c.p.p. (ol-
tre a conservare l’impostazione testuale che legava l’esclusione del segreto ai delitti) non “esten-
de” i casi di inopponibilità (del segreto) ai fatti, notizie e documenti relativi (oltre che a reati con
finalità eversive) ai fatti di terrorismo. Il carente raccordo formale non impedisce tuttavia di rite-
nere che alla norma generale sostanziale debba riconoscersi preminenza rispetto a quella proces-
suale.
190 ELEONORA RINALDI

due specifiche fattispecie, l’« attentato per finalità terroristiche o di ever-


sione » (art. 280 c.p.) e l’« associazione con finalità di terrorismo o di ever-
sione dell’ordine democratico » (art. 270-bis c.p.p.) introdotte dagli artt. 2
e 3 del D.L. n. 625/1979 (conv. in l. n. 15/1980), conferma la menzione “as-
sociata” delle due finalità, quasi a costituire un’endiadi, o quantomeno ipo-
tesi aventi matrice unitaria ( 154 ).
La collocazione di tutte le norme citate nel Titolo dedicato ai Delitti
contro la personalità interna dello Stato e la struttura dei delitti contemplati,
nel primo caso la finalità di terrorismo o eversione è oggetto di dolo specifi-
co, nel secondo è scopo dell’associazione illecita, concorrono ad evidenziare
che la lesione dell’interesse protetto dalla norma richiede una specifica fi-
nalizzazione dell’attività materiale a « sovvertire l’ordine democratico o le
istituzioni della Repubblica... (a) travolgere l’assetto pluralistico e demo-
cratico dello Stato, disarticolandone le strutture, impedendone il funziona-
mento o deviandolo dai principi fondamentali che costituiscono l’essenza
dell’ordinamento » ( 155 ).
Sicché, anche a voler prescindere dalla nozione di ordine costituziona-
le specificamente rilevante ( 156 ), per la sussistenza dei reati di terrorismo ed
eversione, in quanto reati a dolo specifico ( 157 ), è essenziale non tanto il fat-
to che un certo comportamento sia sanzionato dalla norma che di volta in
volta tutela il singolo valore costituzionale offeso (attraverso i delitti contro
l’ordine pubblico, la vita, l’incolumità personale) ( 158 ), ma la preordinazione

( 154 ) Così P.L. Vigna, La finalità di terrorismo ed eversione, Milano, 1981, 64.
( 155 ) Così A. Anzon, op. ult. cit., 1033.
( 156 ) Sulla nozione, A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in
estratto da Arch. giur. Serafini, cit., e Idem, Ordine pubblico, ordine pubblico costituzionale, ordine
pubblico secondo la Corte costituzionale, Giur. cost., 1971, 1777 ss.
( 157 ) Così, persuasivamente, C. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, II,
Bologna, 2007, 6 ss.; E. Gallo - E. Musco, Delitti contro l’ordine costituzionale, Bologna, 1984,
e, in nota alla sentenza n. 106/2009, F. Ramacci, Segreto di Stato, salus rei publicae e « sbarramen-
to » ai p.m., cit., 1018, ma già A. Anzon, Segreto di Stato e Cost., cit., 1795.
( 158 ) Sicché, pur vero che, « Via via che si transita dal reato consumato al tentativo (an-
che questo diversamente configurabile, essendo diversa la fattispecie che esclude la punibilità
degli atti preparatori da quella che non la esclude), al reato a consumazione anticipata (di at-
tentato), dal reato di danno al reato di pericolo... dal pericolo in concreto a quello in astratto,
dalla partecipazione al fatto illecito al reato associativo, dalla fattispecie penale alla misura di
prevenzione, ci si allontana anche dal polo dell’ordine pubblico materiale per avvicinarsi a
quello dell’ordine pubblico ideale », cfr. A. Cerri, Ordine pubblico, Postilla di aggiornamento,
cit., 1, la possibilità di ricostruzione costituzionalmente adeguata del diritto penale sembra con-
fliggere in questo caso con i principi di tipicità ed offensività, compromessi dalla ricostruzione
di ogni delitto come lesivo oltre che del singolo bene, dell’ordine costituzionale, cfr. F. Ra-
macci, op. ult. cit., 1019.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 191

di un compiuto programma alla realizzazione di una vera e propria strategia


eversiva ( 159 ).
Il limite dei fatti eversivi è così ricondotto alla ratio che ne ispira l’in-
dividuazione nella più volte menzionata sentenza n. 86/1977: la contraddit-
torietà logica rispetto alla funzione cui il segreto di Stato è preordinato, la
tutela cioè delle condizioni di esistenza dello Stato come forma politica di
una comunità, condizioni che, certo non rafforzate dal compimento di sin-
goli atti delittuosi contro la vita, l’integrità fisica ecc., non risultano automa-
ticamente minacciate da uno (pure esecrabile) di questi atti ( 160 ).

( 159 ) Della differenza tra atti delittuosi con finalità di terrorismo od eversione e singoli atti
lesivi di altri beni, pure costituzionalmente tutelati, il legislatore del 2007 prende atto, dunque,
sviluppando la medesima e “separando” l’ambito di operatività della cause di giustificazione del
personale dei Servizi da quello dell’apponibilità/opponibilità del segreto di Stato.
Il divieto di singole condotte del personale dei Servizi dirette a « ... mettere in pericolo o a
ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la
salute o l’incolumità di una o più persone » (art. 17, comma 2, l. n. 124/2007) è, così espresso at-
traverso la dichiarata inapplicabilità delle garanzie funzionali in tali ipotesi, ma rimane distinta –
conformemente all’affermata configurazione che i fatti con finalità di terrorismo od eversivi han-
no nel nostro ordinamento – dalla « Disciplina del segreto » contenuta nel Capo V.
Dopo aver sancito anzi in via generale, che « Non possono essere autorizzate ai sensi del-
l’art. 18, condotte previste dalla legge come reato per le quali non è apponibile il segreto di Stato
a norma dell’art. 39 comma 11 », l’art. 17, comma 4, l. cit., precisa, in via d’eccezione, che l’auto-
rizzazione a commettere reati (a garantire l’operatività della speciale causa di giustificazione pre-
vista dall’art. 17), può essere accordata se la condotta delittuosa autorizzata si traduce nella mera
partecipazione alle associazioni di stampo mafioso o terroristico (« ... ad eccezione delle fattispe-
cie di cui agli artt. 270-bis, secondo comma, e 416-bis, primo comma, del codice penale »). L’am-
bito operativo delle garanzie funzionali e del segreto di Stato coincidono, invece, nuovamente
(nel comma 4 dell’art. 17) quando si esclude che possano essere autorizzate (consentendo di frui-
re delle garanzie funzionali) condotte del personale dei servizi « previste dalla legge come reato
per le quali non è opponibile il segreto a norma dell’art. 39, comma 11 », con ciò dimostrandosi
l’evidente consapevolezza in ordine alla circostanza che i fatti eversivi e di terrorismo, in quanto
oggetto di un programma, costituiscono ipotesi delittuose diverse e più complesse dei singoli atti
volti a mettere in pericolo l’integrità fisica delle persone, comunque mancanti della finalizzazione
a sovvertire le condizioni di esistenza/continuità dello Stato come comunità politica organizzata.
( 160 ) Il bene tutelato dalle norme incriminatrici dei delitti contro la personalità dello Stato
inteso come insieme delle condizioni di esistenza della Repubblica espressi dall’art. 1, comma 2,
49 e 138 Cost. si presenta così armonico ai principi (artt. 52 e 126 Cost.) che delimitano, secondo
la giurisprudenza costituzionale, l’operatività del segreto di Stato. Tali conclusioni appaiono vici-
ne a quelle raggiunte dalla dottrina che ricostruisce il concetto di ordine pubblico costituzionale
nei termini di « assenza di atteggiamenti capaci di determinare una rottura, soprattutto violenta,
dell’ordine costituzionale », cfr. C. Lavagna, Il concetto di ordine pubblico alla luce delle norme
costituzionali, Dem. dir., 1967, 359 e a ben vedere, C. Fiore, Ordine pubblico (dir. pen.), cit., 1092
che riferisce il concetto di ordine pubblico « almeno (a) quei principi e quelle istituzioni alla cui
continuità e immutabilità si vuole sia affidata la sopravvivenza delle comunità organizzata ». Sul
punto, riassuntivamente, S. Moccia, Ordine pubblico (diposizioni a tutela dell’), Enc. giur., Roma,
1990, 1-16 e A. Cerri, Ordine pubblico, II) Diritto costituzionale, cit., 1-11 e Idem, Postilla d’ag-
giornamento, cit., 1-3. Né la circostanza che la nozione di « fatti eversivi dell’ordine democrati-
co » originariamente considerata dalla legislazione dell’emergenza sia stata poi sostituita da quella
192 ELEONORA RINALDI

11. – Qualche riflessione conclusiva su Corte costituzionale ed arcana imperii


La ridefinizione dei limiti materiali e funzionali del segreto di Stato
nella legge di riforma è destinata ovviamente a rimanere inattuata ove non
associata alla realizzazione di un efficace sistema di controlli ( 161 ).
Non ci siamo soffermati, in ragione del limitato periodo di vigenza, sui
controlli effettuabili, alla luce della nuova normativa, dai giudici penali (or-
dinari e militari) in relazione alla recente disciplina delle « Classifiche di se-
gretezza » ( 162 ) ed abbiamo considerato piuttosto il profilo peculiare alla di-
sciplina del segreto di Stato, la circostanza, cioè, che il controllo di legitti-
mità dell’opposizione e conferma del segreto di Stato nel processo sia affi-
dato alla Corte costituzionale, a tutela delle condizioni di esistenza della
nostra comunità politica.
La copertura offerta dal segreto di Stato impone, infatti, in seguito alla
procedura oppositiva, una verifica contenziosa del tutto peculiare a garan-
zia della legittima opposizione del vincolo di non conoscibilità di dati fatti,
notizie e documenti ( 163 ) che, rispetto alla l. n. 801/1977, costituisce una
netta innovazione, vista l’espressa assegnazione alla Corte costituzionale
del compito di adottare « le garanzie necessarie per la segretezza del proce-
dimento », accompagnata dal divieto di opporre alla stessa il segreto di Sta-
to (art. 41, comma 8, l. cit.).
Il thema decidendum del giudizio attivato in seguito alla proposizione
del conflitto di attribuzioni non può pertanto dirsi limitato, con riguardo ai

di fatti eversivi dell’ordine costituzionale incide sulla validità delle considerazioni svolte, visto che
il concetto di ordine costituzionale è stato dichiarato equivalente alla preesistente nozione di « or-
dine democratico » con norma legislativa di interpretazione autentica. L’intervenuta equiparazio-
ne fuga anzi ogni dubbio sulla consistenza della nozione di fatti eversivi dell’ordine costituziona-
le; tanto i fatti eversivi dell’ordine costituzionale, quanto i fatti eversivi dell’ordine democratico
hanno infatti il fine di sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato nelle sue vari articola-
zioni e di travolgere in via definitiva il suo assetto democratico pluralistico attraverso un program-
ma di violenza che è elemento costitutivo del reato.
( 161 ) Su cui già A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, cit., 1777. Su tale profilo richia-
miamo tuttavia l’attenzione: si presume infatti che esso giungerà presto all’attenzione dei com-
mentatori, dal momento che della classificazione di segretezza (in particolare della formula riser-
vatissimo), si è fatto uso di recente perfino con riguardo agli accordi di forniture stipulati dal go-
verno con una nota multinazionale farmaceutica relativamente al costo delle dosi (24 milioni di
dosi) di vaccino contro l’influenza suina ad essa commissionato, cfr. M. Sensini, Un contratto se-
greto per il vaccino del virus A, Il Corriere della Sera, 25 ottobre 2009, 25.
( 162 ) Attraverso l’art. 42, la l. n. 124 distingue infatti, nettamente il segreto amministrativo
dal segreto di Stato in senso stretto, tanto per ciò che riguarda le modalità di esercizio del potere,
quanto in ordine al sistema dei controlli, cfr. A. Anzon, Segreto, cit.
( 163 ) Ribaditi in modo non troppo diverso dal passato, gli interessi tutelabili (in quanto su-
premi), precisato l’assetto delle competenze circa l’apposizione del grado di segretezza più eleva-
to (diversamente dal passato, A. Anzon, Segreto, 1797), rimane cruciale la questione dei controlli
sulla discrezionalità esercitata.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 193

limiti funzionali, alla valutazione di irragionevolezza esterna del provvedi-


mento di conferma, né, per quanto riguarda i limiti materiali, può ritenersi
precluso l’accertamento del legittimo operare del limite dei fatti eversivi.
Conclusioni diverse porterebbero ad una radicale reinterpretazione
dell’intero sistema degli atti di diritto pubblico, con inserimento nel mede-
simo di un provvedimento concretamente esentato dall’osservanza del
principio di legalità costituzionale.
Il potere che “si occulta” acquisterebbe così margini operativi costitu-
zionalmente vietati ( 164 ), in un regime che, autenticamente democratico,
non può rinunciare alla pubblicità come regola di esercizio del potere, né
accettare, in nome della “ragion di Stato” ( 165 ), sì drastico spostamento del
punto di equilibrio inerente all’organizzazione dei poteri ed alla distribu-
zione delle funzioni costituzionali ( 166 ).
Ed invero, anche alla luce della recente sentenza n. 106/2009, sembra
opportuno ribadire che di tale spostamento degli equilibri la Corte costitu-
zionale, anche quando protesa ad affermare la non ingerenza « nelle rela-
zioni tra organi costituzionali aventi rilevanza sul piano puramente politi-
co » ( 167 ) è sicura attrice ( 168 ): rifiutando di “conoscere” della motivazione

( 164 ) Volto a salvaguardare la salus rei publicae, il potere di segretazione diviene all’oppo-
sto espressione di una sovranità inidonea a subire, limiti formali e contenutistici: esercizio di su-
preme valutazioni politiche, l’atto oppositivo potrebbe paralizzare, in qualunque momento,
l’esercizio della funzione giurisdizionale e, quand’anche asseritamente correlato alla tutela di un
bene costituzionalmente protetto, risultare immune da qualunque forma di controllo in ordine al
perseguimento dell’interesse suddetto, oltre che rispetto all’osservanza dei principi (ritenuti fon-
damentali nel nostro Stato costituzionale) di legalità, correttezza, lealtà, proporzionalità dell’azio-
ne pubblica concreta.
( 165 ) Cfr. per tutti, N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, Riv. it. sc. pol., 1980, 2,
181 ss.
( 166 ) Le norme costituzionali degli artt. 1, 5 e 52 Cost., indice di riferimento comune per
tutte le forze operanti nel sistema cesserebbero, in tal caso, di rilevare (oltre che come strumento
d’azione), come limite all’azione dell’asse Governo-Parlamento, cfr. A.M. Sandulli, Natura, fun-
zioni ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale sulla legittimità delle leggi, in Riv. trim. dir.
pubbl., 1958, 23-48, ora ripubblicato in Scritti giuridici, I, Napoli, 1990, 373 ss., 395. Sulla nozione
di limite costituzionale, M. Cappelletti, L’attività e i poteri del giudice costituzionale in rapporto
con il loro fine generico, Scritti giuridici in memoria di P. Calamandrei, III, Padova, 1958, 85 ss.,
specie 109: « Sembra senz’altro ammissibile che, per limiti debbano intendersi sia le volizioni po-
sitive (di fare ad esempio), sia quelle negative – che a rigore, sono anch’esse positive: purché in
ogni caso, si tratti effettivamente di volizioni, di comandi, e non di semplici istruzioni non impe-
rative o meramente facoltizzanti » (indicando con quest’ultima qualifica le rare norme costituzio-
nali programmatiche che stabiliscono la possibilità ma non l’obbligatorietà di perseguire un dato
fine); nonché, evidentemente, A. Pace, I limiti del potere, Napoli, 2008, specie in Premessa, XII.
( 167 ) Così la sentenza n. 106 citata.
( 168 ) Questo perché, se l’attività degli organi di indirizzo politico è funzione limitata nega-
tivamente ed esternamente dalla Costituzione formale (e non vincolata positivamente ed interna-
mente al perseguimento dei fini posti dalla Costituzione formale), la posizione degli organi di ga-
194 ELEONORA RINALDI

di un provvedimento di conferma del segreto di Stato opposto in sede pro-


cessuale essa, infatti, non solo discutibilmente “risolve” la motivazione del
provvedimento nel complesso di tali relazioni, ma esclude l’esistenza di un
limite qualsivoglia alle modalità di esercizio delle competenze governati-
ve ( 169 ).
È quindi spontaneo chiedersi se, lungi dall’esemplificare un apprezza-
bile self-restraint, tale affermazione, tanto più significativa in quanto com-
piuta rispetto ad un’attività del governo in cui “matura” la fase immediata-
mente esecutiva dell’indirizzo politico affidato alle forze di maggioran-
za ( 170 ), non indebolisca l’equilibrio costituzionale « rispetto ad eventuali
colpi di mano » delle forze politiche presenti nell’ordinamento, esponendo
la stessa Corte costituzionale – che trae la propria forza politica dalla costi-
tuzione e dal permanere della situazione di equilibrio/compromesso tra op-
poste forze che ha consentito la cristallizzazione di determinati indirizzi po-
litici in norme di livello costituzionale ( 171 ) – ad un significativo riposiziona-
mento nel sistema.
Dimentico della circostanza che ogni formazione politica organizzata,
in quanto tale, si fonda su un sistema normativo che dell’organizzazione
preserva l’esistenza, tale approccio ingenera infatti il timore che certi atteg-
giamenti, più che esprimere la fisiologica dialettica tra il diritto e la politica,
precorrano il consolidarsi di un orientamento di più vasta portata, a legitti-
mare l’opzione per diverso un principio “qualificante” la nostra organizza-
zione politica ( 172 ) (l’esercizio di una discrezionalità illimitata contraddi-

ranzia e della Corte costituzionale, in particolare, è ben diversa ed è diretta al « mantenimento ed


allo svolgimento dei fini costituzionali permanenti », così P.Barile, I poteri, 308.
( 169 ) Nel senso della inammissibilità nell’ordinamento, della categoria degli atti ammini-
strativo-politici, cioè formalmente e sostanzialmente amministrativi ma sottratti al regime tipico
della funzione amministrativa « perché ordinati al perseguimento di finalità di ordine politico »,
E. Cheli, op. cit., 184.
( 170 ) Non diversamente sembra interpretabile l’attività procedimentalizzata dalla l. n. 801/
1977 ed oggi dalla l. n. 124/2007, attività certo ad altissima discrezionalità ma pur sempre esecu-
tiva di un indirizzo politico in materia di sicurezza interna ed estera, la cui determinazione è affi-
data al Governo ed al Parlamento ed in ogni caso impossibilitata a collocarsi al di là delle norme
costituzionali.
( 171 ) Sul compromesso costituzionale, cfr. M.S. Giannini, Rilevanza giuridica del lavoro,
Riv. giur. lav., 1949, I, 5 ss.; P. Barile, La Costituzione come norma giuridica, Firenze, 1951, 58-
60.
( 172 ) Insorge, inoltre, il dubbio che l’approccio descritto concorra a disvelare, tra le maglie
della preesistente, le condizioni di affermazione e consolidamento di una nuova costituzione. Sul
concorso di elementi incidenti sull’instaurazione di fatto di una nuova costituzione, sempre attua-
le l’insegnamento di A. Pace, L’instaurazione di una nuova Costituzione. Profili di teoria costitu-
zionale, II ed., Padova, 2002, 99 ss., specie 163: « ... non ritengo affatto che la reiterata disappli-
cazione di norme costituzionali o il continuo svilimento della vecchia costituzione non siano, alla
lunga in sé e per sé pregiudizievoli per la stabilità costituzionale. Proprio per ciò mi sembra evi-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 195

stingue, infatti, le costituzioni in cui la soggezione al potere deriva esclusi-


vamente dall’autorità personale di chi lo stesso detiene, piuttosto che dal-
l’osservanza delle regole esprimenti la volontà oggettiva dell’ordinamen-
to) ( 173 ).
La dogmatica degli arcana imperii (“invocati” a tutela della salus rei
publicae) nasce del resto contestualmente all’“uso” che del termine viene
fatto (in età augustea, diversamente dal passato) ( 174 ) per designare alcune
delle condizioni volte ad assicurare la continuità e solidità di una nuova co-
stituzione (il principato, a sostituire la repubblica) ( 175 ).
Senonché, mentre negli Annales la nozione ancora esprime gli accor-
gimenti attraverso i quali il regime politico del principato, in modo in-
cruento, si innesta nella struttura repubblicana, palese l’orrore di Tacito
per la guerra civile, nella letteratura successiva il contenuto della formula è
(dai teorici della « ragion di Stato ») ( 176 ) sovrapposto a quello, ben diverso,
degli arcana dominationis (i « segreti domestici »), intesi come complesso
dei mezzi preordinati alla mera conservazione del potere ( 177 ).

dente che la difesa della vecchia costituzione richieda, anzi, una articolata politica costituzionale e
quindi, una difesa di essa su quattro diversi fronti: sul piano politico, resistendo alla delegittima-
zione consistente nell’attribuire alla vecchia costituzione tutte le colpe possibili del cattivo funzio-
namento del sistema, ...; sul piano giudiziario, reagendo con fermezza alle violazioni della costitu-
zione e, comunque, ai tentativi di sua disapplicazione; sul piano dottrinale, rifuggendo da quei
metodi interpretativi che... finiscono per vanificare l’importanza del testo, ..., l’importanza della
scrittura come fondamento della rigidità; infine sul piano legislativo-costituzionale, rendendosi ef-
fettivamente disponibili per tutte le necessarie integrazioni e innovazioni che siano costituzional-
mente ammissibili, ma a patto che esse siano specifiche e graduali ».
( 173 ) Sulla complessa dialettica, cfr. P. de Francisci, Arcana imperii, Milano, I, 1947, 9 ss.
( 174 ) Durante l’età repubblicana, gli arcana imperii indicano invece i soli segreti, di caratte-
re religioso e/o militare, coessenziali al mantenimento in vita di quella specifica organizzazione
politica che è la res publica (tanto che si parla di secreta ad rem publicam pertinentia), cfr. AA.VV.,
I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 459 ss., specie 461. Sulla semantica del
segreto, lucide riflessioni sono svolte da R. Orestano, Sulla problematica del segreto nel mondo
romano, cit., 135: « Arcana è parola proveniente dal lessico religioso, che Tacito “reimpiega” nel
lessico pubblicistico, parlando di “arcana imperii” e di “dominatinis arcana” », ed in Idem, Sulla
problematica, cit., 129 il rinvio a Tacito, Ann. 2, 31... et arcana imperii temptari; Ann. 2, 59: nam
Augustus inter alia dominationis arcana... seposuit Aegyptm; Hist. 1, 4: evolgato imperii arcano; cfr.
Germ. 18 e 40.
( 175 ) Così, P. de Francisci, Arcana imperii, cit., I, 14 che rileva come la nozione elaborata
da Tacito fosse applicabile ai modi, agli accorgimenti, alle forme usate « per innestare la figura e il
potere del princeps, organo nuovo di governo, sull’antico ordinamento dello stato repubblica-
no ».
( 176 ) La stessa rilettura di Tacito operata da Machiavelli nel Principe « non pretende for-
nire giustificazioni morali o giuridiche, ma semplicemente suggerire la tecnica razionale dell’asso-
lutismo politico », cfr. C. Schmitt, La dittatura (trad. it. B. Liverani), Bari, 1975, 21.
( 177 ) Tali mezzi, ricorda Tacito negli Annales, non devono essere rivelati perché ciò com-
porta una perdita d’autorità del princeps, « poiché tale è la condizione del dominare che i conti
non tornano se non si rendono ad uno solo ». Ed è bene ricordare come anche nelle Storie, Tacito
196 ELEONORA RINALDI

L’uso strumentale della nozione rimane così una “costante” della giu-
spubblicistica di età moderna (XVII secolo) che, sulla scorta di una più o
meno opinabile interpretazione degli scritti tacitiani ( 178 ), protesa ad indi-
care al principe le conoscenze ed i mezzi per la conservazione dello Stato,
ad esso affida la custodia di tutti i « segreti della felicità dello Stato » ( 179 ),
nel contesto di un ordinamento che la potestà del sovrano interamente fon-
da sull’autorità personale del medesimo.
La prevalenza storica, se non altro nelle formazioni politiche dell’Eu-
ropa occidentale, di un opposto principio di derivazione del potere, non
impedisce di rilevare la perdurante attualità del dibattito in materia, in ra-
gione dell’indiscutibile, intrinseco legame tra il concetto di arcana imperii e
le « forze politiche generatrici di qualunque organizzazione politica » a
“tradurre” – sul piano politico-giuridico – il più profondo atteggiamento
spirituale sotteso ad ogni comunità organizzata.
La bipartizione tradizionale tra « formazioni che la potestà del sovra-
no fondano sull’autorità personale del medesimo e formazioni basate sul ri-
conoscimento dell’autorità del capo promanante dalla volontà oggettiva di
un ordinamento » esorbita, infatti, dalla mera descrizione della contrappo-
sizione tra forme politiche primitive e forme politiche storicamente più
evolute, rappresentando, semmai, il paradigma di valutazione di più com-
plessi ordinamenti giuridici che, lungi dal presentarsi in « forme pure e ti-
piche », si caratterizzano per un rapporto di prevalenza tra i due principii
volta a volta diverso ( 180 ) (non sembrando seriamente contestabile che

riferisca di come la perdita dello « spirito repubblicano » passi attraverso azioni efferate di cui
(prima da Augusto, poi da Tiberio e dai loro successori) non verrà dato conto al Senato, e di come
il progressivo disfacimento dell’antico ordine politico passi attraverso l’asservimento al princeps
di consoli, senatori, e cavalieri (cioè il potere esecutivo, il legislativo, e l’aristocrazia del denaro),
ciascuno proporzionatamente all’elevatezza del grado, sollecito alla finzione (cfr. Tacito, Anna-
les, II, 36; Hist., I, 4; Arcana dominationis, Ann. II, 59; Arcana domus, Ann. I, 6).
( 178 ) Appare quanto mai appropriato il richiamo della definizione di arcana imperii acrivi-
bile al Clapmarius, definizione riportata nella pagine di P. de Francisci, op. ult. loc. cit., in cui
sono definiti come « abstrusae artes per quas a iure Imperii atque ab ipsa dominatione nomine se-
ditiosi prohibentur... Arcana vero rerum publicarum sunt modi et rationes conservandi illam im-
perii maiestatem ne ab alio occupetur... Arcanum imperii est excogitare rationes quibus contenta
plebs et quasi fascinata ab armorum usu abstineat ».
( 179 ) Così A. Clapmarius, De arcanis rerum publicarum, libr. I, cap. IX, citato da P. de
Francisci, Arcana imperii, cit., 14, nt. 3. Già dagli scritti di Grozio (nel De iure belli ac pacis)
emerge del resto l’associazione tra il mendacio e la « ragion di Stato », cfr. G. Ambrosetti, I pre-
supposti teologici e speculativi delle concezioni giuridiche di Grozio, Bologna, 1955, e R. De Mat-
tei, Il problema della « ragion di Stato » nel seicento. Ragion di Stato e « emendacio », Riv. int. fil.
dir., 1960.
( 180 ) Tutta la storia della nostra civiltà può essere rappresentata come alternanza o succes-
sione di formazioni politiche in cui prevale ora l’uno, ora l’altro tipo, potendosi al più verificare,
anche con riguardo alla disciplina positiva dei segreti pubblici, la prevalenza di un principio o del-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 197

un’accezione personalistica del potere caratterizzi ogni ordinamento in cui


scarsa è la volontà di partecipazione alla vita dell’organizzazione da parte
della comunità, carente la consapevolezza del comune interesse) ( 181 ).
Al di là della vicenda da cui origina, la sentenza n. 106/2009 costituiva
pertanto una preziosa occasione di ridefinizione dei limiti del segreto di
Stato nel nostro ordinamento, ridefinizione che, attraverso l’interpretazio-
ne delle condizioni che ne rendono legittima l’adozione, avrebbe potuto
esprimere – nella mai sopita dialettica tra accezione del segreto quale mero
strumento di mantenimento del potere ed accezione dello stesso quale ga-
ranzia di esistenza di un’organizzazione politica – la netta opzione del giu-
dice dei conflitti per una rilettura contemporanea dei “segreti della felicità
dello Stato” (inteso come Stato-comunità) ( 182 ), ad elevare gli arcana impe-
rii a presidio ultimo degli elementi-cardine del nostro ordinamento, la de-
mocrazia e la libertà ( 183 ).

l’altro (« Arcana e segreti sono spesso ricordati a proposito di factiones, coniurationes, attentati
contro le istituzioni e l’ordine costituito », così R. Orestano, Sulla problematica..., cit., 30). Au-
torevole conferma di tali riflessioni ci sembrano, seppure a partire dall’analisi di fenomeni diversi
rispetto all’uso del segreto di Stato, i saggi di A. Pace, I limiti del potere, cit., 1-193.
( 181 ) Così P. de Francisci, Arcana imperii, cit., specie 36.
( 182 ) Cfr. nuovamente le pagine di P. de Francisci, Arcana imperii, cit., 15 che, mirabil-
mente evidenzia (ripercorrendone il significato a partire dalla preistoria della civiltà mediterranea
ed occidentale fino agli ordinamenti legali della prima metà del XX secolo), la riferibilità della no-
zione (utilizzata da Tacito per descrivere la trama segreta delle strutture politiche del Principato,
cfr. Annales II, 36; Historiae, I, 4; Arcana dominationis. Ann. II, 59; Arcana domus, Ann. I, 6) alle
« forze generatrici di una serie di fenomeni politico-giuridici in cui si ripete, sia pure con esiti varii
e con conseguenze diverse, la medesima antitesi irreducibile o la medesima alternativa perenne
tra due principi » quello di libertà e quello di socialità, essendo l’ordine « sempre concepito come
condizione necessaria della libertà », sì che « la volontà di ordine, nonché di conservazione e di
difesa dell’ordine costituisc(e) la base di qualsiasi aggruppamento sociale ». Senonché, l’autorità
del soggetto preposto a mantenere l’ordine presuppone un riconoscimento: autorità è una rico-
nosciuta superiorità di valore e la scelta tra una concezione della potestà fondata sull’autorità per-
sonale (di una o più persone fisiche o collettive) ed una concezione fondata sull’autorità o validità
di un ordinamento immediatamente involge le concezioni relative al fondamento del potere e
l’opzione tra la base costituzionale del medesimo e l’esaltazione di una base personale.
( 183 ) Così. P. Barile, Democrazia e segreto, Quad. cost., 1987, 29 ss.
198 ELEONORA RINALDI

ABSTRACT
Partendo dall’analisi della disciplina (previgente ed attuale) sul segreto di
Stato, il saggio si occupa dei limiti di ammissibilità dell’istituto nel nostro ordina-
mento quali emergenti dallo svolgimento del sindacato della Corte costituzionale
sull’osservanza dei limiti funzionali e materiali della segretazione.
La considerazione delle più importanti sentenze del giudice costituzionale in
materia di segreti pubblici, dalla sentenza n. 53 del 1966 alle sentenze nn. 82 del
1976 e 86 del 1977, consente così di ripercorrere la progressiva evoluzione dell’as-
setto dei rapporti tra ambito di esercizio della funzione di segretazione ed esigenza
di accertamento giurisdizionale dei reati.
In un ordinamento largamente ispirato dal metodo democratico – a garantire
la partecipazione del popolo all’esercizio del potere anche attraverso il controllo
sull’attività pubblica – si impone infatti indefettibilmente l’esigenza di graduare gli
interessi protetti dalle diverse categorie di segreto e l’adozione di modalità di con-
ciliazione tra immotivata ed insindacabile opposizione del segreto da parte del-
l’Esecutivo in fase di accertamento dei reati e principi costituzionali quali l’esclusi-
va sottoposizione del giudice alla legge (art. 101 Cost.), l’indipendenza della Magi-
stratura (art. 104 Cost.), l’obbligatorio esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.),
che tali interessi bilancino in modo diverso rispetto al determinarsi dell’automatica
paralisi della funzione giurisdizionale ove sia opposta l’esistenza di un segreto pub-
blico.
Essenziale è, pertanto, la verifica contenziosa di legittimità dell’opposizione
del vincolo di non conoscibilità di dati fatti, notizie e documenti che, con specifico
riguardo a fatti ed atti coperti da segreto di Stato, è espressamente assegnata alla
Corte costituzionale (v. ora art. 40, legge 124/2007).
Il mancato svolgimento di un efficace sindacato sulla motivazione del prov-
vedimento di conferma del segreto di Stato opposto in sede processuale implica
non semplicemente l’esclusione di qualsivoglia limite all’esercizio di una compe-
tenza governativa ma una più generale ridefinizione dell’equilibrio costituzionale
esistente; tale orientamento ingenera, infatti, l’opzione per un diverso principio
qualificante la nostra organizzazione politica, in cui la soggezione al potere deriva
unicamente dall’autorità personale di chi lo stesso detiene, piuttosto che dall’osser-
vanza delle regole esprimenti la volontà oggettiva di un ordinamento.
Le decisioni del giudice costituzionale sui conflitti di attribuzione insorti tra
potere esecutivo e potere giudiziario in materia di legittima opposizione processua-
le del segreto di Stato costituiscono, dunque, una preziosa occasione di ridefinizio-
ne dei limiti di ammissibilità dell’istituto nel nostro ordinamento e l’occasione per
una rilettura contemporanea della risalente nozione di arcana imperii che, superan-
done l’accezione di strumenti finalizzati alla sola conservazione del potere, ricono-
sca agli stessi il rango di irrinunciabili condizioni di esistenza della nostra comunità
politica, presidio ultimo della democrazia e delle libertà.

The essay concerns the admissibility of the State secret and it takes as a start-
ing point previous and current statutes as well some decisions of the Italian Con-
stitutional Court.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 199

The analysis of the most important decisions of the Constitutional Court (n.
53/1966 to n. 82/1976 and 86/1977) allows to disclose the development of rela-
tions between documents covered by the State secret and criminal jurisdiction.
In a democratic system, the interests protected by (documents covered by the
State secret) need to be graduated and balanced, in order to guarantee public con-
trol on government; constitutional principles about jurisdiction have to be ensured
so that an automatic paralysis of the jurisdiction could be avoided when public se-
cret is in question.
Therefore, the judgment by the Constitutional Court about State secret is
fundamental.
The absence of an effective check on the motivation behind a confirmative
act about State secret, raised in a criminal trial, entails unlimited powers for the
Cabinet and an alteration of the constitutional system of balances. That is because
the polity comes to be based on subjective power rather than on objective prin-
ciples.
As a result, constitutional decisions about conflicts of powers (the executive
power and the judicial one) give rise to a contemporary interpretation of arcana im-
perii, which goes beyond its ancient meaning (that is, a way for preserving power)
and recognize them as a precondition of the political community, in defence of
freedom and democracy.
Letture

Naseef Naeem, Die neue Bundesstaatliche Ordnung des Irak. Eine recht-
svergleichende Untersuchung, Frankfurt am Main, 2008, pp. 317.

1. – Il volume, edito da Peter Lang nel procede ad esaminare la nuova Costituzione


2008 quale pubblicazione della tesi di dotto- dell’Iraq, in un’ottica sia interna (Parte ter-
rato discussa da Naseef Naeem nel 2007 za) che comparata (Parte quarta). L’opera
presso l’università di Hannover, costituisce prosegue con i rilievi critici e le proposte
il risultato di uno studio quadriennale con- dell’Autore (Parte quinta), concludendosi
dotto su fonti in lingua tedesca, inglese, ed, con alcune note di aggiornamento (Parte
in particolare, araba. È appena il caso di sot- “integrativa”).
tolineare come l’esame dei testi originali e
delle pubblicazioni locali – nonostante la 2. – Il carattere di novità dell’ordina-
confessata, ma d’altra parte agevolmente mento iracheno, tra i sistemi giuridici dei
comprensibile, non praticabilità di ricerche Paesi arabi, si lascia apprezzare, anzitutto,
dirette in situ – valga a conferire al contribu- sul versante delle costanti istituzionali. Sotto
to in esame, tenuto conto della sua lingua questo profilo, Naeem individua almeno
d’edizione, il carattere di un utile “ponte” cinque ragioni, tra loro interconnesse, per le
tra il mondo scientifico europeo e la com- quali la scelta in favore di un sistema di or-
plessa realtà mediorientale. ganizzazione statale decentrata è aliena al
Sul piano dei contenuti si tratta, nel- mondo arabo.
l’insieme, di un lavoro ricostruttivo ed er- Una prima ragione, che potrebbe dir-
meneutico piuttosto ricco, in cui l’appro- si giuridica, o, più precisamente, costituzio-
fondimento tecnico sui temi classici della nale, attiene alla forma di Stato e di governo
costruzione dello Stato federale si alterna a caratteristiche del panorama arabo. Qui,
cenni storico-diacronici e ad una costante, prescindendo dall’eterogeneità delle singole
accurata ricerca, di carattere eminentemen- soluzioni e dalle relative vicende, alterne ma
te politologico, delle ragioni alla base delle costantemente percorse dalla vocazione al-
scelte costituzionali. l’autoritarismo – a considerazioni analoghe
Così, dopo la rievocazione – contenu- perviene, nella dottrina italiana, Maurizio
ta nella Parte prima della monografia – degli Oliviero [Islam e democrazia, in AA.VV., Al-
eventi immediatamente precedenti l’appro- le radici della democrazia, Dalla polis al di-
vazione della Carta irachena, nella Parte se- battito costituzionale contemporaneo, A.
conda un ampio affresco introduce lo scena- D’Atena, E. Lanzillotta (a cura di), Roma,
rio con il quale il nuovo testo è chiamato a 1998, nonché più diffusamente Il costituzio-
misurarsi, descrivendo un contesto profon- nalismo dei Paesi Arabi, Le Costituzioni del
damente refrattario a modelli statali che pra- Maghreb, Milano, 2003] – una forma di Sta-
tichino il decentramento istituzionale. Al- to invariabilmente centralistica si abbina ad
l’interno di un tale, omogeneo panorama, una forma di governo tipicamente squilibra-
Naeem, dopo avere sottolineato l’esigenza ta a vantaggio dell’esecutivo, nonché conno-
di tenere distinta la posizione degli Emirati tata da una spiccata tendenza alla concen-
Arabi Uniti, isolato esempio di Stato federa- trazione e personalizzazione dei poteri deci-
le arabo, ed unico precedente dell’esperi- sionali; ciò anche nella cornice, eventuale, di
mento iracheno (Parte seconda, lettera D), una formale enunciazione del principio del-
202 LETTURE

la divisione dei poteri. Una divisione, peral- Certo, il testo del 1971, poi definitiva-
tro, sempre intesa come orizzontale, à la mente consolidatosi nel 1996, fa largo uso
Montesquieu, e mai come verticale (centro- dell’aggettivo “federale”, e per altro verso le
periferia). disposizioni concernenti il riparto delle
La seconda giustificazione ha origini competenze, al pari dell’adozione del crite-
storiche: essa risale infatti all’atteggiarsi cen- rio della residualità a beneficio degli Emira-
tralistico delle strutture di potere nell’area, ti, sembrano orientate nella medesima dire-
dal tempo della conquista islamica e durante zione. Non può però trascurarsi né che l’in-
l’impero ottomano, sino ai mandati europei troduzione della Costituzione sia avvenuta
del secondo dopoguerra. « willkürlich », con un atto, cioè, « arbitra-
Un terzo fattore, di carattere politico, rio », d’imperio – non, in altri termini, per-
ha radici nel nazionalismo panarabista quale ché sollecitata dalle collettività locali, ma
impulso ideologico di una dottrina dello per soddisfare un’esigenza delle élite al co-
Stato, che, ripudiando ogni tentativo di fra- mando – secondo un paradigma che si ris-
zionamento del potere, ammette tutt’al più, pecchia nell’incontrastata autorità degli
in alcune sue componenti minoritarie, l’idea Emiri e delle loro famiglie tanto a livello fe-
di una (con)federazione complessiva degli derale che dei singoli Principati (traduzione
Stati arabi, in vista della loro riunificazione. letterale dell’arabo imara, di cui “Emirato”
Il quarto elemento risiede nell’orga-
è una « storpiatura » occidentale); né che la
nizzazione sociale araba, fondata sull’appar-
maggior parte degli stessi Emirati sia sprov-
tenenza ad un ceppo familiare, e, all’interno
vista, come ammette lo stesso Naeem, di una
di esso, sull’incondizionata soggezione dei
struttura idonea all’esercizio di funzioni sta-
suoi membri ad un « capotribù »: Naeem
tali non meramente amministrative, tanto
adopera in proposito l’espressione « Stam-
mesmentalität ». Influisce infine, ma non da che alcuni compiti, segnatamente di natura
ultimo, una componente religioso-culturale, giudiziaria, sono stati delegati alla Federa-
allorché si dà carico di preservare la dimen- zione.
sione unificante dei valori collettivi del Ge- Esistono poi elementi, che, pur valu-
meinwesens islamico. tati dall’Autore, sono suscettibili di diversa
lettura. Naeem, ad esempio, segnala la man-
canza di una “seconda” camera nella quale
3. – Sulla linea di un orizzonte tanto
uniforme si staglia la fisionomia costituzio- possa esplicarsi la « partecipazione degli
nale degli Emirati Arabi, che, con la fonda- Emirati alla formazione della volontà della
zione dell’Unione del 1971, avrebbero dato Federazione »: può osservarsi in contrario,
vita, a giudizio dell’Autore, alla prima, ec- non solo che tutti gli esponenti degli organi
centrica, esperienza di Stato federale arabo, federali provengono dalle istituzioni locali,
anticipando il corrente progetto iracheno. ma che, semmai, a fare difetto nell’architet-
Sembra tuttavia lecito, a chi scrive, dubitare tura costituzionale degli EAU è, ancora pri-
dell’autentica appartenenza dell’Unione de- ma che una “seconda”, una “prima” camera
gli Emirati al genus federale, almeno nei ter- parlamentare. L’Assemblea Nazionale, in-
mini così sicuri prospettati da Naeem. Altri, fatti, atteso che i suoi membri non ricevono
ad esempio Watts – il quale, tuttavia, pren- alcuna investitura democratica, ma vengono
de posizione in merito solo nella terza edi- designati dagli Emiri in misura non propor-
zione del suo “Comparing federal systems”, zionale alla popolazione dei singoli Emirati,
pubblicata successivamente all’opera di somiglia più ad un Senato federale che ad
Naeem e non citata quindi nella bibliografia un’autentica assemblea rappresentativa. Da
– leggono l’esperimento emiratino come questo limitato punto di vista, anzi, la par-
una creatura ibrida, al confine con una con- ziale democratizzazione dell’organo, preco-
federazione, accostandolo ad altri sistemi nizzata nel 2005 dal Presidente Khalı̄fa bin
sui generis come l’Unione Europea. Zāyed Āl Nahayān (v. p. 57, nt. 186), aggra-
LETTURE 203

verebbe ulteriormente le difficoltà di deci- ribadire la funzione meramente consultiva


frazione del sistema. dell’Assemblea Nazionale e ricondurre
L’impressione generale è dunque che, quindi anche le modifiche costituzionali ad
nonostante l’impiego, da parte della Carta un’intesa tra il Presidente ed il Consiglio Su-
emiratina, di tecniche e di un bagaglio ter- premo.
minologico presi a prestito dal moderno È chiaro dunque che scorgere in un
strumentario federale, la Costituzione vi- quadro simile una matrice federale importa
vente sveli la realtà della delegazione ai Prin- l’accettazione del paradosso di un ordina-
cipi di un merum mixtumque imperium dal mento in cui la distribuzione verticale dei
sapore arcaico, sullo sfondo di un’articola- poteri statali precede, ed anzi prescinde per-
zione del potere di ascendenza feudale. sino, dalla loro divisione in senso orizzontale
Dalla stessa angolazione, ma in ottica e, con essa, da una chiara delimitazione con-
più generale, l’esame di questi caratteri, per cettuale delle diverse funzioni pubbliche.
così dire, singolari, offre lo spunto per inter-
rogarsi sull’ammissibilità, anche solo in via 4. – Ad ogni modo, nonostante le ri-
astratta, di un federalismo non soltanto serve in ordine alla qualificazione della for-
“freddo”, perché spogliato delle sue radici ma di Stato, è indubbio che gli Emirati, co-
ideali – si pensi al peso, nella storia del pen- me esattamente ricorda Naeem, condivida-
siero federalista, della nota e diffusa convin- no con la realtà araba l’eterogenesi dei fini a
zione per cui un’articolazione multilivello cagione della quale quanto più – in omaggio
dei centri decisionali favorirebbe la parteci- alle tradizioni storico-sociali e culturali – si
pazione democratica – ed “inerte”, in quan- guarda alle tendenze favorevoli al decentra-
to “disinnescato” rispetto alle sue potenzia- mento come ad una minaccia per l’integrità
lità di evoluzione concettuale – nel senso, ad dello Stato e la compattezza del potere, tan-
esempio, della sussidiarietà – ma addirittura to più sopravvivranno tensioni non risolte in
slegato da una effettiva separazione dei po- cui i centri di potere locale, soffrendo
teri. In tale esperienza, infatti, legislativo ed l’esclusione dai processi decisionali, con
esecutivo si presentano nella sostanza indif- maggior veemenza eserciteranno pressioni
ferenziati, poiché vengono distinti esclusiva- effettivamente in grado di determinare lo
mente sul piano formale – rectius: organizza- sfaldamento dello Stato, o comunque di
tivo – delle attività e dei provvedimenti at- esporlo al rischio di una frammentazione
traverso cui trovano espressione, in virtù centrifuga.
della distinzione tra normazione primaria e Sulla base di queste premesse, l’Auto-
disciplina di esecuzione/applicazione, men- re osserva come in Iraq l’esigenza di com-
tre la titolarità del loro esercizio resta moni- porre i contrasti tra le diverse comunità na-
sticamente accentrata, a seconda del livello zionali, religiose e confessionali – contrasti
di governo considerato, nelle mani degli sorti, in ultima analisi, nella prospettiva del
Emiri o del Consiglio Supremo. La giurisdi- controllo sui territori sito di giacimenti pe-
zione, dal proprio canto, patisce i condizio- troliferi – fosse tanto sensibilmente avvertita
namenti dovuti soprattutto alla nomina po- da avere indotto gli artefici della Costituzio-
litica dei giudici della Corte Suprema ed alla ne ad enunciarlo sin dal primo articolo della
subordinazione a fonti, legislative o costitu- nuova Carta, con precedenza persino sul de-
zionali, ugualmente nella disponibilità del calogo dei diritti fondamentali; questi ulti-
Governo, posto che l’aggravio procedurale mi, d’altra parte, risultano declinati secondo
previsto dall’art. 144, comma 2, lett. c), l’elaborazione islamica della “concezione
Cost. EAU, per le leggi di revisione costitu- collettiva dell’uomo” (kollektives Menschen-
zionale deve ritenersi di fatto neutralizzato bild), in ossequio alla quale l’interesse della
nella sua efficacia dalla lettera b) dello stesso comunità prevale sulle prerogative indivi-
comma, la quale, nell’operare il rinvio al duali, In quest’ottica si comprende dunque
procedimento legislativo ordinario, sembra perché l’identificazione dei caratteri essen-
204 LETTURE

ziali dello Stato venga anteposta alla previ- l’ordinamento tratteggiato dalla nuova Car-
sione di garanzie per i suoi cittadini. ta rappresenti un regime “misto”, la cui tra-
La collocazione « preminente » (an ma è intessuta sia di caratteri dello Stato re-
dieser prominenten Stelle) del principio fe- gionale, sia di ingredienti del federalismo,
derale obbedisce, comunque, ad un’ulterio- ma viene ordita su un telaio – fuor di meta-
re ragione: quella di riflettere la priorità, fora: su una struttura – in cui permangono,
non soltanto logica e simbolica, dell’edifica- sostenuti dai gruppi politico-religiosi più
zione di uno Stato « federale », « unitario », conservatori, forti elementi centralistici.
« indipendente », « sovrano », « repubbli- La via irachena al decentramento –
cano », « rappresentativo », « parlamenta- soluzione che, sia detto per inciso, rappre-
re » e « democratico », rispetto alla possibi- sentava l’unica « adeguata alternativa » per
lità di assicurare la tutela delle libertà e degli il Paese – reca inscritto questo triplice carat-
altri diritti soggettivi. tere nel proprio codice genetico: sulle ceneri
Sul piano dei principi, l’Autore non di un ordinamento unitario, la genesi ab alto
trascura, poi, di rilevare come la duplice ed delle componenti substatali segue, anziché
esplicita menzione del carattere a un tempo precedere, la formazione del Bund, ma con
federale ed unitario dello Stato iracheno dia l’importante eccezione di una regione già
luogo ad una tensione dialettica di fondo, la esistente e di riconosciuta autonomia (il
cui esistenza non è in ogni caso priva di cau- Curdistan) destinata – onde evitare le asim-
se immediate nonché di precedenti nel co- metrie del modello spagnolo – a servire da
stituzionalismo comparato, con particolare archetipo per l’istituzione delle altre.
riferimento al testo spagnolo in vigore (che, L’ispirazione federale connoterebbe
sulla scia della Costituzione italiana – art. 5 però in via esclusiva, secondo Naeem, la
– contiene un analogo doppio richiamo). La qualità statale di cui parteciperebbero le Re-
nuova Costituzione irachena, del resto, pre- gioni – ma non le cosiddette “Province non
senta sotto diversi aspetti analogie notevoli incorporate in una Regione”, che rappre-
con la Carta iberica, che Naeem eleva a sentano un caso particolare – per merito
principale termine di paragone all’interno di dell’attribuzione di un potere costituente
un più esteso sistema di raffronto che inclu- “interno”, oltre che di funzioni legislative,
de il Grundgesetz e la Costituzione degli esecutive e giudiziarie da esercitare in auto-
Emirati. Il parallelo consente all’Autore an- nomia rispetto ai poteri federali; né varreb-
che di marcare differenze significative. Egli be a dimostrare il contrario la circostanza
rileva, ad esempio, come nel testo iracheno che la procedura costitutiva delle Regioni
il riconoscimento della (esistenza di una) stesse debba essere disciplinata da una legge
pluralità dei gruppi etnici, religiosi e confes- statale, oltretutto monocamerale, dovendo
sionali, non si accompagni – diversamente questa essere considerata alla stregua di una
che nella Costituzione spagnola del 1978 – « legge meramente formale » (rein formelles
alla attribuzione ad essi di un esplicito dirit- Gesetz), giacché « dovrà limitarsi a discipli-
to all’autonomia; la presenza di una simile nare il procedimento di formazione delle
lacuna – o, se si vuole, di una simile ambi- Regioni »: una spiegazione che suona, per la
guità – lascia aperto, sul piano del processo verità, alquanto apodittica.
costitutivo delle regioni, un ventaglio di Sul piano del riparto delle competen-
possibilità di cui la monografia in commen- ze (tanto legislative quanto amministrative),
to offre una dettagliata illustrazione. norma chiave è la clausola residuale conte-
Si è ora accennato al confronto tra il nuta nell’art. 111 (della versione al 15 otto-
disegno costituzionale iracheno e il regiona- bre 2005, cui fa riferimento l’Autore; art.
lismo spagnolo, da un lato, e, dall’altro, i si- 115 del testo definitivo), clausola, che, in as-
stemi federali della Germania e – con i limiti senza di disposizioni speciali e attesa la sua
in precedenza accennati – degli Emirati Ara- formulazione in termini perentori, chiude-
bi Uniti: la tesi di Naeem è, in effetti, che rebbe i margini lasciati aperti dall’art. 30
LETTURE 205

GG e non consentirebbe – ad avviso del- ve Regioni autonome, nonostante l’emana-


l’Autore – l’estrapolazione di competenze zione, l’11 ottobre del 2006 (con una vacatio
« tacite » a favore della Federazione, nem- di 18 mesi), della legge disciplinante il pro-
meno in via eccezionale. Anche nelle mate- cedimento formativo dei nuovi enti a partire
rie di potestà normativa concorrente – lette- dall’aggregazione di più Province.
ralmente: « comune » – lo spazio concesso
alle Regioni irachene sembra configurarsi 5. – I successivi eventi, per ovvie ra-
come più ampio di quello riconosciuto ai gioni cronologiche, non vengono esaminati
Länder tedeschi, giusto l’inedito principio – nel testo. L’Autore, tuttavia, affrontando le
configurante un’ipotesi di « gerarchia rove- stesse questioni in un più recente articolo
sciata » (D’Atena) – in base al quale « Regio- evocativamente intitolato “Verfassung und
nalrecht bricht Bundesrecht », come bene os- bundesstaatliche Ordnung des Iraks, Weg in
serva Naeem richiamando l’Abweichung- die Stagnation?” (”Costituzione e ordina-
sprozeß regolato dal nuovo art. 72, comma 3, mento federale iracheno, Verso la stagnazio-
periodo 1 GG; negli stessi ambiti residua ad ne?”), apparso sul portale online plurilingue
ogni modo la possibilità di accordi interisti- Qantara.de (www.qantara.de) il 28 gennaio
tuzionali, soprattutto in ordine alle compe- del 2009, dà conto delle permanenti difficol-
tenze amministrative. tà incontrate dall’attuazione del disegno co-
La Carta irachena non è, certamente, stituzionale, imputandole non tanto alla in-
immune da aspetti problematici, che Naeem stabile condizione del Paese quanto, in via
riesce a cogliere con precisione: dalle risorse prevalente, al difetto di un consenso politico
idrocarburiche, nel bilico tra Costituzione condiviso in ordine alla forma di Stato. Il ri-
finanziaria e sovranità popolare, alle conse- schio sarebbe dunque quello di uno “stal-
guenze dell’assenza di una clausola di omo- lo”, esiziale per un ordinamento ancora allo
geneità per le Costituzioni regionali, fino al- stadio embrionale. Sia consentito, sul pun-
la Camera federale, a riguardo della quale, to, rilevare come non necessariamente un ri-
atteso il rinvio pressoché totale alla legge or- tardo debba indurre al pessimismo: la nota
dinaria ex art. 62 (65 del testo definitivo), vicenda delle Regioni ordinarie italiane e
può affermarsi unicamente che « nella Co- della legge 281 del 1970 conferma che il re-
stituzione irachena non è prevista alcuna spiro dei processi costituzionali richiede,
concretizzazione del diritto delle Regioni a non di rado, tempi lunghi e attesa di ciò che
partecipare alla formazione della volontà verrà. È del resto apparsa suggestiva, a chi
della Federazione attraverso la camera fede- scrive, la coincidenza – se di coincidenza si
rale ». Naturalmente, però, se il nuovo ordi- tratta – che Naeem abbia impiegato, quale
namento seguita a rivestire i contorni incerti parola conclusiva della sua monografia, il
di un « federalismo allo stato nascente » vocabolo « Zukunft », « futuro ».
(Bundestaat im Entstehen), è principalmente
a causa della mancata istituzione delle nuo- Gianluca Cosmelli
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giungono le Leggi Speciali). Le massime sono selezionate, ordinate e coordinate con cura tale da
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Y59DG LE
DEMOCRAZIA SOCIALE
Il Riformismo europeo e l’anomalia del caso italiano
a cura di PAOLO POMBENI e GIOVANNI CONSORTE
con Dvd allegato: Oscar Giannino intervista i curatori del volume

Democrazia sociale: tra i termini più controversi del linguaggio politico, questa aspirazione ha per-
corso la storia dell’Occidente da metà Ottocento fino ai nostri giorni. L’ideale di un sistema politico
che mettesse insieme giustizia ed eguaglianza, dinamismo e solidarietà, tutela dei deboli, ma lotta al
parassitismo, è stato e continua ad essere fra i più discussi.
Dopo un recente periodo in cui il tema era stato messo in sordina da un ritorno di fiamma del neoli-
berismo, la crisi dell’economia mondiale ha rilanciato il problema in tutta la sua importanza. In Europa
come negli USA si discute di nuovo di come rivitalizzare un sistema sociale dove la produzione della
ricchezza e lo sviluppo economico si uniscano ad una distribuzione delle risorse che favorisca pro-
gresso, coesione sociale, capacità di affrontare le sfide di un mondo che si va facendo sempre più
‘complicato’. Questo appare sempre più come il compito della nuova stagione politica.
Questo libro ricostruisce il dibattito che su questi temi si è avuto in Italia, Francia, Germania, Gran Bre-
tagna, Spagna, Svezia e Stati Uniti d’America, evidenziando lo stato dell’arte della tradizione del rifor-
mismo europeo, le sue attuali posizioni e le difficoltà che esso incontra nel nostro paese. Frutto di una
ricerca che coinvolge specialisti della storia e della politica delle aree prese in esame, esso offre una
panoramica, esauriente e critica, su un dibattito destinato a rivelarsi cruciale all’inizio del XXI secolo.

ISBN 978-88-13-30220-7 pp. 464 € 45,00

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