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D I R I T T O E S O C I ETÀ
2010/1
1
nuova serie
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ISBN 978-88-13-30113-2
CEDAM
2010
00111556
CEDAM PADOVA
Pubbl. Trim. n. 1 - Gennaio-Marzo 2010 - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale
€ 37,00 D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
DIRITTO
E SOCIETA’
2010/1
CEDAM PADOVA
DIRITTO
E SOCIETA’
Fondata da Giovanni Cassandro,
Vezio Crisafulli e Aldo M. Sandulli
1
Comitato scientifico
e di direzione
Leopoldo Mazzarolli
Maria Alessandra Sandulli
Marino Breganze
Beniamino Caravita di Toritto
Antonio D’Atena
Giuseppe de Vergottini
Pietro Giuseppe Grasso
Natalino Irti
Giorgio Lombardi
Massimo Luciani
Manlio Mazziotti
Franco Modugno
Giuseppe Morbidelli
Giovanni Sartori
Franco Gaetano Scoca
Federico Sorrentino
Segretari di redazione
Alessandro Calegari
Francesco Crisafulli
Redazione
presso prof. Maria A. Sandulli,
Corso Vittorio Emanuele n. 349, Roma
presso dott. Alessandro Calegari,
Dipartimento di Diritto pubblico, internazionale
e comunitario
Università di Padova
Via VIII Febbraio n. 2, Padova
SAGGI
Adele Anzon Demmig, I tribunali costituzionali e l’inte-
grazione europea: da Maastricht a Lisbona, p. 1.
Renzo Dickmann, Costituzione e contesto costituziona-
le, p. 37.
Giuseppe Morbidelli, Regioni e principi generali del di-
ritto amministrativo, p. 81.
Alessandro Pace, I diritti del consumatore: una nuova
generazione di diritti?, p. 111.
ATTUALITÀ
Eleonora Rinaldi, La Corte costituzionale e gli arcana
imperii, p. 141.
LETTURE
Luca Cosmelli, Post fata, foederalis resurgo: Iraq e de-
centramento istituzionale nel mondo arabo, p. 201.
Hanno collaborato a questo numero di
Diritto e Società
1. – Premessa
( 3 ) Così anche F. Sorrentino, L’influenza del diritto comunitario, cit., 1653 ss.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 3
( 4 ) Ricordo, per tutti, per la loro lucidità ed esaustività, i saggi di A. La Pergola, Costitu-
zione ed integrazione europea: il contributo della giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., Studi in
onore di Leopoldo Elia, cit., I, 815 ss.; F. Sorrentino, L’influenza del diritto comunitario, cit.,
1637 ss.
( 5 ) Il limite dei diritti inviolabili compare per la prima volta nella sent. n. 98 del 1965, che
affronta il problema del rapporto tra le norme del Trattato CECA (o meglio delle norme di ese-
cuzione del Trattato CECA), non con leggi ordinarie successive, ma con norme costituzionali: og-
getto dell’impugnativa erano alcune norme del Trattato CECA per contrasto con le norme costi-
tuzionali interne sulla giurisdizione, (in quanto attribuivano alla giurisdizione esclusiva della Cor-
te di Giustizia le controversie relative agli atti dell’Alta Autorità e limitavano i vizi denunziabili).
La Corte, nel respingere la questione, introduce due criteri di giudizio che poi influenzeranno la
sua successiva giurisprudenza. Il primo sta nella separatezza dell’ordinamento comunitario, visto
come un ordinamento distinto da quello nazionale al quale dunque non potrebbero essere appli-
cate le norme costituzionali interne sulla giurisdizione; il secondo è quello che configura un dirit-
to inviolabile – nella specie quello alla tutela giurisdizionale – come limite agli effetti interni pro-
dotti dalle norme comunitarie. Nel caso però la Corte dichiara infondata la questione perché ri-
tiene che tale tutela sia sufficientemente assicurata nell’ordinamento comunitario. La previsione
dei “controlimiti” assume la fisionomia definitiva nella sent. n. 183 del 1973, secondo la quale nei
confronti del diritto comunitario non manca la tutela dei diritti fondamentali assicurata nel terri-
torio dello Stato dal controllo di costituzionalità delle leggi e ciò perché: a) tale tutela è assicurata
nello stesso ordinamento comunitario; b) la competenza normativa comunitaria è limitata ai rap-
porti economici, dunque “appare difficile configurare anche in astratto l’ipotesi che un regola-
mento comunitario possa incidere in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici con disposi-
zioni contrastanti con la Costituzione italiana”; c) le limitazioni di sovranità consentite dall’art. 11
non comprendono l’attribuzione agli organi comunitari del potere di violare i principi fondamen-
tali del nostro ordinamento e i diritti inalienabili della persona umana; d) se il Trattato dovesse in-
tendersi in modo sì aberrante, sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato della Corte non
sui singoli regolamenti comunitari (che non sono atti “dello Stato” ai sensi dell’art. 134 Cost.) ma,
attraverso il sindacato sulla legge di esecuzione, sulla perdurante compatibilità del Trattato con i
predetti principi fondamentali. Sul tema particolare Cfr. tra i molti, i saggi di M. Cartabia, Prin-
cipi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, 95 ss.; F. Sorrentino, L’influenza del diritto
comunitario, cit. II, 1637 ss.
( 6 ) È, quest’ultima, l’integrazione introdotta all’originaria formulazione della sent. n. 183
del 1973 da parte della sent. n. 170 del 1984. Si tratta di un passo normalmente non citato nelle
successive decisioni, che viene ripreso, nella sua autonomia, dalla recente ord. n. 454 del 2006: sul
punto v. infra, nel testo § 4 e nt. 25.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 5
( 7 ) Sull’argomento cfr. soprattutto F. Sorrentino, che ritiene che in tal modo la Corte
europea finisce per controllare anche l’applicazione del diritto interno rispetto agli atti comunita-
ri: v. Profili costituzionali dell’integrazione comunitaria, Torino, 1995, 34 ss.; Id., L’art. 177 del
Trattato di Roma nel rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamenti interni, in AA.VV., Stu-
di in onore di M.Mazziotti di Celso, Padova, 1995, 737 ss.
( 8 ) La novità della sentenza, nel senso illustrato nel testo è messa in luce anche da M. Car-
6 ADELE ANZON DEMMIG
24 Cost. della legge di esecuzione del Trattato di Roma, nella parte in cui
ne recepisce l’art. 234 TCE (ora art. 267 TFUE-Lisbona), pur riconoscen-
do che nell’ordinamento comunitario è assicurato un ampio ed efficace si-
stema di tutela giurisdizionale dei diritti ( 9 ), dichiara che la presenza di ta-
le sistema non implica “che possa venir meno la competenza di questa
Corte a verificare, attraverso il controllo di costituzionalità della legge di
esecuzione, se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpre-
tata ed applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in
contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzio-
nale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana. In buona so-
stanza, quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inol-
tre, va tenuto conto che almeno in linea teorica generale non potrebbe af-
fermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del nostro ordina-
mento costituzionale si trovino fra i principi comuni agli ordinamenti
degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento comunita-
rio”.
L’affermazione di un simile potere di intervento contro ogni singolo
atto comunitario in contrasto con i “controlimiti” si è poi mantenuta ferma.
Essa implica, è vero, il ricorso al meccanismo contorto della verifica della
costituzionalità della legge di esecuzione del Trattato nella parte in cui for-
nisce la base all’atto contestato ( 10 ). Ma questo meccanismo è dovuto al fat-
to che diversamente non si potrebbero portare alla cognizione della Corte
atti diversi da quelli indicati dall’art. 134 Cost., ma provenienti da un ordi-
tabia, Nuovi sviluppi nelle “competenze comunitarie” della Corte Costituzionale, in Giur. cost.,
1989, I, 1012 ss.
( 9 ) Per un analogo riconoscimento v. peraltro già le sentt. nn. 98 del 1965 e 183 del 1973.
( 10 ) Può trattarsi di una qualsiasi norma materiale attributiva di competenza alla Comuni-
tà: cfr. G. Guzzetta, op. cit., 212 ss.; M. Cartabia, op. ult. cit., 1015, e più di recente R. Caponi,
Corti europee e giudicati nazionali (paper, testo provvisorio di una Relazione al XXVII congresso
nazionale degli studiosi del processo civile, “Corti europee e giudici nazionali”, Verona 25-16 set-
tembre, 2009), 131 ss., che sottolinea la novità della decisione in un’ampia analisi con riferimenti
anche all’esperienza tedesca.
V. comunque già i casi risolti con le sentt. nn. 98 del 1965 e 183 del 1973. Per ulteriori svol-
gimenti e considerazioni v. anche F. Sorrentino, La rilevanza delle fonti comunitarie nell’ordi-
namento italiano, in Dir. Comm. Int., 1989, 452 ss. Contrario a questo sindacato della Corte sulle
norme comunitarie è L. Paladin, Le fonti, cit., 434 ss., soprattutto perché lo ritiene incompatibi-
le con i Trattati europei. Una implicita conferma dell’impostazione della sentenza in commento si
può rinvenire nella decisione n. 509 del 1995, la quale, nel dichiarare inammissibile una questione
di legittimità costituzionale avente ad oggetto un Regolamento comunitario fa intendere che di-
versamente sarebbe avvenuto se il giudice a quo non avesse censurato il Regolamento “in via di-
retta e non per il tramite della legge di esecuzione del Trattato, senza prospettare una violazione
dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale nazionale o di diritti inalienabili della
persona umana, che questa Corte deve salvaguardare anche rispetto all’applicazione del diritto
comunitario”.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 7
( 11 ) Così invece A. Pace, La sentenza Granital, ventitré anni dopo, in AA.VV., Diritto co-
munitario e diritto interno, Milano, 2008, 405 ss. V. Onida, “Armonia tra diversi” e problemi aper-
ti, in Quad. cost., 2003, 555 s. considera giustamente gli atti comunitari viziati da incompetenza
rispetto ai Trattati viziati ad un tempo sia da “anticomunitarietà” sia (per il tramite della legge di
esecuzione) da incostituzionalità per contrasto con l’art. 11 Cost. Nell’ipotesi dunque, sia la Corte
di Giustizia, sia la Corte costituzionale sarebbero, a diverso titolo, legittimati a intervenire. Di qui,
allo stato, l’insolubilità di un eventuale conflitto tra i due giudici. È questo il caso al centro del di-
battito sulla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht a partire dalla sentenza Maastricht, su
cui v. infra, §§ 9-11. Ben diversa è ovviamente la tesi di chi, come A. Pace, op. loc. cit. e G. Te-
sauro, Sovranità degli Stati membri e integrazione comunitaria, Napoli, 2006, 19 ss. ritiene, secon-
do una concezione internazionalistica, che gli atti ultra vires come viziati da sola “anticomunita-
rietà”, che dovrebbe essere fatta valere tempestivamente dal Governo nazionale, con la conse-
guenza, altrimenti della inoppugnabilità degli atti medesimi.
( 12 ) Come auspica lo stesso A. Pace, op. cit. 16 e 20 ss.
( 13 ) Così F. Sorrentino, L’influenza del diritto comunitario sulla Costituzione italiana,
cit., 1640.
( 14 ) Questa svolta è iniziata prima della riforma costituzionale del 2001 e quindi durante la
vigenza del precedente sistema di controllo preventivo sulle leggi regionali allora prescritto dal-
l’art. 127 Cost. La nuova posizione della Corte è stata affermata dapprima, nella sentenza n. 384/
8 ADELE ANZON DEMMIG
hanno convinto la Corte ad impostare gli stessi conflitti tra norme interne e
norme comunitarie in modi e con rimedi diversi a seconda che sorgano in un
giudizio comune oppure in un giudizio principale di legittimità costituziona-
le ( 15 ). Resta il fatto indiscutibile che ormai questo indirizzo si è consolidato
definitivamente ( 16 ) e che rappresenta comunque il recupero di uno spazio
al controllo di costituzionalità delle leggi nazionali attraverso il parametro in-
terposto della normazione comunitaria, con incremento della partecipazio-
ne della Corte agli affari europei, sia pure nel limitato campo in cui siano coin-
volti i rapporti tra competenze statali e regionali.
Riassumendo, in esito a questa evoluzione giurisprudenziale, il con-
trollo della Corte Costituzionale in caso di incompatibilità della legislazio-
ne nazionale con il diritto comunitario direttamente applicabile, resta esclu-
so, di regola, quando il contrasto con esso della legislazione interna si ma-
nifesti in occasione di un giudizio comune, nel qual caso la soluzione del
problema è devoluto al giudice, previo, eventuale ricorso in via pregiudizia-
le alla Corte di Giustizia; resta invece ammissibile quando il contrasto sia
prospettato in via principale.
Inoltre, quando l’atto comunitario direttamente applicabile viola i
“contro limiti”, è possibile, mediante l’impugnazione della legge di esecu-
zione del Trattato “nella parte in cui”, promuovere l’intervento della Corte
costituzionale, e ciò in ogni caso – v. sent. n. 232 del 1989 – e non soltanto
quando la violazione sia tale da mettere in dubbio la perdurante compati-
bilità del Trattato stesso con detti “controlimiti”.
94, con riferimento all’ipotesi di mere delibere legislative regionali, poi è stata ripresa e ridisegna-
ta nella sentenza n. 94/95 (e in seguito costantemente ribadita) anche a leggi statali già in vigore.
Oggi, con la sottoposizione anche delle leggi regionali al solo controllo successivo, è evidente che
la distinzione ha perduto ogni rilevanza.
( 15 ) Favorevoli a questa impostazione sono F. Sorrentino, L’influenza, cit., 1640 ss. e già
prima, Id., Una svolta apparente nel cammino comunitario della Corte. L’impugnativa statale di
leggi regionali per contrasto con il diritto comunitario, in Giur. cost., 1994, 3456 ss.; A. La Pergo-
la, Costituzione e integrazione europea, cit., 833 ss. Per quanto mi riguarda, continuo a ritenere
che esista un contraddizione tra l’impostazione sottesa alle due ipotesi, né mi sembra convincente
la tesi che la nuova impostazione rappresenti un coerente svolgimento di quella inaugurata con la
sentenza n. 170/84 e che la diversità di regime sia giustificata da mere ragioni processuali, per cui
la questione di legittimità costituzionale (in riferimento all’art. 11 Cost.) di una legge statale o re-
gionale contrastante con il diritto comunitario direttamente applicabile sarebbe inammissibile se
sollevata in via incidentale per il solo fatto della sua necessaria irrilevanza (dovendo comunque il
giudice a quo procedere alla disapplicazione della norma interna) e pienamente ammissibile nel
giudizio principale in cui invece mancherebbe questo ostacolo processuale dell’irrilevanza neces-
saria e in cui l’intervento della Corte sarebbe comunque giustificato dalla necessità di salvaguar-
dare “il valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa”. Ormai però questa dop-
pia impostazione è consolidata nella giurisprudenza della Corte. Le ragioni contrarie possono leg-
gersi in A. Anzon, I Tribunali costituzionali, cit., 89 ss.
( 16 ) V. tra le molte, la recente sentenza n. 102 del 2008.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 9
Nel corso degli anni successivi alle pronunzie finora ricordate, e fino a
questo momento, la giurisprudenza della Corte si è consolidata, sostanzial-
mente nei sensi illustrati pur manifestando segnali di crescente attenzione
per il fenomeno comunitario, tra i quali spicca il rovesciamento del suo
orientamento in ordine al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex 234
TCE (ora art. 267 TFUE).
Per esempio, la Corte, in varie pronunzie, ha preso in considerazione
il diritto comunitario: l’ha utilizzato come tertium comparationis in un giu-
dizio relativo all’impugnazione in via incidentale di una legge per contrasto
con l’art. 3 Cost. perché introduceva una “discriminazione a rovescio” in
base alla nazionalità ( 18 ), ovvero come criterio di riferimento decisivo per
l’interpretazione di una formula della Costituzione, e cioè della “tutela del-
la concorrenza” di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) ( 19 ); inoltre nel verifica-
re alla sua stregua la compatibilità di leggi statali e regionali impugnate in
via diretta, ha ritenuto che lo stesso diritto comunitario sia idoneo a soddi-
sfare le riserve di legge disposte in Costituzione ( 20 ).
Per il resto, anche le decisioni intervenute dopo l’adozione del nuovo
testo del comma 1 dell’art. 117, introdotto con la riforma costituzionale del
2001, non hanno modificato la precedente impostazione, confermando le
( 17 ) Cfr. la sentenza n. 286 del 1986, rimasta peraltro isolata, che ha dichiarato direttamen-
te inesistente il contrasto della legge impugnata con principi del Trattato, e ha di conseguenza ri-
gettato, nel merito, la questione di legittimità costituzionale prospettata rispetto all’art. 111 Cost.
Si tratterebbe secondo A. La Pergola, Costituzione e integrazione, cit., di un’ipotesi di controllo
su una legge gravemente “anticomunitaria”. Un’analisi recente della posizione della legge nazio-
nale rispetto al diritto comunitario è quella di A. Celotto, Primato del diritto comunitario e fun-
zione legislativa in AA.VV., Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino,
2007.
( 18 ) Cfr. sent. n. 443 del 1997. Per queste ed altre forme di apertura della Corte verso il di-
ritto comunitario cfr. P.A. Capotosti, Quali prospettive nei rapporti tra Corte costituzionale e
Corte di giustizia, in Quad. cost., 2003, 461.
( 19 ) Così la sentenza n. 14 del 2003. L’assunto è ulteriormente specificato soprattutto nella
sent. n. 430 del 2007 e nella sent. n. 319 del 2009.
( 20 ) Così le sentt. n. 383 del 1998 e 425 del 1999.
10 ADELE ANZON DEMMIG
( 21 ) V. per es. sent. n. 348 del 2007 e ord. n. 103 del 2008.
( 22 ) L’ordinanza dichiara inammissibile una questione concernente una legge italiana per
contrasto con norme del Trattato CE provviste di effetti diretti. Sul tema dei contro limiti v. di
recente A. Tizzano, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d. controlimiti
costituzionali, in AA.VV., Diritto comunitario e diritto interno, cit., 479 ss.
( 23 ) V. nello stesso senso la sent. n. 284 del 2007.
( 24 ) Se si eccettua la sentenza n. 286 del 1986, sopra ricordata (nt. 17). V. pure supra, § 3 e
nt. 6.
( 25 ) Cfr. la sent. n. 170 del 1984, punto 7 mot. dir., laddove, riprendendo l’indicazione del
leading case del 1973, premesso che “... la legge di esecuzione del Trattato possa andar soggetta al
suo sindacato, in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai
diritti inalienabili della persona umana, nell’ipotesi contemplata, sia pure come improbabile, al
numero 9 nella parte motiva di detta pronunzia.”, tiene ad aggiungere. “Nel presente giudizio ca-
de opportuno un altro ordine di precisazioni. Vanno denunciate in questa sede quelle statuizioni
della legge statale che si assumano costituzionalmente illegittime, in quanto dirette ad impedire o
pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale
dei suoi principi: situazione, questa, evidentemente diversa da quella che si verifica quando ricor-
re l’incompatibilità fra norme interne e singoli regolamenti comunitari. Nel caso che qui é previ-
sto, la Corte sarebbe, quindi, chiamata ad accertare se il legislatore ordinario abbia ingiustificata-
mente rimosso alcuno dei limiti della sovranità statuale, da esso medesimo posti, mediante la leg-
ge di esecuzione del Trattato, in diretto e puntuale adempimento dell’art. 11 Cost.”.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 11
5. – (Segue) L’efficacia diretta del diritto comunitario tra art. 11 e art. 117,
comma 1
( 29 ) La Convenzione EDU, invece, non può trovare protezione nell’art. 11 Cost., non solo
perché non è individuabile – almeno con riferimento a specifiche norme convenzionali – alcuna
limitazione della sovranità nazionale» (sentenza n. 188 del 1980), ma anche perché, più in gene-
rale, essa non crea un ordinamento giuridico sopranazionale (non configurando una competenza
comune attribuita alle (o esercitata dalle) istituzioni comunitarie), ma un intreccio di relazioni in
cui il rapporto tra la stessa CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri rimane un rap-
porto variamente ma saldamente disciplinato da ciascun ordinamento nazionale (sent. n. 349/
2007) e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, ma solo obbli-
ghi per gli Stati stessi, come ogni trattato multilaterale (sent. 348 del 2007).
In queste sentenze il rilievo vincolante nel nostro ordinamento della interpretazione delle
disposizioni convenzionali da parte della giurisprudenza della Corte di Strasburgo è sottolineato
con particolare insistenza ma con diverse sfumature: infatti, mentre la prima sentenza giustifica il
carattere vincolante di tale giurisprudenza con un argomento proprio del realismo giuridico, e
cioè come “naturale conseguenza” del fatto che “le norme giuridiche vivono nell’interpretazione
che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo”, pertanto rientra tra gli obblighi
internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU quello di adeguare
la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specifica-
mente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. “Non si può parlare quindi di
una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato ita-
liano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla
Corte europea, contribuendo con ciò a precisare i loro obblighi internazionali”. La sentenza n.
349 invece sembra prescindere da ogni considerazione più generale sul ruolo naturale della giuri-
sprudenza e riconduce tale efficacia vincolante più direttamente alla necessità di garantire la de-
finitiva uniformità di applicazione delle norme convenzionali mediante, appunto, “l’interpreta-
zione centralizzata della CEDU attribuita alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo,
cui spetta la parola ultima e la cui competenza” «si estende a tutte le questioni concernenti l’in-
terpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa
nelle condizioni previste» dalla medesima (art. 32, comma 1, della CEDU). Gli stessi Stati mem-
bri, peraltro, hanno significativamente mantenuto la possibilità di esercitare il diritto di riserva re-
lativamente a questa o quella disposizione in occasione della ratifica, così come il diritto di denun-
cia successiva, sì che, in difetto dell’una e dell’altra, risulta palese la totale e consapevole accetta-
zione del sistema e delle sue implicazioni.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 13
( 30 ) Per una critica a queste decisioni v. A. Anzon, Le Regioni in balìa del diritto comuni-
tario?, in Giur. cost., 1996, 1062 ss.
( 31 ) Concorda sullo scarso valore innovativo della disposizione in esame anche A. Pace, La
sentenza Granital, 29 ss., il quale ne individua una incidenza innovativa nel caso della mancata at-
tuazione delle direttive self executing nei rapporti orizzontali. Secondo V. Onida, “Armonia tra
diversi”, cit., 552, uno spazio di operatività autonoma alla disposizione in discussione residuereb-
be nell’ipotesi in cui la conformità a norme comunitarie fosse imposto come criterio direttivo di
una legge delega, e dunque nel caso di una violazione indiretta dell’art. 76 Cost. V. pure le diverse
e più ampie considerazioni formulate di recente da G. Serges, Vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario ai sensi dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in AA.VV., Profili attuali e prospet-
tive di diritto costituzionale europeo, cit.
( 32 ) V. sent. n. 284 del 2007.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 15
li” di cui al citato articolo del Trattato ( 33 ). In tal modo essa otteneva il ri-
sultato di sottrarsi preventivamente all’effetto vincolante di eventuali pro-
nunzie pregiudiziali della Corte di Giustizia, ogni volta che atti normativi
comunitari dovessero essere utilizzati nei suoi giudizi come integrazione
del parametro di legittimità costituzionale, ovvero, nei casi particolari ri-
cordati, come oggetto attraverso le leggi nazionali.
Se gli sviluppi giurisprudenziali nel senso dell’ampliamento del potere
di intervento della Corte Costituzionale su questioni coinvolgenti il diritto
europeo hanno trovato un complessivo, anche se non unanime apprezza-
mento da parte degli studiosi – che ne criticavano il precedente estrania-
mento rispetto al processo di integrazione – viceversa questo ultimo passo
della sua giurisprudenza – che poteva leggersi, anch’esso, come un ulteriore
sintomo dell’atteggiamento della Corte volto a riconquistare una posizione
di maggiore indipendenza nella dinamica dei rapporti comunitari ( 34 ) – è
stato invece oggetto di molteplici critiche contestandosi alla Corte sia la tesi
di non essere una “giurisdizione nazionale” – in contraddizione con l’am-
missione della sua legittimazione a sollevare davanti a se stessa questioni di
legittimità costituzionale – sia e soprattutto il disconoscimento, nella so-
stanza, alla Corte di Giustizia dei compiti di governo del diritto comunita-
rio suscettibili di incidere sulle competenze di garanzia della Costituzione
nazionale ( 35 ).
Il rifiuto del rinvio veniva poi criticato con particolare asprezza in ri-
ferimento ai giudizi di legittimità costituzionale in via principale, in cui la
Corte è il giudice unico della controversia e deve risolvere il proprio giudi-
zio utilizzando la norma comunitaria come parametro interposto ( 36 ).
Abbiano o meno tali critiche contribuito a sollecitarne una nuova ri-
flessione sul punto, la Corte ha cambiato, anche se parzialmente, nuova-
mente avviso con l’ordinanza n. 103 del 2008: nella quale, premesso il di-
verso modo di operare delle norme comunitarie ad effetto diretto nei giu-
dizi comuni e in quello di legittimità costituzionale in via principale, precisa
che in questo secondo caso, quando il giudizio, come nel caso di specie,
( 33 ) Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte sul punto cfr. G. Amoroso, La giuri-
sprudenza costituzionale nell’anno 1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunitario e ordina-
mento nazionale: verso una “quarta” fase?, in Foro it., 1996, V, 73 ss.; T. Groppi, Corte costituzio-
nale e art. 177 del Trattato CE, in Gazz. giur., n. 4/1996, 5 ss., nonché, più di recente R. Caponi,
Corti europee, cit., 133 ss. V. pure ord. n. 319/96.
( 34 ) Cfr. A. Anzon, I tribunali costituzionali, cit.
( 35 ) Per queste critiche e per l’auspicio di una svolta nel senso poi realizzato dall’ord. n.
108 del 2008 cfr. per tutti A. Pace, La sentenza Granital, cit., 427 ss.
( 36 ) Per un’analisi dello stato del problema in relazione all’adozione dell’ordinanza n. 103
del 2008, cfr. L. Pesole, La Corte costituzionale ricorre per la prima volta al rinvio pregiudiziale.
Spunti di riflessione, in www.federalismi.it, n. 2009.
16 ADELE ANZON DEMMIG
stesso art. 234 TCE (ora art. 267 TFUE). Questa eliminazione è dovuta an-
che e principalmente ad un cambio di prospettiva ( 39 ) e cioè alla scelta di te-
nere conto a questo scopo non tanto e non solo delle indicazioni ricavabili dal
diritto interno, quanto piuttosto di quelle derivanti dalla giurisprudenza co-
munitaria. Come tale detta scelta costituisce un apprezzabile segno di atten-
zione all’esperienza comunitaria e, insieme, il presupposto essenziale per spin-
gere, eventualmente, in futuro la disponibilità della Corte ad un maggiore dia-
logo per questa via con la Corte di Giustizia anche in occasioni diverse da quel-
la offerta dal giudizio principale ( 40 ), dialogo che resta certo auspicabile, ma
– naturalmente – a condizione che pari disponibilità sia mostrata dal giudice
europeo, che per la verità non sempre ha tenuto un atteggiamento partico-
larmente proclive al dialogo con le Corti nazionali.
zionale – che è il medesimo usato dalla Corte di Giustizia nella famosa sen-
tenza Costa/Enel del 15 luglio 1964 – uso che era atteso da molti studiosi
contrari all’impostazione dualista di tali rapporti. Un sia pure limitato indi-
zio in questa direzione potrebbe essere offerto anche dalla stessa proposi-
zione del rinvio pregiudiziale con l’ordinanza n. 103 del 2008, pur se non
sarebbe lecito sopravvalutarne il significato ( 42 ).
Non si può certo pensare che la Corte sia avviata con ciò a sposare la
concezione monista e gerarchica dei rapporti tra ordinamenti professata
dalla Corte di Giustizia. Non si può seriamente pretendere che, come ga-
rante della Costituzione, rinneghi la sovranità della Repubblica italiana e ri-
nunci a difenderne i principi e diritti fondamentali che ne rappresentano
l’identità ( 43 ). Su questo punto è ovviamente attestata con forza anche la
giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale tedesco, come si vedrà
più avanti.
Si può però ragionevolmente auspicare che le indicazioni nel senso il-
lustrato preludano ad una concezione decisamente più aperta di detti rap-
porti. Francamente, però è difficile fare pronostici di questo tipo, anche in
considerazione di segnali in direzione opposta che vengono da una decisio-
ne più recente.
Si tratta della sentenza n. 125 del 2009 che fa un’applicazione partico-
larmente rigida della concezione dualista laddove nega la possibilità di co-
struire un “combinato disposto” tra una disposizione di legge nazionale e
una disposizione di un regolamento comunitario dotato di efficacia diretta,
ritenendola “un’interpolazione... viziata sul piano giuridico”, essenzial-
mente perché “si risolve nella fusione di due norme... destinate invece a re-
stare distinte, in quanto appartenenti ad ordinamenti diversi, pur se coor-
dinati, e che non sono suscettibili di essere lette in combinazione appunto
perché tra loro contrastanti”.
Non risulta chiaro se il combinato disposto non è considerato pratica-
bile perché si tratta di fonti di diversi ordinamenti oppure perché si tratta
di norme contrastanti. L’insistenza della pronunzia sulla distinzione tra or-
dinamenti e sul carattere “esterno” delle fonti comunitarie comunque fa
pensare che siano proprio queste le ragioni su cui si appoggia il diniego del
combinato disposto che, altrimenti, una volta ammessa l’efficacia diretta
8. – Prime conclusioni
( 44 ) In senso analogo mi sembra orientato L. Paladin, nel sottolineare questo tra gli aspet-
ti di integrazione tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, per cui però questa inte-
grazione non va oltre quella rappresentata dall’mmagine degli ordinamenti “coordinati e comu-
nicanti” della sent. n. 389 del 1989 (Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 426 ss.).
20 ADELE ANZON DEMMIG
( 45 ) Per un esame siffatto, anche per ulteriori riferimenti sia consentito rinviare ad A. An-
zon, I Tribunali costituzionali nell’era di Maastricht, cit., 103 ss. e Id., Principio democratico e con-
trollo di costituzionalità sull’integrazione europea nella “sentenza Lissabon” del Tribunale costitu-
zionale federale tedesco, in Giur. cost., 2009.
( 46 ) Cfr. BverfGE 22, 293 (296 ss.)
( 47 ) Cfr. spec. BverfGE 73, 339 (374 ss.), del 1986 (c.d. sentenza Solange II).
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 21
( 52 ) Cfr. § 216.
( 53 ) Cfr. §§ 219-221.
( 54 ) Questa Europafreundlichkeit è espressa testualmente nel Preambolo e nell’art. 23,
comma 1 L F. Il Preambolo si apre proclamando “Conscio della propria responsabilità dinanzi a
Dio e agli uomini, animato dalla volontà di porsi al servizio della pace nel mondo come membro,
a parità di diritti, di un’Europa Unità, il popolo tedesco si è data, in forza del proprio potere co-
stituente, questa Legge Fondamentale”.
( 55 ) Cfr. § 225. Per la lettura dell’art. 23 come norma non solo facoltizzante ma come “nor-
ma programmatica” (Staatszielbestimmung), che determina un vero e proprio dovere di provve-
dere cfr. tra gli altri F. Mayer, Nationale Regierungsstrukturen und europaeische Integration, in
Europaeische Grundrechte Zeitung, 2002, 114 ss.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 23
alla qualità di Stato sovrano della Germania e l’ingresso in uno Stato fede-
rale europeo ( 56 ). La Legge Fondamentale, del resto, nel prefigurare il fine
della partecipazione tedesca all’Europa unita, allude solo ad un ordinamen-
to cooperativo impegnato alla realizzazione della pace, ma non ne indica,
come meta finale, una precisa forma di organizzazione politica ( 57 ). Essa
dunque è chiara nel configurare l’Unione non come un’entità superiore, ma
come il frutto di un vincolo reciproco e liberamente assunto tra eguali, e
cioè tra Stati che condividono i valori di libertà, eguaglianza e dignità del-
l’uomo ( 58 ). L’Europa alla quale allude l’art. 23 LF dunque rimane uno
Staatenverbund ( 59 ), destinatario di poteri trasferiti secondo il principio di
attribuzione. Questo Verbund rappresenta l’unione stretta e durevole di
Stati che rimangono sovrani, esercita poteri pubblici sulla base di trattati,
ha un ordinamento che rimane nella disponibilità dei soli Stati membri ed è
legittimato soltanto dai popoli – e cioè dai cittadini – degli Stati ( 60 ).
In particolare, nel processo di integrazione europea, l’intangibilità del-
l’identità costituzionale implica il divieto alla Germania di trasferire all’Unio-
ne poteri non individuabili e di rilasciarle autorizzazioni in bianco all’eserci-
zio di poteri pubblici: ciò infatti, risolvendosi nell’attribuzione all’Unione del-
la Kompetenz-Kompetenz, infrangerebbe il principio democratico che impo-
ne che ogni decisione politica sia riconducibile alla volontà del popolo (espressa
direttamente o in via mediata dal Parlamento nazionale) e, contemporanea-
mente, sacrificherebbe la sovranità dello Stato tedesco ( 61 ).
( 62 ) Cfr. § 237.
( 63 ) Cfr. § 237.
( 64 ) § 238. Il concetto era già chiaro nella sentenza Maastricht, laddove affermava che gli
atti “di sconfinamento” delle istituzioni europee non potevano considerarsi vincolanti nella sfera
di sovranità dello Stato tedesco, essendo “costituzionalmente precluso” agli organi dello Stato te-
desco di darvi applicazione (sub C, I,3, 693), e successivamente dichiarava “L’attività interpreta-
tiva non può avere per effetto l’estensione del Trattato. In caso contrario essa non avrebbe alcun
effetto vincolante nei confronti della Germania” (sub C, II, 3, c), 708).
( 65 ) § 239.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 25
La sentenza giunge a questo punto ad uno dei passi più controversi e cri-
ticati. Dichiara infatti che la stessa responsabilità per l’integrazione e dunque
lo stesso compito di garanzia spetta anche – e continuerà a spettargli finché
lo Stato tedesco conserva la sua sovranità – al Tribunale costituzionale tede-
sco, il quale, a garanzia dei principi di base della Legge Fondamentale, deve
esercitare anche sugli atti di organi dell’Unione diversi tipi di controllo ( 66 ).
Il tema non è nuovo, ma qui appare sviluppato con una ampiezza par-
ticolare di analisi rispetto al passato, che contribuisce a dargli un risalto
speciale.
Si tratta innanzi tutto del controllo “ultra vires” ( 67 ), già prefigurato
sia pure implicitamente nella sentenza Maastricht, laddove dichiarava inap-
plicabili in Germania gli atti europei esorbitanti dalle funzioni attribui-
te ( 68 ). Oggi il Tribunale lo riconosce espressamente e ne precisa i presup-
posti, limitandolo ai casi di “evidenti sconfinamenti” (ersichtliche Grenzue-
berschreitungen) nell’esercizio delle competenze da parte dell’Unione, e di
inesistenza di “un rimedio giuridico a livello europeo”; in tale ipotesi il con-
trollo del Tribunale consiste nel verificare se gli atti dell’Unione, rispettan-
do il principio europeo di sussidiarietà, si siano mantenuti nei confini dei
poteri sovrani loro trasferiti secondo il principio di attribuzione.
In secondo luogo il Tribunale costituzionale deve esercitare un “control-
lo di identità” ( 69 ) e cioè un sindacato sul rispetto da parte degli atti dell’Unio-
ne del nucleo intangibile (unantastbare Kerngehalt) dell’identità costituzio-
nale tedesca. Questo tipo di controllo costituisce una novità rispetto alla sen-
tenza Maastricht, che si limitava a evidenziare come limite all’espansione del-
le competenze europee l’ identità nazionale ex art. F TUE-Maastricht, e ne
riconosceva il controllo da parte della Corte di Giustizia comunitaria.
Da considerare a parte è la situazione del controllo sulla garanzia dei
diritti fondamentali nell’azione europea. Anche ora, come già ritenuto nella
sentenza Maastricht, il Tribunale ribadisce l’impostazione della sentenza
Solange II, per cui esso si astiene dall’esercitare la propria competenza fino
a quando questi diritti trovino a livello europeo, e segnatamente a mezzo
della giurisprudenza della Corte di Giustizia, una protezione equivalente a
quella assicurata dalla Legge Fondamentale.
Tanto il controllo ultra vires quanto il controllo di identità – secondo
il Bundesverfassungsgericht – comportano, in caso di esito negativo, la di-
( 66 ) §§ 240-243; 331-343.
( 67 ) § 240.
( 68 ) Sub C, I, 3, 693 e 708. V. supra nt. 28.
( 69 ) Cfr. § 240.
26 ADELE ANZON DEMMIG
( 70 ) V. § 241.
( 71 ) § 340.
( 72 ) Cfr. § 240.
( 73 ) §§ 341-343.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 27
Gli strali della critica sono puntati su vari aspetti della sentenza “Li-
sbona”, quali principalmente la rivendicazione della sovranità degli Stati
membri dell’Unione, la concezione della democrazia come requisito strut-
turale di quest’ultima, il rafforzamento (sul fronte del diritto interno) dei
poteri di intervento del Parlamento nazionale ( 74 ).
Con particolare accanimento sono però contestate l’ampiezza e le ca-
ratteristiche della rivendicazione da parte del Tribunale costituzionale fe-
derale tedesco di poteri di controllo sugli atti dell’Unione (più precisamen-
te, sull’applicazione degli atti dell’Unione, secondo l’impostazione tedesca
che ha trovato eco anche nella sent. n. 454 del 2006 della Corte italiana) in
riferimento ai limiti che la Costituzione tedesca pone alla partecipazione
della Germania alla costruzione dell’Europa Unita, e di un conseguente po-
tere di dichiarare tali atti non applicabili in Germania.
In questo controllo si è visto non solo un attentato ad una competenza
che il Trattato riserva in esclusiva alla Corte di Giustizia europea, ma anche
una indebita pretesa del Tribunale alla “decisione di ultima istanza” (Let-
zentscheidung) sugli atti dell’Unione che metterebbe in pericolo l’unità del
diritto europeo ( 75 ).
Le polemiche riguardano sia il controllo ultra vires, sia il controllo di
identità ( 76 ) e sono particolarmente aspre. I toni accesi che il dibattito ha as-
( 74 ) Per una illustrazione delle critiche su tali punti v. A. Anzon Demmig, Principio demo-
cratico e controllo di costituzionalità sull’integrazione, cit., §§ 10 ss.
( 75 ) Per un’ampia analisi di questo ultimo problema cfr. soprattutto F. Mayer, Kompeten-
zueberschreitung und Letzentscheidung. Das Maastricht-Urteil des Bundesverfassungsgerichts und
die Letzerntscheidung ueber Ultra vires-Akte in Mehrebenensystemen, Berlin, 2000, 104 ss. Sul te-
ma v. pure, per tutti, nella vastissima letteratura sull’argomento, i saggi di G. Hirsch, Europäi-
scher Gerichtshof und Bundesverfassungsgericht – Kooperation oder Konfrontation?, Neue Juristi-
sche Wochenschrift (NJW), 1996, 2457 ss.; e soprattutto di D. Grimm, Europäischer Gerichtshof
und nationale Arbeitsgerichte aus verfassungsrechlicher Sicht, in Recht der Arbeit, 1996, 67 ss.
( 76 ) Su tale controllo insisteva – anticipando l’orientamento poi fatto proprio dalla senten-
za – U. Di Fabio, Das Bundesverfassungsgericht und die internationale Gerichtsbarkeit, in
AA.VV., Deutschland und die internazionale Gerichtsbarkeit (a cura di A. Zimmermann), Berlin,
28 ADELE ANZON DEMMIG
2003, 111, ritenendo un sindacato sugli atti europei a tutela dell’identità costituzionale necessa-
riamente implicato dalla “responsabilità per l’integrazione” del Tribunale costituzionale, specie
in vista di una ulteriore espansione della giurisprudenza della Corte di Giustizia, allo scopo di cir-
coscrivere la forza politica degli organi dell’Unione e di vincolarli al rispetto reciproco a difesa
della libertà e dell’integrazione (117).
( 77 ) “Stoppt den Europaeischen Gerichthof”, in Frankfurter Allgemeine Zeitung 8.9.2008.
Particolarmente controverse sono anche la decisione (Grande camera, 10 febbraio, 2009) sulla di-
rettiva 24/2006 sugli archivi magnetici di dati personali e la nota sentenza “Francovich” sulla re-
sponsabilità dello Stato per omissioni legislative: cfr. J. Bergmann-U. Karpenstein, Identiaets-
und Ultra-vires-Kontrolle durch das BVerfG – zur Notwendigkeit einer gesetzlichen Vorlageverpfli-
chtung, in Zeitschrift fuer europaeische Studien n. 4/2009, i quali riferiscono (§ III) anche di atteg-
giamenti cautamente critici e premonitori manifestati dal Presidente e da giudici del Bundesver-
fassungsgericht in vari scritti sulla stampa quotidiana o riviste giuridiche.
( 78 ) Tra i quali figurano anche I. Pernice e F. Mayer, difensori della costituzionalità del
Trattato nel giudizio dinanzi al Bundesverfassungsgericht e autori delle tesi sulla Costituzione e
sulla sovranità “integrata dell’Europa di cui tratterò nei paragrafi successivi. L’appello si può leg-
gere in www.whi-berlin.de. Favorevoli all’impostazione dell’appello sono J. Bergmann-U. Kar-
penstein, Identiaets- und Ultra-vires-Kontrolle, cit. i quali ritengono (§ V) che l’obbligo di rinvio
pregiudiziale scaturisca non solo dal diritto europeo ma anche dall’atteggiamento europafreundli-
ch della Legge Fondamentale.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 29
( 79 ) Si tratta del divieto di discriminazione in base all’età, ritenuto all’epoca non ricavabile
né dalla normativa pattizia né dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Così già
R. Herzog-L. Gerken, op. cit., che prefigurano per primi la ipotesi accennata nel testo. Il saggio
di L. Gerken, V. Rieble, G.H. Roth, T. Stein, R. Streinz, “Mangold” als ausbrechender Recht-
sakt, Muenchen, 2009, trae spunto dal fatto che presso il Bundesverfassungsgericht pende un giu-
dizio promosso da un ricorso individuale (2 BvR 2661/06) della Honeywell Bremsbelag GmbH
contro la pronunzia del 26 aprile 2006 del Tribunale federale del lavoro che, facendo applicazio-
ne della sentenza della Corte di Giustizia, avrebbe leso il suo diritto alla libera scelta della profes-
sione e del posto di lavoro. Secondo gli Autori l’applicazione della sentenza europea in Germania
sarebbe illegittima perché, appunto, si tratterebbe di un “atto di sconfinamento”. La motivazione
di tale sconfinamento però lascia alquanto perplessi dal momento che resta altamente opinabile
che una interpretazione del diritto europeo non condivisa e perfino errata possa dirsi esorbitante
dalla funzione giurisdizionale e configurabile come vizio di incompetenza, né, tanto meno, come
di ipotesi di “evidente sconfinamento”. Gli autori non negano questa difficoltà, ma, ammettendo
che esiste una “zona grigia” tra interpretazione e creazione del diritto, risolvono un po’ semplici-
sticamente il problema, dicendo che poiché comunque una distinzione esiste, sarà il Tribunale
costituzionale a definirla con maggiore precisione. Data la estrema problematicità del punto cen-
trale della motivazione, mi sembra tutt’altro che prudente spingere il Bundesverfassungsgericht a
cogliere comunque l’occasione per prendere posizione su questa base contro la sentenza della
Corte di giustizia. Peraltro, occorre segnalare che nelle more della pubblicazione del presente
saggio, la Corte di Giustizia (Grande Camera, 19.1.2010, C-555/07) ha fondato il divieto di di-
scriminazione in base all’età nell’art. 21 della Carta europea dei diritti, ed ha perciò dichiarato an-
ticomunitaria e inapplicabile una disposizione del codice civile tedesco.
( 80 ) Cfr. F. Mayer, “Endgueltiges Scheitern des Lissabon-Vertrags moeglich”, nell’intervista
in www.EurActiv.de, 13 luglio 2009, il quale in proposito richiama sia le sentenze Solange I e II,
sia la sentenza Maastricht e sottolinea che tra le varie pronunzie esiste solo una crescente aggres-
sività nei toni.
( 81 ) V. per esempio, in Italia, il timore, espresso con toni eccessivamente enfatici, da M.
Chiti, Am deutschen volke. Prime note sulla sentenza, etc. in www.astridonline.it, 161, che per ef-
fetto della sentenza “I destini di un continente siano lasciati alle decisioni di una corte costituzio-
nale nazionale”.
30 ADELE ANZON DEMMIG
( 82 ) Dato il possibile effetto diretto di atti normativi dell’Unione e delle sentenze della
Corte di Giustizia, non potrebbe escludersi, ove ne ricorrano gli altri presupposti, la possibilità
dell’impugnazione di tali atti, come pure di decisioni diverse dotate di eguali effetti, mediante
Verfassungsbeschwerde per lesione di diritti fondamentali: è quanto sembra prefigurare La sen-
tenza Maastricht quando appunto afferma che simile lesione può derivare anche da un atto di “un
potere pubblico di una organizzazione sopranazionale” e che l’intervento del Bundesverfassung-
sgericht per la tutela di quei diritti in Germania non si rivolge soltanto contro gli organi dello Stato
tedesco. Cfr. sul punto AA.VV., Mangold als ausbrechender Rechtsakt, in www.cep.eu, 41 s. è stata
riconosciuta dal Bundesverfassungsgericht anche impugnabilità diretta di un atto dell’Ufficio Eu-
ropeo dei Brevetti – fuori quindi della sfera del diritto europeo – perché idoneo a ledere i diritti
costituzionali fondamentali (quarta Kammer del II Senato, 2 BvR 2368/99): cfr. U. Di Fabio, Das
Bundesverfassungsgericht und die internazionale Gerichtsbarkeit, cit., 115 s.
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 31
Per tale ragione, oltre che per l’inopportunità – su cui tornerò più avan-
ti – di irrigidire i rapporti tra le due giurisdizioni assegnando ad una di esse
una posizione di istituzionale prevalenza non mi sembra praticabile né auspi-
cabile la strada suggerita dall’appello dei trenta giuristi sopra ricordato.
L’incertezza di fronte a questa impasse può forse essere sdrammatizza-
ta da una più attenta considerazione dei termini del problema.
Si può constatare così che il controllo ultra vires – che appare il più te-
mibile dagli “euro-entusiasti” – nella sentenza Lisbona appare chiaramente
circoscritto e limitato – trovando applicazione, come s’è visto, non soltanto
in caso di sconfinamenti “evidenti” ma anche a condizione che non possa-
no operare i rimedi previsti dall’ordinamento europeo ( 86 ). Sembra, questa,
una impostazione non dissimile da quella della sentenza Solange II in tema
di controllo sul rispetto, da parte degli atti europei, dei diritti fondamentali,
fondata sul rapporto di collaborazione strutturato nel senso che il Tribuna-
le costituzionale nazionale si astiene dall’intervenire fino a che funzionino
le garanzie assicurate dalla giurisdizione della Corte di Giustizia ( 87 ).
Quanto poi al controllo di identità, la diffusione nello spazio giuridico
europeo dei principi contenuti nella clausola tedesca e la loro consacrazio-
ne (con esclusione del principio dello Stato federale) nella “clausola di
omogeneità” ora art. 1-bis TUE-Lisbona (già art. 6 TUE) quali valori fon-
damentali dell’Unione ( 88 ) – quand’anche suscettibili di assumere significa-
to diverso dato il differente contesto ordinamentale in cui rispettivamente
si collocano – consentono di ipotizzare ragionevolmente che pure eventuali
violazioni della clausola sarebbero rare se non eccezionali ( 89 ).
A ridimensionare la portata del problema può valere poi anche una
considerazione di diversa natura e cioè questa: da un’analisi della giurispru-
denza non si ricava l’impressione che finora il Tribunale tedesco abbia mo-
cisione-quadro europea sull’argomento – esclude, con motivazione analitica, che questa decisio-
ne, contrastando il divieto costituzionale di estradizione del cittadino, provochi – attraverso la
violazione del principio democratico – l’Entstaatlichung della Repubblica federale e la violazione
della sovranità statale tedesca, e ciò perché lo Stato tedesco conserverebbe in materia “compiti di
peso sostanziale”. Pertanto la decisione-quadro non mette in discussione l’identità costituzionale
tedesca, mentre incostituzionali sono (solo) l’atto giurisdizionale e quello amministrativo di ese-
cuzione della legge di trasposizione tedesca nonché questa stessa legge stessa, perché ha limitato il
diritto fondamentale a non essere estradato del cittadino tedesco senza rispettare il principio co-
stituzionale di proporzionalità.
Anche questa decisione dunque non tocca il diritto europeo, ma sceglie la via di dichiarare
incostituzionale soltanto la normativa interna di attuazione, secondo la medesima impostazione
seguita poi dalla sentenza Lissabon. Si può considerare come la premonizione di un intento bel-
licoso del Tribunale tedesco?
( 92 ) V. in particolare il caso relativo alla sentenza Mangold, nonché la sentenza della Corte
europea del 19.1.2010 di cui s’è detto più sopra, nt. 79.
( 93 ) Così F. Schorkopf, The European Union, cit., 1232; J. Ziller, Solange III, cit., 22 ss.
precisa giustamente che la rivendicazione dell’interpretazione del diritto europeo in capo al Bun-
desverfassungsgericht ai fini del controllo di costituzionalità degli atti europei, contenuta nel § 241
I TRIBUNALI COSTITUZIONALI E L’INTEGRAZIONE EUROPEA 35
della sentenza, non intende certo escludere l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione, ma
soltanto quello degli altri giudici tedeschi.
( 94 ) Secondo J. Ziller, op. cit., 20 la sentenza rappresenterebbe un messaggio diretto non
alle istituzioni europee, ma alle istituzioni tedesche. In epoca precedente alla sentenza U. Di Fa-
bio, Der Verfassungsvertrag und die laengerfriestigen Perspektiven des verfassten Europa, cit., 12,
riferendosi al modello Solange II del rapporto collaborativo tra Bundesverfassungsgericht e Corte
di Giustizia, lo qualificava come un appello nel senso dell’integrazione” (integrationsfreundlicher
Appell) e auspicava che, nel medesimo senso, anche la Corte europea non si mostrasse rigida solo
contro gli Stati, ma anche contro il potere normativo comunitario, così come il Bundesverfassun-
gsgericht, nell’ordinamento interno, controllava il legislatore a difesa dei diritti fondamentali e
delle attribuzioni dei Laender; sottolineava come questo fosse il compito di un tribunale, mentre
essere “motore dell’integrazione politica” non rientrava tra le funzioni della giurisdizione ma de-
gli organi politici dell’Unione.
36 ADELE ANZON DEMMIG
ABSTRACT
The essay examines und compares the dicta of the Italian Constitutional
Court and of the German Bundesverfassungsgericht on the relationships between
national and European law in the evolution of the European system from the Mas-
tricht’s to the Lisbon’s Treaty. The study shows how both Courts, in different con-
text and peculiarities, try to maintain their own role of protection of the national
constitutional identity in the increasing European integration.
Saggi
RENZO DICKMANN
( 1 ) Per tale classica definizione, e per quelle ulteriori ad essa correlate, si veda A. Pace, Le
sfide del costituzionalismo del XXI secolo, in Id., I limiti del potere, Napoli, 2008, 1 ss. (spec. 5).
( 2 ) P. Häberle, Costituzione e identità culturale. Tra Europa e Stati nazionali, Milano,
2006, 11-17; Id., Una riflessione sul senso delle costituzioni, in Nomos, 2008, 9 ss., spec. 20-27.
( 3 ) Il rilievo di questa considerazione di apertura induce a precisare, prima dello svolgi-
mento degli argomenti di cui al testo, che non s’intende comparare il modello occidentale con al-
tri modelli in base ad un’analisi condizionata da una pregiudiziale di ordine culturale: modelli co-
stituzionali di rilievo sono in vigore con successo presso Stati non appartenenti all’area occiden-
tale. Va peraltro ricordato che ai fini dell’evoluzione dei rispettivi sistemi costituzionali il modello
occidentale ha spesso rappresentato un riferimento a volte anche obbligato, come dimostra la sto-
ria di molti Paesi dal passato coloniale. Ne deriva che nel testo il ricorso a locuzioni quali “costi-
tuzionalismo occidentale”, “modello occidentale”, et similia, serve solo ad indicare in sintesi il
modello di stato costituzionale democratico e di diritto imperniato sulla centralità costituzionale
della persona umana, affermatosi in Europa nel secondo dopoguerra sulla base di premesse cul-
turali originali di ispirazione liberale e sociale ed evolutosi negli ultimi venti anni (con l’afferma-
zione delle nuove costituzioni democratiche dei Paesi dell’Est europeo) alla luce di un modello fi-
losofico imperniato essenzialmente sulle dottrine personaliste di ispirazione cristiano-sociale.
38 RENZO DICKMANN
( 4 ) Ai fini delle presenti riflessioni si è tenuto presente lo studio di M.A. Glendon, Verso
un mondo nuovo. Eleanor Roosvelt e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 2001, trad. it. a
cura di B. Frigerio, Macerata, 2008, spec. 136 e cap. 5 e 12, dove si dimostra come nella elabo-
razione della Dichiarazione Universale si sia partiti da una base “occidentale” per arrivare attra-
verso i lavori ad un testo condiviso dai rappresentanti delle varie culture e religioni, con vocazione
autenticamente universale.
( 5 ) Tale tesi è svolta in Democrazia rappresentativa e costituzionalismo per una costituzione
universale dei diritti e delle libertà, in Diritto e società, 2008, 607 ss. La centralità della persona
nella Costituzione italiana si desume alla luce dell’ordine del giorno Dossetti presentato il 9 set-
tembre 1946 nella I Sottocommissione dell’Assemblea costituente (resoc. sommario, 21-22), che,
nonostante non fosse mai stato votato, contiene indicazioni interpretative essenziali nella deter-
minazione dell’orientamento della Costituzione repubblicana, fondando i diritti fondamentali
delle persone e i diritti delle comunità intermedie nella “precedenza sostanziale della persona
umana” e nella “necessaria socialità di tutte le persone”.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 39
alla luce della centralità costituzionale della persona umana non è irrilevan-
te rispetto all’interpretazione di un dato testo sul piano giuridico ( 6 ).
Evidenziando una suggestione che non si coglie guardando alla sola
costituzione-testo, che ha una precisa connotazione spaziale e temporale, si
può sostenere che il contesto costituzionale colleghi le tre dimensioni del
passato (la memoria), del presente (la funzione ordinatrice) e del futuro (la
prospettiva) di un ordine costituzionale in atto ma non registrato in formu-
le scritte. Da questo punto di vista un ordine costituzionale essenziale esiste
per ogni società organizzata all’insegna del riconoscimento di fattori rego-
latori della convivenza.
Questo passaggio è cruciale: solo accettando di porsi rispetto alla co-
stituzione partendo dalla dimensione del suo contesto è possibile accedere
all’idea che principi e valori in esso presenti ma non formalizzati in dispo-
sizioni della carta costituzionale possano comunque condizionarne l’inter-
pretazione ( 7 ).
Dovendo svolgere un’indagine essenzialmente giuridica, s’impone
una precisazione preliminare sul piano del metodo seguito, che presuppo-
ne l’insufficienza del tradizionale approccio positivista, oggetto in Italia di
un complesso e ricco dibattito dottrinale, ripropostosi di recente tra il 2005
e il 2007 ( 8 ). Non si possono riepilogare i profili dogmatici sottostanti a tale
dibattito. Basti rilevare che l’accezione classica del termine “giuspositivi-
sta” – il giurista che trae meccanicamente le norme dalle disposizioni – non
( 6 ) Sul piano del metodo seguito nel presente saggio sono di conforto le parole di A.C. Je-
molo, Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, 1959, V della prefazione, dove rileva: “il desiderio
di molti di noi di ritornare a controllare le nostre costruzioni, scavando sotto gl’istituti giuridici
per raggiungere il terreno del pre-giuridico che volevamo un tempo ignorare: quanto a dire, tor-
nando a dare il loro posto alla storia e alla politica. Non confondiamo storia, politica e diritto; ma
ci sembra di non possedere la norma se non sappiamo come sorse, per quali fini da raggiungere,
come ai fini originari altri se ne sostituissero, talora antitetici ai primi” (ulteriori riflessioni dell’au-
tore sul punto sono svolte nel cap. I del volume).
( 7 ) Sul punto si richiama l’insegnamento di Bobbio, per il quale l’interpretazione non è
scienza ma politica, cioè creazione di norme concrete, in quanto la scelta del metodo ermeneutico
è condizionata da scelte di valore. In tal senso, tra le sue varie opere, si veda N. Bobbio, La filo-
sofia del diritto in Italia nella seconda metà del secolo XIX, in Bollettino dell’Istituto di Filosofia del
Diritto dell’Università di Roma, III, 1942, 198; Id., Sul formalismo giuridico, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1958, 995-997; Id., Il positivismo giuridico, Torino, 1960-1961, 290 ss. Si veda anche J. Ha-
bermas, Lotta di riconoscimento nello stato democratico di diritto, 1996, trad. it. a cura di L. Cep-
pa, in J. Habermas, C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Milano, 2008, 94-
95, che evidenzia il “contenuto etico del patriottismo costituzionale”.
( 8 ) Il nucleo di questa ripresa del dibattito sul positivismo giuridico si rinviene nei contri-
buti di A. Baldassarre, Miseria del positivismo giuridico, in Studi in onore di Gianni Ferrara, To-
rino, 2005, 201 ss.; M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur.
Cost., 2006, 1643 ss.; S. Civitarese Matteucci, Miseria del positivismo giuridico? Giuspositivi-
smo e scienza del diritto pubblico, in Dir. pubbl., 2006, 685 ss.; R. Guastini, Sostiene Baldassarre,
in Giur. cost., 2007, 1373 ss.; A. Baldassarre, Una risposta a Guastini, ibidem, 2007, 3251 ss.
40 RENZO DICKMANN
( 13 ) Per riflessioni sul punto si veda F. Viola, La democrazia deliberativa tra costituziona-
lismo e multiculturalismo, in Ragion pratica, 21/2003, 33 ss., dove si dimostra l’orientamento delle
procedure democratiche allo sviluppo delle potenzialità dei principi costituzionali, in quanto ra-
gioni ultime che devono sostenere l’impegno delle istituzioni pubbliche e della vita civile di una
determinata società politica.
42 RENZO DICKMANN
crazia, con validità universale, la costituzione come atto giuridico non può
certificare la validità del modello democratico che accoglie.
La costituzione-testo non ha di per sé la capacità di assicurare all’uo-
mo il raggiungimento della giustizia sostanziale nello svolgimento dell’atti-
vità politica secondo le forme democratiche a tal fine previste: la costituzio-
ne cioè non può assicurare la giustizia dell’attività politica in rapporto al
bene e alla verità. Questo non è un problema solo della costituzione ma del
diritto in generale. Il diritto non si giustifica in sé e quindi la giustizia non si
risolve nella giustizia legale, nel profilo della legittimità. Il diritto è uno
strumento, la giustizia è un fine. Va pertanto perseguita anche e soprattutto
sul piano sostanziale, per mezzo del diritto ( 14 ).
La democrazia a sua volta non è una via al bene e alla verità: è solo una
formula attraverso la quale si consente che una maggioranza uscita dalle
elezioni governi. L’illusione che la volontà di una maggioranza sia anche
bene e verità risiede nell’equivoca propensione di ogni potere, quindi an-
che di quello democraticamente legittimato, di confondere tra ciò che è ve-
ro, giusto, in quanto buono, e ciò che è vero, giusto, in quanto utile ( 15 ).
Priva di capacità determinativa del bene e del vero, la democrazia co-
me formula di governo non può risolvere alcuna questione essenziale in as-
senza di parametri definiti da una costituzione che ne evidenzi i fini. La de-
mocrazia è dunque orientata dalla costituzione. È errato dal punto di vista
teorico confidare in linea di principio nel valore della democrazia, assolu-
tizzandola come sinonimo di buon governo solo perché organizzata in co-
stituzione. La democrazia è virtuosa se dimostra di essere effettivamente
orientata da principi e valori autenticamente giusti in quanto autenticamen-
te veri, riconosciuti dalla costituzione ma da essa indisponibili per la loro
consistenza pre-costituzionale.
Nella misura in cui vincolano l’azione politica, questi principi e valori
presentano un rilievo originale indisponibile in quanto derivato dal conte-
sto della costituzione, non dal suo testo. Essi acquisiscono consistenza an-
che sul piano giuridico quando risultano realmente vincolanti per l’inter-
pretazione e l’applicazione del testo costituzionale. Il loro rilievo giuridico
non è dunque quello proprio delle disposizioni positive, bensì quello dei
criteri dell’interpretazione giuridica. In questa dimensione presentano con-
sistenza giuridica di ordine costituzionale.
( 16 ) Per alcune riflessioni sul punto si veda V. Possenti, La buona società. Sulla ricostru-
zione della filosofia politica, Milano, 1983, 32-34.
( 17 ) Si ritiene opportuno fissare tale snodo dogmatico in apertura di saggio, per prendere
le distanze dalle ricostruzioni neokelseniane che confidano non già nella democrazia come princi-
pio espressivo della dignità politica dell’uomo, quanto nelle relative forme, allo scopo di legittima-
re ogni decisione politica a maggioranza, anche su questioni non appartenenti alla dimensione
della politica ma a quella della natura. In tal senso, ad esempio, non si condividono alcune delle
riflessioni raccolte in G. Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Bari, 2008, spec. 87-95, che ri-
conosce l’efficacia prevaricatrice della decisione democratica a maggioranza anche rispetto alla
consistenza naturale ed univoca del vero.
( 18 ) Nella giurisprudenza della Corte costituzionale italiana si trovano occasionali riferi-
menti a tale concetto senza che ne sia specificato un significato giuridico proprio; sembra piutto-
44 RENZO DICKMANN
sente indagine con tale locuzione s’intende indicare l’insieme dei presup-
posti e delle premesse indisponibili di un ordinamento giuridico fondato su
una costituzione democratica. La giuridicità del contesto costituzionale si
può rilevare per relationem, in quanto si dimostri capace di limitare o con-
dizionare l’evoluzione di un determinato ordinamento giuridico, condizio-
nando l’interpretazione della costituzione.
A supporto di tale tesi si offrono due ordini di argomentazioni.
In primis una maggioranza di governo non è legittimata anche alla re-
visione dei presupposti di un determinato ordine costituzionale: essi di-
scendono dalla presupposizione costituzionale della centralità della perso-
na, nella sua condizione pre-costituzionale. La persona è degna di libertà in
virtù della sua natura antropologica, ordinata al bene ed indisponibile an-
che dalla democrazia. A conferma si osserva come nei secoli in “politica”,
ancorché affievolitosi in determinate fasi storiche, non si sia mai perso di vi-
sta il concetto di bene dell’uomo (ancorché a volte lo si sia strumentalizza-
to) e che in origine, nel diritto romano, il concetto di ius era un portato del-
l’idea di giustizia sostanziale, sulla scorta della filosofia aristotelica ( 19 ). Al
riguardo sono significative le esperienze costituzionali inglese e nordameri-
cana ( 20 ), dove si sono originate storiche carte dei diritti per contrastare
l’assunto che il diritto si origini solo dal potere.
Questa lettura rafforza il valore giuridico della costituzione perché
rafforza sul piano costituzionale sia la persona sia la democrazia, finalizzan-
do la seconda al bene della prima.
Rafforza la persona perché fonda le garanzie della sua libertà nella sua
natura prima che nella sua qualità di soggetto giuridico e politico. Rafforza
la democrazia perché le conferisce il compito di garantire l’autentica libertà
dell’uomo: la costituzione vincola la democrazia a non trasformarsi da me-
todo di governo partecipato dall’homo politicus in metodo politico di for-
mazione di verità relative. Se la costituzione vincola la democrazia a non
porre in discussione le sue premesse, è da queste che discendono sia la sua
forza sia i limiti ai poteri da essa organizzati.
Secondo questa lettura anche la revisione costituzionale deve inten-
dersi limitata dalle premesse della costituzione: se tali premesse sono una
sto rilevare in termini riassuntivi del concetto di ordine giuridico costituzionale. Per alcuni esem-
pi si vedano Corte cost., 7 luglio 1962, n. 87, punto 3 in diritto; 11 luglio 2000, n. 263, punto 1 in
diritto; 23 dicembre 2005, n. 459, punto 2 in diritto; 6 febbraio 2009, n. 29, punto 2 in diritto; 8
maggio 2009, n. 149, punto 4 in diritto.
( 19 ) M. Villey, Il diritto e i diritti dell’uomo, cit., spec. 78-86.
( 20 ) L’influsso dell’esperienza nordamericana e anglosassone nell’evoluzione del costitu-
zionalismo contemporaneo è chiaramente messo in evidenza da N. Matteucci, Positivismo giu-
ridico e costituzionalismo, cit., spec. 996, 999, 1014, 1042-1043.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 45
dei singoli, in fin dei conti sono disponibili dai singoli, e persino dallo Stato
nel loro interesse.
Ne deriva un equivoco, spesso coltivato in ragione di ideologie politi-
che, che porta a ritenere che l’attributo dell’inviolabilità dei diritti sia in
qualche modo subordinato a quello della libertà della persona. Sicché cia-
scuna persona, in quanto libera in senso assoluto, non incontrerebbe osta-
coli giuridici nel disporre o rinunciare a taluno o a tutti i propri diritti e li-
bertà, anche quelli inviolabili, eventualmente decidendo anche quando
porre fine alla propria vita. Per derivazione dalle premesse di tale lettura, lo
Stato potrebbe farsi interprete delle circostanze al margine di una singola
esistenza umana, per consentire con legge che si possa disporre di un essere
umano ancora vivente con appositi strumenti giuridici coniati per l’occasio-
ne. Continuando, in supplenza del legislatore singoli poteri dello Stato po-
trebbero farsi interpreti diretti delle ragioni della persona umana all’inse-
gna del primato della libertà della sua volontà.
Il radicamento dei diritti e delle libertà personali in una dimensione
pre-costituzionale, pre-giuridica ma non a-giuridica, dovrebbe lasciare in-
tendere che la stessa costituzione, che li riconosce, non ne possa consentire
la disponibilità in via negoziale, e tanto meno in via autoritativa, in quanto –
come rilevato – la fonte di tali diritti non è la libertà, ma la dignità della per-
sona, che ne fonda anche la libertà dal punto di vista dei fini originari del-
l’esistenza umana. Se invece si ritiene che la libertà non sia vincolata al ri-
spetto dell’attributo della dignità, si finisce con il presumere che, in omag-
gio alla libertà di un singolo, si possano legittimare atti dispositivi della per-
sona lesivi della stessa dignità umana, che è uno degli attributi universali
pre-giuridici dell’uomo, quindi indisponibile dal diritto.
Si registra sul punto in una nota pronuncia della Corte di cassazione
italiana un’affermazione discutibile proprio sotto questo profilo ( 29 ): dopo
aver affermato che chi versi in stato vegetativo deve comunque considerarsi
persona in senso pieno, la Corte ha ammesso che lo Stato deve rispettare
tanto una concezione della vita come indisponibile in linea di principio,
quanto una concezione della vita legata all’assunto per il quale la dignità è
legata alla vita di esperienza della singola persona: in tale secondo caso,
quando vengano meno le possibilità di una singola persona di avere “per-
cezione del mondo esterno”, la vita di questa persona può essere fatta ces-
sare, previa autorizzazione del giudice, interrompendo a richiesta (non ne-
cessariamente dell’interessato) un trattamento terapeutico mediante il qua-
le tale persona è mantenuta in vita.
Senza voler ripercorrere il dibattito che ne è derivato, in questa sede e
( 29 ) Corte cass., sez. I civ., sent. 16 ottobre 2007, n. 21748, punto 7.5.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 49
( 30 ) Approfondimenti sul piano della filosofia politica dei profili indicati sono in V. Pos-
senti, L’uomo postmoderno. Tecnica religione politica, Genova, 2009, cap. I, spec. 20.
( 31 ) E.W. Böckenförde, La scuola storica e il problema della storicità del diritto, in Id., Di-
ritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, a cura di G. Preterossi, Bari, 2007,
31.
( 32 ) Sul punto si ricorda quanto osservato in Democrazia rappresentativa e costituzionali-
smo, cit., spec. 612 ss.
50 RENZO DICKMANN
( 35 ) E.W. Böckenförde, Il potere costituente del popolo. Un concetto limite del diritto co-
stituzionale, in Id., Stato, costituzione, democrazia. Studi di teoria della costituzione e di diritto co-
stituzionale, a cura di M. Nicoletti - O. Brino, trad. it. a cura di O. Brino - M. Tomba, Milano,
2006, 118, definisce il potere costituente come “quella autorità e forza (politica) che è nella con-
dizione di produrre, sostenere e sopprimere la costituzione, nel suo diritto di validità normativa”
(segue, ibidem, nella nota 8) “Il potere costituente è quindi inteso come concetto di legittimazio-
ne”.
( 36 ) In Italia tale espressione non trova riscontri comparabili in termini lessicali: tuttavia la
dottrina costituzionalistica, subito dopo la promulgazione della Costituzione repubblicana, ha
cominciato a metterne in evidenza l’originalità rispetto agli altri atti normativi in base a conside-
razioni riferibili alla lettura prospettata nel testo. In particolare, sfogliando le pagine di alcuni de-
gli scritti più autorevoli, ci si è imbattuti in una lettura significativa da tale punto di vista. F. Pie-
randrei, L’interpretazione della Costituzione, in Studi di diritto costituzionale in memoria di Luigi
Rossi, Milano, 1952, 459 ss., riflettendo sui canoni dell’interpretazione giuridica, osserva (ibidem,
spec. 474) che le regole della Costituzione “rispondono a un fondamentale momento politico, per-
ché traducono sul piano giuridico le istanze basilari del ‘regime politico’ che certe forze siano riu-
scite ad instaurare. (...) la costituzione trova il suo fondamento in valori che, per essere supremi, si
presentano appunto come i valori accolti, relativamente all’ordine fondamentale della collettività,
dalle ideologie e dalle forze dominanti fra i consociati: valori dunque condizionati dal punto di vi-
sta storico e politico, sebbene discendano – è necessario tenerlo presente – da imprescindibili po-
stulati di ragione”. Si noti l’estremo tentativo di conciliazione tra dogmatica d’ispirazione webe-
riana (gli “imprescindibili postulati di ragione”) e matrice storica del rinnovamento costituzionale
appena avvenuto in Italia (rivelata dal riferimento al “momento politico” – il corsivo è dell’autore).
Più chiara è la lettura di E.W. Böckenförde, op. ult. cit., 113 ss., dove, in particolare (ibidem,
115), afferma: “Nessun ordinamento giuridico vigente sfugge alla necessità di fondarsi e di legit-
timarsi sulla base di circostanze pregiuridiche; esso perde altrimenti la propria forza e il proprio
diritto di validità. (...) Nella costituzione viene perciò innegabilmente alla luce il collegamento del
diritto con circostanze pregiuridiche”. La locuzione “questione costituzionale” compare in un’ac-
cezione comparabile a quella prospettata nel testo, come constitutional question, nel dibattito co-
stituzionale in corso nel Regno Unito circa i fondamenti di una “Carta fondamentale dei diritti e
delle responsabilità”, come documentato nel libro verde presentato al Parlamento dal Lord Can-
celliere e Ministro della Giustizia, Rights and Responsibilities: developing our constitutional fra-
mework, marzo 2009 (www.justice.gov.uk/publications/docs/rights-responsibilities.pdf), spec. p. 3.
( 37 ) V. Possenti, La buona società, cit., 20: “una filosofia politica sviluppata more geome-
trico ha alte probabilità di non porre la cruciale questione del fine”.
52 RENZO DICKMANN
zione della costituzione scritta per rimanere una categoria del giuridico:
permane anche dopo, come giustificativo necessario e originale di ogni
eventuale mutazione dell’ordine costituzionale.
La vicenda costituzionale italiana è esemplare sotto questo profilo
perché si è originata sotto il vigore di un preesistente ordine costituzio-
nale che, pur nel suo progressivo attenuarsi, ha conferito legittimità for-
male agli atti costituenti relativi al referendum consultivo per la scelta tra
monarchia e repubblica e all’istituzione di un’Assemblea con mandato
costituente ( 38 ).
Se la transizione costituzionale in Italia si è svolta incanalandosi in for-
me giuridiche cessate con la Costituzione vigente, si ritiene dimostrata la te-
si della neutralità politica delle forme giuridiche e la necessità di cercare il
fondamento legittimante il nuovo ordine nel contesto in cui è maturata la
transizione costituzionale e si sono formate le premesse della nuova costitu-
zione.
In tal senso il prius di molte costituzioni è evocato in preamboli o nel
relativo corpo da concetti impossibili da tradurre in termini giuridici in
quanto evocativi di una transizione ormai compiutasi, di cui permane l’ef-
fetto legittimante. Ad esempio, nel testo della Legge Fondamentale tedesca
si rinviene una locuzione sintetica dell’originalità storico-politica del nuovo
ordine costituzionale da essa fondato: “freiheitlich-democratische Grun-
dordnung”, ordinamento fondamentale liberal-democratico ( 39 ). Tali paro-
le si comprendono solo se interpretate in riferimento al contesto costituzio-
nale tedesco stabilizzatosi dopo la seconda guerra mondiale.
Quanto premesso consente di consolidare alcune acquisizioni della
presente analisi.
La costituzione promulgata vige, prima che per effetto della propria
legalità formale, in quanto espressione di un potere costituente storicamen-
te riconoscibile e originale sul piano politico, cioè grazie alla propria origi-
nale legittimazione politica.
La sua forza è “suprema” non solo in quanto di grado superiore nel-
l’ordine delle fonti ma anche perché di “qualità” diversa rispetto alla legge
e agli atti di governo (normativi e non), nonché rispetto alle funzioni giudi-
ziaria e amministrativa.
La costituzione vige nella sua forza originale nella misura in cui il po-
tere che l’ha posta conserva la propria legittimazione costituente nell’ambi-
to del concreto svolgersi del processo costituzionale. La costituzione cioè è
il testo fondamentale finché il popolo ne è la fonte di legittimazione. Il lega-
me si realizza nel processo di costante implementazione e aggiornamento
della costituzione-testo alla luce del suo contesto, cioè nel processo costitu-
zionale.
L’aspirazione dell’ordine costituzionale alla stabilità non è contrad-
detta dalla possibilità di rivedere il testo della carta: le due esigenze si con-
ciliano se accomunate dalla necessità di corrispondere alla medesima que-
stione costituzionale come evolutasi nella dimensione del processo costitu-
zionale.
Per rappresentare questo concetto sono emblematiche le previsioni di
cui agli artt. 144 e 146 della Costituzione federale tedesca. L’art. 144 preve-
de la ratifica della Legge Fondamentale, cioè la sua integrazione di effica-
cia, mentre l’art. 146 ne qualifica la sua validità in prospettiva storica:
“Questa legge fondamentale, che in seguito al compimento della libertà e
della libertà della Germania vale per l’intero popolo tedesco, perde la sua
validità il giorno in cui entra in vigore una costituzione approvata con libe-
ra decisione del popolo tedesco”. La Legge Fondamentale tedesca soprav-
vivrà finché permarrà la legittimazione politica conferitale dal potere costi-
tuente che l’ha posta, il popolo tedesco.
Per l’Italia la legittimazione storico-politica del potere costituente
risulta dall’art. 1 Cost., che riconosce la sovranità popolare, e dall’art.
139 Cost., che, impedendo la revisione del modello repubblicano, rico-
nosce rango (pre)costituzionale alla scelta del popolo tra repubblica e
monarchia, e quindi al fatto politico dell’esito del referendum del 2 giu-
gno 1946, quando furono eletti anche i componenti dell’Assemblea costi-
tuente.
Il concetto ha una sua validità storica generalizzabile. Tocqueville l’ha
evidenziato in maniera efficace spiegando come la rivoluzione francese sia
stata un evento che ha permesso di registrare una transizione costituzionale
maturatasi a livello politico-sociale molti anni prima del 1789, a causa dello
spostamento da tempo in corso in Francia degli equilibri sociali ed econo-
mici e del cessato ruolo politico dell’antica nobiltà ( 40 ).
( 40 ) A. De Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, Parigi, 1856, spec. libro II, cap.
I e II.
54 RENZO DICKMANN
il valore legittimante della questione costituzionale nei termini fin qui pro-
spettati, enfatizzando il valore della costituzione nella preservazione di un
ordine costituzionale in equilibrio.
A tal fine è di aiuto il pensiero di Maritain ( 47 ), che differenzia il popo-
lo-nazione dalla società politica sotto il profilo del ruolo costituzionale del-
la persona e dimostra come solo nella società politica ne sia valorizzato il
profilo volontaristico, consentendole la partecipazione consapevole alla vi-
ta politica nelle istituzioni e nella società. Il passaggio tra le due dimensioni
si determina quando l’uomo matura il senso della propria libertà e si rico-
nosce autonomo anche verso lo Stato. Sotto questo profilo la società politi-
ca è un concetto essenzialmente storico, come storico è il processo che ne
determina il consolidamento sulla base della maturazione di una coscienza
politica nell’ambito di una comunità preesistente. Il solo profilo etnico di
questa comunità, la sua consistenza di “nazione”, non conferisce anche
consistenza politica a tale comunità ( 48 ).
Lo Stato deve corrispondere alle esigenze che maturano nella società
politica, di cui deve organizzare l’espressione con le forme della rappresen-
tanza democratica, ma non deve anche corrispondere alle rivendicazioni di
ordine etnico localizzate nella comunità, riconoscendo ad esse dignità di
questioni costituzionali. Lo Stato è parte della società politica ma è estraneo
alla comunità nazionale. Pertanto, mentre la società politica è un’idea sto-
ricizzata ed inclusiva, la comunità nazionale, in quanto si caratterizzi solo
su di un piano etnico, è incapace di per sé di esprimere una qualche forma
di coscienza politica costituzionalmente rilevante in termini originali.
Le ragioni costituzionali dello Stato democratico di diritto si origina-
no dunque con lo strutturarsi di una comunità – nazionale o plurinazionale
– in società politica.
La storia dimostra come una società politica, nella quale il tratto storico-
etnico permane solo come attributo a-politico, si preserva come originale ( 49 ).
( 47 ) J. Maritain, L’uomo e lo stato, cit., spec. 5-30. Tale posizione è ripresa e sviluppata in
V. Possenti, La buona società, cit., 40 ss. (spec. 41-42).
( 48 ) Questo aspetto è ben spiegato da E.W. Böckenförde, La nazione. Identità nella dif-
ferenza, in Id., Diritto e secolarizzazione, cit., 137 ss., dove sottolinea come il profilo della nazio-
nalità di una determinata comunità acquisisce consistenza costituzionale solo se accompagnato da
una coscienza politica, cioè “ha bisogno del sostegno di un’idea politica” (ibidem, 157).
( 49 ) J. Maritain, L’uomo e lo stato, cit., 14, osserva che tale originalità consiste in “un’ere-
dità di strutture accettate e indiscutibili, di costumi e di sentimenti comuni profondamente radi-
cati che fanno entrare nella stessa vita sociale qualcosa dei dati fisici determinati dalla natura (...),
una comune esperienza ereditaria e gli istinti morali intellettuali che costituiscono una sorta di
saggezza empirica e pratica, assai più profonda, densa e vicina al complesso e segreto dinamismo
della vita umana che non qualsiasi costruzione artificiale della ragione”. Maritain dunque non ne-
ga rilievo al profilo della nazionalità ma, mutuando allo scopo i termini della tesi esposta nel testo,
lo riconduce alla dimensione del contesto costituzionale. Al riguardo l’importanza del profilo del-
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 59
la nazionalità nella garanzia dei diritti umani è evidenziata da H. Arendt, Le origini del totalita-
rismo, cit., 415: “La perdita dei diritti nazionali ha portato con sé in tutti i casi la perdita dei diritti
umani”.
( 50 ) La locuzione “identità costituzionale” è mutuata da BVerfGE, 2BvE, 2008, del 30 giu-
gno 2009, commentata in federalismi.it, n. 14/2009 (www.federalismi.it), da L. Cassetti, R. Dick-
mann e F. Liberati (si vedano spec. i punti 208-217).
( 51 ) Questa lettura è svolta in Considerazioni sul senso della Costituzione, cit., spec. § 3. Sul
rilievo della Costituzione di Weimar in funzione di stabilizzazione e tutela dei diritti umani si ve-
dano i contributi di F. Lanchester, Introduzione, e D. Grimm, La Costituzione di Weimar vista
nella prospettiva del Grundgesetz, nell’ambito del Convegno “Weimar e il problema politico-co-
stituzionale italiano” (Roma, 19 ottobre 2009) (gli atti sono consultabili in www.parlalex.it).
60 RENZO DICKMANN
( 53 ) S.M. Griffin, Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica, 1996, trad. it. a
cura di D. Girotto, Bologna, 2003, spec. 46, per la definizione di legalized constitution (per le
ragioni esposte non si condivide la traduzione di tale locuzione, ricorrente nel volume, in termini
di “costituzione assimilata alla legge”), e 108, dove parla di norme “funzionalmente equivalenti”
alla Costituzione federale.
( 54 ) S.M. Griffin, op. ult. cit., 72 ss.
( 55 ) Per una comparazione si veda E.W. Böckenförde, Diritti fondamentali come norme
di principio, in Id., Stato, costituzione, democrazia, cit., 209 ss., dove illustra la giurisprudenza del
BVerfGE, sulla base della quale i diritti fondamentali nell’ordinamento tedesco sono considerati
dotati di un doppio carattere: da una parte “diritti soggettivi di libertà” orientati alla difesa del
singolo nei confronti dello Stato; dall’altra “norme oggettive di principio” o “scelte di valore” che
formano un “ordinamento di valore oggettivo” (ibidem, spec. 214-219), che ne consente la “irra-
diazione” (Austrahlung) a tutti gli ambiti del diritto, imponendo “compiti d’azione” e “doveri di
protezione” (si vedano, ibidem, 228-230, i riferimenti alla giurisprudenza del BVerfGE).
62 RENZO DICKMANN
a fianco dei diritti inalienabili della persona umana, evidenziati dalla Corte
costituzionale ( 56 ).
Il contesto costituzionale si rivela effettivamente nell’interpretazione
giuridica come momento qualificante del processo costituzionale in corso
quando i suoi interpreti si comportino non solo come filologi del testo ma
soprattutto come storici del suo contesto. La vocazione simbolica della co-
stituzione ne rinforza la consistenza in rapporto alle sue premesse. Il meto-
do dell’interpretazione sistematica della costituzione corrisponde a tale vo-
cazione, perché ne valorizza la funzione e ne vivifica i precetti in coerenza
con il proprio senso originario ( 57 ).
La conseguenza potrebbe essere un ridimensionamento dell’assolu-
tezza della primazia del parlamento legislatore espressione della maggio-
ranza, in quanto vincolato dall’esigenza che i propri atti siano conformi ai
“principi normativi” che si originano dal contesto costituzionale ( 58 ).
( 56 ) La Corte, nella sent., 29 dicembre 1988, n. 1146, punto 2.1 in diritto, qualifica i
principi supremi come “i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli
non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei va-
lori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana” e “non possono essere sovvertiti o mo-
dificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre
leggi costituzionali”, e sostiene la propria competenza “a giudicare sulla conformità delle leggi
di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei con fronti dei principi su-
premi dell’ordinamento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo
di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non ef-
fettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore”. In dottrina si segnalano sul
punto C. Mortati, voce Costituzione, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, spec. 214 ss.; F.P. Ca-
savola, I principi supremi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Foro it., 1995, V,
155 ss.; L. Elia, I principi supremi presi sul serio, in Giur. cost., 2009, 2147 ss. (già in Scritti in
memoria di V. Sgroi, Milano, 2008, 833 ss.); R. Bin - G. Pitruzzella, Diritto costituzionale,
2009, 327 (che dove sono intesi come sovrapposti alla Costituzione in virtù di una relazione di
“gerarchia materiale”).
( 57 ) Non è un caso che l’interpretazione sistematica sia un canone ermeneutico condiviso
dalle corti costituzionali: oltre alla Corte costituzionale italiana, si veda ad esempio, in Germania,
BVerfGE, 1, n. 14, (23 ottobre 1951) Südweststaat.
( 58 ) In tal senso E.W. Böckenförde, op. ult. cit., 256 ss., ritiene sul piano della teoria del-
lo stato che tanto più è riconosciuta capacità normativa ai diritti fondamentali, tanto minore di-
venta il ruolo del parlamento e tanto maggiore quello degli interpreti della costituzione, in primis
la Corte costituzionale.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 63
Anche una lettura di tipo positivista porta a ritenere che il testo non
esaurisca la dimensione costituzionale; tuttavia propende a considerare la
costituzione essenzialmente come testo di norme giuridiche ( 59 ).
La messa a fuoco del senso delle costituzioni democratiche, il giustifi-
cativo in termini di legittimazione che viene dalla loro dimensione materia-
le, consente di comprenderne la relazione con il diritto positivo di fonte le-
gislativa in termini rinnovati dalle premesse del costituzionalismo contem-
poraneo. Cessata l’affidabilità di una norma costituzionale autenticamente
solo giuridica, l’originale fondamento politico della costituzione la contrap-
pone strutturalmente (causalmente) alla legge, che ad essa deve adeguarsi
per preservarsi come fonte del diritto legittima.
Le norme ordinarie devono essere adattate costantemente alla costitu-
zione vivente. La costituzionalità delle norme si verifica raccordandole alle
questioni che si pongono nella società politica ed in funzione dell’ordine
per essa posto dalla costituzione ( 60 ).
Le questioni di legittimità costituzionale sono pertanto delle questioni
a loro modo “politiche”. La legittimità degli atti normativi e dei provvedi-
menti autoritativi rispetto alla legge è invece una questione solo giuridica.
Ne deriva un’insopprimibile differenza sul piano giuridico tra legalità costi-
tuzionale e legalità legale ( 61 ).
La Corte costituzionale italiana abitualmente risolve le questioni ad
essa rimesse operando una ricostruzione nella quale non manca di svolgere
argomenti con i quali ricondurre le norme impugnate ad un sistema di re-
gole e parametri unitario nella riferibilità alla Costituzione, come mirabil-
mente dimostra la sua giurisprudenza in materia di principi e valori costrui-
ta attorno al metodo del “bilanciamento” ( 62 ).
Tale giurisprudenza costituisce un’espressione “politica” originale,
non in contraddizione con il ruolo delle Camere legislative, come eviden-
ziato dall’art. 136 Cost. L’originalità politica delle Camere traduce la regola
della rappresentanza democratica nel funzionamento delle istituzioni costi-
tuzionali. Quella della Corte costituisce invece espressione di una modalità
di garanzia della Costituzione.
( 59 ) Ad esempio, si veda A. Pace, Le sfide del costituzionalismo del XXI secolo, cit., 10-11.
( 60 ) T. Ascarelli, Giurisprudenza costituzionale e teoria dell’interpretazione, in Id., Pro-
blemi giuridici, I, Milano, 1959, 140 ss.; L. Mengoni, Teoria generale dell’ermeneutica giuridica in
Id., Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, 16-23.
( 61 ) Sulla distinzione tra “legalità costituzionale” e “legalità legale” si veda Corte cost., 6 lu-
glio 2004, n. 206, punto 3.2 in diritto. In dottrina si veda in particolare M. Luciani, Su legalità co-
stituzionale, legalità legale e unità dell’ordinamento, in Scritti in onore di Gianni Ferrara, cit., 501 ss.
( 62 ) Sul punto di recente si veda A. Baldassarre, Una risposta a Guastini, cit., spec. 3281
ss.
64 RENZO DICKMANN
Si è consapevoli che la lettura fin qui svolta evoca sotto vari aspetti la
dottrina mortatiana della costituzione materiale.
Nel Mortati ( 63 ) che scriveva in assenza di una costituzione formale ed
in presenza di un ordine “costituzionale” non legittimato in termini demo-
cratici, la percezione del bisogno di una costituzione materiale non corri-
sponde alla necessità di risolvere una qualche questione fondamentale
presso la società politica ma si giustifica alla luce del fine (per lui “costitu-
zionale”) di individuare una forza capace di garantire equilibrio e stabilità
nella comunità nazionale; il che non corrisponde evidentemente alle ragio-
ni del costituzionalismo alla luce delle costituzioni democratiche del secon-
do dopoguerra ( 64 ). Nel Mortati della voce Costituzione questa indicazione
subisce un adattamento alla luce delle premesse del nuovo ordine costitu-
zionale ( 65 ).
Questo assunto si dimostra valido anche in assenza di una costitu-
zione scritta: gli inglesi dimostrano che quando esiste una dimensione
storica che accomuna in ragione del fine documenti di varie epoche a vo-
cazione costituzionale (anche se non denominati come tali), può formarsi
un contesto costituzionale vincolante quanto (se non più di) un testo
scritto ( 66 ).
Per altro verso, se la presenza di una costituzione positiva lascia pre-
sumere come avvenuta la transizione con il precedente ordine costituziona-
le, il fatto che occorra del tempo affinché tale transizione si percepisca si
spiega con la necessità che le novità costituzionali siano prima assimilate
nel contesto costituzionale. È emblematica l’esperienza italiana in materia
di controllo di costituzionalità delle leggi prima dell’entrata in funzione
della Corte costituzionale.
La lettura proposta mira a sostenere che solo l’interpretazione e l’at-
tuazione qualificate del testo costituzionale, svolte cioè da poteri espressa-
mente legittimati, lo mantengono coerente con i propri fini. Questi poteri
sono originalmente “politici” in quanto convergenti nel fine di svolgere una
specifica funzione di garanzia della costituzione. Le sedi, le forme e gli atti
in cui tali poteri assolvono al proprio compito si accomunano sul piano
( 63 ) C. Mortati, La costituzione in senso materiale, 1940, rist. Milano, 1998, con premessa
di G. Zagrebelsky, 11.
( 64 ) Sul punto si veda M. Fioravanti, Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze
attuali, Bari, 2009, 9 ss.
( 65 ) C. Mortati, voce Costituzione, cit., spec. 144-145, 153-155, 162-165, 169 ss., 214 ss.
( 66 ) Sia consentito un mero rinvio alle riflessioni di W. Bagehot, La costituzione inglese,
1867, trad. it. a cura di G. Rebuffa, Bologna, 1995, sul confronto tra dignified e efficient consti-
tution.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 65
Non è privo d’interesse a tal fine sottolineare come tale lettura sia so-
stenuta da altre esperienze straniere: la storia costituzionale austriaca si fon-
da su di una costante implementazione del testo del 1920, anche mediante
la “costituzionalizzazione” di atti internazionali concernenti i diritti umani,
primo dei quali la CEDU. Tale Costituzione si colloca in un contesto gover-
nato da principi fondamentali, di rilievo autenticamente normativo, quali il
principio repubblicano democratico, il principio statale federale e il princi-
pio dello stato di diritto, che ne preservano la stabilità, concorrendo a defi-
nire un contesto non superabile in sede di revisione costituzionale ( 71 ).
La Legge Fondamentale tedesca (art. 140 GG) ha importato nel suo
corpo gli artt. da 136 a 141 della Costituzione di Weimar, in materia di di-
ritti e doveri civili e politici, significandone sul punto la continuità con l’ori-
ginario contesto di Weimar.
La Costituzione francese, ai sensi del suo preambolo, si alimenta di un
bloc de constitutionnalité rappresentato dalla Dichiarazione dei diritti del-
l’Uomo del 1789, come integrata dal preambolo della Costituzione francese
del 1946 (IV Repubblica) e dalla Carta sull’ambiente del 2005 ( 72 ).
La Costituzione statunitense nel suo testo ufficiale, come rilevato in
precedenza, è ormai il simbolo di un processo costituzionale sempre in cor-
so in rapporto ai fini costituzionali originari ( 73 ).
La Costituzione belga del 1831 continua a vigere, nel testo coordinato
del 17 febbraio 1994, alla luce della costante implementazione del suo con-
testo dovuta all’irrinunciabilità delle novità del costituzionalismo contem-
poraneo europeo evidenziate soprattutto dalla Cour d’arbitrage ( 74 ).
( 81 ) P. Häberle, Una riflessione sul senso delle costituzioni, cit., 15-17, chiarisce questo
concetto sostenendo che l’Europa dispone già di un “ensemble di Costituzioni parziali, ma non ha
ancora una ‘Costituzione completa’ nel senso del classico Stato costituzionale, in quanto l’Europa
non è uno ‘Stato’” quanto piuttosto “una comunità costituzionale sui generis in divenire”, radica-
ta su almeno sei elementi della “cultura del diritto europeo”: storicità dei fondamenti filosofico-
religiosi del suo diritto; scientificità nell’elaborazione giuridica; indipendenza della giurispruden-
za; neutralità confessionale dello Stato intesa come libertà religiosa; pluralità dei diritti nazionali
nell’unità dell’identità europea; particolarità giuridica nell’universalità della cultura del diritto eu-
ropeo.
( 82 ) Per un’analisi di riferimento, in termini laici, si veda la preziosa e documentata ricerca
della Commissione teologica internazionale (CTI), Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguar-
do sulla legge naturale, Roma, 2009, documento che per l’impostazione e la bibliografia di riferi-
mento si presta ad una consultazione non condizionata dalle funzioni proprie dell’organo che l’ha
predisposto.
72 RENZO DICKMANN
grandi religioni orientali. Per i presupposti filosofici trova riscontri laici nel
pensiero greco, grazie a Platone (Gorgia e Teeteto) e Aristotele (Retorica e
Etica nicomachea) sulla scorta dell’Antigone di Sofocle, che evoca “leggi
non scritte e immutabili”, e nello stoicismo di Seneca (De vita beata) e di
Cicerone (De legibus) ( 83 ). La legge naturale è dunque anche sinonimo di
tradizioni culturali occidentali la cui origine europea in senso storico non è
negabile: il diritto naturale ne costituisce l’esplicitazione in quanto dimen-
sione giuridica naturale della persona umana ( 84 ).
La legge naturale si esprime in particolare come “diritto” naturale
quando evidenzia principi inerenti la determinazione di ciò che è giusto
nelle relazioni tra le persone ( 85 ). Il diritto naturale è un vincolo pre-giuri-
dico del diritto positivo che si origina, almeno alla luce dell’esperienza oc-
cidentale, da presupposti culturali orientati dal valore filosofico del bene,
non dell’utile ( 86 ).
Se il diritto positivo è invocato per determinare cosa sia giusto o me-
no, se il suo parametro negli stati contemporanei è la costituzione, poiché
questa alla luce degli argomenti svolti è chiamata ad orientare il diritto po-
sitivo al giusto, la costituzione che si alimenta nelle premesse di un concetto
di giustizia coincidente con il vero e il bene non può essere rispettata da un
diritto positivo concepito solo come strumento di realizzazione dell’utile.
Il diritto naturale è dunque un elemento pre-costituzionale di ordine non
giuridico che, storicizzatosi in molte costituzioni – in Europa rilevano in tal
senso alcune recenti indicazioni del Tribunale costituzionale federale tede-
sco ( 87 ) – permette di sostenere l’avvenuta costituzionalizzazione del concet-
to di giustizia sostanziale, rispetto al fine. Tale concetto di giustizia desunto
( 90 ) Si veda, ad esempio, la risoluzione del Parlamento europeo dell’8 maggio 2008 sulla
relazione annuale sui diritti umani nel mondo del 2007 e sulla politica dell’Unione europea in ma-
teria, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C 271/E del 12 novembre 2009, 7 ss., spec. punto
8.
( 91 ) Democrazia rappresentativa e costituzionalismo, cit., spec. 629.
( 92 ) Per questa lettura si rinvia all’analisi svolta in Costituzione e democrazia in Europa.
Verso (e dopo) il referendum irlandese, in federalismi.it, n. 17/2009 (www.federalismi.it). Indica-
zioni di rilievo ai fini della questione di cui al testo sono offerte dalla citata sent. BVergGE, 2 BvE
2/08 del 30 giugno 2009. Alla luce dell’analisi svolta, le fonti dalle quali si alimenta tale contesto
possono individuarsi nella CEDU come interpretata dalla Corte di Strasburgo, nelle tradizioni
costituzionali comuni europee come accertate dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, nella
Carta europea dei diritti ora incorporata nel TUE, nella giurisprudenza della predetta Corte rela-
tiva al rispetto delle libertà fondamentali da parte delle Istituzioni europee e degli Stati membri e
nella giurisprudenza delle corti costituzionali nazionali, soprattutto quando ne derivino indica-
zioni convergenti alla luce dei parametri della “costituzione dei diritti” di cui al testo.
( 93 ) L’art. 7, comma 5, della Cost. del Portogallo precisa che “il Portogallo si impegna nel
rafforzamento dell’identità europea”.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 75
( 97 ) Un’indicazione efficace in tal senso giunge dalle corti costituzionali europee con rife-
rimento al ruolo del Parlamento tedesco nel processo decisionale configurato dal Trattato di Li-
sbona (BVerfGE, 30 giugno 2009, cit., punti 289-295, 305, 406 ss.).
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 77
Sotto questo profilo almeno sia consentito sostenere che gli ordinamen-
ti giuridici degli Stati Uniti e della maggioranza dei Paesi europei possono es-
sere accomunati per il riferimento ad un medesimo contesto costituzionale,
occidentale, al quale invece non sono ancora riconducibili altri Paesi, alcuni
anche geograficamente europei ed interessati ad integrarsi nell’Unione.
Il diritto naturale è parte essenziale dell’asserito contesto costituziona-
le occidentale nella misura in cui ad esso sono filosoficamente e razional-
mente riconducibili i principi e i valori che accomunano le tradizioni costi-
tuzionali nazionali e ne orientano l’evoluzione ( 101 ).
Guardando in tale direzione, è storicamente errato sostenere che il di-
ritto naturale non abbia influenzato in modo determinante nei presupposti
lo svolgimento dei processi costituzionali in Occidente. Oggi è evidente
che i principi e i valori di riferimento per garantire la giustizia sostanziale
dell’azione dello Stato nei confronti della persona sono convergenti. Ne-
garlo potrebbe essere conseguenza più di una pregiudiziale culturale che di
una lettura funzionale alla valorizzazione della costituzione ( 102 ).
Configurato l’uomo come assoluto costituzionale anche sul piano giu-
ridico, la missione del costituzionalismo del XXI secolo supera i confini na-
zionali per fondare un’esigenza sovranazionale di tutela della persona che
accomuna nei fini le singole costituzioni nazionali.
Il dato positivo di ogni costituzione in un’interpretazione moderna
non arbitraria può arricchirsi di questa lettura, come dimostra la documen-
tata evoluzione di un contesto costituzionale europeo non ancora suppor-
tato da una costituzione europea scritta.
Queste considerazioni consentono di ritenere dimostrato anche il
its promotion of democracy. But that does not weaken our commitment, it only reinforces it.
There are basic principles that are universal; there are certain truths which are self evident – and the
United States of America will never waiver in our efforts to stand up for the right of people every-
where to determine their own destiny”.
( 101 ) L. Mengoni, L’argomentazione nel diritto naturale, in Id., Ermeneutica e dogmatica
giuridica, cit., 115 ss. (spec. 116).
( 102 ) Nel proporre questa lettura può essere utile richiamare le parole di Benedetto XVI,
Enc. Caritas in veritate, Roma, 29 giugno 2009, § 59: “In tutte le culture ci sono singolari e mol-
teplici convergenze etiche, espressioni della medesima natura umana, voluta dal Creatore, e che la
sapienza etica dell’umanità chiama legge naturale. Una tale legge morale universale è saldo fonda-
mento di ogni dialogo culturale, religioso e politico e consente al multiforme pluralismo delle va-
rie culture di non staccarsi dalla comune ricerca del vero, del bene e di Dio. L’adesione a quella
legge scritta nei cuori, pertanto, è il presupposto di ogni costruttiva collaborazione sociale”. Per
una lettura “laica” comparabile si veda L. Strauss, Diritto naturale e storia (1953), trad. it. a cura
di N. Pierri, Genova (1990), 2009, 59: “Tutta l’esperienza della storia e tutta l’esperienza, certo
meno ambigua, degli affari umani possono sì attenuare, ma non cancellare l’evidenza di quelle
semplici esperienze del giusto e dell’ingiusto, su cui si fonda la filosofia per affermare che il diritto
naturale esiste”.
COSTITUZIONE E CONTESTO COSTITUZIONALE 79
ABSTRACT
Nel saggio si propone uno studio della costituzione che muova dall’analisi del
suo contesto. Il contesto costituzionale è inteso come la complessa dimensione sto-
rico-politica nella quale si sono affermati ed evoluti i presupposti di legittimazione
dell’ordine costituzionale. L’indagine proposta consente di valutare l’affermazione
di una costituzione attraverso una vicenda non spiegabile in termini solo giuridici,
ma come risultante della soluzione data ad una questione storico-politica originale
dal popolo quale potere costituente. Sulla base del metodo seguito si ritiene possi-
bile individuare che un contesto costituzionale sia riconoscibile quando, anche in
assenza di una costituzione scritta, siano rilevabili condizionamenti indisponibili
dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto positivo. Per l’Unione europea si
può parlare di una costituzione in itinere, espressione di un contesto costituzionale
europeo, pur registrando le difficoltà di una sua scrittura.
Il contesto costituzionale si alimenta di principi e valori che, condizionando il
processo che porta alla scrittura della costituzione, rilevano ai fini della relativa in-
terpretazione come implicazioni normative di ordine costituzionale, immodificabi-
li per via legislativa e in sede di revisione costituzionale.
Sul piano della filosofia politica si può ritenere che l’evoluzione del costitu-
zionalismo sia irreversibilmente connessa ai principi e ai valori propri della perso-
na umana come evidenziati dalla legge naturale quando si esprime come diritto na-
turale, cioè come insieme di principi e valori funzionali alla determinazione di ciò
che è autenticamente giusto nelle relazioni tra le persone. Il diritto naturale non è
dunque diritto in senso proprio, positivo, ma in quanto orienti effettivamente le
scelte giuridiche al giusto in quanto vero: la sua dimensione, naturale, è quella del
contesto costituzionale, dove si originano le premesse che orientano il processo co-
stituzionale al bene della persona.
( 103 ) La più significativa testimonianza che si ritiene di produrre a supporto di questa let-
tura sono i valori che risultano da Charta 77, significativi di un contesto costituzionale oppresso
da costituzioni, scritte, di ispirazione antipersonalista, dove la democrazia, proclamata a livello es-
senziale, legittimava la conservazione del potere totalitario (si è parlato in proposito di “democra-
zie totalitarie” in Democrazia rappresentativa e costituzionalismo, cit., 635). Non è dunque un caso
che tale documento nasca come reazione alla violazione sovietica dello spirito degli Accordi di
Helsinki, in cui si originava il tentativo di avvicinare i Paesi all’insegna della garanzia e della pro-
mozione dei diritti umani. Non è nemmeno un caso che a tale documento s’ispiri nel terzo millen-
nio, quasi a celebrarne le ragioni universali, il testo di Carta 08 – Iniziativa informale cinese per i
diritti umani e civili (consultabile in www.federalismi.it, sez. “Human rights”), che rivela all’inter-
no della società politica cinese un “bisogno” sorprendentemente forte di costituzionalismo, ispi-
rato quasi integralmente al modello contemporaneo occidentale americano ed europeo.
80 RENZO DICKMANN
The Constitution is not only a law text, but also the context of relationships
among social and political forces, by which every Constitution takes force and re-
news its legitimacy.
This context feeds on principles and values that, through the Constitution
making process, are relevant to the Constitution’s interpretation and application
itself.
As democratic Constitutions are established on the central value of human
being, their origins can be seen in a common constitutional context, inspired by
principles and values that cannot be modified by law itself, as they influence the in-
terpretation and the application of law aiming at the pursuit of good and right
from the standpoint of human being.
Saggi
GIUSEPPE MORBIDELLI
REGIONI E PRINCIPI
GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
( 1 ) Tecnica per di più esaltata da una terminologia incisiva e quasi musicale, che pure ha
contribuito alla giusta fortuna di Crisafulli: come noto “disposizione e norma”, “a rime baciate”,
“raffrontabilità”, “forza attiva”, “forza passiva”, “preferenza” di fonti, etc. sono tutti veri e propri
“versi” crisafulliani oggi divenuti lessico corrente del diritto costituzionale.
82 GIUSEPPE MORBIDELLI
( 2 ) V. ad es. il saggio di F. Modugno, dal titolo È possibile parlare ancora di un sistema del-
le fonti?, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, il quale osserva tra l’altro come “nella realtà,
nella prassi, sopravvengono dall’esterno dell’ordinamento altri numerosi tipi di fonti che non si
saprebbe, e non si sa, come collocare nella “scala” (si pensi alle fonti comunitarie) i cui problemi
di inserimento nella scala gerarchica generano la necessità di creare artificiosi ed incerti ulteriori
gradi intermedi o semi-gradi (con conseguenti definizioni di fonti collocate « sub », « para » « su-
pra » « infra » un altro « grado »)”; v. altresì A. Ruggeri, È possibile parlare ancora di un sistema
delle fonti?, in Itinerario di una ricerca sul sistema delle fonti, XII, Torino, 2009, 442 ss.
( 3 ) V. G.U. Rescigno, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in Dir. pub-
bl., 2002, 801.
( 4 ) Ordine delle norme e disordine dei concetti (e viceversa): Per una teoria quantistica delle
fonti del diritto, in Scritti in onore di L. Carlassare, e in forum AIC.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 83
studiato, e che soprattutto fa parte del patrimonio genetico non solo della
nostra cultura ma anche del nostro ordinamento positivo rivela crepe, nel
senso che non è più adeguata a spiegare i fenomeni indotti dalla trasforma-
zione degli ordinamenti giuridici e a guidare i comportamenti degli inter-
preti. Naturalmente questo non significa che siano venuti meno i vari criteri
di soluzione delle antinomie, ovvero il criterio cronologico, il criterio di
specialità, il criterio della competenza. Però tali criteri tradizionali vanno a
loro volta misurati con altri che, con specifico riguardo al nostro tema, sono
la interpretazione secondo valori, le materie trasversali, le materie “non ma-
teria” le materie “smaterializzate”, i principi dell’ordinamento comunita-
rio, il bilanciamento tra principi di pari grado.
( 5 ) Corte cost., 13 dicembre 1991, n. 465, in Le Regioni, 1992, 1349, con nota di G. Pa-
stori, Procedimento amministrativo e competenza regionale, richiamata e ripresa da Corte cost.
23 novembre 2007, n. 401 (parte in diritto 6.7.).
( 6 ) Corte cost., 2 dicembre 2004, n. 372.
84 GIUSEPPE MORBIDELLI
( 7 ) V. del resto la sentenza della Corte cost. 23 novembre 2007, n. 401 in cui è espressa-
mente dato leggere che “il procedimento amministrativo non costituisce una vera e propria ma-
teria”.
( 8 ) V. in tal senso A. Celotto - M.A. Sandulli, Legge n. 241 del 1990 e competenze re-
gionali: “un nodo di gordio”, in Foro Amm. - C.d.S., 2005, 1946 ss., cui si rinvia, per una accurata
analisi dell’art. 29, l. n. 241, così come modificato con la l. n. 15/2005; contrari alla lettura della l.
n. 241 come norma interposta anche A. Romano Tassone, Legge n. 241 del 1990 e competenze
regionali: osservazioni sulla posizione di A. Celotto-M.A. Sandulli, in www.federalismi.it, 2006, 5,
4; P. Lazzara, La disciplina del procedimento amministrativo nel riparto delle competenze Stato-
Regione, in Dir. amm., 2007, 108 ss.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 85
( 9 ) V. in tal senso C.E. Gallo, La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo
Titolo V della nuova Costituzione, in www.giustamm.it.
( 10 ) V. Corte cost., 23 marzo 2007, n. 103, 9.2. parte in diritto, laddove mette in luce la
consequenzialità tra motivazione e tutela giurisdizionale.
( 11 ) V. Corte cost., 17 marzo 2006, n. 103 (parte in diritto 3.4.). V. più diffusamente sui
principi comunitari che riguardano il procedimento amministrativo D.U. Galetta, Il diritto ad
una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti
della pubblica amministrazione, in Riv. ital. dir. pubbl. comunitario, 2005, 819 ss.
( 12 ) V. Cons. Stato, Sez. V, 12 ottobre 2009, n. 6253.
( 13 ) V. TAR Lazio, Sez. I-quater, 5 giugno 2007, n. 5159, secondo cui l’interessato può
sempre chiedere all’Amministrazione, dopo il diniego, le relative ragioni e indi proporre motivi
aggiunti.
( 14 ) Cfr. in argomento da ultimo V. Italia, Ancora sul voto numerico nei concorsi pubblici,
in Foro amm. C.d.S., 2009, 2003 ss. Per altre ipotesi in cui secondo la giurisprudenza la carenza di
motivazione non costituisce vizio del provvedimento (al punto che con riguardo ad atti vincolati
la carenza di motivazione costituirebbe vizio formale, e come tale non sarebbe ragione di annul-
lamento, ex art. 21-octies, l. n. 241/1990), Cardone, Procedimento amministrativo e partecipazio-
ne: giurisprudenza amministrativa e costituzionale e concezione dell’idea di giustizia, in Dir. pubb.,
2009, ss. 247.
86 GIUSEPPE MORBIDELLI
( 15 ) In proposito, tra le più recenti, v. le sentenze Corte cost. 17 marzo 1998, n. 68; Corte
cost. 12 luglio 1995, n. 312; Corte cost. 31 maggio 1995, n. 210; Corte cost. 19 marzo 1993, n. 103.
Per altre indicazioni v. ancora Cardone, Procedimento, cit., 254 ss. In particolare nella sentenza
12 luglio 1995, n. 312, si legge che “questa Corte ha costantemente affermato che la « disciplina
del procedimento amministrativo rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della ragio-
nevolezza e del rispetto degli altri principi costituzionali, fra i quali non è da ricomprendere quel-
lo del giusto procedimento amministrativo, dato che la tutela delle situazioni soggettive è comun-
que assicurata in sede giurisdizionale degli artt. 24, 1o comma, e 113 della Costituzione »”, ulte-
riori indicazioni di giurisprudenza in L. Buffoni, Alla ricerca del principio costituzionale del “giu-
sto procedimento” la “processualizzazione” del procedimento amministrativo, in A. Massera (a cura
di), Le tutele procedimentali. Profili di diritto comparato, Napoli, 2007, 192 ss.; Id., Il rango costi-
tuzionale del giusto procedimento e l’archetipo del processo, in Quad. cost., 2009, 277 ss. Nel senso
che il giusto procedimento, si configura come principio di livello costituzionale, v. invece M.C.
Cavallaro, Il “giusto procedimento” come principio di rango costituzionale, Foro amm., 2001,
1836; G. Colavitti, Il “giusto procedimento” come principio di rango costituzionale, in www.asso-
ciazionedeicostituzionalisti.it.
( 16 ) V. in proposito la fine e recentissima analisi di A. Cardone, Procedimento ammini-
strativo e partecipazione: giurisprudenza amministrativa e costituzionale e concezione dell’idea di
giustizia, in Dir. pubbl., 2009, spec. 233 e segg., ivi, v. anche indicazioni di giurisprudenza secon-
do cui il preavviso di rigetto costituisce attuazione dell’art. 97 Cost. (v. nota 17).
( 17 ) Questo non vuol dire – sia chiaro – che non costituiscono un criterio interpretativo
forte; e che comunque la dissonanza da essi deve ricevere adeguata giustificazione: ed infatti da
ultimo la Corte cost. con la sentenza 20 maggio 2008, n. 161 ha individuato una correlazione si-
cura tra giusto procedimento e art. 97 Cost., con riferimento alla norma di legge che prevede la
cessazione dell’incarico di funzioni dirigenziali ove non confermato entro 60 giorni dall’entrata in
vigore della legge stessa (v. art. 2, commi 159 e 161, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262 – Disposizioni
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 87
( 21 ) Corte giust., 23 ottobre 1974, causa n. 17/1974, in Racc., 1974, I, 1063 ss. in www.eu-
ropa.eu.int.; v. comunque sul tema, ampiamente, S. Antoniazzi, Procedimenti amministrativi co-
munitari composti e principio del contraddittorio, in Riv. ital. dir. pubbl. comunit., 2007, 641 ss. e
ivi ulteriori indicazioni.
( 22 ) Così A. Massera, I principi generali dell’azione amministrativa, in V. Cerulli Irelli
(a cura di) La disciplina generale dell’azione amministrativa, Torino, 2006, 47. In altri termini, non
è presente (o comunque non è consolidata) nell’ordinamento comunitario la funzione “collabo-
rativa” o comunque la finalità di assicurare completezza di istruttoria che pur si inserisce a pieno
titolo nel concetto di partecipazione (la pluralità di valenze che la partecipazione assume è stata a
suo tempo rilevata da M. Nigro, Il nodo della partecipazione, ora in Scritti giuridici, II, Milano
1996, 1413 ss.). Altro sarebbe se si affermasse una lettura estensiva dell’art. 6 CEDU, sì da ricom-
prendere tra le garanzie del giusto processo anche i procedimenti amministrativi: v. in tal senso la
recente analisi di F. Goisis, Garanzie procedimentali e convenzione europea per la tutela dei diritti
dell’uomo, in Dir. proc. amm., 2009, 1328 ss., anche se invero, dalla casistica ivi esposta, le garan-
zie del giusto processo riguardano in sostanza o misure afflittive o misure ablatorie (cui corrispon-
dono fattispecie di partecipazione difensiva).
( 23 ) Sia consentito rinviare a quanto osservato in G. Morbidelli, Il silenzio-assenso, in
V. Cerulli Irelli (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Torino, 2006,
47.
( 24 ) Da aggiungere anzi che il diritto comunitario pone sovente principi in punto di sem-
plificazione: ad es. lo sportello unico ove espletare le domande di autorizzazione necessarie al-
l’esercizio delle attività di servizi, è previsto dall’art. 6 della direttiva n. 2006/123/CE (v. in pro-
posito Corte cost., 21 gennaio 2010, n. 15 (parte in diritto 4.2.).
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 89
3. – Taluni autori hanno allora ritenuto di far leva (invero già prima
della novella del 2005) sui livelli delle prestazioni essenziali, nel senso di so-
stenere che la materia trasversale ex art. 117, comma 2o, lett. m, “determi-
nazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e so-
ciali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” è suscetti-
bile di ricomprendere anche le prestazioni che l’Amministrazione è tenuta
a erogare sotto il profilo delle procedure amministrative (tempi, avvisi di
procedimento, motivazione etc.). Come esempi di prestazioni vengono
portati anche quelli riconducibili alla c.d. semplificazione amministrati-
va ( 26 ). In altre parole il termine prestazioni viene interpretato nel senso di
attività svolta dai pubblici uffici a favore dei cittadini anche attraverso una
attività procedimentalizzata. D’altra parte, la funzione di garanzia delle po-
sizioni soggettive degli amministrati è suscettibile di ricondurre il limite dei
livelli essenziali a quello del principio di eguaglianza ( 27 ).
Tale tesi ha invero trovato molte obiezioni in dottrina ( 28 ). In sintesi:
1) la prima quella per cui la stessa l. n. 241 qualificava (all’epoca) co-
me prestazione il solo diritto di accesso (v. art. 22, comma 2o) ( 29 );
( 25 ) Nel senso che tali principi sarebbero invece ricavabili dalle norme costituzionali G.
Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione amministrativa e potestà legislativa regionale, in Dir.
amm.vo, 2006, 35; v. altresì nello stesso senso, richiamando anche i principi comunitari, B. Mat-
tarella, I procedimenti della Regione e degli enti locali, in Giorn. dir. amm., n. 11/2009, 1137 ss.
( 26 ) D. Sorace, La disciplina generale dell’azione amministrativa dopo la riforma del Titolo
V della Costituzione. Prime considerazioni, in AIPDA, Annuario, 2003, 27; v. altresì nello stesso
senso G. Morbidelli, Il procedimento, in L. Mazzarolli - G. Pericu - A. Romano - F.A. Ro-
versi Monaco - G. Scoca, Diritto amministrativo, Bologna, 2005, I; A. Romano Tassone, Leg-
ge n. 241 del 1990 e competenze regionali: osservazioni sulla posizione di A. Celotto - M.A. San-
dulli, in www.federalismi.it, 2006, n. 5, 4; cfr. altresì A. Fabri, Art. 22, legge 11 febbraio 2005, n.
15, in La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla l. n. 241/1990 riformata dalle
leggi n. 15/2005, a cura di N. Paolantonio - A. Police - A. Zito, Torino, 2006, 815; C.E. Gal-
lo, La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo titolo V Cost., in www.giustam-
m.it; S. Cresta - S. Grassi - P. Lombardi - I. Paola, La partecipazione, in Procedimento ammi-
nistrativo e partecipazione, a cura di A. Crosetti - F. Fracchia, Milano, 2002, 242 ss. La tesi ha
ricevuto alcune conferme nella giurisprudenza amministrativa: v. ad es. TAR Valle d’Aosta, 12 lu-
glio 2007, n. 106.
( 27 ) Ad analoghe conclusioni giunge Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 4a ed.,
Torino, 2002, 352, basandosi peraltro sul principio di unità giuridica ex art. 120 Cost.
( 28 ) V. in particolare G. Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione amministrativa e potestà
legislativa regionale, in Dir. amm., I, 2006, 37 ss.; R. Ursi, La disciplina generale dell’azione ammi-
nistrativa nel prisma della potestà normativa degli enti locali, in Dir. amm., 2006, 615; A. Celotto
- M.A. Sandulli, Legge 241 del 1990 e competenze regionali: un « nodo di Gordio ».
( 29 ) In tal senso v. in particolare R. Virgilio, L’applicabilità della L. 241/1990 alla luce del
Titolo V della Costituzione, relazione al Convegno La nuova disciplina dell’invalidità dei provvedi-
90 GIUSEPPE MORBIDELLI
menti amministrativi e conseguenti poteri del giudice, Catania 2-3 dicembre 2005, in www.giu-
stamm.it.
( 30 ) V. in tal senso particolarmente P. Lazzara, La disciplina del procedimento amministra-
tivo nel riparto delle competenze Stato-Regione, cit., 105 ss.
( 31 ) V. particolarmente per questi rilievi G. Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione am-
ministrativa, cit., 35.
( 32 ) V. in proposito gli insegnamenti ormai classici di G. Tarello, L’ interpretazione della
legge, Milano, 1980, 346 ss.
( 33 ) C.E. Gallo, La riforma della legge sull’azione amministrativa, cit., v. anche M. Renna,
Obblighi provvedimentali e responsabilità dell’amministrazione, in AA.VV., Verso un’amministra-
zione responsabile, Milano, 2005, 287 ss., il quale rileva che sin dall’inizio del procedimento l’am-
ministrazione ha una serie di obblighi nei confronti dei soggetti che vi devono partecipare e a que-
sti obblighi corrispondo altrettanti diritti in capo ai medesimi soggetti.
( 34 ) G. Bergonzini, Legge dello Stato sull’azione amministrativa, cit., 35.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 91
( 35 ) L. Antonini, Art. 117 Cost. commi 2o, 3o, 4o, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Oli-
vetti, Commentario alla Costituzione Italiana, Torino, 2006, 2236.
( 36 ) V. in proposito l’insegnamento di A. Pace, Le garanzie dei diritti fondamentali nell’or-
dinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici comuni, in Nuove dimensioni
dei diritti di libertà (Studi in onore di P. Barile), Padova, 1990, 120 ss. tesi ora sviluppata nella
recente monografia di D. Piccione, Libertà costituzionali e giudice amministrativo, Napoli, 2009.
( 37 ) Corte cost., 19 luglio 2005, n. 285, parte 3 in diritto, e ivi ulteriori indicazioni.
( 38 ) In Giur. cost., 2003, 2675, con nota di A. Gentilini, Dalla sussidiarietà amministrati-
va alla sussidiarietà legislativa, a cavallo del principio di legalità.
( 39 ) M. Morrone, La Corte costituzionale riscrive il Titolo V?, in Forum dei quaderni costi-
tuzionali, http://web.unife it/progetti/forum-costituzionale/index.html., 8 ottobre 2002. I com-
menti alla sentenza n. 303/2003, in genere di taglio critico, sono stati numerosi: v. tra gli altri R.
92 GIUSEPPE MORBIDELLI
Dickmann, La Corte Costituzionale attua (ed integra) il Titolo V (Osservazioni a Corte Cost., 1o
ottobre 2003. n. 303), in www.federalismi.it., n. 12/2002; L. Torchia, In principio sono le funzio-
ni (amministrative): la legislazione seguirà, in www.astridonline.it. Non mancano – sia chiaro –
studi che invero condividono la sentenza della Corte: v. in particolare A. D’atena, L’allocazione
delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte Costituzionale, in Giur. cost.,
2003, 2776. Sia consentito aggiungere che la tesi della competenza statale in materie regionali in
vista di esigenze unitarie ex art. 118, comma 1o, poi affermato da Corte cost. n. 303/2003, era stata
anticipata da G. Morbidelli, La localizzazione e la realizzazione delle infrastrutture e degli inse-
diamenti produttivi strategici tra Stato e Regioni, in Atti del Convegno sul Titolo V della Costituzio-
ne ed opere pubbliche, Bologna, SPISA, 18 ottobre 2002 e ivi anche la definizione della “materia
implicita trasversale” laddove vi fossero da tutelare esigenze unitarie secondo la tecnica della c.d.
sussidiarietà “ascensionale”.
( 40 ) L. Antonini, Art. 117 Cost., cit., 2244.
( 41 ) Secondo F. Figorilli - S. Fantini, Le modifiche alla disciplina generale sul procedi-
mento amministrativo, in Urbanistica e Appalti, n. 8/2009, 216 ss. Invero “il comma 2-ter della l. n.
69/2009 sembra infatti recepire gli auspici formulati da una recente dottrina che aveva criticato il
ricorso alla nozione di “livelli essenziali” per indicare i « risultati che devono essere garantiti al
cittadino nel suo rapporto con l’amministrazione-autorità », preferendo piuttosto circoscrivere la
loro portata alle prestazioni materiali assicurate dalle Amministrazioni, tra cui l’obbligo di comu-
nicare l’atto, il responsabile, il diritto di accesso”. Invero l’avviso è finalizzato alla partecipazione
(non è cioè una prestazione fine a se stessa) e lo stesso vale per gli altri istituti tutti volti ad inve-
rare garanzie: ad es. l’obbligo di concludere entro un termine prefissato il procedimento.
( 42 ) V. in tal senso A. Celotto, L’ansia riformatrice, il Gattopardo e il nuovo art. 29 della
legge 241 del 1990, come modificato dalla legge n. 69 del 2009, in www.giustamm.it, 2009, anche se
poi tale Autore, come emerge già dal titolo, afferma che poco o nulla è cambiato, atteso che gli
istituti e le discipline non disponibili da parte della Regione erano già individuabili nel vecchio
art. 29, nello stesso senso B. Mattarella, I procedimenti delle Regioni e degli enti locali, cit.,
1144. Ma questo è indiscusso, anche perché non poteva essere altrimenti. Solo che ora “la ragion
per cui” dell’applicazione dei principi alla l. n. 241 è più chiara. Tanto che B. Mattarella, I pro-
cedimenti delle Regioni e degli enti locali, cit., 1145, pure critico verso la novella del 2009, afferma
che siamo di fronte ad una ipotesi di (implicita) motivazione dell’atto legislativo laddove appunto
richiama i limiti essenziali.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 93
(così come gli artt. 2455 e ss. cod. civ.) ( 47 ). Del resto, proprio con riferi-
mento a società partecipate da Regioni o da enti locali, la Corte ha già
avuto modo di ricondurle all’ordinamento civile, materia nella quale
rientrano istituti di natura privatistica pur caratterizzati da elementi di
matrice pubblicistica ( 48 ). L’art. 29, al 2o comma, mantiene inalterata la
disposizione ai sensi della quale “le regioni e gli enti locali, nell’ambito
delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presen-
te legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del citta-
dino nei riguardi dell’azione amministrativa così come definite dai prin-
cipi stabiliti dalla presente legge”, di cui si è già rilevata la ridondanza
ma che comunque intende ribadire lo stretto legame tra l’art. 97 Cost. e
tutti i principi della l. n. 241 (anche quelli che non assurgono al tono co-
stituzionale), e in particolare i principi generali di cui all’art. 1, comma 1
e comma 1-bis. Nei successivi commi (2-bis, 2-ter, 2-quater) il nuovo art.
29 segue invece le indicazioni della dottrina (sopra ricordata) indicando
partitamente i principi della l. n. 241 che attengono alle prestazioni es-
senziali (anche se c’è un rinvio alle disposizioni, la formulazione “dispo-
sizioni concernenti gli obblighi dell’amministrazione di garantire etc.” si-
gnifica con chiarezza un rinvio ai principi incorporati dalle disposizioni
stesse, con conseguente facoltà delle Regioni di dar luogo ad integrazioni
e svolgimenti); ovverosia (v. comma 2-bis) le disposizioni concernenti gli
obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione
dell’interessato al procedimento (art, 7, 9, 10, 10-bis), di individuarne un
responsabile (art. 5), di concluderlo entro il termine prefissato ( 49 ) (art.
2, comma 1) e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa
(Capo V, art. 25 e ss.), nonché quelle relative alla durata massima dei
procedimenti” (v. ancora art. 2, comma 2 e ss.).
Mentre il comma 2-ter introduce la categoria dei l.e.p. “cedevoli”. So-
( 47 ) Se invece, pur qualificate nominalmente come società sono enti pubblici (come talvol-
ta avviene: v. le indicazioni di V. Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo, Torino,
2009, 118-9) allora la disposizione non può ricondursi all’ordinamento civile e allora ancora es-
sendo enti pubblici locali, riprendono espansione le competenze delle regioni sulla propria orga-
nizzazione. Si noterà che la legge non contempla le società a capitale pubblico minoritario, le qua-
li pure possono essere attributive di funzioni amministrative. Comunque le società minoritarie
esercenti funzioni pubbliche rimangono soggette, per un verso, all’art. 1 c. 1-ter della l. n. 241
(per cui sono soggette solo ai principi di cui al c. 1 del medesimo art. 1) e, per altro verso, all’in-
tegrale disciplina in materia di diritto d’accesso (art. 22, comma 1o, lett. e).
( 48 ) Corte cost. 1 agosto 2008, n. 326.
( 49 ) Nel senso che la previsione di un termine per provvedere in quanto ispirata alla sem-
plificazione e alla celerità costituisce un principio della materia (nella specie, energia) v. Corte
cost., 6 ottobre 2009, n. 282 (parte in diritto 6.1.): è ragionevole perciò dedurre che se il termine è
inserito in una disposizione di carattere generale e trasversale, transita allora a livello di principio
o comunque di l.e.p.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 95
( 50 ) Non solo per la riserva di legge che vige in materia di attività amministrativa e per lo
stesso contrarius actus, ma poiché le scelte in tema di l.e.p. perlomeno nella linee generali, sono
riservate alla legge: Corte cost., 31 marzo 2006, n. 134 (parte in diritto 9.).
( 51 ) V. nello stesso senso B. Mattarella, I procedimenti delle Regioni e degli enti locali,
cit., 1194.
( 52 ) Nella specie i l.e.p. si prestano ad essere determinati attraverso prescrizioni per prin-
cipi, perché l’art. 29, se pur con la interpositio della disposizione regolante l’istituto, è indirizzato
a quest’ultimo, e dunque alle linee generali della disciplina.
( 53 ) Corte cost. 13 giugno 2006, n. 248.
96 GIUSEPPE MORBIDELLI
6. – Resta il fatto che tali indicazioni lasciano lacune. Ad es. non sono
compresi né nell’elenco dell’art. 29, comma 1, né tra i l.e.p. il divieto di ag-
gravamento, l’obbligo di motivazione che, se pur riconducibile ai principi
comunitari (come derivazione del principio di pubblicità) conosce – come
già rilevato – varie eccezioni, la previsione di previ criteri di attribuzione di
vantaggi economici, le misure di semplificazione per ciò che concerne l’at-
tività consultiva, le valutazioni tecniche, l’obbligo di acquisizione di ufficio
di documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per
l’istruttoria del procedimento, i fatti, gli stati e le qualità che la stessa ammi-
nistrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certifi-
care ( 54 ). Si tratta di disposizioni che non rientrano nelle disposizioni riser-
vate alla competenza statale né ex comma 1o, art. 29, né come l.e.p. ex com-
ma 2o-bis e comma 2o-ter ( 55 ). Né rientrano tra le previsioni di sicura ascen-
denza costituzionale ex comma 2o, con l’eccezione dell’art. 12, l. n. 241,
circa i criteri preventivi atti ad autolimitare l’assegnazione di vantaggi eco-
nomici in quanto espressione diretta del principio di imparzialità. Infatti,
ad es., la semplificazione si può fare in tanti modi (non c’è un contenuto ob-
bligato) e la motivazione non è sempre necessaria nella stessa l. n. 241 (e la
giurisprudenza – come si è visto – ha vieppiù esteso le eccezioni).
Si potrebbe dire che, alla fin fine, questo non è un problema esiziale,
in quanto l’obbligo di motivazione è previsto dagli Statuti regionali (e da
quelli degli enti locali), che il divieto di aggravamento può essere ricondot-
to all’obbligo di concludere il procedimento entro un termine prefissato e
che le semplificazioni attinenti alla acquisizione di documenti sono ricon-
ducibili all’art. 97 come espressione del buon andamento. Ma a parte il
margine di incertezza di tali attribuzioni, tantopiù in correlazione con la
puntigliosa elencazione di altri istituti, principi, disposizioni, va soprattutto
tenuto presente che il problema della soggezione alla rete dei principi non
si pone solo per quelli ricavabili dalla l. n. 241, ma per tutti i principi ordi-
namentali che caratterizzano l’azione amministrativa e la stessa organizza-
( 54 ) Altre disposizioni della l. n. 241, non riconducibili all’art. 29, sono invece di sicura
competenza statale: così l’art. 18 sulle autocertificazioni e l’art. 30 sugli atti di notorietà (da ricon-
durre entrambi all’ordinamento civile).
( 55 ) Sono invero da ricondurre direttamente all’art. 97 Cost. i principi generali elencati
dall’art. 1, comma 1o, l. n. 241, secondo cui “l’attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di tra-
sparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che discipli-
nano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”, mentre la dispo-
sizione (v. art. 1, comma 1-bis), secondo cui “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di
natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga di-
versamente”, attiene alla capacità delle persone giuridiche pubbliche: è cioè una disposizione che
va a integrare l’art. 11 cod. civ. e dunque da ricondurre alla materia ordinamento civile.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 97
zione amministrativa. Principi che non sono solo della singola materia (es.
governo del territorio o ordinamento della comunicazione o tutela della sa-
lute), ma che hanno un contenuto più generale o trasversale, in quanto at-
tengono ad ogni sorta di materia. A loro volta tali principi possono derivare
anche da norme di settore, ma ascendere, in via di sussunzione a livello di
principi generali, come del resto ebbe ad osservare la Corte nella sent. n. 6
del 26 giugno 1956: “i principi generali che scaturiscono da questa coerente
e vivente unità logica e sostanziale del diritto positivo, possono riflettere
anche determinati settori, per convergere poi in sempre più elevate diretti-
ve generali coerenti allo spirito informatore di tutto l’ordinamento”. Anche
se la l. n. 241 ha contribuito ad una estesa canonizzazione di una serie di
principi, l’ordinamento amministrativo rimane sempre strutturato attorno
ad una serie ben più estesa di principi, tra l’altro in continua evoluzione e
formazione. È noto infatti che la non codificazione del diritto amministra-
tivo ha legittimato la giurisprudenza ad individuare una summa di regole
dell’azione amministrativa, al fine di porre ordine ad una normativa copio-
sissima e stratificata. Regole che, a prescindere da quelle che si ricavano dai
principi costituzionali ( 56 ) o da quelli comunitari ( 57 ) sono: a) in parte rica-
vati dai principi del diritto privato (si pensi al principio di conservazione,
che si deduce dall’art. 1367 c.c.), o a quello della tutela dell’apparenza, che
si ricava dall’art. 113 c.c., o a quello di tutela dei terzi di buona fede (es. in
caso di annullamento di atti di aggiudicazione di contratti che si ricava dal-
l’art. 25 c.c.) o al principio di irretroattività dei regolamenti e degli atti am-
ministrativi sfavorevoli, che si ricava dalle preleggi; b) in parte estrapolate
da disposizioni contenute in leggi di particolare rilievo anche per la vastità
del campo di applicazione e/o per la accuratezza di disciplina (c.d. “leggi
forti” dell’Amministrazione), ad es. i principi in tema di concessione di be-
ni pubblici che si ricavano dal T.U. acque ed impianti elettrici o quelli in te-
ma di pubblico impiego ricavabili dal T.U. n. 3/1957; c) in parte invece ela-
borate convergendo “in positivo” i vari profili dell’eccesso di potere (c.d.
principi sul “formarsi dell’atto”) talvolta corretti e integrati in nome del-
l’equità; sicché – ed è affermazione comune in dottrina e in giurisprudenza
– il diritto amministrativo non è frutto solo delle leggi che regolano l’attività
dello Stato, ma anche dei principi che costituiscono la parte generale non
( 56 ) Nel senso che per quanto numerosi principi generali dell’ordinamento siano sanciti a
livello costituzionale, non è da dedurne la quasi irrilevanza del limite in questione: L. Paladin, La
potestà legislativa regionale, Padova, 1958, 131.
( 57 ) Ad essi è poi possibile aggiungere quelli del diritto pubblico globale: v. sul punto, an-
che per una indagine sulla loro genesi, le riflessioni di G. Della Cananea, Al di là dei confini sta-
tuali. Principi generali del diritto pubblico globale, Bologna, 2009, spec. 160 ss.
98 GIUSEPPE MORBIDELLI
scritta di tale branca del diritto ( 58 ). E tale carattere normativo dei principi
è tanto radicato che la Corte costituzionale ravvisa nei principi elaborati
dalla giurisprudenza lo strumento idoneo per assicurare il rispetto della ri-
serva di legge, pur nella sommarietà contenutistica del dettato legislativo,
che viene cioè colmato da tali principi ( 59 ). Così per continuare nelle esem-
plificazioni, si pensi ai principi in tema di procedimenti irrogativi di sanzio-
ni amministrative, che vengono ricavati dalla l. n. 689/1981, o a quelli in te-
ma di organi collegiali ricavati dal T.U. l. com. prov. n. 383/1934 (se pur
non più vigente) o ancora a quelli in materia di indici rivelatori della natura
pubblica di un ente, o in tema di presupposti per la proroga di un atto am-
ministrativo, o di sanatoria di comportamenti contra legem (c.d. sanatoria
giurisprudenziale) o di rapporti di connessione o pregiudiziali tra procedi-
menti, o di ius superveniens su domanda di autorizzazione in corso o di
clausole accidentali. Né ha alcun rilievo che si tratti di principi tratti da sin-
goli settori dell’ordinamento. Anch’essi infatti possono assurgere a livello
di principio generale dell’ordinamento se hanno il carattere di “non sussu-
mibilità in prescrizioni di ordine superiore” ( 60 ). Non solo. I principi, per
loro ontologia da un lato non si prestano ad una integrale enunciazione in
sede legislativa ( 61 ), ma dall’altro sono in continua evoluzione, e del resto
basta leggere le sentenze dell’Adunanza plenaria per vedere come essi si
fanno via via strada. Tanto per fare alcuni esempi, non è da escludere che
alla luce delle previsioni della l. n. 262/2005, che stabilisce l’obbligo di mo-
tivazione che per gli atti normativi e gli atti amministrativi generali delle au-
torità indipendenti, questo obbligo possa essere convertito in principio ge-
nerale ( 62 ) e non più di settore, o che la disciplina di cui alla riforma del di-
ritto societario in punto di discovery degli interessi degli amministratori
(artt. 2391 e 2392-bis cod. civ.) vada a configurarsi come principio generale
anche del diritto amministrativo, nel senso che la leale ostensione dell’inte-
resse personale alla delibera e l’adeguata motivazione delle ragioni e della
( 58 ) Cons. St., Ad. plen., 28 gennaio 1961, n. 3, in Cons. Stato, 1961, I, 8, ove leggesi che il
diritto amministrativo risulta non solo da norme ma anche da principi che dottrina e giurispru-
denza hanno elaborato e ridotto a unità e dignità di sistema. Il diritto giurisdizionale è comunque
evocato in numerose sentenze: v. ad es. Cons. Stato, Sez. VI, 2 aprile 1965, n. 222, in Foro amm.,
1965, I, 2.
( 59 ) V. ad es. Corte cost. 7 agosto 1988, n. 409 e 24 marzo 1993, n. 103. In dottrina il punto
è messo in luce, tra gli altri da R. Cavallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità, Mi-
lano 1990, spec. 169 ss.
( 60 ) V. in tal senso A. D’Atena, L’autonomia legislativa delle Regioni, Roma, 1974, 40, che
a sua volta riprende le considerazioni di M.S. Giannini, L’analogia giuridica, in Jus, 1942, 5.
( 61 ) L. Paladin, La potestà legislativa, cit., 138.
( 62 ) V. spunti in tal senso in M. Ramaioli, Procedimenti regolatori e partecipazione, in
www.giustamm.it, 2009.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 99
( 63 ) V. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 3 dicembre 2009, n. 7457, in cui si ricorda come al
fine di armonizzarsi con i principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria nell’ordinamen-
to interno deve trovare ingresso il principio secondo il quale le concessioni “possono essere as-
sentite solo in esito ad una procedura di gara caratterizzata da idonea pubblicità preventiva; qua-
lora si tratti di rinnovo di concessioni di beni pubblici, la gara deve essere depurata da fattori di
vantaggio a favore dell’eventuale precedente concessionario”.
100 GIUSEPPE MORBIDELLI
letta, l’equità, rilevava “io ho il sospetto che in generale noi giuristi, abusiamo della logica (che
elabora il “dubbio concettuale”): anche nel campo della giustizia noi abbiamo ereditato, forse
dalla scolastica medievale più che dall’aequitas romana, la tendenza alle architetture sistematiche:
fabbrichiamo castelli di concetti per darvi decoroso alloggio alla giustizia, e non ci accorgiamo
che a poco a poco si trasformano in prigioni sbarrate da cui essa non riesce a più a liberarsi”. E
dalle quali prigioni si esce invero attraverso il combinato disposto dei principi regolatori e del-
l’analisi rigorosa, puntuale e calibrata del caso di specie. Ed è poi del resto quello che si fa conti-
nuamente e si è sempre fatto a Palazzo Spada, tanto che un altro grande maestro fiorentino, Fe-
derico Cammeo, nella sua lezione bolognese dedicata all’equità nel diritto amministrativo, ebbe a
dire che essendo il diritto amministrativo il vero risvolto giuridico della vita che di continuo di-
viene e senza fine fluisce, e che affronta problemi sociali, economici e tecnici che per la loro com-
plessità non si prestano ad essere risolti in una formula legislativa, ha sempre necessità dell’inter-
vento accorto ed equilibrato del giudice (per un recente ed esemplare impiego dell’equità v. TAR
Sardegna, Sez. I, 7 dicembre 2009, n. 2011, in www.giustamm.it, 2009, dove la non osservanza di
un ordine del superiore (si versava in materia di disciplina militare) è stata giustamente contrad-
detta dalla situazione familiare del ricorrente, che doveva assistere la moglie gravissimamente in-
valida e sola in casa, talché non gli era più possibile trattenersi in servizio).
( 68 ) Criterio che è stato peraltro fortemente criticato dalla dottrina: ad es. M. Bin, Preva-
lenza senza criterio, in Le Regioni, 2009, 618 ss., Id., Alla ricerca della materia perduta, in Le Re-
gioni, 398 ss.; E. Buoso, Concorso di competenze, clausole di prevalenza e competenze prevalenti,
in Le Regioni, 2008, 61 ss.; v. anche F. Manganiello, Perché la prevalenza è sempre la risposta?
Nota a Corte Cost. n. 88/2009, in www.forumcostituzionale.it.
( 69 ) Corte cost. 28 gennaio 2005, n. 50 (parte in diritto n. 5.).
( 70 ) Corte cost. 23 dicembre 2003, n. 370 (parte in diritto n. 4.).
( 71 ) Corte cost. 1 ottobre 2003, n. 303.
102 GIUSEPPE MORBIDELLI
( 78 ) V.S. Bartole - R. Bin - G. Falcon - R. Tosi, Diritto regionale. Dopo le riforme, Bo-
logna, 2003, 168; P. Cavalieri, Diritto regionale, Padova, 2006, 129; B. Mattarella, I procedi-
menti delle Regioni e degli enti locali, cit.; C.E. Gallo, La riforma della legge sull’azione ammini-
strativa, cit.
( 79 ) Corte cost. 1 agosto 2008, n. 326 (parte in diritto 8.1.).
104 GIUSEPPE MORBIDELLI
( 80 ) Cfr. in proposito per tutti V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, II, 5o edizio-
ne, Padova, 1984, 112.
( 81 ) Cfr. in proposito gli argomentati e dirimenti rilievi di L. Paladin, La potestà legislati-
va regionale, cit., spec. 135 ss., e ivi numerose indicazioni di dottrina (e di giurisprudenza dell’Al-
ta Corte).
( 82 ) S. Bartole - R. Bin - G.Falcon - R. Tosi, Diritto regionale, cit., 165. Altri hanno rin-
venuto nel criterio della prevalenza la riedizione post-riforma dell’interesse nazionale, come aveva
già previsto F. Benelli, La smaterializzazione delle materie, Milano, 2006, 121 ss. Sui diversi volti
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 105
pure il vigente art. 117 non riporta più questo limite, e dunque non è più
operante come tale, tuttavia è da considerare che vige comunque il dovere
di leale collaborazione tra le istituzioni che compongono la Repubblica che
la Corte costituzionale ha ricondotto all’art. 5 Cost. (ma rileva anche il ri-
chiamo testuale all’art. 120, comma 2), e che dunque leggi regionali che fos-
sero apertamente in contrasto con gli interessi nazionali o di altre Regioni
potrebbero considerarsi illegittime e per violazione di tale dovere, e perciò
per violazione del limite della Costituzione ( 83 ). Va ricordato poi che la
stessa Corte ha più volte richiamato i limiti impliciti della legislazione regio-
nale ricavabile dal Titolo V ( 84 ), e l’unità dell’ordinamento civile ha tutti i
titoli per essere ascritta in tale genus. In altre parole la tesi della indeclina-
bilità dei principi generali anche nelle materie residuali nasce dalla nozione
stessa di ordinamento giuridico che per essere tale – come qualunque rete –
deve essere legato da fili conduttori e connettivi, non riconducibili sempre
alla Costituzione (si pensi ai diritti quesiti o alla irretroattività dei regola-
menti e della tipicità dei provvedimenti). La realtà è che, di solito, il limite
in questione è stato sottovalutato, sia perché spesso finisce per coincidere
con principi costituzionali o comunitari, sia perché nelle Regioni ordinarie,
sino alla riforma del Titolo V, v’era comunque la linea avanzata di difesa
dell’unità rappresentata dai principi della materia, sia perché sovente era
interscambiabile e anzi confuso con il limite della grande riforma e con
quello dell’interesse nazionale. Però, se c’è un area dove tale limite ha un ri-
lievo di primaria importanza, è proprio quella dell’attività e dell’organizza-
zione amministrativa, stante la risalente tradizione e necessità di regolazio-
ne per principi che le caratterizzano. Questo anche per la mobilità, per non
dire volatilità che i principi possono assumere, in un periodo di continua
evoluzione legislativa e per di più di legislazione per codici, come tali sedi
idonee a porre nuovi principi, si pensi ad es. alla tematica della sanatoria
giurisprudenziale, su cui l’ordinamento dà indicazioni divergenti (v. ad es.
art. 167 Codice dei beni culturali e art. 36 T.U. Edilizia), e di talché è di-
scussa la vigenza a livello di principio generale (es. in materia di concessioni
di beni pubblici) ( 85 ). Il che rende necessario un continuo monitoraggio
dell’evoluzione ordinamentale. Crisafulli ebbe a osservare che “sarà pure
una ipotesi scolastica (ma in realtà – come ha osservato G.U. Rescigno –
che l’interesse nazionale sta assumendo nella giurisprudenza costituzionale, cfr. da ultimo A.
Guazzarotti, Diritti fondamentali e Regioni: il nuovo Titolo V della prova della giurisprudenza
costituzionale, in Ist. del federalismo, 2008, 599 ss.
( 83 ) V. ancora S. Bartole - R. Bin - G.Falcon - R. Tosi, Diritto regionale, cit., 165.
( 84 ) Corte cost., 31 marzo 2006, n. 134 (parte in diritto n. 9).
( 85 ) V. G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007,
703 ss.
106 GIUSEPPE MORBIDELLI
( 86 ) Il caso Mancuso ovvero dell’inesistenza di casi di scuola, ovvero ancora del dovere dei
giuristi di rispondere ai quesiti giuridicamente possibili, in Dir. pubbl., 1996, 235 ss.
( 87 ) V. Crisafulli, La legge regionale nel sistema delle fonti, in Riv. trim. dir. pubbl., 1960,
280-281. Sul punto v. analogamente già L. Paladin, La potestà legislativa regionale, cit., 253.
( 88 ) Nel senso dell’abrogazione tra i tanti, si veda L. Paladin, La potestà legislativa regio-
nale, cit., cap. 4, n. 6; M. Mazziotti, Studi sulla potestà legislativa delle Regioni, Milano, 1961, 87
ss.; V. Italia, Le disposizioni di principio stabilite dal legislatore, Milano, 1970, 269; V. Crisaful-
li, L’attuazione delle regioni di diritto comune e la Corte costituzionale, in Pol. del dir., 1972, 665.
Vi sono però altre posizioni: ad es. secondo F. Cuocolo (Diritto regionale italiano, Torino, 1991,
140) la soluzione più probabile è che i nuovi principi rendano invalida la legge regionale, creando
per la regione, il diritto-dovere di modificare la sua legge; e se la regione non provvede, le dispo-
sizioni contrastanti non saranno abrogate ma perderanno efficacia per impossibilità di applicazio-
ne. Mentre E. Silvestri, Leggi cornice, in Riv. trim. dir. pubbl., 1970, 1018 ss. e G. Meloni, La
potestà legislativa regionale nei rapporti con la legge statale, Milano, 1991, 55 ss. parlano di legge
statale e legge regionale come fonti collegate, per cui la caduta alla prima porta con se la caduta
dell’altra S. Bartole (in collaborazione con F. Mastragostino - L. Vandelli), Le autonomie
territoriali, Bologna, 1991, 159 ss.: parla di legge statale che abroga la legge regionale, ma a patto
di ritenere che il citato art. 10 abbia ridefinito l’effetto abrogativo e rinviando all’esperienza per
una piena ed esauriente risposta: ma comunque l’effetto è sempre quello della perdita di efficacia
della fonte subordinata.
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 107
ABSTRACT
L’articolo è dedicato allo spinosissimo rapporto tra le Regioni ed i principi
generali del diritto amministrativo.
A questo riguardo, l’Autore anzitutto sottolinea la particolare natura del di-
ritto amministrativo italiano, che definisce come un “crocevia o anche un via vai del-
le fonti”, le quali peraltro oggi si presentano in forma quanto mai disomogenea, al
punto da risultare sostanzialmente inidonee a spiegare i fenomeni indotti dalla tra-
sformazione degli ordinamenti giuridici e a guidare i comportamenti degli inter-
preti.
Tracciato tale contesto problematico, l’Autore introduce quindi il riferimen-
to all’art. 29 della L. 241/1990, che intende come norma chiave del rapporto tra le-
gislazione regionale ed i principi di diritto ascrivibili al procedimento amministra-
tivo. Da tale norma Egli trae infatti la considerazione che la disciplina del procedi-
mento amministrativo non è di esclusiva competenza statale, ciò che apre la strada
alla “perigliosa” individuazione dei principi atti ad indirizzare i procedimenti am-
ministrativi delle Regioni, tanto più dopo la riforma del Titolo V della Costituzio-
ne, che ha fatto venir meno la tassatività delle competenze regionali ed ha al con-
tempo determinato l’affermarsi della tesi che esclude la riconducibilità delle c.d.
materie residuali entro i principi generali dell’ordinamento.
L’Autore esclude che tutti i principi della L. 241 siano da ricondurre alla Co-
stituzione, quali espressioni od articolazioni dei principi di imparzialità e buon an-
damento, ovvero ai principi di matrice comunitaria, atteso che né gli uni né gli altri
hanno una transitività tale da determinare la diretta natura costituzionale dei vari
principi del procedimento amministrativo; ricorda inoltre che una certa dottrina e
poi il legislatore del 2009, il quale ha novellato il testo dell’art. 29 L. 241, per risol-
vere il problema dei vincoli gravanti sulla potestà legislativa regionale in materia di
procedimento amministrativo hanno fatto leva sui c.d. livelli essenziali delle presta-
zioni (l.e.p.) di cui all’art. 117 comma 2 lett. m) Cost., qualificando in tali termini i
capisaldi della L. 241, col risultato che le Regioni, pur vedendo salvaguardata la lo-
108 GIUSEPPE MORBIDELLI
The article deals with the complex relationship between Italian Regions and
the general principles of Administrative Law.
Firstly, the Author focuses on the peculiar natura of Italian Administrative
Law describing it as a “crossroads or a sort of round about of the sources” that at
present are extremely inconsistent, as to seem totally unsuitable to explain the
events caused by the alteration of the juridical regulations or else to rule the atti-
tudes of the judges. Within this problematic context, the Author refers to article 29
of Italian statute n. 241/1990, seen as a key rule of law for the relationship between
Regional Law and the principles regarding administrative proceedings. Starting
from that, the Author observes that administrative legal proceedings are not an ex-
clusive state dominion and identifies the principles directing the administrative
proceedings of the Regions, especially after the reform of title V of Italian Consti-
tution, which overrules the possibility of including the so called “Materie Residu-
ali” (matters not listed by art. 117 of Italian Constitution) within the general prin-
ciples of the italian legal order.
Secondly the Author rules out that all the principles of statute 241 can be
managed by the Constitution, like demonstrations of the principles of impartiality
and good management, or else Community principles, since neither of them can
define the direct constitutional nature of the multiple values of the administrative
procedure; the Author then argues that the reform of article 29 of stature 241,
which was inspired in 2009 by the reference to the so called “essential performance
levels” as secured exclusively by the State, aims at solving the problem of the bonds
burdening the regional legislative power as far as the administrative procedures are
concerned. As a result Regions are now able to improve the level of the perfor-
REGIONI E PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 109
mances ensured by State legislation, but not to set standards below the ones se-
cured by the same legislation.
Thirdly, the article critically underlines that the relationship between re-
gional legislation and the principles is continuous and is constantly mutating
within the regulations, and therefore it is not possible to use the “essential perfor-
mance levels” that become numerus clausus for the effects of article 29 of the stat-
ute n. 241. Indeed the administrative procedure undergoes general principles that
are continuously evolving, and can influence Regional Legislation.
In order to enable this process to perform, the Author finally argues that a re-
view of the traditional thesis is needed, so that the limit of the general principles
cannot be applied to matters on which rule maling power is held exclusively by the
Regions. As far as this review is concerned, the Author proposes several theoretical
arguments, inspired by reasons of consistency towards the entire juridical system.
Saggi
ALESSANDRO PACE
(*) Il presente contributo, costituisce, con modifiche, la relazione alla Conferenza su «Di-
ritti dell’individuo e diritti del consumatore», tenuta il 14 dicembre 2007 all’Università degli Studi
di Milano-Bicocca, in occasione delle celebrazioni per il X anniversario di fondazione dell’Uni-
versità. Esso apparirà anche negli Scritti in onore di Angelo Antonio Cervati.
( 1 ) V. P. Ridola, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, in R. Nania -
P. Ridola, I diritti costituzionali, II ed., vol. I, Giappichelli, Torino, 2006, 5 ss.
( 2 ) U. Villani, La protezione internazionale dei diritti umani, Luiss, Roma, 2005, 18 s.
( 3 ) È arcinota la polemica tra E. Boutmy e G. Jellinek sull’originalità, o meno, della conce-
zione dei diritti sottesa alla Déclaration. Sul punto v. B. Mirkine-Guetzevitch, Le costituzioni
europee (Les Constitutions européennes, 1951), trad. it. S. Cotta, Comunità, Milano, 1954, 114 s. e
D. Nocilla, Introduzione a G. Jellinek, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (Die
Erklärung der Menschen- und Bürgerrechte, IV ed., 1927), trad. it. D. Nocilla, Giuffrè, Milano,
2002, V ss.
( 4 ) Il pauperismo era praticamente sconosciuto nelle ex colonie. Questo avrebbe fatto dire
ad A. de Tocqueville, La democrazia in America (De la démocratie en Amerique, 1835), Utet,
Torino, 1968, 592: « Il grande vantaggio degli Americani è di essere arrivati alla democrazia senza
aver dovuto passare attraverso una rivoluzione democratica e di essere nati uguali al posto di di-
ventarlo ». Addirittura nell’incipit dell’introduzione, Tocqueville aveva scritto: « Tra le novità che
attirarono la mia attenzione durante la mia permanenza negli Stati Uniti, nessuna mi ha maggior-
mente colpito dell’eguaglianza delle condizioni » (ivi, 15).
Ancorché in diversi passi della sua opera Tocqueville dimostri di essere a conoscenza della
112 ALESSANDRO PACE
schiavitù negli Stati del sud, egli non la prende mai direttamente in considerazione, diversamente
da H. Arendt, Sulla rivoluzione (On Revolution, 1963), trad. it. M. Magrini, Comunità, Milano,
1996, 74, ed ivi il rilievo che « l’istituzione della schiavitù porta con sé un’oscurità ancor più nera
dell’oscurità della povertà ». La Arendt sottolinea che verso la metà del XVIII secolo vivevano in
America (del nord) 400.000 neri accanto a circa 1.850.000 bianchi.
( 5 ) Si v. per tutti H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit., 98, per la quale la rivoluzione ameri-
cana era fermamente orientata verso l’instaurazione della libertà e la fondazione di istituzioni du-
rature, mentre la rivoluzione francese avrebbe deviato da un tale orientamento « spinta dall’ur-
genza delle sofferenze del popolo ». Sul punto v. anche P. Reynaud, America e Francia: due rivo-
luzioni a confronto, in F. Furet (cur.), L’eredità della Rivoluzione francese, Laterza, Roma - Bari,
1989, 25 ss. e G. Ferrara, La Costituzione. Dal pensiero politico alla norma giuridica, Feltrinelli,
Milano, 2006, 89 ss.
( 6 ) Art. 6: « La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno il diritto
di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla loro formazione... ».
( 7 ) Si vedano sia l’art. 1 (« Gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti. Le di-
stinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune ») che la seconda parte del già
cit. art. 6 (« ... Essa (la legge) deve essere la stessa per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti
i cittadini, essendo eguali ai suoi occhi, sono egualmente ammissibili a qualsiasi carica, posto o im-
piego pubblico, in considerazione della loro capacità e senz’altra distinzione che quella delle loro
virtù e dei loro talenti »). Com’è arcinoto, già nella notte del 4 agosto l’Assemblea costituente ave-
va votato l’abolizione del regime feudale e di tutti i privilegi. Sull’eguaglianza nella Déclaration v.
il bel saggio di M. Azuf, Egalité, in F. Furet - M. Azuf, Dizionario critico della rivoluzione fran-
cese (Dictionnaire critique dela Révolution française, 1988), Bompiani, Milano, 1988, 624 ss.
( 8 ) Artt. 4 e 11. Ma v. anche l’art. 10 (« Nessuno può essere perseguito per le sue opinioni,
anche religiose, a condizione che la manifestazione delle stesse non turbi l’ordine pubblico stabi-
lito dalla legge ») che costituisce un corollario della garantita libertà di espressione.
( 9 ) Art. 17. L’idea della sacertà della proprietà entrerà in crisi quando sarà contrapposta
da Robespierre – sulla spinta della sanculotteria (v. infra la nota 33) – alla « più sacra di tutte le
leggi, il benessere del popolo, il più inconfutabile di tutti, la necessità » (v. H. Arendt, Sulla ri-
voluzione, cit., 61). Dello stesso Robespierre riporto qui di seguito gli articoli relativi al diritto di
proprietà contenuti nel suo progetto presentato alla Società dei Giacobini nell’aprile del 1793,
peraltro non approvato dalla Convenzione (trascrivo da B. Mirkine-Guetzevitch, Le costitu-
zioni europee, cit., 117): « Art. 7: La proprietà è il diritto che ha ciascun cittadino di godere e di
disporre della parte di beni che gli viene garantita dalla legge. - Art. 8: Il diritto di proprietà è li-
mitato come gli altri, dall’obbligo di rispettare i diritti altrui. - Art. 9: Esso non può pregiudicare
né la sicurezza, né la libertà, né la esistenza, né la proprietà dei nostri simili. - Art. 10: Qualsiasi
possesso, qualsiasi traffico che violi questo principio è essenzialmente illecito ed immorale ». Ciò
nondimeno l’inviolabilità del diritto di proprietà verrà ribadita nelle Carte costituzionali del 1814
(art. 9) e del 1830 (art. 8) nonché nella stessa costituzione repubblicana del 1848 (art. 11), pur
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 113
rico dei titolari di pubblici poteri (la c.d. libertà dagli arresti, la presunzione
d’innocenza ( 10 ), la legalità delle pene e la proporzionalità delle medesime) ( 11 )
riconducibili ai diritti di libertà e, infine, norme-principio attinenti alla fun-
zione e alla struttura della società politica che si intendeva instaurare in Fran-
cia ( 12 ) – e che polemicamente si auspicava potesse avvenire anche altrove ( 13 )
– con un primo nucleo di diritti di partecipazione alla vita pubblica ( 14 ).
Dal canto suo la dichiarazione della Virginia si basava sulla legge na-
turale – come già la dichiarazione d’indipendenza – e in forza di questa pro-
clamava che gli uomini sono egualmente liberi e indipendenti, che hanno
taluni diritti innati, e cioè « il godimento della vita, della libertà, mediante
l’acquisto e il possesso della proprietà, e il perseguimento della felicità e si-
curezza ». Tra i diritti civili essa però si limitava a riconoscere solo la libertà
di stampa e la libertà personale, anche con riferimento al processo e alle re-
lative possibili sanzioni personali e pecuniarie e con un espresso divieto dei
mandati generali di arresto.
La fortuna di questi diritti di prima generazione non fu tuttavia imme-
diata, almeno in Europa ( 15 ). In conseguenza della discesa in Italia dell’ar-
mata di Bonaparte, essi furono prontamente recepiti nelle Costituzioni del-
le Repubbliche Cisalpina e Cispadana (1797) e di Bologna (1797 e 1798) – e
poi, per libera scelta dei diretti interessati, nelle Costituzioni del Popolo li-
gure (1797), della Repubblica romana (1798) e di quella napoletana (1799)
–, ma, com’è noto, tali diritti ebbero vita breve.
prevedendosi, nei successivi articoli, la possibilità dell’esproprio per motivo d’interesse pubblico
e previo indennizzo.
( 10 ) Così l’art. 9.
( 11 ) Artt. 7 (« Nessuno può essere accusato, arrestato o detenuto che in casi previsti dalla
legge e secondo le forme prescritte... ») e 8 (« La legge non deve prevedere che le pene stretta-
mente ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito che in forza di una legge ema-
nata e promulgata prima del reato e legalmente applicata »).
( 12 ) Artt. 1, 2, 3, 5, 6, 12, 13, 14, 15 e 16.
( 13 ) V. il famosissimo art. 16: « Qualsiasi società nella quale la garanzia dei diritti non sia
assicurata, né sia determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione ». Se è vero che tale
articolo ha finito, culturalmente, per costituire il « manifesto (...) di tutto il costituzionalismo mo-
derno » (M. Luciani, Sui diritti sociali, in Studi in onore di M. Mazziotti di Celso, vol. II, Cedam,
Padova, 1995, 103 s.), non è men vero che, all’origine, esso aveva politicamente una portata espli-
citamente polemica nei confronti di tutte le monarchie che circondavano la Francia rivoluzionaria
e, insieme, costituiva un invito alle élites dei paesi confinanti a seguire l’esempio francese.
( 14 ) Sostiene addirittura L. Carlassare, La « Dichiarazione dei diritti » del 1789 e il suo
valore attuale, in Id. (cur.), Principi dell’89 e Costituzione democratica, Cedam, Padova, 1991, 7,
che nella « Dichiarazione dell’89 le tre istanze – liberalismo, costituzionalismo e democrazia – ri-
sultano tutte presenti; le basi dello Stato di diritto democratico sono dunque poste ».
( 15 ) ... diversamente da ciò che avvenne negli Stati Uniti d’America, con i primi dieci emen-
damenti della Costituzione federale (1791), che erano stati già in parte anticipati, oltre che dalla Co-
stituzione della Virginia, dalle Costituzioni della Pennsylvania (1776), del Maryland (1776), della
North Carolina (1776), del Vermont (1777), del Massachussets (1780) e del New Hampshire (1784).
114 ALESSANDRO PACE
( 16 ) Costituì un segno dei tempi che Napoleone, nelle cui Costituzioni imperiali non erano
stati mai proclamati diritti dei cittadini, inserisse, nell’Atto addizionale alle Costituzioni dell’Im-
pero (1815), cui collaborò niente meno che Benjamin Constant, la libertà di stampa, di culto, il
diritto al giudice naturale e la c.d. libertà dagli arresti. Sul punto v. D. de Villepin, I centogiorni
o lo spirito di sacrificio (Le Cent-Jours ou l’esprit de sacrifice, 2001), trad. it. M.V. D’Avino, Ed. Al-
tana, Roma, 2005, 298 ss.
( 17 ) C.F. von Gerber, Sui diritti pubblici (Über Öffentliche Rechte, 1852), in Id., Diritto
pubblico, trad. it. P.L. Lucchini, Giuffrè, Milano, 1971, 67 ss.; F. Lassalle, Delle Costituzioni
(Was non? Zweiter Vortrag über Verfassungswesen, 1862), trad. it. A. Rovini, Morgini, Roma, 21;
F. Neumann, Lo Stato democratico e lo Stato autoritario (The Democratic and the Authoritarian
State, 1957), trad it. G. Sivini, il Mulino, Bologna, 1973, 45 ss.; 37.
( 18 ) N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, 113 ss., 117. Nello stesso senso, v.
L. Carlassare, La « Dichiarazione dei diritti » del 1789, cit., 9 s.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 115
stesso scritto, sottolinei che tali diritti « hanno la loro giustificazione teorica nel diverso concetto
di liberazione da determinate forme di privazione e, quindi, hanno come scopo la realizzazione del-
l’eguaglianza o, più precisamente, una sintesi tra libertà ed eguaglianza » (ivi, 69). Va tuttavia sot-
tolineato, per quel che può servire, che la nostra Costituzione, nell’intestazione del titolo II della
Parte prima, non parla di « rapporti sociali », ma di « rapporti etico-sociali » e quindi dichiarata-
mente allude ad un concetto più ampio di quello originario.
Opportunamente A. Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza, cit., sot-
tolinea come l’ambiguità dell’espressione abbia indotto gli studiosi a farne un uso smodato in
contrasto con la originaria struttura di tali diritti, di qui la sua scelta bene evidenziata nel titolo
dell’opera.
( 26 ) Così A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, III ed., Cedam,
Padova, 2003, 122 ss.
( 27 ) M. Mazziotti, Lo spirito del diritto sociale, cit., 52 ss.
( 28 ) Titolo primo. Disposizioni fondamentali garantite dalla Costituzione: « Sarà creato un
istituto generale dei Soccorsi pubblici, per allevare i minori abbandonati, soccorrere i poveri in-
fermi e procurare il lavoro ai poveri che ancorché idonei al lavoro non abbiano potuto procurar-
selo. // Sarà creato e organizzato un’Istruzione pubblica comune a tutti i cittadini, gratuita per ciò
che attiene agli insegnamenti indispensabili che gli istituti distribuiranno gradualmente... ».
( 29 ) Art. 21: « I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società deve assicurare la sussi-
stenza ai cittadini sfortunati sia procurando loro il lavoro, sia assicurando il mantenimento a
quanti abbiano superato l’età per lavorare ».
( 30 ) Art. 22: « L’istruzione è un bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo
potere il progresso della pubblica ragione (raison), e deve mettere l’istruzione alla portata di tut-
ti ».
( 31 ) Il punto è giustamente sottolineato da L. Carlassare, La « Dichiarazione dei diritti »
del 1789, cit., 20.
( 32 ) M. Mazziotti, Lo spirito del diritto sociale, cit., 66, riporta la famosa frase di Cambon
alla Convenzione, il 17 aprile 1793:: « Avevamo fatto soltanto la rivoluzione della libertà; ora ab-
biamo fatto quella dell’eguaglianza, ritrovata sotto le rovine del trono... ».
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 117
( 36 ) Cfr. R. Pessi, Lezioni di diritto della previdenza sociale, Cedam, Padova, 2006, 24 ss.
( 37 ) Indicazioni in B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali. Indagine sulla struttura costi-
tuzionale dei diritti sociali, Giuffrè, Milano, 2001, 70 ss.
( 38 ) M. Mazziotti, Lo spirito del diritto sociale, cit., 96 ss.
( 39 ) Così P. Ridola, Libertà e diritti, cit., 6 s.
( 40 ) La Costituzione sovietica del 1936 proclamava il diritto di tutti i cittadini ad un posto
di lavoro garantito e remunerato; il diritto al riposo e ad un orario di lavoro, a secondo degli im-
pieghi, di un massimo di sette ore o di sei o quattro ore per lavori particolarmente usuranti; il di-
ritto all’assistenza sociale e sanitaria; il diritto all’istruzione primaria generale ed obbligatoria; il
diritto alla parità dei sessi nella vita economica, governativa, culturale, sociale e politica. Garanti-
va inoltre ai cittadini sovietici anche diritti di prima generazione quali la libertà di parola, di stam-
pa, di riunione e di corteo, purché « conformi agli interessi dei lavoratori e allo scopo di consoli-
dare il regime socialista ». A queste condizioni l’esercizio di tali diritti veniva garantito con la mes-
sa a disposizione dei relativi mezzi di diffusione.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 119
( 41 ) Ciò non di meno l’inclusione nel catalogo dei diritti della Costituzione bolscevica del
1936, accanto ai diritti di libertà, dei diritti sociali (v. la nota precedente) impressionò uno studio-
so sensibile come Piero Calamandrei e lo condusse, nel saggio del 1945 su L’avvenire dei diritti di
libertà (pubblicato come introduzione alla ristampa dell’opera di F. Ruffini, Diritti di libertà,
Nuova Italia, Firenze, 1946, e ripubblicato in P. Calamandrei, Opere giuridiche, Morano, Na-
poli, vol. III, 182 ss.) a ritenere che i diritti sociali potessero essere identificati con i diritti di liber-
tà addirittura nella stessa loro struttura (sul punto, criticamente v. il mio Diritti di libertà e diritti
sociali nel pensiero di Piero Calamandrei, in AA.VV., Piero Calamandrei. Ventidue saggi su un
grande maestro a cura di P. Barile, Giuffrè, Milano, 313 ss.). Il che merita di essere ricordato per-
ché tale equiparazione ha finito per alimentare la fuorviante contrapposizione libertà negative e
libertà positive: dico fuorviante perché mentre le c.d. libertà negative, consistendo nella facultas
agendi derivante dall’autonomia della persona, sono diritti positivi a tutti gli effetti, le c.d. libertà
positive, risolvendosi in diritti a prestazioni positive, non consistono in libertà, ma in pretese ge-
neralmente inesigibili senza il previo intervento del legislatore.
( 42 ) V. ad es. la Carta del lavoro fascista del 21 aprile 1927.
( 43 ) Ampi riferimenti in M. La Torre, La « lotta contro il diritto soggettivo ». Karl Larenz e
la dottrina giuridica nazionalsocialista, Giuffrè, Milano, 1988. Per il fascismo italiano v. già F. Ruf-
fini, Diritti di libertà, cit., 100 s.
( 44 ) Ad esempio, nella Cost. spagnola (1978) sono espressamente riconosciuti come diritti
sociali soltanto il diritto alla tutela della salute (art. 43) e il diritto ad una abitazione decorosa (art.
47). V. anche la Cost. greca (1975/1986) la quale allude soprattutto ai doveri incombenti sullo
Stato (artt. 16, comma 2, istruzione; 22, comma 1, lavoro; 22, comma 4, sicurezza sociale).
( 45 ) Artt. 20 e 28 GG.
( 46 ) Ad esempio con riferimento al diritto sociale alla salute, questo ha una portata imme-
diatamente precettiva quando si tratti di prestazioni mediche indispensabili per garantire l’inte-
grità psico-fisica del soggetto (art. 32) (v. da ultimo L. Principato, Il contenuto minimo e la tu-
tela cautelare del diritto alle cure mediche, in rapporto alle condizioni economiche del malato ed alle
esigenze di bilancio dello Stato, in Giur. cost., 2008, 3923 ss.). In tal caso il diritto all’erogazione
immediata è generale, laddove la gratuità delle prestazioni dipende dalla condizione di indigenza,
come previsto dall’art. 32, comma 1, ult. parte. In tal senso v. già L. Carlassare, L’art. 32 della
Costituzione, cit., 117. Oppure quando il diritto sociale rilevi come diritto al pari trattamento (art.
37). Oppure, ancora, quando il diritto sociale si risolva in una pretesa nei confronti di soggetti pri-
vati e nei confronti dello Stato e degli enti pubblici che agiscono jure privatorum (è il caso del di-
ritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente, del diritto al riposo settimanale e alle ferie, del
diritto al mantenimento del posto di lavoro salvo giusta causa o giustificato motivo). A tal propo-
sito v. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionale, cit., 152 ss.; sul punto, v. anche M. Maz-
ziotti, voce Diritti sociali, in Enc. dir., vol. XII, Giuffrè, Milano, 1964, 804 che spiega come mai
120 ALESSANDRO PACE
questi diritti possano essere considerati sociali ancorché la prestazione positiva non sia a carico
dello Stato.
Tra le Costituzioni più generose in materia di diritti sociali, esplicitamente riconosciuti co-
me tali, v. la Cost. portoghese (1974) che tutela il diritto al lavoro (art. 58), i diritti dei lavoratori
(art. 59), la sicurezza sociale (art. 63), la salute (art. 64), l’abitazione e l’urbanismo (art. 65), l’edu-
cazione, cultura e scienza (art. 73), l’istruzione (art. 74).
( 47 ) Nella scia di alcune decisioni del Tribunale costituzionale federale tedesco (BVefGE,
vol. 3, 330; BVerfGE, vol. 33, 303), si parla, a tal riguardo, di diritti sottoposti alla « riserva del
ragionevole e del possibile »: per tutti v. A. Baldassarre, voce Diritti sociali, cit., 31; 72; A.
Giorgis, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza sostanziale, cit., 178 ss.; L. Principa-
to, I diritti sociali nel quadro dei diritti fondamentali, in Giur. cost., 2001, 887 ss. Da ultimo, anche
per ulteriori richiami di giurisprudenza, v. Corte cost., sent. n. 354/2008.
( 48 ) A. Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Bari, 2003, 31 ss. ricor-
da il ruolo svolto anche dai Paesi dell’America latina e quelli musulmani, che espressero riserve in
materia di religione e di vita familiare.
( 49 ) C. Tomuschat, Human Rights Between Idealism and Realism, Oxford Univ. Press,
Oxford, 2003, 31.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 121
( 57 ) A. Predieri, voce Paesaggio, in Enc. dir., vol. XXXI, Giuffrè, Milano, 1981, 510; Cor-
te cost., sent. n. 210/1987.
( 58 ) Per maggiori indicazioni normative e per i problemi che suscita l’etica della responsa-
bilità v. P. Ridola, Libertà e diritti, cit., 8 s.
( 59 ) P. Ridola, Libertà e diritti, cit., 7.
( 60 ) Dichiarazione di Vienna del 25 giugno 1993, parte I, n. 5. V. anche il n. 32.
( 61 ) A. Cassese, I diritti umani, cit., 55 ss.
( 62 ) U. Villani, La protezione internazionale dei diritti umani, 17.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 123
( 63 ) P. Calamandrei, L’avvenire dei diritti di libertà, in Opere giuridiche, cit., 194 ss..
( 64 ) M. Esposito, Profili costituzionali dell’autonomia privata, Cedam, Padova, 2003, 13 s.
( 65 ) A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, cit., 83 ss., 94 ss.
( 66 ) Anzi doppiamente fuorviante, da un lato perché qualifica col sostantivo «libertà» an-
che i diritti sociali che, risolvendosi in mere «pretese», non implicano un comportamento attivo
del soggetto (laddove i diritti di libertà sono, invece, per definizione, situazioni soggettive attive
costituendo il libero svolgimento della personalità umana), dall’altro utilizza un aggettivo («nega-
tive») che è fuorviante con riferimento al contenuto dei diritti di libertà che, come testè ricordato,
è per definizione positivo. Amplius v. A. Pace, Libertà e diritti di libertà, in Giornale di storia cost.,
n. 17, 2009, 21 ss.
( 67 ) Di qui, a mio parere, una lettura in positivo dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost., nel
senso che lo Stato ha competenza non solo a determinare i livelli essenziali delle prestazioni con-
cernenti i diritti civili, ma anche ad effettuare interventi di sostegno quando non vi provvedano le
Regioni. Sul punto mi permetto di rinviare al mio I progetti PC ai giovani e PC alle famiglie: eser-
cizio di potestà legislativa esclusiva statale o violazione della potestà regionale residuale?, in Giur.
cost., 2004, 3222.
( 68 ) Generalizza eccessivamente questa circostanza M. Luciani, Sui diritti sociali, cit., 121.
124 ALESSANDRO PACE
una specifica base giuridica fosse data, in sede comunitaria, alla tutela dei
consumatori, il che è avvenuto solo col Trattato di Maastricht (1992) e con
l’inserimento dell’art. 129 A nel TCE.
L’assenza, nell’originario TCE, di disposizioni specifiche aventi porta-
ta generale non ha infatti impedito che una politica legislativa comunitaria
a favore del consumatore si venisse delineando e poi speditamente progre-
disse, soprattutto per merito di taluni Stati membri che già vantavano in
proposito una diffusa sensibilità sociale e una più solida cultura giuridica in
materia.
A tal fine vennero infatti utilizzate varie norme del Trattato, sulla po-
litica agricola e sui prezzi ragionevoli; sull’esenzione delle norme a tutela
della concorrenza in caso di accordi, intese o pratiche concordate che con-
tribuiscano a migliorare la produzione o distribuzione dei prodotti e infine
la norma che configura come pratica abusiva anche il fatto di limitare la
produzione, gli sbocchi e lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori ( 72 ).
Sta di fatto che già nella Dichiarazione dei Capi di Stato e di governo
emessa a conclusione del Vertice di Parigi del 19 e 20 ottobre 1972 la Com-
missione veniva formalmente incaricata di stendere un programma a tutela
del consumatore. Nel 1975 la Commissione elaborava il primo programma
preliminare della CEE per una politica di protezione e di informazione del
consumatore, in cui venivano tracciate « le direttrici fondamentali sulle
quali si svilupperà l’opera di armonizzazione a livello comunitario: a) dirit-
to alla protezione della salute e della sicurezza; b) diritto alla tutela degli in-
teressi economici; c) diritto al risarcimento dei danni; d) diritto all’informa-
zione e all’educazione; e) diritto alla rappresentanza (diritto di essere ascol-
tato) » ( 73 ).
Venivano quindi adottate – già prima dell’inserimento, nel TCE, del
cit. art. 129 A ad opera del trattato di Maastricht – le seguenti direttive: la
Dir. 76/768/CEE del 27 luglio 1976 del Consiglio concernente il « riavvici-
namento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici »;
la Dir. 84/450/CEE del 10 settembre 1984 del Consiglio relativa al « ravvi-
cinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative de-
gli Stati Membri in materia di pubblicità ingannevole »; la Dir. 85/374/CEE
del 25 luglio 1985 del Consiglio relativa al « riavvicinamento delle disposi-
zioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in ma-
teria di responsabilità per danno da prodotti difettosi »; la Dir. 85/577/CEE
del 20 dicembre 1985 del Consiglio per la « tutela dei consumatori in caso di
( 72 ) Per un rapido ma esauriente e preciso sguardo d’insieme dei fatti sopra accennati v.
F.P. Mansi, Art. 153 TCE, cit., 816.
( 73 ) F.P. Mansi, Art. 153 TCE, cit., 816.
126 ALESSANDRO PACE
( 75 ) L’art. 153 TCE nell’attuale formulazione (art. 2, par. 27, Trattato di Amsterdam in
corsivo):
« 1. Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di pro-
tezione dei consumatori, la Comunità contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi eco-
nomici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’or-
ganizzazione per la salvaguardia dei propri interessi.
2. Nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono prese in
considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori.
3. La Comunità contribuisce al conseguimento degli obiettivi di cui al paragrafo 1 mediante:
a) misure adottate a norma dell’articolo 95 nel quadro della realizzazione del mercato in-
terno;
b) misure di sostegno, di integrazione e di controllo della politica svolta dagli Stati mem-
bri.
4. Il Consiglio, deliberando secondo la procedure di cui all’art. 251 e previa consultazione
del Comitato economico e sociale, adotta le misure di cui al paragrafo 3, lettera b).
5. Le misure adottate a norma del paragrafo 4 non impediscono ai singoli Stati membri di
mantenere o di introdurre misure di protezione più rigorose. Tali misure devono essere compati-
bili con il presente trattato. Esse sono notificate alla Commissione ».
128 ALESSANDRO PACE
sono finalizzati: alla tutela della salute, alla sicurezza e alla qualità dei pro-
dotti e dei servizi; ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubbli-
cità; all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fe-
de, correttezza e lealtà; all’educazione al consumo; alla correttezza, alla
trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali; alla promozione e allo
sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consu-
matori e gli utenti; all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di
qualità e di efficienza ( 78 )..., ebbene, tutto ciò tenuto presente, gli ambiti
della tutela del consumatore secondo il nostro ordinamento – quali risul-
tano dalle modificazioni del codice del consumo disposte dal d. lgs. 23 ot-
tobre 2007, n. 223 – potrebbero in estrema sintesi dirsi i seguenti:
– è previsto un impegno dei soggetti pubblici e, per quel che possa
valere, dei soggetti privati a favorire la consapevolezza dei consumatori dei
loro diritti e interessi, lo sviluppo dei rapporti associativi, la partecipazione
Per quel che qui interessa, si intende infine per « prodotto (...) qualsiasi prodotto destinato
al consumatore, anche nel quadro di una prestazione di servizi... ».
Una deroga alla nozione di consumatore di cui all’art. 3 è nell’art. 5, comma 1, nel titolo II,
concernente le « Informazioni ai consumatori ». Secondo tale disposizione « Fatto salvo quanto
disposto dall’art. 3, comma 1, lett. a), ai fini del presente titolo, si intende per consumatore o uten-
te anche la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali ».
Un’ulteriore deroga è nel titolo III dedicato alle « Pratiche commerciali, pubblicità, e altre
comunicazioni commerciali », il cui art. 18 (« Definizioni ») recita: « Ai fini del presente titolo, si
intende per:
a) “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del pre-
sente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industria-
le, artigianale o professionale;
b) “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali og-
getto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale
o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista ».
( 78 ) Art. 2 del codice del consumo:
« 1. Sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consuma-
tori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e
associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la discipli-
na dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni.
« 2. Ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti:
a) alla tutela della salute;
b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;
c) ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità;
c-bis) all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e
lealtà;
d) all’educazione al consumo;
e) alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali;
f) alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico
tra i consumatori e gli utenti;
g) all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza ».
130 ALESSANDRO PACE
( 79 ) Art. 4, comma 1.
( 80 ) Art. 4, comma 2.
( 81 ) Artt. 5-17, 52.
( 82 ) Artt. 20-27-quater.
( 83 ) Artt. 28-32.
( 84 ) ... già risalente alla l. 6 febbraio 1996, n. 52, introduttiva degli artt. 1469-bis-1469-
sexies c.c. L’art. 1469-sexies c.c. è stato successivamente modificato a seguito della condanna della
Repubblica italiana per infrazione dell’art. 7, n. 3 della dir. 93/13/CEE, nella parte in cui le asso-
ciazioni che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali del contratto non venivano indicate
come soggetti passivi dell’azione inibitoria. V. CGCE, sez. V, 24 gennaio 2002, Commissione c.
Repubblica italiana, causa C-372/99. V. ora gli artt. 33-37.
( 85 ) Artt. 45-67.
( 86 ) Artt. 67-bis-67 vicies semel.
( 87 ) Artt. 69-81.
( 88 ) Artt. 82-100.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 131
( 89 ) Artt. 102-105.
( 90 ) Artt. 107-110.
( 91 ) Art. 111 e titolo II.
( 92 ) Artt. 114-127.
( 93 ) Artt. 128-135.
( 94 ) Artt. 136-138.
( 95 ) Artt. 139-141.
( 96 ) Artt. 37 e 139.
( 97 ) Art. 140-bis, comma 1: « Le associazioni di cui al comma 1 dell’art. 139 e gli altri
soggetti di cui al comma 2 del presente articolo sono legittimati ad agire a tutela degli interessi
collettivi degli utenti richiedendo al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento
del diritto al risarcimento del danno e la restituzione delle somme spettanti ai singoli consu-
matori o utenti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’art.
1342 c.c. ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scor-
rette o di comportamenti anticoncorrenziali, quando siano lesi i diritti di una pluralità di con-
sumatori o di utenti ».
132 ALESSANDRO PACE
tivamente apprezzata siccome ostacolo alla libertà e alla partecipazione di tutti i consociati. Ne
consegue che gli atti che esprimano essa autorità non potranno godere della tutela della colletti-
vità, non ne saranno diritto: potranno restare soltanto sul piano del diritto dei privati ». Così M.
Esposito, La tutela dei consumatori tra codice civile e Costituzione, in Giur. merito, 2000, 216.
( 102 ) A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, II ed., Cedam, Pado-
va, 1992, 480 ss.
( 103 ) « Superata (e in buona parte per merito della Corte costituzionale) quella tesi del va-
lore direttivo di tutte le disposizioni costituzionali (tesi che ebbe successo appena entrata in vigo-
re della Costituzione), dovrebbe dedursene che anche nel campo dello svolgimento dell’iniziativa
economica, indipendentemente da leggi che diano maggiore precisione o concretizzazione alle
formule adottate dalla Costituzione lì dove essa stabilisce limiti, divieti o binari per lo svolgimento
delle iniziative, i singoli siano tenuti a rispettare i limiti fissati dall’art. 41, secondo comma, Cost.,
i giudici a decidere sul loro rispetto e le autorità esecutive, nei limiti di propria competenza, ad
imporne l’esecuzione anche attraverso l’emissione di atti regolamentari. Questi regolamenti, poi-
ché i limiti e i criteri direttivi ai quali debbono attenersi sono già offerti dalla Costituzione nell’art.
41, secondo comma, abbisognano di trovare nelle leggi solo il proprio fondamento o la propria
attribuzione di competenza, ma non anche le direttive ed i limiti ». Così C. Esposito, I tre commi
dell’art. 41 della Costituzione, in Giur. cost., 1961, p. 33 ss. Diversamente v. A. Pace, Problematica
delle libertà costituzionali. Parte speciale, cit., 484, ma con riferimento alla sola utilità sociale.
( 104 ) M. Esposito, La tutela dei consumatori, cit., 214.
134 ALESSANDRO PACE
( 105 ) V. Zeno Zencovich, voce Consumatore (tutela del), diritto civile, postilla di aggior-
namento, in Enc. giur., vol. VIII, Ist. Enc. it., 2000, 2.
( 106 ) In questo senso v. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte speciale, cit.,
469, anche per ulteriori indicazioni di giurisprudenza costituzionale e dottrina.
( 107 ) Sul punto, da ultimo, v. in questo senso A. Pace, Libertà di informare e diritto ad es-
sere informati: due prospettive a confronto nell’interpretazione e nelle prime applicazione dell’art. 7,
primo comma, del t.u. della radiotelevisione, in Dir. pubbl., 2007, 459 ss. nonché in www.associa-
zionedeicostituzionalisti.it.
I DIRITTI DEL CONSUMATORE: UNA NUOVA GENERAZIONE DI DIRITTI? 135
ca » (art. 68), come quella dei consumatori « di pacchetti turistici » (art. 83)
e come quella dei « consumatori che si trovano in condizioni di rischio nel-
l’utilizzazione del prodotto » (art. 103), con conseguente modifica, razio-
nalmente giustificabile ex art. 3 Cost., della disciplina generale altrimenti
applicabile al « consumatore » puro e semplice.
Una accezione estensiva della nozione di consumatore (art. 3 cod.
cons.) è nell’art. 5, comma 1, del titolo II, concernente le « Informazioni ai
consumatori », secondo il quale « Fatto salvo quanto disposto dall’art. 3,
comma 1, lett. a), ai fini del presente titolo, si intende per consumatore o
utente anche la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni com-
merciali ».
7. – I servizi pubblici
Fin qui si è parlato esclusivamente del settore privato – e quindi del-
l’art. 41 Cost. –, ma l’art. 2, comma 2, cod. cons. riconosce ai consumatori
anche il fondamentale diritto « all’erogazione di servizi pubblici secondo
standard di qualità ed efficienza », il che sposta l’attenzione sull’art. 97
Cost.
A tal riguardo il codice di consumo, all’art. 101, si limita ad un mero
rinvio al legislatore statale e regionale ( 108 ). Con un ulteriore rinvio, lo stes-
so articolo riserva al legislatore di stabilire l’obbligo, da parte di determina-
ti enti erogatori di servizi pubblici, di adottare, attraverso specifici mecca-
nismi di attuazione diversificati in relazione ai settori, apposite carte di ser-
vizi.
Al riguardo mette conto di ricordare che, già prima dell’entrata in vi-
gore del codice di consumo, l’art. 35 della legge finanziaria per il 2002 (l. 28
dicembre 2001, n. 448) – recante un complesso di disposizioni concernenti
sia la proprietà e la gestione delle reti, sia l’erogazione dei servizi – aveva in-
trodotto, sostituendo l’art. 113 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (t.u. ord.
enti locali), il principio generale secondo il quale l’erogazione dei servizi di
rilevanza industriale, ormai completamente liberalizzato, avviene in regime
di concorrenza, attraverso l’affidamento della titolarità del servizio a socie-
tà di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare ad evidenza pub-
blica.
In materia è poi intervenuto l’art. 2 comma 461 della legge finanzia-
ria per il 2008 (l. 24 dicembre 2007, n. 244), che ha ribadito che gli enti
locali, in sede di stipula dei contratti di servizio, devono prevedere l’obbli-
go per il soggetto gestore del servizio pubblico – previe intese con le asso-
ciazioni dei consumatori e imprenditoriali interessate – di emanare una
carta della qualità del servizio nella quale, oltre agli standard di qualità e
di quantità delle prestazioni, devono essere pubblicizzate le modalità per
l’accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclami e per
adire le vie conciliative e giudiziarie, le consultazioni obbligatorie delle as-
sociazioni dei consumatori, la verifica periodica dell’adeguatezza dei para-
metri qualitativi e quantitativi del servizio, la previsione di un sistema di
monitoraggio ecc. ( 109 ).
8. – Conclusioni
I diritti del consumatore consistono in tecniche di « difesa » nei con-
fronti del contraente più forte, e ciò tanto nel caso che questo sia un profes-
sionista privato che si muove in un’ottica di libertà costituzionalmente ga-
rantita dall’art. 41, commi 1 e 2; quanto nel caso che questo sia un profes-
sionista privato che debba tener conto dei fini sociali previsti dall’art. 41,
comma 3, Cost. (ipotesi del servizio pubblico gestito da un’impresa priva-
ta); quanto infine nel caso che il servizio pubblico sia gestito direttamente
da un ente pubblico, che esercita le sue competenze in forza di disposizioni
di legge e regolamentari in conformità con l’art. 97, comma 2, Cost.
Anche a voler considerare il consumo in funzione della capacità di
spesa – e cioè il consumo che consente all’individuo benestante di « collo-
carsi nel modo migliore possibile all’interno della gerarchia sociale » ( 110 ) –
nessuno infatti parla più oggigiorno di « sovranità del consumatore » ( 111 ).
Gli stessi studiosi che rifiutano le tesi più radicali, secondo le quali il con-
sumatore non sarebbe altro che un burattino manovrato da esperti di
marketing e di pubblicità e che le sue scelte sarebbero sempre condizionate
dalle grandi imprese ( 112 ), sono infatti costretti ad ammettere che le « cono-
scenze e le informazioni disponibili al consumatore medio appaiono insuf-
ficienti a consentirgli una scelta pienamente ragionata » ( 113 ).
Di qui il tipo di situazioni giuridiche soggettive che gli ordinamenti
nazionale e comunitario prefigurano a tutela del consumatore, che si risol-
f) previsione che le attività di cui alle lettere b), c) e d) siano finanziate con un prelievo a
carico dei soggetti gestori del servizio, predeterminato nel contratto di servizio per l’intera durata
del contratto stesso ».
Numerose sono le Carte dei diritti rinvenibili sui vari siti web dei Comuni.
( 110 ) V. G. Ragone, voce Consumi - Sociologia, in Enc. sc. sociali, vol. II, Ist. Enc. it., Roma,
1992, 331, che cita al riguardo J. Baudrillard, La società dei consumi, il Mulino, Bologna, 1976.
( 111 ) G. Katona, voce Consumi, cit., 961.
( 112 ) G. Katona, voce Consumi, cit., 971; G. Alpa, voce Consumatore, tutela del –, in Enc.
sc. sociali, vol. II, cit., 307.
( 113 ) G. Katona, voce Consumi, cit., 971.
138 ALESSANDRO PACE
ABSTRACT
Dopo aver individuato la differenza sia strutturale che funzionale dei diritti
di prima e di seconda generazione (rispettivamente, i diritti di libertà e i diritti so-
ciali) e le caratteristiche dei diritti di terza generazione, di matrice internazionali-
stica, l’a. evidenzia il fondamento comunitario dei diritti del consumatore e ne ana-
lizza la struttura, essenzialmente di «difesa» nei confronti del «professionista», e
conclude nel senso che i diritti del consumatore non presentano caratteristiche di
novità rispetto alle categorie giuridiche presenti in Costituzione, né la locuzione
«consumatore» sembra potersi sovrapporre alle locuzioni «cittadino» e «lavorato-
re» a cui allude il secondo comma dell’art. 3 Cost.
Pertanto, a suo modo di vedere, la prospettazione di una nuova generazione
di diritti con specifico riferimento ai consumatori non sembra presentare alcuna
utilità sistematica o classificatoria.
Un tentativo del genere potrebbe però avere un’utilità meramente pratica – e
non spetterebbe certo al giurista di caldeggiarne l’introduzione – qualora si ritenes-
se, dagli esperti di comunicazione, che il far assurgere i diritti del consumatore alla
dignità di una nuova generazione dei diritti, alla pari dei diritti di libertà del 1789,
dei diritti sociali del 1848 e dei diritti alla tutela dell’ambiente e alla protezione del-
la qualità della vita (e cioè dei diritti di terza generazione di cui si parla nel § n. 2
del saggio), possa comunque servire – soprattutto se adeguatamente pubblicizzata
sui mass media – a far acquisire ai consumatori una maggior consapevolezza del-
l’importanza del concreto esercizio dei loro diritti.
Attualità
ELEONORA RINALDI
(*) Questo scritto è una versione rielaborata ed approfondita del mio contributo alla Rac-
colta di scritti in onore di Alessandro Pace, intitolato « La Corte costituzionale e gli arcana imperii.
Spunti per una riflessione ».
( 1 ) La decisione dei conflitti di attribuzione insorti tra potere esecutivo ed autorità giudi-
ziaria relativamente all’ambito di operatività del segreto di Stato (come limite alla prova penale)
ha già costituito in passato l’occasione di approfondite indagini sui limiti sostanziali di applicazio-
ne dell’istituto, cfr. il fondamentale saggio di A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, Giur.
cost., 1976, 1759, nonché G. Musio, Il segreto politico-militare di fronte alla Corte costituzionale,
in Giur. cost., 1976, 588 ss., entrambi a partire dalla sentenza n. 82/1976. In nota alla sentenza del-
la Corte costituzionale, n. 106/2009, cfr. invece F. Ramacci, Segreto di Stato, salus rei publicae e
« sbarramento » ai p.m., Giur. cost., 2009, 1015 ss.; A. Anzon, Il segreto di Stato ancora volta tra
Presidente del Consiglio, autorità giudiziaria e Corte costituzionale, ivi, 1021 ss.; V. Fanchiotti, Il
gusto (amaro) del segreto, ivi, 1033 ss.
( 2 ) Per tale processo sono rinviati a giudizio trentacinque imputati, tra cui numerosi diri-
142 ELEONORA RINALDI
genti e funzionari del Sismi (ora sostituito dall’AISE), alcuni appartenenti all’Arma dei Carabinie-
ri e svariati funzionari della CIA, cittadini americani, operanti in Italia, cfr. V. Fanchiotti, op.
ult. cit., 1033.
( 3 ) « Una volta risolto positivamente il primo quesito occorreva poi accertare in quale rap-
porto si ponesse l’obbligo di rispetto del segreto con le scansioni del procedimento penale, anche
a tutela dell’integrità del contraddittorio », così G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, in www.as-
sociazionedeicostituzionalisti.it, 3, nota 2.
( 4 ) Così A. Anzon, op. ult. cit., 1023.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 143
( 5 ) A partire dalla distinzione tra tutela degli interessi supremi dello Stato e tutela degli in-
teressi « del Governo e dei partiti che lo sorreggono », sulla base della mai smentita distinzione
elaborata dalla sentenza n. 86/1977, su cui più avanti infra.
( 6 ) Si legge infatti nella sentenza n. 106/2009 che il fatto-reato costituito dal rapimento del-
l’imam di Milano (da cui, è noto, origina la vicenda) non è segretato, sì che, ogni riflessione sul ca-
rattere eversivo o non del sequestro contestato nel processo penale appare a ben vedere superflua.
( 7 ) La nozione, risalente al diritto romano risulta elaborata, nei suoi aspetti essenziali, già in
età regia, cfr. AA.VV., I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 461-462, quando
è definita come secreta imperii od arcana imperii (questo inteso come potere politico supremo) per
essere affiancata in età repubblicana dalla dizione di secreta ad rem publicam pertinentia.
( 8 ) L’assunto risulta confermato a contrario dal carattere elitario del segreto, in genere as-
sociato, in veste di soggetti attivi, ad un’èlite di ceppi etnici, o di gentes, o di autorità uniche o col-
legiali, od ancora di “corpi separati”, appannaggio necessario a non farsi includere nel volgo. Né
è discutibile il nesso tra il verbo divulgare, ricorrente nel lessico del « disvelamento di segreti e di
pubblicazione di documenti », ed il termine latino vulgus notoriamente contrapposto ai civitatis
principes, cfr. R. Orestano, Sulla problematica del segreto nel mondo romano, in AA.VV., Il se-
greto nella realtà giuridica italiana, Padova, 1983, 109. La vicenda è emblematica e conferma gli
elementi strutturali tuttora ascrivibili a tanti segreti: « il potere come instrumentum regni, addirit-
tura dotato di componenti mistiche, la custodia, la corruzione, la punizione. Il secernere sacra pro-
fanis ben prima dell’operazione concettuale volta a distinguere la sfera del divino da quella del-
l’umano, indica il materiale allontanamento dei profani, in molti culti, dal luogo in cui si compio-
no certi riti, definiti per antonomasia arcana o mysteria, cfr. Idem, op. ult. cit., 99-107.
144 ELEONORA RINALDI
tela di un’ampia sfera di segreti pubblici (oltre che del segreto di Stato) co-
stituiscono una vistosa deroga.
Esclusane l’automatica abrogazione in seguito all’entrata in vigore
della Carta repubblicana ( 9 ), la verifica sulla legittimità costituzionale della
disciplina prerepubblicana avviene, tuttavia, in modo graduale e secondo
diverse modalità, in relazione alle diverse ipotesi.
La Costituzione repubblicana non ignora del resto completamente il
principio di segretezza ed anzi espressamente prevede, all’art. 64, comma 2,
Cost., il possibile svolgimento di sedute “segrete” delle due Camere ( 10 ).
La circostanza che mai tale principio sia espressamente menzionato
con riguardo allo svolgimento della funzione amministrativa e giurisdizio-
nale e che invece espressamente lo sia con riguardo all’attività politica delle
Camere costituisce una “stranezza” solo apparente rispetto al principio di
pubblicità dei lavori parlamentari ed un solo apparente paradosso rispetto
all’attività degli organi immediatamente rappresentativi della volontà po-
polare.
La previsione citata può, infatti, essere letta come strumentale a ga-
rantire – attraverso lo svolgimento eventuale di sedute segrete, relative a
dibattiti, indagini conoscitive, udienze, etc. – la partecipazione delle Ca-
mere a decisioni in passato riservate al solo Governo proprio a causa
dell’impossibilità di derogare al principio di pubblicità dei lavori parla-
mentari ( 11 ).
Essa potrà essere utilizzata, pertanto, anche a sostegno del deferimen-
to all’asse Governo/Parlamento del compito di determinare ed attuare l’in-
dirizzo politico in materia di sicurezza interna ed internazionale.
L’esigenza di contemperare l’efficacia del controllo parlamentare sulla
politica governativa con l’ineliminabile necessità di riservatezza in tale cam-
po, è infatti soddisfatta grazie alla previsione dell’art. 64, comma 2, Cost.,
attuata dagli artt. 63, comma 3, Reg. Camera (« Su richiesta del Governo o
di un presidente di gruppo o di 10 deputati l’Assemblea può deliberare di
riunirsi in seduta segreta ») e 57 Reg. Senato (« Le sedute dell’Assemblea
sono pubbliche. Tuttavia, su domanda del Governo o di un decimo dei
componenti del Senato, l’Assemblea può deliberare senza discussione di
( 9 ) Cfr., in via generale, Corte costituzionale sent. n. 1/1956 ed il Dibattito sulla competen-
za della Corte costituzionale in ordine alle norme anteriori alla Costituzione, in Giur. cost., 1956,
261 ss.
( 10 ) « Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Ca-
mere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta ».
( 11 ) In nessun caso, le sedute segrete potranno infatti riguardare il procedimento di ado-
zione di deliberazioni formali od atti legislativi, la cui condizione di efficacia è costituita dalla
pubblicazione dell’atto in Gazzetta Ufficiale, cfr. A. Manzella, Le Camere, art. 64, in Commen-
tario della Costituzione, Bologna-Roma, 1983, 43 ss.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 145
( 17 ) Punto di riferimento “obbligato” per l’individuazione della figura del segreto d’ufficio
è, all’epoca della sentenza, l’art. 15 del t.u. degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3) secondo il quale « l’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio e non può dare a chi
non ne abbia diritto, anche se non si tratti di atti segreti, informazioni o comunicazioni relative a
provvedimenti od operazioni amministrative di qualsiasi natura ed a notizie delle quali sia venuto
a conoscenza a causa del suo ufficio, quando possa derivarne danno per l’amministrazione o per i
terzi nell’ambito delle proprie attribuzioni; l’impiegato preposto ad un ufficio rilascia, a chi ne ab-
bia interesse, copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dalle leggi, dai re-
golamenti e dal capo servizio ». La formulazione piuttosto oscura del riportato articolo determi-
nerà il riconoscimento di un ampio raggio di operatività della nozione di segreto d’ufficio, non ri-
dimensionato neppure dall’interpretazione della norma che ne reprime la violazione (art. 326
c.p.), cfr. G. Arena, Il segreto amministrativo, Padova, 1983-84, II, 218 ss.
( 18 ) L’idea di un’Amministrazione immediatamente collegata alla collettività determina,
all’opposto, « la proiezione funzionale del bene comune nella forma pubblica della procedura »,
cfr., G. Arena, op. ult. loc. cit.
( 19 ) Nel senso di associare agli artt. 1 e 49 Cost., ed all’art. 3, comma 2, Cost., il principio di
conoscibilità dell’azione amministrativa da parte di tutti i consociati, già G. Barone, L’intervento
del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1969; A. Cerri, Imparzialità e indirizzo po-
litico nella pubblica amministrazione, Padova, 1973; P. Barile, Democrazia e segreti, Quad. cost.,
1987, 424 ss. Sulla conoscibilità dell’azione amministrativa, inoltre, A.M. Sandulli, Repubblica e
legalità, in Nord e Sud, 1966, n. 74, 11: « In uno Stato veramente democratico – in uno Stato, cioè,
nel quale governanti e governati veramente si identifichino – la pubblica amministrazione deve
essere una casa di vetro, nella quale tutti debbono poter guardare, poiché chi opera in essa lo fa a
spese di tutti, per conto di tutti e nell’interesse di tutti: onde deve operare (e la Costituzione lo
dice espressamente) in modo efficiente ed imparziale ». La continua vigilanza sull’operato del-
l’amministrazione, garanzia della trasparenza dell’azione amministrativa è infatti strumentale a fa-
re in modo che i pubblici funzionari non prendano in considerazione interessi “di parte”, non ga-
rantiti dalla legge, così da ledere il canone costituzionale dell’imparzialità (così già C. Esposito,
Riforma dell’amministrazione e diritti costituzionali dei cittadini, La Costituzione italiana. Saggi,
Padova 1954, 257 ss.).
( 20 ) Nella disciplina preesistente alla Costituzione, la rivelazione del segreto d’ufficio è in-
fatti considerata penalmente illecita di per sé, anche ove non produca nocumento all’Amministra-
148 ELEONORA RINALDI
zione od a terzi (mentre il verificarsi del danno è ritenuto presupposto per l’applicazione di san-
zioni più gravi) ed è associata al generico dovere di fedeltà dei funzionari all’ordinamento speciale
“pubblica amministrazione”, oltre che alla necessità di astenersi dalla rivelazione di notizie che
possa, secondo autonome valutazioni degli stessi funzionari, recare nocumento agli interessi di
quest’ultima. Addirittura, l’indeterminatezza della nozione induce alcuni autori – Riccio S., Abu-
so d’ufficio, in Noviss. dig. it., I, 1, Torino, 1957, 116 – e la prevalente giurisprudenza, a giustifi-
carne l’obbligo, tanto se previsto da norme legislative e/o regolamentari, quanto se scaturente da
istruzioni di servizio o prassi amministrative e, addirittura, laddove manchino anche queste ulti-
me, in virtù del generale disposto dell’art. 5 del d.P.R. n. 3/1957, sullo statuto degli impiegati ci-
vili dello Stato, cfr. M. Raveraira, Segreto nel diritto costituzionale, Dig. disc. pubbl., Torino,
1999, 29. I documenti amministrativi divengono pertanto consultabili solo dopo essere stati ver-
sati negli archivi di Stato, 40 anni dopo l’esaurimento degli affari cui si riferiscono, cfr. A.M. San-
dulli, Documento, Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 615. Invero, la tesi suddetta, esprimente l’incon-
dizionata prevalenza di un’idea di potestà pubblica fondata esclusivamente sull’autorità persona-
le di chi detiene il potere, piuttosto che sul valore che a questa riconosce un ordinamento, già an-
teriormente all’entrata in vigore della legislazione degli anni Novanta sul diritto di accesso agli atti
amministrativi era apparsa ad alcuni autori eccessiva, cfr. A.Anzon, Segreto di Stato e Costituzio-
ne, Giur. cost., 1976, 1761 e, nel senso di ancorare la pretesa del singolo di conoscere le informa-
zioni che lo riguardano, ove detenute da uffici pubblici, al diritto alla privacy come diritto all’in-
tangibilità della vita privata, cfr. almeno S. Rodotà, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bo-
logna, 1973, 71 ss.; Id., Progresso tecnico e problemi istituzionali nella gestione delle informazioni,
AA.VV., Privacy e banche dati, Bologna, 1981, 30 ss.; M. Patrono, Privacy e vita privata (dir.
pen.), Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, 560 ss.
( 21 ) Al fine di proteggere determinati interessi costituzionali, essa dovrà pertanto rivelarsi in-
dispensabile a realizzare le finalità dell’azione pubblica nel caso di specie, cfr. A. Cerri, Imparzia-
lità e indirizzo politico, cit., 216 ss.; C. Chiola, L’informazione nella Costituzione, Padova, 1973, 105
ss.; A. Loiodice, Contributo allo studio sulla libertà di informazione, Napoli, 1969, 278 ss.; P. Co-
stanzo, Informazione (principi costituzionali della), Dig. disc. pubbl., VIII, Torino, 1992 e, riassun-
tivamente, A. Anzon, Segreto, VI, Segreto d’ufficio. Dir. amm., Enc. giur., Roma, 1996, 1 ss.
( 22 ) Sulla regola della discrezionalità amministrativa nel concedere conoscenza, copia o at-
testazione di documenti per i quali non esiste un dovere in tale senso, cfr. A.M. Sandulli, Docu-
mento, (dir. amm.), Enc. dir., XIII, Milano 1964, 619. Alla sentenza sul “segreto ferroviario”, oc-
corre aggiungere anche le sentenze nn. 18/1966 e 18/1981. Anche queste, nel quadro di una tra-
dizione complessivamente ispirata alla non pubblicità dei documenti in possesso dei pubblici uf-
fici, chiariscono infatti l’esigenza di controllabilità giudiziale del potere teso ad accordare/negare
la conoscibilità di tali documenti.
( 23 ) L’orientamento della giurisprudenza penale sul punto è, invero, oscillante (cfr. A. An-
zon, Segreto, cit., 1777-1781). A volte prevale infatti l’orientamento per cui, tanto i provvedimen-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 149
tanto dall’operatività della norma, in via di eccezione (art. 24 l. cit.), gli « at-
ti coperti da segreto di Stato o da altri segreti altrimenti previsti dall’ordi-
namento, gli atti afferenti alla difesa nazionale, alle relazioni internazionali
alla politica monetaria e valutaria, alla prevenzione e repressione della cri-
minalità » ( 27 ).
La concreta specificazione di tali interessi è poi affidata dalla legge
ad un regolamento governativo (art. 24, comma 6) e, sulla base di que-
sto, a regolamenti delle singole amministrazioni ( 28 ). Malgrado i dubbi di
parte della dottrina costituzionalistica in ordine alla legalità sostanziale
dei regolamenti previsti dalla legge in discorso, l’approvazione di que-
st’ultima costituisce un significativo progresso sulla strada dell’oggettiva-
zione/delimitazione del segreto amministrativo ( 29 ) immediatamente ga-
rantita dal rinvio della legge alle disposizioni limitative del diritto di ac-
cesso ( 30 ): questo può essere, infatti, riferito solo alle informazioni « sui
procedimenti e (alle) notizie apprese a causa delle... funzioni (del p.u.) le
quali, in base ad apposite disposizioni di legge o di regolamento governa-
conosce così « a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti,
il diritto di accesso ai documenti amministrativi ». Non è riconosciuto a “chiunque” il diritto
di accedere ai documenti amministrativi, ma neppure l’accesso può dirsi limitato ai soli sog-
getti interessati a partecipare al procedimento. Accanto a tali soggetti, infatti, la cerchia dei le-
gittimati all’esercizio del diritto di accesso include infatti tutti coloro che, al fine di tutelare
« situazioni giuridicamente rilevanti » possano vantare un interesse non di mero fatto, ma ri-
conosciuto e tutelato dall’ordinamento, cfr. da ultimo almeno V. Cerulli - Irelli, Lineamenti
di diritto amministrativo, Torino, 2008, 246 ss.; e (a cura di) F.G. Scoca, Diritto amministra-
tivo, Torino, 2008, 243 ss.
( 27 ) Già la Corte costituzionale nelle sentt. nn. 114/1968 e 175/1970 sul “segreto di poli-
zia” aveva fatto riferimento a tali interessi come giustificativi di limitazioni nella conoscibilità di
dati atti e documenti. Sulle deroghe al generale principio di pubblicità, in nome della sicurezza
pubblica (artt. 13, 16, 17 e 25 Cost.) che « ben può giustificare limiti alla circolazione delle infor-
mazioni in possesso della pubblica amministrazione e sulla sua attività, quando siano indispensa-
bili all’espletamento delle funzioni di prevenzione e repressione della criminalità, ... di disciplina
e controllo del credito e di tutela del risparmio (art. 47 Cost.) », cfr. A. Anzon, Segreto, cit., 2.
( 28 ) Dubbi sull’osservanza del principio di legalità appaiono tuttavia giustificati tanto dalla
circostanza che l’esercizio della potestà regolamentare sia delimitato solo attraverso l’indicazione
degli interessi da perseguire, quanto dal fatto che l’indicazione dei medesimi, oltre che ampia, sia
tra l’altro contraddittoria, visto che alcuni di essi sono palesemente riconducibili ad interessi pro-
tetti attraverso l’apposizione del segreto di Stato (l. n. 801/1977), cfr. G. Tarantini, Pubblicità
degli atti e diritto di accesso, in AA.VV., Procedimento amministrativo e diritto di accesso (legge 7
agosto 1990 n. 241), Napoli, 1991, 54.
( 29 ) Cfr. M. Manetti, in A. Pace - M. Manenti, Art. 21. La libertà di manifestazione del
proprio pensiero, Commentario della Costituzione, cit., 194-195.
( 30 ) Non è semplice, invero, identificare “le altre situazioni giuridicamente rilevanti” (oltre
a quelle che trovano espressione nella partecipazione al procedimento), a tutela delle quali possa
essere riconosciuta la titolarità del diritto di accesso. « Esemplificando, potrà trattarsi di interessi
collegati all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di cronaca, della li-
bertà di ricerca scientifica, di protezione della privacy etc. », cfr. A. Anzon, Segreto, cit., 4.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 151
atti o fatti coperti da segreto di Stato, la rivelazione dei medesimi, è pertanto del tutto simile alla
violazione del segreto d’ufficio, salva evidentemente la maggiore gravità del reato e della correla-
tiva sanzione (oltre alla possibilità di sottrarsi al dovere di testimonianza).
( 35 ) Gli artt. 256-263 c.p. prevedono così i reati di procacciamento, spionaggio e rivelazione
e puniscono, quale oggetto della condotta criminosa, « chiunque si procura » (a scopo di spionag-
gio o non) o « rivela » (a scopo di spionaggio o non) le notizie « che nell’interesse della sicurezza
dello Stato, o comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale dello Stato, debbono ri-
manere segrete » (art. 256, comma 1, c.p.), incriminando, più in generale, gli stessi comportamen-
ti, se aventi ad oggetto notizie « contenute in atti del governo da esso non pubblicati per ragioni di
ordine politico, interno o internazionale », in quanto segrete nell’interesse politico dello Stato.
Rientrano nell’ambito di operatività della tutela penale comune di tali segreti, anche il pro-
cacciamento, lo spionaggio e la rivelazione di « notizie di cui la competente autorità ha vietato la
divulgazione » (artt. 256, comma 3; 258 e 262): trattasi delle c.d. notizie riservate, prese in consi-
derazione anche dal già citato R.D. n. 1161/1941 – che collega il divieto di divulgazione (art. 2) a
tutte le notizie comunque « riferibili a materiale o avvenimenti interessanti l’efficienza bellica del-
lo Stato, ovvero interessanti le operazioni militari in progetto o in atto » ed alle notizie « aventi co-
munque interesse militare » (comma 1) – e dai codici penali militari, di pace (art. 93) e di guerra
(art. 72).
( 36 ) La nozione di segreto militare è precisata dai codici militari e dal R.D. n. 1161/1941
cui è allegato un minuzioso elenco di notizie da considerare riservate, cfr. P. Pisa, Le premesse so-
stanziali della normativa sul segreto di Stato, in AA.VV., Segreto di Stato e giustizia penale, (a cura
di M. Chiavario), Bologna, 1978, 25 ss. Le materie allegate sono: l’ordinamento e la dislocazione
delle forse armate, sia in pace, sia in guerra; la loro efficienza, il loro impiego, la loro preparazio-
ne; i mezzi di comunicazione e di trasporto; le loro dotazioni, scorte e commesse di materiali: le
fortificazioni, basi ed impianti; etc. Ed è stato, a tale riguardo, giustamente rilevato, che il « divie-
to di divulgazione concernente le notizie relative agli oggetti indicati appaia fin troppo chiara-
mente collegato ad esigenze tipiche della seconda guerra mondiale e comunque rispecchi una co-
noscenza e una preparazione tecnico-scientifico-militare ormai radicalmente superata dagli avve-
nimenti e dalle nuove scoperte tecnologiche applicate agli armamenti, che hanno rivoluzionato la
conduzione delle operazioni belliche, mentre l’impiego dei moderni strumenti di spionaggio ha
reso del tutto illusoria la possibilità di tenere celate certe notizie », cfr. A. Anzon, Segreto di Stato
e Cost., cit., 1765. Al Regio decreto occorre aggiungere gli artt. 86 ss., c.p. militare di pace, e 59
ss., c.p. militare di guerra. I codici penali militari prevedono, infatti, ipotesi di reato analoghe ri-
spetto a quelle del codice penale comune, distinguendo lo spionaggio di notizie segrete da quello
di notizie riservate. Il c.p.m. di guerra, oltre a prevedere la tutela delle notizie riguardanti lo stato
o la situazione delle forze armate, « i piani di operazioni o spedizioni, i segnali di qualunque na-
tura, i luoghi di rifornimento, lo stato delle provvigioni in armi, munizioni, combustibili, viveri o
denari », estende poi la previsione normativa, a tutte le notizie che possono compromettere la si-
curezza di posizioni, mezzi, stabilimenti o posti militari o, comunque, la sicurezza delle forze ar-
mate dello Stato (artt. 59-66). Il c.p.m. pace, in riferimento ai reati di rivelazione e procacciamen-
to di segreti militari contempla infine le « notizie concernenti le forze, la preparazione, la difesa
militare dello Stato o che devono rimanere segrete ». Sulla disciplina riportata, cfr. A. Anzon, op.
ult. cit., 1763 e G. Scandurra, Spionaggio militare e rivelazione di segreti militari, Noviss. dig. it.,
XVIII 1971, 4 ss.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 153
( 37 ) Ed invero, mentre sul piano oggettivo, gli artt. 342 e 352 c.p. presuppongono il con-
cetto penalistico di segreto ricavabile dal combinato disposto degli artt. 256, commi 1 e 2, 257,
comma 1, e 261, comma 1, c.p.p., sul piano soggettivo la “corrispondenza” non risulta piena, es-
sendo le norme processuali incentrate sul divieto di interrogare i soli pubblici ufficiali, pubblici
impiegati ed incaricati di pubblico servizio « sui segreti politici o militari dello Stato, o su... altre
notizie che palesate possano nuocere alla sicurezza dello Stato o all’interesse politico, interno o in-
ternazionale dello Stato medesimo » (così l’art. 352 c.p.p., ora art. 202 c.p.p., relativo al dovere
gravante su tali soggetti di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato), nonché sul-
l’esonero degli stessi dal dovere di esibizione di documenti o cose (se richiesti dall’autorità giudi-
ziaria), previa dichiarazione « per iscritto, anche senza motivazione, che si tratta di segreto politi-
co o militare » (art. 342, comma 1, c.p.p., ora 256 c.p.p. sui limiti al dovere di esibizione di atti e
documenti, laddove l’autorità giudiziaria ne faccia richiesta). E così, se è vero che, nella massima
parte dei casi, sono questi soggetti i depositari dei segreti di Stato che il legislatore intende sot-
trarre alla pubblicità nel processo, non può escludersi che anche persone prive delle qualifiche
suddette vengano a conoscenza dei medesimi e che, in tal caso, le garanzie processuali previste
dagli artt. 342 e 352 c.p.p. (v.t.) risultino non invocabili. A tale disparità deve aggiungersi la (ori-
ginariamente) diversa disciplina protettiva del segreto all’interno del processo. Ed infatti, mentre
l’artt. 342 c.p.p. (ora 256 c.p.p.) consente (recte: consentiva) di sottrarsi all’adempimento del do-
vere di esibizione documentale previa opposizione del segreto politico-militare, (oggi la dizione
originaria è sostituita dalla comprensiva nozione di segreto di Stato) senza altre specificazioni,
l’esame testimoniale è vietato, dall’artt. 352 c.p.p., non solo in ordine a tale segreto ma, più in ge-
nerale, con riguardo a tutte le « altre notizie che palesate possono nuocere alla sicurezza dello Sta-
to o all’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato medesimo » (attualmente è l’art.
202 c.p.p. a disciplinare l’obbligo di astenersi dal deporre a carico di pubblici ufficiali, pubblici
impiegati ed incaricati di pubblico servizio sui fatti coperti da « segreto di Stato »).
( 38 ) La circostanza che la tutela processuale del segreto sia estesa, anche se solo con riguar-
do all’istituto della testimonianza, anche ad altre notizie che, non riconducibili alla categoria del
segreto, siano tali da nuocere comunque, se palesate, « alla sicurezza dello Stato o all’interesse po-
litico, interno o internazionale dello Stato medesimo » (art. 352, comma 2, c.p.p.) induce infine a
“sospettare” che tale formula possa essere riferita anche alle notizie « di cui l’autorità competente
ha vietato la divulgazione », notizie che, divenute oggetto di autonoma tutela da parte del legisla-
tore penale, negli artt. 256, comma 3, 258 e 262 c.p., – verrebbero in tal modo a beneficiare del-
l’allargamento del privilegio processuale previsto dagli artt. 342 e 352 c.p.p. 1930, oltre i limiti del
segreto di Stato in senso stretto, ponendo in termini ancor più spinosi la questione dei controlli
sulla legittimità delle dichiarazioni di opposizione (sull’apparente continuità tra disciplina libera-
le contenuta nel codice penale del 1889 – e disciplina “fascista” – codice penale del 1930 – del se-
greto di Stato, cfr. V. Grevi, Segreto di Stato e processo penale: evoluzione normativa e questioni
ancora aperte, in AA.VV. (a cura di M. Chiavario), Segreto di Stato e giustizia penale, cit., 42). Sul
carattere soggettivo ascrivibile sia alle notizie segrete che a quelle riservate, cfr. A. Anzon, Segreto
di Stato e Costituzione, cit., 1755 ss., specie 1768-1769: « ... la nozione appare caratterizzata in
senso nettamente soggettivo e non può in alcun modo ancorarsi a parametri oggettivi... la qualifi-
ca di segretezza può derivare ad una notizia esclusivamente da una scelta dell’autorità competente
(espressa anche in maniera tacita) e non già dalla natura della notizia stessa », cui adde P. Pisa, Il
segreto di Stato, cit., 93. Non è infatti difficile individuare nella categoria della notizie riservate (le
154 ELEONORA RINALDI
mento che, anche in fase di opposizione del segreto di Stato al giudice pe-
nale con effetti impeditivi dell’accertamento di un reato, la distinzione tra
segreto politico e segreto militare rimane meramente formale ( 39 ) e tutto
quanto non risulta riconducibile alla tutela della sicurezza dello Stato, at-
traverso la nozione di segreto militare, è tutelabile attraverso il richiamo –
fatto dal teste o dal soggetto cui si chiede l’esibizione di un documento – al-
l’interesse politico dello Stato.
I contenuti del c.d. interesse politico rimangono, anzi, talmente indefi-
niti da rendere per alcuni versi superflua la stessa distinzione tra notizie co-
perte dal segreto di Stato (in senso stretto) e notizie “riservate” ( 40 ) (di cui
sia stata vietata cioè l’ulteriore divulgazione) costituenti, secondo parte del-
la dottrina, « una sfera di segreti costruiti secondo parametri soggettivi sot-
tratti in larga misura al controllo giurisdizionale » ( 41 ).
Premesse ideologiche evidentemente diverse rispetto a quelle ispira-
trici della Carta repubblicana contraddistinguono dunque una disciplina
che affida la delimitazione (oggettiva e soggettiva) dell’ambito di operativi-
tà del segreto politico-militare esclusivamente all’amministrazione compe-
« altre notizie ») la creazione di una sfera di segreti ispirata ad un criterio meramente soggettivo,
onde consentire alla Pubblica Amministrazione di sottrarre determinate notizie ad ulteriore cir-
colazione, previa valutazione (essenzialmente insindacabile) della pericolosità della divulgazione
delle stesse per dati interessi statuali.
( 39 ) Come nel codice sostanziale, del tutto imprecisato rimane il « parametro impalpabi-
le » dell’interesse politico interno o internazionale dello Stato (l’espressione virgolettata è di P.
Pisa, Le premesse sostanziali della normativa sul segreto di Stato, cit., 26).
( 40 ) La distinzione tra i due tipi di notizia rimane, tuttavia, rilevante in quanto le norme in-
criminatrici del procacciamento o della rivelazione di notizie riservate “semplificano” l’accerta-
mento giurisdizionale in ordine alla natura segreta della notizia ed in ordine al dolo dell’imputato,
non dovendosi verificare che il presunto reo fosse a conoscenza che la notizia era “segreta” a tu-
tela della sicurezza o di altri interessi politici dello Stato, così P. Pisa, op. ult. cit., 28, richiamando
la sentenza della Corte d’Assise di Roma, sul caso Ghiotto incriminato per aver rivelato notizie
“riservate”, cfr. Ass. Roma, 11 giugno 1975, Ghiotto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1975, 1370 ss.
( 41 ) P. Pisa, op. ult. cit., 28. Tanto l’art. 342 c.p.p. che l’art. 352 c.p.p. contemplano, infatti,
l’eventualità che l’a.g. procedente non ritenga fondate le dichiarazioni di opposizione del segreto:
in tal caso essa è tenuta a farne rapporto al procuratore generale presso la Corte d’Appello e que-
st’ultimo ad informare il Ministro della Giustizia, preposto a decidere sull’autorizzazione a pro-
cedere per « rifiuto di testimonianza, falsità o reticenza », laddove ritenga infondata l’opposizione
del segreto (così l’art. 352, comma 3, c.p.p. letto in rapporto all’art. 372 c.p. relativo alle descritte
ipotesi di reato). Sancito (al comma 2), il divieto di interrogare (a pena di nullità) i pubblici uffi-
ciali, i pubblici impiegati e gli incaricati di pubblico servizio « sui segreti politici o militari dello
Stato, o sul altre notizie che palesate possono nuocere alla sicurezza dello Stato, o all’interesse po-
litico, interno o internazionale dello Stato medesimo », l’art. 352 prevede, a propria volta (comma
3) che « se l’autorità procedente non ritiene fondata la dichiarazione fatta da alcuna delle predette
persone, ne fa rapporto al procuratore generale presso la Corte d’appello, che ne informa il mini-
stro della giustizia », aggiungendo altresì che non si procede in tal caso per il reato relativo al ri-
fiuto di testimonianza, falsità o reticenza (art. 372 c.p.) in assenza di autorizzazione del ministro
della giustizia.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 155
gislatore ordinario è il qualificato interprete – debba condurre all’ampliamento delle fonti di in-
formazione » (53).
( 46 ) Cfr. da ultimo, R.A. Dahl, Sull’uguaglianza politica (2006), tr. it. Roma-Bari 2007,
specie 11 e, sull’esistenza di una libertà “istituzionale” dell’informazione come limite al segreto,
nella veste di principio generale dell’ordinamento, ancora di recente A. Pace, L’apposizione del
segreto di Stato nei principi costituzionali e nella legge n. 124 del 2007, Giur. cost., 2008, 4051.
( 47 ) Cfr. G. Pitruzzella, op. ult. cit., 2.
( 48 ) Cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, pt. II, Padova, 1992, 383 ss.,
428.
( 49 ) Così G. Pitruzzella, op. cit., 2: « Sembra comunque possibile individuare un princi-
pio generale del diritto costituzionale che, coerentemente con l’ispirazione democratica dell’ordi-
namento, indirizza lo sviluppo di quest’ultimo verso la massima apertura delle fonti di informa-
zione all’attività dei cittadini, sì da realizzare la più ampia visibilità del potere pubblico ».
( 50 ) In seguito al deposito delle ordinanze del Pretore di Verona e del Giudice Istruttore
del Tribunale di Ravenna, che censurano variamente i divieti probatori nel processo penale aven-
te ad oggetto l’accertamento di fatti (e connesse responsabilità) collegati alla materia del segreto
politico-amministrativo. Si registrano parallelamente in questo periodo i contributi dottrinari più
significativi in ordine a tale profilo, cfr. almeno, P. Pisa, Osservazioni sulla tutela penale dei segreti
di Stato, in Arch. giur. Serafini, 1975, fasc. 2, 131 ss., ed Idem, La tutela penale del segreto di Stato
dalle codificazioni preunitarie al codice Rocco, in Annali Genova, 1975; Id., Il segreto di Stato, Mi-
lano, 1977; A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, cit.; G. Musio, Il segreto..., cit. Con riguar-
do alla sentenza n. 82/1976 riferisce di « un certo disagio – da parte dei giudici costituzionali –
nell’affrontare lo spinoso problema e (dei) prodromi di un atteggiamento assai cauto e tendenzial-
mente legittimante in larga misura il segreto di Stato », P. Pisa, Il segreto di Stato di fronte alla
Corte costituzionale: luci ed ombre in attesa della riforma, Giur. cost., 1977, 1206 ss., 1207.
( 51 ) Secondo tali disposizioni i pubblici ufficiali, impiegati e incaricati di pubblico servizio
possono opporsi alla richiesta di esibizione, avanzata dall’autorità giudiziaria, di atti, documenti o
cose esistenti presso di loro per ragioni di ufficio, solo che dichiarino, anche senza motivazione,
trattarsi di segreto politico o militare (art. 342, comma 1, c.p.p.). I medesimi soggetti poi non de-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 157
vono a pena di nullità, essere interrogati sui segreti politici o militari dello Stato o su altre notizie
che, palesate, possano nuocere alla sicurezza dello Stato o su altre notizie che, palesate, possano
nuocere alla sicurezza dello Stato o all’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato me-
desimo (art. 352, comma 2). In entrambi i casi, se l’autorità procedente non ritiene fondata la di-
chiarazione che oppone il segreto, non può fare altro che farne rapporto al Procuratore generale
presso la Corte d’Appello che, a sua volta, ne informa il Ministro di Grazia e Giustizia competen-
te al rilascio dell’autorizzazione a procedere contro i soggetti menzionati per il reato di testimo-
nianza falsa o reticente ex art. 372 c.p.
( 52 ) Critico sulle argomentazioni a partire dalle quali la Corte dichiara l’inammissibilità
delle censure in discorso, perché fondate su « considerazioni troppo limitate nel loro tecnicismo a
fronte di un quesito, così fondamentale, da non meritare un esame fermo all’esteriorità del fatto »,
G.Musio, Il segreto, cit., 591. Di occasione “perduta” parla anche A. Anzon, Segreto di Stato e
Costituzione, cit., 1755 ss., 1757.
( 53 ) « ... l’asserita illegittimità costituzionale dello stesso art. 342, comma 3, nella parte in
cui, attraverso il rinvio all’ultimo comma dell’art. 352, subordina il perseguimento dell’azione pe-
nale alla autorizzazione a procedere del Ministro di Grazia e Giustizia... è l’unica questione diret-
tamente rilevante nel giudizio “a quo” »; secondo la Corte costituzionale (sent. n. 82/1976), l’in-
fondatezza delle censure sollevate con riguardo alla normativa citata è, oltre tutto, dichiarata ri-
spetto all’art. 3 Cost.
158 ELEONORA RINALDI
( 54 ) Con specifico riguardo ai diritti dell’imputato nel processo, rimane invece non chiarita
la questione della compatibilità tra l’art. 24 Cost. e gli artt. 342 e 352 c.p.p., vista la forte riduzione
delle possibilità per l’imputato di difendersi, adducendo prove a discarico, laddove queste non ri-
sultino acquisibili nel processo in seguito all’opposizione del segreto.
( 55 ) Già anteriormente al primo intervento della Corte costituzionale sulla tutela proces-
suale del segreto, è P. Pisa, Il segreto di Stato. Profili penali, Milano, 1977, 175-177, a suggerire
una reinterpretazione “conforme a Costituzione” delle norme relative, riconoscendo tuttavia « il
limite di fondo di un’interpretazione adeguatrice. Se si rimane sul piano della legislazione ordina-
ria vigente non è possibile negare il sostanziale affidamento all’esecutivo della valutazione in or-
dine alla sussistenza o meno del segreto di Stato, invocato per impedire determinate acquisizioni
probatorie in un processo penale; e in maniera corrispondente non può disconoscersi la carenza
di effettivi strumenti di controllo di detta scelta da parte dell’autorità giudiziaria » (176).
( 56 ) A partire dal procedimento penale pendente a carico di Edgardo Sogno Rata del Val-
lino, dinanzi al Giudice istruttore di Torino (cui si aggiungerà il Giudice istruttore presso il Tri-
bunale di Roma).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 159
( 61 ) Tale argomentazione era già stata seguita dalla giurisprudenza costituzionale incentra-
ta sul parametro degli interessi protetti, onde il segreto risulta legittimo purché correlato alla ne-
cessità di tutelare beni diversi ma garantiti in Costituzione. Della stessa è dato riscontrare l’utiliz-
zo, a sostegno di una declaratoria di illegittimità costituzionale, nella sentenza n. 53/1966 che, sul-
la base di tali premesse, annulla la norma sul « segreto ferroviario ».
( 62 ) Non espressamente dichiarata, ma implicitamente sottesa all’argomentazione utilizza-
ta, l’esigenza che il bilanciamento intervenuto, sia sottoposto ad un giudizio di proporzionalità in
senso stretto, all’esito del quale si verifichi che lo strumento del segreto è indispensabile a garan-
tire la protezione degli interessi prevalenti.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 161
( 63 ) Così P. Pisa, voce Segreto, II) Tutela penale del segreto, Enc. giur., Roma, 1992,
2.
( 64 ) In quanto volto a tutelare « i soli interessi istituzionali (che) devono attenere allo Sta-
to-comunità ».
( 65 ) Par. 5, del Cons. dir.
162 ELEONORA RINALDI
labile » (quindi del tutto irresponsabile) ( 66 ) si affida alla sede del conflitto
l’insopprimibile funzione di garanzia della legalità costituzionale del segre-
to di Stato.
( 66 ) Sul punto, cfr. P. Pisa, Il segreto di Stato di fronte alla Corte costituzionale. Luci ed om-
bre in attesa della « riforma », cit., 1206 ss.
( 67 ) Sulle origini della nozione, cfr. U. Rossi - Merighi, Segreto di Stato tra politica e am-
ministrazione, Roma, 1994, 31 ss., che riconduce le origini del superamento della duplice nozio-
ne al « processo De Lorenzo-L’Espresso », originato dalla querela per diffamazione intentata da
De Lorenzo (ex comandante generale dei Carabinieri) avverso il settimanale, per una serie di ar-
ticoli pubblicati in cui veniva accusato di partecipazione alla preparazione di un colpo di Stato
nell’estate del 1964, nonché all’inchiesta parlamentare, pure correlata agli eventi del giugno-
luglio 1964, la cui legge istitutiva assegnava « alla Commissione d’inchiesta (c.d. sul Sifar) il
compito di formulare proposte in relazione alla materia del segreto, ai fini di una ordinata ed
efficiente difesa della sicurezza esterna ed interna conforme all’ordinamento democratico dello
Stato » (34).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 163
( 68 ) In senso analogo a quanto qui sostenuto, cfr. G. Pitruzzella, Segreto. I) Profili costi-
tuzionali, cit., specie 5-6; P. Pisa, Segreto. II) Tutela penale del segreto, ivi, 2-3, che a tal proposito
rileva « il rischio di trasferimento a livello di segreto di Stato di meri segreti d’ufficio »; cui adde,
M. Raveraira, Segreto nel diritto costituzionale, cit., 18 ss., specie 28.
( 69 ) La norma neppure circoscrive l’invocabilità del segreto alle ipotesi di tutela delle buo-
ne relazioni con altri Stati, sì che tale settore di segreti veramente presenta eccessive potenzialità
espansive; per fare un esempio, « si macchierà quindi del delitto di rivelazione di segreti di Stato,
il giornalista che pubblicherà notizie in grado di compromettere ulteriormente i nostri rapporti
col governo cileno di Pinochet », così P. Pisa, op. ult. cit., 37.
( 70 ) Che le ipotesi di segretazione possano non riguardare la sola sicurezza dello Stato –
sia interna che esterna – non appare, alla luce dei lavori preparatori del codice penale del
1930, seriamente contestabile. La Relazione ministeriale al codice tuttora vigente chiarisce in-
fatti che « il progetto non limita la portata delle sue disposizioni ai soli segreti politici e mili-
tari inerenti alla sicurezza dello Stato... ma la estende a tutte le notizie che comunque, nell’in-
teresse politico, interno o internazionale, dello Stato devono rimanere segrete », includendo,
tra i possibili oggetti, anche « l’interesse (dello Stato) alla solidità delle sue finanze » al fine di
raggiungere « ... le mete più fulgide di prestigio politico o verso un assetto sempre più propi-
zio della pubblica economia », cfr. Relazione II, n. 260, 34, testualmente riportata da A. An-
zon, Segreto, cit., 1766.
164 ELEONORA RINALDI
zioni con gli altri Stati » – che, pur di rilievo costituzionale, sembrano carat-
terizzati in senso amministrativo e non politico ( 71 ) –, senza chiarire per al-
tro aspetto la sorte delle notizie riservate.
Eppure, il riferimento espresso, contenuto nella sentenza n. 86/1977
(di poco anteriore all’entrata in vigore della legge), agli artt. 52 e 126 Cost.
aveva offerto, con riguardo all’esigenza di delimitazione dell’ambito di ope-
ratività del medesimo, precise indicazioni: l’associazione tra il dovere di di-
fesa della Patria di cui all’art. 52 Cost. ed il concetto di « sicurezza naziona-
le » (contenuto nell’art. 126) da una parte ed il segreto di Stato dall’altra,
suggeriva, infatti, di riferire il dovere di cui all’articolo 52 alla tutela dello
Stato da aggressioni “esterne” (provenienti dall’estero) ( 72 ), sì da legittima-
re soltanto quel settore del segreto (prima segreto politico-militare) collega-
to alla tutela della sicurezza esterna dello Stato italiano, strettamente stru-
mentale a garantire l’integrità/funzionalità dell’apparato di difesa dello Sta-
to verso nemici esterni ( 73 ), mentre gli aspetti della « sicurezza interna » –,
in particolare l’interesse alla saldezza complessiva delle istituzioni repubbli-
cane, in quanto immanente al nostro ordinamento e correlato alla tutela
delle istituzioni repubblicane, oltre che alla protezione dell’inviolabilità
dell’ordinamento democratico – potevano agevolmente essere ricondotti
all’art. 1 Cost., pure richiamato in sentenza ( 74 ).
( 71 ) Cfr. M. Manetti, op. ult. cit., 193. Rimane tuttora assegnato al giudice il compito di
individuare le condotte di rivelazione, graduandone, a fini di irrogazione della sanzione, la gravi-
tà. Né la conclusione suddetta appare suscettibile di ripensamento, alla luce dell’art. 24 della l. n.
241/1990 che, fissando i limiti del diritto di accesso, così individua gli interessi da salvaguardare:
« a) la sicurezza, la difesa nazionale, e le relazioni internazionali; b) la politica economica e valu-
taria; c) l’ordine pubblico e la prevenzione e la repressione della criminalità; d) la riservatezza di
terzi, persone, gruppi e imprese »; la giurisprudenza continua infatti ad applicare la sanzione pe-
nale a chi contravvenga al divieto di divulgazione solo se si ritengano concretamente lesi gli inte-
ressi previsti dalla l. n. 801/1977 o solo laddove ritenga ravvisabile un concreto pericolo di lesione
per tali interessi, sindacando, per questi aspetti, la legittimità degli atti impositivi del segreto, così
Cass., I Sez. penale, 29 gennaio 2002, n. 3348, in Cass. Pen., 2002, 2694 ss. Sulla genericità della l.
n. 801/1977 in quanto non elenca le categorie di notizie segretabili, cfr. già P. Barile, Democrazia
e segreto, Quad. cost., 1987, 38.
( 72 ) Cfr. Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967, 237 ss.;
Carbone, I doveri pubblici individuali nella Costituzione, Milano, 1968, 123; C. Chiola, L’infor-
mazione nella Costituzione, Padova, 1973, 120.
( 73 ) Potendosi al massimo associare, ai profili suddetti, un aspetto peculiare del segreto di-
plomatico, onde garantire la segretezza di trattative e contatti tra Stati aderenti ad una medesima
organizzazione (per esempio la NATO) per predisporre sistemi di difesa multilaterali. Dovrebbe-
ro, pertanto, rimanere fuori dall’ambito di operatività di siffatta sfera di segretezza « quegli altri
segreti ispirati all’esigenza di tutelare non già la sicurezza (intesa come sicurezza esterna) dello
Stato, bensì altri interessi politici del medesimo », così P. Pisa, Il segreto, cit., 216.
( 74 ) Tale chiave di lettura risulta confermata dalla precisazione (contenuta in sentenza) che
il concetto di difesa della Patria (nel significato specifico prima indicato della « difesa militare »)
va posto in relazione « con altre norme della stessa Costituzione che fissano elementi e momenti
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 165
imprescindibili del nostro Stato: in particolare... la indipendenza nazionale, i principi della unità e
della indivisibilità dello Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri dello Stato stesso nella
formula di Repubblica democratica (art. 1) », sì che, tutte le fattispecie di opposizione del segreto
di Stato dovrebbero poter essere ricondotte a tale orbita. Già con riguardo alle norme del codice
penale (artt. 270-274 c.p.) del resto si sottolineava, cfr. A. Anzon, Il segreto di Stato, cit., come
« il segreto posto a garanzia della sicurezza esterna non si esauris(se) nel segreto militare, posto
che si possono ipotizzare categorie di notizie (si è fatto l’esempio di quelle relative alla utilizzazio-
ne dell’energia atomica oppure a contatti diplomatici) le quali, pur ricollegandosi alla sicurezza
medesima, possono non rientrare nella sfera di attribuzioni istituzionalmente affidata all’autorità
militare. È l’esigenza di evitare le conseguenze assurde, correlate ad un’eccessiva tipizzazione del-
le ipotesi di legittima segretazione a determinare una decisa opzione in favore dell’affidamento al-
l’interprete, in fase applicativa, della selezione equilibratrice degli interessi in gioco, malgrado
detta selezione risultasse di competenza del legislatore, mentre la nozione di segretezza interna
appare riferibile alla saldezza complessiva del regime istituzionale delineato dalla Costituzione.
Rientreranno così nell’ambito di operatività della nozione i piani di difesa contro l’eversione, le
misure di protezione di obbiettivi strategici importanti, le cautele antiterrorismo a protezione di
obbiettivi di primaria importanza » (1767).
( 75 ) Così, persuasivamente, P. Pisa, Segreto, cit., 199-200: « Tirando quindi le fila del di-
scorso riteniamo di poter concludere che, se da un lato si può giungere a determinare taluni grup-
pi di interessi politici (...), è innegabile che la categoria degli interessi politici sfugge alla possibi-
lità di una determinazione sufficientemente rigorosa, in grado di orientare... il comportamento
dei consociati... Le norme del codice penale appaiono quindi, a nostro avviso, in contrasto con il
principio di tassatività delle incriminazioni sancito dall’art. 25 Cost. ». Sulla costituzionalizzazio-
ne del principio di tassatività delle norme penali incriminatrici, cfr. almeno, F. Bricola, La di-
screzionalità nel diritto penale, Milano, 1965, 277 ss.
( 76 ) Sicché, mentre nei reati riguardanti le notizie segrete il giudice si spinge ad accertare in
concreto l’idoneità della divulgazione della notizia a pregiudicare gli interessi indicati dall’art. 12,
166 ELEONORA RINALDI
l. n. 801/1977, nei delitti concernenti notizie riservate si ritiene sufficiente riscontrare l’esistenza
del divieto dell’autorità competente, fermo restando il sindacato di legittimità del giudice penale
sull’atto amministrativo che impone il divieto di divulgazione, cfr. P. Pisa, voce Segreto. II) Tutela
penale del segreto, cit., 3, e, più diffusamente, Idem, Il segreto di Stato, cit. Sull’inesistenza di una
reale diversità concettuale tra le due categorie di notizie cfr. già, A. Anzon, Segreto di Stato, cit.,
1773.
( 77 ) Il codice penale vigente distingue, infatti, sul piano della gravità (e della conseguente
sanzione), lo “Spionaggio politico o militare” (art. 257 c.p.) dallo “Spionaggio di notizie di cui è
stata vietata la divulgazione” (art. 258 c.p.), e la “Rivelazione di segreti di Stato” (art. 261 c.p.)
dalla “Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione” (art. 262 c.p.).
( 78 ) Così Cass. Pen., Sez. I, 29 gennaio 2002, n. 3348 (in Cass. pen., 2002, 2694 ss.) che su-
pera l’orientamento inizialmente restrittivo (v. Cass. Pen., sez. I, 23 aprile 1982, Riv. pen., 1982,
886 ss. e Cass. Pen. 4 luglio 1985, Giur. it., 1986, II, 436), secondo cui le notizie riservate doveva-
no ritenersi estranee alla definizione dell’art. 12 della l. n. 801/1977.
( 79 ) Cfr. da ultimo, M. Manetti, in A. Pace - M. Manetti, Art. 21. La libertà di manife-
stazione del proprio pensiero, cit., 182 ss., 190.
( 80 ) Ass. App. Roma, 20 dicembre 1978, in Giur. mer., 1980, II, 639; Assise Roma, sent. n.
21/1997; e Cass., Sez. I, sent. 29 gennaio 2002, n. 3348 (citata in nota supra).
( 81 ) Si fa riferimento in particolare al R.D. 11 luglio 1941, n. 1161 che pure, in alcune parti,
non soddisfa appieno il principio di tassatività (v. art. 2, comma 1, ultima parte, sul divieto, per
determinati soggetti, di divulgare « notizie aventi comunque interesse militare »). Si è già eviden-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 167
ziata del resto la matrice storica delle disposizioni in questione (artt. 256, 258, 262 c.p.), frutto di
una consapevole rinuncia del legislatore a delineare compiutamente le fattispecie ivi previste, non
tanto in ragione dell’impossibilità di concretizzare obbiettivamente a priori le notizie riservate
(come dimostra del resto l’avvenuta codificazione amministrativa delle ipotesi in discorso, v. R.D.
n. 1161/1941) quanto del preciso intento di consentire solo all’esecutivo il controllo delle infor-
mazioni di rilievo politico o militare, esclusa qualunque forma di sindacato giurisdizionale, cfr. P.
Pisa, Il segreto, cit., 181-182.
( 82 ) L’esigenza di graduazione tra i diversi tipi di segreto – che, pure volti a tutelare inte-
ressi costituzionalmente rilevanti non sempre rientrano nell’ambito di applicabilità degli artt. 52 e
126 Cost. – è ciononostante ribadita, anche di recente, dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 295/2002 che nuovamente distingue tra due categorie: la prima inclusiva delle notizie coperte
da segreto di Stato in senso stretto; la seconda inclusiva delle notizie riservate, tutelabili attraverso
l’applicazione della normativa penale sui reati di rivelazione.
Ed invero, nel distinguere tra la categoria degli atti esclusi dall’accesso perché coperti dal « se-
greto di Stato ai sensi dell’art. 12 della l. n. 801/1977 » e quella degli atti oggetto di « segreto o di-
vieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento » (potrebbe trattarsi infatti di atti coper-
ti da segreto d’ufficio, cfr. da ultimo G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, in www.associazione-
deicostituzionalisti.it, in corso di pubblicazione in Cass. pen., 2009, 7-9) la sentenza non rinvia sem-
plicemente alle distinte discipline riguardanti le due categorie di notizie ma, in ragione « dell’esigenza
di revisione complessiva della materia in esame... avvertita... già all’epoca dell’emanazione della l.
n. 801/1977, il cui art. 18 assegnava carattere di “transitorietà” al regime delineato dal Titolo I del
Libro II del codice penale », auspica « una nuova legge organica relativa alla materia del segreto ».
Contra AA.VV., I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 726, che le notizie di vie-
tata divulgazione sembrano ricondurre « ai medesimi interessi che giustificano l’opposizione del se-
greto di Stato... purché idonee a recare un concreto pregiudizio ai medesimi interessi ».
( 83 ) Nella legge di riforma la concreta operatività della funzione di segretazione, origina-
riamente affidata alla sola dinamica dei rapporti tra Magistratura e Governo, in ragione del rifiuto
di testimoniare dovuto all’opposizione di un segreto di Stato, con interpello per conferma al Pre-
sidente del Consiglio, si orienta a privilegiare, accogliendo le indicazioni della coeva sentenza n.
86, la dialettica tra Governo e Parlamento, attraverso il controllo a quest’ultimo demandato sulle
scelte governative. Invero, dalla Relazione sulla proposta di legge n. 385 (Balzamo e altri), cfr. V.
Grevi, Segreto di Stato e processo penale, cit., 85, emerge come fossero state prospettate forme di-
verse di controllo parlamentare, in particolare nella forma del controllo preventivo rispetto al
provvedimento di conferma, od attraverso un controllo successivo “attivato” dal giudice attraver-
so il ricorso ad una specifica commissione interparlamentare « per la tutela del segreto ».
168 ELEONORA RINALDI
siglio, da parte del giudice, affinché questi si pronunci sul mantenimento del-
la segregazione, ex art. 15) e l’opposizione del segreto (art. 11, l. cit.) ( 84 ) da
parte del Presidente del consiglio al Comitato parlamentare di controllo, lad-
dove quest’ultimo abbia richiesto (al Presidente del consiglio od al comitato
interministeriale per le informazioni e la sicurezza) « informazioni sulle linee
essenziali delle strutture e dell’attività dei Servizi » ( 85 ).
Pur non ricostruendo esattamente l’apposizione e conferma del segre-
to come atti governativi originariamente illegittimi perché lesivi della fun-
zione giurisdizionale, sanabili in ogni caso in seguito ad un bill di indennità
del Parlamento, la legge accoglie senz’altro il principio (promanante dalla
sentenza n. 86/1977) del controllo parlamentare sulla politica governativa
in materia ( 86 ), disponendo che, in caso di conferma dell’opposizione del
segreto di Stato al giudice penale (ma anche, in caso di opposizione del se-
greto, ad una Commissione parlamentare d’inchiesta), il Presidente del
Consiglio debba dare comunicazione al Comitato parlamentare previsto
dall’articolo 11 della legge con funzioni di « controllo sull’applicazione dei
principi (ivi) stabiliti », tenuto a riferirne alle Camere ogni qual volta l’op-
posizione del segreto sia ritenuta infondata ( 87 ).
Identica sequenza procedimentale è prevista qualora il segreto sia op-
( 93 ) Scompare, invece, nei nuovi artt. 202, 204 e 256 c.p.p. (in ispecie nel nuovo art.
202) la subordinazione della procedura di interpello al sospetto del Magistrato di infondatezza
dell’atto oppositivo, dovendo, l’autorità procedente attivarla in ogni caso. Sicché, confermato
il diritto – dovere di opporre il segreto in capo ai soli pubblici ufficiali, pubblici impiegati ed
incaricati di pubblico servizio, rimangono non ancora definite le questioni inerenti la mancan-
za o perdita dello status richiesto al depositario del segreto, « nonché (la) sussistenza, in capo
all’interrogato, della qualità di indagato, imputato od altra ancora... e non già di semplice te-
stimone ». Cfr. V. Grevi, op. ult. loc. cit., e da ultimo, sull’opposizione del segreto da parte
dell’imputato, gen. Pollari, nel processo penale da cui origina il conflitto deciso con la senten-
za n. 106/2009, la nota di A. Masaracchia, Diritto alla prova dell’imputato e segreto di Stato:
corsi e ricorsi storici di una questione definitivamente chiarita, in www.associazionedeicostituzio-
nalisti.it.
( 94 ) Esaustivamente, sull’intera legge, da ultimo, AA.VV., I Servizi di informazione e il se-
greto di Stato, cit., specie 430 ss.
( 95 ) In tal senso, già all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 801/1977, P. Pisa, Le pre-
messe sostanziali, cit., 38.
172 ELEONORA RINALDI
( 96 ) Tenendo conto quindi dell’interesse generale della collettività ad accedere alle fonti
notiziali, – correlato al dovere della Repubblica di garantire al massimo l’accesso alle informazioni
di natura pubblica – dell’interesse all’accertamento giurisdizionale dei reati e dell’ovvia necessità
di impedire la divulgazione di atti e fatti la cui conoscenza possa rivelarsi pregiudizievole per la
garanzia delle condizioni di esistenza/continuità dello Stato. La necessaria opera di mediazione
rientrerà evidentemente nella competenza del legislatore dello Stato (art. 117, comma 2, lett. d,
Cost.), nel rispetto delle riserve di legge assolute e relative variamente rilevanti in materia; sul
punto, cfr. A. Pace, L’apposizione del segreto, cit., specie 4045-4048.
La Corte costituzionale sarà pertanto chiamata a garantire l’osservanza dei limiti legislati-
vamente definiti (formali e materiali), oltre, ovviamente, ai limiti funzionali immediatamente cor-
relati alla finalizzazione dell’attività alla « salvaguardia dei supremi e imprescindibili interessi del-
lo Stato ».
( 97 ) Così A. Pace, L’apposizione del segreto di Stato nei principi costituzionali e nella legge
n. 124 del 2007, cit., 4049.
( 98 ) Cfr., con specifico riguardo alle vicende concrete da cui muove la sentenza n. 106/
2009, G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, cit., 14, « Il segreto, dunque, è legittimamente fatto
valere perché l’area dei rapporti tra Servizi è considerata segreta dalla circolare riservata del 1985
e perché nella nota in data 11 novembre 2005, confermata dalla nota del 2006, si ribadiva in linea
generale la sussistenza del segreto su determinate aree e cioè sui rapporti con i Servizi collegati »
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 173
(si rilevano peraltro le incongruenti conclusioni cui la sentenza giunge con riguardo al regime di
utilizzabilità delle prove comunque acquisite).
( 99 ) L’apposizione del segreto ad opera di soggetto diverso dal Presidente del consiglio è
evenienza effettivamente realizzatasi nel 2005, quando è il Ministro dell’interno ad apporre il se-
greto su dati luoghi nel corso della vicenda relativa a “Villa La Certosa”, sulla vicenda, cfr., R.
Chieppa, Una discutibile cessazione della materia del contendere su apposizione del segreto di Sta-
to. Nota a ord. C. Cost. 25 ottobre 2005, n. 404, in Giur. cost., 2005, 3988 ss.; L. Elia, La “Certosa”:
una inammissibilità che non convince. Nota a ord. C. cost. 25 ottobre 2005, n. 404, ibidem, 3953 ss.;
A. Masaracchia, Lo strano caso del segreto di Stato sulla villa “La Certosa”, ibidem, 4067; P. Pisa,
Segreto di Stato: un caso anomalo, ivi, 3999.
( 100 ) Ma contra, argomentando dalla formulazione dell’art. 39, comma 1, della l. 124, A.
Pace, op. ult. cit., 4050.
( 101 ) Distingue invece tra limiti funzionali, limiti formali (cui è ricondotta l’operatività dei
limiti da me qualificati come funzionali) e limiti materiali (dei « fatti eversivi ») A. Pace, L’appo-
sizione del segreto, cit., 4041 ss. Personalmente ritengo che anche i c.d. limiti formali, dall’A. ri-
condotti – per esempio – alla necessaria specificità del contenuto dell’atto di apposizione del se-
greto (il provvedimento deve cioè riferirsi « ad informazioni, documenti, atti, attività, cose o luo-
ghi la cui conoscenza al di fuori degli ambiti e delle sedi autorizzate, sia tale da ledere gravemente
quelle date finalità e soltanto quelle » (4051), rientrino, come limiti rilevanti nel procedimento di
esercizio della funzione, tra i limiti funzionali (la cui inosservanza rileverà in sede di sindacato sul-
l’eccesso di potere, come nelle altre ipotesi).
174 ELEONORA RINALDI
( 102 ) E, sul piano del diritto penale sostanziale in particolare, opererà la tutela apprestata
dalle nome sui reati di rivelazione di notizie di cui la competente autorità abbia vietato la divulga-
zione (come sembra potersi arguire in M. Manetti, Art. 21, cit., 192).
( 103 ) Così P. Pisa, Le premesse « sostanziali » del segreto di Stato, cit., 36. Questo da un lato
perché, certamente, la tutela del libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali era pa-
lesemente invocabile per tutelare segreti “diversi” rispetto a quelli correlati alla difesa nazionale
ed alla sicurezza delle istituzioni democratiche (già specificamente considerati dall’art. 12 della l.
n. 801/1977 ed oggi dall’art. 39, comma 1, l. n. 124/2007), dall’altro perché risultava del tutto
oscuro in che misura una qualche forma di pubblicità potesse incidere sulla libertà di esercizio di
una pubblica funzione, cfr. P. Pisa, Le premesse sostanziali del segreto di Stato, cit., 36 ss.
( 104 ) Lucide in proposito ancora le riflessioni di P. Pisa, Le premesse « sostanziali », cit.,
37.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 175
( 105 ) È noto come, per questa parte, la Relazione allegata al codice penale avesse l’obbiet-
tivo di chiarire la formulazione dell’art. 256 c.p. sulla rivelazione di notizie che avrebbero dovuto
rimanere segrete nell’interesse della sicurezza dello Stato e, più in generale, sulla rivelazione di
notizie comunque segrete « nell’interesse politico (interno od internazionale) dello Stato medesi-
mo », cfr. Relaz. II, n. 260, 34.
176 ELEONORA RINALDI
( 106 ) Così A. Anzon, Il segreto di Stato ancora una volta tra Presidente del Consiglio, auto-
rità giudiziaria e Corte costituzionale, in Giur. cost., 2/2009, 1020-1033. Ora, anche in ragione di
quanto espressamente disposto dall’art. 2 del d.P.C.m. che, in attuazione degli artt. 39-42 della
legge espressamente distingue tra segreto di Stato e Classifiche di segretezza, non pare proprio
che residui alcuno spazio alla tutela degli interessi politici tramite l’extrema ratio del provvedi-
mento appositivo del segreto, risultando preordinata a tale scopo la più proporzionata tutela cor-
relata all’attribuzione di una diversa classifica di segretezza.
Ma il d.P.C.m. in discorso concorre ad ampliare la discrezionalità della funzione di ap-
posizione del segreto anche da un altro punto di vista. Mentre l’art. 39, con riguardo all’am-
bito di operatività del segreto di Stato fa riferimento a « gli atti, i documenti, le norme, le at-
tività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità della Repubbli-
ca », l’art. 3 del regolamento, nella definizione dei criteri di operatività del segreto di Stato,
parla di « informazioni, ..., notizie, documenti, atti, attività, luoghi ed ogni altra cosa la cui dif-
fusione sia idonea a recare un danno grave ad uno o più dei seguenti supremi interessi dello
Stato ».
( 107 ) Cfr. A. Anzon, Segreto di Stato, cit., 1759 ss.
( 108 ) Così, U. Rossi-Merighi, Il segreto di Stato, cit., 38.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 177
( 109 ) L’art. 39 recita infatti: sono coperti dal segreto di Stato « gli atti, i documenti, le noti-
zie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno... all’integrità della Re-
pubblica... », mentre il riferimento alla gravità del pregiudizio (specificato dal d.P.C.m., 8 aprile
2008 che parla di idoneità della diffusione della notizia a recare un danno grave), conferma il ca-
rattere discrezionale del provvedimento appositivo, conseguenza della non determinabilità “a
priori” delle notizie segretabili.
( 110 ) La scarna formulazione della legge, che pure alimenta un vivace dibattito dottrinario
sul ruolo del giudice del segreto, non impedisce tuttavia che la Corte costituzionale si pronunci
talora sul merito dei conflitti sollevati (sentenza n. 110/1998). La sentenza n. 404/2005 si pronun-
cia invece nel senso dell’inammissibilità del conflitto per intervenuta cessazione della materia del
contendere.
( 111 ) Tali direttive risultano ora sostituite dalle disposizioni regolamentari che, in attuazio-
ne della legge sono chiamate a definire in via generale ed in regime di pubblicità, i criteri di eser-
cizio della funzione, e dalle diverse classifiche di segretezza preposte a graduare i livelli di tutela
del segreto in relazione al carattere supremo o non dell’interesse tutelato.
178 ELEONORA RINALDI
con riguardo alla comunicazione del medesimo alle Camere (artt. 16 e 17, l.
n. 801/1977) ( 112 ).
Anche per questa ragione, il giudizio sulla legittimità dell’opposizione
del segreto nel processo penale, sollecitato dalla proposizione del conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato – non espressamente considerato, ma
neppure escluso – risultava difficilmente attuabile ( 113 ).
Al contrario, la l. n. 124 disciplina partitamente l’esercizio della fun-
zione di segretazione, nettamente distinguendo il momento della predeter-
minazione dei criteri di esercizio della funzione e l’adozione del provvedi-
mento di apposizione (artt. 39 e 42, l. cit.), dall’opposizione del segreto in
sede processuale, solo eventualmente seguita dalla conferma del Presidente
del consiglio interpellato ( 114 ).
E così, mentre l’indicazione (nell’art. 39, l. n. 124/2007) degli interessi
meritevoli di tutela delimita l’operatività del segreto di Stato sul piano so-
stanziale a seguito di una valutazione del legislatore, l’opposizione dello
stesso nel processo (seguita da interpello e conferma) ne esprime la dispo-
nibilità da parte dell’Esecutivo ( 115 ).
Il segreto, cioè, sussiste sul piano oggettivo quando una serie di atti,
fatti, notizie e/o documenti è ritenuta idonea, anche in seguito all’adozione
di un atto generale ed astratto, a recare danno « all’integrità della Repub-
( 112 ) Anche se, in via di prassi, la Presidenza del Consiglio ha motivato il provvedimento di
conferma del segreto opposto nel processo penale.
( 113 ) Alla sentenza n. 82/1976 seguono la sentenza della Corte costituzionale n. 87/1977 e,
più di recente, l’ordinanza n. 259/1986, dichiarativa dell’inammissibilità del conflitto di attribu-
zioni tra il giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze ed il Presidente del Consiglio dei Mi-
nistri, relativamente alla rivelazione della fonte delle informazioni fornite dai Servizi al giudice e la
sentenza n. 404/2005 (con nota di A. Ridolfi, Villa Certosa e segreto di Stato: inammissibile per
intervenuta cessazione della materia del contendere, il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato,
in www.associazionedeicostituzionalisti.it) di inammissibilità (per sopravvenuta cessazione della
materia del contendere) del ricorso depositato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Tempio Pausania contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in cui si lamentava la meno-
mazione dei poteri dell’autorità giudiziaria, in conseguenza degli atti ministeriali (impugnati) re-
lativi all’apposizione e conferma del segreto di Stato su luoghi e fabbricati che la Procura aveva
chiesto di ispezionare (in ispecie l’area denominata “Villa La Certosa”, in località Punta della Vol-
pe, Olbia, in locazione al Presidente del Consiglio in carica). In relazione allo svolgimento di un
procedimento penale avviato dopo la pubblicazione di notizie giornalistiche e successive relazioni
del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, nei confronti di persone da individuare e, successi-
vamente, « nei confronti dell’amministratore della società proprietaria di un’area di 50 ettari in
località Punta – Lada – Porto Rotondo, ... si ipotizzava la realizzazione di opere edilizie in assenza
della prescritta concessione e/o in difformità delle autorizzazioni a suo tempo rilasciate in viola-
zione di prescrizioni di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legisla-
tive e regolamentari in materia edilizia)... ».
( 114 ) Sulla distinzione tra apposizione ed opposizione del segreto, cfr. da ultimo G. Salvi,
Segreto, cit. par. 5 e 6.
( 115 ) Così G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, loco cit.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 179
( 116 ) La circostanza che dall’apposizione si calcolino i termini di durata del segreto (art.
39), unitamente alla forma scritta richiesta per il provvedimento, non lascia infatti adito a dubbi,
mentre il fatto che in alternativa si consideri, come dies a quo, quello dell’opposizione del segreto
al giudice non è di per sé indicativa, in quanto l’unica ipotesi in cui il computo del temine potrà
avvenire a partire da questo secondo momento sarà dato dal caso in cui solo in fase di opposizione
al giudice sorga l’esigenza di apposizione del segreto (e l’apposizione non potrà comunque ope-
rare retroattivamente).
( 117 ) Cfr. Corte costituzionale sent. n. 487/2000.
180 ELEONORA RINALDI
( 118 ) Cfr. G. Salvi, La Corte e il segreto di Stato, cit., 11: « l’accertamento penale trova nel
segreto uno sbarramento non aggirabile; esso potrà proseguire solo se basato su informazioni au-
tonome ».
( 119 ) La valutazione sull’idoneità lesiva del disvelamento di dati atti, notizie documenti etc.
imporrà di ascrivere al provvedimento natura costitutiva del segreto di Stato, questo presuppo-
nendo necessariamente una valutazione discrezionale dell’autorità competente finalizzata ad
escludere, chiunque non vi abbia titolo, dalla conoscenza di ciò che è tenuto segreto, ma contra
AA.VV., I Servizi, cit., 511-512.
( 120 ) Sul nesso di strumentalità tra funzione di segretazione e la tutela degli interessi legi-
slativamente indicati, forse la l. n. 801/1977 lasciava adito a qualche dubbio che consentiva di so-
stenere il carattere ontologicamente segreto di date notizie, oggi sicuramente da escludersi.
Quanto sostenuto nel testo non contrasta evidentemente con il carattere doveroso dell’atto di ap-
posizione che apre invece le porte al controllo del medesimo, tanto per ciò che riguarda l’osser-
vanza della tempistica della procedura di segretazione quanto per ciò che attiene all’osservanza
degli altri limiti funzionali.
( 121 ) L’espressione è mutuata da R. Bin, Giudizio in astratto e delega di bilanciamento in
concreto, Giur. cost., 1991, III, 3574-3582.
( 122 ) Sul sindacato in discorso, cfr. supra, par. 2.1.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 181
( 123 ) Cfr. la più volte citata sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, 29 gennaio 2002, n.
3348. Sui poteri cognitivi del giudice relativamente ai provvedimenti integrativi di norme penali
“in bianco” cfr. già A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, cit., 1777-1782.
( 124 ) Salvo, evidentemente, il giudizio di responsabilità politica espresso, ex art. 31, l. n.
124/2007, dal Parlamento. Rimane in vita, tuttavia, la possibilità per il Presidente del consiglio
dei ministri di confermare anche al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica
(COPASIR), organo chiamato a far valere la responsabilità politica del Governo in materia, l’esi-
genza di riservatezza opposta con riguardo alla richiesta esibizione di atti o documenti (conferma
della quale il COPASIR potrà soltanto dare comunicazione alle due Camere, così l’art. 31, comma
10).
( 125 ) Nella nuova legge, la conferma del segreto produce dunque un effetto inibitorio im-
mediato che apre ai magistrati (cui sia stato opposto il segreto in fase di esame o di interrogatorio)
182 ELEONORA RINALDI
due “strade” dagli sbocchi opposti, la presa d’atto o la proposizione del conflitto di attribuzione
nei confronti dell’Esecutivo (disciplinato dall’art. 40 l. cit.).
L’effetto preclusivo (dell’acquisizione anche indiretta delle notizie coperte da segreto di
Stato) non impedisce al giudice di procedere, nell’accertamento del fatto-reato, in base « ad ele-
menti autonomi ed indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto di Stato ».
La preclusione, scaturente dal provvedimento di conferma ed il potere-dovere di prosegui-
re nella funzione giurisdizionale di accertamento del reato in base ad elementi autonomi, sono
dalla legge inscindibilmente connessi: una diversa impostazione altererebbe, infatti, « l’equilibrio
dei rapporti tra potere esecutivo e autorità giudiziaria che dovrebbero essere improntati al prin-
cipio di legalità ».
E non è chi non veda come una segretazione non avente oggetto specifico e concernete ge-
nericamente tutto l’assetto della relazioni tra organi di intelligence di due Paesi (relazioni inte-
granti esse stesse il fatto reato), alteri il funzionamento effettivo della descritta dinamica. Cfr.
AA.VV., I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 610. La decisione del giudice
costituzionale chiude la dialettica tra i due poteri, all’esito di un giudizio che, esclusa l’opponibi-
lità del segreto alla Corte stessa, non può ritenersi limitato alla mera individuazione del potere
competente, dovendo riferirsi anche alla valutazione sulla sussistenza o meno dei presupposti del
segreto, come agevolmente desumibile dalla inopponibilità alla Corte del segreto stesso.
( 126 ) L’art. 40 (commi 7 ed 8) della l. n. 124/2007 costituisce la “norma di chiusura” in ma-
teria di segretazione che, esplicitamente individuando nel giudice costituzionale l’organo compe-
tente a dirimere le controversie in materia, a questi consente di accedere anche ai profili coperti
da segreto di Stato. Sarebbe questa, ad avviso di molti autori, la “novità assoluta” della l. n. 124/
2007, cfr. V. Grevi, Nessun segreto (di Stato) per la Corte costituzionale, in Il Corriere della Sera,
14 ottobre 2007, 34; e C.F. Grosso, L’alibi del segreto di Stato, La Stampa, 17 febbraio 2007 se-
condo cui « l’ultima parola sull’esistenza del segreto... con la riforma... viene attribuita a un orga-
no indipendente di altissima caratura ».
( 127 ) Né la scelta della Corte costituzionale a dirimere in conflitti tra potere Esecutivo e po-
tere Giudiziario può stupire, visto che gli stessi sono « costituzionalmente equiordinati e (non ri-
sulta) corretto che nessuno dei due prevarichi l’altro », così L. Violante, Atti Camera, Assem-
blea, Resoconto della seduta del 5 febbraio 2007, 4.
( 128 ) Sulla perimetrazione sostanziale del segreto di Stato operata dalla l. n. 124/2007 e su-
gli elementi di continuità rispetto alla legislazione previgente, v. supra par. 7.
( 129 ) Supra par. 7.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 183
( 130 ) Sugli atti politici cfr. almeno E. Cheli, Atto politico e funzione di indirizzo politico,
Milano, 1961, 55 ss. e P. Barile, I poteri del Presidente della Repubblica, Riv. trim. dir. pubbl.,
1958, 308; e Idem, La Corte costituzionale, organo sovrano: implicazioni pratiche, Studi in onore di
E. Crosa, II, Milano, 1960, 918 ss.
( 131 ) Cfr. G. Salvi, op. ult. loc. cit.
( 132 ) Coerente con tale scelta è la previsione del comma 8 dell’art. 40, secondo cui è la
Corte ad « adotta(re) le garanzie per la segretezza del procedimento necessarie cioè a non
compromettere la segretezza di atti e fatti comunque entrati nel proprio patrimonio conosciti-
vo: la previsione è quanto mai significativa, in quanto presuppone il rispetto delle prerogative
della Corte costituzionale nella scelta delle cautele idonee a preservare le informazioni segre-
tate ».
( 133 ) L’opzione in favore di questa seconda possibilità è netta in seguito all’emendamento
184 ELEONORA RINALDI
approvato durante la seduta del 14 febbraio 2007, Atti Camera. Assemblea. Resoconto seduta del
14 febbraio 2007, All. A, 37.
( 134 ) L’esclusione di ogni sindacato esprime all’opposto il tentativo di recuperare surretti-
ziamente la nozione di atto politico propria delle prime monarchie costituzionali in ossequio alle
caratteristiche oggettive della funzione di segretazione “disegnate” dalla giurisprudenza costitu-
zionale e “normativizzate” dalla l. n. 124/2007. Nell’ambito dell’attività svolta dagli organi del-
l’apparato amministrativo l’essenza della funzione di governo consisterebbe dunque in una liber-
tà assoluta « non... condizionata al rispetto di particolari disposizioni legislative; ma solo dell’in-
teresse generale dello Stato », così E. Chieli, Atto politico e funzione di indirizzo politico, cit., 33.
( 135 ) Incomprensibile risulta pertanto che, nella sentenza n. 106/2009, le istanze istrut-
torie formulate dalle difesa del giudice del dibattimento siano ritenute « inconferenti... giac-
ché... investono relazioni tra organi costituzionali aventi rilevanza sul piano puramente politi-
co » (così la sentenza n. 106/2009 con specifico riguardo alle richieste contenute nel ricorso n.
20/2008).
( 136 ) La ratio dei limiti materiali è ovvia sol che si considerino le “origini” del limite indivi-
duato in materia dalla giurisprudenza costituzionale (sin dal 1977), dalla prima legge di riforma
(nello stesso anno) ed ancor prima (1968), dal progetto di legge Boldrini per l’istituzione di una
commissione d’inchiesta sul SIFAR (A. Pace, L’apposizione, cit., 2): sarebbe infatti intrinseca-
mente contraddittorio che le disposizioni « poste a tutela del segreto di Stato (potessero) agevo-
lare la commissione di fatti diretti a minare gli stessi valori che il segreto è chiamato a protegge-
re », così C. Bonzano, Segreto, XI) Tutela processuale del segreto di Stato, in Enc. giur., Roma,
2001, 6.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 185
( 137 ) Quest’ultima, invero, disciplinando i casi di esclusione del segreto, per un verso rece-
piva la precisa indicazione fornita dalla sentenza n. 86/1977 (« mai il segreto potrebbe essere al-
legato per impedire l’accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale »), per altro aspetto,
dava solo parziale attuazione alla medesima, poiché, “richiamati” (come limite materiale) i soli
fatti eversivi, non impediva di invocare il segreto su fatti diversi, la cui conoscenza fosse comun-
que necessaria ad accertare attività volte a sovvertire l’ordine costituzionale. Tale circostanza è
destinata ad incidere significativamente sulle possibilità operative del limite materiale previsto
dalla l. n. 801/1977, non risultando idonea ad impedire, (in vicende tristemente note), l’uso ille-
cito del segreto di Stato. Con riguardo all’uso che del segreto di Stato è stato fatto nella tragedia di
Ustica e nel caso Gladio, cfr. G. Salvi, Il segreto di Stato. Interpretazione estensiva della fattispe-
cie, Guida al diritto, suppl. a Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2007, n. 40, 43.
( 138 ) Cfr., tra l’altro, l’art. 40, comma 3, l. n. 124/2007, che inserisce nell’art. 204 c.p.p. il
comma 1-bis: « ... Non possono essere oggetto del segreto previsto dagli artt. 201, 202 e 203 fatti,
notizie o documenti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informa-
zione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione
prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. Si considerano vio-
lazioni della predetta disciplina le condotte per le quali, essendo stata esperita l’apposita proce-
dura prevista dalla legge, risulta esclusa l’esistenza della speciale causa di giustificazione ».
( 139 ) La seconda innovazione della l. n. 124/2007 risiede nel fatto che, in base ai commi 2 e
4 dell’art. 40 della legge di riforma, la segretazione è esclusa (attraverso l’integrazione dell’art.
204, comma 1, primo periodo, c.p.p.) non solo con riguardo a « fatti, notizie o documenti concer-
nenti reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale » (previsione già contenuta nella
disciplina del 1977) ma anche a « fatti, notizie o documenti concernenti i delitti previsti dagli artt.
285, 416-bis, 416-ter, e 422 del codice penale » (così l’art. 40, comma 2, l. cit.).
186 ELEONORA RINALDI
Novellando l’art. 204 c.p.p., già il legislatore del c.p.p. 1988 riconosce-
va del resto al giudice penale sia il potere di qualificazione del reato che
quello di valutare l’inerenza o meno dei fatti non integranti la figura di rea-
to ai reati diretti all’eversione dell’ordine costituzionale (all’accertamento
dei quali è finalizzato il procedimento penale pendente), mentre l’eventua-
lità che la suesposta valutazione di “inerenza” potesse divenire strumentale
all’aggiramento di un segreto legittimamente apposto (ed opposto) era (ed
è) “bilanciata” dal previsto obbligo di comunicazione al Presidente del
Consiglio del provvedimento giurisdizionale che, sulla base della stessa, ri-
gettasse l’eccezione (ipotesi nella quale il Presidente del Consiglio che ri-
tenga illegittimamente aggirato un segreto di Stato potrà promuovere il
conflitto tra poteri dello Stato).
Nella logica dei rapporti tra disciplina sostanziale e disciplina proces-
suale risulta così problematica la previsione dell’art. 66, comma 2, disp. att.,
c.p.p. inserito dalla l. n. 124/2007 (art. 41, comma 4), secondo cui, « Quan-
do perviene la comunicazione prevista dall’art. 204, comma 2, del codice, il
Presidente del consiglio dei Ministri, con atto motivato, conferma il segreto
se ritiene che non ricorrano i presupposti indicati nei commi 1, 1-bis e 1-ter
dello stesso articolo, perché il fatto, la notizia o il documento coperto dal
segreto di Stato non concerne il reato per cui si procede » ( 140 ).
È da escludere infatti che il Presidente del Consiglio possa esprimere
un convincimento ragionevole circa l’inerenza di un dato « fatto, ... notizia,
o... documento » al reato per cui il giudice penale sta procedendo.
Piuttosto che attuare l’art. 204 c.p.p., l’art. 66, comma 2, disp. att.,
“tradisce”, dunque, il tentativo di “emarginare” l’autorità giudiziaria quale
unica autorità competente ad esprimere la valutazione sulla natura giuridi-
ca del fatto oggetto di accertamento e sottende l’idea che il rilievo proces-
suale di una fonte di prova possa essere “deciso” interamente dall’Esecuti-
vo ( 141 ).
( 140 ) La norma conclude stabilendo che « In mancanza, decorsi trenta giorni dalla notifi-
cazione della comunicazione, il giudice dispone il sequestro del documento o l’esame del soggetto
interessato ».
( 141 ) La norma sostanziale dovrebbe ovviamente prevalere su quella processuale (invero,
manca per il momento una presa di posizione sul punto, mentre è evidente che l’ostacolo non è
aggirabile riconoscendo al giudice il potere di qualificare il fatto ed al Presidente del consiglio
quello di segretare la fonte di prova relativa ad una singola circostanza), cfr. AA.VV., I Servizi,
cit., 651. La giustificazione addotta a sostegno dell’art. 66 disp. att. risiede nel fatto che, mentre
l’art. 204 c.p.p., escludendo l’opponibilità del segreto, parlerebbe di « reati diretti all’eversione
dell’ordine costituzionale », l’art. 39, comma 11, l. n. 124/2007, riferendosi all’applicabilità della
norma sul piano sostanziale, prenderebbe in considerazione le « notizie, documenti o le cose... re-
lativi ad atti... eversivi dell’ordine costituzionale », sì che, diversamente dal giudice, in fase defini-
toria (art. 39) il Presidente del consiglio valuterebbe il fatto in quanto tale (ignorando del tutto il
collegamento col soggetto attivo).
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 187
( 149 ) Sulla questione definitoria del concetto di ordine costituzionale, con particolare ri-
guardo alla possibile sovrapposizione tra questo e la nozione di ordine pubblico il dibattito dottri-
nario è assai esteso. Per una panoramica dei diversi significati ricavati dall’interpretazione dell’art.
12, comma 2, l. n. 801/1977, cfr. tuttavia almeno A. Pace, Il diritto costituzionale come regola e
limite del potere, in Scritti in onore di Lorenza Carlassare, III, Napoli, 2009, 1103-1105. Sul con-
cetto di ordine pubblico, cfr. almeno L. Paladin, voce Ordine pubblico (dir. pubbl.), Enc. dir.,
XXX, Milano, 1980, 1057; C. Fiore, voce Ordine pubblico (dir. pen.), ivi, 1092, e più di recente
A. Cerri, voce Ordine pubblico. II) Diritto costituzionale, in Enc. giur., Roma, 1990, e Postilla di
aggiornamento, ivi (2007); infine, con riguardo all’esigenza di distinguere tra la nozione penalisti-
ca di ordine pubblico e quella amministrativistica, M. Manetti, in A. Pace - M. Manetti, Art.
21, cit., 249 ss.
( 150 ) Così, anche A. Anzon, Segreto, cit., 1795.
( 151 ) Cfr. G. Salvi, Il segreto di Stato. Interpretazione estensiva della fattispecie, cit., 73.
( 152 ) Ovviamente rimangono in vigore, perché non contrastanti con la nuova normativa, le
previsioni di non opponibilità del segreto disciplinate da altre fonti e non attinenti a fatti eversivi,
cfr. art. 6, l. n. 219/1989, concernente i reati previsti dall’art. 90 Cost.; art. 10, l. n. 374/1997, nor-
me per la messa al bando delle mine antipersona; art. 9, l. n. 106/1999, di ratifica della convenzio-
ne internazionale sulle mine antipersona. Né i più recenti interventi legislativi (norme interpreta-
tive) sembrano essersi mossi in direzione diversa ed anzi, precisando che la finalità di terrorismo
ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione od un
organismo internazionale (270-bis, comma 3, c.p., introdotto dalla l. n. 438/2001) ed estendendo
ulteriormente il concetto attraverso l’art. 270-sexies c.p. (introdotto dalla l. n. 155/2005) – sulla
base del quale « sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura e
contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono
compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizza-
zione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare le strut-
ture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazio-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 189
ne internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terro-
rismo da convenzioni o da altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia » – le più re-
centi norme legislative rendono perfino meno consistente (forse annullandola) la distinzione tra
terrorismo e fatto eversivo dell’ordine costituzionale. Già la Convenzione di Ginevra del 16 di-
cembre 1937 (Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo), mai ratificata,
conteneva una definizione di carattere generale degli atti di terrorismo. Dopo vari tentativi, coglie
in un prospettiva globale il fenomeno in discorso, la Convenzione europea per la repressione del
terrorismo, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1977 che abbina al sistema casistico (elencando
specifiche attività criminose con finalità di terrorismo) l’enucleazione di un concetto unitario. In
passato, infatti, la giurisprudenza riteneva che costituisse finalità di terrorismo « quella di incute-
re terrore nella collettività con azioni criminose indiscriminate, dirette cioè non contro singole
persone ma contro quello che esse rappresentano o, se dirette contro la persona indipendente-
mente dalla sua funzione nella società, miranti ad incutere terrore per scuotere la fiducia nell’or-
dinamento costituito o indebolirne le strutture. La finalità di eversione si identifica invece nel fine
più diretto di sovvertire l’ordine costituzionale e di travolgere l’assetto pluralistico e democratico
dello Stato, disarticolandone le strutture, impedendone il funzionamento o deviandolo dai prin-
cipi fondamentali che costituiscono l’essenza dell’ordinamento costituzionale », così Cass., Sez. I
penale, sent. 11382, 5 novembre 1987.
( 153 ) Cfr. G. Salvi, Il segreto di Stato. Interpretazione estensiva della fattispecie, cit., 73:
« Non potranno essere considerate segrete sin dall’origine, le informazioni concernenti tali fatti e
da ciò discende la non apponibilità di un segreto che non può sussistere ». Mentre l’art. 39, com-
ma 11, contempla, infatti, come ipotesi di esclusione del segreto i fatti di terrorismo od eversivi
dell’ordine costituzionale, o quelli costituiti dai reati tassativamente indicati, l’art. 204 c.p.p. (ol-
tre a conservare l’impostazione testuale che legava l’esclusione del segreto ai delitti) non “esten-
de” i casi di inopponibilità (del segreto) ai fatti, notizie e documenti relativi (oltre che a reati con
finalità eversive) ai fatti di terrorismo. Il carente raccordo formale non impedisce tuttavia di rite-
nere che alla norma generale sostanziale debba riconoscersi preminenza rispetto a quella proces-
suale.
190 ELEONORA RINALDI
( 154 ) Così P.L. Vigna, La finalità di terrorismo ed eversione, Milano, 1981, 64.
( 155 ) Così A. Anzon, op. ult. cit., 1033.
( 156 ) Sulla nozione, A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in
estratto da Arch. giur. Serafini, cit., e Idem, Ordine pubblico, ordine pubblico costituzionale, ordine
pubblico secondo la Corte costituzionale, Giur. cost., 1971, 1777 ss.
( 157 ) Così, persuasivamente, C. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale, Parte speciale, II,
Bologna, 2007, 6 ss.; E. Gallo - E. Musco, Delitti contro l’ordine costituzionale, Bologna, 1984,
e, in nota alla sentenza n. 106/2009, F. Ramacci, Segreto di Stato, salus rei publicae e « sbarramen-
to » ai p.m., cit., 1018, ma già A. Anzon, Segreto di Stato e Cost., cit., 1795.
( 158 ) Sicché, pur vero che, « Via via che si transita dal reato consumato al tentativo (an-
che questo diversamente configurabile, essendo diversa la fattispecie che esclude la punibilità
degli atti preparatori da quella che non la esclude), al reato a consumazione anticipata (di at-
tentato), dal reato di danno al reato di pericolo... dal pericolo in concreto a quello in astratto,
dalla partecipazione al fatto illecito al reato associativo, dalla fattispecie penale alla misura di
prevenzione, ci si allontana anche dal polo dell’ordine pubblico materiale per avvicinarsi a
quello dell’ordine pubblico ideale », cfr. A. Cerri, Ordine pubblico, Postilla di aggiornamento,
cit., 1, la possibilità di ricostruzione costituzionalmente adeguata del diritto penale sembra con-
fliggere in questo caso con i principi di tipicità ed offensività, compromessi dalla ricostruzione
di ogni delitto come lesivo oltre che del singolo bene, dell’ordine costituzionale, cfr. F. Ra-
macci, op. ult. cit., 1019.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 191
( 159 ) Della differenza tra atti delittuosi con finalità di terrorismo od eversione e singoli atti
lesivi di altri beni, pure costituzionalmente tutelati, il legislatore del 2007 prende atto, dunque,
sviluppando la medesima e “separando” l’ambito di operatività della cause di giustificazione del
personale dei Servizi da quello dell’apponibilità/opponibilità del segreto di Stato.
Il divieto di singole condotte del personale dei Servizi dirette a « ... mettere in pericolo o a
ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la
salute o l’incolumità di una o più persone » (art. 17, comma 2, l. n. 124/2007) è, così espresso at-
traverso la dichiarata inapplicabilità delle garanzie funzionali in tali ipotesi, ma rimane distinta –
conformemente all’affermata configurazione che i fatti con finalità di terrorismo od eversivi han-
no nel nostro ordinamento – dalla « Disciplina del segreto » contenuta nel Capo V.
Dopo aver sancito anzi in via generale, che « Non possono essere autorizzate ai sensi del-
l’art. 18, condotte previste dalla legge come reato per le quali non è apponibile il segreto di Stato
a norma dell’art. 39 comma 11 », l’art. 17, comma 4, l. cit., precisa, in via d’eccezione, che l’auto-
rizzazione a commettere reati (a garantire l’operatività della speciale causa di giustificazione pre-
vista dall’art. 17), può essere accordata se la condotta delittuosa autorizzata si traduce nella mera
partecipazione alle associazioni di stampo mafioso o terroristico (« ... ad eccezione delle fattispe-
cie di cui agli artt. 270-bis, secondo comma, e 416-bis, primo comma, del codice penale »). L’am-
bito operativo delle garanzie funzionali e del segreto di Stato coincidono, invece, nuovamente
(nel comma 4 dell’art. 17) quando si esclude che possano essere autorizzate (consentendo di frui-
re delle garanzie funzionali) condotte del personale dei servizi « previste dalla legge come reato
per le quali non è opponibile il segreto a norma dell’art. 39, comma 11 », con ciò dimostrandosi
l’evidente consapevolezza in ordine alla circostanza che i fatti eversivi e di terrorismo, in quanto
oggetto di un programma, costituiscono ipotesi delittuose diverse e più complesse dei singoli atti
volti a mettere in pericolo l’integrità fisica delle persone, comunque mancanti della finalizzazione
a sovvertire le condizioni di esistenza/continuità dello Stato come comunità politica organizzata.
( 160 ) Il bene tutelato dalle norme incriminatrici dei delitti contro la personalità dello Stato
inteso come insieme delle condizioni di esistenza della Repubblica espressi dall’art. 1, comma 2,
49 e 138 Cost. si presenta così armonico ai principi (artt. 52 e 126 Cost.) che delimitano, secondo
la giurisprudenza costituzionale, l’operatività del segreto di Stato. Tali conclusioni appaiono vici-
ne a quelle raggiunte dalla dottrina che ricostruisce il concetto di ordine pubblico costituzionale
nei termini di « assenza di atteggiamenti capaci di determinare una rottura, soprattutto violenta,
dell’ordine costituzionale », cfr. C. Lavagna, Il concetto di ordine pubblico alla luce delle norme
costituzionali, Dem. dir., 1967, 359 e a ben vedere, C. Fiore, Ordine pubblico (dir. pen.), cit., 1092
che riferisce il concetto di ordine pubblico « almeno (a) quei principi e quelle istituzioni alla cui
continuità e immutabilità si vuole sia affidata la sopravvivenza delle comunità organizzata ». Sul
punto, riassuntivamente, S. Moccia, Ordine pubblico (diposizioni a tutela dell’), Enc. giur., Roma,
1990, 1-16 e A. Cerri, Ordine pubblico, II) Diritto costituzionale, cit., 1-11 e Idem, Postilla d’ag-
giornamento, cit., 1-3. Né la circostanza che la nozione di « fatti eversivi dell’ordine democrati-
co » originariamente considerata dalla legislazione dell’emergenza sia stata poi sostituita da quella
192 ELEONORA RINALDI
di fatti eversivi dell’ordine costituzionale incide sulla validità delle considerazioni svolte, visto che
il concetto di ordine costituzionale è stato dichiarato equivalente alla preesistente nozione di « or-
dine democratico » con norma legislativa di interpretazione autentica. L’intervenuta equiparazio-
ne fuga anzi ogni dubbio sulla consistenza della nozione di fatti eversivi dell’ordine costituziona-
le; tanto i fatti eversivi dell’ordine costituzionale, quanto i fatti eversivi dell’ordine democratico
hanno infatti il fine di sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato nelle sue vari articola-
zioni e di travolgere in via definitiva il suo assetto democratico pluralistico attraverso un program-
ma di violenza che è elemento costitutivo del reato.
( 161 ) Su cui già A. Anzon, Segreto di Stato e Costituzione, cit., 1777. Su tale profilo richia-
miamo tuttavia l’attenzione: si presume infatti che esso giungerà presto all’attenzione dei com-
mentatori, dal momento che della classificazione di segretezza (in particolare della formula riser-
vatissimo), si è fatto uso di recente perfino con riguardo agli accordi di forniture stipulati dal go-
verno con una nota multinazionale farmaceutica relativamente al costo delle dosi (24 milioni di
dosi) di vaccino contro l’influenza suina ad essa commissionato, cfr. M. Sensini, Un contratto se-
greto per il vaccino del virus A, Il Corriere della Sera, 25 ottobre 2009, 25.
( 162 ) Attraverso l’art. 42, la l. n. 124 distingue infatti, nettamente il segreto amministrativo
dal segreto di Stato in senso stretto, tanto per ciò che riguarda le modalità di esercizio del potere,
quanto in ordine al sistema dei controlli, cfr. A. Anzon, Segreto, cit.
( 163 ) Ribaditi in modo non troppo diverso dal passato, gli interessi tutelabili (in quanto su-
premi), precisato l’assetto delle competenze circa l’apposizione del grado di segretezza più eleva-
to (diversamente dal passato, A. Anzon, Segreto, 1797), rimane cruciale la questione dei controlli
sulla discrezionalità esercitata.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 193
( 164 ) Volto a salvaguardare la salus rei publicae, il potere di segretazione diviene all’oppo-
sto espressione di una sovranità inidonea a subire, limiti formali e contenutistici: esercizio di su-
preme valutazioni politiche, l’atto oppositivo potrebbe paralizzare, in qualunque momento,
l’esercizio della funzione giurisdizionale e, quand’anche asseritamente correlato alla tutela di un
bene costituzionalmente protetto, risultare immune da qualunque forma di controllo in ordine al
perseguimento dell’interesse suddetto, oltre che rispetto all’osservanza dei principi (ritenuti fon-
damentali nel nostro Stato costituzionale) di legalità, correttezza, lealtà, proporzionalità dell’azio-
ne pubblica concreta.
( 165 ) Cfr. per tutti, N. Bobbio, La democrazia e il potere invisibile, Riv. it. sc. pol., 1980, 2,
181 ss.
( 166 ) Le norme costituzionali degli artt. 1, 5 e 52 Cost., indice di riferimento comune per
tutte le forze operanti nel sistema cesserebbero, in tal caso, di rilevare (oltre che come strumento
d’azione), come limite all’azione dell’asse Governo-Parlamento, cfr. A.M. Sandulli, Natura, fun-
zioni ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale sulla legittimità delle leggi, in Riv. trim. dir.
pubbl., 1958, 23-48, ora ripubblicato in Scritti giuridici, I, Napoli, 1990, 373 ss., 395. Sulla nozione
di limite costituzionale, M. Cappelletti, L’attività e i poteri del giudice costituzionale in rapporto
con il loro fine generico, Scritti giuridici in memoria di P. Calamandrei, III, Padova, 1958, 85 ss.,
specie 109: « Sembra senz’altro ammissibile che, per limiti debbano intendersi sia le volizioni po-
sitive (di fare ad esempio), sia quelle negative – che a rigore, sono anch’esse positive: purché in
ogni caso, si tratti effettivamente di volizioni, di comandi, e non di semplici istruzioni non impe-
rative o meramente facoltizzanti » (indicando con quest’ultima qualifica le rare norme costituzio-
nali programmatiche che stabiliscono la possibilità ma non l’obbligatorietà di perseguire un dato
fine); nonché, evidentemente, A. Pace, I limiti del potere, Napoli, 2008, specie in Premessa, XII.
( 167 ) Così la sentenza n. 106 citata.
( 168 ) Questo perché, se l’attività degli organi di indirizzo politico è funzione limitata nega-
tivamente ed esternamente dalla Costituzione formale (e non vincolata positivamente ed interna-
mente al perseguimento dei fini posti dalla Costituzione formale), la posizione degli organi di ga-
194 ELEONORA RINALDI
dente che la difesa della vecchia costituzione richieda, anzi, una articolata politica costituzionale e
quindi, una difesa di essa su quattro diversi fronti: sul piano politico, resistendo alla delegittima-
zione consistente nell’attribuire alla vecchia costituzione tutte le colpe possibili del cattivo funzio-
namento del sistema, ...; sul piano giudiziario, reagendo con fermezza alle violazioni della costitu-
zione e, comunque, ai tentativi di sua disapplicazione; sul piano dottrinale, rifuggendo da quei
metodi interpretativi che... finiscono per vanificare l’importanza del testo, ..., l’importanza della
scrittura come fondamento della rigidità; infine sul piano legislativo-costituzionale, rendendosi ef-
fettivamente disponibili per tutte le necessarie integrazioni e innovazioni che siano costituzional-
mente ammissibili, ma a patto che esse siano specifiche e graduali ».
( 173 ) Sulla complessa dialettica, cfr. P. de Francisci, Arcana imperii, Milano, I, 1947, 9 ss.
( 174 ) Durante l’età repubblicana, gli arcana imperii indicano invece i soli segreti, di caratte-
re religioso e/o militare, coessenziali al mantenimento in vita di quella specifica organizzazione
politica che è la res publica (tanto che si parla di secreta ad rem publicam pertinentia), cfr. AA.VV.,
I Servizi di informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, 459 ss., specie 461. Sulla semantica del
segreto, lucide riflessioni sono svolte da R. Orestano, Sulla problematica del segreto nel mondo
romano, cit., 135: « Arcana è parola proveniente dal lessico religioso, che Tacito “reimpiega” nel
lessico pubblicistico, parlando di “arcana imperii” e di “dominatinis arcana” », ed in Idem, Sulla
problematica, cit., 129 il rinvio a Tacito, Ann. 2, 31... et arcana imperii temptari; Ann. 2, 59: nam
Augustus inter alia dominationis arcana... seposuit Aegyptm; Hist. 1, 4: evolgato imperii arcano; cfr.
Germ. 18 e 40.
( 175 ) Così, P. de Francisci, Arcana imperii, cit., I, 14 che rileva come la nozione elaborata
da Tacito fosse applicabile ai modi, agli accorgimenti, alle forme usate « per innestare la figura e il
potere del princeps, organo nuovo di governo, sull’antico ordinamento dello stato repubblica-
no ».
( 176 ) La stessa rilettura di Tacito operata da Machiavelli nel Principe « non pretende for-
nire giustificazioni morali o giuridiche, ma semplicemente suggerire la tecnica razionale dell’asso-
lutismo politico », cfr. C. Schmitt, La dittatura (trad. it. B. Liverani), Bari, 1975, 21.
( 177 ) Tali mezzi, ricorda Tacito negli Annales, non devono essere rivelati perché ciò com-
porta una perdita d’autorità del princeps, « poiché tale è la condizione del dominare che i conti
non tornano se non si rendono ad uno solo ». Ed è bene ricordare come anche nelle Storie, Tacito
196 ELEONORA RINALDI
L’uso strumentale della nozione rimane così una “costante” della giu-
spubblicistica di età moderna (XVII secolo) che, sulla scorta di una più o
meno opinabile interpretazione degli scritti tacitiani ( 178 ), protesa ad indi-
care al principe le conoscenze ed i mezzi per la conservazione dello Stato,
ad esso affida la custodia di tutti i « segreti della felicità dello Stato » ( 179 ),
nel contesto di un ordinamento che la potestà del sovrano interamente fon-
da sull’autorità personale del medesimo.
La prevalenza storica, se non altro nelle formazioni politiche dell’Eu-
ropa occidentale, di un opposto principio di derivazione del potere, non
impedisce di rilevare la perdurante attualità del dibattito in materia, in ra-
gione dell’indiscutibile, intrinseco legame tra il concetto di arcana imperii e
le « forze politiche generatrici di qualunque organizzazione politica » a
“tradurre” – sul piano politico-giuridico – il più profondo atteggiamento
spirituale sotteso ad ogni comunità organizzata.
La bipartizione tradizionale tra « formazioni che la potestà del sovra-
no fondano sull’autorità personale del medesimo e formazioni basate sul ri-
conoscimento dell’autorità del capo promanante dalla volontà oggettiva di
un ordinamento » esorbita, infatti, dalla mera descrizione della contrappo-
sizione tra forme politiche primitive e forme politiche storicamente più
evolute, rappresentando, semmai, il paradigma di valutazione di più com-
plessi ordinamenti giuridici che, lungi dal presentarsi in « forme pure e ti-
piche », si caratterizzano per un rapporto di prevalenza tra i due principii
volta a volta diverso ( 180 ) (non sembrando seriamente contestabile che
riferisca di come la perdita dello « spirito repubblicano » passi attraverso azioni efferate di cui
(prima da Augusto, poi da Tiberio e dai loro successori) non verrà dato conto al Senato, e di come
il progressivo disfacimento dell’antico ordine politico passi attraverso l’asservimento al princeps
di consoli, senatori, e cavalieri (cioè il potere esecutivo, il legislativo, e l’aristocrazia del denaro),
ciascuno proporzionatamente all’elevatezza del grado, sollecito alla finzione (cfr. Tacito, Anna-
les, II, 36; Hist., I, 4; Arcana dominationis, Ann. II, 59; Arcana domus, Ann. I, 6).
( 178 ) Appare quanto mai appropriato il richiamo della definizione di arcana imperii acrivi-
bile al Clapmarius, definizione riportata nella pagine di P. de Francisci, op. ult. loc. cit., in cui
sono definiti come « abstrusae artes per quas a iure Imperii atque ab ipsa dominatione nomine se-
ditiosi prohibentur... Arcana vero rerum publicarum sunt modi et rationes conservandi illam im-
perii maiestatem ne ab alio occupetur... Arcanum imperii est excogitare rationes quibus contenta
plebs et quasi fascinata ab armorum usu abstineat ».
( 179 ) Così A. Clapmarius, De arcanis rerum publicarum, libr. I, cap. IX, citato da P. de
Francisci, Arcana imperii, cit., 14, nt. 3. Già dagli scritti di Grozio (nel De iure belli ac pacis)
emerge del resto l’associazione tra il mendacio e la « ragion di Stato », cfr. G. Ambrosetti, I pre-
supposti teologici e speculativi delle concezioni giuridiche di Grozio, Bologna, 1955, e R. De Mat-
tei, Il problema della « ragion di Stato » nel seicento. Ragion di Stato e « emendacio », Riv. int. fil.
dir., 1960.
( 180 ) Tutta la storia della nostra civiltà può essere rappresentata come alternanza o succes-
sione di formazioni politiche in cui prevale ora l’uno, ora l’altro tipo, potendosi al più verificare,
anche con riguardo alla disciplina positiva dei segreti pubblici, la prevalenza di un principio o del-
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 197
l’altro (« Arcana e segreti sono spesso ricordati a proposito di factiones, coniurationes, attentati
contro le istituzioni e l’ordine costituito », così R. Orestano, Sulla problematica..., cit., 30). Au-
torevole conferma di tali riflessioni ci sembrano, seppure a partire dall’analisi di fenomeni diversi
rispetto all’uso del segreto di Stato, i saggi di A. Pace, I limiti del potere, cit., 1-193.
( 181 ) Così P. de Francisci, Arcana imperii, cit., specie 36.
( 182 ) Cfr. nuovamente le pagine di P. de Francisci, Arcana imperii, cit., 15 che, mirabil-
mente evidenzia (ripercorrendone il significato a partire dalla preistoria della civiltà mediterranea
ed occidentale fino agli ordinamenti legali della prima metà del XX secolo), la riferibilità della no-
zione (utilizzata da Tacito per descrivere la trama segreta delle strutture politiche del Principato,
cfr. Annales II, 36; Historiae, I, 4; Arcana dominationis. Ann. II, 59; Arcana domus, Ann. I, 6) alle
« forze generatrici di una serie di fenomeni politico-giuridici in cui si ripete, sia pure con esiti varii
e con conseguenze diverse, la medesima antitesi irreducibile o la medesima alternativa perenne
tra due principi » quello di libertà e quello di socialità, essendo l’ordine « sempre concepito come
condizione necessaria della libertà », sì che « la volontà di ordine, nonché di conservazione e di
difesa dell’ordine costituisc(e) la base di qualsiasi aggruppamento sociale ». Senonché, l’autorità
del soggetto preposto a mantenere l’ordine presuppone un riconoscimento: autorità è una rico-
nosciuta superiorità di valore e la scelta tra una concezione della potestà fondata sull’autorità per-
sonale (di una o più persone fisiche o collettive) ed una concezione fondata sull’autorità o validità
di un ordinamento immediatamente involge le concezioni relative al fondamento del potere e
l’opzione tra la base costituzionale del medesimo e l’esaltazione di una base personale.
( 183 ) Così. P. Barile, Democrazia e segreto, Quad. cost., 1987, 29 ss.
198 ELEONORA RINALDI
ABSTRACT
Partendo dall’analisi della disciplina (previgente ed attuale) sul segreto di
Stato, il saggio si occupa dei limiti di ammissibilità dell’istituto nel nostro ordina-
mento quali emergenti dallo svolgimento del sindacato della Corte costituzionale
sull’osservanza dei limiti funzionali e materiali della segretazione.
La considerazione delle più importanti sentenze del giudice costituzionale in
materia di segreti pubblici, dalla sentenza n. 53 del 1966 alle sentenze nn. 82 del
1976 e 86 del 1977, consente così di ripercorrere la progressiva evoluzione dell’as-
setto dei rapporti tra ambito di esercizio della funzione di segretazione ed esigenza
di accertamento giurisdizionale dei reati.
In un ordinamento largamente ispirato dal metodo democratico – a garantire
la partecipazione del popolo all’esercizio del potere anche attraverso il controllo
sull’attività pubblica – si impone infatti indefettibilmente l’esigenza di graduare gli
interessi protetti dalle diverse categorie di segreto e l’adozione di modalità di con-
ciliazione tra immotivata ed insindacabile opposizione del segreto da parte del-
l’Esecutivo in fase di accertamento dei reati e principi costituzionali quali l’esclusi-
va sottoposizione del giudice alla legge (art. 101 Cost.), l’indipendenza della Magi-
stratura (art. 104 Cost.), l’obbligatorio esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.),
che tali interessi bilancino in modo diverso rispetto al determinarsi dell’automatica
paralisi della funzione giurisdizionale ove sia opposta l’esistenza di un segreto pub-
blico.
Essenziale è, pertanto, la verifica contenziosa di legittimità dell’opposizione
del vincolo di non conoscibilità di dati fatti, notizie e documenti che, con specifico
riguardo a fatti ed atti coperti da segreto di Stato, è espressamente assegnata alla
Corte costituzionale (v. ora art. 40, legge 124/2007).
Il mancato svolgimento di un efficace sindacato sulla motivazione del prov-
vedimento di conferma del segreto di Stato opposto in sede processuale implica
non semplicemente l’esclusione di qualsivoglia limite all’esercizio di una compe-
tenza governativa ma una più generale ridefinizione dell’equilibrio costituzionale
esistente; tale orientamento ingenera, infatti, l’opzione per un diverso principio
qualificante la nostra organizzazione politica, in cui la soggezione al potere deriva
unicamente dall’autorità personale di chi lo stesso detiene, piuttosto che dall’osser-
vanza delle regole esprimenti la volontà oggettiva di un ordinamento.
Le decisioni del giudice costituzionale sui conflitti di attribuzione insorti tra
potere esecutivo e potere giudiziario in materia di legittima opposizione processua-
le del segreto di Stato costituiscono, dunque, una preziosa occasione di ridefinizio-
ne dei limiti di ammissibilità dell’istituto nel nostro ordinamento e l’occasione per
una rilettura contemporanea della risalente nozione di arcana imperii che, superan-
done l’accezione di strumenti finalizzati alla sola conservazione del potere, ricono-
sca agli stessi il rango di irrinunciabili condizioni di esistenza della nostra comunità
politica, presidio ultimo della democrazia e delle libertà.
The essay concerns the admissibility of the State secret and it takes as a start-
ing point previous and current statutes as well some decisions of the Italian Con-
stitutional Court.
LA CORTE COSTITUZIONALE E GLI ARCANA IMPERI 199
The analysis of the most important decisions of the Constitutional Court (n.
53/1966 to n. 82/1976 and 86/1977) allows to disclose the development of rela-
tions between documents covered by the State secret and criminal jurisdiction.
In a democratic system, the interests protected by (documents covered by the
State secret) need to be graduated and balanced, in order to guarantee public con-
trol on government; constitutional principles about jurisdiction have to be ensured
so that an automatic paralysis of the jurisdiction could be avoided when public se-
cret is in question.
Therefore, the judgment by the Constitutional Court about State secret is
fundamental.
The absence of an effective check on the motivation behind a confirmative
act about State secret, raised in a criminal trial, entails unlimited powers for the
Cabinet and an alteration of the constitutional system of balances. That is because
the polity comes to be based on subjective power rather than on objective prin-
ciples.
As a result, constitutional decisions about conflicts of powers (the executive
power and the judicial one) give rise to a contemporary interpretation of arcana im-
perii, which goes beyond its ancient meaning (that is, a way for preserving power)
and recognize them as a precondition of the political community, in defence of
freedom and democracy.
Letture
Naseef Naeem, Die neue Bundesstaatliche Ordnung des Irak. Eine recht-
svergleichende Untersuchung, Frankfurt am Main, 2008, pp. 317.
la divisione dei poteri. Una divisione, peral- Certo, il testo del 1971, poi definitiva-
tro, sempre intesa come orizzontale, à la mente consolidatosi nel 1996, fa largo uso
Montesquieu, e mai come verticale (centro- dell’aggettivo “federale”, e per altro verso le
periferia). disposizioni concernenti il riparto delle
La seconda giustificazione ha origini competenze, al pari dell’adozione del crite-
storiche: essa risale infatti all’atteggiarsi cen- rio della residualità a beneficio degli Emira-
tralistico delle strutture di potere nell’area, ti, sembrano orientate nella medesima dire-
dal tempo della conquista islamica e durante zione. Non può però trascurarsi né che l’in-
l’impero ottomano, sino ai mandati europei troduzione della Costituzione sia avvenuta
del secondo dopoguerra. « willkürlich », con un atto, cioè, « arbitra-
Un terzo fattore, di carattere politico, rio », d’imperio – non, in altri termini, per-
ha radici nel nazionalismo panarabista quale ché sollecitata dalle collettività locali, ma
impulso ideologico di una dottrina dello per soddisfare un’esigenza delle élite al co-
Stato, che, ripudiando ogni tentativo di fra- mando – secondo un paradigma che si ris-
zionamento del potere, ammette tutt’al più, pecchia nell’incontrastata autorità degli
in alcune sue componenti minoritarie, l’idea Emiri e delle loro famiglie tanto a livello fe-
di una (con)federazione complessiva degli derale che dei singoli Principati (traduzione
Stati arabi, in vista della loro riunificazione. letterale dell’arabo imara, di cui “Emirato”
Il quarto elemento risiede nell’orga-
è una « storpiatura » occidentale); né che la
nizzazione sociale araba, fondata sull’appar-
maggior parte degli stessi Emirati sia sprov-
tenenza ad un ceppo familiare, e, all’interno
vista, come ammette lo stesso Naeem, di una
di esso, sull’incondizionata soggezione dei
struttura idonea all’esercizio di funzioni sta-
suoi membri ad un « capotribù »: Naeem
tali non meramente amministrative, tanto
adopera in proposito l’espressione « Stam-
mesmentalität ». Influisce infine, ma non da che alcuni compiti, segnatamente di natura
ultimo, una componente religioso-culturale, giudiziaria, sono stati delegati alla Federa-
allorché si dà carico di preservare la dimen- zione.
sione unificante dei valori collettivi del Ge- Esistono poi elementi, che, pur valu-
meinwesens islamico. tati dall’Autore, sono suscettibili di diversa
lettura. Naeem, ad esempio, segnala la man-
canza di una “seconda” camera nella quale
3. – Sulla linea di un orizzonte tanto
uniforme si staglia la fisionomia costituzio- possa esplicarsi la « partecipazione degli
nale degli Emirati Arabi, che, con la fonda- Emirati alla formazione della volontà della
zione dell’Unione del 1971, avrebbero dato Federazione »: può osservarsi in contrario,
vita, a giudizio dell’Autore, alla prima, ec- non solo che tutti gli esponenti degli organi
centrica, esperienza di Stato federale arabo, federali provengono dalle istituzioni locali,
anticipando il corrente progetto iracheno. ma che, semmai, a fare difetto nell’architet-
Sembra tuttavia lecito, a chi scrive, dubitare tura costituzionale degli EAU è, ancora pri-
dell’autentica appartenenza dell’Unione de- ma che una “seconda”, una “prima” camera
gli Emirati al genus federale, almeno nei ter- parlamentare. L’Assemblea Nazionale, in-
mini così sicuri prospettati da Naeem. Altri, fatti, atteso che i suoi membri non ricevono
ad esempio Watts – il quale, tuttavia, pren- alcuna investitura democratica, ma vengono
de posizione in merito solo nella terza edi- designati dagli Emiri in misura non propor-
zione del suo “Comparing federal systems”, zionale alla popolazione dei singoli Emirati,
pubblicata successivamente all’opera di somiglia più ad un Senato federale che ad
Naeem e non citata quindi nella bibliografia un’autentica assemblea rappresentativa. Da
– leggono l’esperimento emiratino come questo limitato punto di vista, anzi, la par-
una creatura ibrida, al confine con una con- ziale democratizzazione dell’organo, preco-
federazione, accostandolo ad altri sistemi nizzata nel 2005 dal Presidente Khalı̄fa bin
sui generis come l’Unione Europea. Zāyed Āl Nahayān (v. p. 57, nt. 186), aggra-
LETTURE 203
ziali dello Stato venga anteposta alla previ- l’ordinamento tratteggiato dalla nuova Car-
sione di garanzie per i suoi cittadini. ta rappresenti un regime “misto”, la cui tra-
La collocazione « preminente » (an ma è intessuta sia di caratteri dello Stato re-
dieser prominenten Stelle) del principio fe- gionale, sia di ingredienti del federalismo,
derale obbedisce, comunque, ad un’ulterio- ma viene ordita su un telaio – fuor di meta-
re ragione: quella di riflettere la priorità, fora: su una struttura – in cui permangono,
non soltanto logica e simbolica, dell’edifica- sostenuti dai gruppi politico-religiosi più
zione di uno Stato « federale », « unitario », conservatori, forti elementi centralistici.
« indipendente », « sovrano », « repubbli- La via irachena al decentramento –
cano », « rappresentativo », « parlamenta- soluzione che, sia detto per inciso, rappre-
re » e « democratico », rispetto alla possibi- sentava l’unica « adeguata alternativa » per
lità di assicurare la tutela delle libertà e degli il Paese – reca inscritto questo triplice carat-
altri diritti soggettivi. tere nel proprio codice genetico: sulle ceneri
Sul piano dei principi, l’Autore non di un ordinamento unitario, la genesi ab alto
trascura, poi, di rilevare come la duplice ed delle componenti substatali segue, anziché
esplicita menzione del carattere a un tempo precedere, la formazione del Bund, ma con
federale ed unitario dello Stato iracheno dia l’importante eccezione di una regione già
luogo ad una tensione dialettica di fondo, la esistente e di riconosciuta autonomia (il
cui esistenza non è in ogni caso priva di cau- Curdistan) destinata – onde evitare le asim-
se immediate nonché di precedenti nel co- metrie del modello spagnolo – a servire da
stituzionalismo comparato, con particolare archetipo per l’istituzione delle altre.
riferimento al testo spagnolo in vigore (che, L’ispirazione federale connoterebbe
sulla scia della Costituzione italiana – art. 5 però in via esclusiva, secondo Naeem, la
– contiene un analogo doppio richiamo). La qualità statale di cui parteciperebbero le Re-
nuova Costituzione irachena, del resto, pre- gioni – ma non le cosiddette “Province non
senta sotto diversi aspetti analogie notevoli incorporate in una Regione”, che rappre-
con la Carta iberica, che Naeem eleva a sentano un caso particolare – per merito
principale termine di paragone all’interno di dell’attribuzione di un potere costituente
un più esteso sistema di raffronto che inclu- “interno”, oltre che di funzioni legislative,
de il Grundgesetz e la Costituzione degli esecutive e giudiziarie da esercitare in auto-
Emirati. Il parallelo consente all’Autore an- nomia rispetto ai poteri federali; né varreb-
che di marcare differenze significative. Egli be a dimostrare il contrario la circostanza
rileva, ad esempio, come nel testo iracheno che la procedura costitutiva delle Regioni
il riconoscimento della (esistenza di una) stesse debba essere disciplinata da una legge
pluralità dei gruppi etnici, religiosi e confes- statale, oltretutto monocamerale, dovendo
sionali, non si accompagni – diversamente questa essere considerata alla stregua di una
che nella Costituzione spagnola del 1978 – « legge meramente formale » (rein formelles
alla attribuzione ad essi di un esplicito dirit- Gesetz), giacché « dovrà limitarsi a discipli-
to all’autonomia; la presenza di una simile nare il procedimento di formazione delle
lacuna – o, se si vuole, di una simile ambi- Regioni »: una spiegazione che suona, per la
guità – lascia aperto, sul piano del processo verità, alquanto apodittica.
costitutivo delle regioni, un ventaglio di Sul piano del riparto delle competen-
possibilità di cui la monografia in commen- ze (tanto legislative quanto amministrative),
to offre una dettagliata illustrazione. norma chiave è la clausola residuale conte-
Si è ora accennato al confronto tra il nuta nell’art. 111 (della versione al 15 otto-
disegno costituzionale iracheno e il regiona- bre 2005, cui fa riferimento l’Autore; art.
lismo spagnolo, da un lato, e, dall’altro, i si- 115 del testo definitivo), clausola, che, in as-
stemi federali della Germania e – con i limiti senza di disposizioni speciali e attesa la sua
in precedenza accennati – degli Emirati Ara- formulazione in termini perentori, chiude-
bi Uniti: la tesi di Naeem è, in effetti, che rebbe i margini lasciati aperti dall’art. 30
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