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Gemma Adesso
Abstract: La ragione estetica di Annamaria Lossi è un saggio che, ripercorrendo le ‘ragioni’ dalle quali è
scaturita la décadence occidentale, sottolinea la centralità ‘estetica’ della filosofia di Nietzsche come esigenza
di radicale trasformazione, nel senso di un ritorno alle radici del logos come istinto creativo di sopravvivenza.
L’elemento di creatività è insito nella vita stessa, da esso Nietzsche-Lossi partono per un ripensamento del
dell’uomo.
***
È quasi impossibile contare e leggere tutti i libri che ogni anno si pubblicano su
Nietzsche, sembra che attorno al suo pensiero e alla sua figura si rivitalizzi continuamente
una generale mitomania che possiede gli esegeti di ogni tipologia, estimatori e detrattori.
Per un banale calcolo di probabilità, può quindi capitare di imbattersi in un testo che tenta
di illuminare qualche zona d’ombra o, semplicemente, di abitarla: il saggio di Annamaria
Lossi, La ragione estetica. Saggio su Nietzsche1, edito da ETS, è una riflessione intelligente
sul problema di metodo che ossessionò Nietzsche per tutta la vita. Il metodo è quello del
rovesciamento e l’ossessione è quella per il linguaggio.
Il titolo è già una dichiarazione d’intenti: la potenza eversiva dell’ossimoro mette in
discussione dati acquisiti e certezze consolidate; si tratta di due parole chiave – ragione ed
estetica – che, unificate, creano nuove possibilità di pensare la filosofia. Come sottolinea
bene Lossi attraverso Nietzsche, l’arte non si oppone alla ragione ma ne è fondamento:
La ragione estetica coniuga l’istanza vitale del divenire e dell’essere, afferra il divenire trasformandosi
anch’essa, individuando quei tratti salienti che vanno man mano esibendosi nelle forme del reale in
continua evoluzione, fissandoli in un primo momento, ma per poi oltrepassarli e continuare a seguire gli
impulsi del dar forma e del distruggere2.
Quando si parla, con il suono (Ton) e la sua cadenza, la forza e il ritmo della sua risonanza viene
simboleggiata l’essenza della cosa, e con il movimento della bocca (Mundgeberde) viene simboleggiata la
rappresentazione concomitante, l’immagine, l’apparenza dell’essenza 3.
1 A. Lossi, La ragione estetica. Saggio su Nietzsche, ETS, Pisa, 2012. Si segnala anche: A. Lossi, L’io postumo.
Autobiografia e narrazione filosofica del sé in Friedrich Nietzsche, Mimesis, Milano-Udine, 2013.
2 Ivi, p. 19
3 F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, § 41, in KGW, vol. III, tomo II, pp. 74-74.
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© Logoi.ph – Journal of Philosophy – ISSN 2420-9775
N. II, 5, 2016 – Thinking Migrations
Il balbettio iniziale della filosofia legata al mito, nelle vesti di una nuova forma di sapere, è
l’espressione di una problematicità. La filosofia è la prima forma di pensiero razionale che, a differenza
del mito, si avvale di una metodologia che si appella alla ragione e non più al sentimento, e al logos inteso
come ragionamento e linguaggio, e non all’immagine, realizzando, da un lato, la prima divisione tra
parole e cose, separando l’essere dal linguaggio, ma creandone, dall’altro, anche le nuove condizioni di
possibilità affinché la realtà possa essere compresa e dotata di significato 5.
Il terzo capitolo, Estetica del rovesciamento, anticipa la messa in atto finale del
ribaltamento attraverso una fisiologia dell’arte che, partendo da un rovesciamento del
platonismo, torna ad una trasvalutazione della vita passando necessariamente per la
svalutazione dei valori supremi («abbiamo l’arte per non perire a causa della verità»)6,
l’attenzione si focalizza così sul secondo termine chiave, l’estetica.
Nell’ultima parte, La ragione simbolica, si compie quel rovesciamento paradigmatico
che, dal dire al creare, ritorna idealmente dal creare al dire: tutti gli scritti di Nietzsche non
sono che l’instancabile tentativo (autocritico) di dire la vita contro il dominio del concetto
partendo da un atto simbolico creatore; come ricorda Lossi, «la figura di Zarathustra
rappresenta questa sfida del pensiero davanti all’infinito»7.
Per una ‘dinamica della liberazione’, è necessario dunque ripartire da una caverna,
magari istoriata 35 mila anni fa, per riabilitare la vista in un processo di necessaria
dimenticanza («dimenticare implica un atto tutt’altro che passivo: riuscire a dimenticare
significa trasporre una presenza nell’assenza»)8 in cui la creazione contiene già i termini
della propria distruzione, una lacerazione originaria: «si risale alla luce con estrema
difficoltà, con dolore fisico agli occhi, in quanto si è abituati al buio della caverna»9.
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