Sei sulla pagina 1di 21

LA QUALITA’

NELL’URBANISTICA
Da alcuni decenni l’Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici (ANCSA) ha posto il tema della città
esistente e di una possibile riqualificazione in termini fisici e funzionali. Progettare sull’esistente significa
intervenire su contesti carichi di memoria e di senso, vissuti da gruppi sociali. La sperimentazione di nuove
modalità d’intervento sono in corso, sono chiamati operatori a dare vita ad una nuova urbanistica”. Anni di
dibattito, anni di riflessione e di ricerca sui temi diversi, ma legati dall’obiettivo comune di ricercare una
nuova qualità nel “fare urbanistica”.

VERSO UN’URBANISTICA DELLA QUALITA’


(Premessa di Stefano Storchi)
Da qualche decennio la disciplina urbanistica è alla ricerca di una dimensione qualitativa; da quando la
diffusione della tecnica dello zoning e l'applicazione degli standard hanno reso e enti criticità della
pianificazione tradizionale. Ha preso allora avvio il cammino verso un'urbanistica della qualità che ha
sortito due risultati contraddittori: il primo è lo stimolo alla ricerca di nuovi strumenti tecnici volti a
superare i limiti insiti nei piani redatti sulla base della legge urbanistica n. 1150 del 1942 e dai primi
provvedimenti emanati dalle regioni a partire dalla fine degli anni Settanta. Il secondo risultato è consistito
nell lutazione degli esiti via via conseguiti e nella frustrante constatazione che anche i nuovi strumenti
adottati non avevano arrestato il progressivo decadimento qualitativo delle città. Da questa
consapevolezza è scaturito un nuovo dibattito sulle forme del piano urbanistico.
La ricerca di un percorso verso una più elevata qualità dell'urbanistica da qui deve partire: dalla
consapevolezza che in gioco non sono solo scelte tecniche, strumenti di piano, ma prima di tutto e
soprattutto capacità di governo dei processi di trasformazione, di rigenerazione urbana. Dunque parlare di
qualità nell'urbanistica non significa esprimere un giudizio estetico sul piano, bensì cogliere la sua capacità
di delineare processi evolutivi per la città. Un primo elemento di valore riguarda infatti la capacità del piano
di non entrare in conflitto con le forme della città esistente. L’Urbanistica è l’analisi della storia urbana; è
conoscenza dei caratteri identitari di un luogo; è comprensione delle dinamiche interne ai gruppi sociali
che compongono la città. La tendenza invalsa di recente è quella di sostituire il piano con programmi di
carattere gestionale (agende, masterplan, programmi strategici, ecc.). La capacità di associare questi tre
fattori - il tempo, il disegno e le politiche urbane - costituisce il requisito di fondo per un'urbanistica della
qualità. Resta però da ribadire come il piano o il progetto si debba fare carico anche del requisito di
fattibilità economica, ma non solo e di qualità formale.

STRATEGIE PER LA QUALITA’ URBANA


(Introduzione di Roberto Gabrilelli)

Oggi siamo alle "bucce" di tentativi di valorizzazioni marginali, i luoghi in cui il livello di investimento
privato più basso e dove il costo sociale complessivo è più alto. Ci stiamo dicendo che le leve fondamentali
delle trasformazioni insediative e territoriali girano a bassissimi regimi o sono addirittura regressive: crisi
economica già decennale e crescente precarizzazione del lavoro; grandi difficoltà a garantire un adeguato e
appropriato livello di investimenti pubblici sulle città e sulla sicurezza territoriale. Dunque la risposta non
può che essere la rigenerazione urbana/territoriale e un severo controllo del consumo dei suoli che
perlomeno cerchino di rimettere al lavoro l'enorme patrimonio immobiliare accumulato e impediscano
l’aggravarsi del costo economico-sociale, resta il problema del come farlo. 
Credo utile segnalare alla discussione l'approdo fin qui raggiunto dalla proposta di nuo- va legge urbanistica
che la Giunta dell'Emilia-Romagna ha recentemente deliberato, essa provvede a sgombrare il campo da
un'enorme mole di previsioni urbanistiche. L'innesco del processo rigenerativo è incentrato su una
strategia per la qualità urbana e ambientale a regia pubblica che punta ad una forte riqualificazione/
prestazione dello spazio pubblico e delle sue reti quale innesco di u contestuale rivalorizzazione della città
privata a partire dall'incremento della sicurezza statico-sismica e dell'efficienza energetica. Allo stesso
modo il nuovo piano contempla la fase degli uso temporanei, cercando dunque di non perdere di vista
quanto di irrisolto si muove e si produce in ambito urbano.

LA QUALITA’ COME ATTENZIONE AL CONTESTO


(di Patrizia Gabellini)
1. Un’idea diffusa e un’interpretazione
La mia interpretazione del tema della qualità in urbanistica è necessariamente “tendenziosa”.
L’impoverimento dell’urbanistica ha prodotto una sorta di delega della qualità all’architettura.
A seguito della presa d'atto della nuova condizione urbana, l'attività di progettazione urbanistica è andata
concentrandosi sui cambiamenti (necessari, auspicabili, possibili) da introdurre all'interno di una situazione
data, per cui è emersa con evidenza la questione dell'inserimento, quindi contesto, dei suoi caratteri
morfologici prima che funzionali. Con questi scarni riferimenti - quasi allusioni - ho inteso spiegare la
(doppia) tendenziosità della mia interpretazione: da un lato circo- scrivo la qualità urbana ai caratteri dello
spazio fisico un restringimento della densità di significati e valori nella qualità urbana, dall'altro la
persistenza del lavoro su questi aspetti in alcuni ambienti culturali. In questo senso, la nostalgia per
l'urbanistica ottocentesca e pre-moderna, è anche una forma di rigetto del modernismo. 

2. L'irruzione del progetto urbano 


Un acceso dibattito che, dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso fino oltre la seconda metà degli
anni Ottanta,ha contrapposto pro- getto urbano al piano urbanistico. Il progetto urbano rappresentava
allora il nuovo; gli si attribuiva la capacità di recuperare quella dimensione di "composizione urbana" che
era stata perduta col piano urbanistico di matrice razionalista veniva visto come un'operazione che, a
differenza del piano, aveva il pregio di essere economicamente definita e sostenibile, di avere una durata
che consentiva di misurarne gli effetti. Quindi, non una previsione bensì un'azione concreta. In vari Paesi
europei, l'intervento per parti, con attenzione alla forma dell’insediamento e con la necessità di mettere a
punto criteri progettuali diversi da quelli abituali dell'architettura, si era imposto come maniera per
affrontare la ristrutturazione “moderna" della città. Dalla sua irruzione nel discorso e nelle pratiche, il
progetto urbano si é via via caricato di altre valenze, mutando il linguaggio dell’urbanistica del planning.
Tra un progetto urbano e piano urbanistico si è verificato un travaso che ha prodotto una revisione degli
approcci, delle tecniche delle procedure e degli strumenti. 

3. Le dimensioni del contesto


Lavorando in situazioni molto diverse si comincia a parlare di "cucire e "legare" (termini recentemente
usati da Renzo Piano per sintetizzare i criteri di intervento sulle periferie). La rilevanza del contesto lievita
e un modo per trattarlo è il "progetto di suolo", espressione di successo Bernardo Secchi. I primi piani a
esibire questa impostazione, infatti, sono stati il piano regolatore di Sassuolo e il piano per il centro storico
di Caltagirone, entrambi del 1984. Il piano regolatore di Siena del 1990, per l'importanza della città, è stato
quello che ha dato maggiore evidenza al progetto di suolo: lo spazio aperto, consentiva di raccordare le
trasformazioni (i progetto urbani) al contesto, coinvolta in una sorta di grande “rammendo”. Per la sua
continuità e articolazione esso ricostruiva la struttura di una città non più compatta. Gli "schemi direttori”
catene di interventi che si tengono insieme in quanto perseguono un obiettivo comune. Comparsi a Siena,
a Roma (2000) chiamati "ambiti di programmazione strategica" a Jesi e a Bologna (2008) "figure urbane e
territoriali". Nel momento in cui l'intervento all'interno della città non è più episodico ma diventa
"normale", non può essere esclusa l’esplicitazione degli obiettivi perseguiti attraverso l'insieme delle
operazioni. Decidere il contesto è un atto di responsabilità in quanto comporta la selezione dei problemi di
cui tenere conto e l'individuazione delle aree sulle quali l'intervento riverbera effetti positivi e negativi.
Questi ragionamenti sono implicati dal Documento Programmatico per la Qualità Urbana che la legge della
Regione Emilia-Romagna richiede nella costruzione del Piano Operativo Comunale, Bologna ha usato
ampiamente questo strumento. In sintesi, la qualità di un'urbanistica della trasformazione, in una città
dilatata e discontinua, a me sembra legata ai rapporti, alla valutazione attenta delle relazioni che si
stabiliscono tra le singole azioni, tra la catena di azioni e il loro contesto.

DIECI REQUISITI PER LA QUALITA’ NELL’URBANISTICA


(di Federico Oliva)
L'urbanistica è una disciplina applicata. Non esiste quindi una teoria dell'urbanistica, disciplina che esiste in
quanto la si pratica perseguendo molteplici finalità concrete che convergono in un obiettivo garantire ad
una comunità migliori condizioni di vita nell'abitare, per questo nasce l'urbanistica moderna dopo la
rivoluzione industriale, con le sue teorie, tutte indirizzate a sostenere la sua missione finale e quando
questa missione si perde, anche per uno solo dei suoi obiettivi, la qualità del'urbanistica scende. La
"bellezza" di una città dipende più dalla qualità dell'urbanistica che da quella dell'architettura. Come si fa a
identificare la qualità nell'urbanistica? Sono almeno nove i principali requisiti che concorrono a
determinare la qualità del progetto urbanistico e che devono, in buona parte, essere compresenti:
l'efficienza, la fattibilità, l'equità, l'inclusione sociale, mix funzionale, la sicurezza, la sostenibilità
ambientale, lo spazio pubblico, la tutela della bellezza; a questi se ne aggiunge un decimo, che in realtà è
una condizione generale, gestione del progetto. Tutti concorrono a determinare la "bellezza" o la "brut-
tezza" di una città e di un territorio, termini del tutto utilizzabili per identificare non solo la qualità estetica,
ma quella più generale del progetto urbanistico.

1. L'efficienza
Garantire l'efficienza della città è il primo requisito: la mobilità che deve essere parte integrante del
progetto urbanistico, le reti tecnologiche ed energetiche devono essere parte integrante del progetto
urbanistico e non aggiunte successivamente, le dotazioni territoriali. Una città (o un territorio) con una
mobilità e reti efficienti, che governa i flussi energetici in modo razionale e sostenibile (anche
economicamente), che ha una buona quantità e distribuzione di dotazioni territoriali è una città bella"
indipendentemente dalla sua morfologia.

2. La fattibilità
Un progetto urbanistico per essere di qualità deve essere fattibile deve cioè potersi realizzare
completamente nei tempi programmati condizione che non si realizza quasi mai, perché i progetti
urbanistici non sono mai commisurati alle risorse disponibili, ciò è dovuto all’assenza di qualsiasi
disposizione che obblighi la disponibilità preventiva delle risorse necessarie per l'attuazione, che nessuna
legge regionale ha mai neppure provato a correggere.

3. L’equità
Nell’urbanistica italiana l'equità è un requisito poco praticato perché nel nostro Paese il peso della rendita
fondiaria si fa sentire più che in altri ad analogo regime economico; si tratta di una condizione storica che la
politica ha rifiutato di riformare. Un problema strutturale, quindi, irrisolto, che è stato solo in parte
mitigato dalla perequazione urbanistica e che ha provocato danni enormi all'economia nazionale
sottraendo grandi risorse agli investimenti e che ha anche con cesso mano libera alla speculazione edilizia.
Una città costruita senza regole, che ha accumulato grandi ricchezze sottraendo risorse alla collettività e
garantendo alle necessità di questa solo una quota marginale, non solo é iniqua, e anche "brutta".

4. L'inclusione sociale
La "bruttezza" di una città dipende anche dalla presenza di differenze conflitti sociali sempre più accentuati
si moltiplicano, anche in Italia, le situazioni di chiusura e isolamento (le gated comunities), quartieri
considerati di alta qualità (e venduti come tali), ma in realtà "bruttissimi" proprio per l'esplicita condizione
di isolamento su cui si fondano; mentre poco si è fatto per rimuovere le condizioni di esclusione sociale che
caratterizzano gran parte delle periferie senza accessibilità e senza servizi. La rigenerazione urbana, non
tratta solo di un progetto di trasformazione fisica di parti degradate, ma anche di un progetto di inclusione
sociale.

5. Il mix funzionale
La città nasce come un organismo nel quale una pluralità di funzioni convivono in uno stesso spazio
urbano. Tutta l'urbanistica italiana ha utilizzato lo zoning funzionale, cominciando solo verso la fine stessa
fase a rendersi conto della qualità scadente delle nuove parti monofunzionali di città. I quartieri
"dormitorio" i centri direzionali completamente deserti dopo la chiusura degli uffici, le zone industriali
totalmente monofunzionali rappresentano aspetti largamente diffusi di mancanza di qualità urbanistica. Al
contrario la realizzazione di nuove parti di città qua polifunzionali contribuiscono a creare situazioni di
maggiore vivibilità, a ridurre il traffico individuale e i consumi energetici In sintesi a realizzare città più
"belle".

6. La sicurezza
Anche la sicurezza della città è un elemento di qualità e quella del territorio, deve perseguire, riducendo i
rischi dovuti alle catastrofi naturali: i terremoti, il dissesto idrogeologico, le conseguenze dei cambiamenti
climatici. Un'attenta analisi preventiva è la condizione di base per elaborare progetti urbanistici che,
garantendo la sicurezza del territorio, ne tutelano anche la qualità e la bellezza, mentre per quanto
riguarda la città, un progetto urbanistico attento alla sicurezza delle persone e che si occupa quindi della
modellazione della viabilità, della introduzione di forme di mobilità dolce", dell'aumento delle aree
pedonali, dell'integrazione regolazione del traffico, della progettazione degli spazi aperti sono sempre
elementi di qualità e quindi di "bellezza”.

7. La sostenibilità ambientale
La sostenibilità ambientale della città dipende dalla riduzione/azzeramento del consumo di suolo perché il
suolo è una risorsa finita, non può esse generata e deve essere tutelata. E’ necessario incrementare la
superficie delle aree verdi urbane e il numero delle piante per incrementare la rigenerazione naturale della
risorsa fondamentale "aria" attraverso la fotosintesi la sostenibilità passa anche attraverso la riduzione di
ogni forma d'inquinamento.

8. Lo spazio pubblico
Lo spazio pubblico ha sempre caratterizzato la bellezza della città. L'apprezzamento è dovuto ai
monumenti e alle belle architetture, ma soprattutto alla qualità e alle dimensioni dello spazio pubblico che
ci fa sentire a nostro agio, luogo perfetto dove passeggiare, fare shopping. Lo stesso non possiamo dire per
gli spazi pubblici della città contemporanea, incompiuti senza funzioni vitali, poco sicuri.

9. La tutela della bellezza


Riguarda la tutela del la bellezza, vale a dire beni artistici e culturali, il patrimonio edilizio storico, il
paesaggio. Vincolare, tutelare, conservare, rappresentano scelte in realtà molto più facili
piuttosto che trasformare, riqualificare e rigenerare. Meno facile è pianificare tutela e conservazione
garantendo al contempo la valorizzazione e la fruizione dei beni vincolati: l'urbanistica italiana si è distinta
nella tutela dei centri storici, anche se spesso ci venuto più per le pietre e i mattoni con i quali erano
costruiti che per il tessuto sociale che li abitava.

10. La gestione del progetto


L'ultimo requisito di qualità citato consiste nel passaggio dal piano al progetto di architettura finalizzato
all'attuazione; si tratta di una funzione strettamente pubblica, che compete cioè alla pubblica
amministrazione. Questo passaggio, non può mai essere un semplice trasferimento di scala ma comporta
un'interpretazione del progetto urbanistico. A risentire maggiormente è stata la qualità del progetto,
spesso superata da varianti che ha ridotto il piano a un semplice strumento di ratifica di decisioni politiche,
facendone smarrire originario. Una situazione che oggi inizia a mostrare qualche cambiamento
significativo, se insufficiente, da quando alcune Regioni hanno cominciato a sperimentare la nuova forma
strutturale del piano in sostituzione di quella regolativa.

SVILUPPO SENZA CRESCITA


(di Bruno Gabrielli)
Sviluppo senza crescita è un gioco di parole per significare una nuova condizione che la crisi che incombe
su di noi suggerisce come obiettivo da perseguire. Negli anni del "boom" economico abbiamo avuto uno
sviluppo caratterizzato da una forte crescita in termini di consumi: di risorse, di territorio. Si vorrebbe uno
sviluppo orientato: sui valori. Valori di solidarietà, di riequilibrio nell'uso delle risorse, ma soprattutto di
riequilibrio nella distribuzione dei beni e dei servizi disponibili, dato che ci siamo resi conto che lo sviluppo
ha creato più disuguaglianze che nel passato, concentrando sempre più ricchezza su una parte privilegiata
della popolazione e creando una nuova povertà. In Italia si parla di "scomparsa" del ceto medio. Gli anni
Settanta, sono gli anni della nascita delle Regioni, delle leggi nazionali, il consumo di suolo aumenta senza
limiti nella totale assenza di una politica per il territorio. A fronte di questo disastro ambientale nascono
nuovi "slogan": costruire sul costruito, no allo spreco di suolo, sviluppo sostenibile. Nonostante questi
forti richiami piani urbanistici sono redatti come se fosse possibile innescare questo nuovo corso oro
interno, senza renderci conto che in realtà è necessario un radicale cambiamento.
Il piano urbanistico è uno strumento imperfetto, fra tutte le istanze di cambiamento, la più cogente
riguarda la sburocratizzazione delle procedure urbanistiche. Se dunque occorre in primis sburocratizzare il
piano, si rende necessario porre ordine in almeno tre questioni: il ruolo dell'Ente Regione, il ruolo della
Soprintendenza, il ruolo che assume il fattore tempo.
a) La Regione dovrebbe avere il solo ruolo di verifica della legittimità del piano. La dimostrazione che il
piano è strettamente conforme alle norme vigenti compete al Comune, la Regione deve limitarsi ad una
verifica.
b) La Soprintendenza ha il ruolo di valutare le scelte del piano in mate- a di beni culturali, ma, una volta che
le approva, nella fase attuativa del piano dovrebbe essere tenuta a tener.conto del parere po- sitivo già
dato. L'esercizio di natura discrezionale dei poteri dei Soprintendenti è posto in discussione in varie sedi,
parrebbe dunque necessario porre delle condizioni per evitare un esercizio contraddittorio di tale potere-
come accade - e che comporta danni e ritardi di non poco conto nella realizzazione di opere pub- bliche e
private.
c)Tutti gli enti sovraordinati dovrebbero essere tenuti a dare i propri pareri in tempi limitati e precisati. II
piano, una volta adottato, dovrebbe essere approvato entro un tempo limitatissimo. L'obiettivo del piano,
per essere perseguito, deve avere perciò come riferimento o l'area metropolitana, o un'area
comprendente più co-muni obbligatoriamente consorziati Ma di che genere di piano urbanistico si tratta?
Possiamo chiamarlo Piano Strutturale, dunque un piano di lungo termine, soggetto ad aggiornamenti e la
cui durata non può essere minore di dieci anni. Ma di che piano di tratta?
Di un piano che:
1. disciplina l'esistente con poche norme e con contenuti soprattutto di natura "comportamentale". Per
norme comportamentali si intendono quelle norme che consentono la realizzazione di intervento solo a
condizioni di accordo pubblico/privato. Questa modalità si rende necessaria per gestire una necessaria
ipotesi di flessibilità del piano in tempi non solo crisi, ma anche di incertezze, condizioni di flessibilità
dovute al verificarsi di determinate condizioni.
2) individua una serie di interventi di interesse pubblico all'interno del territorio urbanizzato, senza più
modificare sia su aree di recupero la cui priorità dovrebbe consistere nella dotazione di servizi e di aree
pubbliche. Conseguenza di questo è che il piano deve ritornare al disegno urbano. Un disegno urbano
capace di legare la città esistente e la sua trasformazione. In sintesi gli strumenti tecnico-urbanistici atti a
dar vita ad un nuovo corso basato sulla valorizzazione dei beni culturali e sulla semplificazione delle
procedure. 
TRA PIANI E PROGETTI NEL TEMPO DELLA CRISI
APPUNTI DA UNA RIFLESSIONE
(di Silvia Viviani)
1. Il cambiamento e la necessità di un progetto unificante
I cambiamenti che abbiamo difronte a noi riguardano temi complessi e diversificati: la composizione delle
popolazioni insediate, molteplicità degli assetti urbani. Assistiamo a un dibattito articolato in argomenti
puntuali. Per noi urbanisti, questi sono comportamenti di un approccio unitario, tendente a migliorare le
condizioni sociali della popolazione. La centralità che ci porta a occuparci di rigenerazione urbana non è
separabile dal perseguimento degli obiettivi del riequilibrio insediativo. E’ un progetto da gestire con
impegno costante, riportando l’attenzione al “come”, ai continui mutamenti delle pratiche sociale alle loro
influenze sulla città fisica. Il problema di “come” intervenire sulla città contemporanea va affrontato con
tecnica esperta e spessore culturale. Dobbiamo predisporre un’analisi efficace del cambiamento per
indicare scenari convincenti.

2. I temi in agenda
a) rigenerazione urbana generalizzata;
b) disegno di riassetto istituzionale;
c) pianificazione capace di interpretare il futuro:
d) individuazione di ambiti con maggior propensione allo sviluppo;
e) riaggancio fra progetto di modernizzazione tecnologica e progetto dei luoghi;
f) promozione di pratiche che portino alla rimodulazione del sistema welfare.

3. La riforma mancata
- integrazione degli aspetti ambientali della pianificazione;
- utilizzo dei metodi perequativi e compensativi per una politica fondiaria favorevole agli interessi generali;
- sdoppiamento del piano comunale in una componente strutturale e una operativa.

STRUMENTI PER LA QUALITA’NEL PROGETTO URBANISTICO


(di Michele Zanelli)
Riflettere sul tema della qualità urbana compete ai cittadini ed apprezzare i risultati una volta che si siano
tradotti in spazi e situazioni urbane. L’effetto irreversibile della crisi economica è di aver annullato il fattore
di crescita e di trasformazione urbana. Le opportunità di riconversione del patrimonio esistente e di
riqualificazione dipendono dalla capacità del privato di intraprendere un confronto costruttivo col
pubblico. In questo modo si sancisce l’interesse pubblico per gli interventi di rigenerazione considerati
strategici per la città e si può quindi operare attraverso un sistema di accordi pubblico-privato che la legge
del 2009 “Governo e riqualificazione solidale del territorio” ha poi introdotto i contenuti essenziali del
Piano Operativo Comunale (POC), il Documento Programmatico per la Qualità Urbana (DPQU). Attraverso
questo strumento, la legge regionale rafforzava il ruolo del POC di individuare le priorità e i fabbisogni da
soddisfare nell’accordo tra politiche pubbliche e le iniziative private sul territorio. La crisi economica e il
conseguente blocco delle attività del settore edilizio hanno impedito di sperimentare su questo nuovo
approccio. In vista della riforma della legge regionale, il DPQU possiede una valenza strategica in quanto
individua obiettivi e opportunità di miglioramento della qualità urbana.
Si possono riconoscere tre momenti nella formulazione del DPQU:
- la definizione degli obiettivi,
- il quadro conoscitivo relazionato alla verifica dello stato di fatto e all’analisi della domanda dei servizi,
- la terza fase consiste nella proposta di schede d’ambito, che contenga per ogni situazione urbana inserita
nel POC, uno schema delle azioni progettuali previste per il raggiungimento degli obiettivi di qualità e di
riequilibrio delle dotazioni territoriali. Una particolare attenzione dovrà essere rivolta alla verifica dei tempi
e dei costi di attuazione e delle procedure. La stessa legge regionale del 2009, nel voler dare impulso alla
partecipazione dei cittadini, ha aggiunto il concorso di architettura.
Nel nuovo ordinamento dei livelli di governo locale, la funzione della pianificazione comunale viene
confermata e rafforzata, mentre il livello di area vasta deve ancora trovare una forma istituzionale. Nella
prospettiva della rigenerazione urbana. Il RUE deve diventare il nucleo centrale del nuovo piano comunale,
strumento che integra e sostituisce il POC. Il livello operativo sarà così supportato da un piano di dettaglio
che copra l’intero territorio comunale e tenga conto della differente natura e degli insediamenti urbani
esistenti e del territorio rurale, dettando una disciplina delle trasformazioni per parti omogenee: per
ciascuna di esse il DPQU declinerà l’assetto infrastrutturale e di servizi esistenti. Il piano si attuerà
attraverso programmi di recupero e riqualificazione, mentre per interventi complessi sarà necessario un
piano urbanistico attuativo.

LA RIGENERAZIONE COME FATTORE DI QUALITA’ URBANA


APPUNTI DA UNA RIFLESSIONE
(di Arturo Lanzani)
1. Una scelta non scontata
Rispetto alla riflessione che lega la pratica della rigenerazione, occorre svolgere una prima considerazione
preliminare, che non è per nulla scontato che al centro di fare urbanistica, delle trasformazioni nei prossimi
anni ci sia proprio la rigenerazione urbana.

2. Cosa intendiamo per “rigenerazione urbana”?


“Rigenerazione urbana” innanzitutto è un termine utilizzato per ridefinire le operazioni di ristrutturazione
urbanistica su aree dismesse che negli ultimi trent’anni hanno caratterizzato l’attività urbanistica. Tropo
spesso si è proceduto facendo tabula rasa degli insediamenti preesistenti, non valorizzando in senso
ecologico la quantità di energia contenuta negli edifici, e spesso non valorizzando la dimensione storico-
documentale che alcuni dei manufatti possedevano. Un ulteriore limite è riscontrabile nel progetto dello
spazio tra gli edifici, che è stato spesso deludente: il disegno del suolo spesso di scarsa qualità, ha garantito
qualche spazio verde, ma applicata all’interno degli interventi di ristrutturazione urbanistica spesso è
risultata deludente e sempre ha avuto una dimensione “insulare”. Il terzo limite riguarda le plusvalenze che
si sono create, il più delle volte attrezzature pubbliche spesso inutili.

3. Imparare dal passato


Dobbiamo approfondire questi ragionamenti per imparare dagli errori commessi. Occorrerà uscire dall’idea
di progetto incompiuto perché cominciamo ad averne troppi. Cerchiamo quindi di operare apprendendo
da ciò che non ci entusiasma di quanto abbiamo fatto negli anni passati.

4. La rigenerazione dei nuclei storici


I nuclei storici a volte con problemi di disagio non solo edile, ma sociale, in cui rigenerare ha significato
realizzare opere pubbliche, nell’ipotesi che alcuni interventi del suolo su edifici pubblici, si potessero
innescare in processi migliorativi. Anche qui abbiamo qualcosa da imparare dal passato.

5. I contratti di Quartiere
Un’esperienza non trascurabile è stata quella dei Contratti di Quartiere, la cui pratica è stata precocemente
abbandonata. Oggi rigenerare non è solo riferito ai centri storici, ma anche al patrimonio della città
contemporanea.

6. L’urbanizzazione come “un lago”


Il tema della rilocalizzazione volumetrica risulterà rilevante perché l’urbanistica oggi non ha solo una
dimensione ordinativa come già avveniva nei piano dell’Ottocento: “le cinque dita” di Copenaghen, la
“griglia” di Cerda. Oggi dobbiamo pensare all’urbanizzato come a un “lago” è un sistema dinamico,
interconnesso con il mondo, in cui l’acqua continua a cambiare.
URBANISTICA DEL PAESAGGIO PER CITTA’ RESILIENTI
(di Carlo Gasparrini)
La “città resiliente” è da anni ormai questione sempre più centrale nel dibattito. Si sottovaluta che la
centralità delle politiche di resilienza non è solo legata ad’un esigenza ambientale e di adattamento alle
condizioni da un punto di vista fisico, ecologico e sociale: l’assenza o il ritardo di queste politiche ha un
costo e intervenire dopo è molto più costoso che farlo prima.

PROGETTO URBANO, PROGETTO DI PAESAGGIO URBANO


(di Fabrizio Toppetti)
1. Che cos’è il progetto urbano?
“Progetto urbano significa prendere come punto di partenza la geografia di una città data e introdurre con
l’architettura elementi del linguaggio per dar forma al sito. Progetto urbano significa tener presente la
complessità del lavoro da compiere. La forte accelerazione temporale in termini di modificazione del
territorio provocata dall’evoluzione della società. I processi di cambiamento hanno interessato anche le
città consolidate all’interno di una nuova forma di urbanità ibrida, mantenendone spesso inalterato
l’assetto morfologico modificandone profondamente il senso e il ruolo. L’espansione deregolata ha
prodotto aree urbane vaste caratterizzate da una urbanizzazione diffusa e senza qualità le cui dimensioni
sfuggono al controllo del progetto. Ogni progetto di architettura per la città che sia di qualità capace di
confrontarsi in maniera propositiva con un contesto storico consolidato o di nuovo impianto,
indipendentemente dalle dimensioni, si configura come un “progetto urbano”. La fattibilità è quindi il
successo di una proposta di trasformazione urbana. Negli ultimi anni in Italia il disegno urbano di una
progettualità orientata alla “grande ricomposizione” si è perseguita mediante interventi puntuali spesso
legittimati dalla presenza di “gradi firme”, spostata sul campo del design o più propriamente
dell’ornamento.

2. Patrimonio e città
Il patrimonio è un valore da costruire pazientemente mediante un progetto culturale messo in discussione
dal rapporto che si determina tra valori sedimentati e modificazione dei significati. Oggi la priorità
strategica della città europea riguarda il trattamento delle relazioni tra i nuclei consolidati di antico
impianto e le figure dei territori di margine nei quali le forme insediative si diluiscono nella scala vasta del
paesaggio.

3. Storia e progetto
Il territorio storico è costituito da tracce e disegni sedimentati a partire dalla topografia antica.

4. Continuità
Il progetto urbano dovrà assumere l’esistente come codice genetico capace di prevedere anche il mutare di
alcune condizioni. Ciò non significa rinunciare al controllo, quanto mettere a punto modalità più flessibili
sulla realtà evolutiva della città, della quale il progetto, strumento di controllo e gestione delle
trasformazioni, macro o micro è parte integrante. L’unità del progetto non prende corpo attraverso la
compiutezza del sistema ma nella capacità di intersecare lo spazio, il tempo e ritmi urbani di ciascun luogo.
ESPERIENZE POLITICHE URBANE

STRUMENTI ATTUATIVI PER LA RIGENERAZIONE URBANA


L’ESPERIENZA DI CESENA
(di Edoardo Preger)
1. Dalla costruzione della nuova città alla riqualificazione urbana
Gli anni Settanta Cesena ha visto un ruolo importante dell’ amministrazione che vi ha sperimentato un
ampio ventaglio di strumenti operativi e il governo delle grandi trasformazioni urbane a comunale. I primi
grandi quartieri PEEP sono stati realizzati attraverso il tradizionale intervento diretto del Comune:
progettazione all'esproprio delle aree, alla realizzazione delle urbanizzazioni. In una seconda fase si è
passati, per i PEEP che per i nuovi insediamenti artigianali e industriali, alla realizzazione affidata a consorzi
degli assegnatari. Dagli anni Ottanta l'iniziativa comunale si è gradualmente spostata sul tema della
rigenerazione urbana, utilizzando i nuovi strumenti offerti dalla legislazione nazionale. Sono stati attivati tre
programmi complessi di riqualificazione di aree in degrado o dismesse.

2.1 Il piano di recupero della Val d’Oca


Il primo programma è stato il paino di recupero della Val d’Oca, approvata nel 1979 che ha interessato
quattro isolati del centro storico in condizioni di grave degrado sia fisico che sociale. Con il piano sono state
recuperate circa 160 abitazioni, oltre ad alcuni negozi e botteghe artigiane, Per il sue cesso del piano è
stata determinante la decisione di imporre la formazione di un consorzio obbligatorio a tutti i proprietari
dell'isolat più esteso e in condizioni di maggiore degrado Del consorzio era parte anche il Comune che
aveva preventivamente acquistato tutti immobili non occupati a prezzi molto bassi. II consorzio ha gestito
l’intervento di recupero, mantenendo l'equilibrio sociale. Infatti i residenti in affitto ( circa il 60 % ) sono
stati in gran parte ospitati negli immobili acquistati dal Comune.

2.2 ll programma di riqualificazione ex zuccherificio


Approvato nel 1994, ha consentito la creazione di un nuovo quartiere di 22 ettari, nel cuore della città. Il
PRU ha previsto la realizzazione di 90.000 mq di superficie utile lorda, di cui un terzo a carattere direzionale
e commerciale, un terzo destinato a sedi universitarie (ancora in corso di realizzazione) e la restante parte
(260 appartamenti) a PEEP con edilizia convenzionata e i locazione. Una società consortile per azioni,
partecipata dal Comune.

2.3 II programma di riqualificazione Novello


L'esperienza più recente in fase di avvio è il PRU Novello, che interessa 27 ettari in prossimità della stazione
ferroviaria, su aree dismesse in parte di proprietà pubblica. Il Comune ha individuato quest'area
trasformandola da ambito produttivo ad area con destinazione mista. Si tratta di un investimento di circa
15 milioni di euro che permettono di dare un nuovo volto all'area, con la riqualificazione della piazza della
stazione e degli ambiti fra stazione ferroviaria e centro, destinate a campus scolastico, con sotterranea dei
parcheggi. Il Comune ha gestito la formazione del PRU, ma che in questa fase di gestazione del PRU il
panorama economico e sociale è completamente cambiato, da una fase positiva dell'economia locale, si è
velocemente passati ad una stretta violenta del credito- in particolare nel settore dell'edilizia - alla crescita
della disoccupazione, all'impoverimento delle famiglie con la riduzione del risparmio disponibile. Tutto ciò
ha generato una crisi pesante dell'intero settore immobiliare, con la paralisi del mercato ed il sostanziale
blocco dell'edificazione. Nasce da questa analisi la decisione di cambiare "in corsa" il programma.
a) Viene colta l'opportunità del cosiddetto "Piano Casa". Si è quindi deciso di destinare l'area dell'ex
mercato di proprietà comunale e di Rete Ferrovie Italia a un programma di social housing. E stato cosi
avviato il percorso per la costituzione del fondo immobiliare Novello, a cui il Comune avrebbe conferito le
proprie aree. Il programma prevede la realizzazione di circa 450 alloggi per il 60 % in affitto a canone
concordato per 10-15 anni, con possibilità di riscatto; per la par restante alloggi sarebbero stati venduti a
prezzo convenzionato. Si è prevista anche la realizzazione di uno studentato e di spazi commerciali.
b) Si mantiene l'obiettivo della riqualificazione, ma ridimensionando i costi.
c) Il Comune ha ridotto le sue aspettative di rendimento per facilitare la sostenibilità del piano economico
finanziario.
d) Si prevede uno stretto controllo dei costi e dei tempi di costruzione, grazie a una progettazione
esecutiva rigorosa, a una efficiente organizzazione del cantiere.

3. Considerazioni finali
Gli strumenti per la realizzazione di programmi complessi di trasformazione sono stati nel tempo i più vari.
L'importante è conoscerne bene potenzialità e limiti. Lo testimonia 'ultima esperienza di Cesena, partita
con la costituzione di una società di trasformazione urbana che doveva sviluppare un'iniziativa immobiliare
con la partecipazione finanziaria dei privati, e poi cambiata in corso per diventare un fondo dedicato al
social housing. Conosciamo tutte le ragioni che invece portano a privilegiare gli interventi di
riqualificazione: dal contenimento del consumo di suolo, alla disponibilità di servizi, dalla mobilità
sostenibile.

RAVENNA. RIGENERAZIONE URBANA IN DARSENA DI CITTA’


(di Francesca Proni e Leonardo Rossi)
1. Premessa
La "Darsena di Città" di Ravenna è un vecchio quartiere portuale sorto in fregio al Canale Candiano, la cui
riqualificazione ha assunto dagli anni Novanta un valore strategico. La riqualificazione/riconversione
urbana di questa porzione di città è fondata sull'idea portante di costituire un unico sistema territoriale he
si sviluppa dalla città al mare. L'area, affacciata sul Canale Candiano (realizzato nel 1738) con un percorso a
banchine di circa 3,1 km, è adiacente al centro storico e alla stazione ferroviaria, quindi con localizzazione
centrale e strategica nella città. La pianificazione/riqualificazione della Darsena e stata avviata nell'ambito
del PRG 1993, attraverso un programma articolato in fasi, che impegna un arco temporale trentennale. Nel
febbraio del 2015, dopo la redazione di un masterplan e di un programma di fattibilità economica, è stato
approvato il Piano Operativo Comunale (POC) tematico "Darsena di Città". 
La riqualificazione prevede un insieme complesso e coordinato d interventi pubblici/privati, in parte già
attuati, e il coinvolgimento di soggetti pubblici quali la Regione Emilia-Romagna, Rete Ferrovia Italiana, FS
Sistemi Urbani e Autorità Portuale di Ravenna, attraverso la sottoscrizione di un protocollo di intesa
stipulato nel 2009. Il POC prevede la realizzazione di rilevanti e strategiche opere pubbliche di
infrastrutturazione. Fra queste le più rilevanti sono: la stazione ponte quale cerniera e collegamento fra il
nuovo quartiere e la città: la riqualificazione delle banchine quali luoghi centrali e di aggregazione delle
attività culturali, ricreative, commerciali, sociali della nuova Darsena e ideale prolungamento della città
storica verso il mare.
L'intervento delineato dal POC Darsena tende alla realizzazione di un quartiere evoluto e capace di
migliorare la qualità di vita degli abitanti della città e del suo territorio in quanto sono privilegiati:
- la sostenibilità attraverso il contrasto all'inquinamento atmosferico e il miglioramento del microclima
urbano (esternazione del traffico, ampia isola pedonale e "zona 30 km/h" per tutto il quartiere, biomassa
arborea con boschi nei due parchi previsti, incentivazioni di mezzi alternativi ecologici, ecc.), fino ad
arrivare alla promozione, mediante incentivi premiali, di azioni di "eccellenza" orientate alla sostenibilità
ambientale, al risparmio energetico e alla produzione dl energia da fonti rinnovabili. Tutti gli edifici
dovranno tendere all’ autosufficienza energetica, anche sfruttando un elemento specifico presente nel
quartiere, ovvero l'acqua, attraverso impianti idrotermici integrati con quelli fotovoltaici. L'illuminazione
pubblica sarà innovativa, con l'utilizzo di sistemi illuminanti a led,
- il sistema del verde e degli spazi pubblici ( pari a circa il 48 % della Darsena) mediante la realizzazione di
due grandi parchi urbani uno in destra ("parco delle art") e uno in sinistra ("parco delle archeologie
industriali") oltre alla previsione di poliedrici spazi pubblici attrezzati;
- spazi per usi culturali, sportivi, ricreativi, turistici, sia attraverso il riuso del Canale Candiano previa
riqualificazione delle acque utilizzando lo specchio d'acqua per spettacoli, cultura, sport, svago, ecc. sia
mediante una macrodivisione in tre fasce funzionali del quartiere. La prima fascia verso città dovrà
caratterizzarsi, quale passeggiata e luogo di ritrovo diurno e serale, per la presenza di attività commerciali,
turistiche, pubblici esercizi. La fascia centrale, già caratterizzata dalla più suggestiva archeologia industriale,
insieme le antistanti banchine e allo specchio d'acqua. La terza fascia, in adiacenza all'ambito di transizione
allo spazio urbano, ne caratterizza la vocazione per terziario, servizi e nuove tecnologie.

2. L'attuazione del POC Darsena


Molti urbanisti hanno spiegato come piuttosto di mega investimenti che i privati e (ancora di più) le
Amministrazioni pubbliche non riescono oggi a sostenere economicamente, sia più efficace pensare le città
come "organismi viventi". Nasce cosi il concetto di "agopuntura urbana" che si basa sull’idea. di agire sul
sistema urbano attraverso micro-interventi realizzati su nodi nevralgici della città. Le norme del POC
Darsena prevedono la possibilità di uso temporaneo degli edifici dismessi per l'insediamento di attività
tempora- e culturali, sociali, ricreative, sportive e servizi di uso pubblico. Prevedono inoltre l'uso
temporaneo degli spazi aperti.

3. La creazione di un sito internet denominato '"Ravenna Riusi"


Serve prevalentemente per mettere in relazione chi cerca e chi offre. Ha inoltre il ruolo di facilitare la
programmazione di incontri. È un collettore di idee e proposte sempre aperto a tutti. Nel sito trova posto
anche la schedatura degli edifici e delle aree atte a ricevere usi temporanei.

 4. La costituzione di un Gruppo di Lavoro


Il gruppo di lavoro ha funzione di "cabina di regia" e compiti coordinamento delle proposte, iniziative e
interventi di usi temporanei.

IL CONTRIBUTO DEI PIANI DELLA RICOSTRUZIONE ALLA RIGENERAZIONE URBANA


(di Carla Ferrari)
A seguito degli eventi sismici del maggio 2012 la Regione Emilia-Romagna e molti comuni hanno scelto di
predisporre il Piano della Ricostruzione. l Piani della Ricostruzione sono intervenuti su una strumentazione
urbanistica molto diversificata. Non poche sono state le difficoltà incontrate nella redazione dei Piani della
Ricostruzione, rappresentate in particolare dal dover operare per "parti di città" distanti nello spazio
perché ubicate in modo casuale, là dove gli eventi sismici hanno prodotto vuoti o danni cosi consistenti da
consentire trasformazioni significative.
I Piani della Ricostruzione dei comuni di San Felice sul Panaro, Crevalcore e Novi di Modena, hanno riletto
le proprie situazioni urbane, facendo in modo che la ricostruzione restituisse:
- città più sicure nei confronti dei rischi sismici;
- città energeticamente sostenibili;
- città più belle, decidendo di non ricostruire "com'erano" gli edifici incongrui o fuori scala;
- città più funzionali.
Questi tre comuni hanno scelto di articolare il Piano della Ricostruzione in funzionali, in modo da affrontare
separatamente le diverse problematiche.
Il primo stralcio del Piano di Ricostruzione è stato dedicato agli edifici di interesse storico-architettonico
vincolati. Il secondo stralcio del piano è stato dedicato a cogliere le opportunità di rigenerazione urbana
che gli eventi sismici hanno offerto. 

1. Il Piano della Ricostruzione di San Felice sul Panaro


Questo Piano ha operato alla rilettura dell’assetto urbano, sotto il profilo funzionale. Nel caso di Dan Felice
la distanza fra le funzioni e il centro storico é percorribile in pochi minuti a piedi o con la bicicletta, ma
l’assetto funzionale urbano è comunque profondamente mutato rendendo evidente la necessità di
incentivare il più possibile gli interventi di recupero degli edifici del centro storico, sia per le funzioni
abitative che terziarie e commerciali. ll centro storico di San Felice presentava, prima del sisma, una con-
dizione atipica fra i centri storici dei comuni della Bassa. Era infatti un centro storico molto " abitato ( quasi
il 70 % degli alloggi risultava occupato alla data del sisma), ricco di attrezzature pubbliche, amministrative e
culturali, corredato da un sistema commerciale particolarmente vivace. In questo caso non si tratta quindi
di reinventare un ruolo per centro storico, ma piuttosto di ridare fisicità alle funzioni che sono state
temporaneamente spostate all'esterno. Perché questo accada è fondamentale promuovere, con iniziative
ed incentivi, il recupero degli edifici per consentire agli abitanti di tornare ad abitare nel centro. Il Piano
della Ricostruzione di San Felice ha previsto i seguenti interventi:
- Il recupero di un fabbricato attestato sull'asse principale del centro storico per il quale il Piano della
Ricostruzione ha utilizzato gli incentivi premiali della legge regionaleal fine di operare un intervento di
miglioramento delle caratteristiche architettoniche del fabbricato, non coerenti con il tessuto urbano
storico, il cui proprietario prima del sisma non aveva alcun interesse a ridisegnar- ne l'immagine. Per
questo intervento è stato stipulato un accordo che, a fronte della possibilità di incrementare il numero
delle unità immobiliari, ha previsto una significativa riconfigurazione dei fronti;
- la rigenerazione dell'area originariamente occupata dalla vecchia Villa Modena, sulla base di un accordo
promosso con la finalità di potenziare le dotazioni collettive mediante la realizzazione di una 0zona a verde
pubblico e di un parcheggio che si affiancano in un'a- rea storicamente importante per la comunità: il parco
della vecchia Villa Modena;
-il restauro di un edificio dei primi del Novecento, in stile Liberty, soggetto a tutela dal PSC, ubicato in
prossimità della stazione ferro- viaria, per favorirne il recupero ad uso bed & breakfast;
- la delocalizzazione di un fabbricato di sei piani fuori terra, voltimetricamente incongruo e fuori scala
rispetto al tessuto urbano circostante. II Comune di San Felice ha proposto ağli oltre venti proprietari di
stipulare un accordo al fine di delocalizzare l'intera superficie del fabbricato in un piano particolareggiato
dove la volumetria del condominio originario è stata distribuita su tre lotti. 

2. Il Piano della Ricostruzione di Crevalcore


ha previsto i seguenti interventi:
- la delocalizzazione di due fabbricati non più funzionali all'esercizio dell'attività agricola posti nel territorio
rurale, la cui superficie é stata ricollocata
- la delocalizzazione di quattro edifici volumetricamente o funzionalmente incongrui con il contesto;
- alla delocalizzazione di un fabbricato di cinque piani nell'area urbana di Crevalcore. Il Comune ha
proposto ai proprietari dei 22 alloggi di stipulare un accordo al fine delocalizzare l'intera superficie del
fabbricato, distribuendola su più aree del territorio urbanizzato, già pianificate.;
- la delocalizzazione di un edificio produttivo, incompatibile con il tessuto urbano residenziale circostante.
La delocalizzazione dell'edificio consentirà di dare attuazione alle previsioni di riconversione ad uso
residenziale dell'area produttiva;
- la delocalizzazione di un fabbricato Acer nella frazione Bolognina che si è resa necessaria dal momento
che esso dava luogo a una concentrazione eccessiva di superficie edificata e risultava incon- er dimensioni,
rispetto al tessuto urbano circostante.

3. Il Piano della Ricostruzione di Novi di Modena


ha previsto:
- la modifica della morfologia urbana della piazza Primo Maggio, con la doppia finalità di migliorare le
caratteristiche di un edificio volumetricamente incongruo con il contesto urbano e di riconfigurare la piazza
principale di Novi, attraverso una modifica della sagoma;
- la delocalizzazione parziale di un edificio attestato su corso Matteotti, che presentava un volume
particolarmente imponente e fuori scala rispetto al contesto, di cui si prevede la riduzione in altezza e la
modifica del profilo;
- la delocalizzazione di un complesso edilizio composto da nove unità immobiliari residenziali la cui area
risulta strategica per la realizzazione di una rotatoria.

4. Conclusioni
In sintesi, è necessario sottolineare che tutti gli interventi di delocalizzazione previsti dai Piani di questi tre
comuni non hanno interessato aree che non fossero già pianificate. Nella convinzione che interventi di
questo tipo si possano e si debbano attuare anche a prescindere da eventi cosi catastrofici, è quindi
necessario nelle nuove politiche di rigenerazione urbana siano previsti adeguati incentivi economici oltre
che fiscali Che costituiscano, per le amministrazioni comunali, strumenti operativi.
LA RICOSTRUZIONE A CONCORDIA SULLA SECCHIA
(di Maria Rosa Vittadini e Sauro Secchi)
Concordia, fragile anche prima del terremoto, rischia di soccombere per le tendenze alla frammentazione,
alla chiusura in un mondo troppo piccolo. Il comune conta poco meno di 9.000 abitanti, di cui circa 5.000
insediati nel centro capoluogo e il resto in una serie di importanti frazioni, ciascuna con storie autonome. Il
sisma ha colpito duramente il patrimonio edificato del centro storico e anche quello delle aree agricole. Il
riconoscimento del danno è stato importante per il PdR.
Nel processo di Piano si è raggiunta convinzione che buona parte di questo nuovo significato potesse
essere fondato sulla rivitalizzazione del centro storico, con una qualità e una individualità capace
conservare popolazione e attività esistenti e di attrarne di nuove. Da questa impostazione trae origine il
PdR secondo quattro grandi strategie:
- metabolizzare il cambiamento verso una nuova struttura urbana;
- azioni integrate per la rivitalizzazione del centro storico;
- regole per la ricostruzione nel territorio rurale;
- misure di tutela e valorizzazione per l'ambiente e il paesaggio.

2. Metabolizzare il cambiamento
Il cambiamento da metabolizzare è lo spostamento radicale delle funzioni sociali e amministrative dovuto
alle strutture per l'emergenza. La concentrazione di tali strutture ha dato luogo ad una nuova polarità
urbana che raggruppa le scuole prefabbricate, un nuovo municipio la nuova chiesa, alloggi provvisori, una
"piastra commerciale" per collocazione temporanea dei negozi danneggiati. Il nuovo polo, è collocato al
margine nord-est dell'area urbana consolidata. Ovvero all'estremo opposto del centro storico che la
presenza invalicabile del fiume ha confinato margine di sud-ovest, il PdR ruota intorno al problema di
ricomporre l'unità della struttura urbana portando il vecchio centro e il nuovo polo ad essere
complementari piuttosto che concorrenziali. La ricomposizione urbana si fonda su tre fattori principali: il
ritorno delle funzioni pubbliche nel centro storico rivitalizzato, la riconversione delle opere per l'emergenza
in un nuovo polo scolastico e ricreativo ben attrezzato e la connessione tra centro storico e polo scolastico
attraverso l'asse di viale Garibaldi, II viale, che parte da una nuova piazza, dovrebbe connettere le due
estremità attraverso una sequenza di luoghi interessanti, di attività attrattive e spazi favorevoli alla vita
sociale. Nella proposta del PdR la componente davvero determinante di questa operazione è la
riconfigurazione dello spazio urbano attraverso la riorganizzazione delle sezioni stradali, il disegno della
pavimentazione, la regolamentazione del traffico a favore di pedoni e ciclisti, le aree verdi.

3. Il centro storico e la nuova piazza


Nel cuore del centro storico, in corrispondenza della connessione tra viale Garibaldi e il tracciato porticato
di via Pace, il sisma ha aperto grande vuoto dovuto al crollo di Palazzo Mari e al danno degli edifici ad esso
prospicienti. Le idee maturate nel processo di partecipazione hanno unanimemente indicato per questo
luogo la formazione di una uova piazza, destinata a divenire spazio centrale di riferimento per l'intero
Comune La progettazione della nuova piazza, come proposto dal PdR, è stata oggetto di un bando di
concorso nazionale, concluso nel maggio del 2016.

4. Le Unità Minime di Intervento (UMI) e lo spazio pubblico


Le analisi strutturali e architettoniche hanno portato a riconoscere 85 zone strategica nel centro storico.
L'Amministrazione ha integrato infatti l'elaborazione del PdR con un masterplan dell'area centrale.
Si sono cosi individuati interventi particolarmente significati dei passaggi interni ai lotti gotici tra via Pace e
il lungargine Secchia, dove l'alleggerimento delle volumetrie di scarsa qualità sedimentate negli anni
recenti dovrebbe permettere il miglioramento residenziale e l'inserimento di negozi e piccole attività
artigianali capaci di arricchire l'attrattività delle aree centrali.

5. Il processo di piano: luci e ombre


Costruire prospettiva del PdR non è stato un processo facile a dovuto superare, come forse era naturale,
notevoli incertezze. In questo contesto é stato molto importante il ruolo dei tecnici locali. In generale essi
hanno raccolto l fiducia dei loro cittadini cumulando, ciascuno, un numero davvero impressionante di
incarichi.

6. A valle del PdR: un quadro programmatico dinamico


Si sono rese necessarie due varianti al PdR: per la rivisitazione e sdoppiamento di una UMI del centro
storico e per l'ampliamento dell'area di atterraggio dei volumi da de-localizzare. Tuttavia l'Amministrazione
sta pensando ad un nuovo importante appuntamento: la redazione del piano di recupero e valorizzazione
dei portici dell'asse storico di via Pace. Un piano complesso dal momento che tratta una proprietà privata
ma di uso pubblico riguarda il luogo urbano che costituisce il fulcro del valore architettonico, culturale,
storico e commerciale della via Pace e di tutto il paese.

7. Un'attuazione non priva di difficoltà


Si deve tuttavia prendere atto che un aspetto importante, che tuttora esercita la sua influenza, è stato
sottovalutato all’inizio dei lavori: l'accumulo di progetti da parte di singole strutture professionali private.
Le conseguenze di tali scelte sono state molte in primo luogo ne è derivata, da parte dei progettisti, una
scarsa partecipazione e condivisione degli obiettivi del PdR; in secondo luogo sono verificati oggettivi ritardi
nella tempistica dei lavori e infine ne stata condizionata anche la distribuzione degli interventi sul
territorio. Conoscendo la tempistica delle pratiche per ottenere il via dei lavori si renderà necessario uno
slittamento della data limite. Il problema riguarda non solo Concordia, ma tutti i comuni colpiti dal sisma
tanto che la Regione sta interpellando le amministrazioni e sicuramente si arriverà a una proroga che non
potrà essere inferiore ai 6-7 mesi 8. 

8. Il centro storico: cuore del problema


Il concorso è stato un vero successo: per il numero dei partecipanti (54 gruppi di progettazione) per l
provenienza (da tutte le regioni italiane), per la qualità dei progetti. 
I problemi che il terremoto ha messo in campo sono enormi e incredibilmente mai finiti; l'amministrazione
e i cittadini li stanno affrontando tutti, giorno per giorno. Per l'Amministrazione un fattore di grande aiuto
in questa impresa, nuova totalmente imprevista, è stato di poter disporre di una strumentazione
urbanistica completa, esaustiva, efficace.

GLI ELEMENTI DI QUALITA’ NEL PIANO DI GOVERNO DEL TERRITORIO DI BRGAMO


(di Gianluca Della Mea)
La città è un organismo in continua trasformazione: fisica, economica, sociale e culturale e la sua storia, sin
dalla formazione, ce lo insegna. Questo avviene anche nei periodi di contrazione e di crisi sociale o
economica, anzi è in queste fasi che le strutture urbane acquisiscono nuovo ruolo e forma (non solo fisica).
C’é la necessità di definire i ruoli dei soggetti chiamati a costruire un’idea condivisa di “città” e di
governante. Altro aspetto di rilievo è definire l'oggetto della contrattazione: contrattare (benefici
pubblici/equi vantaggi privati). Oggi la contrattazione intesa come scambio diritti edificatori/benefici
pubblici modello obsoleto e inadeguato, per il pubblico, ma ancor più privato, visto il ciclo economico e le
dinamiche del mercato immobiliare.
Sempre più si rende evidente come nell’ambito della contrattazione il privato sia individuato e "guidato"
dal soggetto pubblico per perseguire obbiettivi dichiarati e trasparenti, nell'interesse comune. 

1. La centralità del progetto 


Il fulcro del rapporto pubblico-privato nel campo della trasformazione della città deve tornare ad essere il
progetto. Il co-progettare con altri va letto non come condizionamento con più soggetti che tracciano segni
e definiscono linguaggi, ma come arricchimento del programma. In questo senso si potrà parlare del
progetto utile in quanto all’altezza dei bisogni, è in grado di dare una corretta interpretazione della realtà.

2. La ricerca della qualità nel PGT di Bergamo


Nel PGT il paesaggio di Bergamo viene assunto come valore attivo e propositivo, capace di guardare al
passato, cogliendone le caratteristiche significative per leggere presente e per impostare le linee guida
dello sviluppo. Il paesaggio è un insieme complesso di elementi che combinano natura, ambiente e
geografia; nonché l'insieme dei "segni" tracciati Il uomo nell’ambiente naturale e che costituiscono un
patrimonio non solo a livello architettonico monumentale, ma anche produttivo. Alterare il paesaggio
significa impoverire la comunità; quindi è la comunità che deve proteggere e difendere il "suo"
paesaggio. Il progetto del PGT parte dall'ipotesi che la trasformazione debba avvenire nel rispetto
dell'identità del territorio, conservandone le caratteristiche peculiari. Il PGT si pone come obiettivo
primario quello della promozione e valorizzazione dei plus esistenti e pregiati nel sistema territoriale
bergamasco: il sistema universitario, il sistema museale, il sistema della produzione e della ricerca
d'eccellenza.

3. Governance e cittadinanza
Il PGT definisce il sistema di regole, previsioni e linee-guida intorno alle quali si modellerà la forma della
città nei prossimi anni. All’interno di questa concezione diventa fondamentale il tema della governance
urbana cioè del processo attraverso il quale si costruisce un sistema condiviso di criteri per concretizzare la
qualità di uno specifico territorio, passando dagli assunti puramente teorici all'attuazione di un metodo che
renda effettivamente possibile un dibattito serio ed allargato al maggior numero di cittadini, mettendo gli
stessi nella condizione di poter prendere parte alle decisioni che li riguardano. 

4. La crescita intelligente 
L'approccio progettuale della crescita intelligente è basato sulla trasformazione puntuale e concentrata di
nodi urbani sulla riconversione delle aree esistenti dismesse e degradate all'interno della città; infine
sull'equilibrata ridistribuzione dei servizi, tale da ridurre le necessità di spostamento quotidiano da un
punto all'altro del territorio. Il modello che si persegue è quello città policentrica e polifunzionale in cui si
crei un sostanziale equilibrio qualitativo tra centro e periferia, aggiungendo funzioni attrattive dove
mancano e lavorando su un deciso miglioramento degli spazi aperti di connessione.

5. La città pubblica 
“Città pubblica" significa giardini, percorsi, piazze, cintura verde: in generale si tratta del complesso e
articolato sistema dei servizi erogati alle persone di tutte le età e di tutte le fasce sociali: l'obiettivo de PGT
quello di attuare un sistema in cui la qualità dei servizi possa essere costantemente monitorata, verificata e
adeguata alle richieste della cittadinanza e alle priorità individuabili. Con l'obiettivo di realizzare una città
più attenta alle persone emerge il tema della casa e l'urgenza di creare un'offerta di abitazioni accessi- bile
alle fasce di cittadini con reddito basso e medio-basso che attualmente vengono espulse dagli alti costi del
mercato immobiliare, in un processo che sottrae alla città presenze fondamentali per la propria
autorigenerazione come i giovani, le famiglie numerose, gli studenti.

IL DOCUMENTO PROGRAMMATICO PER LA QUALITA’ URBANA: QUALCHE RIFLESSIONE


PER UN POSSIBILE RIUSO
(di Marcello Capucci)
1. L'urbanistica negli anni della crisi 
È ormai quasi un decennio da quando, in un ormai lontano agosto del 2007, buona parte del mondo
conosciuto si apprestava ad entrare nell'antro di una crisi. Ci sono infatti anche effetti meno palesi, ma
certo non meno importanti. Uno di questi forse uno dei peggiori si annida nel sentire comune, in un
pervasivo senso di incertezza verso il futuro. Preso atto che l'intero settore della produzione edilizia è forse
quello che più di ogni altro ha subito il contraccolpo della crisi. Una convinta presa di coscienza che il
futuro prossimo delle città debba consistere nell’avvio di processo di ristrutturazione dell’esistente. Il
quadro che si delinea è però quello di una sempre maggiore difficoltà di pre-figurazione della città futura. 

2. Il Documento Programmatico per la Qualità Urbana


Il DPQU ha la caratteristica di essere un documento/strumento che prende forma nel momento in cui uno
specifico “problema” viene affrontato. Il DPQU nasce infatti nel momento della formazione del Piano
Operativo Comunale, come documento costitutivo del POC stesso. Nella nuova proposta di Legge
Urbanistica Regionale, avendo abolito i tre livelli di pianificazione, ha abolito conseguentemente anche il
DPQU.

IL QUADRO STRATEGICO PER LA VALORIZZAZIONE PER IL CENTRO STORICO DI GUBBIO


(di Stefano Storchi)
La legislazione della Regione Umbria, oltre al (POC), introduce strumenti specifici. Per meglio governare la
qualità dell'assetto dei centri storici viene prevista la redazione di un Quadro Strategico per la
Valorizzazione (QSV). Non si tratta di un ulteriore strumento urbanistico, né di un piano di settore o di un
programma di sviluppo sociale, ma di un progetto strategico che tende ad individuare obiettivi e finalità
condivise, in un'ottica di lungo periodo, la cui realizzazione concreta è demandata non solo al soggetto
pubblico, ma anche ai privati. Innanzitutto l'emblematicità del titolo del QSV: "Gubbio: caposaldo del- la
civiltà umbra"; a sottolineare come sia l'elemento culturale a motiva- re le azioni tecniche e operative che
lo strumento contiene e propone.
Tutto ciò costituisce l'oggetto principale del Quadro Strategico di Valorizzazione: la matericità della città
dunque, ma anche la cultura che essa ha prodotto nel corso dei secoli. Il quadro d'azione del Quadro
Strategico, allora anche l'ambito ad esso soggetto non può ridursi al confine del centro storico; deve invece
oltrepassare il limite della "città murata", cogliendo le opportunità di intervento e di rigenerazione presenti
al suo esterno. Si utilizzano termini in ordine ai quali è necessario, preliminarmente precisare il significato
loro attribuito: stile della città e identità urbana. Lo stile riguarda la qualità della città, la sua percezione
estetica, non esattamente assimilabile all'estetica della città in quanto non riguarda soltanto la forma fisica.
Il tema dell’identitá nasce infatti da un ambiguo insieme di giudizi di valori soggettivi. Mano a mano che ci
si allontana da un luogo e l’identitá si applica a dimensioni più ampie, il dato soggettivo appartenente
all’identità è costituito dall’insieme dei modi in cui ogni lettore del libro ha interpretato la spigola città. Non
v’è dubbio dunque che lo stile della città sia riconoscibile nel centro urbano. Non è esattamente così per
l’identità, che può riguardare qualunque parte della città. 
Se dunque lo stile deve comunque appartenere alla contemporaneità, e il luogo della sua riconosci- bilità il
centro urbano, occorre che la città antica e la città vecchia siano apprezzabili nella contemporaneità.
Questa è la sfida su cui si gioca il futuro della città e del centro storico; su queste basi si imposta il QSV che
pone al centro dell'attenzione il futuro della città e del centro storico di Gubbio.
Il QSV mette a punto le proprie proposte proponendo la valorizzazione degli itinerari culturali nel centro
storico di Gubbio, il rafforzamento delle strutture legate all'artigianato, al commercio e alle attività
mercatali. Altri programmi di intervento si sviluppano proposito del riassetto dei servizi, della
razionalizzazione della mobilità, accessibilità e sosta; infine un capitolo a parte viene dedicato al centro
come zona "fiscalmente protetta". "Le politiche di rivitalizzazione di una zona urbana, ma in particolare del
centro storico, possono trovare so l'utilizzo delle cosiddette leve fiscali che sono nella disponibilità degli
enti locali. La finanza locale è composta da settori distinti: 
a) le aliquote relative alla tassazione dei redditi;
b) le aliquote relative tassazione immobiliare; 
c) le tariffe per l'erogazione di pubblici servizi;
d) gli oneri di urbanizzazione.
Ma, ancora una volta, a fare da cornice a questi interventi tecnici e amministrativi, è l'attenzione posta
sulla qualità urbana di Gubbio. ll centro storico ha caratteri particolari, che è necessario avere ben presenti
prima di porre mano a qualsivoglia intervento inteso alla sua valorizzazione. Il suo principale ingrediente
(per cosi dire) è la pietra, temperata soltanto dalla sua lavorazione per l'impiego che ne è stato fatto per
lastricare le strade, costruire case e palazzi e mura. Parlare di ornato può essere offensivo e
contraddittorio. Ornato in termini di ornamento richiama qualcosa che a Gubbio non è mai esistito.
Valorizzazione significa mantenere i caratteri senza offenderli con falsificazioni mimetiche consistenti in
arredi finto medioevali (es. le lanterne per illuminare ali spazi pubblici). Così come il centro storico ha una
facies unitaria dovuta alla presenza della pietra, occorre che ogni intervento per la sua fruizione
contemporanea sia concepito unitariamente, attraverso un progetto che tenda a rappresentare una nuova
identità che si affianchi a quella antica in modo da renderla ancora viva e presente, è dunque necessaria la
formazione di un manuale di regole disegnate. Occorrerà quindi in primo luogo eliminare superfetazioni e
superflui elementi sparsi ovunque nella città storica, ripulirla da tutto ciò che è improprio e che ne offende
L'autenticità Solo questo modo Gubbio potrà aver restituita la sua grande qualità urbana ed acquistare,
rispetto alle città storiche italiane, una preminenza di stile, un fattore in più attrattività turistica ed un
rilevante apprezzamento da parte dei suoi abitanti. 
Ma a proposito di “immagine”, a chi ne compete la salvaguardia e la tutela? Il paesaggio urbano storico
costituisce un bene comune, la cui valorizzazione e gestione è affidata alla pubblica amministrazione. 
Il Quadro Strategico di Valorizzazione propone - come si è detto- un sistema integrato di azioni sulla città
fisica (riassetto delle sedi comunali, arredo dello spazio pubblico), ma pone la propria attenzione
soprattutto sui fattori immateriali (aggregazione giovanile, cultura) che ad essa danno vita. Esso dunque
rappresenta il supporto vero alle azioni integrate di rigenerazione di un centro storico prezioso per i propri
caratteri formali e ambientali, ma ancor più per il valore identitario e culturale che possiede.

LA CITTA’ LINEARE LUNGO LA VIA EMILIA: LA SFIDA DELL’EMILIA ROMAGNA


(di Mario Piccinini)
La via Emilia costituisce un forte segno identitario della Regione Emilia-Romagna. La strada è stata infatti
l'elemento generatore della città-regione a partire dal quale fu organizzato il territorio agricolo della
pianura attraverso la centuriazione. I centri urbani hanno contribuito essi stessi, assieme alle aree più
esterne ad essi, poste lungo la strada, a definire l'identità dei paesaggi urbani ed extraurbani. Lungo la via
Emilia sono presenti le città che hanno assunto le forme della "città compatta", e della "città diffusa" o
"città effettiva". Il Piano Territoriale Regionale, approvato nel 2010, offre approfondimenti sui temi della
diffusione urbana nella città effettiva, ma non sembra avere dedicato un approfondimento particolare al
sistema della via Emilia. Nel PTR si riconosce "la crescita di un'urbanizzazione dispersa, via via più
polverizzata man mano che ci si allontana dai core urbani: un fenomeno che ha conosciuto una particolare
intensità nell'area centrale dell'Emilia-Romagna, ma ha interessato, sia pure in modo contenuto, tutta la
Regione". Si afferma anche che "la città diffusa dell'Emilia-Romagna, pur non presentando i caratteri
estremi della 'città infinita dell'area milanese e lombarda, fa perdere anch'essa identità ai luoghi e rischia
di produrre o accentuare al suo interno i fenomeni di isolamento sociale e spaziale. Negli ultimi anni sono
stati sviluppati studi e progetti che hanno come oggetto la valorizzazione paesaggistica della via Emilia
sotto l'aspetto paesaggistico ed ambientale. Al primo caso appartengono le Linee guida per la
valorizzazione paesistico ambientale del sistema regionale della via Emilia promosse dalla Regione Emilia-
Romagna, fra gli obiettivi proposti, l'attrezzatura della via Emilia come sistema di mobilità dolce", "la
valorizzazione delle intersezioni fluviali", "la salvaguardia dei varchi e delle visuali", "la riconfigurazione
delle aree produttive", "la riconfigurazione degli spazi insediativi eterogenei", "la rimozione o mitigazione
dei detrattori paesaggistici". Vi sono studi e progetti svolti in ambito universitario, come quello che
riguarda la via Emilia nel tratto Forlì-Cesena secondo le previsioni del PTCP che prevede il declassamento e
la realizzazione di una via Emilia bis tra le due città capoluogo.
PUNTI DI VISTA

TRASFORMAZIONI SOSTENIBILI DEL PAESAGGIO


(di Roberto Gambino)
1. Tra natura urbanizzata e rinaturalizzazione della città
Da almeno un decennio i dibattiti sulla città contemporanea, soprattutto in Europa, chiamano in causa il
tema del “consumo del suolo”. In questa prospettiva l’agricoltura si carica di un significato salvifico,
assumendo un ruolo fondamentale di produzione “secondo natura”. Lo spazio occupato dall’agricoltura
come spazio da difendere per resistere alle pressioni.

2. Paesaggio e territorio nella transizione post-moderna


Non ci sono ecosistemi che non risultino almeno in parte modificati dalla cultura umana. In direzione
convergente si assiste da una decina d’anni ad un significativo ripensamento del paesaggio, per varie
ragioni, quali il “salto di scala” di molti problemi ambientali, sempre meno gestibili a scala locale e la loro
crescente interferenza coi problemi economici, culturali e sociali.

3. Il ruolo dell'agricoltura tra conservazione 


Come le azioni dirette a gestire le dinamiche ambientali e paesistiche possa- no essere estese al di là dei
confini istituzionali delle misure di prote- zione, per generare effetti positivi a beneficio dell'intero
territorio. Nel tentativo di rispondere a questa domanda occorre anzitutto partire dalla constatazione che
tali politiche si muovono in un contesto di crisi: crisi globale economica e sociale, ma anche crisi
"territoriale" che mette a repentaglio la sussistenza e la fruibilità delle risorse di cui disponiamo per
costruire in ciascun territorio il nostro futuro, e che nasce dalle incoerenze, dagli sprechi e dagli egoismi
delle azioni antropiche. Ci si attende, in sintesi, che l'agricoltura possa riprendere il ruolo che ha
storicamente esercitato nella costruzione del territorio e nel disegno del paesaggio contemporaneo,
aprendo prospettive di valorizzazione e di sviluppo economico e sociale.

4. L’agricoltura nelle dinamiche temporali


Il recupero e l’innovazione dei paesaggi agrari nei territori della contemporaneità rappresentano una sfida
di grande rilievo per la costruzione del futuro.

PER UN’URBANISTICA DI QUALITA’


NOTE DA UN’ESPERIENZA AMMINISTRATIVA
(di Angela Barbanente)
1. Innovazioni
La qualità di un insediamento umano non può essere definita in modo univoco: il giudizio dipende da una
molteplicità di fattori culturali, sociali esperienziali degli individui o delle comunità. Quello che possiamo
sicuramente sostenere è che nell'esperienza amministrativa pugliese attribuire centralità al tema della
qualità in urbanistica ha implicato imprimere un grande impulso d'innovazione alle politiche regionali. 
I punti cardine di tali politiche, semplificando, sono enucleabili in tre parole chiave. La prima è
"sostenibilità ambientale". La terza parola chiave è “partecipazione”.

2. Risorse per il governo


Le risorse utilizzate nell'attività di governo possono essere articolate, per chiarezza espositiva, nelle
seguenti quattro categorie. Risorse di autorità, che per un governo regionale consistono nel potere di
approvare innanzi tutto leggi e regolamenti, ma anche piani per decidere. Risorse finanziarie, necessarie
non solo per ero- gare contributi finanziari, ma anche per promuovere incentivi, premialità, facilitazioni,
che supportino gli attori territoriali nello sforzo di innovazione e l'amministrazione regionale nel dare
concreta attuazione alle decisioni. Risorse organizzative, consistenti in strutture tecniche e amministrative
che operano direttamente per formulare e attuare le politiche. Risorse di nodalità, che denotano la
capacità di un governo di operare come nodo di una rete informazioni, come punto focale di relazioni fra
diversi attori istituzionali e sociali.
Per passare in rassegna leggi e atti di indirizzo approvati, non pos- siamo che partire dal Documento
Regionale Assetto Generale (DRAG), atto regolamentare al quale la legge regionale 20/2001 "Norme
generali governo e uso del territorio" affida il compito di dettare indirizzi e criteri per la redazione dei Piani
Territoriali di Co- ordinamento Provinciale, dei Piani Urbanistici Generali e dei Piani Urbanistici Esecutivi.
Altri provvedimenti importanti sono tre leggi regionali:
- "Norme per l'abitare sostenibile".
- "Norme per la rigenerazione urbana".
-"Misure a sostegno della qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio".
Per quanto attiene agli strumenti finanziari, il provvedimento avviato già nel 2005 per mettere a
disposizione dei Comuni, degli IACPE dei privati risorse cospicue (200 mila euro) in risposta a bisogni sociali
per troppo tempo trascurati, è il "piano casa" regionale. Questo ha previsto, fra l'altro, i programmi di
riqualificazione delle periferie. Il programma ha finanziato, infatti, ben 122 comuni e 129 programmi.

3. Indirizzi, criteri, orientamenti 


Altro atto di rilievo teso a promuovere un'urbanistica di qualità è rappresentato dagli Indirizzi per
l'elaborazione dei piani urbanistici esecutivi. Fra i principi fondamentali che ne sono alla base, quello
inerente alla sostenibilità ambientale implica innanzi tutto attenzione agli abitanti, nella consapevolezza
che, specie quando si opera per la riqualificazione della città esistente, ogni scelta e azione verso la
sostenibilità è volta a migliorarne la qualità della vita. La prima è legata al fatto che molto spesso i piani
esecutivi non tengono. conto dei caratteri morfologici, funzionali e di giacitura della città esistente, delle
sue direttrici storiche, dei rapporti fra vuoti e pieni; è come se i progetti fossero collocati su una sorta di
foglio bianco, come se la città esistente non avesse già influenzato e segnato l'identità dei luoghi. 
Si può promuovere e sostenere facendo crescere le occasioni di confronto delle idee, approfondimento
tematico, scambio di esperienze e questo soprattutto per sviluppare la consapevolezza e l'attenzione delle
amministrazioni e della più vasta società per la qualità non di sin- gole architetture eccellenti ma degli spazi
della vita quotidiana. 

4 .Sperimentazioni per mettere alla prova norme e piani


I Programmi di riqualificazione delle periferie, finanziati non solo con i fondi del "piano casa" regionale ma
anche con fondi statali e comunitari e attuati da ben 122 comuni della regione.  Gli interventi realizzati
hanno riguardato non solo la riqualificazione fisica ed ecologica, ma anche la rigenerazione culturale e
sociale. Uno dei temi cruciali del piano paesaggistico riguarda la riqualificazione delle coste, ossia la parte
del territorio maggiormente interessata negli ultimi decenni. La regione ha promosso concorsi di
progettazione per la riqualificazione integrata dei paesaggi costieri. 

LA QUALITA’ COME RISCATTO DELLE CALAMITA’


(di Angela Barbanente)
Non c'erano dubbi sul fatto che si sarebbe dovuto procedere con la ricostruzione in Emilia-Romagna. Vi era
in tutti la consapevolezza che si sarebbe dovuto intervenire su intere parti di città, e non su isola- ti
frammenti edilizi chiamati a sostituire quanto era crollato. Si cominciava a convenire sul fatto che questi
spazi avrebbero forse potuto incorporare i segni dell'evento dal quale avevano avuto origine, senza
camuffamenti, ma interpretandoli e rendendoli protagonisti della scena urbana che si andava
prospettando. Ecco dunque la tesi:nuovi brani di città che incorporano e rendono visibili i segni della storia
i terremoti appunto dai quali avevano avuto origine; e dunque la storia del presente, generata da un
evento traumatico, che entra in quella del futuro. 
Non di rado grandi e piccoli eventi sismici avevano determinato la rivelazione di storie precedenti occultate
nel tempo da quel lento evolversi comune a tutte le città storiche: anche eventi traumatici, attraverso i
quali però erano venute alla luce testimonianze cospicue di passati lontani. Come quella di Conza, la città
collinare dell'Irpinia totalmente distrutta dal terremoto del 1980 e poi ricostruita. Il sisma aveva rivelato
improvvisamente, ma sempre più palesemente, le tracce dell'antica città  romana.  Un caso nel quale gli
effetti del terremoto erano stati assunti essi stessi come storia.  È il caso di Salemi, città siciliana
caratterizzata da un impianto urbanistico di origine araba gravemente danneggiata dal terremoto del
1968. Il tessuto urbano salemitano era stato oggetto di una paziente operazione di recupero, che aveva
avuto nella risistemazione di Piazza Alicia uno dei suoi episodi principali. Nella risistemazione dell'area è
stata seguita l'idea della conservazione dei segni fisici impressi dal terremoto all'interno del tessuto
urbano, con l'assunzione della "rovina" come fulcro dell'intervento progettuale: i ruderi della chiesa sono
diventati la quinta scenica di un nuovo più ampio spazio pubblico i resti dell'abside sono stati consolidati, e
lo spazio interno è stato ripavimentato e ricollegato al livello inferiore della piazza.
Anche se non meno devastanti sono spesso gli eventi che intaccano la città per gli interventi del potere di
chi le governa: il potere militare, si pensi solo alle laceranti rimodellazioni urbanistiche dovute alle difese
cinquecentesche ma poi le guerre, le distruzioni, le ricostruzioni. Si pensi solo a Venezia, Piazza San Marco,
che appare oggi mirabile e unitaria, altro non è, lo si sa bene, che il frutto delle intense rimodellazioni
cinquecentesche e poi ottocentesche che vi si sono succedute.
Ma anche in Italia il quadro oggi è completamente cambiato: nella pratica del riuso, che sempre più si
impone, tutto. ciò che già c'è -in una parola, l'antico è chiamato a rispondere alle nuove domande che la
città esprime. Se è il nuovo che rigenera l'antico, l'antico senza il nuovo rischia di dissolversi. I nuovo lo
riscatta da una per- dita di senso che lo porterebbe gradatamente a scomparire dalla scena urbana.
Un buon progetto dunque, se colto e consapevole, può stabilire un'inedita caratterizzazione dell'antico:
che passa inevitabilmente attraverso il disegno del nuovo, la sua equilibrata misura, la sua pacata
incidenza, il suo linguaggio dialetticamente ma non aggressivamente contrapposto.

RAMMENDARE LE PERIFERIE, MA NON SOLO


(di Bruno Zanardi)
Il "rammendo delle periferie", secondo la suggestiva formula coniata da Renzo Piano, pare sia opera
pubblica destinata a divenire punto programmatico dell'attuale Governo. La crescita delle periferie rispetto
ai centri storici sia avvenuta in Italia soprattutto nell'ultimo mezzo secolo, cioè proprio nel momento stesso
dell'avvento anche da noi della cosiddetta scienza urbanistica.
Mezzo secolo fa il ritardo culturale del Paese era immenso, ma con ancora dei tratti d'ingenuità, cioè non
ancora completamente incanaglito verso furto e arroganza come ormai è oggi; e balla perciò fatta
ingenuamente propria dalle Regioni.
Prima ragione, è il gravissimo ritardo culturale in cui vive oggi il Paese. Quello soprattutto attestato dalla
nostra classe politica che, proprio in causa della sua impreparazione, sempre più è andata scartando dai
suoi "doveri". Quindi mai si è preoccupata di predisporre razionali, coerenti e moderne politiche industriali,
agricole, energetiche e quant'altro. Per invece promuovere e autorizzare la politica economica più
semplice, stupida, dannosa e redditizia che c'è: la speculazione edilizia, ma anche della cementificazione
dei suoli, quindi della loro impermeabilizzazione, perciò principale responsabile, sempre la nostra classe
politica, anche del dissesto idrogeologico del Paese, quello che sta producendo disastri ambientali con
cadenza sempre più ravvicinata nel tempo e sempre più diffusa sul territorio. 
Seconda ragione, la sostanziale incompetenza della nostra Università a formare i quadri amministrativi (dai
soprintendenti, ai funzionari regionali e comunali) che dovrebbero risolvere in via tecnica l’immenso
problema organizzativo, giuridico. 
Terza ragione, l'insensato numero dei circa 250.000 laureati in architettura e urbanistica. Oltretutto
architetti e urbanisti in gran parte forma- ti secondo il principio di Bruno Zevi figura centrale per decenni
dentro il mondo dell'architettura italiana del secondo dopoguerra per il quale il "nuovo" costruito non deve
avere rapporto alcuno con il "vecchio". Ma anche, di là da questo errore culturale di Zevi, avviene
l’aggressione al paesaggio e alle città storiche avvenute in Italia nell’ultimo mezzo secolo non possa essere
attribuita solo alla terribile miscela tra impreparazione culturale, ignoranza della storia. Decisiva è stata
infatti anche la corresponsabilità d’una insaziabile speculazione edilizia, d’una classe politica troppo spesso
ignorante e corrotta.
Quarta ragione, osservanza all’ “istanza storica (1952) della Teoria del restauro di Brandi. Un errore fu
infatti la rigida posizione presa da Brandi. 
Quinta ragione, la completa farraginosità del quadro legislativo che oggi governa l’urbanistica in Italia.  
Ultima, l’idea nella politica fatta solo di vincoli e divieti di cui può essere simbolo la Regione Emilia
Romagna dei primi anni Settanta, politica il cui principale effetto è stato d’aver museificato i centri storici
ottenendo la fuga della gran parte dei residenti. 

1. Soluzioni?
 Prima cosa, abolire subito le attuali Regioni, portandole a numeri sensati e razionali, ad esempio
mutuandone le dimensioni. Secondo, riaffidare allo Stato centrale il compito sia di indicare le linee guida
delle politiche urbanistiche, sia di provvedere al coordinamento della loro messa in opera, sia infine di
sovrintendere alla verifica dei loro risultati applicativi. Dopodiché, resettare (di nuovo lo Stato) l'attuale
quadro legislativo relativo a tutela del patrimonio storico e artistico, ambiente, paesaggio e urbanistica,
semplificando radicalmente e finalizzandolo a essere un unico strumento organizzativo. 

2. Favorire come? 
Facendo tornare nelle città- a partire dai centri storici-le attività lavirative oggi in genere confinate nelle
estreme periferie, quando non disperse senza alcun senso nelle campagne, quindi facendo tornare dentro
le città industrie, opifici e quant'altro dia concreta occupazione a operai, impiegati e dirigenti. Il che
porterebbe a ridisegnare un rapporto armonico tra nuovo e vecchio costruito, e di questo con il paesaggio,
aprendo in tal modo soprattutto ai giovani immensi spazi creativi progettuali, con la formazione di molte
migliaia di posti lavoro. Ridisegnare quel rapporto significherebbe infatti:
- riprogettare le periferie ponendone le funzioni abitative e i servizi in diretto rapporto con i centri storici;
-riprogettare i centri storici facendo dei vincoli non più, come è oggi, sempre meno sopportabili
provvedimenti solo in negativo, ma trasformandoli in indicazioni in positivo per la progettazione di un
nuovo compatibile per forme, tipologie, materiali e quant'altro con l'esistente storico. Quel nuovo
costruito che comunque realizzato per non far morire il "vecchio" patrimonio edilizio;
- restituire alla coltivazione il terreno agricolo oggi occupato dai capannoni industriali (dismessi e non) così
anche riconsegnando alle città i loro confini, ovvero il loro contesto paesaggistico; 
- far abitate le persone vicino ai luoghi di lavoro;
- ridurre drasticamente il traffico veicolare privato. 

Potrebbero piacerti anche