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espone il suo pensiero riguardo alla vita, la quale non è altro che un’eterna sofferenza.
Da qui nasce una profonda riflessione che contrappone la volontà con la rappresentazione, le quali
sono rispettivamente realtà ed apparenza.
Dichiara che la presunta oggettività del mondo non è altro che quello che l’uomo interpreta per sé
stesso, il quale viene visto come un animale metafisico, dotato di ragione e che si interroga
sull’essenza stessa della vita.
L'autore ha una visione pessimista della vita è una continua ricorrenza al dolore ed una lotta per
l’esistenza, che frustra l’uomo, bramante del desiderio della conoscenza infinita.
Il filosofo conduce il lettore in un profondo pensiero irrazionalistico, che attribuisce al dolore il
fondamento dell’esistenza, il quale ha come unica risposta la liberazione della volontà di vivere che
si divide in tre momenti essenziali: l’arte, conoscenza libera e disinteressata, la morale, che non è
altro che il tentativo di superare l’egoismo, e l’ascesi, il cui unico scopo è quello di debellare il
desiderio stesso di esistere.
La vena pessimista di Schopenhauer approda quindi all’idea che il desiderio denoti la mancanza di
qualcosa, e che questa lacuna porti inevitabilmente al dolore e alla noia, simbolo del
soddisfacimento.
Bergson critica il positivismo, perché centra la sua filosofia sulla scienza come unico approccio alla
realtà.
Bergson affermò che la scienza è insufficiente per comprendere la realtà e, per questo, c’è bisogno
anche della filosofia che collabori con la scienza e che non si opponga con essa. Quindi si serve
della scienza per comprendere i dati e poi raggiunge la metafisica. Mentre la scienza riguarda solo
la realtà in modo superficiale, la metafisica la analizza al suo interno. Quindi è possibile abbinare
alla scienza il concetto di relatività e di analisi, mentre alla metafisica affidiamo il concetto di
assoluto e intuizione.