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Storia Della Musica

La musica barocca tra Sei e Settecento


1. L’affermazione del sistema tonale
2. La musica vocale di tradizione italiana
3. La musica strumentale italiana
4. La musica francese nell’epoca dell’assolutismo
5. La musica in Germania dall’epoca di Heinrich Schütz all’epoca di Johann Sebastian Bach
6. Bach
7. La carriera internazionale di Georg Friedrich Händel

La musica dall’Illuminismo al Romanticismo


1. Cultura, musica e società nel Settecento
2. Il teatro d’opera in Europa
3. La musica strumentale e le origini dello stile classico
4. Il classicismo viennese: Joseph Haydn e Wolfang Amadeus Mozart
5. Dalla Rivoluzione alla Restaurazione: Ludwig van Beethoven

La musica del primo Ottocento


1. La musica nell’epoca romantica
2. Le grandi figure del Romanticismo in Austria e in Germania: Franz Schubert, Carl Maria von
Weber, Felix Mendelssohn e Robert Schumann
3. La musica strumentale in Francia

L’opera in Francia e in Italia


1. L’opera in Francia nell’Ottocento
2. Gioacchino Rossini e l’opera italiana agli inizi dell’Ottocento
3. Il melodramma romantico all’epoca di Vincenzo Bellini e Gaetano Donizzetti
4. La drammaturgia musicale di Giuseppe Verdi

La musica del secondo Ottocento

1. La musica e “l’arte dell’avvenire”: Franz Liszt e Richard Wagner


2. La Vienna di Johannes Brahms, di Anton Bruckner e di Hugo Wolf
3. Il valzer e l’operetta
4. L’emergere dei particolarismi e dei nazionalismi
5. Le scuole nazionali
6. Italia e Francia alla fine del secolo

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Storia Della Musica

La musica barocca tra Sei e Settecento

1. L’affermazione del sistema tonale


Si verifica un fenomeno di organizzazione dei suoni detto tonalità. La nozione di accordo di
sviluppa da un insieme di intervalli di due note in combinazione con le indicazioni numeriche del
basso continuo che poco a poco incominciano a indicare le triadi: si incomincia a ragionare per
accordi. Si comprende e si codificano delle regole per buone/efficaci successioni di accordi. Punto
di riferimento di queste sequenze sono i gradi della scala 1 e 5(transizione)
Relazioni già in uso ma ora teoricamente formulate in un sistema organico di convenzione detto
armonia tonale. Dal 600 si identifica il IV grado sottodominante, transizione al V. Giro standard può
essere puro (delle danze o piccole arie 600entesche) o col prolungamento con II e VII.
Se nella polifonia del 500 erano le combinazioni di melodie a dover garantire accordi legittimi,
armonia, adesso sono gli accordi che condizionano la melodia. Questo porta alla decadenza di
molte dei modelli di scala, delle 8 antiche (ricomparse in chiave arcaizzante) sopravvivono M e m.
Il sistema tonale offre altre risorse, es modulazioni: la scelta della tonica fra la note ei cambi di
tonalità nel corso della composizione, la più semplice tra tonica e dominante, da do a sol.
I principi del giro armonico si sviluppano su questi livelli,1 modulazioni, 2 giri con prolungamenti, 3
giri elementari e semplici.
A tutto ciò si arriva gradualmente e sino alla maturità di metà 600. Maggior teorico di armonia è
Jeans-philippe Rameau (Traité de l’armonia à se principe naturels 1722) (Generation harmonique
1737): riflette sulla triade e sulla sua unità organica arrivando ai rivolti. Teorizza anche sulle
modulazioni arrivando all’originale ma largamente condivisa teoria degli affetti.

2. La musica vocale di tradizione italiana


L’opera veneziana del 600 vede l’assenza di episodi corali, spiegabile con il declino del gusto
polifonico e con ragioni economiche, nascendo il teatro a pagamento che rispetto alla corte delle
contenere i costi. Si privilegia il canto solistico, ci si concentra sul dramma e la musica concisa.
Francesco Cavalli (Crema 1602-Venezia 1676) allievo di Monteverdi, tende a un recitativo conciso,
formule melodiche ricorrenti entro cui spiccano brevi arie. Giasone, 1649.
Antonio Cesti, L’Orontea, 1649. Molte arie affidate alla contabilità melodica.
Anche l’elemento comico comincia a emergere, La Tancia, ovvero Il podestà di Colognole, 1656 di
Jacopo Melani, e Il trespolo tutore, 1674 di Alessandro Stradella.
Stradella (Roma 1644 - Genova 1682) fu autore di opere teatrali, oratori (Susanna 1666 e San
Giovanni Battista 1675) e cantate. La sua biografia è quasi leggendaria, le sue opere sono originali
e in alcuni casi sperimentali, in procedimenti che Corelli elaborava negli stessi anni a Roma.
Tra anni 80 e anni 20 del 700, ormai il melodramma era diffuso:
Alessandro Scarlatti (Palermo 1660- Napoli 1725) scrisse più di 60 opere teatrali e nei suoi
mutamenti stilistici si riassume l’itinerario storico dell’opera dai modelli Veneziani all’opera
napoletana.
Gli strumenti son quelli tradizionali (aria, recitativo, interventi orchestrali, basso continuo) ma la
tradizione veneziana si arricchisce di risorse e strutture. L’aria si stabilizza “col da capo” (che mette
in luce le doti vocali). Il recitativo è “secco”, formule melodiche semplici e accompagnato dal solo
basso continuo, si fa più comprensibile. Tuttavia quando la drammaticità lo richiede la voce può
essere sostenuta da altri strumenti dell’orchestra, dicesi “accompagnato”.
Aumenta la ricchezza timbrica dell’orchestra, che è ormai basata sugli archi ma vengono impiegati
per effetti speciali i fiati. L’uso dell’orchestra diventa significativo nella sinfonia introduttiva.
Dagli inizi del 700 il modello prevalente diventa l’ouverture all’italiana (per distinguere dalla
“francese” codificata da Lully), allegro, adagio, e brillante movimento di danza conclusivo.
Famosi rimasero l’opera comica Il trionfo dell’amore, 1718, e l’opera seria La Griselda, 1721,
libretto di Apostolo Zeno, più una trentina di Oratori, più di 600 cantate e varie messe e altre opere.
Il modello di melodramma romano-veneziano trova diffusione anche all’estero: in Inghilterra la
tradizione del masque e della prosa ritardano l’interesse per il melodramma che solo dopo il
fenomeno isolato di Didone ed Enea di Purcell, invaderà la scena londinese.
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In realtà Henry Purcell Londra 1659 1695) compose un opera interamente cantata
(commissionatagli per un collegio del Chelsea, per motivi economici agile e concisa) ma con tanta
derivazione masque.
Nell’invenzione musicale di Purcell, c’è esperienza autoctona, europea e il canto solistico del
genere dei ayres inglesi di fine 500, stile popolare misto a madrigale italiano (John Dowland, 1597,
The First Book of Songs or Aires of forum Partes with tablature for lute).
Il melodramma italiano si diffonde subito, soprattutto in Austria con forme drammaturgie veneziane
arricchite dalla pompa di corte, come il Pomo d’oro di Cesti per nozze di Leopoldo (scenografie
ricche di Brunacini e orchestra piena in luogo dei ridotti complessi d’archi). Medesimo stile Antonio
Draghi a Vienna intendente dell’imperatore. In Germania Agostino Steffani.
Storia parallela al melodramma è quella della cantata, formalmente una serie di recitativi e di arie
legati da un soggetto comune. Tra i topoi il lamento amoroso, l’autopresentazione di un
personaggio storico antico, recente, spirituale ma anche comico o ironico, celebrativo o mitologico.
La varietà dei temi corrisponde alla varietà di occasioni di composizione. A livello amatoriale o
professionale, poteva riguardare una sola voce accompagnata da basso continuo, o più voci e
strumenti.
Gli stessi autori sono coinvolti nell’oratorio, che dopo Roma fu adottato ovunque. L’affinità tra i
generi fa si che quest’ultimo diventi sempre più un melodramma senza scena, magari da eseguire
per la Quaresima. I testi diventano simili a libretti, il narratore viene abolito, non a caso Zeno e
Metastasio scrivono tanti testi per oratori.
Nel campo della musica liturgica non ci sono invece mutamenti stilistici. La vocazione
conservatrice prevale nel 600 e 700. Gli unici stili competitivi sono dunque il “concertato” (il più
aperto alle contaminazioni profane e quindi più sorvegliato) e lo stile severo della polifonia
tradizionale 500esca, detto anche osservato o stile alla Palestrina. Considerato adatto alla
formazione di compositori, ha maggiori trattatisti in Johann Joseph Fux e Giovan Battista Martini,
sullo studio della polifonia classica che ha come spina dorsale l’arte del contrappunto dei grandi
polifonismi fiamminghi del 400 e 500.
Anche in questo campo (oratoriale e liturgico) i modelli italiano ebbero credito in Europa, sempre a
Vienna fu in sposa all’Imperatore Ferdinando III una duchessa dei Gonzaga in rapporto con
Monteverdi e che ospitò molti musicisti italiani. Lo “stile della Germania del sud” è debitore dello
stile italiano, famoso rappresentate è Fux, autore non solo di musica liturgica in stile osservato.

3. La musica strumentale italiana


Per la musica strumentale il 600 è periodo di sperimentazione e di assestamento, e solo negli
ultimi decenni si arriva a forme più o meno stabili. Sonata, Concerto.
Caratteristica più evidente del concerto è al suo interno la contrapposizione tra due due gruppi di
strumenti, uno più nutrito (di orchestra) e l’altro ridotto (solistico). Le convenzioni si assestano dopo
un periodo di libertà lasciata al compositore, nella scelta degli strumenti da contrapporre, tra arco e
fiato, pizzico, tastiera: prevalgono nelle convenzioni gli archi.
Stesso predominio degli archi in un altro genere, Sinfonia, brevi brani introduttivi allo spettacolo
d’opera. Ma per la genesi del concerto il genere più importante fu la sonata per i suoi aspetti
formali tipici: strutturazione in tempi, caratterizzazione tra adagi e allegri, l’utilizzo di modelli derivati
dalla danza e dal contrappunto.
Allo stile del concerto contribuiscono centri musicali diversi: da esperienze lombarde Maurizio
Cazzati (importante per la scuola di San Petronio Bologna, per l’uso della tromba); con i successivi
Perti e Torelli la cappella bolognese è uno dei più importanti centri per la codifica del concerto
barocco. Anche Venezia fu centro importante, con Cavalli e Legrenzi.
Il personaggio che più ha fama di codificatore di forme e stile è Arcangelo Corelli (Fusignano
Ravenna 1653 - Roma 1713), che non si dedicò forse mai alla musica vocale. In stretti rapporti con
l’intellettualità romana, dalla regina di Svezia ai Pamhpilj all’Accademia dell’Arcadia.
Compositore e violinista, con grande cura formale e prudenza pubblicò 6 raccolte di 12 brani: le
prime quattro di sonate a 3 strumenti “da chiesa” e da camera. La 5 sonate per violino e basso
continuo, la 6 di 12 concerti grossi.

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Lo stile di Corelli è il risultato di una secolare elaborazione di tre grandi modelli di organizzazione
sonora: polifonia vocale (che lascia in eredità lo stile imitativo), la musica per danza (che
caratterizza alcuni tempi delle sonate che si ispirano proprio ai movimenti di danza), e il canto
solistico (che attribuisce caratteri di espressività, di implicite emozioni o gesti).
Tratto caratteristico dello stile di sonata e di concerto è la semplice e e razionale distinzione dei
piani tonali, tra gli episodi iniziali e finali in tonica, e il centro in dominante. Gli episodi sono
delineati da una cadenza che gode di certa fluidità e libertà: l’allegro presenta una proposta
melodica iniziale che viene ripresa contrappuntisticamente dalle voci, e scaturiscono idee, questo il
cosiddetto gioco motivico.
Variante significativa del concerto grosso è senza la sua divisione in gruppi, di cui abbiamo esempi
bolognesi, Torelli nell’Opera V 1692. Nei primi anni del secolo compaiono i primi concerti per
violino e orchestra, dello stesso Torelli o di Albinoni.
Antonio Vivaldi (Venezia 1678 - Vienna 1742) solo nel 1704 viene assunto come maestro di violino
all’Ospedale della Pietà, un orfanotrofio in cui Vivaldi prestò molta parte della sua opera: più di 400
concerti circa metà per violino, a cui è legata la sua fama. Oltre a sonate musica sacra e
melodrammi. Novità rispetto ai modelli precedenti di concerto sono un calore nuovo e più
disinvolto, geniale semplicità di struttura, di cui ci si accorse subito in Europa (prima raccolta
pubblicata ad Amsterdam nel 1711. Lo stile vivacchiano è legato alla gestione di elementi base
come timbro, con una gamma ampia di sfumature dinamiche, effetti di densità o rarefazione
sonora di accenti, colpi d’arco, tremoli. Altrettanta inventiva nel ritmo, per cui le velocità cambiano
quando serve in tempi veloci e tempi più lenti, e nella melodia, varia e fantasiosa, piacevole a cui
l’aveva abituato la tradizione melodrammatica. La sua musica acquista quindi capacità descrittive
e drammatiche del melodramma non ancora di casa nel più austero concerto: lo dimostrano
Quattro stagioni 1725, o altri concerti a programma come La Notte, La tempesta di mare, La
caccia, Il gardellino ecc. Queste innovazioni sono inserite in uno schema ancora più semplificato
rispetto al concerto seicentesco, assumendo definitivamente forma in 3 tempi (già caratteristici
della sinfonia d’opera), allegro adagio allegro, col primo di solito fatto di alternanza tra un ritornello
dell’orchestra ed episodi cantabili o virtuosistici del solista. I ritornelli stabiliscono i pilastri tonali,
nella tonalità d’impianto al primo e ultimo movimento. Uno schema non rigido ma ricco di varianti,
utile alla velocità di composizione al lui richiesta. La fortuna dei suoi concerti è sintomo dei nuovi
gusti più mondani del pubblico settecentesco.
Per quanto riguarda le composizione per strumenti da tasto, organo e clavicembalo, ricordiamo
oltre i limiti cronologici del periodo trattato, Frescobaldi e Domenico Scarlatti.

4. La musica francese nell’epoca dell’assolutismo


In Francia la formazione di uno stile musicale nazionale si svolge in parallelo con la crescita
dell’assolutismo monastico, Luigi XIII e XIV. Alle origini del gusto francese ci sono due tradizioni
del 500: la musica per danza e la chanson polifonica vocale. La moda delle feste di palazzo basate
sulla danza porta al Ballet de court, azione su trama mitologica con poesie, scenografie e danze
collettive. La danza diventa abitudine mondana della nobiltà e predilige il liuto per
l’accompagnamento. La tradizione della chanson invece tende a un nuovo genere in cui la
polifonia viene affidata a uno strumento (liuto) e il superius o dessus è della voce solista, genere
chiamato air de court. Della tradizione liutista ricordiamo la famiglia Gaultier, tra cui Ennemond
detto Le Vieux, e Denis detto le Jeune, autori di raccolte di danze. Tra le caratteristiche più nuove
ci sono particolari forme di abbellimento e l’adattarsi degli strumenti agli schemi polifonici.
Entrambe le arie e le danze per liuto sono adatte all’intimità domestica.
Con Luigi XIV si assiste a un importante avvenimento, l’esecuzione dell’Orfeo di Luigi Rossi, visto
con interesse per il fascino nuovo ma anche con sospetto da alcuni intellettuali come Corneille.
In questo ambiente si affacci un ragazzo fiorentino, Giovanni Battista Lulli (Firenze 1632 - Parigi
1687) entrato a corte come cameriere della principessa d’Orléans, riuscendo a diventare
compositore della musica strumentale del re. Per vent’anni si dedica a musiche di scena per
balletti, mascherate, commedie, intermezzi e creò con Molière il genere fortunato della comédie-
ballet, spettacolo di scene in prosa e interventi danzati. A fine anni 60 il musicista Cambert e il
librettista Perrin tentarono di creare un’opera in stile italiano ma fallirono economicamente. Lully
accolse l’eredità del progetto avendo il privilegio reale, un monopolio sulla musica, e si dedicò per
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sedici anni al nuovo genere della Tragédie-Lirique. Ne compose 16 e furono il modello classico del
teatro francese, unico a saper assumere in Europa un’identità propria.
Utilizza elementi della tradizione francese: l’Ouverture, gli schemi delle arie, le inserzioni danzate,
la ricchezza strumentale, scenografie solenne e la compostezza gestuale. Ispirandosi al recitativo
italiano inventa un declamato, un recitativo che gli decretò immediato successo. Agli ultimi anni
della vita appartiene produzione di musica sacra per celebrazioni, grandi e piccoli mottetti. nel
genere sacro trova successori in Charpentier, Campra, Delalande. Ma i più illustri continuatori
furono Francois Couperin e soprattutto Jean-Philippe Rameau.
Da metà 600 il liuto cede il primato al clavicembalo: 27 suites scrive Couperin (da lui dette Ordres)
dotate di titolo, ricche di prestiti dalla tradizione della chanson popolare ma di grande raffinatezza.
Stesso gusto troviamo in Rameau (Digione 1683 - Parigi 1733) che persi emancipa dagli schemi
contrappuntisti in soluzioni originali. La sua fama di teorico è grande, ma il successo competitivo lo
ottenne con la sua tragedie-lirique Hippolyte et Aricie nel 33. Compose per ogni genere arrivando
ad elaborazioni sempre più mosse e innovative tanto da far scoppiare una polemica tra lo stile
semplice e naturale lulliano e i “ramisti” che appoggiavano la complessità e la ricchezza strument.

5. La musica in Germania dall’epoca di Heinrich Schütz all’epoca di Johann Sebastian Bach


La Germani non era unita. Le opportunità per un compositore venivano dalle corti ricche e in
alcune grandi chiese cittadine facendo il Kantor (maestro di coro) o l’organista (importanza
primaria della musica nella liturgia luterana). Per queste carenze nell’autoidentificazione nazionale
i musicisti tedeschi meglio degli altri riescono ad assorbire gli stimoli provenienti da fuori.
Distinguono infatti negli ultimi decenni del 600 3 stili: italiano ( che aveva recentemente portato la
sonata e il concerto, o per il quale musicisti tedeschi studiavano in Italia Schutz Froberg Muffat, o
venivano accolti musicisti italiani) francese ( basato sui movimenti di danza, la fama di Versailles
ne fece presso Lulli una meta di studio) e quello tedesco (sulla solidità della tecnica
contrappuntistica).
Nel 1585 nasceva in Turingia Heinrich Schütz. Studia anche a Venezia.
Tre componenti stilistiche lo caratterizzano: fedeltà alla polifonia del 500, il gusto per la
declamazione espressiva italiana, e l’attenzione per le forme del corale luterano.
Le sue più importanti raccolte di mottetti polifonici sono Cantiones sacra del 1625 e Geistliche
Chormusik del 1648, tra tradizione e modernità. La sua fantasia si dispiega originalmente nello
stile concertato, raccolte come Kleine Geistliche Konzerte, Symphonie Sacrae: in alcune tratta il
corale in altre il concertato libero. Si dedica anche a un genere vagamente analogo all’oratorio
italiano, le Historiae, episodi che narrano la vita di Cristo.
Altrettanto aggiornati allo stile moderno due coetanei, Hermann Shein e Samuel Scheidt.
La comparsa dello stile concertato non abolisce la pratica polifonica, nemmeno la più antica di
epoca fiamminga che nel cantus. firmus aveva la base della composizione.
In tutta Europa però si stava passando da concezioni formali libere a strutture più stabili, e fu così
anche per il Concerto Spirituale che viene a confluire per gradi nella forma rigida della cantata da
chiesa. Così le composizioni vocali di Dietrich Buxtehude 1637-107 conservano capacità di
raffigurazione drammatica delle vicende sacre su esempio di Schütz ma vengono inquadrate in
forme architettoniche più ampie e stabili, meno aperte. Il moderno termine cantata inizia a venire
usato, fu il primo il poeta Erdmann Neuemeister con la raccolta di poesie sacre Geistliche
Cantaten (cantate spirituali) (non solo termini italianeggianti ma anche forme tipiche della cantata e
scene d’opera italiana, di recitativi e arie).
Analogo processo di trasformazione per le musiche strumentali specialmente per organo:
Dal terzo decennio del 600 dominano il campo forme a struttura contrappuntistica, composizioni in
stile di toccata (quindi ricche di improvvisazioni) ed elaborazioni di melodie corali. Il ricercare e la
canzone sono forme contrappuntistiche ancora in uso con tendenza nel confluire in quello schema
che verrà codificato come fuga. Da una forma che inizialmente prevede più temi che si alternano o
di uno che viene modificato si arriva poco a poco a fissare uno schema monotematico che
prevarrà nelle fughe settecentesche. Inoltre da struttura modale si passerà al rapporto tonica-
dominante.
Della generazione di organisti di questo periodo ricordiamo Froberger e Buxtehude, il quale oltre
alle fughe compose preludi e toccate esuberanti. Il genere più tipico della tradizione organistica

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tedesca è però sicuramente il corale: la melodia nota delle celebrazioni veniva trattata in modi
diversi, utilizzandone frammenti con tempi di fuga, presentandoli con cantus firmus, variandoli.
La musica per clavicembalo non era diversa inizialmente, alcune composizioni per la liturgia altre
più ambivalenti. Più specifiche le musiche di danza. Più tardi verranno trascritte per clavicembalo
composizioni orchestrali molto diffuse, es di Kuhnau (sue le Sonate bibliche).
Nella musica per strumenti ad arco si ricordano George Muffat, Heinrich Bieber fu invece
importante violinista.
Un ultimo genere di carattere domestico di fortuna in Germania fu quello del Lied con basso
continuo, almeno fino a quando il gusto per la vocalità operistica all’italiana non sopravvenne.
L’unico luogo dove si creò una tradizione operistica locale fu Amburgo, con il primo teatro pubblico
tedesco nel 1678, dove si produssero spettacoli in lingua tedesca ma ricchi di influssi francesi e
italiani. In gusto teatro inizierà la carriera di Händel.

6. Bach
Le esperienze in atto nei paesi di lingua tedesca rappresentano la premessa e base della
produzione di Bach, che dimostrò un’attitudine curiosa e intellettuale a 360 gradi.
La capacità di sintesi e assimilazione dimostrata in tutta la sua carriera si ricollega ad una visione
personale della musica, con una radice nel luteranesimo e la musica come strumento precipuo di
lode al Signore, e con la sua personale opinione di musica come ars, dottrina, sapere immutabile.
È evidente una sapienza compositiva non solo degli strumenti tecnici ma anche espressivi,
codificati nella teoria degli affetti. Considerando le austere premesse morali della sua arte, si
spiega il suo progressivo isolamento e l’oblio in cui cadde per cinquant’anni col diffondersi in
Europa a partire da metà 700 del “buon gusto”, la moda, il bel canto, modernità della società.
Eisenach 1685 - Lipsia 1750, fino al 1708 fu organista ad Arnstadt e a Mülhausen, studiando libri di
musica francese italiana e tedesca e compiendo viaggi. Di questo periodo le fughe,preludi,
toccate, corali per organo e composizioni per clavicembalo (fra cui Capriccio sopra la lontananza
del fratello dilettissimo) e fra le prime cantate per liturgia, Actus Tragicus. A 23 è prima organista e
poi direttore d’orchestra a corte di Weimer. A contatto con lavori di Vivaldi e altri compositori italiani
troviamo queste tracce nelle fughe sui loro temi e aspetti dello stile di concerto (alternanza dei
tempi, essenzialità dei temi) nelle opere di questo periodo. La nomina nel 1714 a direttore lo
obbligò anche a scrivere numerose cantate per il servizio liturgico (rintracciamo influssi di
Neuemeister nei testi e forme con impiego di arie e recitativi).
Nel 1717 è maestro di cappella a Köthen e lavora su musica strumentale e cameristica (Sonata
per flauto e violino con cembalo obbligato, le Suites per violoncello solo, le Sonate per violino
solo). Il più noto del periodo sono i 6 Concerti branderughesi (definizione di Spitta). È Bach a dire
concerto e ne utilizza il principio ma rielabora con inventiva, in alcuni soli di timbro policromo e in
generale con combinazioni e intrecci strumentali più ricchi degli esempi italiani. Al periodo di
Kothen risalgono anche testi didattici per i figli, Clavier Büchlein, di pezzi suoi e di altri autori (15
preambula raccolti come Invenzioni a 2 voci, 15 fantasie poi Sinfonie a 3 voci, 11 Preludia presenti
nel Clavicembalo ben temperato).
Raccolta più ambiziosa è di gran lunga il Wholtemperierte Clavier, dimostrazione scientifica della
possibilità di comporre in 24 diverse tonalità dividendo con l’accordatura l'ottava in 12 semitoni
uguali. Sistema studiato da Werkmeister. Non si tratta solo di comodità di accordatura ma anche
della varietà di possibilità compositive che vengono permesse.
Dal 23 fino alla morte visse a Lipsia, come Kantor della Chiesa di San Tommaso, con molti compiti
non compositivi, tra cui scgliere le musiche per le cantate di rito ogni domenica. Scrisse lui stesso
5 cicli, ognuna di 60 cantate (quante le feste annuali) ma ce ne sono pervenute 200 circa (in molti
casi per accelerare usò la tecnica di parodia, riutilizzazione di musiche.
Una cantata bachiana comprende un brano iniziale, quasi sempre grandioso coro polifonico, con
unità garantita dalla ripetitività degli spunti tematici. Il testo è la Bibbia. Arie, duetti, terzetti, alternati
con passi in recitativo, sono su testi poetici liberi ma attinenti alla festa. Si conclude con un canto
corale a 4 voci. Commenta i testi con sottile e attento ricorso alla teoria degli affetti.
I tipi di cantata variano anche a seconda dei testi (non solo per fantasia di autore) e di motivi
pratici. Talvolta definisce Oratorium le evocazioni di avvenimenti in cui son presenti episodi
narrativi, descrittivi o a dialogo. Diverse le Passioni: poteva essere Passione in forma di cantata,
Passione-Oratorio all’italiana, o Passione che mette in musica direttamente il vangelo alternando
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corali luterani. Di questi scrive Secondo San Matteo, e Secondo San Giovanni, di monumentalità e
intensa drammaticità (recuperate da Mendelssohn che inizia la bach Renaissance). Specialmente
nella passione secondo Matteo l’uso di due orchestre e due cori, e le strutture drammatico musicali
così suggestive contribuisce a una spettacolarità e a una potenza d’immagine che comunica
l’immediatezza e il coinvolgimento della fede.
Fra i riti sacri c’era anche la Messa su testo latino, che comprendeva nell’ordinaria il Kirie, il Gloria
e il Sanctus. Compose anche una messa cattolica.
Interessante fu la sua attività di direzione del Collegium Musicum (gruppi musicali riorganizzati da
Georg Telemann) per cui compose cantate profane, musiche da camera e per orchestra, concerti
per clavicembali.
Ultimo grande ciclo a scopo didattico il Klavier Ubung I volume 6 Suites o Partite, II Concerto
italiano e L’ouverture alla maniera francese. Esce poi il III volume con una ventina di corali.
Il II volume del Clav. ben temperato e le variazioni Goldberg (IV volume del KU) completano la
produzione matura di Bach.

7. La carriera internazionale di Georg Friedrich Händel


Halle, Sassonia 1685 - Londra 1759, differenziano la sua carriera con Bach l’internazionalismo, e
la predilezione per l’opera teatrale. Esordisce ad Amburgo con Amira 1705, e come musica sacra
con una Passione secondo Giovanni. Sta quattro anni in Italia fino al 10 su invito di Ferdinando
Medici, venendo a contatto e sperimentando generi di musica sacra e profana, in cui si distinse per
la capacità di infondere vigore drammatico, stimolato dalla teatralità del gesto italiano. Poi
Hannover e poi Londra. Nel 1710 Agrippina gli da il massimo successo italiano ma si intuisce
l’attrattiva di Londra, dove ancora non si era diffuso come nel resto d’Europa il teatro d’opera
italiano. La realtà londinese presentava un vuoto che Händel occupò con Rinaldo 1711, in scena
ad Hayemarket, consolidando la supremazia dell’opera seria italiana su altri generi esistenti (il
dramma inglese ispirato al masque che tentava di essere alternativa locale al melodramma) e
gettando la base della sua carriera di operista. In superficie è standard, alternanza recitativi ed arie
con occasionali deroghe a seconda delle circostanze come un cast particolare, stelle della danza,
oppure carattere dei libretti (a cui preferiva quelli collaudati).
I suoi meriti vanno quindi individuati nel aver saputo vitalizie e variare una formula statico come
l’aria col da capo e dandole intensità e sfumature, emozioni; inoltre il talento drammaturgico, gli
stacchi improvvisi e soluzioni sceniche ardite al posto della tradizionale staticità.
Il suo amore per il genere lo portò a continuare anche quando mutava la situazione politica che
aveva favorito la sua ascesa. Con Beggar’s Opera 1728 (farsa di John Gay) musica di Pepusch
che cuce canzoni popolari e altre melodie in prestito, base del teatro musicale inglese
contrapposto a un prodotto di importazione ormai anche oggetto di satire di intellettuali
progressisti. Solo dal 41 però smise con l’opera e si dedicò solo ad Oratori: a differenza del
periodo italiano, riplasma il genere, dando al coro funzione determinante come nella tragedia
greca, ovvero collettività e rimbalzo del dramma e della drammaticità, oltre che farne immensi
complessi sonori, descrittivi e scenografici: Israel in Egypt, Belshazzar. Svincolate dalle
convenzioni dell’opera seria realizza una drammaturgia musicale più dinamica con forme come
recitativo e arie meno statiche. Molti i soggetti dell’Antico Testamento, o come il Messiah sulla vita
di Cristo o anche Mitologici. Spesso ricche di contenuti metaforici e ideologici.
Di composizioni sacre vere e proprie si ricordano i due te Deum per pace di Utrecht e vittoria di
Dettingen, l’Anthems per incoronazione Giorgio II e regina Carolina, e per il duca di Chandon.
Fastosissime anche le due suites per il corteo reale sul Tamigi (watermusik) e per i fuochi per la
pace di Aix la Chapelle (Fireworks Music). Nell'ambito concertistico fa scelte molto personali come
dare all'organo una funzione solistica (di qui è virtuoso) in concerti fatti come intermezzi agli oratori
o con i 12 concerti pubblicati nel 1740 applicandosi al concerto grosso quando aveva preso ormai
il sopravvento il concerto solistico (ancora memore dell’Italia).

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La musica dall’Illuminismo al Romanticismo
1. Cultura, musica e società nel Settecento
Li pensiero illuministico subisce il fascino di due poli opposti, da un lato la razionalità e
l’esaltazione della scienza, dall’altro i valori dell’emotività della sensibilità. Questi aspetti si
ritrovano nel mondo della musica e nei dibattiti dell’Europa settecentesca: i teorici distinguono tra
l’armonia e melodia una apportatrice di razionalità l’altra di emozioni e sentimenti, una universale
l’altra sempre diversa. Stessa dicotomia nei dibattiti sul melodramma e la musica strumentale:
parola, trama, azione scenica l’elemento identificabile chiaramente, l’elemento musicale invece il
trionfo dell’irrazionale. All’elaborazione dell’illuminismo non arriva esclusivamente la Francia, ma
contribuirono anche Italia e Germani, quest’ultima in particolare negli anni 70 con lo Sturm und
Drang che accentua i caratteri antitetanici e l’irrazionale. Da non assolutizzare nemmeno la
centralità della classe borghese, per l’apporto dei “principi illuminati” e l’aristocrazia. Ma nelle
abitudini aristocratiche le nuove idee non sempre vengono accettate con tanta serietà, forse
nell’incapacità di vedere un futuro all’interno della nuova società, e trova forme di
autoidentificazione in eleganze estreme e squisitezze fini a se stesse.
Anche la musica rispecchia le tensioni sociali e i paradossi del secolo ma rimane ancora
fedelmente ancorata ll’aristocrazia che la finanza.
Il genere dominante è il melodramma, che è anche curioso fenomeno di costume. Nelle differenze
tra teatro pubblico e di corte però ritroviamo differenze riconducibili alle modalità di sostentamento
economico dei due teatri che riguardano lo stile e repertorio. Se a corte si accettavano più
cautamente novità tuttavia il livello degli spettacoli era superiore rispetto ala media dei teatri
pubblici, che dovevano affrontare il problema dei costi, nelle persone degli impresari, che ora
intervengono sul numero dei cantanti (con ingaggi altissimi) premendo su musicisti e librettisti a
ridurre il numero di personaggi. I castrati diventano di moda. L’assodata indisciplinatezza del
pubblico si spiega nel rapporto con le rappresentazioni, l’assistere a tutte le repliche, le abitudini.
Abbondano gli scritti polemici, tra i trattati “Il teatro alla moda” di Benedetto Marcello (Arianna).
La musica strumentale non ha in questo periodo luoghi d’ascolto precisi ma rappresenta il tessuto
di fondo dell’esperienza musicale. Palazzi nobiliari (orchestre private, es eclatante Esterhazy). Le
occasioni del comporre variavano, danze feste, fini didattici. Alla musica domestica si collega il
mercato editoriale e i primi guadagni diretti per i compositori. È vero che negli ambienti nobili la
musica poteva acquisire funzioni oltre l’intrattenimento puro, ma la vera novità del secolo è il
diffondersi delle sale da concerto: organizzate con modalità diverse, solitamente il musicista non
era stipendiato, e il pubblico era vario; queste strutture si sviluppano e danno vita a un repertorio
specifico che esula dall’ascolto fine a se stesso. Mutano le attese e le abitudini di ascolto.
Esempi parigini tra il 69 e il 72 le associazioni Concert des amateurs, C. de associeés, C. d’amis.
Anche a Londra erano nate, ben prima, sotto Cromwell, mentre in Italia la mancanza di borghesia
colta rallentò moltissimo queste iniziative. A fine secolo la concorrenza dell’impresario e i suoi
lavori occasionali rispetto al salario fisso presso una cappella, i vantaggi di una libera professione
erano tali da convincere i migliori musicisti a rischiare giorno per giorno. Si chiude così dopo 4
secoli il mecenatismo aristocratico, aveva esaurito la sua funzione storica.

2. Il teatro d’opera in Europa


Nonostante i tentativi di creare i teatri nazionali, in tutta Europa dominava il modello di opera
all’Italiana, con l’unica eccezione di Parigi. Non solo, ma in tutta Italia a fianco ai grandi teatri, ogni
città godeva di un teatro dell’opera. Fuori Italia Vienna si distingue per qualità.
L’opera seria era il melodramma di genere più nobile: le vicende (eroi, amori, re e regine ecc)
erano tutte diverse e tutte uguali, intrecci standard. Le tipologie di sentimenti erano fisse e le arie
potevano essere trasferite facilmente con pochi ritocchi. Nelle arie l’azione si fermava. Proseguiva
con i recitativo, secco o accompagnato: nel primo caso recitazione rapida con pochi accordi del
clavicembalo; nel secondo più ariosa e sostenuta dall’orchestra. Intorno al 30 la maggioranza delle
arie è col da capo. La struttura efficace era due strofe poetiche distinte, con motivi melodici diversi,
dopo la seconda era ripetuta la prima, ma con infiorettature e virtuosismi per mettere in luce il
cantante. Nei primi decenni le arie erano di dimensioni ridotte ma di numero elevato; gradualmente
si fanno più complesse. la voce dei castrati doveva provocare grande fascinazione, e per il loro
libro innaturale dovevano avere un che di straniante all’ascolto. A una forma semplificata e ripulita
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dalle fantasie immaginifiche barocche, ci arriva per gradi nel corso del 700 ma l’esigenza di
razionalizzazione è già viva a fine 600, con Apostolo Zeno portavoce di una riforma del libretto
predicando una trama compatta, più coerenza fra arie e recitativi, e l’eliminazione di elementi
estranei (come scene comiche). In più vuole includere un insegnamento morale al lieto fine così da
conferire maggiore dignità etica e politica allo spettacolo. Una riforma che fu ripresa con maggiore
incidenza da Pietro Metastasio (Roma1698 - Vienna 1782) il più grande librettista del 700:
come poeta cesareo alla corte viennese dal 1730 domina sulla scena europea, detta legge a
musicisti e librettisti: riduzione del numero delle arie, dei cambiamenti di scena, maggiore
attenzione all’intreccio per dare spazio a ogni personaggio, ma specialmente cura del livello
poetico dei testi musicati e parlati. Era Napoli nel primo 700 il cuore del melodramma italiano, con
una scuola di altissimo artigianato, con alle spalle l’esempio scarlattiano, che fu consacrata con la
Didone metastasiana di Vinci negli anni 20’. Altri testi metastasiani come Artaserse o Olimpiade
furono musicati da Porpora, Leo, Pergolesi. Al gruppo si aggiunge Hasse. Dal 1740 al 70 l’opera
seria di matrice napoletana dilaga in tutta Europa: Hasse, Johann Christian Bach, Baldassarre
Galuppi. Con Niccolò Jomelli (soggiornò in Germani e ne apprese il colorito dell’armonia e della
ricca strumentazione) e Tommaso Traetta il pubblico è ormai più esigente e moderno e si
sperimenta di più a forzare le rigide strutture metastasiane. Negli ultimi trent'anni autori come
Piccinni, Salieri, Paisiello, Cimarosa, (del ceppo napoletano) continuano a musicare metastasi ma
fanno adattamenti, mentre dagli anni 90 quei libretti sono in declino.
Nella seconda metà del secolo era però esplosa nel frattempo l’opera buffa o opera comica. A fine
seicento inizio 700 esempi di commedie musicali erano state assai rare, se mai personaggi buffi.
Nel 1709 a Firenze è allestito uno spettacolo in dialetto in 3 atti di carattere popolare, Patrò
Calienno della Costa, musiche di Orefice. Il pubblico gradì e la pratica di spettacoli musicali
popolari continuò. Non era un genere alto ma si tentò di nobilitarlo, inserendo personaggi di alto
rango accanto alla coppia dei buffi, inserendo l’italiano, ed è questa la prima fase dell’opera
comica con Vinci, Leo, Pergolesi. Nel frattempo si consolida la pratica dell’intermezzo breve da
recitare fra un atto e l’altro (celebre e di successo La serva padrona, Pergolsi 1732) da cui si
svilupperà la farsa e la burletta, opere comiche più semplici e ridotte.
Intermezzo e opera buffa non trattavano eroi, come l’opera seria ma vita quotidiana, talvolta con
satira sociale: nemmeno necessitavano di grandi macchine sceniche, sfarzosi costumi, cantanti di
grido. Era importante però che i personaggi fossero più caratterizzati rispetto a o.s. e l’azione più
rapida , meno pause liriche, richiedendo abilità maggiore all’attore. La trama avvinceva e
interessava, l’aria era importante ma non fine a se stessa, il recitativo secco; inoltre il confronto tra
personaggi favorì l’usanza dei pezzi d’insieme, via via più frequenti. Ebbe grande diffusione
l’usanza di chiudere con duetti terzetti, in sostanza di avere un finale. O.s. prenderà esempio.
Livietta e Tacollo, Lo frate ‘nnamorato, Il Flaminio (di Pergolesi) l’o.c. arriva a Roma negli anni 30’,
40’ a Venezia e nel 48 a Londra. Le trame acquisirono componenti nuove via via, ma gli sviluppi
più interessanti riguardarono Venezia, con la coppia Goldoni Galoppi. Di esperienza
internazionale, questi conoscevano la “comedie-larmoyante”, un genere che nel frattempo si stava
coltivando in Francia con fortuna (“lacrimevole”, basato sul personaggio caro al gusto borghese,
della fanciulla innocente), e seppero inserirsi in questo clima con la Cecchina, ossia la buona
figliola di Goldoni e Piccinni, e Nina o sia La pazza per amore di Paisiello. Ma negli esempi più
tardi di opera biffa gli elementi patetici vengono ampliati (Barbiere di Siviglia ovvero La
Precauzione inutile, di Paisiello o Il matrimonio segreto di Cimarosa).
Il destino più singolare spettò a La serva padrona, portata in Francia nel 1752, che scatena una
querelle (sullo stesso genere di lulilsti e rameauisti), tra antico e moderno. Aristocratici e corte,
contro intellettuali e i filosofe illuministi, tra cui più di tutti Jean Jacques Rousseau che ritrovava
nella libertà e vivacità melodica del canto italiano quel senso di natura, argomento che lo porta a
considerazioni sul linguaggio e la musica (musica e parola, un tutt'uno in orgine, poi con la civiltà si
separò la ragione dal sentimento; mentre il francese è lingua sorda e priva di musicalità, l’italiano
pensa che abbia mantenuto qualcosa di quella primitiva musicalità).
La Querelles de bouffons di Parigi si protrasse fino all’arrivo di Gluck nel 73, quando con la sua
Iphigénie mostrò la sua riforma. Aveva esperienza di riforme e battaglie artistiche, a Vienna.
Christoph Willibald Gluck (Erasbach 1714 - Vienna 1787) fu al centro dei movimenti culturali della
capitale dell’impero. Giovinezza a Praga, poi Vienna, fa il suo debutto con l’Artaserse
metastasiano a Milano, a Londra conobbe Händle, a Dresda Hasse. Nel 52 va a Vienna.
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L’ambiente musicale è vivace, specialmente attorno al conte Giacomo Durazzo che dirige due
teatri importanti e che assieme alla sua cerchia di intellettuali vuole rinnovare lo stile d’opera.
Vengono chiamate compagnie francesi di opera comique, ma la difficoltà di francesizzare
l’ambiente, dominato dal rigido Metastasio fa muovere Gluck al balletto. Col grande ballerino
Angiolini (portagonista dell’allora in voga ballet d’action, veri e propri intrecci drammatici
rappresentati) come coreografo, fu incaricato da Durazzo di comporre le musiche per Don Juan
1761, autore dell’intreccio Ranieri de’Calzabigi. Impressionò sia per drammaticità musicale, sia per
il singolare intreccio. Allo stesso quartetto si deve Orfeo ed Euridice: cori, balli, scenografie,
purezza nel canto e abolizione virtuosismi erano elementi francesi, ma l’espressività dei recitativi,
la libera concezione delle arie e ariosi, l’aderenza della musica alla vicenda, sono dovuti al talento
drammaturgie di Gluck. Si deve ricordare che già Traetta e Jomelli avevano tentato di svincolarsi
dalle logiche impresariali e al bel canto dei divi. Gluckk non si identifica totalmente con questo stile,
continua a musicare Metastasio (Il trionfo di Clelia) ma continuò a sperimentare: con la
pubblicazione dell’Alceste nella prefazione spiegò la sua riforma, come di un teatro in cui la musica
sia a servizio della parola e dell’azione, non viceversa come accadeva. Allora niente arie col da
capo, che spezzavano l’azione, niente ornamentazioni superflue, più peso all’orchestra, ouverture
che già immette nell’atmosfera della stora, non generico segnale di inizio, importanzaa del coro
come nella tragedia greca, e semplicità del racconto, ampio spazio ai recitativi accompagnati.
La lingua può essere qualsiasi. Con Iphigénie, ed Iphigénie en Tauride, 74 e 79 l’oggetto della
riforma non è più Metastasio ma ma Lully e Rameau. Accolti con successo ma non mancarono
intrighi. Dopo Gluck l’anacronistica tradizione aulica francese sarà in declino.
In Francia, dove da tempo esisteva lo spettacolo tetrale popolare vaudevilles, chansons, ariettes,
un ceto borghese in crescita cominciava a esigere, intrecci interessanti, recitazioni composte.
Tra il 30 e il 50 fu Charles Simon Favart di questa progressiva trasformazione dell’Opera comique,
e la Querelle de bouffons sollecitò l’interesse per uno spettacolo di teatro e musica,. Ricordiamo i
contatti tra commedia francese e napoletana, e poi veneziana francese. Per la commedie
larmoyante ricordiamo Andrè Grétry, con Lucille 1769.

3. La musica strumentale e le origini dello stile classico


I primi sintomi di mutamento arrivano tardi in questo campo, continuando a tenere campo esempi
di Vivaldi, Couperin Rameau, Händel e in certa misura Bach. Tra ’20 e ’40 i primi sintomi che
convivono per alcuni decenni con la tradizione. La strada è la semplificazione del contrappunto:
ridurre la stesura a due parti, melodia e basso, che abbandona la struttura vocale melodica
barocca (decade il basso continuo) , conserva funzione di supporto armonico; il frammento
melodico era l’unità formale base, che si ripeteva ma non rimaneva mai uguale, questa tecnica,
detta di elaborazione motivica, fu sostituita da una più semplice, il motivo che non era mai
concluso ma aperto per sua natura, è sostitutito da frasi complete in sé, talvolta concluse da
movimenti cadenzati (continuità è data dalle relazioni fra frasi e frasi, es proposta risposta) detta
tecnica di raggruppamento di frasi; infine si identificano gli elementi formali e le loro funzioni, tra cui
la più importante è la funzione tematica di un raggruppamento, oppure frasi di collegamento, di
sviluppo, di conclusione.
Nella sonata solistica per strumento a tastiera questi aspetti emergono con evidenza. Un genere
caro a Domenico Scarlatti, 500 sonate, per il carattere appartato. Hanno i 3 elementi nuovi.
La moda dell’epoca è lo Stile Galante, collegato con l’uso di abbellimenti, raffinatezze del bel
canto, sensibilità per le sfumature di tempo e dinamica, stile teatrale, non con fughe e m. sacra. La
fortuna dello stile anche per l’ambiente didattico; sonate che a diferenza delle scarlattiane
comprendonopiù movimenti in eredità della sonata a 3 barocca; la stesura è semplificata, sopra la
linea melodica per gruppi di frasi e ricca di abbellimenti. Nell’accompagnamento singoli accordi le
cui note sono ripetute velocemente, armonia statica ma ritmo incalzante. Molte le critiche in
ambiente tedesco, di essere ricca di suoni ma vuota dentro. Qui è amato un altro stile,
Empfindsamer Stil (Stile della sensibilità) di cui esempi tipici le sonate di C.P. E. Bach per
clavicembalo e clavicordo: come nel galante melodia per raggruppamento di frasi, ma meno
abbellimenti e note rapide, meno drastica la semplificazione del tessuto contrappuntistico, più ricco
il vocabolario armonico.
Il nuovo stile settecentesco dette frutti soprattutto nella sinfonia, e qui si arricchisce di una
ulteriore novità. l’attenzione per la sonorità orchestrale. Se nell’antica concezione contrappuntistica
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ogni strumento si inseriva come voce, adesso la melodia dominante è di violini e altri strumenti
possono rafforzarla, ma anche sottolineare certe note, creare trame di accompagnamento, impasti
nuovi, imbastire dialoghi. Al 1730 si aveva, archi (x4), 2 oboi, 2 corni e talvolta 2 fagotti. Si
aggiunsero altri strumenti più tardi, flauti clarinetti e trombe, e timpani. Le novità si trovano già nelle
ouvertures, ovvero sinfonie d’opera. Anche nel tradizionale concerto vediamo i sintomi del
mutamento: nel “tutti” la voce si costruisce per frasi, e il basso perde il carattere lineare continuo.
Le prime sinfonie da concerto, distinte da ouverture e concerti solistici, compaiono a Milano negli
anni 30, periodod di Giovanni Battista Sammartini: in 3 tempi, raggruppamento di frasi e ultimo
tempo in minuetto. A Vienna compaiono negli anni 40 (Georg Monn) e a Mannheim negli anni 50
con Jan Václav Antonín Stamitz, con un orchestra che divenne celebre per bravura; Stamitz che
fece conoscere l’uso del crescendo (ecco le novità di sonorità).
Tra lo stile intimo di sonata e alto della sinfonia, si collocano composizioni per piccoli gruppi, dalla
tradizione barocche delle sonate a 2,3. Sono i quartetti d’archi, la sonata per piano e violino. Fra i
vari compositori posto di rilievo occupa Luigi Boccherini, compositore, esecutore di violoncello e
fondatore di uno dei primi quartetti stabili.
Le tendenze dello stile definito nel novecento Classico non subentrano al Barocco ma si affermano
gradualmente soprattutto per effetto di Hayden e Mozart. Gli elementi dello stile sono già presenti.
Alla base stanno le esperienze diverse di stili e tradizioni, antiche del concerto, della sinfonia, della
musica da camera e della musica teatrale, senza contare l’aumento della circolazione di materiale.
Vienna era il centro degli scambi, mondo di sofisticata cultura e pubblico con esigenze di gusto. Il
termine classico si applica soprattutto ai nuovi generi della sonata, sinfonia quartetto, ma la
presenza di tratti solistici desunti dal teatro ha un ruolo chiave, e così la capacità drammaturgica di
creare situazioni, tensioni, e vitalità. Un esempio è dato dal disegno della composizione classica:
l’alternanza di tempi preesistente ora è in funzione anche dialettica, con un allegro ricco di tensioni
ma con il quale non può concludersi un pezzo (obbligatorio per l’epoca il lieto fine), l’adagio
riflessivo che fa attendere il terzo tempo finale di letizia, solitamente con tempo di danza, minuetto.
Il quarto tempo se esiste è più vivace del terzo e aggiunge funzione retorica.
La tensione drammaturgica è evidente nello schema costruttivo del movimento, che viene indicato
col termine forma-sonata (in generale riguarda l’allegro iniziale). Prevede una suddivisione in parti,
la forma indica la successione delle parti del brano: esposizione enuncia i temi, la sezione viene
ripetuta infatti è conclusa con segno di ritornello o da capo, e di norma si conclude sulla
dominante; segue il ritorno che riconduce alla tonalità di partenza. Il ritorno può essere inteso
come due sezione, sviluppo elabora il tema e lo cambia di tonalità, e la ripresa che riannuncia per
intero l’esposizione senza cambio di tonalità. Bipartizione o tripartizione è materia di dibattito ma
anche storia, bipartizione è stata nelle danze, tripartizione è tipica delle arie d’opera. Se si
considera la ripresa come momento chiave, allora si accentua il senso drammatico dopo le
avventure dello sviluppo, altrimenti è pura conclusione. L’aspetto drammatico della forma sonata
non è riferibile al suo schema allora, ma come viene utilizzato, entrando in gioco il concetto
musicale di tema. Il termine indicava anche prima un disegno musicale, questa proposta melodica
è la sorgente di tutto il brano e caratterizza da subito il suo carattere o affetto (Bach e Vivaldi).
Nello stile classico ha le stesse funzioni, ma queste vengono ampliate all’interno: diventa un’entità
globale parlante, una personalità che può entrare in rapporto con altri temi, dialoghi, anche in
musica strumentale. Può anche descrivere, cambiare argomento. Lo sviluppo è invece la perdita di
stabilità, momento traumatico. Quanto al numero di temi che appaiono nella forma sonata ci sono
molte varianti. Talora troviamo gruppi tematici, più spesso sono temi contrapposti. Della natura
drammaturgica della forma sonata i musicisti erano consapevoli. Meno prescrittivi erano nella
descrizione delle strutture formali.

4. Il classicismo viennese: Joseph Haydn e Wolfang Amadeus Mozart


Da Hayden alla morte di Beethoven Vienna fu il centro della musica. Anche prima Metas., Gluck…
Hayden (Rohrau 1732 - Vienna 1809) si stabilì in tarda età, già noto. Educato dal napoletano
Porpora che lo introdusse da giovane negli ambienti importanti viennesi. Diventa nel 1761 vice-
maestro di cappella del principe Pàl Antal Hesterházy. A quel perido risalgono musica sacra e
strumentale, ricche di influssi di tutti i migliori esempi europei. Nel 62 muore Pál Antal e gli succede
il fratello MIklòs. Affascinato da Versailles si fa costruire una reggia immensa con teatri e sale da

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concerto, di cui fece Haydn Kepellmeister, con la responsabilità di tutti gli eventi musicali. Inoltre il
principe, dilettante del baryton (sorta di viola da gamba) si fece comporre 120 trii per baryton.
In quella solitudine Haydn era al centro della situazione musicale europea, può arricchirsi, studiare
e rielaborare (come fa con le proposte di C. P. E. Bach) e il suo padrone gli lascia libertà di tentare.
Nelle 60 sinfonie del periodo si passa da composizioni ancora piene di passi solistici (per
l’incertezza dei confini con la forma concerto) o con forme-sonate appena abbozzate, a
suggestioni sentimentali nonché di carattere drammaturgico gluckiano, fino a uno stile classico
pieno con l’individualità tematica, il contrasto fra episodi, e sinfonia come avventura narrativa.
Merkur, Sinfonia degli addii, Maria Theresa, Il maestro di Scuola, Laudon, opere prontamente
famose, così nel quartetto, fino ai 6 opera 20 del 72 (non usa il termine moderno ma divertimenti).
Altro campo ricco di aperture, le musiche per strumento a tastiera: sonatine, sonate, divertimenti
per clavicembalo abbondano ma a fine anni 60, affermandosi il fortepiano con le sue possibilità, è
tra i primi a dedicargli attenzioni particolari (sonate opera 13 14).
Opere sacre del periodo sono Grosse Orgelmesse e Cäcilienmesse. Ritiene che la tradizione
liturgica debba adattarsi alle novità se vuole ancora sfruttare la musica come richiamo, e così
davanti alla schiera di sostenitori dello stile antico contrappone larga liberalità di gusto moderno.
Queste tendenze in Italia si rispecchiano in Bologna G.B. Martini (Esemplare, ossia Saggio
fondamentale di contrappunto, ’75, stile severo), e Napoli, con Leo, Vinci, Pergolesi, lo stesso
Hasse, che diffondevano un modello appetibile per cui si divideva il testo sacro in parti, musicate
come arie, duetti; il coro, imprescindibile, in forme omoritmiche o fugate. Quando l’orchestra
comincerà ad aver maggior per grazie alla sinfonica, la messa si adatterà, Haydn fa transizione.
Dal 75 al 85 a Hesterházy inizia la moda del melodramma e H. adatta o compone e mette in
scena. L’orecchio del pubblico è esperto ed esigente, ed H. non era di natura un drammaturgo
come Mozart o Gluck. Predilette dal principe le opere comiche: la Cantarina, Lo speziale,
L’infedeltà delusa, Il mondo della luna, sono esempi nobili della tradizione buffa italiana.
Nell’ 80 si lamentava di essere in campagna, in realtà era tra i più famosi d’Europa. Scrivevano la
sua biografia, editori si contendevano i diritti delle sue stampe, arrivano anche lucrose
commissioni: Loggia Olimpica massonica di Parigi con 11 Sinfonie (memorabili L’ours e La poule),
Ferdinando IV di Napoli, che amava la lira accompagnata, a cui manda 5 concerti.
Nel 90 muore Miklós ed è così libero di trasferirsi a Vienna (fa due viaggi a Londra, uno gli vale
una laurea ad Oxford honoris causa più 6 sinfonie, l’alta per altre 6 sinfonie, sempre per la società
concertistica dell’impresario Johan Peter Salomon, e la sua orchestra di più di 60 elementi.
Risalgono anche gli ultimi 20 quartetti, e le ultime 4 sonate per pianoforte. Si distingue per la
duttilità e la sottigliezza con cui maneggia le forme classiche (che ha quasi creato lui); esprime
atteggiamenti, stati d’animo, dialoghi che la forma classica permette.
Gli ultimi anni viennesi gli aprono prospettive nuove, il mondo culturale è ricco, attento e meno
esclusivo di Hesterhazy. Entra nella cerchia intellettuale del barone Gottfried van Swieten che gli
suggerisce di comporre un grande oratorio sulla scia händeliana, e nascono Die Schöpfung (la
creazione 98) Die Jahreszeiten (le stagioni, 1801): nuove tematiche, recupero storico, rapporto
uomo natura, e i nuovi poteri descrittivi della musica.

Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756- Vienna 1791) contemporaneo di Hydn considerando
che già a 10 anni aveva già un idea per conoscenza diretta di tutto quello che si faceva in Europa.
Nel 1769 a Salisburgo si esegue la sua Finta Semplice, segue un altro viaggio europeo ma per
iniziare la carriera compositiva : Londra conosce Johann Christian Bach, a Bologna fa pratica con
padre Martini, Roma, Napoli, e poi Milano dove impara la tradizione sinfonica e cameristica e
vengono eseguite Mitridate 1770, e Ascanio in Alba 71. Con la morte dell’arcivescovo di
Salisburgo, finanziatore dei viaggi, deve trovare uno stipendio come Konzertmeister per il nuovo
vescovo Colloredo. Manifesta i primi disagi per l’attività poco artistica; nel 73 è a Vienna e conosce
le opere di Haydn maturo. L’incontro con lo stile classico porta a compimento il suo apprendistato,
e a 18 anni è nella fase artistica matura lui stesso, conoscendo tutti gli stili e avendoli messi in atto.
K sta per Ludwig von Köchel. Fra 73 e 74 scrive 5 sinfonie (fra cui Sol- k183) di forma concisa,
qualità e ricchezza di idee, scioltezza nelle tecniche del linguaggio classico, già mozartiane.
Altrettanto per 5 sonate per pianoforte, esempi per cui il pianoforte non è più intercambiabile col
clavicembalo. Scrive anche una decine di messe per la cattedrale. Di questo periodo lascia più di
tutte il segno, in un genere musicale ancora privo di qualità, i 3 concerti per pianoforte e orchestra
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’76 ’77, in particolare l’ultimo K271 in Mi bemolle. Drammatizzazione e dialogo fra parti mai sentite
prima.
77 il primo incidente col Colloredo, che non gli concede un viaggio: lui rinuncia al posto fisso e
parte, ma senza appoggio paterno. Tragicamente la madre con lui muore, nel frattempo il viaggio
gli aveva mostrato una scomoda verità, successo pur non eccessivo e poche entrate economiche,
il che decide di tornare a Salisburgo e accetta il posto di organista dal Colloredo. Continua a
scrivere, Idomoneo va in scena a Monaco nel 1781(opera seria metastasiana con suggestioni di
drammaturgia francese e gluckiana). Non aveva vocazioni programmatiche ma seguiva il suo estro
che lo portava a risultati nuovi senza proporselo precisamente. Nel 81 è a Vienna col Colloredo ed
entra in contatto con certi ambienti aristocratici, sempre più allettato dall’idea di mettersi in proprio,
e così fa. Negli ultimi dieci anni è evidente il suo cambio di status: diminuisce la musica sacra
(ultimi brani il Kyrie in re- eil frammento di Messa in do- , mentre negli ultimi anni di vita l’Ave
verum del 91 e il Requiem incompiuto). Si intensifica la produzione di concerti per piano e
orchestra, e si riducono divertimenti, serenate e musiche di corte (Serenata Haffner e Eine kleine
Nachtmusik). Per i primi cinque anni i rapporti sono ottimi con gli imprenditori e la vita viennese,
suona in molte case e sale, pubblica opere, ha allievi, incontra Haydn, Lorenzo Da Ponte, e
frequenta il barone van Swieden. Nel 85 diventa massone. Il successo gli era stato favorito dalla
fortuna del Ratto dal Serraglio, 1782 nel Burg Theater consacrato al Singspiel dall’imperatore:
racconto in lingua tedesca intermezzato da brani di musica; durante la composizione chiese
modifiche al libretto che gli furono concesse, così i personaggi acquistano la consueta nettezza di
profilo voluta da lui. Nel 86 sono Le nozze di Figaro, pur con radicale autocensura quindi ridotto nei
termini dell’opera comica: qui stravolge l’equilibrio della tradizione la forza della musica nel
trasformare i tipi in persone, a rendere eventi prevedibili come irripetibili. Probabilmente il gusto di
Vienna faticava a cogliere le sottigliezze della sua musica, che vennero invece colte a Praga per la
quale ancora con Da Ponte scrive Don Giovanni: un’opera buffa dove si trovano anche elementi
del serio, sia pure a livelli diversi, come la contrapposizione doveri e affetti, o con le immagini di
apertura e chiusura originali per un palcoscenico di quegli anni.
Scrive Mozart: “le passioni non devono mai essere espresse in modo tale da suscitare disgusto, e
la musica anche nelle situazioni più terribili non deve mai offendere l’orecchio, non deve mai
cessare di essere musica”. Ideale estetico chiarissmo, equilibrio singolare considerando la
sfrenatezza dei personaggi e delle vicende, in un contenuto controllo formale dei mezzi espressivi.
Questo è il suo stile classico. Negli ultimi anni scema il successo ma non la sua fantasia: sonate,
concerti, quartetti. Le ultime tre sinfonie non usciranno mai dai repertori: Jupiter (Sinfonia Do k551)
nemmeno tanto semplice in cui strutture di fuga a più soggetti si inseriscono nella forma sonata.
Avverte minori sicurezze e pensa a qualche viaggio; scrive ancora: Così fan tutte, opera comica
con libretto su un gioco astratto di simmetrie provocatoriamente razionalistiche; La clemenza di
Tito opera seria di stampo metastasianoma con superbe invenzioni musicali; e Il flauto magico, un
Singspiel ricco di riferimenti simbolici su testo di Schikaneder. Il Zauberflöte riflette nella trama il
genere magico fiabesco coltivato dal Singspiel, e anche principi intelletuali e morali alla base del
pensiero massonico. (Tamino Pamina, regno di Sarastro, Regina della Notte, Papageno/a). Le fonti
stilistiche sonodiverse, i virtuosismi dell’opera seria, il Lied popolare, i modi dell’opera comica nei
dialoghi brillanti, le tensioni drammatiche dell’opera riformata. Clima musicale fiabesco, evocato
perfettamente ma con ironia distaccata verso la potenza del fantastico.

5. Dalla Rivoluzione alla Restaurazione: Ludwig van Beethoven


All’epoca della rivoluzione il potere si era servito degli stessi musicisti del pre; nel settore della
musica teatrale, benchè ancora nel 93 all’Opera comique venivano rappresentate commedie del
periodo monarchico, entrano nel repertorio narrativo temi nuovi, ma le rappresentazioni più
propagandistiche ebbero vita breve; con radici più solide quelle della storia romana o greca come
Orazio Coclide di Mehùl. Luigi Cherubini, fra i più riconosciuti e attivi musicisti dell’epoca, a fine ’80
presentò Lodoiska, di successo (tema del salvataggio dell’eroina). Al genere della tragedia antica
Médée 1797. I temi cambiano in età napoleonica. Spontini (La Vestale 1807, e Fernand Cortez au
la conquete du Mecique) 09. Ma la tradizione teatrale francese doveva mutare di nuovo, dalle
celebrazioni solenni il gusto cambia verso un’intimità di sentimenti quotidiani. Adrien Boieldieu
arricchisce l’Opera comiqe di motivi di narrativa romantica, attraverso Walter Scott, un esempio è
la nota La Dame Blanche. Fra 1790 e 1810, anni cruciali nel passaggio di gusto, i centri sono
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ancora Parigi e Vienna, una per il teatro l’altra per la sinfonica e cameristica di Beethoven. Al di
fuori dell’Austria per la musica da concerto nessun compositore trovò particolare fortuna, eccetto
l’italiano Muzio Clementi (Roma 1752 Evesham 1832). Concertista (pianoforte), al 71 risalgono le
prime sonate pianistiche, le ultime al 21, virtuoso, sfruttava le note doppie del piano. Si diede
anche all’editoria, e alla vendita e costruzione di piani. Il suo Gradus ad Parnassum, una raccolta
di esercizi di tecnico, è un must ancora oggi per gli allievi di pianoforte.
In Germania le trasformazioni tra i secoli furono vissute più in chiave intellettuale filosofica che in
quella politica (Francia) o economica industriale (Ingh). Il movimento Sturm und Drang con il suo
riverbero in tutte le arti, la filosofia di Kant, i teorici e i poeti. Persino i principi, detti illuminati, come
Giuseppe II si impegnarono nelle riforme e in attività filantrope, e da meno non volle essere suo
fratello Max Franz che alla sua corte di Bonn promosse svecchiamento culturale e promozione
sociale. La vita culturale e musicale della cittadina natale di Ludwig van Beethoven era aggiornata.
Il padre Johann Kapellmeister e presto alcolista, la madre mancata presto, fanno cadere sulle sue
spalle il peso della famiglia. Pur dovendo lavorare (organista e cembalista) si educa non solo in
musica, grazie a Gottlob Neefe. Amava Schiller e Goethe, ma più di tutti il Kant teorico della legge
morale; la sacralità dei doveri non nasce dalla religione nè da imposizioni sociali ma dalla stessa
libertà dell’uomo. Politicamente simpatizza la rivoluzione ma il suo ideale è il principe illuminato.
Nel conturbamento tra impeti dirompenti e nevrotici dovuti alla sua vita e al suo carattere, alla sua
fantasia tumultuosa, e i principi ideali di una razionalità che punta all’assoluto, scaturisce l’essenza
della produzione beethoveniana. La distanza da Mozart sta proprio nella morale della musica, la
funzione morale che attribuisce alla sua opera, il suo scopo di musicista vate, per il bene
dell’umanità. Nel 92 forte del successo che aveva presso Hayden ottenne da Maximilian Franz il
permesso di un soggiorno a Vienna. Cominciò a farsi conoscere tra i nobili come talentuoso
pianista e improvvisatore e da lì non si mosse più. Penso spesso al posto fisso e ci andò vicino su
richiesta di Girolamo Bonaparte nel 1808, ma in quel momento tre nobili viennesi (arciduca
Rodolfo, il principe Lobkowitz e il principe Kinsky) gli offersero senza condizioni una rendita di
4000 fiorini purché lui restasse. Nel 95 inizia l’infermità all’udito, vissuta dapprima
drammaticamente, poi dal testamento si legge risolta stoicamente, rinunciando al suicidio per il
bene e l’amore dell’umanità. Von Lenz distingue tre periodi: fino all’800 ancora su modelli di
formazione, un periodo centrale e poi al terzo solo gli ultimi 6 quartetti , le ultime 5 sonate, la nona
e la Missa solemnis. Distinzione solo in parte vera.
A Bonn risale la Cantata sulla morte dell’Imperatore Giuseppe II che non solo ha modello
haydniano ma possiede concisa essenzialità ed eroismo tipico di tutto B. In buona parte della sua
produzione pre 800 (in tutto moltissima musica, 11/32 sonate per piano, 6 quartetti op 18, 1/9
sinfonia, primi 3 Concerti per piano e orchestra e prime 4 Sonate violino e piano) si sente lo stile
inconfondibile: la qualità dell’invenzione tematica che trascura i residui di eleganza di corte, il gesto
imperioso. I temi tendono a poche mosse, con lo schema della forma sonata spesso di
contrapposizione, tra un tema affermativo e il secondo più sognante. Lo accusarono anche di
stranezza ma soprattuto di genialità per generare queste mode. Se la prima sinfonia non ha
l’eroismo delle altre certe sfrenatezze non sono nascoste, il pubblico non era abituato.
Nel primo decennio del 800 l’intensità creativa è al suo apice: sinfonia 2-6, sonate fino a 81, sei
quartetti, musiche di scena per Egmont e Coriolano, altri due concerti per pianoforte, uno per
violino e l’opera Fidelio. B. si distingue per l’universo di fantasie che imbastisce in cui leggiamo la
sua biografia talvolta, ma anche per l’ardimento delle concezioni stilistiche e formali. In molte opere
di questo periodo vediamo come i movimenti, es la V sinf. siano concepiti come episodio unico
divisi in fasi strettamente legate, se nell’ultimo tempo il trionfo e catarsi non fosse preceduto da
dubbi drammi e oscurità che precedono.
Nel Fidelio medita sui rapporti umani e principi morali. Ingrediente della pieces a sauvetage.
Concepisce l’opera, non avendo né esperienza né vocazione per il teatro, come grande cantata
scenica di pannelli. (anche qui si conclude con catarsi).
Dal 1808 al 1815 sintomi nuovi, crisi e rallentamenti compositivi. Curioso che componga la VII e
VIII contemporaneamente, una sfrenata e dell’interiorità, l’altra nostalgica di tempi meno duri ed
eroici. Nelle opere da camera la struttura è talvolta meno compatta e il tema meno imperioso, che
fa sembrare emergano sensibilità romantiche. Probabilmente la restaurazione lo stimolava meno.
Gli ultimi undici anni di vita sono in solitudine: sonate, quartetti (tra cui la Grande fuga), la Nona, la
Messa solenne, le Bagatelle e le Variazioni su un tema di Diabelli per pianoforte. È il periodo del
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distacco dalle convenzioni classiche, e il recupero di forme antiche, la fuga o la variazione. In
generale sembra che si passi dal conflitto a una fissità contemplativa. L’Inno alla gioia, su testo di
Schiller, in conclusione della nona è un segno che non ha rinunciato alla sua morale.

La musica del primo Ottocento

1. La musica nell’epoca romantica


Illuminismo ha segnato la rivalutazione della musica tra le arti, musica che a fine settecento
occuperà posto di preminenza. Solamente più tardi la coscienza di questo mutamento toccò ai
musicisti, le testimonianze di questa nuova sensibilità si trovano su scritti letterari filosofici. Essa è
espressione più autentica e originaria dell’uomo, mezzo per eccellenza per manifestare sentimenti,
mezzo più diretto di contatto con Dio (Wackenroder). Hoffman la definiva la più romantica di tutte le
arti, perché ha come oggetto l’infinito. Inizia anche in questo periodo una storiografia moderna,
seppur limitata dai mezzi dell’epoca; si guarda al passato, si scrivono biografie, e si sottolinea per
la prima volta l’importanza che negli studi deve avere riconoscere l’individualità del compositore e
della sua singola opera.
Altri caratteri del romanticismo informeranno direttamente l’arte, il meraviglioso, il fantastico,
bizzarro misterioso, e il gusto per l’irregolarità. Questi mutamenti sono frutto delle trasformazioni
del mondo: il passaggio del potere economico e politico dall’aristocrazia terriera a quella della
classe media, la rivoluzione industriale. Così la gestione della cultura passa di mano al ceto
imprenditoriale borghese, ed è esempio lampante il concerto a pagamento: la musica strumentale
sopravviverà anche in forme semiprivate ma sempre più rare saranno le occasioni di impiego in
orchestre o cappelle gentilizia. Si consoliderà la Hausmusik (far musica in casa), sorta di status
symbol, e verrà definito dai tedeschi il suo genere, Salonmusik (musica da salotto). La differenza
con la musica di maggiori ambizioni non è solo tecnica ma anche culturale: in questo stile si
riflettono i valori fantasie e sogni di una classe che partecipa attivamente e in prima fila alla
trasformazione del mondo; non ha scopi problematici o inventivi, di ricerca, ma ha carattere
virtuoso e brillante, facile e appagante. La diffusione della musica in diversi livelli sociali ha anche
altre strade, come nelle associazioni di cori (di lunga tradizione religosa collettiva) che stavano
talora alla base dei Musikfeste, grandi festival musicali popolari. In Germania e Austria il genere
del Lied corale si diffonde come il Lied per voce singola.
Dall’analisi dei fenomeni musicali tra 700 e 800 si osserva che fino a Haydn e Mozart i generi
musicali pur essendo molti avevano un solo modello di riferimento, mentre nel corso dell’ottocento
questi modelli si moltiplicano e i limiti all’originalità dei compositori si allargano sempre più.
Anche la vita del compositore cambia, viene a mancare il rapporto di dipendenza con il mondo
nobiliare e l’artista reagisce d’orgoglio sentendo di non d’over più rispondere di nessuno nelle
scelte. A questo senso di fede nella missione rivelatrice corrisponderà presto la perdita di sicurezza
sociale, una perdita di sicurezza economica e di destinatari precisi. È il mercato musicale. Lungi da
garantirgli libertà lo vincola a gusti esigenze e richieste, anche meno qualificate rispetto a prima.
Una delle prime reazioni spontanee è quella di giustificare il proprio lavoro, e lo spunto è spesso
quello di Beethoven nell’impegno verso l’umanità. Non mancano casi di impegno sociale esplicito
nei periodi rivoluzionari, con composizioni di inni, marce, celebrazioni civili. Altro tema quindi la
nascita delle nazioni e la riscoperta romantica delle radici e dell’identità nazionale. Parallelamente
nasce anche un senso di malinconia, depressione, rammarico verso la società e i suoi esiti.
Per quanto riguarda la libertà compositiva, il rapporto col pubblico ha ripercussioni sulla forma
musicale, che è strumento specifico della comunicazione, forma di dialogo, con il quale si può
sorprendere, dare certezze, o fare il contrario. Nel caso della Salonmusik, di intrattenimento era
necessario subito far comprendere e far riconoscere la godibilità della composizione. Nelle
musiche di maggior pretesa il gioco di infrangere le regole del gusto per stimolare e aprire orizzonti
nuovi poteva essere condotto anche più spregiudicatamente, ma nel rispetto del rapporto col
pubblico. Fra i grandi generi del passato, alcuni rimasero molto connessi a Beethoven nel sacro
idealismo etico, ideale che finchè resse mantenne salde le strutture portanti del singolo genere,
specialmente la sinfonia, ma anche la stessa sonata o il quartetto. La sperimentazione trovava più
spazio nella musica da camera.
Ancora un’altro aspetto formale importante del linguaggio ottocentesca è il recupero dell’antico e la
sua integrazione, quindi non solo nel repertorio ma anche nelle invenzioni presenti. Ad esempio
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moduli contrappuntistici che acquistano con Brahms e Schumann quasi valore simbolico o sapore
nostalgico.
Decisivo aspetto tocca direttamente la forma, e la sua revisione nel 800. Le forme precostituite e le
leggi sonore iniziano a rappresentare una costrizione, che magari poteva rispondere alle attese del
pubblico ma il compositore sente come gabbia. Si sviluppa una nuova concezione estetica, per cui
la forma deve adattarsi alle intenzioni espressive e comunicative del musicista e non viceversa.
Così il musicista crea la sua forma, ad esempio con Liszt che nei poemi sinfonici, non descrive,
non da chiavi interpretative ovvie ma lascia cogliere all’ascoltatore il percorso sonoro.
Nelle epoche precedenti l’individualità del singolo spiccava sullo sfondo di un linguaggio comune,
ora la personalizzazione della forma crea il capovolgimento, ed è l’individualità a condizionare
direttamente il linguaggio. A questo si aggiungono sollecitazioni plurime: influssi reciproci tempi e e
modi di reazione diversi a seconda di culture azione geografiche, che rendono la comprensione di
questo periodo problematica.

2. Le grandi figure del Romanticismo in Austria e in Germania: Franz Schubert, Carl Maria von
Weber, Felix Mendelssohn e Robert Schumann
I caratteri generali del romanticismo valgono particolarmente in zona tedesco-austriaca, in musica
per la presenza fondamentale di Beethoven, e di Schubert.
Franz Schubert (Vienna 1797 - 1828) ha avuto rapporti difficili con la vita musicale ufficiale, per il
successo dell’opera italiana e le chiusure della concertistica a Vienna. Molti suoi capolavori furono
scoperti postumi (Schumann ci fa scoprire la Sinfonia in do maggiore 25-27, e quella in si minore
rimase sconosciuta fino al 65). Di moltissimo materiale diede alle stampe solo un centinaio di
opere. Maggiore diffusione ebbero i suoi Lieder, in cui trasforma il genere e vi inserisce ogni
elemento romantico, diventa da genere minore a un frammento lirico di mobile drammaturgia. Il
Lied schubertiano è di per sé inclassificabile, senza un centro o un senso univoco. LE scelte
poetiche sono da Goethe (Margherita all’arcolaio 1814) con un unità di tono di effetto inquietante,
fino a Heine. Una certo rilievo assume la figura del viandante, la cui condizione esistenziale è
definita nel Der Wanderer, ma che è anche protagonista nel Die Schöne Mullerin, e Die
Winterreise. Secondo Adorno il viandante è anche chiave per interpretare il rapporto di S. con le
forme classiche, su quei lunghi percorsi formali liberi e aperti; lo stesso Schumann parla di “divina
lunghezza” e “indipendenza da Beet.”Il tempo si dilata e la musica non conduce ad una meta, non
c’è una dialettica ma le modulazioni vagano. Nelle altre forme non giunse a una coerente
definizione della propria originalità come nei Lieder. Sinfonie, sonate pianistiche, i primi quartetti,
hanno tutti freschezza, ma è il 1820 il momento della maturità stilistica, di svolta, dopo la Sinfonia
in la maggiore, e il Quintetto il la maggiore per piano e archi (la trota), e con Tempo di quartetto in
do minore.
Nella produzione sacra spiccano due grandi messe D. 678 e D. 950, e il frammento dell’oratorio
Lazarus; per il teatro musiche di scena per Die Zauberharfe 1820 e Rosamunde 1823, e opere
come Alfonso und Estrella (finita mentre spopolava Zelmira di Rossini, che un po’ lo influenza) di
matrice italiana malgrado la lingua tedesca e l’aspetto esteriore romantico.
Primato in campo operistico spetta a Carl Maria von Weber (Eutin, Lubecca 1786 - Londra 1826)
Nel 1821 Schubert finiva A und E, e andava in scena il Freischütz, capolavoro subito considerato il
prototipo dell’opera romantica tedesca, rivelazione originaria. W. dice che è stato preceduto da
opere per lui rilevanti: il Faust di Spohr, e Undine di Hoffman (del mondo degli spiriti, con
suggestioni dell’orrido e del fiabesco), entrambi alla ricerca del teatro nazionale tedesco da
contrapporre all’egemonia italiana. Weber viaggiando con la compagni itinerante del padre
violinista ha modo di conoscere varie esperienze, studia con Haydn, e con Vogler (teorico ed
improvvisatore). Come Kapellmeister del T. di Praga, e poi di Dresda, diede spazio al teatro
francese, inteso come via per sviluppare l’opera tedesca a scapito del successo italiano. Riteneva
già lui che l’opera tedesca dovesse essere organismo unitario. Non c’è da stupirsi che il suo
capolavoro abbia forti influenze francesi. Intanto aveva scritto musiche di scena per la Preciosa e
iniziava un progetto, Die drei Pintos concluso da Mahler di evidente sapore esotico. Questo
interesse è evidente nella sua poetica romantica, oltre al caratteristico, il fantastico fiabesco il
bizzarro, e il carattere nazionale (Wagner dirà di W. essere il più tedesco). Dimostra però un
impostazione formale vicina alla tradizione dell’Opera comique, messa in rapporto però con tutte
quelle tematiche e suggestioni romantiche di fiabesco soprannaturale ecc.
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Nelle scelte tonali e coloristiche è originalissimo e individua soluzioni funzionali: i corni sono
valorizzati fin dall’ouverture ed evocano i cacciatori e la foresta boema, per Samiel (cacciatore
nero con cui Max fa il patto per amore di Agatha) combina timbricamente il clarinetto nel registro
basso e tremolo di archi e timpano, legando anche spesso l’accordo di 7ma diminuita.
In Euryanthe mette in luce altri aspetti già citati, in un tentativo di fare un’opera tedesca musicata
interamente, senza recitativi, danda continuità grazie a richiami. Scarso successo, ma enorme
merito storico così come credito nei confronti di Wagner e il Lohengrin. Ritorna quindi
all’alternanza tra musica e parlato con Oberon, Londra 1825. Per quanto riguarda altri generi
ricordiamo 4 geniali sonate, e altre fresche pagine per piano come rondò Invito alla danza.
Accanto a Weber nella vicenda dell’opera romantica ricordiamo ancora Spohr con Jessonda,
Merschnere con Hans Heiling Berlino 1833. L’isolata Genoveva di Schumann e le opere di Lortzing
e di Carl Otto Nicolai.
Felix Mendelssohn (Amburgo 1809 - Lipsia 1847) visse una vita breve ma molto intensa tra Berlino
Lipsia Düsseldorf e Londra, come compositore, direttore d’orchestra, pianista e organizzatore. Si
educò a Berlino dove fu consigliere musicale di Goethe, collaborò con Federico Guglielmo IV ai
progetti di rinnovazione musicale della città, fondò il conservatorio, e organizzò molti concerti, in
cui tra gli altri recuperi storici fece apprezzare la Passione secondo Matteo di Bach, “concerti
storici” quindi. Questa prospettiva interessa anche la sua composizione. In questa luce si
comprende il rapporto con Händel negli oratori Paulus, 1836, e Elijah, 1846, stilisticamente di
controllata eleganza ed equilibrio risolto. Sono infatti estranei a M. gli aspetti più inquietanti ed
eversivi del romanticismo. Lo sforzo costruttivo è immenso ma non ce ne lascia tracce, alcuni
capolavori sono stati scritti di getto, altri sembra soltanto ma di genesi lunga come sinf scozzese.
In opere come i Quartetti, maggiore capolavori cameristici si vede come l’eleganza ed equilibrio
non siano realmente classiche ma sapiente stilizzazione.
13 sinfonie per archi; nel 24 la prima sinfonia, quartetti con pianoforte il primo capolavoro è del 25,
l’Ottetto in mi bemolle maggiore op. 20 per archi. Fama ebbe lo Scherzo.
Si comprende M. guardando a Sogno di una notte di mezz’estate 1826 e come venga trattato il
fiabesco e fantastico, in cui esclude ogni inquietudine demoniaca. (Scrive un ouverture, e poi la
usa per le musiche di scena dello spettacolo a Berlino nel ’42.
Dal 27 al 29 spiccano quartetti in cui si confronta con l’ultimo Beethoven (Q. la-, Q. mi bemolle
magg.) L’ultimo capolavoro il Q. in fa - op 80, del 1847 (inconsuetamente aspro).
Delle cinque sinfonie ricordiamo Re + Riforma, La + Italiana.
Schumann elogia la sua capacità di intendere “poeticamente” ma M intende lo scrivere poetico più
cautamente, riteneva che la musica a programma di Berlioz (il quale ammirava) corresse il rischio
di caduta nel descrittivo e si sentiva estraneo all’evidenza gestuale francese. Teneva ben distinto il
poetico dalla categoria della musica a programma.
Schumann (Zwickau, Sassonia 1810 - Endenich, Bonn 1856).
Schumann immagina di sdoppiarsi in due personalità (così ci dice lui nei suoi scritti critici, parlando
della sua confraternita immaginaria dei Davidbündler in lotta contro la meschinità e il cattivo gusto)
due aspetti artistici opposti che deve riconciliare. Il dualismo è massimamente presente nel
Davidsbünlertänze op 6, 18 miniature per pianoforte, 1837 pezzi caratteristici firmati di volta in
volta da Eusebio (malinconico introverso incline al lirismo tenero) e Florestano (ardente
appassionato).
Musicalmente il motto non è un tema di variazioni qui ma partenza per percorsi fantastici.
Il ciclo di pezzi"caratteristici" legati da una rete di più o meno palese relazioni, rimandi segreti,
predominano la produzione pianistica cui Schumann dedica la prima fase di attività, la ricerca di
un'alternativa di vasto respiro alla forma sonata è trovata nell’ organizzazione ciclica.
Rispetto ai compositori dell’epoca S. non sembra far nascere la sua musica dalle mani alla tastiera
(voleva diventare virtuoso ma un incidente alla mano glielo impedisce),ma piuttosto da riflessioni
costanti, specialmente sul contrappunto bachiano. Gli studi sinfonici op. 13 si svolgono sulla
variazione su un tema, sinfonici per la strumentazione pianistica.
Si accosta alla sonata con la consueta originalità in Fantasia op 17.
Nel 40 si muove vero altri generi, Lieder in cui rispetto alle vastità schubertiane l’orizzonte si
stringe all’autobiografia visionaria e trasfigurata. Ha raggiunto la felicità amoroso con Clara e
sembra voler espandere le esperienze e prospettive. Del 41 è la prima delle Sinfonie. Poi attività
cameristica febbrile.
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3. La musica strumentale in Francia
In Francia lo spettacolo teatrale era principalmente legato ai limiti culturali e alle richieste di
divertimento della borghesia. Esisteva tuttavia una larga fascia di pubblico con esigenze di
pensiero più profonde, e i modelli musicali di questa minoranza erano la produzione sinfonica e
cameristica, in particolare beethoveniana. Gli eventi della Rivoluzione avevano messo in ombra la
grande esperienza di musica strumentale del secondo 700, e solo negli anni 30 si recupera con
decisione. Punto di continuità fra i due secoli il Conservatorio di Parigi, diretto da Luigi Cherubini
fino al 42, con altissima severità venata anche da critiche di accademicità eccessiva.
Fu Hector Berlioz (1803 - Parigi 1869) il musicista caposcuola della musica strumentale francese
ottocentesca; le difficoltà che ebbe a fare conoscere e apprezzare le sue musiche dicono molto
della situazione culturale parigina (anche se il suo carattere non era d’aiuto).
La sua musica era lontana dall’adeguarsi ai canoni e alle attese del pubblico, e aveva due punti di
riferimento:da un lato la tradizione francese di Gluck e Spontini, e oltre la rivoluzione con Mehùl e
Le Sueur; dall’altro i modelli del romanticismo, a parte Beethoven anche Weber Schumann e
Mendelsshon, e non solo musicisti ma anche Hoffman e Goethe. Nonrimase legato ai modelli ma
intervenne con trasformazioni dirompenti. La sua prima opera Symphonie fantastique, 1830,
assume toni profetici Beethoveniani ma senza la rigorosa eticità: i movimenti diventano 5, ciascuno
con caratteri descrittivi, e l’organizzazione tematica è stravolta da un tema che con procedimento
ciclico (come direbbero i sinfonisti di allora) passa per tutta la composizione, Leitmotiv. La
tentazione di stravolgere i piani prestabiliti è costante in tutte le composizioni di Berlioz: Harold en
Italie, sorta dipoema sinfonico, Romeo e t Juliette, 1839 sinfonia in forma di dramma con cantanti,
al melologo Lélio ou Le retour à la vie (seconda parte delle vicende biografiche della Symph.
Fant.). L’originalità non è riducibile all’imprevedibilità, ma va notata anche nelle invenzioni
melodiche e nell’uso dell’orchestra. Importantissimo anche il suo Trattato di strumentazione.
La sua invenzione melodica è molto francese, tende al disegno ampio, ma sa anche essere
allusiva, e fisserò i modelli del canto da camera francese, detto melodìe.
Pur non diventando famoso molto si impegno per farsi conoscere, con tournèe europee che gli
valsero almeno il titolo di inventore della figura di Direttore d’orchestra di prestigio.
Nonostante queste resistenze Parigi restava un centro culturale fondamentale, tanto da attrarre
Niccolò Paganini (Genova 1782 - Nizza 1840) che nel suo grand tour vi si esibì in diverse
occasioni. La sua figura appartiene al mondo europeo, con la vertiginosa bravura esecutiva e la
sua fama diabolica che si impose nel mito del virtuosismo trascendentale. Trasformò il concerto in
rito spettacolare, ma anche sul piano musicale e linguistico, aprendo la strada alle sperimentazioni
strumentali ed espressive, forzando lo strumento in una lotta. Oltre alla produzione concertistica
son giunti anche molti lavori cameristici (anche per chitarra di cui era virtuoso), di brillante gusto da
salotto. Fu però il virtuosimo a muovere gli animi romantici, tanto che i grandi compositori pianisti
rivolsero ai 24 Capricci (summa dell’arte di P.) elaborazioni e trascrizioni pianistiche.
Negli anni ’30 Parigi era il centro del pianismo internazionale, con i suoi atleti della tastiera e i loro
agoni. Il pubblico seguiva le vicende come i moderni fans, facendo confronti e tenendo preferenze
per questi virtuosi che improvvisavano e sviluppavano i temi vastamente noti. Per loro le case
produttrici di pianoforti perfezionavano gli strumenti (apporto del doppio scappamento).
Primo fra tutti fu Liszt, a cui Paganini mise un tale fuoco addosso da portarlo alla Grande Fantasia
di bravura sulla Campanella (1831 - 1832) , fuoco d’artificio di virtuosismo.
Esternamente era esibizionismo, internamente sperimentalismo sonoro, amplificazione violenta
delle possibilità espressive. Liszt aveva una tale varietà di tocco che si diceva riuscisse a trasferire
sulla tastiera le sonorità e volumetrie di tutti gli strumenti dell’orchestra. L’intensa attività di
trascrizione di opere sinfoniche del passato e del presente, unita al visibilio del pubblico, condusse
un importante funzione di divulgazione culturale, inaugurando il concerto storico dei nostri giorni.
Degli atleti della tastiera, KAlkbrenner, Herz, Hiller, Alkan, Pixis, si deve escludere un grandissimo
pianista le cui doti erano di natura molto diverse: Frydryck Chopin (Varsavia 1810 - Parigi 1849).
In accordo col suo mondo poetico e creativo, il suo suonare era scioltezza e leggerezza,
sensibilissimo e sottilmente graduabile. Emigrè come Liszt, a differenza dell’Ungherese si formo a
Varsavia in un clima ben più provinciale. Aveva iniziato coi due Concerti per pianoforte e orchestra
(i generi che andava per la maggiore) , variazioni su temi celebri (su La ci darem la mano) la
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Sonata. Quando costretto dalle vicende politiche dovette trasferirsi a Parigi, svolta nella sua
carriera, poiché invece di tuffarsi negli agoni e nel grande pubblico scelse di entrare nella stretta
cerchia di intellettuali dei salotti parigini in cui al riparo dai condizionamenti del grande pubblico
poté liberamente concentrarsi sui suoi generi prediletti e sulla ricerca della sua idea di sonorità e
linguaggio pianistico: Polacche, Mazurche, Notturni ed Improvvisi, Preludi Scherzi, Ballate.
Il genere salottiero, la romanza sentimentale, la didattica, sono i generi che riplasma con il suo
genio in sfumatissime risonanze e atmosfere sonore. La sua arte suona come esito naturale e
spontaneo ma è in realtà frutto di un tremendo travaglio creativo.
Sperimenterà anche percorsi più inquietanti ed ermetici, esempio la Polacca-fantasia op 61 del 46.
Da un lato quindi le immagini sonore e le fantasie poetiche evocate da Liszt, dall’altro la ricerca
creativa pura, assoluta, avulsa da contenuti extramusicali espliciti.
È arduo definire Chopin romantico se lo si spoglia della sua biografia, il decorso fatale della tisi, la
trasgressione nel legame con Georg Sand. La sua vita ricorda i rapporti di un tempo con le
aristocrazie, con la differenza di essere in un mercato musicale. Così poco romantico è il suo
ostinato rifiuto di compromissioni tra musica e immagini o programmi poetici.

L’opera in Francia e in Italia


1. L’opera in Francia nell’Ottocento
L’opera francese continuerà a essere espressione della cultura dominante (come nasce col
Cardinale Richelieu) anche nell’ottocento, l’istituzione sociale che rappresenta la borghesia. Sotto
l’aspetto formale la tragediè lirique più che a fondere assieme le sue parti sceniche terrà distinte ed
autonome azione, parola, musica, canto, e pur con gli apporti di Gluck e Rameau, persisterà
durante la rivoluzione e Napoleone: continueranno entrambi a reclamare un tono celebrativo, il
gesto magniloquente e le grandi coreografie. L’altra faccia dell’opera francese, l’opera comique,
nata dai lazzi dei saltimbanchi e originariamente contrapposta al teatro accademico, ottiene
istituzionalità comprando l’agibilità all’ Academi Royale, e si affianca all’opera distinguendosi per
l’apparato ridotto, i recitativi parlati, i toni più leggeri, ma capace anche di patetismo e senso
tragico. Una volta spartiti i compiti, entrambi i generi risentiranno della necessità di
rappresentatività sociale della società, sui nuovi temi e modi del romanticismo.
Con Medèe di Cherubini ecco entrare il mito nell’Opera comique, e l’inizio di una visione unitaria
del dramma su esempio di Gluck. Così i temi tipi del romanticismo investono sia opera sia opera
comique, liberando il primo dal tradizionale sussiego, e temperando le leggerezze spesso
superficiali del secondo. Tendenze del gusto come l’esotico, il pittoresco, la libertà sono d’entrambi
Le opere che segnano il passaggio sono La Muta di Portici di Auber e Guiemme Tell di Rossini,
1728 e 1729: in queste opere confluiscono i nuovi caratteri e tendenze che si risolveranno in una
teatralità calcolata e d’effetto, cementata dalla materia storica, l’opera historique, o Grand Opera.
Scribe il librettista di Auber e di Meyerbeer adotterà i motivi del romanticismo senza profonda
adesione ai suoi ideali estetici e morali, e le opere che ne risulteranno, storiche, religiose,
patriottiche, esotiche (L’Africaine), avranno un enorme successo. Questa Grand Opera è
caratterizzata da un immenso dispendio di capitali reso possibile dalla crescita economica di una
borghesia egemone, privilegiata, che sposa gli ideali romantici ai propri interessi materiali: nasce il
sistema imprenditoriale complesso, che coinvolge giornalismo e pubblicità.
Sul versante dell’Opera Comique invece, che occupa spazi di intimità ed evasione lasciati vuoti, le
istanze romantiche trovano un’autentica espressione, sia nell’approfondimento psicologico e
sentimentale, sia nella critica disincantata nei modi della satira.
Se la poetica romantica è surrogata esteriormente dalla Grand Opera mediante l’ imponenza dei
mezzi scenici (scenografie e cori in primis) accostata all’Opera comique da luogo a due nuovi
generi, L’Opera lyrique e l’operetta.
L’Opera Lyrique si distingue dalla Comique per la frequente abolizione del parlato e i contenuti
drammatici più impegnativi e complessi, ma resta in netta polemica con le grandiosità del grand
opera. Le prime opere che mostrano temi romantici sono Faust di Gounod, e la Mignon di Thomas.
Meglio di tutti però è George Bizet a interpretare il motivo esotico in termini musicali, con Pescatori
di perle (1863) L’Arlesiana (1872) e il suo capolavoro Carmen (1875) su libretto di Meilhac e
Halévy, dal racconto di Merimée. La sua musica è sempre accesa e scintillante per invenzione
melodica, arricchita di folclore spagnoleggiante. Non piacque al pubblico forse per la mancanza di
lieto fine. Carmen è capolavoro isolato e perfetto, che divenne punto di riferimento per le
19
successive generazioni. L’opera comique sembrava fino ad allora riuscire solo a cogliere
sentimenti superficiali e situazioni artificiose, mentre qui Bizet produce uno sconvolgente realismo
musicale, vitale e prorompente.
Al prodotto nobile dell’Opera Comique fa il pari il suo sottoprodotto, l’operetta o opera buffa.
All’introspezione della O.L. corrisponde nell’operetta un altra novità dell’epoca, ovvero la libertà
culturale, l’indipendenza critica che nel nuovo genere trova uno sfogo. Joseph Offenbach scrive
circa 100 operette, e in queste prende di mira l’ambiente contemporaneo, le autorità costituite,
facendo parodie e satire sotto sembianze mitiologiche o leggendarie. Tipica è l’immediatezza
melodica e ritmica. Altri musicatori di operette saranno Ronger, Lecoq e Chabrier.

2. Gioacchino Rossini e l’opera italiana agli inizi dell’Ottocento


I diciannove anni di carriera teatrale di Rossini segnano una svolta per il melodramma italiano. Se
a lui come Donizzetti o Bellini, non mancheranno frionfi in tutta Europa, è pur vero che il
melodramma italiano conosce una trasformazione a fine 700. Da un lato non vive nel clima
romantico tedesco e non gode di quegli sviluppi, dall’altro ne è attaccato.
Il periodo napoleonico apre a molteplici stimoli, il repertorio principalmente alla Francia, e diversi
compositori trovano stimoli non riconducibili al gusto fino ad ora predominante. Fino a Rossini però
non emergono personalità di primo piano.
Agli epigoni della scuola napoletana appartiene Nicola Antonio Zingarelli. A NApoli si formò
Valentino FIoravanti, autore di opere buffe, genere per cui lavorò un altro compositore, Stefano
Pavesi, che fu l’ultimo direttore italiano dell’opera di corte viennese.
L’opera buffa nei primi del secolo non era più il campo di azione più interessante: si stava
capovolgendo quanto successo a metà 700, quando questo genere crebbe di vitalità a scapito
dell’opera seria. È qui che convergono le sollecitazioni nuove, con Giovanni Simone Mayr che
sceglie soggetti francesi ed è sensibile a Gluck e a nuove armonie. Più conservatore Paër. Ancora
ricordiamo Pietro Generali e Nicola Manfroce.
Gli stimoli molteplici vengono colti più di tutti da Gioacchino Rossini (Pesaro 1792 - Passy, Parigi
1868). Egli si fa protagonista di una svolta che non tronca con le radici del 700 ma che sarà
fondamentale per gli esiti del melodramma in Italia.
Tra opera drammatica e buffa la chiara distinzione dei generi che fa non impedisce di rilevare degli
scambi e degli intrecci; la produzione seria è maggiore e su un arco cronologico più ampio quindi
offrendo l’immagine di una ricerca consapevole e continua; la produzione buffa è privilegiata
all’inizio della carriera, e dopo i culmini del Barbiere di Sivilgia 1816 e di Cenerentola 1817 quasi si
interrompe fino all’isolato Le comte Ory. Qeusti capolavori citati segnano l’apice del genere, che
non avrà mai più tanta fortuna (solo Donizetti con Don Pasquale, e Verdi con Falstaff).
Inizia la sua carriera con una farsa in un atto, La cambiale di matrimonio nel 1810, dopo aver
studiato a Bologna, e seguirono altre 9 opere: a Milano La pietra del paragone 1812, a Venezia
L’occasione fa il ladro 1812 e Il Signor Bruschino 1813; A queste opere buffe segue il primo
capolavoro serio, Tancredi 1813 e il primo capolavoro buffo L’italiana in Algeri. Il successo lo portò
a Napoli dove dal 1815 al 22 è dominatore incontrastato delle scene liriche italiane.
Non tutte le opere di quegli anni furono per Napoli: per Milano La Gazza Ladra, per Roma Matilde
di Sharon, Il Barbiere di Siviglia (libretto di Cesare Sterbini) e La Cenerentola. Sono culmini
dell’esperienza comica perché gli schemi settecenteschi vengono quasi fatti esplodere a contatto
con la vitalità di R. Stedhal dell’ Italiana disse “una follia organizzata e completa”: coglie infatti uno
degli aspetti essenziali del comico rossiniano, ovvero l’effetto surreale, l’iperbole grottesca, le
esasperazioni di un nitido meccanismo astratto, si veda il disorientamento dei personaggi a fine
primo atto e le risoluzioni musicali contrappuntistiche. Il rapporto di musica e testo è di
estraniazione, il che porta a esilaranti contraddizioni; inoltre richiede ai suoi personaggi buffi un
forte virtuosismo sempre incline alla stilizzazione. Dal punto di vista musicale bisogna poi
sottolineare la qualità delle strumentazioni e delle scelte timbriche (si noti virtuosismo fiati più
acuti).
I tratti comuni non impediscono alle singole opere buffe di avere tratti specifici, la tenerezza e il
languore dell’Italiana ad Algeri, il vitalismo per quanto riguarda il Barbiere, la malinconia di Cener.
Il discorso riguardo al Rossini serio è più lungo complesso e articolato.

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Gli inizi con Tancredi mostrano attenzione alla bellezza neoclassica, all’equilibrio misurato e l’aura
arcadica pastorale. Ci sono soluzioni formali che avrebbe seguito e sviluppato: complesse
articolazioni dei pezzi di insieme, finali d’atto.
Tappe essenziali della ricerca sul genere serio sono l’Otello ’16 (per l’originalità e la compattezza
del terzo atto) Armida ‘17, Mosè in Egitto ’18, Ermione ’19, La donna del Lago ’19, Maometto ’20,
Zelmira ’22. Queste opere sono scomparse dal repertorio a cause della trasformazione del gusto
operistico e della vocalità. Il belcanto non fu mai messo in discussione da R. e i melodrammi
napoletani rilevano una scrittura ricca di coloriture.
La sua ricerca non punta su un’originalità radicale: da Gluck il superamento dell’aria solistica e la
continuità drammatico musicale è passata attraverso forme variegate, ma Rossini non mette in
discussione le forme chiuse e non cerca mai soluzioni estreme, di opera in opera cerca soluzioni
diverse in equilibrio con le scelte più tradizionali.
Nel La donna del Lago ad esempio le suggestioni della natura e del paesaggio scozzese sono
accennate e non ancora sottolineate come sarà in Guglielmo Tell.
La febbrile intensità compositiva degli anni di Napoli è seguita da una sosta e dai viaggi trionfali a
Parigi e a Londra. Nel 1824 si stabilisce a Parigi, direttore del Teatro Italiano. Per l’incoronazione di
Carlo X scrive la cantata scenica celebrativa Il viaggio di Reims, parte della quale verrà trasferita
nel Comte Ory. ’28 (ultimo ritorno al comico, con accento di O.C., più riflessivo e meno slanciato.
Precedentemente c’era stato L’assedio di Corinto ’26, un rifacimento di Maometto II e un
rifacimento di Mosè in Egitto: due opere napoletane erano state trasformate in grand opera. I tempi
meno frenetici rispetto a Napoli gli permettono di fare ricerca approfondita, che lo conducono al
coronamento stilistico in Guglielmo Tell.
La grandiosa architettura, il soggetto attuale patriottico e libertario, e le intense suggestioni del
paesaggio locale. L’ultimo capolavoro ebbe un ruolo in Francia e in Italia dove offrì un modello di
costruzione drammatico musicale, e segnò il ritiro dalle scene.
Memorabili pagine vocali da camera, ricordiamo le raccolte Soirèes musicales(1830-35), e lo
Stabat Mater 1832. Capolavoro degli ultimi anni è la Petite messe solennelle.

3. Il melodramma romantico all’epoca di Vincenzo Bellini e Gaetano Donizzetti


Il romanticismo italiano si sviluppa molto dopo rispetto a Germania e Inghilterra, quasi
contemporaneamente alla Francia, principalmente in Lombardia. Qui malgrado i sentimenti
antifrancesi dopo il dominio napoleonico si sentono ancora influssi illuministici che uniti alle radici
forti della tradizione classica finiscono per fare sì che i temi romantici e le loro opposizioni, libertà e
regola, sentimento e ragione non si pongano in contrasto ma vengano equilibrati nell’assetto
sociale e ideologico della borghesia italiana. Nell’ambito della la stessa conciliazione tra trasporto
e misura si avverte nel melodramma, mentre a differenza che in Germania la musica strumentale
decade. Il compromesso borghese tra convenzione morale e impeto poetico si sviluppa su
strutture portanti rossiniane. Fra gli operisti ricordiamo Giuseppe Saverio Mercandante e Giovanni
Pacini, per l’introduzioni di intenti drammaturgici, (Pacini cerca di sfumare il divario fra recitativo e
pezzo chiuso). Moltissimi autori minori, ma i grandi nomi sono Rossini Bellini Donizzetti e Verdi.
Rossini rinnova lo spirito dello stile buffo rinvigorendone gli schemi, e nell’opera seria ha il merito di
annunciare le novità romantiche già da Tancredi fino a Guglielmo Tell. Se lui apre la strada è però
Vincenzo Bellini (Catania 1801 - Puteaux Parigi 1835) il più rappresentativo del primo
romanticismo italiano. Nella sua persona era insito l’ideale romantico, la delicatezza sentimentale,
caratteri della sua indole e della sua musica: lirismo terso e assorto, tutto nella melodia e nel
canto,la purezza della linea, tali da trascendere gli schemi e le tensioni drammatiche della
consuetudine italiana irrisa dai tedeschi. Il suo valore però non si riduce alla melodia pura: egli
riuscì a realizzare quell’unità e discorso drammatico, per primo ad esempio comprese che i suoi
personaggi dovevano vivere esteticamente anche nei recitativi. Il suo librettista fu Felice Romani
(ad eccezione delle prime due opere “Adelson e Salvini” e “Bianca e Fernando” e dell’ultima “I
Puritani”), il più apprezzato dell’epoca, il quale in armonia con Bellini conferiva al testo limpido
lirismo poetico. Le trame ricavate dagli scrittori romantici (Byron, Scott, Hugo, Dumas): la carriera
di Bellini si riduce tra il 27 e il 35, con Il pirata, La straniera e Zita, Capuleti e Montecchi, Beatrice di
Tenda, e i due capolavori, La Sonnambula e la Norma, entrambi rappresentati a Milano nel 1831.

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La Sonnambula deriva dal genere Larmoyante semiserio, d’ambientazione svizzera, tono idilliaco,
e una suggestione notturna del sonnambulismo che la immerge in un atmosfera tutta romantica.
La Norma è ispirata invece alla tragedia greca: qui la purezza della musica emana classicità,
lirismo e un intimità ancora pienamente romantica.
Infine nei Puritani accenna a contenuti più esplicitamente romantici, nella cura delle armonie e
strumentazioni, e nella forza espressiva dell’orchestra.
La mentalità sociale riflessa nelle opere belliniane si ritrova anche in Gaetano Donizzetti (Bergamo
1797-1848) dove le stesse eredità di tradizione, Rossini e romanticismo, trovano vie diverse. Non
ci sono dilatazioni liriche ma forza del canto pur fedelmente alla maniera. La norma e l’esuberanza
trovano equilibrio, liberalità con moderazione. Molto fecondo, 74 opere teatrali: ricordiamo tra le
opere comiche L’elisir d’amore 1832, L’ajo nell’imbarazzo 1824 e Don Pasquale 1843. tra le opere
serie Lucia di Lammermoor, Anna Bolena, La favorita.
L’impalcatura delle opere buffe è sostanzialmente quella rossiniana, anche se la musica infonde
una certa verità ai personaggi che li sottrae alla farsa e li rende quotidiani. Lucia di Lammermoor è
espressione dell’immaginazione romantica, con personaggi psicologicamente investigati e un
ambiente musicale evocativo. Mistero, passione, notte.

4. La drammaturgia musicale di Giuseppe Verdi


Figura dominante nella cultura musicale italiana dell'ottocento è quella di Giuseppe Verdi (Roncole
di Busseto, Parma 1813 - Milano 1901) non solo per la sua genialità di compositore e
drammaturgo ma anche per i positivi legami con la sua società. Al contrario di tanti artisti del suo
tempo dimostrò di condividere le idee e valori della società in cui viveva che a sua volta lo amo e
apprezzo. Il sintomo più evidente dal contenuto drammatico delle sue prime opere, come il
Nabucco 1842, ricche di tensioni e speranze patriottiche risorgimentali. Non bisogna tuttavia
ridurre il suo teatro giovanile a mero patriottismo, sia perché non partecipò mai alla vita politica si è
perché i suoi personaggi hanno una complessità psicologica e morale molto meno banale.
L'Italia per ragioni economiche e politiche vive solo adesso i processi rivoluzionari che mezzo
secolo prima aveva vissuto il resto d’Europa, dove ora le spinte ideali della borghesia, si
dimostrarono parole vuote davanti allo sfruttamento della forza lavoro più debole. In Italia quegli
ideali avevano ancora la capacità di scuotere l'anima di un artista come Verdi che ne fece oggetto
di narrazioni epiche negli anni 40. Questi ideali egli riuscì a incarnarli nei suoi personaggi, con una
tale bravura da non aver mai dato per certa la loro vittoria; altrettanto impetuose sono le forze che
si oppongono a questi principi morali, e vitali i personaggi: questo spirito analitico e schietto nei
confronti dei grandi ideali fa di Verdi una altissima coscienza morale del suo tempo.
Nel 39 alla Scala va in scena Oberto Conte di San Bonifacio. Col Nabucco la fama internazionale
fu immediata, grazie alla facile trasposizione tra il popolo italiano del risorgimento e la prigionia
degli ebrei, ma anche l’efficace semplificazione dei caratteri e degli avvenimenti, le invenzioni
musicali. Nel 44 Ernani, ispirato a Hugo, presenta l’altro suo grande tema, ovvero le vicende
familiari e amorose. Negli anni ’40 alterna opere a sfondo patriottico e corale (Battaglia di Legnano,
Attila, I Lombardi alla prima crociata) a drammi personali e familiari (I due foscari, I masnadieri,
Luisa Miller). Le tematiche frequenti sono quelle del potere, della famiglia e dell’amore, di
tradizione melodrammatica ma con varianti originali. Vanno in scena divoranti ambizioni, autorità
spietate, ricatti. Non solo attingeva dal romanzo popolare ma anche da Schiller, Byron, Hugo. Tra il
tema del potere e della famiglia, emerge una figura originale del teatro verdiano, quella del padre:
il padre che deve preservare l’unità della famiglia, che difende l’onore della figlia; oppure il più
tipico tema dell’amore tra giovani, e la loro resistenza a ogni minaccia, ogni difficoltà.
Egli chiedeva ai librettisti concisione, dinamica, e passione. La parola scenica doveva schizzare la
sostanza delle cose in pochi tratti significativi, la sua musica avrebbe saputo dare risalto alle cose.
Formalmente accoglie l’esperienza del melodramma rinnovando gli aspetti essenziali: l’unità
musicale non è più ormai alternanza schematica tra recitativi e arie ma nemmeno del tutto libera, ci
sono ancora numeri chiusi che sono ancora pienamente funzionali alle attese del pubblico.
Il “pezzo chiuso” per Verdi comprende di solito un’intera azione, cioè la narrazione esauriente di un
episodio, nel suo schema più consueto contava quattro fasi: recitativi iniziali (cavatina) sostenuti e
introdotti da temi e interpunzioni orchestrali; una prima aria del protagonista; un parte libera con
interventi dei personaggi e del coro; infine un secondo intervento del protagonista (cabaletta)
vocalmente più brillante.
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Dall’Ernani codifica anche il tipo di voce col tipo di ruolo: soprano e tenore (coppia) basso o
baritono (di solito antagonista); successivamente il mezzo soprano sarà antagonista femminile.
L’approccio registico di Verdi non si esaurisce nella tirannia del libretto, ma sceglie anche i
cantanti, ha cura della regia e delle scene.
Con Macbeth 1847 fa un eccezione di sperimentalismo, con un soggetto cupo di tragedia, senza
eroismi o trame amorose. Il testo di Sh. è ricco di apparizioni e di soprannaturale, e sfida le
convenzioni ancora classicheggianti che predominavano.
I primi anni di carriera, definiti “di galera” per i ritmi di lavoro, si concludono con Rigoletto 1851,
Trovatore e La traviata. Del primo, da Hugo, è singolare il protagonista deforme, e le scene di
notturno di suggestione inedita,con tecniche drammaturgiche e musicali soli in parte tentate prima:
la contemporanea presentazione di episodi contrastanti come nel doppio duetto dell’ultimo atto.
Queste tecniche incidono sulla forma musicale, che tende sempre più ad adattarsi al teatro
moderno. Così il recitativo assume una continuità di linee melodiche che lo avvicina all’aria, e
questa a sua volta può farsi meno rigorosa e compatta. La scelta dei temi poi non teme attualità
scottante, come dimostra La Traviata (la protagonista Violetta Valery), in un periodo in cui lui
conduceva una rapporto non matrimoniale.
È del 1855 il primo lavoro composto espressamente per le scene francesi (il primo è un rifacimento
dei Lombardi nel ’47 per l’Operà: Jerusalem) , I vespri siciliani, sorta di Grand operà rivista e
adattata. Anche altre opere successive, il Simon Boccanegra (1857) fino ad Aida (1871) tendono al
Grand Operà: c’è maggiore articolazione delle trame, aumentano i personaggi e i grandi insiemi
collettivi e di massa, episodi coreografici, scenografie più sontuose.
Nel 1859 scrive per Roma Un ballo in maschera, e da quel momento avverte sofferenza per il
mondo teatrale italiano (che accusa di mancanza di professionalità, eccessiva disinvoltura
manageriale) e per lo schematismo culturale e il predominio del divismo dei cantanti.
Per quasi trent’anni scrive per l’estero: La forza del destino 1862 per San Pietroburgo, Don Carlos
’67 a Parigi, Aida ’71 al Cairo. I protagonisti sono più sfaccettati, tra aspetti positivi e negativi
oggetti di meditazioni. Lui si fa più analitico ma non muta lo stile e la morale, di una società capace
di assicurare giustizia e piena dignità a tutti.
I tempi incominciano a cambiare, anche in Italia si scava il solco tra interesse degli intellettuali ed
interessi del potere. Nel campo letterario ci sono suggestioni nuove, come la scapigliatura
milanese che parla di disperazione esistenziale, o i primi romanzi veristi. Si inizia anche a parlare
del teatro di Wagner. Arrigo Boito giovane scapigliato denuncia l’arretratezza italiana alludendo
anche allo stesso Verdi. Verdi il quale non era meno sensibile di prima alle novità della sensibilità
europea e che aveva mostrare di saper rinnovare il suo teatro, saper chiedere di più al pubblico.
Tuttavia il rifiuto della società, l’arte per l’arte, la solitudine esistenziale, non facevano parte della
sua visione morale. Conferma del suo legame cogli ideali positivi del primo Romanticismo si ebbe
nel ’74, con la Messa da requiem per Alessandro Manzoni.
Negli ultimi anni Verdi si lascia ancora sedurre da Shakespeare e nel ’87 compone Otello; del 93 è
invece la sua ultima composizione, e unica sua commedia, il Falstaff, delle fantasie erotiche di un
vecchio messe in burla con ironia e saggezza. Il librettista è proprio Boito.
Riesce ancora ad aggiornarsi, con nuove sottigliezze armoniche, e una riorganizzazione delle
proprie forme drammaturgiche musicali: cancella lo schematismo tradizionale, si intravedono
tracce si arie, duetti, concertati ma tra un episodio e l’altro c’è grande fluidità.

La musica del secondo Ottocento

1. La musica e “l’arte dell’avvenire”: Franz Liszt e Richard Wagner


Il tema dell’arte come mezzo ti trasformazione dell’esistenza, dell’uomo e della società è
tipicamente romantico. In campo musicale più di tutti furono Listz e Wagner ad avvertire questo
slancio artistico verso il futuro. Il primo pensa alla musica come arte guida che deve abbracciare le
altre arti, mentre il musicista poeta rompe le catene e può spaziare con la fantasia. Anche Wagner
tendeva all’arte dell’avvenire, ma per far questo riteneva di dover liberare la musica dai bassi
vincoli utilitaristici borghesi e ricondurla al suo fine sacro. Entrambi vissero ardori giovanili
socialisteggianti che si attenuarono con gli anni.
Non scrivono per il loro pubblico ma per il pubblico futuro e ideale, la loro musica si emancipa dalle
costrizioni della tradizione e si aprono nuovi percorsi, in poesia col poema sinfonico di L., e
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nell’arte della transizione con la drammaturgia wagneriana: l’allargamento dello spazio armonico è
un mezzo e un merito di entrambi i compositori, a disposizione ci sono più colori, per uno in
funzione dell’espressione poetica, per l’altro in funzione dei passaggi d’azione drammatica.
L’”opera d’arte come unica giustificazione della vita” (Nietzsche) aveva attratto molto i primi
romantici, ma nel suo estremismo annuncia già il fallimento utopico di risanamento della società.
Franz Liszt (Raiding, Ungheria 1811 - Bayreuth 1886) visse in un intenso nomadismo e
internazionalismo, ma possiamo fissare il suo periodo creativo più felice a Weimar. Nel 1848 è
direttore artistico dell’opera di corte. Come a Parigi vive la sua musica come missione, ma adesso
non si tratta di farsi narcisisticamente conoscere in giro per l’ Europa, come colui che spinge oltre i
limiti della musica, ma di trasformare Weimar nella città dell’avvenire, di mettere in pratica l’utopia
di una società migliore guarita dalla musica.
Già a Parigi aveva iniziato un’attività compositiva più impegnata e autonoma (meta anni ’30); l’arte
musicale diventa esplicita e programmatica sublimazione poetico-sonora del vissuto.
A Weimar compone la sonata per piano in B- , la composizione pianistica di maggiore impegno,
ma è nell’ambito orchestrale che concepisce i progetti più ambiziosi: 13 poemi sinfonici e due
sinfonie programmatiche dedicate una al Faust (Faust Symphonie 1854-57) e l’altra alla
Commedia Dantesca (Dante Symphonie 1856). Questi progetti rivelano già i contenuti poetici
extramusicali e la necessità di cambiare i modi di comporre, secondo criteri di trasformazioni
tematiche. Anche la Sonata B- pur priva di programma è un tormento faustiano, mentre i due
concerti per pianoforte conclusi nel ’49 conferiscono l’andamento ciclico al tradizionale schema.
Nel periodo romano la religiosità di Liszt subì una svolta e decise di abbracciare gli ordini minori.
Inizia la produzione sacra: Messa di Gran ’55, oratori La Leggenda di Santa Elisabetta ’57-’62, e
Christus ’62’-66, composizioni spoglie e penitenti.
Nella tarda stagione arriva a un altro ascetismo, con una serie di brani pianistici anni ’80,
rievocativi e funebri in memoria di Wagner (La lugubre gondola, R.W. oppure Venezia, Sulla tomba
di R. W.) o di eroi ungheresi (Ritratti storici ungheresi) in cui sperimenta nuove sonorità, eliminando
le armonie di un tempo e facendo urtare aspre dissonanze, scorrere il discorso su disegni atonali;
La sperimentazione è identificabile in tutta l’arte di Liszt, e talora la ricerca di mezzi espressivi
nuovi è esplicita nel titolo, Bagatelle sans tonalité ’55; nel suo complesso l’arte musicale non risulta
perfetta ma sono i suoi squilibri, l’estetica tormentata , l’opposizione al bello del caratteristico che
la rende memorabile e per di più anticipa l’avanguardia di un secolo.
Differentemente Wagner trovò forma privilegiata di espressione nel teatro musicale, la sua opera
d’arte dell’avvenire. L’idea di un teatro nazionale tedesche già si era formata, da Mozart a
Beethoven, Weber, Spohr. Con questo passato alle spalle Wagner immagina uno spettacolo in cui
viene rappresentato ed è alla sua base un mito, ovvero simbolo di una verità assoluta alla quale il
pubblico e l’ umanità hanno accesso non per processo razionale ma per istinto immediato.
Si parte con Die Feen (da una fiaba di Gozzi) e Dal Liebesverbot (da Schakespear mis. x mis), uno
si rifà al Hoffman e Weber, l’altro agli stili eclettici intrecciati di Donizzetti e Auber. È a Parigi nel 39,
dove completa Rienzi (grand operà di argomento storico): qui capirà vedendo il grand operà
meyerbeeriano che le grandi totalità, parti convergenti di quel teatro, diventeranno il suo modello
negativo e volge all’idea di Gesamtkunstwerk, in cui tutte quelle componenti concorreranno in
modo unitario all’esperienza assoluta del mito. Il trapasso avverrà attraverso 7 opere principali:
L’Olandese volante - Il Tannhäuser - Il Lohengrin - L’anello del Nibelungo - Tristano e Isotta - I
mastri cantori di Norimberga - Il Parsifal.
Der Fliegende Höllande, Dresda ‘42: i temi sono maledizione e redenzione. La musica ricalca
ancora forme chiuse e recitative tradizionali, anche se questa separazione è attenuta da scene di
ampio respiro e l’uso dei temi conduttori. Sempre a D. nel ’45, Il Tannhäuser (varie leggende
medievali nordiche) e ancora il tema dannazione redenzione, integrato dall’amor sensuale:
nonostante qualche residuo della tradizione ormai il discorso musicale è fluido, fuori dalle forme
precostituite e il Leitmotiv compare chiaramente, anche se non è ancora eretto a sistema. Lo sarà
in Lohengrin, Weimar 1848. Le sue parti infatti si sviluppano da 5 motivi musicali essenziali i quali
generano la struttura musicale interna senza forme chiuse (arie cori duetti o recitativi). La timbrica
strumentale con l’armonia, raggiungono ormai emancipazione e autonomia dal linguaggio usuale.
A Zurigo, dove sta per nove anni scrive il saggio programmatico L’opera d’arte dell’avvenire ’49, e
un trattato Opera e dramma ’51 dove espone la sua idea di opera d’arte totale sintesi di tutte le arti
dello spettacolo, rifiutando le forme della tradizione, in cui la parola, musica e dramma, sono fuse
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intimamente (Wort - Ton - Drama) a ridestare il mito. Il compito di entrare intimamente e
istintivamente nell’animo del pubblico è affidato soprattutto alla musica, che comunica senza la
mediazione della ragione: musica perennemente presente, grazie a un orchestra che dovrà
esprimere quello che non si riesce a dire a prole; mediante una ricca armonia e tante possibilità
timbriche può tradurre molteplici trapassi psicologici; i temi sono simbolicamente connessi a figure
o sensi ideali . La poesia riecheggerà i concetti nella rima e nell’allitterazione, unificherà le
immagini espresse dal testo.
Fino al 1857 porta avanti la composizione della tetralogia interrompendo a metà: è un lavoro
colossale su modello delle tragdie greche: una a crepuscolo e tre giornate: Das Rheingold (L’oro
del Reno) Die Walküre (La Walkiria), Siegfried (Sigfrido) e Götterdämmerung (Il crepuscolo degli
dei). Interrompe e scrive Tristan und Isolde ispiratogli dalla passione per la moglie di un suo
protettore e dalla lettura di Schopenhauer: temi della colpa e della redenzioni sono eccitati
dall’esperienza personale ma trovano soluzione nella estrema dissoluzione, la morte, liberazione
della volontà che è origine del mondo e degli egoismi individuali. Amore e morte dunque.
A Lucerna rivede il Tannhäuser e nel 66 completa Die Meistersinger von Nürnberg: è l’ unica sua
opera a non essere tragica anche se la teoria del Wort Ton Drama è rispettata, e c’è comunque
rappresentazione simbolica di una verità universale; l’atmosfera è quella delle corporazioni
cinquecentesche dei maestri cantatori in cui si intreccia una love story; da notare il recupero
arcaizzante del diatonismo e del contrappunto.
Completerà nel ’74 la tetralogia: l’idea drammatica all’origine del ciclo è quella del tramonto di un
mondo basato sulla legge e sulla violenza, degli dei e del loro re Wotan; il motivo propulsore
continua a essere la rinuncia all’amore, e la speranza della sua rinascita per il gesto eroico di
Brunilde, dopo il crollo del Walhalla. Il ritorno dell’oro al Reno. A tenere insieme questa fitta
moltitudine di fatti e simboli provvede la tecnica del Leitmotiv applicata intensivamente.
Nell’ultimo dramma musicale di Wagner, il Parsifal, ripropone il solito tema di colpa e redenzione
ad un grado estremo. Il linguaggio musicale è ancora significativamente contrastato in cromatismo
e diatonismo, rispettivamente il lato peccaminoso della materia (il cromatismo dei malefici e
peccaminosi) e l’aspetto benefico (la primitività ingenua di Parsifal e la sacralità del Graal).

2. La Vienna di Johannes Brahms, di Anton Bruckner e di Hugo Wolf


Della crisi dell’impero asburgico, aggravato dalle mire espansionistiche prussiane del II 800, nulla
traspare dalla facciata di Vienna e della sua vita culturale. Restava un centro musicale importante.
Con Brahms Bruckner e Wolf si assiste alla decadenza politica unita allo splendore culturale.
Johannes Brahms (Amburgo 1833 - Vienna 1897) fa i suoi primi concerti nel ’62; Schumann lo
spinse molto nel mondo musicale. Le sue vie erano le più difficili, divergenti colle tendenze dei
neotedeschi, ancorate ai generi della tradizione: mottetti, grandi affreschi sinfonici e corali,
sinfonie, concerti Lieder, rispettando nei generi strumentali le categorie formali, in primis la forma-
sonata-, traendo spunto dai grandi maestri Bach Händel e Schütz.
Ciononostante la sua arte è radicata nel romanticismo, ma anche in linea con il progressivo taglio
con le esaltazioni eroiche e passionali dell’imminente decadentismo. Si dimostrò insensibile al
tema della lontananza e dell’inattualità del presente; rinsalda i legami con la tradizione e ricerca
strenuamente perfezione formale (ha la certezza di appartenere a una solida tradizione).
Un Requiem tedesco 1868 (costruzioni polifoniche dei maestri del passato. Sinfonia C-
Altre inquietudini però mostrano turbamento romantico: composizioni sinfonico corali come il
requiem, il Canto del destino, il Canto delle parche o la Rapsodia per contralto non derivano da
supina accettazione. Nei lavori della prima stagione una forte carica emotiva e passionale domina
lungo tracciati retorici molto evidenti. Le produzioni tarde invece arriva a spogliare costruzioni
troppo retoriche e le valenze emotive, fino a una espressività più neutra. Il tema tende a perdere
importanza come elemento espressivo autonomo.
Fu nell’ambito cameristico che la sua arte trovò il luogo ideale, e per cui realizzò i maggiori
capolavori. La sua concezione compositiva è molto diversa da Liszt e Wagner: egli ricercava una
veste sonora chiara ed equilibrata per le sue idee, e approda a diversi generi solo quando si sente
maturo per farlo (Sinfonia in C- a 40 anni). Da un punto sociologico B. fa parte della borghesia
erudita di cui condivise ideali estetici, ma anche etici di laboriosità, ripiegamento nel privato,
tranquillità sicurezza economica e comfort. Tuttavia esprime una gamma sfumata di stati d’animo
con grande efficacia, dall’esaltazione delle passioni alla depressione.
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A Vienna è appoggiato dall’opinione pubblica, in particolare dal critico Eduard Hanslick, che fece di
B. il vessillo del partito antiwagneriano all’epoca delle polemiche tra la scuola dei neotedeschi (L e
W) e Brahms. Hanslick espresse i suoi principi estetici nel saggio Il bello musicale, 1852: la musica
non è espressione, anzi il mondo dell’espressione è del tutto al di fuori delle sue possibilità; la sua
bellezza risiede unicamente nelle sue forme e nella tecnica che le realizza e le rinnova. Per la
prima volta si apre una polemica contro il romanticismo che pone le basi a una critica formalistica.
La musica non deve essere ascoltata impressionisticamente ma deve essere studiata: si apre così
l’era degli studi scientifici e della scienza della musica che aprono al positivismo.
Per molti musicisti di fine secolo l’importanza di Brahms rimase decisiva unitamente a quella di
Wagner, tuttavia le contrapposizioni che i due ebbero in vita furono molto forti, con attacchi violenti
di Wagner che trovarono seguaci tra cui Hugo Wolf, che condivideva l’antipatia per l’amburghese
assieme all’amico Gustav Mahler.
Anton Bruckner (Ansfelden, Linz 1824 - Vienna 1896) si proclamò candidamente wagneriano, ma
sarebbe semplicistico spiegare così il disprezzo che ebbe Brahms nei suoi confronti.
Decise a 31 anni di studiare composizione a Vienna. Nel ’63 vide il Tannhäuser, e poi la prima del
Tristano, successivamente conobbe Wagner che ammirò con devozione e una certa ingenuità,
alquanto estranea delle sue ragioni poetiche. Dopo il primo tentativo di Sinfonia in F- che rifiuta,
segue Sinfonia D- la sua n. 0 e infine la prima opera matura Messa n.1 in D-.
In campo sacro poi seguirà la Messa n2 e n3, il Te Deum e poche altre pagine.
L’assenza di logica e chiarezza lamentate da Hanslick dipendono dal pensiero radicale di B. volto
alla monumentalità ignorando i procedimenti della tradizione quanto quelli di Brahms o Wagner.
Affreschi sconfinati, dilatazione formale, senza tecnica di variazione o sviluppo ma costruzione in
grandi blocchi. Ci sono momenti cromatici ricollegabili a Wagner ma il contesto è estraneo
all’originale.
Personale fu anche il wagnerismo di Hugo Wolf (Slovenjgradec 1860 - Vienna 19039) evidente dal
fatto che ampio spazio nella sua produzione è occupato dai Lieder. Stroncato precocemente dalla
malattia mentale nel ’97, fu anche appassionato critico.
Nella musica struementale ricordiamo il Quartetto in D-, la italianische Serenade e il poema
sinfonico Penthesilea. Essenziale però per lui è l’uso della voce, nei Lieder e nell’opera:
l’opera comica Der Corregidor a Mannheim nel ’96 (sorta di ciclo di Lieder); dell’88 gruppo di
Lieder su testo di Mörike, poi 51 su Goethe, mentre gli ultimi 3 del 97 sono su poesie di
Michelangelo. Segna una conclusione del genere del Lied romantico, e conclusive sono anche le
sue scelte poetiche, tutte rivolte al passato.

3. Il valzer e l’operetta
Accanto alla produzione musicale impegnata generi più leggeri allietavano la vita sociale viennese:
l’operetta viennese viene dal Singspiel come l’opera buffa dall’opera comique: entrambe le radici
hanno origine nell’elemento popolare, in un caso le fiere parigine nell’altro le farse. Se però la
cultura parigina era di carattere nazionale, in Germania e così a Vienna si cerca di spogliarsi dei
caratteri locali dei particolarismi verso un identità superiore. Così i Singspiel viennesi si
spoglieranno dei temi romantici e si avvicineranno alle loro radici popolari.
L’esito più eclatante della commistione fra il cosmopolitismo viennese e la sua musica popolare è
la nascita del valzer viennese ad opera di Lanner e Strauss senior, derivato dal vecchio Ländler.
Alla pesante scansione ternaria della vecchia danza contadina avevano sostituito una pulsazione
veloce e briosa: introduzione in tempo binario seguita da cinque o sei sezioni di valzer e da una
coda. Questa danza avrebbe raggiunto massimi risultati con Johann Strauss figlio (Al bel Danubio
blu 1867, Storielle del bosco viennese, Vino donne e canto, Sangue viennese ecc.
La vitalità di questa musica era perfetta per accogliere l’effervescenza dell’operetta offenbachiana.
Franz von Suppé fu il primo a imitarla con La Bella Galate (1865) e con Cavalleria leggera, ma si
accorse che la musicalità viennese era poco adatta alla vena parodistica francese, briosa ma di
indole sempre languida e sentimentale. Questo non impedì a Strauss di comporre le sue operette -
Il pipistrello 1874, Una notte a Venezia, Lo zingaro barone - le quali foggiarono il nuovo spirito
viennese assieme ai suoi valzer, che caratterizzeranno l’operetta locale fino alla fine dell’Impero,
passando da Millöcker, Carl Johann Adam Zeller e Franz Lehár il quale accentuò ancora quei tratti
sentimentali e nel 1905 produsse la popolarissima Vedova allegra.

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4. L’emergere dei particolarismi e dei nazionalismi
Fino a metà 800 la mitizzazione del passato, del primitivo e primigenio, era stata assorbita nel
linguaggio moderno, ma no veniva utilizzata in quanto musica popolare di per sé, quanto come
citazione, impronta popolare; la struttura portante di una marcia alla turca o di un finale
all’ungherese potevano arrivare addirittura a essere considerati tratti tipici viennesi.
Man mano che ci si inoltra nell’800 la musica popolare incomincia ad apparire diversa. Si ritrova
genuinamente vecchie melodie e ritmi, modelli armonici in cui si scopre il potere di rinnovare le
tradizioni classiche. È una vera irruzione del popolare che assume diversi caratteri da regione a
regione, e che trova esiti più fecondi nei paesi che fino alla rivoluzione erano stati esclusi dal
discorso europeo: paesi slavi, la Russia, Ungheria, Polonia, ma anche la Spagna e i paesi nordici
scandinavi, rappresentano un immenso serbatoio melodico che era sopravvissuto al di fuori della
tradizione accademica. Perché si trovasse il contatto tra tradizione accademica e musica popolare
fu necessario attendere il decadere del predominio assoluto della piccola Europa e la nascita del
senso di identità nazionale. Le nascite di scuole nazionale sono infatti parallele ai movimenti
risorgimentali (tuttavia il movimento non avrebbe avuto luogo senza la riscoperta illuministica e
romantica del primitivo e dell’autoctono). Gli effetti della ventata di novità sono stati enormi e
duraturi.

5. Le scuole nazionali
La scuola russa nasce da Glinka, Dargomyzskij e Serov nella prima metà dell’800 dopo un secolo
di predominio del melodramma. Ancora i primi autori di melodramma in russo avevano studiato in
Italia, Fomin e Matinskij. Solo con Michail Ivanovic Glinka si arriva a uno stile nazionalmente
contraddistinto: gli ingredienti musicali sono la grand operà fr, il canto italiano, la sapienza
contrappuntistica tedesca, ma vi immette una componente russa. Nella Vita per lo Zar 1836 c’è la
tipica coralità russa; In Russlan e Ludmilla 1842 prevale invece l’esotismo orientaleggiante.
Ad un recitativo propriamente russo, e un’ espressione libera da moduli occidentali si applicò
Aleksandr Sergeevic Dargomyzskij (Tula 1813 - Pietroburgo1869), in Rusalka 1848, e Il convitato
di Pietra (incompiuto).
Venivano a formarsi nel frattempo due movimenti opposti: chi accoglieva gli apporti della musica
occidentale e chi li respingeva. Nei i due partiti (meno divisi di quanto mostrassero) si impegnarono
i critici Serov (sostenitore di Wagner e Liszt) e Stasov, il quale era fautore del realismo estetico dei
giovani compositori slavofili, in particolare di un gruppo, il “Gruppo dei Cinque”.
Questo gruppo si proponeva di creare una musica di carattere nazionale senza obblighi
accademici e libera dalle tendenze occidentali. Nacque dall’incontro di Balakirev e Cui, ai quali si
unirono Musorgskij, Rimskij Korsakov e Borodin. La breve vita del gruppo da idea
dell’estremizzazione che fu fatta della polemica filoslavi filoccidentali.
Kalakeriv (1837 - 1910) fu più promotore ed ideologo che compositore. Scrisse poemi sinfonici e
fantasie pianistiche. Cezar Antonovic Cui (1835 - 1918) si dedicò al teatro musicale, da Il
prigioniero del Caucaso, del 57 ma rappresentata nel ’83, sua prima opera notiamo influenze
russe, tuttavia nei lavori successivi predominano influenze francesi.
Aleksandr Porfir’evic Borodin (Pietroburgo 1834-87) fu quello che rimase più fedele
all’antiaccademismo musicale (punto estetico forte del gruppo). Scrive non tanto ma lavori
importanti come la Sinfonia n.3 A- Il principe Igor (incompiuto e completato da colleghi), la n.2 in B-
del 1869 -76, e i due Quartetti del 75-79 e 81-85, sintesi perfetta di ispirazione popolare, chiarezza
del disegno e unità espressiva. Emerge l’anima russa nello schizzo sinfonico Nelle steppe dell’Asia
centrale 1880, assieme a una lucidità razionale e certa tendenza romantica (Mendelssohn).
Della personalità di Modest Petrovic Musorgskij (1839 - 1881) si rivela il realismo e lo
sperimentalismo: quattro opere teatrali, Il matrimonio, Borid Godunov tra il 69-74, Chovanscina
72-81 e La fiera di Sorocincy. Tale l’arditezza formale e la primordialità da indurre diversi
compositori, tra cui Rimskij Korsakov a rielaborarne le partiture. Mirava a cogliere le verità
dell’essere umano, le fisionomie del contadino russo, con realismo, venendo meno alle regole
della tradizione: restio a sviluppare i temi secondo il modello sonatistico romantico, o collegare
tonalità contrastanti attraverso modulazioni, sonorità suadenti; al contrario fa scontrare tonalità e

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contrappone rudemente i motivi. In Boris e Chovanscina riesce a scolpire le situazioni, i
personaggi e le atmosfere con una tale forza da suscitare entusiasmo o più spesso scandalo.
Boris Godunov dopo il rifiuto del 71 venne rappresentata 5 anni dopo ed ebbe un tale successo da
mettere il musicista al centro dell’attenzione, ma solo per poco; i suoi stessi amici del gruppo
avanzarono perplessità sugli estremismi e la sua incuria per le raffinatezze tecniche gli valse
l’etichetta di dilettante. Incominciò a isolarsi negli ultimi anni e morì nella miseria lasciando
incompiute le ultime partiture tra cui Chovanscina, altro grande affresco di storia russa. Ancora
anticonvenzionale, fa scomparire la figura del protagonista, e si accentua la strutturazione
drammaturgica a pannelli.
Nikolaj Andreevic Rimskij Korsakov (1844-1908) fin da subito aveva mostrato una predilezione per
il fiabesco che lo allontanerà da certe istanze realistiche del grupo, specialmente in campo
operistico, genere dal lui prediletto. Rispetto alla prima opera La fanciulla di Pskov, approda subito
a una dimensione specifica di ritualità fantastica e fiabesca, con personaggi simbolo e atmosfere
naturalistiche, e con un colore orchestrale, di cui divenne maestro assoluto, varipointo e cangiante:
La notte di Natale 1895, Il gallo d’oro 1906-07; così nei lavori strumentali che divennero celebri
come Sherezade 1888, o La Grande Pasqua russa 1888). Fu proprio l’aspetto coloristico che
influenzò i suoi successori.
Per quanto riguarda la scuola filooccidentale questa fu sostenuta da Anton Rubinstein ma fu
l’allievo Pëtr Il'ič Čajkovskij (1840 - 1893) l’espressione massima dello spirito e psicologia della
borghesia russa permeata dalla cultura occidentale. Il suo dramma personale, una tormentata
omosessualità , è evocato in un senso tragico sotto forme convenzionali e anche salottiere della
sua musica, come: la romanza da salon, con la stessa struttura delle opere liriche - Eugenio
Onegin 1879, Dama di picche 1890 entrambe da Puskin - nei pezzi di carattere in forma di balletti -
Il lago dei cigni 1876, La bella addormentata 1889, Schiaccianoci 1892- la forma sonata classica
mantenuta come modello malgrado gli impulsi ad evaderne - in particolare la Quarta, la Quinta e la
Sesta detta patetica. Il sentimento tragico in uno stile levigato e brillante fa oscillare la musica tra
superba eleganza e momenti di trasporto passionale in cui le componenti si squilibrano; la bellezza
dei suoi temi, la mobilissima orchestrazione, i rapimenti melodici e le esplosioni foniche sono
caratteri di C. che entrano presto in circolo in tutta la musica russa.
Si comprende come nell’affrontare argomenti storici popolari con grandi cori e scene in stile grand
opera (La pulzella d’Orleans, Mazeppa, L’ufficiale della guardia, 81 84 e 74) il compositore fosse
meno a suo agio rispetto a opere di tematiche più sue, passioni infelici e fatalità tragiche come
Eugenio o La dama.
In Cecoslovacchia fino a metà 800 il clima musicale sembra assorbito dall’impero asburgico. Solo
con la comparsa di due grandi, Bedrich Smetana e Antonin Dvorak la grande ricchezza popolare
trova una via, e si può parlare propriamente di scuola.
Per Smetana (1824 - Praga 1884) fu determinante l’incontro con Liszt, dopo di che partecipò ai
moti nazionalistici e compose l’Ouverture trionfale. Le melodie e i vivaci ritmi popolari dei contadini
sono uno dei poli della sua musica, sia per teatro che strumentale. Nel 1863 va in scena la sua
prima opera, I Brandeburghesi in Boemia; nel 66 raggiunge piena originalità col capolavoro La
sposa venduta opera comica dove le danze se situazioni non scadono mai nel semplice folklore.
Seguirono altre opere, alcune romantiche, altre di comiche. Forte è l’influenza di Liszt nel ciclo dei
poemi sinfonici La mia patria, del suo stile originale fatto di melodie slave, echi leggendari.
Ricordiamo ancora il famoso quartetto Della mia vita, 1879.
Sulla stessa strada ma con esiti diversi si muove Dvorak (1841- Praga 1904), più legato alla scuola
Brahmsiana cercò un difficile compromesso tra questa e la freschezza e genuinità popolare. In
sostanza cerca il folklore slavo in una cornice di classicità. La sua fama è soprattutto legata a
composizioni strumentali e in particolare alle nove sinfonie. Conobbe la notorietà già con le
giovanili Danze slave e con lo Stabat Mater, 1877. Tra le produzioni operistiche ebbe un certo
successo l’opera Rusaka 1901, ma più aderenti alla sua personalità sono le opere sinfoniche e
cameristiche. Anche nella famosa sinfonia Dal nuovo mondo, l’ultima che compose, scritta da New
York dove dirigeva il conservatorio, si sentono spunti musicali del folklore americano.
Per quanto riguarda la scuola polacca invece, essa appare aperta alla cultura francese oltre che
tedesca. Si muove ovviamente da Chopin, passando da Wienawski e Paderewski, fino a Stanislaw
Moniuszko, autore dell’opera Halka, 1848.

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Debitrice del romanticismo e tardo romanticismo è la scuola scandinava, che trova nell’immissione
di elemento popolare autoctono una certa autonomia di procedimenti.
Franz Adolf Berwald svedese, NIels Wilhelm Gade danese, Johan Severin Svendsen norvegese,
fino al massimo rappresentante, il norvegese Edvard Hagerup Grieg (Bergen 1843 - 1907):
la sua musica è di grande effetto impressionistico e suggestione, spesso per accostamento di
accordi senza legami funzionali, e più che nelle forme sonatistiche (Concerto il A- per piano e
orchestra del ’68; Quartetto per archi in G-) risaltano nelle piccole forme (10 quaderni di Pezzi lirici
per pianoforte, i 150 ca. Lieder e le celebri musiche di scena del Peer Gynt di Ibsen, 1874-75.
Di questa inclinazione gli ultimi maggiori rappresentati di questa scuola, Carl August Nielsen,
August Sinding, e soprattutto il finlandese Jean Sibelius (1865 - 1957). Quest’ultimo, pur legato al
tardo romanticismo tedesco, contribuisce alla scuola finlandese: si ricorda il poema sinfonico Una
saga, 1892, oppure Finlandia ’99; tra 99 e 24 scrisse le sue 7 sinfonie con tante influenze europee.
Ebbe spesso a polemizzare col gigantismo, infatti le sue sinfonie conservano concisione che
deriva dall’attinenza allo schema sinfonico classico senza cedere alle proliferazioni tematiche.

In Inghilterra il richiamo nazionalista risponde all’affermazione di una creatività locale: il movimento


parte da Charles Hubert Parry e dall’irlandese Charles Villiers Stanford, per culminare in Edward
Elgar e Frederick Delius. Per ultimo Gustav Theodore Holst.

In Spagna la civiltà musicale aveva conosciuto sviluppi indigeni secolari. Per la scuola spagnola
non si trattava di dare dignità ad un patrimonio locale prima negletto bensì rilevare la sua stessa
tradizione illustre. A questo compito si dedicò il compositore il musicologo Felipe Pedrell (I Pirenei
1902) sul modello wagneriano. Le sue idee furono accolte dagli allievi Albeniz Granados e Falla,
tutti e tre pianisti di fama internazionale. I primi due composero principalmente per pianoforte,
pezzi brevi spesso di carattere estemporaneo brillante. Isaac Albeniz (Catalogna 1860 - Bassi
Pirenei 1909) sensibile al preziosismo armonico francese, e Granados y Campina (1967 1916) si
conservò legato alla tradizione romantica di Schumann Chopin e Liszt. Falla appartiene
all'avanguardia del novecento.

6. Italia e Francia alla fine del secolo


Le novità musicali tedesche (Wagner e Brahms) e delle scuole nazionali incidono anche
sull’ambiente musicale italiano e francese, dove lo spettacolo d’opera assorbiva buona parte
dell’attenzione del pubblico. La musica strumentale in Italia si era praticamente arrestata. In
Francia, aveva avuto vita difficile se pur in Berlioz, Chopin e Liszt aveva avuto momenti
importantissimi, e solo dagli anni ’50 ci sono segni di ripresa evidenti: nascono scuole di musica di
prestigio al fianco dei conservatori, come l’Ecole de musique religiose et classique, o la Schola
Cantorum; oltre alle istituzioni didattiche prendono piede società concertistiche note, tra cui i
concerti Padseloup, concerti Colonne, e concerti Lamourex (dai nomi dei fondatori); tra queste la
più significativa fu la Societè national de musique fondata nel 1870, con lo scopo di favorire e
sostenere la musica sinfonica e cameristica francese. Sempre in Francia la stessa presenza di
Wagner lasciò tracce importanti, quando pur non riscontrando successo ma anzi forti polemiche,
nacque una rivista a lui dedicata “Revue Wagnerienne”. Su questi sforzi, polemiche e tensioni si
innesta la nuova generazione di compositori.
Camille Saint-Saëns (il quale si schiera contro la Sagra della primavera di Stravinskij. Fauré, suo
discepolo ha un atteggiamento più aperto e meditato nei confronti delle novità europee; quei tratti
di sottile discrezione e distacco aristocratico vennero poi considerati tratti distintivi delle nuova
“scuola” francese. Di questa ricordiamo Cesar Franck, ernest Chausson, Alexis Emanuel Chabrier.
I caratteri francesi sono individuati nella leggerezza e trasparenza del tessuto sonoro e nell’uso
sapiente dell’orchestra.
Fa eccezione Franck (1822- 1890) per i legami evidenti con la musica tedesca: Bach, Wagner, ma
anche Liszt. Esempio di una dialettica tra sperimentazione e tradizione è la concezione ciclica
della forma.
MOvimento di rinascita strumentale si verifica anche in Italia, seppur in tono minore. Solo
raramente sorsero nel secondo 800 le istituzioni concertistiche, per mano di pochi promotori che
furono compositori e per lo più esecutori: Antonio Bazzini, Stefano Golinelli, Luigi Mancinelli;

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raggiunsero più fama Giovanni Sgambati, Giuseppe Martucci, Marco Enrico Bossi e Leone
Sinigagli.
In entrambi i paesi il contesto operistico era ancora ben saldo.
In Francia dopo Bizet verrà coltivato intensamente quel rapporto tra vena drammatica e colore
locale insediato nell’opera lyrique, dall’esempio di Carmen: esempi sono Lakmè di Léo Debiles, o
Sansone e Dalila di Saint-Saëns.
L’introspezione dei personaggi e la realtà esterna quotidiana verranno raffinate ulteriormente in
autori come Jules Massenet, nella Manon e nel Wether, dove converge naturalismo e simbolismo.
Il naturalismo non avrebbe tardato a diventare verismo, di fronte a tematiche sociali conseguenti al
processo di industrializzazione.

Analoghe integrazioni tra letteratura verista, spunti wagneriani, tratti della grand opera e gusto
esotico in chiave estetica decadente caratterizzeranno il melodramma italiano tra 800 e 900.
Dopo Verdi in Italia guarderanno al Grand Operà Filippo Marchetti, Carlos Antonio Gomes, e
soprattutto Amilcare Ponchielli il quale scrisse Gioconda, 1876 (effetti spettacolari e forti tinte
passionali e drammatiche, celebre è la Danza delle Ore). Più sensibile fu Alfredo Catalani.
A Wagner pretese di rifarsi Arrigo Boito che compose Mefistofele, più librettista che compositore,
non assunse quasi nulla della poetica e della tecnica wagneriana. Procedimenti più propriamente
wagneriani adottò Antonio Smareglia, Nozze istriane, La Falena …
Sotto l’attacco di grand operà, influssi wagneriani e opera lirique il melodramma romantico italiano
giunge al suo compimento alla fine del secolo.
Come spesso accade quando un movimento culturale viene assorbito con notevole ritardo, la
retorica romantica degli ultimi decenni risulta ben poco coerente al nuovo mondo culturale. Il
melodramma è percepito diversamente dalla critica che lo chiama verista o naturalista (verista
perché Mascagni inizia con Cavalleria rusticana). Il melodramma romantico così omogeneo nelle
sue parti, viene quindi spezzettato nelle sue componenti che vengono ingigantite e pescate senza
la coerenza e congruità originale. In sostanza l’opera naturalistica è definita dalla critica come un
fluttuare dei relitti tematici e tecnici del sistema del melodramma romantico all’interno delle
innovazioni tedesche e francesi.
I compositori furono riuniti dalla critica nel gruppo dell “giovane scuola”: Mascagni, Leoncavallo,
Puccini Cilea e Franchetti.
Pietro Mascagni (Livorno 1863 - Roma 1945)(Guglielmo Ratcliff, Amico Fritz 1891, MAschere
Isabeau, Parisina. I suoi caratteri specifici sono la virulenza ed esaltazione espressiva sfogata
nella vocalità, il senso di sopraffazione emotiva.
Ruggero Leoncavallo (Napoli 1857 - Montecatini Terme, Pistoia 1919) nel Pagliacci espone un
soggetto passionale e sanguigno ma con i mezzi dell’operetta e della romanza da Salon.
Umberto Giordano (Foggia 1867 - Milano 1948) fa invece perno sull’intrigo del dramma con un
rapido incalzare degli avvenimenti che svuota ogni liricità (Fedora 1898).
Cilea scrisse l’Arlesiane , Adriana Lecouvreur ecc.
Alberto Franchetti nel dramma storico Germania mostra l’uso del Leitmotiv ma accoglie tutti gli
influssi dell’epoca.
Tutti costoro non alterano la concezione del melodramma tradizionale, se pur involucro di vecchi e
nuovi ingredienti. Invece Puccini mette in crisi questa concezione individuando nelle sue opere una
diversa percezione e rappresentazione del tempo. Allo scadere della tradizione melodrammatica,
Puccini (Lucca 1858 - Bruxelles 1924) comprende ed esprime il disfarsi del vecchio tempo
rappresentativo in un tempo discontinuo, relativo multidirezionale; fino ad allora il tempo delle
azioni aveva una traiettoria unica, quella percorsa dallo spettatore, questo non è il tempo della
quotidianità scoperto dal romanzo moderno e individuato musicalmente da Puccini.
Esempio la temporalità della Boheme come consumo irrevocabile di ogni attimo. Madama Butterfly
come attesa vana.
Manon Lescaut 1893, Boheme 1896, Tosca 1900, Madama Butterfly 1904, Fanciulla del West ’10,
Trittico 1918, Turandot 1926.
Riccardo Zandoni ed Ermanno Wolf-Ferrari rappresentano la generazione dopo Puccini quando
l’opera naturalistica perdurerà fino agli anni ’30.

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