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V. VARANO - V.

BARSOTTI

La tradizione giuridica occidentale

“Testo e materiali per un confronto civil law-common law”

5 a Edizione - Gieppichelli, Torino

1 – INTRO AL DIRITTO COMPARATO

La disciplina di Sistemi giuridici comparati risponde ad un’esigenza relativamente nuova di confronto tra i
vari sistemi giuridici. Il fenomeno della diversità di tali sistemi risulta essere costante nel corso della storia,
tuttavia l’attenzione consapevole degli studiosi del diritto nei suoi confronti risale soltanto agli inizi del
1900. Prima di allora storici, filosofi e anche giuristi, nei confronti delle diversità delle istituzioni giuridiche,
hanno mostrato un semplice interesse, che non ha tuttavia condotto a studi più sistematici e approfonditi.

1. Evoluzione del diritto comparato

Dalla fine dei ’70 gli insegnamenti comparatistici si sono sempre piu diffusi nelle facoltà italiane. La
comparazione è venuta fuori affermando tutta la sua necessità per la formazione di giuristi, diplomatici,
operatori di pace, mediatori culturali ed operatori economici. La globalizzazione dell’economia,
l’intensificarsi dei rapporti commerciali e culturali hanno favorito la crescita e la diffusione degli
insegnamenti comparatistici. Bisogna ricordare che il secolo XIX è stato caratterizzato da una netta chiusura
da ciò che è estraneo, è il secolo delle codificazioni e della statualismo. In Francia troviamo la scuola
esegetica, in Germania domina la figura di Savigny e della scuola storica. Al diritto comparato nella sua
connotazione odierna può essere attribuita come data di nascita il 1900, quando si svolse a Parigi, sotto
l’impulso dei due giuristi francesi Saleilles e Lambert, il Congresso internazionale di diritto comparato.
L’idea utopica alla base del progetto era quella di utilizzare il diritto comparato per superare le barriere tra
le varie istituzioni giuridiche, creando così un diritto comune all’umanità. Il periodo che va dal 1900 agli inizi
degli anni ’30 rappresenta un periodo di slancio del diritto comparato sulla scia di diversi fattori come la
comparsa del codice civile tedesco, la formazione di nuovi stati o l’esigenza ormai percepita di una
cooperazione internazionale di carattere anche giuridico, che si traduce nella costituzione di una Società
delle Nazioni 1920; la Riv del 1917, l’affermazione di una nuova famiglia ispirata ai principi della dottrina
marxista, ossia di una famiglia giuridica socialista che dominerà la Russia e che continua ad essere presente
anche in paesi quali la Corea del Nord, la Cine e Cuba. Il mondo si sveglia dall’incubo dei campi di
concentramento e dalla IIGM, un mondo di grande progresso tecnologico, ed accanto un forte bisogno di
sopravvivenza. È essenziale qui il bisogno di comparazione, che può portare allo sviluppo del nuovo diritto,
adeguato alle esigenze in continuo rinnovamento del mondo contemporaneo. Inoltre è cresciuta lòa
produzione di studi specialistici dedicati a det aspetti giuridici. In sostanza nell’epoca contemporanea,
contrassegnata dalla facilità degli scambi, e dallo straordinario sviluppo dei mezzi di comunicazione, della tv
e di internet, quindi per ragioni sia storiche che pratiche, non è più lecito considerare il diritto come un
fenomeno puramente nazionale, refrattario alle influenze esterne. Nella direzione di avvicinamento, di
armonizzazione e di formulazione di principi giuridici comuni, si muove l’opera del Parlamento europeo
che, data la progressiva integrazione economica e politica dell’Europa, si trova a dover affrontare sempre
nuovi problemi. Iniziative di questo tipo tuttavia, sono riscontrabili non solo a livello europeo, ma anche a
livello mondiale. Quindi tutti gli eventi ricordati hanno prodotto un forte sviluppo della comparazione, ciò
risulta evidente:
 sotto il profilo scientifico è cresciuta la produzione di studi specialistici dedicati a questo o quell’aspetto o
isitituto di diritto straniero o di monografie comparatistiche. È visibile la crescita della curiosità e della
sensibilità per il diritto straniero e comparato da parte dei giuristi non professionalmente militanti fra i
comparatisti.

 sotto il profilo didattico, dato lo sviluppo nella facoltà giuridiche dell’insegnamento comparatistico, si
deve sottolineare l’importanza che in generale l’insegnamento del diritto si apra sempre di più
all’informazione e all’analisi delle fonti di produzione non locale.

→ obiettivo ultimo della comparazione potrà essere la scuola giuridica transnazionale, in cui fine non è
quello della formazione dello specialista ma quello della formazione di un nuovo giurista attraverso
l’insegnamento comparatistico del diritto.

2. La natura del diritto comparato

Il diritto comparato è quella parte della scienza giuridica che si propone di sottoporre ad un confronto
critico e ragionato più sistemi giuridici nazionali (macrocomparazione), e con essi anche più istituti
(microcomparazione).

Diritto comparato e positivo → privato, pubblico ed internazionale.

L’espressione diritto comparato tuttavia è troppo evocativa di diritto positivo: il diritto comparato invece è
diverso dai tradizionali rami del diritto positivo in quanto non consiste in un complesso di norme e non è
una fonte di rapporti come il diritto privato o pubblico. Anche il diritto internazionale privato (che indica
quale diritto deve essere applicato in un caso con collegamenti stranieri) è parte del diritto positivo
nazionale ed è quindi diverso dal diritto comparato. Il diritto comparato risulta utile al diritto internazionale
privato

 al fine di qualificare i concetti utilizzati dalle norme di conflitto

 al fine di applicare correttamente il diritto straniero

 al fine di comprendere più correttamente nozioni come quella di ordine pubblico.

Anche il diritto internazionale privato e quello pubblico sono parti del diritto nazionale e, nonostante
dipendano dal diritto comparato, rappresentato discipline diverse. Detto questo risulta dunque chiaro
perché sia più corretto usare l’espressione di comparazione giuridica anziché di diritto comparato. Se di
norma la comparazione non è diritto positivo, vi sono tuttavia delle ipotesi in cui la comparazione può essa
stessa presentarsi come diritto positivo, fonte cioè di norme direttamente regolatrici di rapporti:

• Si pensi all’art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia: dispone che tale Corte, tra i vari
parametri di giudizio, deve applicare anche “i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili”.
Tale norma suggerisce quindi un procedimento di comparazione attraverso il quale la Corte arriverà a
distillare i principi generali che costituiranno il diritto positivo del caso concreto.

• riferimento all’art 340 del Trattato di Lisbona che riprende l’art. 288 comma 2 del Trattato istitutivo della
CE dispone che “in materia di responsabilità extracontrattuale, la Comunità deve risarcire, conformemente
ai principi generali comuni ai diritti degli stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni e dai suoi
agenti”. Nel garantire la tutela di tali diritti la Corte è tenuta ad ispirarsi alle tradizioni comuni agli stati
membri e dunque a condurre un’opera di comparazione.
• un ultimo esempio può venire dalla pratica commerciale internazionale, in tema di contratti fra privati o
fra privati e stati, fa riferimento ai principi comuni agli ordinamenti contraenti come mezzo di valutazione a
cui devono ricorrere gli arbitri per trovare una soluzione alle controversie eventuali.

Diritto comparato e Diritto straniero

La comparazione giuridica, ovvero la ricerca comparativa, il confronto critico e ragionato fra piu sistemi o
fra piu istituti, è diversa anche dallo studio del diritto straniero. Lo studio del diritto straniero è
generalmente il presupposto della comparazione giuridica ed è tuttavia implicitamente comparatistico dal
momento in cui pone continuamente a confronto la categoria giuridica straniera con le categorie nazionali,
sottolineando le coincidenze e le diversità e mettendo in luce i dati impliciti del sistema straniero → tale
diritto risulta implicitamente comparatistico. I rapporti sono stretti fra il diritto comparato ed altre
discipline non positive: la teoria generale del diritto, la storia del diritto, la sociologia e l’etnologia giuridica.
La comparazione è essenziale per comprendere la relatività di concetti, di distinzioni, di metodi, per trovare
illustrazioni concrete di teorie astratte, per saggiare la validità di ipotesi generali sulla realtà di più
ordinamenti, per costruire una (1) teoria generale del diritto, della sua natura, dei suoi fini, che si elevi sui
particolarismi propri dei diritti locali. Lo (2) storico del diritto è un comparatista nel senso che valuta il diritto
storico oggetto del suo studio alla luce della propria formazione di giurista nazionale moderno, ed anche nel
senso che oggetto del suo studio può essere una pluralità di diritti antichi da sottoporre a comparazione. Il
(3) Sociologo del diritto, per dare valore alle sue ipotesi, deve necessariamente abbracciare un orizzonte più
ampio di una singola società o di un singolo diritto. È tenuto a svolgere anche il ruolo di comparatista,
consapevole che l’analisi sulla law in action richiede conoscenza dei meccanismi sociali, e che, nel momento
in cui si pone come promotore della riforma del diritto, deve tener conto delle condizioni economiche e
sociali presenti nell’ordinamento interessato. Molte sono le affinità tra (4) etnogiurista e comparatista, sia
che il primo osservi i valori e i diritti, prevaltemente spontanei e non verbalizzati delle società tradizionali, o
che si occupi dei modi in cui esse gestiscono eventuali modelli giuridici europei ricevuti in epoca coloniale,
sia che il comparatista si proponga di assistere l’evoluzione del diritto delle società tradizionali con i risultati
della sua ricerca → deve necessariamente operare attraverso una comparazione.

3. Funzioni e fini del diritto comparato

La comparazione giuridica è una scienza relativamente giovane, che ha acquisito consapevolezza col
Congresso di Parigi del 1900 e che soltanto negli ultimi decenni, e non in maniera eterogenea, ha visto
crescere il proprio peso nella ricerca giuridica e nei curricula universitari. Quindi, il comparatista e la
comparazione giuridica perseguono alcune funzioni fondamentali: 1. Diritto comparato e conoscenza →
acquisire la “conoscenza pura”: un compito del diritto comparato considerato essenziale e primario anche
dal Manifesto della comparazione giuridica del 1987. 2. Diritto comparato e universalità della scienza
giuridica: la comparazione mira a restituire alla scienza giuridica il suo carattere di universalità, andando
oltre i confini nazionali, riscoprendo e ricostruendo le varie tradizioni giuridiche, comprendendo le ragioni
storiche economiche sociologiche culturali delle differenze, chiarendo le tendenze dello sviluppo. Lo studio
del diritto è ancora oggi accentrato sull’homo italicus, le altre scienze studiano invece l’uomo, il suo
ambiente, le sue idee… Inoltre si puo affermare che una unità di base si è mantenuta piuttosto nella
tradizione di common law, dove non si è avuta una rottura rivoluzionaria con il passato, come è avvenuto
nella tradizione di civil law con le codificazioni, qui per lungo tempo si è mantenuta una fuzione di
uniformazione del diritto… tale universalità è poi cessata con il collegamento del civile alla sovranità degli
stati nazionali, con le codificazioni posteriori alla rivoluzione francese, ispirate dal “pensiero degli uomini
del 1789,… il pensiero per cui il diritto positivo si identifica tutto con la legge, intesa come manifestazione…
della volontà dello Stato”.

Quindi, si può sostenere che tra le funzioni della comparazione giuridica vi è anche quella di recuperare la
perduta universalità della scienza giuridica.

3. Diritto comparato e comprensione: la comparazione mira a far comprendere che le diversità di


linguaggio, di costumi, di istituti e di leggi non costituiscono barriere invalicabili

4. Diritto comparato e comunicazione: da un punto di vista pratico, il diritto comparato, mira a far
comunicare tra loro giuristi appartenenti a tradizioni diverse. La comparazione può, attraverso la
conoscenza di sistemi diversi, gettare un ponte fra di essi. Tra i compiti fondamentali del comparatista vi è
dunque anche quello di far comunicare giuristi di tradizioni diverse assolvendo a compiti sia pratici sia
teorici. Il comparatista si interroga su come diversi sistemi affrontino problemi analoghi → Un’altra finalità
del diritto comparato: quella di fornire gli strumenti per tradurre correttamente i testi giuridici. Infatti è
necessario che l’interessato sia in grado di accertare che esista un vocabolo concettualmente analogo a
quello della lingua di partenza. Quando la verifica di corrispondenza produce un risultato positivo, le
eventuali differenze vengono giudicate trascurabili...

5. Diritto comparato e politica legislativa: (fornire gli strumenti per tradurre correttamente i testi giuridici →
legame con la politica legislativa) Innanzitutto i legislatori hanno sempre trovato che in molti settori sia
possibile emanare buone leggi senza essere al corrente delle soluzioni e della disciplina offerta negli stessi
settori da altri paesi. La storia fornisce vari esempi di imitazione oppure di “trapianto”, che determina il
passaggio di interi istituti giuridici da un ordinamento all’altro. L’esempio classico è quello del Code Civil che
le armate napoleoniche imposero in molti paesi europei ma che rimase in vigore anche dopo la
restaurazione e costitui il modello a cui si ispirò la nostra prima codificazione unitaria, perché continuava a
rispondere bene alle esigenze della società italiana del tempo. Un altro esempio può essere quello dei
codici latino americani che derivano da indagini comparatistiche e scelte eclettiche fra varie soluzioni
europee. Questa tendenza all’utilizzazione di esperienze straniere suggerisce però alcune considerazioni di
base, che devono sempre essere tenute presenti: in primo luogo il comparatista sa che anche che se due
testi normativi sono identici, non è detto che la pratica applicativa sia anch’essa identica. In altre parole, per
un soddisfacente confronto ed un eventuale trapianto, non è sufficiente stare sulla superficie della law on
the books, ma occorre spingersi a guardare attentamente anche la law in the action. In secondo luogo, ai
fini dell’adozione di una soluzione accolta in altro ordinamento, occorre verificare da un lato se tale
soluzione funziona bene nel paese che l’ha seguita, e dall’altro se può funzionare bene anche altrove senza
provocare crisi di rigetto.

6. Diritto comparato e interpretazione del diritto nazionale: un dialogo tra corti?

Se il confronto viene ritenuto scontato, è lecito chiedersi di avvalersi di una norma straniera per
interpretare al meglio il diritto nazionale. Tale funzione comparativa ha più riscontro nei paesi di common
law piuttosto che in quelli di civil law, in quanto mentre nei primi è frequente il richiamo del giudice alle
esperienze di altri paesi, nei secondi la presunta esclusività e completezza del sistema non permette di
inserire nelle sentenze riferimenti ad altri ordinamenti. Si puo comunque osservare che nei sistemi di
common law dove non si è conosciuto il fenomeno della codificazione e che continuano ad essere dei
sistemi aperti in cui il giuridiche è chiamato a svolgere una funzione esplicitamente creativa, è
relativamente frequente il caso di sentenze che si richiamano ad esperienze di altri paesi.
2 casi di paesi che non sembrano favorevoli alla comparazione: (1) Paesi che non sembrano molto
favorevoli alla comparazione. Come la Francia: sentenze caratterizzate da brevità e i giudici sono abituati a
nascondere la loro funzione creativa dietro lo stretto riferimento alla legge nazionale. È anche il caso
dell’Italia: qui si osserva la “disattenzione di avvocati e magistrati a quanto avviene all’estero”. Non
mancano comunque importanti esempi di comparazione svolta sia dalla corte di cassazione che dalla c
costituzionale. Es: caso di Scientology e caso Englaro 2007. qui si fa riferimento, attraverso citazioni
puntuali ed estese, addirittura alla giurisprudenza della corte americana, della House of Lords, del tribunale
federale tedesco e della legislazione francese.

(2) Casi di paesi in cui le corti fanno uso della comparazione come strumento di interpretazione in modo
frequente ed esteso:

1. Inghilterra, dagli anni’80 e dall’entrata in vigore dello Human Rights Act, vi è la tendenza dei giudici di
invocare il diritto straniero come prova supplementare o a supporto di quello che cercano di dimostrare.

2. Corte costituzionale ungherese: istituzione che adotta in modo corretto il metodo comparativo

3. Germania

(3) Alcuni rari, ordinamenti in cui i giudici fanno aperto uso della comparazione come prassi regolare:
Canada e Sud Africa

1. il Canada possiede un approccio aperto e multiculturale del diritto, infatti tali corti citano la
giurisprudenza inglese, del Commonwealth o americana, ma anche sistemi di civil law; oltre all’interesse
ovviamente per il diritto francese. Soprattutto dagli anni ‘80 il paese è stato attirato dalla vicinanza con gli
States e dall’ordinamento statunitense, per ragioni geografiche e per il fatto che con l’introduzione della
Charter of Rights and Freedoms, l’ordinamento confinante si è rivelato un’ottima fonte di ispirazione.

2. Le ragione che hanno spinto il Sudafrica a possedere un atteggiamento tra i piu aperti rispetto al diritto
straniero, sono diverse. La recente storia politico costituzionale ha portato ad una costituzione provvisoria
per gli anni 93-95 ed il testo definitivo in vigore del 96, hanno prodotto una originalissima disposizione in
tema di interpretazione dei diritti fondamentali.

3. (Gli USA non si trovano in nessuno dei gruppi sopracitati ma l’esperienza americana merita un discorso a
parte, in considerazione dei recenti sviluppi della giurisprudenza e dei nuovi contributi della dottrina).

7. Diritto comparato, globalizzazione e armonizzazione del diritto.

Nel convegno parigino del 1900 è stato attribuito alla comparazione il compito di gettare le basi per un
diritto comune dell’umanità, aiutare gli ordinamenti sovranazionali (UE o USA) ad armonizzare ed unificare
il diritto stesso, non tanto unificando materialmente la legge, piuttosto assicurando un’identica
interpretazione della norma da parte di tutti i Paesi

 Un metodo di unificazione è quello risultante da convenzioni internazionali: Oltre alle più risalenti come
quella di Ginevra del 1930 sulla cambiale e il vaglia cambiario o del 31 sull’assegno, si deve ricordare che
più recentemente convenzioni internazionali di ogni tipo sono state elaborate sotto gli auspici della
Conferenza dell’Aja sul diritto internazionale privato. Le aree toccate dalle convenzioni sono molte, sia di
diritto sostanziale che processuale.
 il fenomeno della Globalizzazione caratterizza gli ultimi decenni del secolo scorso e l’inizio di questo.
Anche il diritto è pienamente coinvolto dalla tendenza ad attenuare le differenze ed imporre un unico
modello di regolamentazione economico-sociale. Innanzitutto sono sorti molti organismi, molti sistemi
giuridici dotati di poteri normativi ed anche di meccanismi con poteri di soluzioni di controversie e
attuazione delle decisioni, accanto e al di sopra degli stati nazionali che hanno ceduto ad essi parte della
propria sovranità. A livello globale spiccano organi come il WTO creato con lo scopo di stabilire regole del
commercio internazionale fra gli oltre 150 paesi partecipanti e risolvere controversie; a livello regionale
spicca ad esempio l’UE. In secondo luogo va segnalato il crescere della Soft Law che tende a sostituirsi ai
legislatori nazionali per regolare molte relazioni sociali, soprattutto a carattere transnazionale. L’UNIDROIT
ha elaborato fra il 1980 e 1994 e rivisto tra il 2004 e 2010, una disciplina uniforme dei principi dei contratti
commerciali internazionali, che sta diventando un punto di riferimento non marginale per corti e collegi
arbitrali. In 3o luogo sembra che vi sia una sorta di dialogo tra legislatori, che tendono a riforme
caratterizzate da una filosofia della convergenza. Ciò interessa l’area della giustizia civile perche questa è
tradizionalmente collegata in modo stretto con lo stato e i suoi confini. Eppure l’esperienza comparativa
dimostra che si sta verificando un ampio e complesso movimento di armonizzazione, che ha avuto inzio
probabilmente nel momento in cui le nuove costituzioni del secondo dopoguerra e strumenti internazionali
come la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali (CEDU) hanno
promosso una prima condivisione di quei valori e garanzie fondamentali che si esprimono nell’indipendenza
e imparzialità del giudice e del processo.

 Il comparatista ha una grande occasione per portare il suo apporto metodologico. La glob diventa quindi
un sinonimo di imperialismo culturale, di matrice statunitense. Istituzioni come la Banca mondiale o il
Fondo monetario internazionale e quei giuristi ed economisti che esprimono la dottrina del cosiddetto
Washignton consesus, pretenderebbero dal diritto comparato di essere uno strumento volto a fare
emergere ciò che difetta in altre società e che impedisce loro di essere più simili al mondo occidentale,
chiedendo a sistemi non occidentali o meno avanzati di rinunciare alle proprie particolarità politiche e
culturali. Il comparatista non ha solo il compito di favorire armonizzazione e convergenza, ma anche il
compito di capire e far capire le differenze, intendendole nelle loro giustificazioni storiche, sociali ed ideali.
Il comparatista deve comprendere che la globalizzazione è sicuramente un fattore molto potente che
produce uniformità della cultura, ma crea numerose e diversificate controspinte negli ambienti sociali e
culturali che resistono alla omogeizzazione forzata.

Comunque si potrebbero fare diversi esempi di unificazione ed armonizzazione a livello regionale, ma


soprattutto 2 sono quelli piu convincenti e meritano di essere ricordati.

1) → Cap 4: il caso dei paesi scandinavi, che sono riusciti a disciplinare con successo in maniera uniforme
settori relativamente ampi del diritto fina dal XIX secolo

2) il caso dell’Unione Europea che ha prodotto fra i suoi paesi membri, un livello di notevole
armonizzazione. In origine esistevano 3 comunità distinte: la Comunità del carbone e dell’acciaio, la
Comunità economica europea e la Comunità per l’energia atomica. Riunite nel 67 in un’unica Comunità
europea, articolata in 4 istituzioni che dopo il Trattato di Lisbona si articolano cosi:

 la Commissione è un organo fondamentale, esecutivo e motore della produzione normativa, avendo il


monopolio sul potere di iniziativa legislativa. È composta da 28 membri e rappresenta gli interessi
dell’unione nel suo insieme. La commissione presenta proposte di legge al Parlamento e al Consiglio,
gestisce le politiche e il bilancio dell’Unione e svolge un importante compito di vigilanza, insieme alla Corte
di Giustizia, sull’applicazione del diritto europeo. Il presidente della Comm esercita una forte supremazia
all’interno della Commissione, di cui detta gli orientamenti e l’agenda politica.

 Il Consiglio europeo composto dai capi di governo o di stato, dal suo presidente e dal Presidente della
comm, definisce gli orientamenti e le politiche generali dell’Ue e concorre con la Comm e il Parlamento alla
formazione della legislazione comunitaria.

 Il Parlamento europeo non ha poteri autonomi di iniziativa legislativa, ma concorre col consiglio e la
comm alla formazione delle norme comunitarie. Ha potere di controllo sulle altre istituzioni, per accertarsi
che agiscano democraticamente e quella di approvazione del bilancio insieme al Consiglio.

 La Corte di Giustizia è composta da un giudice per ogni stato membro e da 9 avvocati generali. La sua
funzione principale è di essere l’interprete ultimo del diritto comunitario con effetti erga omnes

Ricordiamo che i trattati base dell’UE sono quello di Maastricht (in vigore dal 1o novembre 1993) e di
Amsterdam (1997, entrato in vigore dal 1o maggio 1999). Questi portano all’Ue un nuovo disegno della
cooperazione fra gli stati membri in vista dell’ampliamento dell’Ue stessa, fondata sui famosi 3 pilastri, che
si occupano di Comunità europea ed instaurazione del mercato comune e dell’unione economica e
monetaria; politica estera e sicurezza comune e giustizia ed affari interni. Il cammino politico-istituzionale
termina con il Trattato di Lisbona del 2007 in vigore dal 1o maggio 2009 che cerca di recuperare il
fallimento al progetto della costituzione europea, infatti attribuisce valore giuridico alla Carta dei diritti
fondamentali, conosciuta come Carta di Nizza, in vigore dal 1o febbraio 2002.

Accanto al diritto comunitario istituzionale si è sviluppato un sistema volto a rendere uniforme o almeno ad
armonizzare le regole, al fine di favorire l’attuazione di un vero mercato unico, unitario, fondato sulla libera
concorrenza, in cui tutti gli operatori, anche se appartengono ad ordinamenti giuridici differenti, devono
essere posti sullo stesso piano e competere sul mercato in condizioni di parità.

Importante è stata l’incidenza della produzione normativa comunitaria nel campo del diritto privato (da
tempo si è aperto il dibattito sull’opportunità di redigere un codice civile europeo, è probabile che non si
arrivi ad un codice comune, quindi si prenda altre strade di armonizzazione in cui si impegni più la dottrina
che l legislatore comunitario).

È importante il fatto che l’UE si stia costruendo un processo civile europeo, nonostante che la procedura sia
in linea di principio riservata agli stati in virtu del principio di autonomia procedurale. Det articoli
prevedono comunque la possibilità di migliorare, semplificare ed armonizzare alcuni settori, soprattutto
nella cooperazione giudiziaria.

Un ruolo determinante è stato assunto dalla Corte di Giustizia che, fra i principi generali del diritto
comunitario, ha dato ampio risalto al diritto alla tutela giurisdizionale piena ed effettiva, in quanto diritto
riconosciuto dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri.

Nel quadro dei progetti volti a favorire l’integrazione giuridica europea, va menzionato anche lo European
Law Institute (ELI, 2011), un organismo indipendente per promuovere lo sviluppo del diritto europeo.
L’istituto si adopera per promuovere e migliorare la produzione normativa in eu ed il rafforzamento della
integrazione giuridica europea. Quindi l’ente dirigerà i suoi sforzi alla formazione di una più robusta
comunità giuridica europea, integrando i risultati raggiunti dalle varie culture giuridiche, esaltano il valore
della comparazione giuridica ed assumendo una prospettiva genuinamente europea. Tutti i settori del
diritto rientrano nell’ambito degli interessi dell’Istituto, diritto pubblico e provato, diritto sostanziale e
processuale.

Il Consiglio d’Europa è un’orgazzazione fondata nel 1949 che promuove l’unità di tutta l’Europa occidentale,
e che comprende oggi ben 47 paesi della zona occidentale ed orientale. Tra le tante, le appartiene la
Convenzione per la salvguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che consiste in una sorta di
Bill of Rights sovranazionale. Essenziale nell’opera di concretizzazione della Convenzione è la giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo (la corte di Strasburgo). Importante è il crescente collegamento tra
il Consiglio d’Europa e l’UE che culmina nell’articolo 6 del trattato di Lisbona, secondo cui “l’Unione
aderisce alla Convenzione europea” e “i Diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione… fanno parte del
diritto dell’Unione in quanto principi generali”, potrebbero in un futuro prossimo trovare una definitiva
concretizzazione. Sempre importante nel segno del dialogo tra corti è il Protocollo n.16 che attribuisce ai
giudici nazionali la possibilità di rivolgersi alla Corte EDU per chiedere un parere consultivo non vincolante,
“su questioni di principio relative all’interpretazione e all’ applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla
Convenzione e dai suoi protocolli” (art1).

4. La varietà dei diritti positivi

Ciascuno Stato moderno possiede un diritto diverso da quello degli altri e presenta al suo interno delle
ulteriori diversificazioni a seconda che la forma di Stato sia federalistica o regionalistica. Di norma vi sono
tanti diritti, tanti sistemi giuridici, quanti sono gli stati nazionali → le differenze riguardano:

1) La diversa importanza della norma giuridica: questa può godere di un primato assoluto ed in questo caso
il diritto svolge un ruolo preminente quale regolatore ed organizzatore della società: è la concezione
occidentale del diritto condivisa nei sistemi di civil law. Oppure la norma può essere sottomessa ad una
regola superiore, come un ordine religioso nei paesi islamici. Infine può avere semplicemente un ruolo
strumentale, transitorio, di preparazione ad un particolare tipo di società per poi scomparire secondo la
concezione marxista del diritto e dello stato seguita nei paesi socialisti.

2) La diversa elaborazione e produzione della norma giuridica: le fonti normative possono essere varie e
diverso può essere il rapporto tra loro. Le principali fonti che troviamo nei sistemi moderni sono la legge, la
consuetudine, la giurisprudenza e la dottrina (il ruolo di tali fattori cambia nelle epoche e nei sistemi). Nei
paesi di common law il formante giurisprudenziale ha un ruolo preminente, mentre la dottrina in Inghilterra
ha un posto di scarso rilievo. La norma giuridica di produzione legislativa può presentarsi con maggiore o
minore generalità ed astrattezza, infatti in ordinamenti di civil law e nelle grandi codificazioni si hanno
norme più generali ed astratte; mentre in quelli di common la si pongono norme più particolari e concrete. I
sistemi giuridici possono poi essere caratterizzati dalla stabilità, come nel caso della codicistica 8- 900esca,
oppure dalla dinamicità.

3) La diversa interpretazione e applicazione della norma giuridica: nell’interpretazione si può avere un


approccio più formalista, che attribuisce importanza preminente al testo e predilige un approccio
ermeneutico letterale, oppure può avere una maggiore attenzione allo spirito della regola e un
atteggiamento che attribuisce minore importanza all’espressione formale. Il primo approccio interpretativo
è tipico dei paesi di common law, il 2o è riscontrabile nei paesi di civil law, infatti troviamo una maggiore
attenzione allo spirito della norma.

In alcuni ordinamenti vi può essere un’attenuazione della regola di stretto diritto mediante ricorso a principi
equitativi, cosa che però attualmente non ha riscontro né nei paesi di common law né in quelli di civil law.
Vi possono infine essere differenze rispetto al grado di effettività della norma giuridica, ovvero se la norma
è effettivamente osservata e come si garantisce tale osservanza. In questa prospettiva rilevano in
particolare le differenze relative all’organizzazione giudiziaria e, più in generale, al ruolo della giurisdizione.

→ Fattori di diversificazione: I diritti si differenziano per varie cause, magari relative all’importanza e al
ruolo e alla natura stessa della norma giuridica e al modo in cui è prodotta ed interpretata, ma in generale
le principali sono 3:

1. le condizioni naturali che, imponendo proprie particolarità e specificità, e quindi proprie esigenze, si
riflettono sulle norme giuridiche

2. la storia, alle cui differenze e specificità fanno eco le differenze dei vari diritti e le loro strutture giuridiche
3. la volontà politica che può accentuare ed acuire le diversità causate, a loro volta, da condizioni naturali e
storiche.

→ Fattori di avvicinamento: La diversità fra i vari diritti puo essere superata da una molteplicità di fattori,
fra i quali la circolazione di tecninche e modelli giuridici: infatti grandi sistemi giuridici hanno segnato la
civilità, la cultura e la mentalità dei vari popoli. Hanno più o meno influenzato diversi diritti nazionali
provocando importanti somiglianze di termini, categorie, concetti, metodi e strutture. Tra i compiti del
diritto comparato vi è quello di individuare perché determinati modelli giuridici abbiano avuto particolare
fortuna e come abbiano circolato, ovvero siano stati trapiantati da un luogo all’altro, quindi le condizioni
geografiche che, come possono separare alcune nazioni, portando a diritti diversi, allo stesso modo
possono anche avvicinarli. Un particolare sviluppo ne hanno avuto la circolazione di certi modelli e tecniche
giuridiche:

 il diritto romano, diritto a vocazione universale, impostosi a livello europeo prima attraverso le conquiste
militari e poi attraverso la rinascita degli studi nell’Europa medievale. All’inizio il diritto romano si impone
per autorità della ragione. Tutte le facoltà giuridiche europee si consacrano allo studio di diritto romano →
in Europa si instaura il sentimento del diritto, della dignità, della sua importanza.

 il diritto canonico è stato un importante fattore di uniformità, ad esempio nell’ambito del diritto della
famiglia. Per tanto tempo le giurisdizioni ecclesiastiche sono state le sole competenti per le questioni che
avevano un legame con la religione → aumentava cosi la propria influenza come punto di riferimento per la
raffinatezza ed il grado di evoluzione delle regole giuridiche.

 il diritto islamico, la shari’a, che ha valenza universale in quanto costituito dai precetti rivelati da Dio agli
uomini. Le sue fonti primarie sono il Corano, cioè l’insieme delle dichiarazioni religiose i Maeometto, e la
Sunnah, i comportamenti del profeta. Alla loro evoluzione contribuiscono l’igma, cioè il consenso generale
dell’interpretazione delle fonti primarie e l’applicazione delle regole contenute nel Corano.

 il Code civil del 1804, la cui influenza è stata enorme e riscontrabile non solo in tutto il continente
europeo, ma anche in quei continenti che hanno subito la colonizzazione di Spagna, Portogallo o Francia.
L’entusiamo e le idee della rivoluzione francese, le conquiste di Napoleone, l’equilibrio e la sistematicità
delle sue norme, sono tra le cause più importanti della circolazione del codice.

 Gli schemi teorici elaborati dalla pandettistica tedesca (movimento giridico della scienza tedesca che dalla
fine del XVIII sec si basò sul diritto romano e soprattutto di Giustiniano, per promuovere con metodo
rigorosamente scientifico lo studio del diritto) che hanno dato luogo a molte imitazioni da parte della
dottrina di altri paesi. es.: la dottrina austriaca, ungherese, quella italiana del ‘900 che ha prodotto
l’apparato concettuale del mondo civile del 1942.

 circa 1/3 del mondo oggi vive in un regime giuridico influenzato dalla common law inglese: Usa, Canada,
Australia, Nuova zelanda, India, paesi anglofoni in Africa e del Sud Est asiatico. La common law si impone
ratione auctoritatis con il processo di colonizzazione e si mantiene auctoritate rationis.

5. Comparazione giuridica e classificazione: le famiglie giuridiche

Risulta fondamentale qualche chiarimento terminologico su 2 dei concetti fondamentali della disciplina
della comparazione giuridica:

• per sistema giuridico (il legal system dei common lawyers) si intende “un complesso operativo di
istituzioni, procedure e norme giuridiche” vigenti in un dato territorio o per un gruppo particolare di
persone → esisitono quindi tanti sistemi giuridici quanti sono gli stati nazionali cui devono aggiungersi le
organizzazioni internazionali e i diritti di alcune comunità non statuali.

• per tradizione o famiglia giuridica si intende la raccolta di quei sistemi giuridici o di quegli ordinamenti
che condividono “un complesso di atteggiamenti profondamente radicati sulla natura del diritto, sul ruolo
del diritto, sull’organizzazione e sul funzionamento di un sistema giuridico e sul modo in cui il diritto è, o
deve essere, creato, applicato, studiato, perfezionato e insegnato”. La tradizione giuridica collega il sistema
giuridico alla cultura di cui essa è espressione parziale, lo immette in una prospettiva culturale.

→ Un’importanza fondamentale viene riconosciuta alla distinzione tra la civil law e la common law, le 2 più
antiche e più diffuse tradizioni giuridiche del mondo occidentale contemporaneo. La civil law consiste nella
tradizione giuridica continentale, che affonda le sue radici nel diritto romano e che si estende in quasi tutta
l’Europa; mentre la common law inizia il suo tragitto in Inghilterra all’indomani della conquista normanna
nel 1066 per diffondersi in molte parti del mondo. Nello studio di questi due regimi giuridici deve tuttavia
essere evitato il rischio dell’eurocentrismo che talvolta può condurre a sottovalutare la ricca varietà dei
sistemi che possono trovarsi nel mondo contemporaneo.

Appare dunque evidente la necessità di evitare la secca contrapposizione fra civil law e common law e di
considerarle come 2 aspetti di una medesima grande tradizione giuridica occidentale. Le convergenze
attuali fra le 2 tradizioni sono sempre piu vistose ed importanti, che vi sia tra le 2 tradizioni, una forte
circolazioni di modelli con un movimento particolarmente intenso dall’ala americana della common law,
che le due tradizioni abbiano sempre condiviso i valori che le norme intendono garantire. Restano
comunque delle diffrenze importanti, che marcano profondamente i 2 gruppi di ordinamenti. La disciplina
della classificazione dei vari regimi giuridici dimostra un carattere fortemente relativo, messo in evidenza
soprattutto da 2 concetti:

 la classificazione in famiglie ha senso come mezzo e non come fine, in quanto serve al comparatista per
impostare il proprio lavoro, non per terminarlo.

 la classificazione non ha un valore assoluto, ma al contrario relativo al determinato contesto storico a cui
si fa riferimento.

Ogni classificazione è inevitabilmente imperfetta e relativa e quindi da considerare nel suo valore
strumentale e provvisorio, legato al fine che si propone e ad esso condizionata. Ogni classificazione vale con
riferimento al momento storico in cui l’osservatore si colloca ed è soggetta a modificazioni via via che la
situazione si evolve. Nella comparazione giuridica, poiché ogni classificazione serve ad uno scopo limitato,
nessuna può pretendere di inquadrare completamente qualsiasi aspetto del diritto. Infine è da tenere
presente che la classificazione delle famiglie è resa particolarmente complessa dal fatto che i sistemi
giuridici consistono in entità dinamiche in cui possono osservarsi numerose stratificazioni e numerosi livelli
ciascuno dei quali può avere differenti rapporti con differenti sistemi. Alcuni autori hanno parlato di layered
complexity dei sistemi giuridici. Altri hanno sottolineato la particolare difficoltà di ogni intento
classificatorio nascente dalla competenza in uno stesso ordinamento di numerosi formanti che possono
rispondere in modo diverso ad un problema giuridico → non può esistere una sola regola, ma più regole in
relazione alla fonte considerata: il codice pare dettare una disciplina, ma le corti ne applicano una diversa e
i professionisti nelle università ne insegnano un’altra ancora.

Le Classificazioni proposte: Innanzitutto le prime classificazioni prooste tra la fine del XIX secolo e l’inizio del
XX, assegnavano importanza ai fattori culturali, etnici, o geografici… Possiamo individuare in ordine
cronologico, a partire dagli anni ‘50, 5 diverse classificazioni, ognuna delle quali da una parte porta con sé
un significato ben preciso e dall’altra deve suo malgrado trascurare alcuni aspetti.

→ P. ARMINJON, B. NOLDE e M. WOLFF propongono negli anni '50 una suddivisione dei sistemi moderni di
diritto in base al loro contenuto intrinseco, quindi indipendente da fattori esterni (geografici o razziali), e
individuano 7 “famiglie di diritti”:

-gruppo francese (che deriva la sua autonomia dal Code Napoléon e dall’influenza che ha esercitato in
molte zone dell’Europa e del mondo)

-gruppo tedesco (che raccoglie le tradizioni dei codici ABGB austriaco, BGB tedesco e ZGB svizzero)

-gruppo scandinavo

-gruppo inglese

-gruppo indù

-gruppo islamico

-gruppo russo

RENE' DAVID (comparatista francese) invece sosteneva che i sistemi potevano essere raggruppati
correttamente in famiglie solo in considerazione del fattore ideologico e del fattore tecnico-giuridico,
procedeva ad una classificazione cosi concepita:

-sistema di diritto occidentale (a sua volta diviso in francese ed angloamericano)

-sistema di diritto sovietico

-sistema di diritto musulmano

-sistema di diritto indù

-sistema di diritto cinese

Successivamente David procede ad una revisione della classificazione originaria che conduce ad una
riduzione del numero delle famiglie a 4:
-famiglia romano-germanica → influenzata del diritto romano; dal ruolo preminente della dottrina; dalla
concezione del diritto come regola di condotta e modello di organizzazione sociale e dal primato del diritto
privato elaborato dalle università.

-famiglia di common law → evoluzione storica sostanzialmente impermeabile all’influenza del diritto
romano; caratterizzata dal primato dei giudici; dall’idea di norma quale strumento volto a risolvere
controversie concrete; dalla prevalenza del diritto pubblico nel senso che il re interviene per ristabilire la
pace nel regno.

-famiglia dei diritti socialisti → si caratterizza soprattutto per gli obiettivi che il giurista si propone, ovvero
l’attuazione dei principi fissati dal marxismo leninismo.

-I sistemi filosofici o religiosi comprendono sistemi in cui l’idea stessa di diritto e la sua rilevanza si pongono
in maniera molto diversa rispetto a tutte le tradizioni occidentali.

→ ZWEIGERT e KOTZ propongono quale criterio distintivo delle varie famiglie giuridiche l'idea di stile. Lo
stile è un termine convenzionale che racchiude 5 elementi:

1. L’evoluzione storica: evidente se si guarda agli ordinamenti di common law, frutto di un cammino privo di
interruzioni, in cui il presente puo essere spiegato e capito soltanto attraverso il ricorso alla storia.

2. particolare mentalità giuridica: es. in Inghilterra il diritto ha origine nel foro, ha carattere casistico e i
grandi protagonisti sono i giudici. Sul continente si penso in termini astratti e si individuano istituti giuridici,
mentre in Ing si pensa in termini di controversie e relazioni tra le parti.

3. Istituti giuridici particolari possono essere caratteristici da concorrere ad attribuire un certo stile ad un
sistema.

4. Fonti del diritto e metodi di interpretazione: nelle varie famiglie giuridiche il rapporto tra le fonti varia e
diverse sono le regole di interpretazione. l’esempio classico è quello del diverso valore del diritto
giurisprudenziale nelle famiglie di common law e civil law.

5. Ideologia: intesa come dottrina politico-economica o come credenza religiosa incidente sul diritto è un
altro fattore che impregna di sé lo stile di un dato ordinamento e cio è evidente nel diritto islamico, ed è
stato evidente nell’esperienza giuridica socialista.

Questi propongono una classificazione molto simile a quella di ARMINJON, B. NOLDE e M. WOLFF,
concentrandosi su 4 famiglie, tutte europee, rinunciando all’uso di una categoria residuale e riservandosi di
dedicare brevi sezioni separate al diritto cinese, giapponese, islamico ed indù:

1. famiglia romanistica

2. famiglia germanica

3. famiglia di common law

4. famiglia nordina

→ Ugo MATTEI e MONASTERI sostengono che le classificazioni tradizionali possono considerarsi superate
perché non in grado di cogliere le grandi linee della carta geografica di un mondo mutato profondamente
innanzitutto per il crollo dei regimi socialisti dell'Europa orientale (evento che ha tolto ragion d’essere ad
una delle principali famiglie delle classificazioni tradizionali) e per i successi della medesima ideologia in
Cina, per l'evoluzione del diritto giapponese negli ultimi 30 anni ed infine la presa di coscienza del mondo
islamico riguardo alle proprie peculiarità culturali e giuridiche. La raggiunta indipendenza di tutto il mondo
africano costituisce l’ultimo cambiamento epocale significativo → Alla luce di questi mutamenti è proposta
una classificazione che tiene conto di concezioni del diritto diverse da quelle tipiche dell'occidente; si
propone la seguente classificazione:

1. Famiglia caratterizzata dall'egemonia del diritto come modello di organizzazione sociale (Rule of
Professional Law). È la tradizione giuridica occidentale, in cui la distinzione civil law/common law si pone
come una sottodistinzione all’interno di una famiglia dotata di un tasso notevole di omogeneità; quindi
famiglia caratterizzata da separazione fra diritto e politica e secolarizzazione del diritto, separazione fra
diritto e tradizione religiosa e/o filosofica. Della famiglia fanno parte:

 sistemi di common law

 sistemi di civil law

 sistemi Misti.

2. Famiglia caratterizzata dall'egemonia della politica come modello di organizzazione sociale (Rule of
political Law), che contiene tutti i sistemi in cui non c'è stato divorzio fra diritto e politica, comprende:

 molti paesi ex-socialisti dell'Europa orientale, tranne quelli in cui l’influenza socialista sul substrato di civili
law è stata meno profonda o il riassorbimento nel diritto occidentale è stato completo

 i paesi in via di sviluppo africani e latinoamericani (fra cui Cuba): I proponenti di questa teoria chiamano il
modello in questione “diritto dello sviluppo e della transizione”, vedendo così nella transitorietà un
elemento caratterizzante fino a quando i paesi da collocare in questa famiglia saranno protesi verso un
obiettivo politico al cui raggiungimento il diritto è funzionalizzato

3. Famiglia caratterizzata dall'egemonia della tradizione religiosa o filosofica come modello di


organizzazione sociale (Rule of Tradition), in cui non c'è stato divorzio fra diritto e tradizione religiosa e/o
filosofica che si è avuto in Inghilterra quando i giuristi hanno cominciato a occupare stabilmente la carica di
Lord Chancellor e nella civil law con la Rivoluzione francese. Comprende:

 paesi musulmani

 paesi indù

 paesi dell'estremo oriente a tradizione confuciana, buddista, taoista…

La proposta di Mattei ha un aspetto interessante, ovvero il suo carattere dinamico che risponde bene alle
continue evoluzioni politiche ed economiche delle società contemporanee. Quindi un ordinamento può
muoversi lungo i lati di un ipotetico triangolo, coi i vertici segnati da Tradizione, Politica e Diritto, mano
mano che l’evoluzione politica, economica e sociale lo allontana da una famiglia, questo si accosta ad un
altra. Anche in tale modello di classificazione la famiglia giuridica occidentale finisce per assumere una
notevole centralità, in quanto famiglia caratterizzata dall’egemonia del diritto come modello di
organizzazione sociale. Si tratta di paesi in cui c'è diritto e c'è politica, ma appare prevalente la presenza di
regole strettamente religiose nei sistemi musulmani e di regole tradizionali a matrice filosofica nei sistemi
del lontano oriente. Caratteristiche comuni dei sistemi sono la prevalenza del principio gerarchico su quello
democratico e l'enfasi sui doveri piuttosto che sui diritti. Comunque in questo modello di classificazione la
famiglia giuridica occidentale finisce per assumere una notevole centralità, in quanto famiglia caratterizzata
dall’egemonia del diritto come modello di organizzazione sociale.
2 – LA TRADIZIONE DI CIVIL LAW

Sezione I – LE ORIGINI

1.1 La Formazione storica

Il Diritto, e la sua crisi, nei secoli VI-XI

La tradizione giuridica di civil law ha il suo centro primario in Europa continentale, da qui si è verificato un
notevole fenomeno di migrazione e di recezione. Si può parlare di tradizione giuridica di civil law solo a
partire dalla fine del secolo XI, inizi del XII; vengono istituite le prime università ed è in queste che il diritto
viene riscoperto, insegnato e studiato come scienza, ossia come corpo di conoscenza separato e distinto,
retto da una propria metodologia. Prima del XII secolo, il sistema giuridico si fondava sulle consuetudini,
dato che la caduta dell’Impero romano aveva spinto al declino non solo le istituzioni politiche, ma anche
quelle giuridiche, appunto, il diritto romano. Il diritto “dotto” aveva perso la sua funzione, venendo
progressivamente sostituito da quello volgare, cioè spontaneamente applicato dalle popolazioni e basato
sul principio della personalità del diritto. Il contesto in cui comincia a formarsi la tradizione di civil law si
caratterizza per la sua fisionomia disorganica e per lo stato di arretratezza in cui versa il diritto. Circolano
compilazioni scritte del diritto romani, quali la compilazione giustinianea in Oriente e in Italia, e la Lex
Romana Visigothorum o Breviarium Alaricii in Fra e Spa. In sostanza il diritto perde la sua funzione e la sua
importanza in una società in cui i processi si risolvono mediante il ricorso a un sistema di prove irrazionali e
le sentenze mancano della forza per essere eseguite. Il contesto in cui inizierà a formarsi la tradizione di
civil law si caratterizza quindi per la sua fisionomia disorganica, e lo stato di arretratezza in cui versa il
diritto. Tale contesto è il prodotto anche delle condizioni politiche, economiche e sociali dominanti. A livello
politico manca comunque un’autorità.

Il rinascimento giuridico → rinascimento dello studio del diritto romano

La scienza giuridica rinasce in stretto collegamento con la situazione storica nel suo complesso, infatti il
periodo di rinascimento giuridico si inserisce in un periodo (anno 1000 ca.) caratterizzato da un profondo
rinnovamento in tutti i campi, legato allo sviluppo delle città e dei commerci. In questo nuovo e caotico
contesto solo il diritto si mostra in grado di assicurare l’ordine e la sicurezza di cui il progresso ha bisogno, e
solo il diritto romano, che rifiorisce, sembra possedere tra le sue caratteristiche questi elementi.

Il diritto romano preso in analisi è il diritto del Corpus iuris civilis, voluto da Giustiniano e pubblicato tra il
529 e il 534 d. C., che sostituì tutto il diritto precedente, proibendo ogni riferimento alle autorità
precedenti. Tale Corpus si articola in 4 parti:

1. il Codex, che consiste in una raccolta dei decreti imperiali

2. i Digesta, che consiste in una raccolta delle opinioni di trentanove giureconsulti

3. le Istitutiones che sostituiscono l’analoga opera di Gaio

4. le Novellae, che raccolgono gli atti normativi promulgati tra il 534 e il 565 d. C.

Relativamente al diritto romano, tuttavia, devono essere messe in evidenza alcune riflessioni necessarie per
il prosieguo dello studio del civil law:
 la codificazione giustinianea si propone come una rottura con il passato, dato che tutto il diritto
precedente viene spazzato via

 il giurista di civil law rinasce come interprete di un testo autorevole

 la tradizione del civil law ha nella dottrina il suo fulcro principale, come testimonia, fin dalle origini,
l’attribuzione di forza di legge alle opinioni dei giureconsulti e alle Istitutiones.

Perché il diritto romano?

Nell’Europa del XII sec c’era una gran varietà e molteplicità di fonti normative di assai diversa derivazione:
legislazioni monarchiche, statuti comunali, consuetudini locali e feudali, mentre mancava un forte potere
centralizzato come in Inghilterra.

1) Per superare i vari diritti locali, e per rispondere ai bisogni concreti di una società sempre più mobile ed
aperta, il diritto comincia a essere concepito ed insegnato come un modello di organizzazione sociale, che
indicava ai giudici cosa era necessario fare.

2) Vista la sua ricchezza e raffinatezza, ha prestigio ed è accessibile in quanto scritto in latino, la lingua della
Chiesa ed è conservato in un’unica grande opera. Inoltre, grazie all’opera di Tommaso d’Aquino, si è
liberato del pregiudizio che portava ad essere considerato come il prodotto di un mondo pagano, elemento
questo che rappresentava l’ultimo ostacolo alla sua completa diffusione. Il diritto romano, data la sua
concezione autoritaria e statuaria, ben si sposa con i disegni di predominio della Chiesa anche sul piano
temporale.

3) Il diritto romano è collegato con l’ideologia imperiale, in quanto tende ad esaltare una concezione
volontaristica e legislativa del diritto che è, appunto, utile all’impero. Il diritto romano è quindi valido
perché deriva da una manifestazione di volontà dell’imperatore, è uno strumento della sua volontà ed
autorità. Per le solite ragioni la codificazione giustinianea ben si sposa con i disegni di predominio della
Chiesa anche sul piano temporale e con le aspirazioni degli organismi particolari che si affacciano sulla
scena politica medievale.

Il ruolo e la struttura delle università

Il “Rinascimento giuridico” è legato all’insegnamento che si impartisce nelle università, da quella di


Bologna, a tutte le altre che su quel modello vennero fondate in Europa. L’università, prima di finire sotto il
controllo della Chiesa, era un’istituzione libera e un centro di cultura completamente autonomo,
organizzato nel seguente modo: (1) gli Studenti si riunivano in nazioni sulla base della loro origine etnica e
geografica; (2) poi troviamo la divisione in 2 o piu gruppi, ultramontani e citramotani. Ognuno dei quali era
organizzato come un universitas, un’associazione con personalità giuridica. I vantaggi di unirsi in
corporazioni erano evidenti, infatti l’unione permetteva di contrattare piu efficacemente coi professori e di
dominare l’organizzazione delle scuole. Gli studenti quindi assumevano e pagavano personalmente i
professori. Bologna costituisce l’archetipo dell’istruzione di cultura dominata e controllata dagli studenti,
dove questi, contrattando con le autorità locali, definivano tutti gli aspetti dell’organizzazione universitaria
(es. contenuto dei corsi, calendario delle lezioni). (3) Anche i Professori si riunivano in una propria
associazione ed avevano il diritto di esaminare e ammettere i candidati al dottorato e di imporre le relative
tasse (a Bologna, in particolare, emerse un professore, chiamato Irnerio, attorno al quale si raccolsero
studenti provenienti da ogni parte d’Europa). Finche appunto non arrivò la Chiesa le U erano istituzioni
libere, centri di cultura autonomi; la struttura di Bologna fu esportata dai suoi ex studenti, divenuti dottori,
in tutta l’Europa.

Le scuole di giuristi fiorite nelle università

Le grandi scuole di giuristi hanno contribuito in maniera determinante alla rinascita e alla diffusione del
diritto romano, ciascuna con un metodo e un approccio al diritto ben preciso. A queste si aggiunge anche il
diritto dei mercanti, alle radici della civil law:

1) I Glossatori: la glossa significa “annotazione interlineare o marginale a un testo della tradizione biblica o
giuridica”. I giuristi bolognesi ebbero sempre viva l’idea del diritto come complesso unitario ed armonico, i
principali metodi erano ad esempio: i luoghi paralleli (connessioni tra fonti), le quaestiones (quesiti), i
tractaus (danno ordine ad una det manteria), le summae. Tali opere non erano dirette tanto alla
chiarificazione del testo, quanto all’esegesi (interpretazione critica di un testo) analitica dell’opera stessa
che li portava a considerare i passi del Corpus nei loro rapporti reciproci, in riferimento al complesso del
sistema giuridico, concepivano come un unitario e armonico.

Avevano una concezione autoritaria del diritto romano, che portava al rafforzamento del concetto di diritto
come manifestazione, appunto, di autorità. La novità della glossa connessa con la premesse autoritaria è lo
studio dei testi integri e genuini della codificazione giustinianea e la posizione dei semi della concezione
statualistica delle fonti delle norme positive, ossia il consolidamento e il rafforzamento del carattere del
diritto come manifestazione di autorità. Il culmine dell’opera dei glossatori, ma anche il motivo della crisi
del loro metodo, è costituito dalla Magna Glossa di Accursio, una raccolta di circa 96.000 glosse, che di fatto
sostituisce il Corpus iuris civilis, divenendo esso stesso il fulcro di ogni insegnamento.

2) I Canonisti → Nel panorama medievale spicca l’importanza della Chiesa, istituzione fortemente
gerarchica, organizzazione centralizzata ed efficiente, votata ad una dimensione sovranazionale. In tale
contesto si sviluppa lavoro di riorganizzazione delle fonti canoniche, dei C, ad opera soprattutto di Graziano
da Chiusi che pubblicò la Concordiantia Discordantium Canonum, poi nominato Decretum Magistri Gratiani
(1140 ca.), la prima consolidazione del diritto della Chiesa che costituisce la base del diritto canonico
rimasta in vigore fino al primo Codex Iuris Canonici (1917). Deve essere sottolineato il contributo che il
diritto della Chiesa dette alla costruzione dello ius commune, la cui recezione fu appunto favorita dalla
diffusione del diritto canonico, e alla definizione del processo nella struttura che divenne poi tipica di tutto il
continente europeo. Particolarmente significativo è il contributo dei canonisti alla costruzione del processo.
La definizione delle liti, l’esercizio della giurisdizione era il compito dei pratici, dall’altro era appannaggio del
potere politico in cui era saggio non entrare.

3) I Commentatori → con la scuola dei c l’approccio del diritto romano mutache mutano l’approccio al
diritto romano: a differenza della glossa (consisteva in una semplice chiarificazione dei testi), il commento è
diretto a mettere in luce il sensus, ovvero il principio giuridico racchiuso nel testo, e a richiamare
l’attenzione sulla pratica del diritto. L’impulso creativo risulta accentuato anche e soprattutto perché la
cultura giuridica tende a liberarsi della soggezione alla romanità imperiale. Il rapporto tra diritto romano e
iura propria viene ribaltato, in modo tale che al primo viene attribuito un carattere semplicemente
sussidiario. I commentatori studiano lo jus proprium cercando di coordinarlo e contrapporlo al diritto
romano, che viene considerato come un complesso mirabile di principi giuridici da adattare alle esigenze
che sorgevano dalla trasformazione della vita degli stati particolari come fondamento solido per la
costruzione di un diritto nuovo. Il centro di principale fioritura del commento è infatti la Francia, con le
università di Orleans e di Tolosa soprattutto, caratterizzata da un ordinamento giuridico con vaste aree di
prevalenza del diritto consuetudinario sul diritto romano, e conseguente maggiore indipendenza dei
giuristi.

4) Gli Umanisti → tale scuola dei giuristi culti, espresse la reazione all’appiattimento provocato dalla
communis opinio. Tale scuola sorse in FRA nel XVI secolo (U di Bourges) e si diffonde in tutt’europa, anche
in Sud Africa. Vennero quindi gettate le basi di un sistema romanistico che venne trasformato poi in un
sistema misto dalla più recente sovranità inglese. Il loro obbiettivo è quello di restituire al diritto romano la
sua portata autentica e il suo senso originale, estrarne lo spirito e la filosofia, recuperare le originale
eleganza linguistica. L’importanza di tale scuola sta nell’aver anticipato l’idea della codificazione: dato che il
Corpus iuris era così incrostato di glosse e di interpolazioni che era ormai impensabile il recupero del testo
originale, l’unica soluzione era rappresentata da una nuova codificazione, intesa a disciplinare
organicamente materie determinate.

La Lex Mercatoria consiste in un altro sistema giuridico a parte, appartenente alla comunità dei mercanti.
Nei grandi centri mercantili italiani dell’epoca come Firenze, Venezia o Genova, le corporazioni dei mercanti
gettano le basi per un sistema di diritto commerciale terrestre e marittimo → pratiche, consuetudini… si
tratta quindi di un diritto più aperto alla libertà contrattuale, amministrato da corti speciali secondo
procedure meno costose, meno lente e complicate della procedura romano-canonica. La lex mercatoria
nata come diritto di una comunità particolare, diviene ben presto un diritto commerciale comune a tutta
l’Europa riuscendo a penetrare anche in Inghilterra e a diventare parte della law of the land in ragione delle
esigenze del commercio interno ed internazionale.

1.2. Il Fenomeno della recezione

Nonostante abbia seriamente rischiato di farlo, il diritto romano non è mai rimasto semplice conoscenza
accademica, ma si è saputo calare nella realtà, influenzando profondamente il diritto praticato, si afferma
cosi un diritto positivo. Un avvenimento importante fu il IV Concilio Laterano del 1215 che vietò ai chierici
di prendere parte ai processi in cui si faceva ricorso al soprannaturale (periodo di Tommaso d’Aquino in cui
si affermava rispondenza del diritto romano ai principi di giustizia ed equità propri del Cristianesimo). La
conseguenza fu una nuova procedura, più razionale e complessa, scritta, un ritorno all’idea di diritto.
L’amministrazione della giustizia si tecnicizzò e divenne compito dei giuristi colti, formati nelle U e quindi
sullo studio del diritto romano. In questo modo il diritto insegnato nelle u cominciò ad esercitare una
notevole influenza sulla pratica del diritto. Il diritto romano non è mai stato imposto, quanto piuttosto
recepito come idea. In tale fenomeno di recezione hanno svolto un ruolo più o meno importante
principalmente tre elementi, ovvero le consuetudini (1), la legislazione (2) e la giurisprudenza (3).

Le consuetudini e il loro ruolo nella diffusione del diritto romano

Nel fenomeno della recezione del diritto romano un ruolo fondamentale è stato svolto dalle consuetudini,
la cui difficile affermazione in una realtà socio-economica nuova ha indotto i sovrani a promuovere delle
grandi compilazioni del diritto consuetudinario stesso (es. lo Specchio Sassone e la Siete Partidas, iscritto tra
il 1220 e il 1235). Il diritto per sopravvivere deve essere certo di applicazione territoriale generale,
conforme a giustizia o almeno al concetto di giustizia del tempo. Le consuetudini ad esempio crollano e
possono soltanto sperare di essere raccolte in grandi compilazioni. Se poi le compilazioni cercano di
presentare un sistema giuridico completo, allora i compilatori compiono un’opera creatrice ad
armonizzatrice dei particolarismi locali che di fatto implica il ricorso al diritto romano come ratio scripta.
Questo delle grandi compilazioni delle consuetudini è uno dei fattori decisivi per la vasta recezione del
diritto romano in tutta Europa, compresa la Francia, nonostante che il re di Francia non riconosca autorità a
quel Sacro Romano Impero che tanto ruolo ha nello sviluppo e nella diffusione del diritto romano studiato
nelle università.

Anche nei paesi del nord ( → prevalenza del droit coutumier, diritto consuetudinario) il diritto romano e
canonico valevano come ratio scripta, aveva cioè un ruolo sussidiario e di arricchimento del sistema. Inoltre
nonostante la diffidenza del re verso il diritto romano, la Francia è la sede importante delle scuole del
commercio e degli umanisti, 2 dei movimenti più ricchi per lo studio e la diffusione del diritto romano.

La legislazione e il suo ruolo nella diffusione del diritto romano

La legislazione svolge un ruolo modesto e tocca raramente il diritto privato, si concentra sul pubblico, sul
diritto dell’amministrazione, su quello penale. Ad esempio, il diritto privato esiste indipendentemente dal
sovrano il cui compito si limita a favorire, attraverso l’organizzazione della giustizia, la formulazione di un
diritto non creato da lui. Quindi il diritto romano è la risposta più immediata a più valida per la
regolamentazione dei rapporti privati.

La giurisprudenza e il suo ruolo nella diffusione del diritto romano

Anche la G svolge un ruolo secondario che la recezione la recezione del diritto romano: In Germania
l’influenza del diritto diritto romano fu molto più profonda che altrove e la ragione va ricercata nella
situazione politica creata dalla caduta degli Hohenstaufen, con l’indebolimento del potere imperiale e la
disgregazione dell’impero che favorisce un lungo periodo di frammentazione politica. Dato che in Germania
non erano presenti né sistemi di corti di diritto comune, né fratellanze di giuristi, e dato che mancavano
anche organi centrali amministrativi capaci di gettare le fondamenta di un diritto tedesco, la giurisprudenza
poteva avere una qualche importanza solo a livello locale, non nazionale. Tale mancanza ha così portato
alla naturale e totale romanizzazione del diritto privato tedesco. Della completa romanizzazione sarà prova
la Scuola Storica per la quale il diritto romano sarà considerato parte della civiltà nazionale. Nei paesi latini,
la giurisprudenza è debole, e la recezione pressocchè totale, infatti si può parlare di sclerotizzazione per
eccessivo attaccamento ai post-glossatori. Nell’Europa medievale è presente una giurisprudenza debole che
non è in grado di resistere all’influenza del diritto romano. L’eccezione è la Francia, 1o stato moderno del
Continente, attraverso la giurisprudenza dei suoi Parlements, corti sovrane che partecipano al governo del
Regno e che, ricorrendo al concetto di equità, possono temperare il diritto romano.

1.3. Premesse storiche della codificazione

Il diritto romano esercita una notevole influenza in Germania e nei paesi latini, ma non si sostituisce mai
alle varie fonti locali del diritto e non riesce a sopperire al problema della molteplicità delle fonti giuridiche
che fino al 1789 permangono in misura maggiore o minore anche nell’ambito dei più compatti e moderni
stati nazionali assoluti. Quindi tale periodo, nonostante la fornza di penetrazione del diritto romano, è
caratterizzato da un certo particolarismo giuridico e tutto ciò che ne segue in termini di confusione e
contradditorietà delle norme → tale diritto, infatti, riesce ad affermarsi soltanto laddove non arriva la
giurisprudenza, ovvero a livello nazionale, mentre a livello locale continuano ad avere la meglio le
consuetudini.

Nonostante ci si trovi di fronte al 1o stato moderno sul continente europeo, in Francia troviamo una
situazione di estremo particolarismo giuridico: i paesi del nord (pays de droit coutumier) sono fedeli al
diritto consuetudinario di matrice germanica; mentre quelli del sud (pays de droit ècrit) sono sensibili
all’influenza del diritto romano → il diritto è diverso a seconda dell’ordine cui si applica: un sistema
giuridico per la nobiltà, uno per il clero, uno per il borghese.
Emblematica è la situazione in cui versa il diritto penale, dove vi è assoluta mancanza di principi chiari, dal
fatto che non puniva figure di reato, ma una serie di comportamenti identificati non dalla qualità dell’azione
e dalla natura dell’evento, quanto dalla qualità della persona autrice del reato, del bene danneggiato, della
persona lesa e dalla varietà di pene e sproporzione fra reato e pena. Una tale situazione di incertezza, per
quanto difesa dai valori dell’ancien regime, era fortemente contrastata dalla nascente classe borghese,
bisognosa della certezza del diritto → la situazione francese è emblematica di un panorama di crisi
dell’assetto medievale che un duplice volto, coinvolgendo la tradizione metodologica scientifica e la
situazione politico-sociale medievale.

La scienza giuridica tradizionale che era stata lo strumento fondamentale per l’evoluzione del diritto
comune, risente della crisi del sistema normativo, non c’è più la possibilità di fornire risposte certe e non
riesce più ad adattare l’ordinamento alle mutate circostanze.

Crisi della situazione politico-sociale tipica del medioevo

Nel XVII secolo emerge la tendenza ad una nuova forma di governo → Stato assoluto, accentrato, che tende
a livellare i particolarismi e a mostrarsi insofferente nei confronti degli organismi autonomi e delle
istituzioni politico amministrative, e nei confronti della molteplicità di fonti giuridiche. Obiettivo particolare
della politica assolutistica è la razionalizzazione del sistema giuridico, ovvero il processo di semplificazione
delle fonti normative e l’autoritaria riconduzione allo stato della intera attività di produzione e di
applicazione del diritto. Gli strumenti per raggiungere l’obiettivo sono:

 potenziamento della legislazione

 il controllo dell’amministrazione della giustizia, esercitata per delega del sovrano. In sostanza si toglie ai
giuristi in nome della certezza del diritto! A tale scopo, in Francia vengono pubblicate le famose 3
Ordonnances de D’Aguesseau, ordinanze del cancelliere di Luigi XIV: vengono presentate come opera di
esposizione sistematica di regole preesistenti in materia di testamenti, donazioni, sostituzioni. Queste sono
volte a riorganizzare le fonti in vigore e consolidar il suo potere per impedire, in nome della certezza del
diritto, che i giudici violino il suo comando.

L’esempio tipico della crisi e del mutamento deriva sempre dalla Francia che fin dal XVI sec risulta il 1o stato
in cui emergono:

1 – tendenza a limitare le autonomie e il potere dei nobili

2 – tendenza a costruire uno Stato centralizzato, burocratico ad economia nazionale e con un unico corpo
di leggi per tutto il territorio nazionale

3 – si critica la scienza giuridica medievale formulata dalla scuola degli umanisti e si critica l’idea che il
diritto romano possa essere eterno, ma appartiene ad un ambiente e una fase determinati della civiltà
giuridica che sarebbero ormai finiti

4 – l’esaltazione del diritto come fenomeno imposto a livello nazionale, più aderente e vicino alle
caratteristiche dei popoli e dei luoghi.

In questo contesto si aggiungono da un lato l’affermazione di un ceto potente di giuristi pratici, soprattutto
intorno al Parlamento di Parigi che fin dal XIV sec, è composto da giuristi di professione vicino al sovrano
francese; dall’altro lato si afferma la scuola del diritto naturale, ovvero il giusnaturalismo, che vede il diritto
come una norma umana, sganciata da ogni presupposto oggettivo. Attraverso le opere di Pufendorf,
Thomasio, Domat e Pothier, si muove in nome della fiducia nella ragione umana, all’assalto delle caotiche e
retrograde leggi positive. Un tratto fondamentale è il concetto di soggettivismo, in contrapposizione
all’oggettivismo medievale: fino a Grozio (1583 1645) il diritto naturale è una realtà oggettiva anteriore ed
estranea al soggetto, che riceve da tale realtà le norme del proprio agire, inserite in un ordine universale
esterno all’individuo e non derivanti dal suo intelletto; dopo Grozio, il diritto naturale diventa norma
umana, posta dall’attività del soggetto e sganciata da ogni presupposto oggettivo e manifestantesi nella
ragione. I diritti soggettivi naturali o innati, alla proprietà, alla vita, alla libertà sono al centro della
preoccupazione dei giusnaturalisti e prevalgono sul diritto oggettivo, che deve essere finalizzato alla loro
tutela e garanzia → I connotati fondamentali del giusnaturalismo sono:

 la concezione laica del diritto, che ha per fonte la ragione

 la teoria per cui il sovrano ha un potere illimitato, ed è un legislatore in grado di riformare il diritto
conformemente alla legge della natura

 il ruolo centrale dell’individuo e del principio di uguaglianza fra individui

 la funzione garantista dello stato espressa nell’art 1 della Dichiarazione dei Diritti del 1793 (si preparavano
in sostanza gli schemi ideali della codificazione ispirata a chiarezza, semplicità, uniformità e certezza).

In definitiva il movimento Rivoluzionario del 1789 non consiste solamente nella deflagrazione di un quadro
politico (movimento con alle spalle nuove forze intellettuali, nuovi modi di concepire l’uomo, la società,
l’economia e lo stato). Tali forze intellettuali sono riconducibili:

1. movimento giusnaturalista → accento sulla uguaglianza, diritti naturali e funzione garantista dello stato
2. dottrina della separazione dei poteri → profondo e duraturo senso di diffidenza nei confronti del potere
3. fede nel razionalismo → fede nella capacità della ragione di produrre nuove regole razionali

4. principio liberalistico → centrato sui concetti dominanti di proprietà e contratto e sulla reazione contro la
società dei privilegi

5. principio statualistico → vede stato ed individuo padroni assoluti della scena sociale e giuridica,
all’opposto dei vecchi centri di potere feudali

6. principio nazionalistico → vede nel sistema giuridico l’espressione di idee nazionali e dell’unità della
cultura nazionale.

Sezione II – L’EPOCA DELLE CODIFICAZIONI


2.1 Premessa

Troveremo le grandi codificazione civilistiche che percorrono tutto il XIX secolo, dall’archetipo del modello
francese che riassume i contenuti della rivoluzione, ai codici dei paesi tedeschi, di Prussia e d’Austria, figli
dell’assolutismo illuminato, a quello tedesco del 1900, infine al codice svizzero del 1912.

2.2. Il Code civil des Francais del 1804

Fulcro del diritto civile francese e modello delle codifiazioni privatistiche dei sistemi a base romanistica ed
ha un’importanza significativa. Può definirsi il 1° vero codice dell’età moderna. Nelle codificazioni del XVIII
sec predomina l’intendimento della certezza tipica dell’ideologia dello stato moderno: la riorganizzazione
delle leggi serve al sovrano per consolidare il suo impero ed estendere l’egemonia dello stato assoluto. La
codificazione assume toni paternalistici ed è volta ad impedire che i giudici violino i comandi del sovrano. Il
Code rappresenta una svolta rispetto ai precedenti, non solo perché riformula i rapporti civili, obbedendo a
scelte sistematiche, ma anche perché assume il modello garantistico a guida di una coerente organizzazione
del diritto, segnando così il trionfo dell’ideologia della classe borghese, uscita vittoriosa dalla rivoluzione, e
ne recepisce il programma ideologico. Grazie al dogma della proprietà e quello della volontà, il codice
garantisce la libertà di agire in senso economico (lasseiz faire), come le costituzioni garantiscono le libertà
politiche dei cittadini.

Alle radici del Code

Il Code civil è insieme un simbolo, un’idea, un mito e costituisce il rifiuto del modo di produrre diritto
proprio del droit coutumier. Il codice contribuisce a ridurre la preesistente complessità. Il diritto non
proviene più dal basso, ma si pone dall’alto, assumendo il carattere di diritto nazionale unico, completo ed
esclusivo. Grazie al codice la legge diventa l’unica fonte capace di esprimere la volontà generale, si passa
dal concetto di “droit” a quello di “loi”. La legge diventa ormai l’unica fonte capace di esprimere la volontà
generale e il principe esprime con la legge lo spirito della nazione. La legge si fa dunque strategia e
attraverso il principio della divisione dei poteri, avviene la monopolizzazione del potere legislativo da parte
dello stato borghese → Il code civil tende verso 3 direzioni: unità, completezza, esclusività. Il code non è
soltanto la conseguenza degli eventi rivoluzionari del 1789 e della volontà di Napoleone. Deve essere
considerato come il risultato di vari fattori:

 secoli di storia culminati nella Rivoluzione → intesa in senso non solo storicopolitico, ma anche
intellettuale

 una lunga evoluzione, che è sintesi dell’esperienza germanica (pays de droit contumier) del nord e di
quella romana (pays de droit écrit) del sud

 l’esigenza (presente sin dal 1454 – ordinanza di Montils les Tours) di creare un diritto consuetudinario
comune attraverso la redazione delle consuetudini

 la presenza di un ceto di giuristi potente e rispettato → raccolto intorno al Parlamento di Parigi e vicino al
re

 una dottrina dotata di grande prestigio, che coltivò a lungo l’idea di unità di fondo del diritto francese,
rendendo così possibile l’opera di codificazione.

(1) La Rivoluzione e il droit intermédiaire


La R del 1789 rappresentò un momento di rottura anche con le istituzioni giuridiche prodotto di questa
evoluzione. Tra la prima riunione dell’Assemblea nazionale (1789) e la presa del potere da parte di
Napoleone (1799), in Francia si impose un diritto rivoluzionario, noto con l’espressione di diritto
intermedio, che sovvertì l’ancien regime, sostituendovi la concezione di una società illuminata centrata
sull’individuo (libertà di pensiero, di credo, di attività economica) e sullo stato (che ha il dovere di liberare il
cittadino dai vincoli posti da autorità feudali, ecclesiastiche, familiari al fine di concedere gli stessi diritti a
tutti). Inoltre vennero aboliti

 i rapporti che legavano il re ai nobili, al clero, ai giudici

 la divisione territoriale in province

 il regime fondiario

 l’ordine giudiziario

 il sistema fiscale

 il regime ereditario.

Le istanze della Rivoluzione portarono

 all’affievolimento della patria potestà e alla sua cessazione con il raggiungimento della maggiore età

 alla obbligatorietà del matrimonio civile, inteso come contratto e come tale, suscettibile di essere sciolto a
piacimento dai coniugi

 all’equiparazione tra figli legittimi e naturali

La rivoluzione introdusse i registri dello stato civile, sottraendo alla Chiesa le relative funzioni, e nazionalizzò
i beni ecclesiastici. L’impulso dato alla codificazione che l’Assemblea costituente aveva annoverato fra i suoi
espliciti obiettivi, produsse 3 progetti:

1) primo progetto fu predisposto da Cambacérès (1793), ma fu respinto perché considerato troppo


complesso, in quanto composto da 697 articoli

2) secondo progetto (1794), formato da 297 articoli, fu respinto perché considerato troppo sintetico

3) terzo progetto fu ripresentato da Cambacérès nel 1799.

Le discussioni su di quest’ultimo furono interrotte dalla presa di potere da parte di Napoleone.

(2) L’impulso di Napoleone alla codificazione

Napoleone nominò subito una nuova commissione composta da 4 membri (rappresentanti dei paesi del
nord e del sud), che in soli 4 mesi terminò i lavori. Il progetto, tuttavia, doveva essere approvato da vari
organi, tra i quali il Tribunato che, essendo ostile a Napoleone, respinse il progetto. Comunque una certa
impronta del condottiere sul codice non può essere negata, visibile ad esempio nell’uso di una chiara
terminologia, la portata del non giurista ed in un certo disegno patriarcale della famiglia. Nel 1803, invece,
in seguito al rinnovamento della composizione del Tribunato, il progetto fu approvato senza resistenze, con
36 atti normativi riuniti in una sola legge il 31 marzo del 1804, che entrò in vigore nel gennaio del 1806. Una
certa impronta del condottiero non può essere negata, visibile ad esempio nell’uso di una terminologia
chiara, alla portata del non-giurista ed in un certo disegno patriarcale della famiglia. Tale progetto consiste
in un una “codificazione vera e propria, originale”, poichè riflette 3 condizioni fondamentali:

1) un potere politico deciso a volere la codificazione

2) una scelta favorevole a regole di ampio respiro, a carattere non casistico, non frammentario e non
provvisorio

3) una matura elaborazione di queste regole ad opera della dottrina.

(3) Stile e struttura

Il code è stato redatto in uno stile letterario che ha contribuito in modo decisivo al suo successo e
circolazione → stile semplice ed elegante, in teoria per poter essere compreso anche dal non giurista. Lo
stile utilizzato influenza anche il modo in cui la norma è formulata: essa si colloca a metà strada fra i principi
generali e le regole casistiche. La struttura si compone di 2281 articoli, distribuiti in un titolo introduttivo e 3
libri.

Il Titolo introduttivo, di soli 6 articoli contiene un paio di norme importanti:

1. ART. 4 → dispone il divieto di non liquet (divieto di non giudicare). Il giudice infatti deve sapersi muovere
nelle regole poste dal legislatore, e deve sempre decidere la controversia. Nel codice non troviamo una
specifica indicazione dei criteri che devono essere seguiti nel ricercare la soluzione concreta; viene ritenuto
pacifico che il giudice si avvalga dei canoni e dell’interpretazione letterale, logica, analogica e teologica.

2. ART. 5 → vieta al giudice di disporre in via generale e regolamentare, cioè vieta al giudice in ossequio al
principio di separazione dei poteri, di seguire la prassi sviluppata dei Parlements prerivoluzionari e dal
Parlamento di Parigi. Inoltre tale articolo vieta al giudice di sostituirsi al legislatore emanando regole
generali di condotta e vieta anche di risolvere le controversie sulla base di decisioni precedenti. Si pone il
principio che le sentenze del giudice non possono avere effetti al di là dei casi in cui sono rese.

1° LIBRO → Delle persone. Si segnala l’art. 8, secondo cui il titolare dei diritti civili è tout français, qualsiasi
cittadino francese, elemento questo che sottolinea il forte carattere nazionale della codificazione. L’altra
importante riflessione è quella relativa alla centralità dell’individuo: fra questo e lo Stato non risulta esserci
più posto per gruppi intermedi, eccezion fatta per la famiglia patriarcale.

2° LIBRO → Dei beni e delle differenti modifiche della proprietà. Qui si ruota intorno ai beni, quindi al dogma
della proprietà. Negli articoli 16 17 della Dichiarazione dei Diritti si esprime la filosofia intrisa di
giusnaturalismo e di liberismo, valori cardine della nascente classe borghese vittoriosa sull’ancien regime.
Della entralità della proprietà vi è traccia anche nella previsione di diritti reali in numero chiuso, a fronte
della tendenza alla frammentazione tipica del regime feudale.

3° LIBRO → della libertà contrattuale, quindi dedicato ai diversi modi di acquisto della proprietà. Contiene la
disciplina assai poco omogenea di istituti (donazione, successione …), funzionalmente collegabili dal fatto di
essere diversi modi di acquisto della proprietà. I pilastri del terzo libro sono il dogma della libertà
contrattuale e i 5 articoli relativi alla responsabilità da atto illecito. Al centro del libro è collocato l’altro
pilastro dell’individualismo, della libertà di agire in senso economico: la libertà contrattuale e subito dopo i
4 requisiti necessari per la validità degli accordi. Tale codice puo esser definito come una vera e propria
sintesi fra esperienza giuridica del Nord della Francia a base consuetudinaria e quella romanistica del Sud
(4) Processo di adeguamento del Codice civil

Dalla struttura emerge come il codice sia l’archetipo dei codici borghesi del XIX secolo, riflette la struttura
economica e sociale del suo tempo.

→ Come può dunque sopravvivere un codice entrato in vigore 2 secoli fa? Innanzitutto va detto che il code
può esser considerato un monumento della cultura giuridica francese, e della cultura francese in generale,
qualche tentativo di riforma è stato fatto, ma è sempre fallito. Successivamente si è assistito ad un
fenomeno di decodificazione, ovvero al moltiplicarsi di disposizioni legislative al di fuori del codice. Molti,
invece, sono stati gli interventi fatti per adeguare, che hanno permesso al codice di rimanere, almeno in
parte, al passo con i tempi. Più recentemente si è diffusa l’opinione che alcune parti del codice soffrano più
di altre di immobilismo. Tali interventi sono stati operati:

1) Dal Legislatore. Costui ha modificato il testo in molti settori; è intervenuto in particolare sul diritto di
famiglia, riformato per rispondere alle esigenze prospettate dal nuovo ruolo della donna, e sul diritto dei
contratti, limitato fortemente nella sua autonomia.

La riforma francese accoglie le tendenze manifestatesi a livello europeo e non solo a richiedere nel campo
delle garanzie personali, ma anche nelle garanzie reali mobiliari…

2) Dalla Giurisprudenza. Ha contribuito ad adeguare le norme del Code civil alle nuove esigenze attraverso
un’interpretazione evolutiva favorita dal particolare livello semantico di alcune disposizioni del codice,
come quelle relative alla disciplina dell’illecito civile. Le norme sulla responsabilità extracontrattuale hanno
subito solo modifiche insignificanti, tuttavia, sebbene la facciata del codice sia rimasta quella che era, la
prassi ha operato in modo profondamente diverso relativamente alla disciplina della responsabilità.
Sull’esempio della cultura del common law, troviamo dunque una giurisprudenza “creativa”, che,
sfruttando gli spazi lasciati aperti dal legislatore, ha superato il criterio tradizionale della colpa, estendendo
via via le ipotesi di responsabilità senza colpa al settore degli infortuni sul lavoro, a quello dell’esercizio di
attività pericolose a quello dei danni da prodotto.

3) Dalla Dottrina che ha contribuito in maniera crescente all’adeguamento del codice. Nei primi decenni
successivi alla sua entrata in vigore, la dottrina visse un periodo poco fertile, dominato dalla scuola
dell’exégèse, in cui si limitò ad effettuare, appunto, un’esegesi grammaticale e logica del testo legislativo e
ad ignorare le decisioni giudiziarie. Nonostante i dettami di questa scuola, tuttavia, la realtà era diversa, e
dunque i giudici e la dottrina dovevano comunque provvedere a colmare le lacune che, a prescindere da
quanto veniva dichiarato, erano presenti. Verso la fine del XIX, infine, il quadro mutò: l’esegesi non era più
in grado di fornire ai giudici gli strumenti sufficienti a far evolvere il Code, e dunque si sviluppò una nuova
scuola, quella della libera ricerca scientifica, che favoriva un’interpretazione che tenesse conto delle
esigenze di una società in continua trasformazione.

(5) La diffusione del modello del Code civil

Così come accadde per il diritto romano, anche il Code civil, pur avendo inizialmente conosciuto una
diffusione “ratione auctoritatis”, deve la sua diffusione all’”auctoritate rationis”. Di ciò è la dimostrazione
del fatto che, anche dopo il congresso di Vienna 1815, imitazioni o traduzioni del Code civil restano in
vigore o vengono riadottate in alcuni stati preunitari italiana, nei territori a Ovest del Reno, nel Granducato
di Baden, nei Cantoni di Ginevra e del Giura Bernese. Esempi di tale diffusione sono:
 il Belgio (con modifiche e differenti interpretazioni) ha mantenuto il modello francese anche dopo
l’indipendenza ottenuta nel 1830

 l’Olanda, che ha visto l’affermazione del modello francese fino alla approvazione del nuovo codice civile

 l’Italia (raggiunta l’unificazione politica) ha visto l’affermazione del modello francese e ha basato il proprio
dal 1865

 il Còdigo civil spagnolo del 1889 si basa sul codice francese, ed è tuttora in vigore.

 il Portogallo passa da un codice civile di matrice francese a quello introdotto un secondo dopo, nel 1967,
che però si basa sul codice civile tedesco

 i paesi dell’America Latina sono anch’essi influenzati dal codice napoleonico. Cile ed Argentina, si basano
sul modello francese, ma mantengono una buona dose di originalità. Il Brasile invece guarda alla
pandettistica. i codici di Bolivia del 1830 e del Messico sono mere traduzioni del testo francese

 la Louisiana e il Quebec, (immersi in stati federali → USA e Canada) mantengono forti legami con la
tradizione francese. In entrambe i territori è difficile capire fino a che punto la tradizione francese abbia
saputo resistere all’influenza della common law. Leggi federali, stile, contenuto ed interpretazione delle
leggi statali risentono delle tendenze degli stati vicini e di una certa mentalità diffusa

 l’influenza della tradizione giuridica e del codice francesi sono visibili anche in paesi africani e asiatici oggi
indipendenti.

2.3. L’ Allgemeines Landrecht prussiano del 1794 → ALR

Il XVIII sec si conclude con la Rivoluzione, e porta un nuovo complesso movimento e nuovi modi di
concepire l’uomo, la società, l’economia… Se guardiamo agli Stati tedeschi, la cui caratteristica principale è
la frammentazione, questi portano al fenomeno della codificazione un contributo autonomo, che non
sfocia mai in un fatto politico (come la Rivoluzione).

La 1a esperienza codicistica è quella prussiana l’Allgemeines Landrecht fur die Preussischen Staaten,
denominata ALR del 1794, l’ordinamento territoriale generale che si presenta nei suoi 17.000 articoli in
maniera diversa dal Code civil. Questa si propone di raccogliere ed esporre tutto il diritto (costituzionale –
ecclesiastico – civile – privato) e consiste nel prodotto più genuino del diritto della ragione per il suo scopo
politico di rafforzamento del potere del sovrano, ma anche per un peculiare scopo educativo: è uno spirito
paternalistico che spinge il legislatore ad assumersi il compito del benessere e della felicità dei sudditi
conducendoli verso l’etica. Tale codice pretende di disciplinare non solo la materia civilistica del diritto
privato, ma anche il diritto costituzionale ed ecclesiastico.

Correvano ancora i primi anni del XVIII sec quando Federico II tentò di dare vita ad un progetto di
codificazione che dovette poi abbandonare forzosamente a causa dello scoppio della guerra dei trent’anni.
Si deve così attendere il 1780 perché il cancelliere Von Carmer dia inizio a quel progetto di codice che, dopo
quattordici anni di rielaborazioni, sfocerà nell’ALR (1794), sotto l’Imperatore Federico Guglielmo II.

Il Codice civile prussiano, la cui codificazion è stata definita come diritto naturale prussiano, come la
traduzione prussiana del tardo assolutismo illuminato europeo, è dominato dai principi di chiarezza e
completezza. Tale codice consta di 3 parti:
 l’Introduzione (contenente norme generali di più evidente matrice giusnaturalista)

 Parte I – Diritti Reali → norme sul patrimonio privato: Modi diretti ed indiretti di trasferimento della
proprietà, trasferimento della proprietà mortis causa, manutenzione e perdita della proprietà, proprietà
collettiva, diritti reali e personali sulla cose.

 Parte II – Associazioni: diritti che si fondano sull’appartenenza alla stessa casa, diritti dei diversi ceti, diritti
e doveri dello stato nei confronti dei cittadini.

→ Il fatto è che la separazione del diritto civile dalle altre parti del diritto è il risultato dell’affermarsi
nell’Europa occidentale di una particolare concezione ideologica-politica che si esprime essenzialmente
nella piu grande codificazione borghese, il Code civil.

Invece considerando lo stile dell’ALR, la concisione, la buona formulazione, il buon collegamento, lo


avvicinano assai alle codificazioni moderne. L’intro contiene i riferimenti più evidenti alla matrice
giusnaturalistica. Quindi viene sancita la prevalenza del bene comune sugli interessi individuali; si sancisce il
fatto che i diritti degli uomini sono fondati sulla libertà naturale che ciascuno ha di perseguire il proprio
bene senza ledere il diritto altrui.

Il Codice prussiano ebbe un’influenza molto inferiore ai suoi meriti ed al suo valore intrinseco: l’ALR ebbe
infatti vita breve, in quanto fu sostituito dal BGB, e diffusione modesta, dato che al di fuori dei confini
prussiani era costretto a soccombere di fronte ai ben più solidi modelli francese e austriaco. Infine dato che
l’ALR aveva voluto ridurre la dottrina e la giurisprudenza a semplici guardiani della legge, la scienza giuridica
e in particolare la Scuola storica, lo ricambiò con disprezzo arrogante e più ancora con totale trascuratezza.

2.4. Il Codice civile austriaco del 1811 (L’ Allgemeneins Burgerliches Gesetzbuch fur die deutschen
Erblandedel 1811 → ABGB)

Anche in Austria la codificazione trova le sue origini nel giusnaturalismo razionalista dei sovrani illuminati.
La prima commissione venne incaricata da Maria Teresa d’Austria nel 1753, che impartì l’ordine di tener
conto sia del diritto romano che del diritto della ragione, in modo tale da unificare il soggetto del diritto. Si
tratta di un codice longevo che è ancora oggi in vigore in Austria, anche se in forma parziale. Nacque così,
dopo un primo rifiuto della stessa Maria Teresa e il susseguente incarico di una nuova commissione, il
primo progetto, detto Codex Theresianus: primo progetto monumentale del 1766.

Seguendo il consiglio del Cancelliere von Kaunitz, Maria Teresa respinse quessto primo progetto per
pesantezza ed oscurità e nel 1772 una seconda commissione venne da le nominata dando l’avvio ai lavori,
culminati nel 1786 nel Codice Giuseppino. Obiettivo, poi raggiunto, era quello di curare la brevità,
l’univocità e la semplicità della legge basandosi più sull’equità naturale che sulle complicazioni della
tradizione romanistica.

Con Leopoldo II i lavori continuarono, grazie a Carl Anton von Martini, e portarono al codice omonimo del
1796, promulgato in via sperimentale in Galizia Occidentale, diviso in 3 parti e basato sul materiale raccolto
dalla precedente commissione. Forte dei risultati ottenuti durante la sperimentazione, la presenza di Franz
von Zeiller ed una commissione finale dette vita nel giugno del 1811, dopo ben 3 riesaminazioni, al “Codice
civile generale per i territori ereditari di lingua tedesca”.

→ Si tratta di un codice ovviamente diverso da quello francese, ma ad esso molto legato dal principio di
statalismo e dalla vocazione liberale, nonché dall’ideologia garantista (esposta a partire dal Preambolo)
dove lo stesso Imperatore Francesco I impone il rispetto del nuovo testo. Contribuisce ad aprire le porte al
liberalismo, spicca anche la necessità di superare la molteplicità delle fonti e tradurre sul piano di
legislazione armonica e coerente le prospettive della Francia rivoluzionaria, alimentando le speranze dei
popoli oppressi da dominazioni esterne o interne. Possiamo poi riconoscere una marcata matrice kantiana,
verso forme di governo che assicurano una legislazione comune sancendo l’uguaglianza dei cittadini tra di
loro e nei confronti dello Stato, e nella concezione dell’individuo e dell’autonomia che gli compete.
L’ispirazione garantista unita alla fiducia che la certezza giuridica derivi dalla conoscibilità delle norme, si
manifestano fin dal Preambolo del Codice in cui l’Imperatore Francesco I impone il rispetto del nuovo testo.
È forte il risalto esplicito del giusnaturalismo, infatti si possono evidenziare 4 riferimenti:

1. per colmare le lacune legislative il codice consente il ricorso ai principi del diritto naturale

2. si escludono dal sistema delle fonti le norme consuetudinarie

3. il legislatore riconosce che all’uomo, all’individuo, competono una serie di diritti innati, indipendenti da
contingenze storico-politiche, diritti che l’ordinamento non può vanificare, in quanto bastano le capacità
intellettive per conoscerli

4. il legislatore attribuisce un rilievo assoluto al diritto di proprietà, manifestazione concreta del potere del
cittadino di decidere dei propri beni, di goderli e ricavarne la migliore utilizzazione.

L’ABGB si compone di 1502 articoli, è un codice breve (più breve del Code Civil), chiaro ed intellegibile. La
brevità è causa di lacune, colmate poi da tre Novelle 1914-16, influenzate dal diritto tedesco. Il codice si
articola in 3 parti, anticipate da un’Introduzione:

I – Diritto delle persone; II – Diritti sulle cose (diritti reali come il possesso, privilegi… , diritti personali sulle
cose, contratti speciali, responsabilità extracontrattuale → es: pretendere il risarcimento del danno a causa
di un danneggiamento) e III – Disposizioni comuni (Costituzione, la modificazione, l’estinzione dei diritti e
degli obblighi, prescrizione ed usucapione).

È tuttavia doveroso ricordare che il codice austriaco ABGB è un codice illuminista, quindi dimostra uno
stridente contrasto con la realtà sociale austriaca del 1811:

 Nonostante venga riconosciuta la libertà della persona come diritto innato, fino al 1848 persiste la servitù
della gleba!

 Nonostante venga stabilito il principio per cui i rapporti tra proprietari terrieri sono regolati dalle
disposizioni di legge, sono ancora riscontrabili molti privilegi feudali in tema di caccia, foreste, commercio,
servitù, rapporto proprietari/braccianti.

I cambiamenti si intravedono con l’ondata rivoluzionaria del 1848 che provoca l’abolizione della servitù
della gleba e la diffusione delle idee di libertà di stampa, di impresa, di partecipazione della borghesia alla
vita pubblica. Ma la restaurazione porta anche a passi indietro, specialmente in materia familiare, dove il
matrimonio dei cattolici torna sotto al regime del diritto canonico e le relative controversie ai tribunali
ecclesiastici, e in materia di istruzione, che viene sottomessa al controllo ecclesiastico. Il dopo-codice è
simile a quello della Francia e della Prussia con prevalenza di scuole ispirate all’esegesi (interpretazione
critica) del testo. I primi cambiamenti avvengono dal 1848 con l’apertura tedesca alla ricca dottrina tedesca.
Comunque l’influenza di questo Codice all’estero è veramente minima e si limita al Centro Europa, ai
Balcani ed al Lombardo Veneto, dove resta in vigore fino all’unità d’Italia. Mentre in Ungheria ebbe vigenza
limitata a pochi anni, in Polonia, Cechia e Jugoslavia restò in vigore fino ai codici civili socialisti successivi
alla WWII.

2.5. Codice civile tedesco del 1900: Burgerliches Gesetzbuch → BGB.

Piu volte ci siamo riferiti alla situazione politica e giuridica della Germania medievale, caratterizzata dalla
debolezza del potere imperiale a partire dalla fine degli Hohenstaufen, dalla mancanza di una giustizia regia
forte e di un ceto di giuristi imperiali influente → Fattori che ostacolano la rielaborazione delle consuetudini
e la graduale costruzione di un diritto privato comune tedesco, e favorirono la recezione piena del diritto
romano. Tali caratteristiche le ritroviamo ancora nel 1815, inoltre la Germania, anche all’indomani del
Congresso di Vienna, conserva le sue caratteristiche medievali che ostacolano la rielaborazione delle
consuetudini e la graduale costruzione di un diritto privato tedesco, di conseguenza viene favorita la
recezione piena del diritto romano, che: “offriva un patrimonio di concetti e di strumenti giuridici, con
l’aiuto dei quali anche i problemi più complessi potevano essere affrontati in modo tecnico per discuterli e
spiegarli in modo razionale e farne l’oggetto di un’argomentazione logica” (ZWEIGERT, KOTZ).

Queste successive caratteristiche le ritroviamo ancora nel 1815, all’indomani del Congresso di Vienna:

 il potere imperiale, ancora debole, comporta che la Germania sia ancora divisa in 39 stati sovrani

 il diritto romano costituisce in molti Stati una delle fonti principali, in altri, quasi ovunque, una fonte
sussidiaria

 non esiste una giustizia regia forte, dato la mancanza di una corte superiore con poteri effettivi e
penetranti.

John Merryman aggiunge al diritto romano, al canonico, alla lex mercatoria, alla rivoluzione, una 5a
componente della tradizione di civil law: la scienza giuridica che prepara la codificazione tedesca e nella
codificazione tedesca si fa essa stessa norma.

La scienza giuridica: la Scuola storica e la Pandettistica

Secondo la nuova idea romantica, il vero diritto non è il prodotto di una legislazione nazionale
(illuministica), ma è il diritto consuetudinario, “della storia di un singolo popolo o meglio delle forze latenti
che tale storia hanno determinato e determinano, il diritto espresso attraverso i giuristi che il popolo stesso
ha prodotto”. Questa è la radice della Scuola storica, il cui fondatore, Friedrich Carl von Savigny (1779 -
1861) sosteneva che il diritto, essendo un prodotto incessantemente mutevole della vita sociale, prodotto
dal Volksgeist (spirito del popolo – come la lingua) non potesse essere cristallizzato nella formula di un
codice. È necessario ricordare che Savigny non è animato da sentimenti polulisti o democratici → è un
aristocratico contrario allo spirito egualitario dei codici, alla loro fede nella ragione, alla rottura che essi
sottolineano con la storia. Oltre alle consuetudini, per la Scuola storica assumeva un’importanza
fondamentale il diritto romano, in particolare quello di fonte giustinianea. Tale diritto era visto come
espressione di un mondo spirituale e concettuale superiore, suscettibile di essere adottato come modello
vigente. La scuola storica respinge l’arbitrio del legislatore, non crede alla fissità dei modelli, ed attribuisce
alla consuetudine il ruolo fonte primaria.

Lo sforzo di elaborare un ordine fu compiuto soprattutto dai successori di Savigny, ossia, ad esempio, da
Puchta e da Windscheid, esponenti della nuova Scuola Pandettistica, che aveva come unico obiettivo
“l’elaborazione sistematica e dogmatica del materiale giuridico”. Il giurista tedesco ha quindi il compito non
tanto di creare regole giuridiche, quanto piuttosto di predisporre gli strumenti di conoscenza del diritto, il
concettualismo è base fondamentale della scienza giuridica tedesca e diventa quindi una componente
essenziale, seguiva un metodo:

A) concettuale: identificazione dell’elemento concettuale costitutivo, in presenza del quale le ipotesi da


considerarsi rientrano nella categoria oggetto di definizione e viceversa.

B) dogmatico: i concetti definiti non ammettono eccezioni, ma sono dogmi

C) sistematico: in presenza di più definizioni, la più corretta è quella che si armonizza bene con le altre del
sistema (principio della coerenza).

Il giurista tedesco, dunque, muovendo dal Corpus iuris civilis lacunoso ed oscuro, razionalizza ed esplica i
concetti in esso contenuti e ne deduce le regole pratiche, esprimendosi in un linguaggio scientifico e ricco di
neologismi.

Processo di codificazione – Struttura del BGB

Gia intorno alla metà del XIX sec si manifestano le prime tendenze volte all’unificazione del diritto tedesco
attraverso la codificazione, soltanto con l’unificazione politica nel Reich del 1870 si costituisce il
presupposto politico che conduce la Germania alla codificazione. Dopo un lungo lavoro progettuale di 2
successive commissioni il Codice civile tedesco fu promulgato nel 1896, entrando poi in vigore il 1.1.1900.

Il BGB, composto da 2385 articoli, si suddivide in 5 libri:

1 → la Parte generale contiene i caratteri concettuali comuni dei rapporti giuridici. In questa prima parte
(consacrazione della dottrina pandettistica tedesca) si trovano le norme generali sulle persone fisiche e
sulle persone giuridiche, alcune definizioni di beni e il concetto di negozio giuridico. Il senso è che le norme
comuni a tutte le relazioni giuridiche devono essere fissate una sola volta. I libri da due a cinque, tuttavia,
contengono un numero considerevole di eccezioni a tali regole generali.

2 → il secondo libro, sulle Obbligazioni, concerne i rapporti obbligatori, e pertanto la disciplina dei contratti
e quelle delle obbligazioni nascenti da atto illecito.

3 → il terzo libro è dedicato ai Diritti sui beni e contiene la disciplina dei diritti reali e della proprietà, ancora
solidamente ancorata alla concezione individualistica.

4 → il quarto libro disciplina il Diritto di famiglia, ispirato alla concezioni conservatrice e patriarcale analoga
a quella del Code civil.

5 → il quinto libro regola le Successioni

Filosofia del BGB

Tale codice chiude l’epoca delle vittorie del liberalismo: riflette il dominio della grande borghesia sulla vita
pubblica e del liberalismo sulla vita economica. Il codice è rappresentativo di un mondo in via di
dissoluzione, di una storia gia consumata → È codice fortemente conservatore che non attribuisce alcun
compito sociale al diritto privato si riflette su vari ambiti: dalla struttura patriarcale della famiglia al
rapporto di lavoro ignaro del sindacalismo, dal controllo sociale del privato allo sfavore nei confronti dei
gruppi intermedi. Il BGB aspira a prospettare un sistema chiuso, caratterizzato da:
→ definitività, in quanto la costruzione dogmatica si avvale di concetti immutabili e conclusivi

→ completezza, in quanto si nega che possano esistere lacune

→ esclusività, in quanto l’interprete può riferirsi a precetti diversi dalla legge in casi tassativi.

Questi elementi comportano una drastica identificazione fra diritto e legge, non più intesa in senso
illuministico ma come manifestazione della ragione dello Stato. La valvola di sfogo di questo sistema è
costituita dalle Generalklausen, le clausole generali che sono indirizzate al giudice al fine di vincolarlo al
principio generale lì espresso e di renderlo più libero. Con il rinvio a tali clausole (es. buona fede, buoni
costumi, usi del traffico, giusta causa, sproporzione), il legislatore ha reso la sua opera più adattabile ai
mutamenti e più duratura di quanto avrebbe potuto prevedere. Le clausole generali tuttavia nascondono
un pericolo: nel caso si allenti l’apparato dogmatico, infatti, potrebbe presentarsi il rischio della “fuga nelle
clausole generali”, facile in periodi di dittature o di crisi dello Stato di diritto.

L’evoluzione del diritto tedesco dopo la codificazione

Pur essendo stato il baluardo borghese del XIX secolo piuttosto che il preludio del XX secolo, il BGB, dopo
aver attraversato le più svariati vicissitudini politiche (l’Impero, Weimar, il nazismo, due guerre mondiali, la
costituzione del 49, la DDR, la riunificazione tedesca) è arrivato fino ai giorni nostri. Fino al 1918, fino alla
caduta degli Hohenzollern, è rimasto pressoché intatto, coerentemente alla prassi tipica dei periodi appena
successivi alle codificazioni, ovvero quelli dominati dal positivismo, dalla teoria pura del diritto e dalla
stretta aderenza al testo del codice.

Il periodo della Repubblica di Weimar 1918/20, fino alla nomina di Hitler a Cancelliere nel 33, è stato
caratterizzato da profondi interventi di modifica sia del legislatore che della giurisprudenza. Quest’ultima ha
fatto largo uso delle clausole generali per adeguare il codice alle mutate condizioni economiche e sociali,
mentre il primo ha dovuto mettere mano, da un lato, alla materia del diritto del lavoro, intervenendo a
tutela dei lavoratori, e dall’altro alla disciplina della proprietà privata, passando da una protezione
completa del titolare alla concezione di essa in termini diversi, sintetizzabili in “la proprietà obbliga”.

Dal 1933 con il nazionalsocialismo, un movimento totalitario, razzista e rivoluzionario, tali elementi ebbero
una forte ripercussione sulla sfera giuridica, anche se occorre distinguere tra i propositi giuridici del
nazismo e la loro concreta traduzione in diritto positivo. Il nazismo, infatti, non è riuscito in dodici anni a
distruggere completamente il BGB, che di fatto è uscito vittorioso dagli anni più bui della storia tedesca.
Possiamo comunque individuare quelli che furono gli elementi giuridici più caratteristici del regime nazista:
1. l’espansione dell’ideale secondo cui il diritto non può che essere un mezzo di salvaguardia, di garanzia e
di sviluppo della comunità razziale del popolo

2. la nuova teoria delle fonti del diritto che, mentre da un lato rifiuta la preminenza della legge, dall’altro
riconosce nel Fuhrer quel soggetto che proclama il diritto nascente dalla nuova “fonte primaria”, costituita
dalla razza e dall’appartenenza al popolo tedesco

3. le leggi razziali di Norimberga del 1935, che furono il vero manifesto normativo del movimento nazista.
Leggi quindi sulla cittadinanza, sulla purezza del sangue tedesco, su restrizioni di diritti politici, divieto di
relazioni tra ebrei e non ebrei…

4. la giurisprudenza che, nonostante una latente opposizione, tende ad un atteggiamento di compromesso


con il regime e comincia ad interpretare le clausole generali in chiave fortemente nazionalsocialista. Si
formano tribunali speciali proni al regime e giurisdizioni ordinarie. In generale le giurisdizioni superiori sono
rimaste più rispettose dell’antico diritto.

La Costituzione del 1949 non è estranea all’evoluzione, alla riforma del diritto tedesco, anzi ne costituisce
uno dei principali motivi ispiratori della riforma del diritto tedesco. Due elementi assumono un’importanza
preminente:

1. l’intervento del legislatore è caratterizzato da una forte apertura sociale e da uno spirito egualitario,
liberale e umanitario. Un’importante riforma del 2002 ha sostanzialmente riscritto per intero il libro II,
concernente la materia delle obbligazioni, in modo da tale da dare luce ad un tessuto normativo
maggiormente adeguato ai tempi, che accoglie e riordina varie leggi speciali

2. il ruolo determinante assunto dalla Corte costituzionale federale il cui compito è di vegliare sul rispetto
dei principi principi fondamentali della Costituzione e dei diritti dell’individuo, contribuisce non poco al
ringiovanimento dell’impianto giuridico tedesco.

La diffusione del modello del BGB

La diffusione è stata modesta e limitata nel tempo, eccezion fatta per la pesante influenza che il testo
giuridico tedesco ha avuto in Grecia. Modesta poiché tale codice è ritenuto un prodotto tipico della dottrina
tedesca che nonostante le sue qualità tecniche, si sarebbe difficilmente adattato ad una realtà diversa. Le
zone verso le quali si è esteso vanno dal Brasile al Portogallo, all’Europa centrale e meridionale, all’Estremo
oriente. Questo non deve certo sembrarci strano, dato che durante tutta la dominazione bizantina il diritto
praticato in Grecia è stato quello romanico bizantino. L’attuale codice civile greco, quindi, data la sua
evoluzione storica, la sua sistematicità e il suo contenuto, può essere senza dubbio considerato come
appartenente ai sistemi germanici.

2.6. Il codice civile svizzero del 1912 (Zivilgesetzbuch → ZGB)

Già nel XIV secolo l’attuale Svizzera era autonoma dal Sacro Romano Impero. Già nel XVIII secolo il diritto
elvetico consisteva essenzialmente nelle consuetudini d’origine germanica applicate da giudici laici elettivi.
Quando con le conquiste di Napoleone nel 1798 venne a formarsi uno stato unitario, cominciò a
prospettarsi l’ipotesi di un diritto privato unitario, tuttavia, in seguito al Congresso di Vienna, si creò un
sistema federale in cui ciascun cantone manteneva la propria indipendenza e autonomia. L’ideale
illuministico della codificazione, tuttavia, aveva ormai preso piede e, a prescindere dalle divisioni politiche, i
cantoni svizzeri decisero di introdurre un proprio codice civile. Sorsero però delle divisioni circa il modello
da seguire:

1. nella zona meridionale ed occidentale (Ginevra, Vaud, Ticino) fu seguito il Code civil

2. nella zona centrale (Berna, Lucerna, Argau) fu seguito il modello austriaco

3. nel cantone di Zurigo, tra il 1853 e il 1855, fu promulgato un codice redatto da giuristi locali formati
presso la Scuola storica di Savigny. Modello che influenzerà molto il codice svizzero del 1912.

La Codificazione svizzera
Per quanto la Svizzera tenesse al suo isolamento, intorno alla metà del XIX secolo si cominciò ad avvertire
l’esigenza di rendere unitario il sistema giuridico. Infatti se i codici cantonali avevano in parte contribuito a
modernizzare il diritto elvetico, non contribuivano a risolvere il problema della frammentarietà del diritto,
elemento grave in un’epoca di grandi trasformazioni economiche e sociali. Il cammino verso un codice
unitario si svolse attraverso alcune tappe importanti:

1. nel 1848 la Confederazione raggiunse l’integrazione nazionale

2. nel 1874 entrò in vigore la costituzione federale, con la quale si ampliavano i poteri centrali

3. nel 1881 entrò in vigore una codificazione unitaria del diritto delle obbligazioni

4. nel 1898 una modifica costituzionale estese la potestà legislativa della Federazione a tutto il diritto civile.
Il protagonista assoluto della codificazione svizzera fu Eugen Huber (1849-1922), la cui personalità dominò
tutto il lavoro di preparazione e di redazione. Huber, in seguito ad una ricognizione del diritto civile dei vari
cantoni, nel 1894 fu incaricato di preparare un progetto che nel 1900, subito dopo l’emendamento
costituzionale, era già pronto per essere sottoposto ad una valutazione di esperti e dell’opinione pubblica.
Tale progetto, lo ZGB, fu approvato ed entrò in vigore nel 1912.

Struttura e caratteristiche del ZGB

Lo ZGB, dal momento che rifiuta il modello romanistico ed eccessivamente dotto del BGB, utilizza uno stile
che tende a seguire la lingua comune, ad evitare l’uso eccessivo di termini tecnici e a non ricorrere troppo
spesso ai rinvii tra i vari articoli. Tale Codice, oltre che da una breve introduzione di 10 paragrafi, è
composto da 4 libri (Diritto delle persone, Diritto di famiglia, Diritto delle successioni, Diritti reali), a cui si
aggiunge un quinto, ovvero l’OR, il Diritto delle obbligazioni. Tra le caratteristiche dello ZGB spicca la
“deliberata incompletezza”, in quanto si presuppone che spetti al giudice elaborare la regola da applicare,
seguendo comunque le linee tracciate dal codice. Anche lo ZGB, come il BGB, fa leva su clausole generali,
ma in questo caso il legislatore attribuisce espressamente un ruolo centrale alla giurisprudenza, che è
chiamata a svolgere una decisiva funzione di integrazione del diritto codicistico, ponendo l’accento sul
carattere popolare del diritto svizzero: è evidente una nuova impostazione antidogmatica ed antipositivista
del rapporto tra giudice e legislatore. Il fatto, tuttavia, che tale impostazione non sia stata utilizzata di
frequente mostra sia l’irresistibile declino del diritto consuetudinario, sia la propensione dei giudici di civil
law ad integrare le lacune mediante l’analogia e l’interpretazione estensiva, piuttosto che mediante a libera
ricerca della soluzione più adatta.

Successo e diffusione dello ZGB

la modernità delle soluzioni adottate nel codice svizzero e l’equilibrio con cui Huber seppe seguire una via
intermedia tra il difficile concettualismo del BGB e l’apparente chiarezza del Code civil insieme all’espresso
riconoscimento del potere creativo della giurisprudenza, rientrano tra i meriti intrinseci che contribuiscono
a spiegare il successo dello ZGB e la sua diffusione. Occorre ricordare due dei vari giudizi positivi che sono
stati dati allo ZGB:

1. per Zweigert e Kotz il successo dello ZGB e la sua ampia diffusione sono attribuibili a molteplici fattori: la
modernità delle soluzioni adottate, l’equilibrio tra il difficile concettualismo del BGB e l’apparente chiarezza
del Code civil e il riconoscimento del potere creativo della giurisprudenza. Tali caratteristiche portano i due
autori ad auspicare che lo ZGB possa essere preso a modello per un futuro codice europeo di diritto privato
2. per Wieacker la codificazione svizzera ha il merito di essersi imposta più del BGB all’attenzione degli stati
desiderosi di riforme. Tale successo è misurabile dal fatto che tutti gli ordinamenti nei quali si è proceduto a
codificare dopo l’entrata in vigore dello ZGB ne hanno tenuto conto. Ciò è avvenuto in quei modelli dove
quello svizzero è stato trasfuso direttamente nel testo della codificazione, ma anche in quesi sistemi nei
quali lo strumento codicistico era già noto e conforme ad una tradizione giuridica unitaria, di matrice
romanistica. Un esempio, al riguardo, è dato dalla Turchia, che si è rivolta al modello svizzero quando ha
voluto adottare un codice per modernizzare il proprio diritto durante la rivoluzione culturale guidata da
Ataturk. Il Codice civile turco del 1926, ricalcando lo ZGB, ha portato alla laicizzazione del diritto della
Turchia.

2.7. Le codificazioni italiane → Il Codice del 1865

Dopo la Restaurazione, grossa parte degli Stati preunitari adottarono dei codici civili fortemente ispirati al
Code civil, eccezion fatta per il Lombardo Veneto, a cui venne esteso l’ABGB, e per lo Stato Pontificio e la
Toscana, in cui continuava a vigere il diritto comune. Si tratta di codici tutt’altro che originali, che però
nascevano in conseguenza del bisogno di univocità del diritto e dell’apprezzamento verso l’ideale del Code
Napoleon. All’unificazione politica doveva assolutamente seguire anche l’unificazione legislativa, compito
che non fu molto difficile, in quanto la disciplina giuridica era all’epoca pressoché omogenea in tutto il
Paese e il Code civil rappresentava un valido esempio cui ispirarsi, da un lato, per la sua origine romanistica
e, dall’altro, in quanto riflesso della condizione economica e sociale della nostra penisola, dove la borghesia
cominciava a farsi prepotentemente largo.

L’unificazione italiana era stata possibile proprio grazie all’aiuto dei francesi contro i nemici austriaci, il cui
codice di conseguenza, nonostante il suo valore intrinseco, era visto con diffidenza. Il principio della
proprietà assoluta e la preminenza dell’individuo ben rispondevano alle esigenze della borghesia che anche
in Italia costituiva il fulcro della società; le strutture economiche e sociali corrispondevano in pieno alle
categorie giuridiche centrali all’esperienza del Code civil. Infatti il Code Civil presenta come fulcro centrale il
concetto dell’individualismo. I divieti e gli obblighi che sono stabiliti nel codice, infatti, non sono volti a
soddisfare interessi collettivi, quanto piuttosto a consentire che la libertà dell’uno coesista con quella
dell’altro. Appare doveroso sottolineare alcune caratteristiche del nostro codice che concorrono a
differenziarlo dal testo francese:

 l’art 3 delle preleggi si riferisce ai mezzi tecnici, l’analogia e il ricorso ai principi generali dell’ordinamento
giuridico per colmare le lacune

 l’art 2 apre ai gruppi intermedi → si apre la possibilità di attribuire personalità giuridica anche agli enti
morali

 si afferma il principio secondo cui l’esercizio dei diritti civili viene concesso anche allo straniero, senza
condizioni di reciprocità

 l’art 48 sancisce l’indissolubilità del matrimonio.

Tuttavia il principio cardine rimane l’individualismo. Il Codice civile viene suddiviso in 3 libri:

1. Delle persone

2. Dei beni, della proprietà ed alle sue modificazioni

3. Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose.
Ad ulteriore testimonianza che il codice italiano è sostanzialmente una copia fedele del codice francese
possono essere citate norme chiave: punti in comune in tema di responsabilità di illecito, in temi di dogma
della volontà e nella locazione di opere. È piuttosto comprensibile che non si faccia alcun riferimento al
diritto del lavoro, dato che questo, in un’Italia in cui la rivoluzione industriale è ancora agli albori (1865),
non appare meritevole di un’apposita normativa.

Il Codice del 1942

Il Codice del 1865, pur presentando tutte le caratteristiche di un codice astratto e quindi predisposto alla
longevità, non riesce a sopravvivere alla trasformazione economica e politica che investe l’Italia unificata
negli ultimi anni del XIX secolo. Se in risposta alle nuove necessità economiche del Paese qualcosa riesce a
fare il codice di commercio del 1882, grossi problemi persistono invece sul piano sociale. In sostanza, la
riforma di un codice chiaro, duttile, fatto di principi, nasce come risposta a profonde trasformazioni
economico-sociali, nel momento in cui queste raggiungono un livello di chiarezza e di stabilità. In questo
momento, e grazie a ciò, si cominciò a pensare seriamente ad una riforma del codice.

Nel 1923 il 1° passo fu l’emanazione di una legge che delegava al Governo la riforma, in esecuzione della
quale fu nominata una commissione reale che predispose i progetti preliminari dei primi 3 libri del codice e
parallelamente 1 commissione mista italofrancese si propone di realizzare una legislazione uniforme per i
due paesi in materia di obbligazioni e contratti, senza peraltro ottenere alcun tipo di risultato. I primi due
libri del Codice, rispettivamente “Della Persona e della Famiglia” e “Delle Successioni” furono promulgati
nel 1939 e nel 1940:

 mettono in evidenza un’impostazione tradizionalista dell’istituto familiare, con una larga possibilità di
intervento dello Stato sia sotto il profilo patrimoniale che sotto quello dei rapporti personali

 un’impostazione altrettanto tradizionalista della materia successoria, con discutibili riforme ed


anacronistiche riscoperte.

Gli altri libri sono dedicati alla Proprietà, alle Obbligazioni, al Lavoro e alla Tutela dei diritti. L’elaborazione
di questi ultimi libri fu affrettata e caratterizzata da una certa ansia del fascismo di fare del codice
l’espressione propria, ideologica. In realtà i giuristi che misero a punto il nuovo testo civilistico riuscirono a
resistere a tale pretesa e furono a tal punto accorti che, facendo leva sulla loro esperienza e sulla loro
cultura, riuscirono a conservare quella neutralità che ha permesso al codice stesso di salvarsi nel post-
regime con un lavoro non troppo complesso di disincrostazione degli istituti marcatamente fascisti. Tanto
più che il vero manifesto fascista risultò essere la Carta del Lavoro, un’enfatica ma vuota petizione di
principio, che i giuristi si sono rifiutati di codificare.

→ La maggiore innovazione del nuovo codice civile è rappresentata dall’unificazione del diritto privato, che
ha permesso di estendere in maniera soddisfacente a tutti i rapporti le regole che fin a quel momento
erano esclusive del commercio. Tutta l’attività economica produttiva viene cosi disciplinata in un unico
testo normativo e ne diviene il centro dal punto di vista oggettivo sui concetti di impresa e di azienda. Viene
infine dato risalto al lavoro subordinato che dell’impresa è uno degli elementi determinanti, e socialmente
forse il più rilevante. Alla sua promulgazione il Codice si presenta, oltre che con i già citati due libri, con
quelli:

1. Delle Obbligazioni (il libro IV), il più ampio libro, dedicato al rapporto obbligatorio generale ed alle fonti
di obbligazione
2. Del lavoro (libro V), il più innovativo fra i libri del codice, ma anche quello maggiormente colpito
dall’impostazione del regime

3. Della proprietà (libro III), che, a livello concettuale, risulta essere il più distante dal Code Civil: dato che la
proprietà è ormai percepita in funzione della persecuzione di un interesse pubblico e non più come un
diritto assoluto, si elencano i limiti del proprietario e i suoi obblighi. Tale libro comunque costituisce
insieme con l’impresa e col lavoro, uno dei 3 filoni fondamentali del nostro codice.

4. Della tutela dei diritti (libro VI), disciplina varie materie ed istituti.

Il codice di Napoleone era un’opera grandiosa, in quanto interpretava adeguatamente le idee madri, il
patrimonio ideale della società borghese: ponendo l’accento sulla libertà dell’individuo, l’eguaglianza, la
garanzia assoluta del diritto di proprietà. Il Codice civile del 1942 non rappresenta affatto una svolta
epocale in qualche modo paragonabile a quella del codice napoleonico. Il nostro codice, infatti, nasce in un
periodo in cui le vecchie idee sono ormai superate e quelle nuove non sono ancora mature per essere
codificate, quindi all’alba di una fase storica in cui le trasformazioni economiche e sociali sono troppo
rapide per tramutarsi continuamente in modificazioni di un testo chiuso come questo. Fin dalla sua nascita
il codice ha dovuto fare i conti con quel processo di decodificazione irreversibile che vede come suoi fattori
principali la Costituzione del 1948, la giurisprudenza e la legislazione speciale.

È lo stesso codice del 1942 ad attribuire un ampio rilievo alla legislazione speciale (1), che non si può più
considerare come meramente esplicativa del Codice, quanto piuttosto come portatrice di autonomi principi
regolatori. Rilevante appare fin dall’inizio la legislazione speciale nel campo delle attività economiche: nel
diritto di proprietà agraria, nelle imprese… Il codice quindi è sempre stato lontano dal cuore del processo
economico (continua ad essere il regno della libertà e dell’autonomia dei privati, solo nella microenomia e
nell’attività domestica). L’entrata in vigore della Costituzione ha poi portato nuova linfa alla legislazione
speciale, in quanto le ha attribuito il potere di intervenire per dare effettività a grosse parti del testo
costituzionale, che nel codice non trovavano spazio.

(2) Notevole è stato il ruolo della giurisprudenza: importante è stato il ruolo della Corte costituzionale, che
“applicando le norme della costituzione ai rapporti tra privati, ha realizzato anche nella nostra esperienza
giuridica quella Drittwirkung che costituisce in Germania, uno dei vanti della scienza giuridica”.

1. Quindi la volontà di proteggere in modo più incisivo il bene salute, costituzionalmente garantito, ha
portato al riconoscimento del danno biologico, inteso come lesione dell’integrità psico-fisica in sé per sé
considerata.

2. Successivamente si è arrivato al danno esistenziale, non potendo invocare il danno biologico fuori dai casi
di accertamento da parte del medico legale di una patologia della vittima.

3. Importante è anche la pronuncia con cui le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato il
principio della risarcibilità dei danni che hanno leso interessi legittimi, con la conseguente eliminazione
dell’immunità della pubblica istruzione.

→ naturalmente anche qui in Italia, come negli altri paesi dell’Ue, il codice civile muta ed evolve sotto
l’influenza del diritto dell’Unione, ciò significa che trattati, regolamenti, direttive, sentenze della Corte di
Giustizia che ovviamente entrano in vigore!
Sezione III – LE FONTI DEL DIRITTO

3.1. La nozione di norma giuridica


Il Codice, determinando la fine della vicenda plurisecolare del dottrinato, rappresenta una rottura con il
passato e introduce caratteri fortemente innovatori:

1. col codice si afferma il monopolio del legislatore, che ormai risulta essere circoscritto a uno Stato preciso,
definito e spaziale

2. col codice si afferma la distinzione fra diritto privato e diritto pubblico, che tuttavia, recentemente, ha
perso notevolmente di significato

3. col codice si afferma l’ideale di norma giuridica espresso dalla tradizione di civil law, che per effetto dello
sforzo sistematico della dottrina, viene concepita come regola di condotta dotata di quella generalità che le
consente di situarsi fra le decisioni delle liti, caratterizzate dalla concretezza, e i principi, caratterizzati,
invece, dall’astrattezza.

Tale generalità riconosciuta alla norma giuridica spiega come il compito del giurista di civil law sia solo
quello di interpretare le formule legislative e dunque la sua attività creatrice si svolga in modo
tendenzialmente nascosto. La regola di diritto non può essere concepita allo stesso modo dappertutto, e
infatti, mentre nei paesi di common law la regola è formulata in modo molto preciso (sistema aperto), in
quelli di civil law la regola è sufficientemente ampia da lasciare un certo margine di libertà all’interprete
(sistema chiuso). Nel primo caso si lascia in sistema giuridico tendenzialmente aperto in cui l’interprete
procede per distinzioni; nel secondo si assume un sistema giuridico chiuso, meno prevedibile.

Se il diritto è inteso come costante ricerca di giustizia, dai pochi elementi analizzati sembra potersi
desumere 2 diversi modi di interpretare questa ricerca: nella civil law si cerca la soluzione di giustizia con
una tecnica che ha come punto di partenza la legge, mentre nella common law la si cerca prendendo le
mosse dal caso concreto e dalla decisione giurisprudenziale.

→ Da questo si capisce come il tema delle fonti del diritto sia sempre stato tra i più considerati al fine di
comprendere tra le varie famiglie giuridiche le differenze e le similitudini e, in particolare, tra civil law e
common law. A proposito della configurazione della common law come diritto sostanzialmente
giurisprudenziale in contrapposizione alla civil law come diritto “scritto”, si osserva ormai una certa
convergenza:

 nelle esperienze di civil law la legge non può più considerarsi la sola fonte del diritto, essendo ormai
ampiamente riconosciuto anche il ruolo della giurisprudenza. Nella civil law la regola è concepita in forma
prevalentemente legale e dottrinale.

 il funzionamento della regola del precedente non può più essere considerato come un fattore
determinante per la distinzione tra le due tradizione giuridiche. Mentre le corti di civil law sono ormai
piuttosto attente al valore dei precedenti, quelle di common law hanno sviluppato tecniche che possono
rendere elastico il significato della regola stare decisis. Allora tra un sistema che, pur senza dichiararlo
troppo apertamente, rispetti di fatto le decisioni precedenti, ed un sistema che, pur proclamando di volerle
rispettare in linea di principio, le differenze tendono ad attenuarsi notevolmente.

3.2. Gerarchia delle fonti

L’attuale gerarchia delle fonti si presenta molto più complessa di quanto non faccia intendere, ad esempio,
l’art. 1 delle nostre Preleggi. Un ruolo fondamentale è stato acquisito:
1. Costituzioni e trattati internazionali tendono a prevalere sulla legge

2. Importante è il ruolo della giurisprudenza e della dottrina

3. importante è l’influenza del fenomeno della globalizzazione, in quanto processo di trasferimento dagli
stati ai mercati. La globalizzazione tende a sottrarre allo Stato gran parte del suo potere di produzione del
diritto, quel potere monopolistico che dopo la rivoluzione si esprime nel codice e nella legge. Il nuovo
diritto della g è più vicino alla tradizione sapienzale, orale, colloquiale, incerta, aperta della common law e
soprattutto di quella norndamericana che non a quella giuspositiva scritta, vincolante, completa, coerente
della civil law. Il nuovo diritto si presenta come un diritto non più necessariamente legato allo Stato, la cui
fonte principale, i principi, sono in continuo divenire ad opera della prassi (studi internazionali, ong, camere
arbitrali) e della dottrina (glob).

3.3. Le costituzioni

I paesi appartenenti alla tradizione di civil law presentano tutti, al vertice della gerarchia, costituzioni scritte
alle cui disposizioni si riconosce un prestigio particolare. Tale prestigio si manifesta non so in una speciale
valenza politica della carta costituzionale, ma anche in una sua valenza giuridica, in quanto il precetto
costituzionale diventa il punto di riferimento dell’ordinamento, al quale devono ispirarsi legislatori, giudici,
amministratori e cittadini. Il prestigio, la forza della costituzione si riflette nella previsione di particolari
procedure di revisione e di un controllo di costituzionalità delle leggi. Occorre considerare alcune
osservazioni di carattere generale svolte a proposito della relatività di qualsiasi considerazione degli
ordinamenti giuridici:

 nonostante la presenza di una costituzione scritta sia un tratto caratteristico degli ordinamenti
contemporanei di civil law, non si può affermare che tali documenti manchino nei paesi di common law (es.
Stati Uniti)

 nonostante il diritto privato tedesco appartenga inevitabilmente al sistema germanico, il suo diritto
costituzionale può far parte di un altro sistema, formato Stati Uniti, Italia, Spagna, Austria e, appunto,
Germania, in considerazione del fatto che in questi ordinamenti è previsto un controllo di costituzionalità
delle leggi che, invece, manca in Francia, paese appartenente alla cultura del civil law.

Il controllo di costituzionalità delle leggi

La presenza di un controllo di legittimità delle leggi, ossia di un sistema attraverso cui viene giudicata la
conformità ai principi costituzionali delle leggi ordinarie, rappresenta un elemento caratterizzante di un
ordinamento. Essendo state proposte varie classificazioni, tradizionalmente si individuano 2 grandi modelli
di controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi, diffuso e accentrato, che si sono poi imposti in
numerosi paesi europei ed extraeuropei:

1. il sistema diffuso, detto “americano”, dove il potere di controllo spetta a tutti gli organi giudiziari ordinari
che lo esercitano incidentalmente, ossia in occasione della decisione di una controversia concreta. Il giudice
nella decisione di una causa, disapplica le leggi che ritiene in contrasto con la costituzione e tale decisione,
tranne che in casi particolari, ha efficacia inter partes; se attraverso il sistema di impugnazioni la
controversia e la questione di costituzionalità. Giunge alla corte posta al vertice della giurisdizione, la
decisione di quest’ultima, in un paese di common law, vincolerà tutti i giudici attraverso il principio dello
stare decisis. Il controllo ha carattere concreto poiché si realizza nell’ambito di una vera ed attuale
controversia ed inoltre è di tipo successivo poiché si svolge su una legge che è gia nel pieno del suo vigore.
2. Nel sistema accentrato, detto “austriaco” il potere di controllo è attribuito ad un solo organo giudiziario
appositamente istituito. Tale controllo di costituzionalità viene esercitato in via principale sulla base della
richiesta di organi politici e dunque, non essendo connesso con una controversia concreta, ha efficacia erga
omnes ed ex nunc.

Entrambe i modelli si sono imposti in numerosi paesi. Il sistema Usa si trova in varie ex colonie inglesi,
anche in Norvegia, Danimarca, Svezia si è andato affermando il potere dei tribunali. Sono molte, tuttavia, le
varianti dei sistemi diffuso ed accentrato. L’altro tipo di sistema ha avuto una buona diffusione. Tuttavia in
ogni paese la giustizia costituzionale si è adattata al sistema istituzionale, sociale e politico in cui si è trovata
ad operare ed ormai molte sono le varianti dei sistemi diffuso ed accentrato, le cui particolarità possono
riguardare sia la composizione della corte, sia le sue competenze e il tipo di atti sottoposto al suo controllo,
sia i soggetti legittimati a presentare la questione di costituzionalità, sia l’efficacia della pronuncia del
giudice costituzionale, es.: per l’Italia si è parlato di un sistema ibrido, poiché assomma in sé alcune
caratteristiche di entrambi gli archetipi. Infatti qui il controllo è svolto da una corte ad hoc cui la questione
di legittimità perviene attraverso il filtro del giudice che deve decidere sulla causa.

Se si vuole completare la prospettiva comparatistica e considerare anche un controllo di carattere


tendenzialmente politico, è necessario fare riferimento al caso francese. Sebbene, come detto, in Francia
non sia contemplato un controllo propriamente giudiziario di costituzionalità delle leggi, la costituzione
della V Repubblica (voluta da Charles De Gaulle ed in vigore dal ‘58) ha affidato al Conseil constitutionnel un
potere ad esso assimilabile. Le differenze sono evidenti dato che tale controllo di costituzionalità, soltanto
preventivo, non può sindacare una volta che la legge è entrata in vigore. Tuttavia, a partire dagli anni ’70, il
potere del Conseil è stato ulteriormente ampliato, importante cambiamento culminato nella legge di
riforma costituzionale del luglio 2008 → Tale organo è venuto a proporsi anche come garante dei diritti
fondamentali. L’elemento centrale di questa trasformazione sta nel fatto che il controllo di costituzionalità
ha cominciato a comprendere anche altri testi normativi, cosa che ha permesso al Conseil di superare il
ruolo marginale che gli era stato originariamente riconosciuto. Sono stati toccati 33/89 articoli e riguarda
tutti i poteri dello stato: disposizioni a rinnovare le modalità di esercizio del potere esecutivo; altre
disposizioni sono volte a rivitalizzare il ruolo del parlamento; infine viene introdotto un meccanismo di
controllo di costituzionalità delle leggi a posteriori affidato al conseil constitutionel. Il conseil ha il compito
di verificare la legittimità delle leggi una volta entrate in vigore, su rinvio incidentale. Diversamente dal
nostro ordinamento, solamente la corte di cassazione e il consiglio di stato possono sollevare questione di
costituzionalità, mentre ai giudici minori è opportuno richiedere l’intervento del giudice delle leggi.

3.4 Il diritto dell’Unione europea

L’UE è dotata di proprie istituzioni politiche e giudiziarie e di un preciso quadro di competenze, costituisce
ormai un ordinamento sovranazionale in grado di produrre diritto con effetti negli ordinamenti interni agli
stati membri. Le costituzioni nazionali contengono generalmente clausole europee volte ad autorizzare la
cessione di poteri e di competenze alle istituzioni europee volte ad autorizzare la cessione di poteri e di
competenze alle istituzioni europee. L’art 11 della costituzione italiana è fondamentale. Le fonti del diritto
dell’UE possono suddividersi in primarie e derivate.

→ Sono fonti primarie i trattati istitutivi, dall’entrata in vigore di Lisbona 2009, il Trattato sull’Unione
europea ed il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TUE E TFUE). Tali fonti costituiscono
l’insieme delle norme fondamentali dell’ordinamento dell’unione, individuandone i valori, gli obiettivi e le
politiche essenziali, delimitandone le competenze e fondandone i relativi poteri. Altro punto fondamentale
è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, firmata a Nizza nel dicembre 2000 e modificata a
Strasburgo nel 2007. La Carta di Nizza contiene un ricco ed aggiornato catalogo di diritti fondamentali ed
individua nei principi di dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia il fondamento
costituzionale dell’ordinamento europeo. Con l’art 6 TUE la carta assume stesso valore giuridico di altri
trattati, come fosse parte integrante.

→ Le fonti derivate dell’UE sono invece gli atti delle istituzioni dell’Unione. Indicate nell’art 288 TFUE,
queste si distinguono in fonti vincolanti e non vincolanti (Regolamenti, decisioni e direttive;
raccomandazioni e pareri). Il Regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi,
direttamente applicabile in ciascun stato membro. La Direttiva vincola gli stati membri circa il risultato da
raggiungere, lasciando la discrezionalità agli stessi quanto alla forma e ai mezzi. La Decisione ha
l’obbligatorietà in tutti i suoi elementi e per la sua diretta applicabilità, risulta avere destinatari specifici. I
pareri invece si rivolgono all’istituzione che lo ha richiesto, non vincolando le scelte; la raccomandazione
costituisce un monito rivolto da un’istituzione ad un altra, ad uno stato membro o a determinati soggetti,
affinché si conformino ad un determinato comportamento.

Il richiamo alla Corte di Giustizia ha precisato che i giudici nazionali sono tenuti a prendere in
considerazione le raccomandazioni ai fini della soluzione delle controversie sottoposte al loro giudizio, in
particolare quando esse sono di aiuto nell’interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di
garantire la loro attuazione, o mirano a completare norme comunitarie aventi natura vincolante. Il richiamo
alla giurisprudenza della Corte ci da la possibilità di sottolineare l’importanza di un'altra fonte, non scritta,
ma importante per l’evoluzione del diritto dell’Unione e per la sua interpretazione e applicazione ad opera
delle corti nazionali.

→ Ciò riguarda i principi generali desunti dai trattati o dalle tradizioni comuni agli stati membri ed enunciati
nella giurisprudenza della corte (es: principio della tutela del legittimo affidamento; il principio di non
discriminazione e tutela dei diritti fondamentali). In base sempre all’art 6 TUE i diritti fondamentali,
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e
risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in
quanto principi generali.

L’analisi poi della giurisprudenza della Corte di Giustizia diviene essenziale per comprendere come le fonti
europee interagiscano con le fonti nazionali. La corte, fin dalla sentenza Costa v. Enel del 1964, ha
elaborato una giurisprudenza ormai consolidata, con la quale le norme comunitarie direttamente
applicabili, o atte a produrre effetti diretti negli ordinamenti degli stati membri, prevalgono sulle leggi
interne successive. La dottrina della supremazia del diritto dell’Unione è penetrata nei vari ordinamenti
nazionali, i cui giudici sono arrivati ad affermare il proprio potere di disapplicare le leggi interne contrastanti
con la norma europea che sia direttamente applicabile o produca effetti diretti.

Le corti costituzionali hanno partecipato ad un simile processo di sviluppo con la Corte di giustizia (dialogo
verticale). È sufficiente ricordare la dottrina dei contro-limiti, elaborata dal Tribunale costituzionale federale
tedesco e dalla Corte costituzionale italiana a partire dagli anni’70 per mitigare il principio di supremazia del
diritto dell’unione nel caso vengano in considerazione i principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
Più recentemente troviamo un maggior riscontro da parte delle corti costituzionali allo strumento del rinvio
pregiudiziale, questo consente alla corte di giustizia di pronunciarsi sull’interpretazione dei trattati nonché
sulla validità ed interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni dell’Unione ed apre ad un canale di
comunicazione importante tra giudici nazionali ed europei (La stessa corte costituzionale italiana era in
passato restia ad utilizzare il rinvio pregiudiziale).
3.5 Il diritto internazionale e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Un discorso diverso vale per il diritto internazionale. In det costituzioni si riconosce espressamente un
valore superiore alle leggi ordinarie. La Francia costituisce un caso emblematico (art 55 cost): la Cour de
Cassation, infatti, ha stabilito che i giudici hanno il potere di disapplicare una legge successiva contrastante
con un trattato internazionale regolarmente ratificato. Tale potere consiste non tanto in una forma di
controllo di costituzionalità delle leggi, quanto piuttosto in una tipica funzione attribuita ai giudici, ossia
l’interpretazione delle norme. La questione della collocazione dei trattati internazionali nella gerarchia delle
fonti ha acquisito una notevole importanza con riferimento al rapporto tra diritto comunitario e diritto degli
stati membri dell’Unione europea.

In Italia manca una simile previsione costituzionale, infatti l’adeguamento dell’ordinamento italiano
previsto dall’art 10 opera unicamente per le norme di diritto internazionale. Queste, per la dottrina
dualista, necessitano di uno specifico atto normativo, l’ordine di esecuzione. Seguendo tale impostazione il
CEDU, la Convenzione europea dei diritti umani, si è ritenuto che dovesse assumere nel sistema delle fonti
un rango di legge ordinaria. Il richiamo al rispetto dei “vincoli derivanti dagli obblighi internazionali”
consente di riconoscere alla Convenzione una particolare forza di resistenza. La CEDU diviene un parametro
interposto di costituzionalità, collocandosi nella gerarchia delle fonti tra la Costituzione e la legge. I giudici
comuni pertanto non possono disapplicare la legge interna che ritengano non conforme alla Convenzione.
Come è noto, la Corte di Lussemburgo ha elaborato una giurisprudenza ormai consolidata in base alla quale
le norme comunitarie direttamente applicabili prevalgono sulle leggi interne successive, che devono
dunque essere disapplicate dai giudici.

3.6 Le leggi

Tra le fonti del diritto la legge è quella che la tradizione legata alla Rivoluzione e alle codificazioni colloca al
vertice della gerarchia, dove resta fino all’avvento delle costituzioni. Il codice è di fatto una legge come
tutte le altre e si pone in un rapporto particolare rispetto alla legislazione speciale: questa è tenuta ad
intervenire al fine di disciplinare tutta una serie di nuove esigenze, non contemplate dal codice, dettate
dallo sviluppo economico, sociale e tecnologico → La rapidità con cui questi settori si sviluppano sconsiglia
di mettere mano a nuovi codici, opere fatte di principi che devono essere acquisiti dalla coscienza sociale
prima di poter essere riversati in norme codicistiche. Nonostante l’attivismo del legislatore, il codice tende
a rimanere al centro del sistema, dato che è il codice stesso ad attribuire vita ed organizzazione sistematica
per ogni norma positiva e a risolvere i casi dubbi o nuovi che si presentano nella prassi.

Da un punto di vista strettamente comparativo, può essere interessante notare che unr apporto analogo si
pone negli ordinamenti di common law, fra common law e legge, ogni volta che sia necessario tornare ai
principi non desumibili da quest’ultima.

Possiamo dire (avvalendoci di una proposizione matematica) che: “common law: statutory law = codice:
legge speciale”

Occorre aggiungere che attualmente, anche negli stati dove vige la forma di governo parlamentare, l’attività
legislativa vede sempre più spesso protagonista l’esecutivo piuttosto che l’assemblea legislativa.

3.7 I regolamenti

Il R, e in particolare il R governativo, è la tipica fonte secondaria che nella gerarchia delle fonti si colloca al
di sotto della legge e non può ad essa derogare. Un caso emblematico è dato dalla Francia della V
Repubblica, dove era stato previsto un potere regolamentare che, considerata la situazione francese, non
era sottoposto ad un vero controllo di legittimità costituzionale (PAG 21 → PAG 184). Nel 1959, tuttavia, al
Consiglio di Stato (Conseil d’Etat) fu affidato un potere di controllo sui règlements molto simile a quello
previsto per le corti costituzionali europee.

3.8 Le consuetudini

Il monopolio acquisito dal legislatore sulla produzione normativa ha relegato sullo sfondo la consuetudine,
in una posizione marginale. Tale marginalità è dimostrata dal fatto che in tutti gli ordinamenti, da un lato, è
esclusa la validità della consuetudine contra legem, dall’altro è riconosciuta la sua validità secundum legem.
Relativamente alla validità praeter legem, invece, sono ancora aperte molteplici discussioni.

3.9 L’organizzazione giudiziaria e il ruolo della giurisprudenza

L’organizzazione giudiziaria → Il modello ispiratore dell’organizzazione giudiziaria dei paesi di civil law è
sicuramente quello della Francia rivoluzionaria, che diresse il suo astio in particolar modo nei confronti di:

 Parlements, che, di fatto, avevano anche potere legislativo e soprattutto nei confronti della prassi degli
arrets de reglement

 giudici professionisti, che furono successivamente sostituiti da giudici elettivi

 interpretazione giurisprudenziale della legge, per contrastare la quale fu istituito il Tribunal de cassation,
che aveva il compito di vigilare sulle corti e sul loro rispetto delle leggi.

Passata la ventata rivoluzionaria, il modello si consolida e assumere l’assetto al quale tutt’ora si ispira con la
legge dell’ordinamento giudiziario promulgata da Napoleone nel 1810. Tale assetto prevede i seguenti
elementi: innanzitutto il sistema delle corti è di norma articolato su 3 gradi:

1. prima istanza, articolata a sua volta su due livelli, uno a competenza limitata, l’altro a competenza
generale

2. l’appello, radicato a tal punto che, nonostante le costituzioni moderne non ne facciano alcun riferimento,
è considerato una componente fondamentale del giusto processo

3. la corte suprema, che si atteggia come cassazione o come revisione delle sentenze già emesse dai primi
due gradi.

La 2a caratteristica dell’organizzazione giudiziaria dei paesi di civil law, è data dalla pluralità di giurisdizioni.
Queste corti di ultima istanza difettano di strumenti efficaci di selezione dei ricorsi, caratteristici invece
delle omologhe corti di common law, che riescono così ad evitare l’intasarsi dei loro tribunali.

1. il sistema delle giurisdizioni presenta una rilevante pluralità: a fianco dei tribunali ordinari figurano uno o
più sistemi di giustizia “specializzata” e, come detto, un sistema di giustizia costituzionale (es. le corti
tributarie, le corti del lavoro e le corti sociali in Germania)

2. i giudici sono professionisti reclutati attraverso una selezione burocratica, dotati di forti garanzie e a tal
punto indipendenti da avere veri e propri organi di autogoverno

3. le sentenze sono caratterizzate dall’esistenza di una motivazione e dall’impersonalità della sentenza,


nella quale, infatti, non devono emergere le opinioni concorrenti o dissenzienti dei singoli giudici.
Il Ruolo della giurisprudenza nel sistema delle fonti

La codificazione, segnando il passaggio dal diritto alla legge, definisce il ruolo del giudice come di quello di
operatore di un meccanismo progettato dal legislatore. La giurisprudenza, in questo contesto, non
rappresenta una fonte del diritto, dato che le sentenze non hanno efficacia se non nei casi che decidono. In
realtà, che la g sia funzione non soltanto applicativa ma anche creatrice del diritto rappresenta ormai un
convincimento diffuso, tale da poterlo considerare come un dato di cultura giuridica ormai acquisito.

Il ruolo creativo della g è di grande importanza in particolare nei periodi di stabilità della società e del
diritto, in cui può essere sufficiente l’occasionalità degli interventi del giudice per colmare le lacune del
diritto scritto. Sia i sistemi di civil law sia quelli di common law concordano nella diffidenza verso
un’eccessiva attività creatrice da parte di soggetti, i giudici, privi di legittimazione democratica. Vi sono
situazioni in cui è forte la tentazione di parlare di dottrina del precedente anche nella civil law. I giudici,
infatti, anche per pigrizia mentale, tendono a seguire i loro predecessori e i valori della certezza, della
prevedibilità e dell’uguaglianza richiedono che casi simili siano decisi allo stesso modo. Quindi la
giurisprudenza possiede un’autorità fortemente persuasiva, non poi così lontana da quella delle corti di
common law. È necessario continuare a tener conto di alcune importanti differenze:

1. al metodo induttivo del common law si contrappone quello deduttivo della civil law, secondo il quali il
giudice applica una determinata norma ai fatti della causa in forza di un atto di sussunzione. Ne deriva una
sentenza, quella di civil law, in cui viene attribuito scarsissimo rilievo ai fatti

2. la pluralità di corti supreme, la loro variabile articolazione e il numero dei giudici che le compongono
attribuisce ad esse e alle loro decisioni un’autorità minore di quella che possiede, ad esempio, la Corte
suprema degli Stati Uniti

3. le corti supreme di civil law difettano di quel potere discrezionale che consente alle corti supreme di
common law di decidere poche decine di casi ogni anno, e di concentrarsi quindi soprattutto sul proprio
ruolo nomofilattico

4. l’autorità delle decisioni delle corti supreme di civil law è ulteriormente attenuata dal fatto che i loro
giudici, essendo ormai giunti all’apice della carriera, hanno sviluppato capacità tecniche notevoli di
“applicazione” della norma piuttosto che capacità di emanare pronunce ”policy oriented”.

3.10 Ruolo della dottrina

La dottrina e i dottori hanno avuto un ruolo preponderante nella formazione ed evoluzione della tradizione
di civil law, ed una collocazione privilegiata fra le fonti del diritto, dai giureconsulti romani, poi accolti con
forza normativa nella codificazione giustinianea, agli esponenti delle grandi scuole, che hanno preparato gli
schemi per la codificazione.

→ Tuttavia il codice ha allontanato la dottrina dalla produzione del diritto, ma conserva comunque un suo
ruolo di protagonista della cultura giuridica di civil law che, almeno indirettamente, continua a proporla
come fonte di diritto. Vediamo qualche esempio:

1. la preparazione degli schemi concettuali necessari per un’opera di codificazione è sicuramente compito
della dottrina

2. l’influenza della dottrina, in alcuni casi, è riconosciuta direttamente dal legislatore (es. art. 1 del codice
civile svizzero)
3. critiche diffuse della dottrina nei confronti di una norma giudizialmente prodotta inducono spesso le corti
a riesaminarla. Una decisione che può fondarsi su una dottrina largamente condivisa, infatti, ha maggiori
possibilità di legittimarsi come “precedente” rispetto ad una decisione controcorrente

4. il genere letterario del “commentario”, a cui la dottrina è stata costretta a causa dell’invadenza del
legislatore, costituisce, soprattutto in alcuni ordinamenti, uno strumento di lavoro indispensabile per
qualunque operatore del diritto.

Sezione IV – I SISTEMI GIURIDICI DELL’EUROPA ORIENTALE

4.1 L’Europa orientale: un’area geografica o una famiglia giuridica?


Uno dei fattori distintivi della tradizione di civil law, rispetto alla common law, è la presenza di soluzioni di
continuità del diritto. La rottura col passato è ancor più evidente per i paesi dell’Europa orientale, ciò
dovuto a 3 momenti di frattura importanti:

1. la dissoluzione dei grandi imperi dopo la IGM

2. la sovietizzazione dopo la IIGM

3. il crollo del sistema socialista alla fine degli anni ’80.

Nonostante l’area sia abbastanza eterogenea dal punto di vista culturale, linguistico ed economico, la
comune esperienza socialista introduce alcuni fattori unificanti che inducono a trattare tale area come una
famiglia a sé stante. Durante il regime socialista, nella sistemologia domina la tesi separazionista che
applica una tripartizione della tradizione giuridica occidentale in civili law – common law – socialist law.
Dopo il crollo del muro, del regime, si parla di un ritorno dei paesi ex-socialisti alle loro radici di civil law, ma
l’esperienza precedente ha ovviamente lasciato tracce nei rispettivi sistemi giuridici, ma la diversità dei
modelli recepiti e delle soluzioni elaborat dai singoli paesi non permette più l’omogeneizzazione dell’area.
La scomparsa del diritto socialista in Eu invece di semplificare la tassonomia dei sistemi giuridici, costituisce
una sfida per il concetto tradizionale di classificazione in famiglie. L’Europa orientale attualmente
comprende 23 paesi indipendenti, con, ovviamente, 23 lingue differenti ufficiali. Ciò rende evidenti le
difficoltà che incontra chiunque intenda studiare l’area. La barriera linguistica è un limite considerevole
nonostante alcune lingue abbiano anche affinità morfo-sintattiche e la lingua inglese sia ormai la lingua
usata nelle relazioni internazionali anche per questi paesi.

Quale Europa orientale?

Le espressioni Europa orientale, Europa centro-orientale oppure ex-blocco sovietico vengono adoperate in
maniera erronea. Quindi i paesi est-europei possono essere raggruppati in diversi modi. Pertanto qualsiasi
classificazione generale non può che essere arbitraria e presentare numerose eccezioni. L’esempio più
eclatante per classificare tale vasta area è quello dei paesi baltici, considerati dalla collettività come entità
omogenee, mentre si tratta di 3 paesi con proprie identità ben distinte. Infatti sebbene Estonia e Lettonia
siano accomunate dalla religione (cattolici protestanti; cattolici i lituani), queste hanno lingue di diversa
origine: famiglia ugro-finnica ed indo-europea.

Per definire “Europa orientale” si deve avere presente il confine orientale dell’Europa, costituito
convenzionalmente dalla catena degli Urali. Ne fanno parte anche le 3 repubbliche della Transcaucasica
(Armenia, Azerbaigian e Georgia). Il significato del termine Europa dell’est dipende anche dalla scelta di
adoperare una bipartizione del continente in Est ed Ovest, oppure una quadri-partizione. Nel primo caso
troveremo la Grecia come parte integrante, nel secondo, parte della penisola balcanica apparterrà alla zona
meridionale. La storia e la geopolitica giocano un ruolo fondamentale nella ripartizione dell’Europa.
Pensando al concetto di Europa centrale, nel XIX secolo dai tedeschi è venuto fuori il termine di
mittleeuropa, che comprende l’area di influenza della Prussia e dell’Austria-Ungheria. Tale termine viene
ritirato fuori negli anni ’80… l’utilizzo del termine è fortemente condizionato dalle circostanze storico
politiche. Come si vede l'utilizzo del termine viene fortemente condizionato dalle circostanze storiche e
politiche. → E la Russia? Paese con 146mln di abitanti che rappresenta un vero e proprio mondo a parte, di
cui solo la metà si trova in Europa. La complessa divisione amministrativa del territorio russo rispecchia la
complessità del paese stesso, in cui vivono 160 etnie differenti, raggruppate, se si puo dire cosi, in 21
repubbliche, 46 oblast o province ed in 2 città federali. Riguardo alla tradizione giuridica del paese, si nota
la debolezza della cultura giuridica russa.

Suddivisione interna

Come si possono definire i sistemi est-europei? Innanzitutto i termini Eu orientale, Eu centro-orientale e


blocco sovietico non sono equivalenti. Si parla di Eu orientale o eu dell’Est in senso lato, cioè
onnicomprensiva di tutta l’area della Mittleeuropa fino alla catena degli Urali, oppure in senso stretto, in
contrapposizione all’eu centro-orientale. In questa 2° accezione la definizione di Eu orientale comprende
soltanto i paesi che facevano parte dell’URSS, dal 1922, pertanto non si fanno comprendere i 3 paesi baltici.
Questi fanno parte dell’Eu centro-orientale, la quale, nella sua accezione più ampia, consiste di tutti quei
paesi ex socialisti che facevano parte dell’URSS. L’ex blocco sovietico è quindi un termine restrittivo rispetto
a quello di Europa orientale, in quanto la Jugoslavia e l’Albania non erano membri del Comecon (Consiglio
per la Mutua Assistenza Economica, antagonista della CEE, attuale UE) e del patto di Varsavia, ossia le 2
organizzazioni internazionale che legavano l’URSS ai suoi paesi satellite. Quindi si può affermare che la
maggior parte dei paesi che fanno parte dell’Eu centro-orientale, e non dell’eu orientale, fanno parte
dell’Unione Europea.

4.2 Cenni di storia di diritto

La storia ha prodotto continuamente degli “strati” nel diritto dei paesi. Strato è il termine più adatto a
rendere l’idea della complessità di un sistema giuridico. Si parla anche di un “sustrato”, nel senso di strato
culturale preesistente. Nel caso dell’eu orientale, il sustrato è rappresentato dal sistema giuridico
precedente al periodo socialista al quale si ricollega il diritto attualmente in vigore. Infatti, dopo il crollo del
regime socialista, si vede un generale ritorno a tale sustrato da parte degli est-europei. L'Europa orientale è
quindi eterogenea, occorre comunque fare due distinzioni fondamentali. In primis è importante avere
presente i territori inclusi nel Sacro Romano Impero: la Boemi, la Moravia, la Slovenia ed alcune regioni
polacche. In questi posti il diritto romano penetrò attraverso 3 canali: l'università, la volontà del principe e
le consuetudini. In secondo luogo va considerato il fattore religioso che ci induce a distinguere i paesi
cristiani occidentali, cattolici o protestanti (con diritto canonico cattolico) a differenza dei paesi cristiani
orientali, cioè ortodossi, col diritto delle rispettive Chiese. Quindi si può parlare di territori cristiani
occidentali non facenti parte del Sacro Romano Impero (Lituania, Polonia, Ungheria, Transilvania e Croazia)
dove non si applica il diritto romano. Quindi il diritto romano ha esercitato la sua influenza in tutta l'Europa
occidentale, e le tracce romaniste sono tuttora evidenti.

Le prime codificazioni

Torna utile fermarsi sulla storia delle codificazioni nell’area in quanto questa rivela diverse caratteristiche
del diitto dell’Europa orientale e del suo posto all’interno della tradizione giuridica occidentale. Boemia,
Moravia e Slovenia fino agli inizi del XIX sec hanno fatto parte del Sacro Romano Impero, si è applicato il
codice austriaco. L’Ungheria è stata caratterizzata nel medioevo da un’uniformità delle consuetudini che
acquisiscono uno status di fonte semi-ufficiale del diritto dopo la redazione del celebre Tripartium → una
compilazione ad opera di I.Werboczy.

Riguardo alla diffusione del modello Code civil, si trovano esempi di imposizione e di imitazione volontaria.
Si può dire che ci sono sistemi orientati verso il modello francese (Romania e Bulgaria), sistemi orientati
verso il modello germanico (rep Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria) e sistemi compositi come in Russia
e Polonia. L’epoca delle grandi codificazioni vede attivi anche i paesi dell’Europa orientale che volgono lo
sguardo verso i modelli occidentali. I giuristi esteuropei prestano attenzione maggiore alla dottrina
occidentale, soprattutto all’opera dei Pandettisti. La Pandettistica ha avuto una grande influenza dato che i
giuristi cechi, polacchi ed ungheresi hanno contribuito alla scuola Pandettistica; a differenza della modesta
circolazione del codice tedesco.

Come sappiamo la IIGM rappresenta un evento cruciale, soprattutto con la conseguente spaccatura tra la
parte occidentale e quella orientale del continente, all'origine della terminologia tuttora utilizzata. Il
secondo momento di rottura è rappresentato dalla sovietizzazione avvenuta dopo la IIGM e che ha
allontanato i sistemi giuridici dall’area dalla famiglia di civil law. È opportuno sottolineare le fondamenta
della concezione socialista del diritto che ha dominato per decenni. Il regime socialista innanzitutto, per
l'ideologia marxista-leninista, consiste in una fase transitoria verso la realizzazione del comunismo, una
società senza stato e senza diritto, dove non esistono classi sociali, in perenne lotta. Elemento fondante
dell'ideologia socialista consiste nel principio dell'unitarietà del potere statale: la dottrina marxista-leninista
rifiuta il principio della separazione dei poteri tanto importante per la Francia e per gli Usa ed assoggetta
tutti e 3 i segmenti dell’autorità statale – legislativo, esecutivo e giudiziario – ad un unico organo, il soviet
supremo che è considerato l’unico rappresentante del popolo sovrano. La stessa idea condivisa dalla
Francia e dalla Russia, quella della sovranità popolare (1789 e 1917), si sia tradotta in 2 principi
diametralmente opposti: la separazione dei poteri nella cultura giuridica francese e l’unitarietà del potere
statale nell’ideologia comunista.

Quando si parla di diritto privato socialista, può sembrare una contraddizione se consideriamo la famosa
massima di Lenin secondo cui tutti il diritto è pubblico. Infatti l’ideologia marxista-leninista non riconosce
niente come privato, ma qualsiasi regola concernente l’economia è considerata di carattere pubblico. La
dottrina socialista mirava quindi a sfumare proprio quella peculiarità dell’ordinamento giuridico che
abbiamo definito uno dei tratti caratteristici della struttura del diritto nella tradizione di civil law.

In realtà nel periodo socialista il diritto privato non è scomparso, ma è stato inglobato dal diritto pubblico.
Proprio nel diritto privato si vede in modo evidente la divisione tra Europa centro-orientale e Unione
sovietica. La Russia sovietica, comunista, dopo la vittoria della rivoluzione nel nov 1918 viene formalmente
abrogato tutto il diritto previgente. I giuristi socialisti russi ci tengono ad esaltare l’originalità del nuovo
diritto sovietico rispetto al vecchio imperiale.

Nell’Europa centro orientale invece nessuno dei paesi satelliti dell’Unione Sovietica (pol, cecoslovacchia,
ung, rom, bul) ha seguito pienamente l’esempio sovietico di abrogazione integrale del diritto previgente.

4.3 L'Eredità del sistema socialista – Le peculiarità dei sistemi giuridici est-europei

Si arriva cosi all'ultimo momento di frattura che un'altra volta la continuità del diritto dell'Eu orientale: il
crollo del sistema socialista alla fine degli anni'80. Riemerge quindi la distinzione tra Europa centro-
orientale ed Europa orientale in senso stretto. La fine del regime può essere ricondotta ad un insieme di 3
fattori:

1. l'inefficienza economica

2. la perdita della legittimazione ideologica

3. l'incapacità di fronteggiare i nuovi problemi adeguatamente, dovuta alla mancata flessibilità del sistema
e all'ostilità nei confronti di ogni ideo innovativa.
Nel dettaglio: la Cecoslovacchia era l'unico paese ad aver conservato un passato di democrazia stabile e di
industrializzazione; la Polonia e l'Ungheria hanno attuato una graduale trasformazione. Tale gradualità può
essere spiegata da 2 eventi: la rivolta di Poznan in Pol e la Rivoluzione del 56 in Ungheria che hanno
provocato una graduale liberalizzazione a partire dagli anni'60. La Bulgaria invece non ha mai conosciuto la
democrazia ed era il paese fidato della Russia. Diversa è la situazione in Cecoslovacchia, che ha subito uno
dei regimi socialisti piu rigidi ed ortodossi. Il regime cecoslovacco si è irrigidito dopo la primavera di Praga
del 68.

Qui il 3° momento di frattura è stato il più brusco ed importante. L'URSS è ovviamente la roccaforte del
regime socialista, trasformatasi poi in Comunità degli Stati Indipendenti con membro più importante la
Russia. Stato federale con governo presidenziale. Comunque tutti i paesi socialisti hanno dovuto reagire a
scelte dell'epoca anteriore e di conseguenza affrontare simili problemi. Ad esempio la nazionalizzazione
delle proprietà privata viene smantellata tramite la privatizzazione, al mancato valore normativo della
carta, si pone rimedio introducendo il controllo di costituzionalità delle leggi e il principio
dell'internazionalismo socialista viene sostituito dalla tutela delle minoranze etniche e nazionali. Il fattore
unificante è il punto di partenza.

Tracce del periodo socialista nel diritto dei paesi est-europei

Innanzitutto i tratti più caratteristici del sistema statale socialista, ossia l'economia pianificata e la
politicizzazione della vita sociale e del diritto, sono fattori extragiuridici. Infatti il comunismo nasce come
un'idea economica, elaborata da Marx 1818-1883. le riforme adottate nel periodo di transizione hanno
investito o investono l’economia e la politica, anche se si avvalgono del diritto che in tal modo diventa
principalmente lo strumento e non l’oggetto della riforma. Alcune impostazioni di stampo socialista
sopravvivono alla transizione democratica. Tali tracce si ritrovano in 3 ambiti:

A) in alcuni aspetti formali del diritto e delle istituzioni, si citano 2 esempi tratti dall’ordinamento
ungherese:

 la struttura unicamerale del Parlamento

 nel campo della codificazione privatistica

B) nel diritto sostanziale, due esempi dall’ordinamento polacco

 nella procedura civile …

 nel codice civile

C) nelle cultura giuridica dei giuristi est-europei.

4.4 Le fonti del diritto

Nella tradizione di civil law al vertice della gerarchia delle fonti troviamo la costituzione. Tutti gli ex-socialisti
dispongono di una carta costituzionale che gode di un particolare prestigio. Le varie costituzioni risalgono al
XIX secolo e la prima costituzion scritta europea è stata elaborata in un paese esteuropeo, in Polonia nel
1791.

In Polonia ed Ungheria, la gradualità della transizione da uno stato socialista ad uno stato democratico si
manifesta anche nel fatto che la trasformazione dell'assetto costituzionale inizia ancora prima delle prime
elezioni parlamentari libere. Le riforme costituzionali erano destinate a ribaltare i principi socialisti
contenuti nella costituzione… a parte poche eccezioni, tutti i paesi dell'Europa orientale hanno una
costituzione di stampo democratico-liberale, la cui superiorità nella gerarchia delle fonti è universalmente
riconosciuta dagli attori dell'ordinamento. Quindi tutti i paesi ex-socialisti hanno introdotto un sistema di
controllo di costituzionalità delle leggi. Quasi tutti i paesi dell'Europa dell'est hanno istituito una corte
costituzionale nel periodo della transizione democratica, quindi hanno scelto il modelli accentrato. L'unica
eccezione è l'Estonia, che ha creato una sezione speciale all'interno della Corte suprema ordinaria, col
compito di decidere le questioni di costituzionalità delle leggi. I motivi di tale scelta possono essere il
legame culturale coi paesi nordici e la composizione della corte di ultima istanza estone formata da 19
giudici.

I restanti paesi est-europei che hanno deciso di istituire un organo apposito per il controllo di
costituzionalità delle leggi, hanno guardato a tutte le esperienze occidentali di giustizia costituzionale e le
competenze delle nuove corti costituzionali sono attinte da piu sub-modelli europei (soprattutto tedesco,
spagnolo, portoghese e francese). Tali corti costituzionali sono considerate creature e creatori della
transizione democratica.

Il diritto europeo

Se si parla di fonti del diritto non si può trascurare la posizione del diritto dell'Unione Europea e della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Riguardo all’Unione europea il discorso si riduce a quegli
11 stati che ne sono parte. Rimangono fuori dall’Unione Europea altri 12 stati ex socialisti. Sono membri del
Consiglio Europeo e firmatari del CEDU tutti i paesi est-europei, eccetto la Bielorussia. Inoltre le corti
costituzionali hanno dato un contributo fondamentale alla definizione del rapporto tra diritto dell'Unione e
diritto domestico. La maggior parte delle corti costituzionali dei nuovi stati membri adotta un approccio più
moderato, che permette all'Unione Europea una certa sovranità a condizione che non violi determinati
principi fondamentali.

Le leggi

la legge assume negli ordinamenti dei paesi ex socialisti lo stesso valore che negli altri paesi della tradizione
di civil law. Meritano attenzione i codici. Questo impersona l'ideale di norma giuridica, concepita come
regola di condotta generale e tende a rimanere al centro del sistema. Il codice rappresenta una rottura col
passato. All'inizio del periodo socialista si sussiste ad una ricodificazione del diritto civile. Dopo il crollo del
regime socialista, si apre una nuova stagione di codificazione, e i paesi est-europei compiono un'ampia
opera di modifica nei loro codici. Nell'Unione Sovietica alla vigilia della sua estinzione è stato elaborato un
modello uniforme di riforma dei codici civili, che è servito in base per le repubbliche poi divenute
indipendenti. La lettonia ha ripristinato il suo vecchio codice, idem la Romania. L'Estonia e la Lituania hanno
scelto di elaborare un nuovo testo, il cui codice è entrato in vigore nel 97. Un 3o gruppo di paesi ha
mantenuto i codici adottati nel periodo socialista, adattandoli ai cambiamenti del tempo.

4.5 L'organizzazione giudiziaria e il ruolo della giurisprudenza

Il sistema delle corti si articola su 3 gradi, di origine francese si diffonde in tutta Europa e quella orientale
non rappresenta un’eccezione. Quei paesi dell'Europa centro-orientale che facevano parte dell'Impero
asburgico, ereditano un sistema giudiziario organizzato secondo il modello classico della burocrazia: i
giudici sono funzionari reclutati secondo metodi di selezione burocratica e vanno a formare una struttura
gerarchica in cui la progressione avviene per anzianità o per merito. Durante l'era socialista questa struttura
gerarchica si trasforma in uno strumento di controllo del potere giudiziario. Negli anni '50, prima nell’Urss
poi in tutto il blocco, si introducono le direttive della Corte Suprema: enunciazioni interpretative, emanate
su iniziativa dei giudici inferiori o del Ministro della Giustizia, che vincolano le corti inferiori. Queste corti
comunque seguono il modello (tedesco) di revisione, in cui la corte suprema si presenta come vero e
proprio terzo grado di giudizio e decide il caso nel merito. Eccezioni:

-la Corte suprema ceca → è diventata un ibrido, con la riforma del 91 tra il modello di cassazione e il
modello di revisione.

-Corte di ultima istanza della Romania, che recepisce il modello francese.

Per quanto riguarda il ruolo della giurisprudenza nel sistema delle fonti degli ordinamenti est-europei, si
nota una notevole differenza dai sistemi dell’Europa occidentale. Il discorso puo essere collocato nel piu
ampio contesto di una concezione statica e semplicista del diritto che trascura le fonti non vincolanti, come
puo considerarsi il diritto giurisprudenziale nella tradizione di civli law, sopravvissuta all’era socialista e che
probabilmente andrà diminuendo soltanto con l’arrivo di nuove generazioni. In sostanza i giudici est-
europei tendono a non riconoscere l’eventuale autorità persuasiva di una fonte giurisprudenziale,
dottrinale o di altra natura, ma si limitano a giudicare i casi secondo il diritto positivo ed applicando quindi
le leggi, i decreti e i regolamenti.

Diverso è invece il discorso per le nuove corti costituzionali dell’Europa orientale. Tali corti hanno prima
svolto un ruolo importante nella transizione democratica ed hanno partecipato attivamente
all’elaborazione di nuove norme. I giudici (scelti tra i piu eminenti) rappresentano una nuova cultura
giudiziaria e non si limitano all’applicazione formalista dei testi normativi. Spesso si avvalgono anche di
argomenti extragiuridici, oltre che ai precedenti. La giurisprudenza ordinaria del’Europa orientale porta
ancora il segno di questa eredità e non mancano i contrasti tra la corte costituzionale e l’organo di verticce
della giustizia ordinaria.

4.6 Il ruolo della dottrina

Storicamente la dottrina e i dottori hanno avuto lo stesso ruolo preponderante nella formazione ed
evoluzione del diritto nei territori romanisti dell’Europa orientale che nel resto della tradizione di civil law.
Anche i paesi dell’Europa orientale hanno conosciuto la codificazione, e i codici sono una fonte importante.
È altrettanto valida l’importanza dei commenti dottrinali che “sembrano costituire uno strumento di lavoro
indispensabile per qualunque operatore del diritto” (Sacco).

A distinguere la dottrina Est europea dal resto della tradizione di civil law è invece il diffuso approccio
positivista. Tale idea positivista e formalista del diritto, che domina l’Europa nel XIX sec, si pietrifica in
Europa orientale grazie alla dottrina socialista che non riconosce ai giudici il potere di creare il diritto. La
permanenza di una visione formalista e semplicista del diritto permea anche la formazione dei giuristi nelle
università. In definitiva le dottrine sviluppatesi in Occidente nel periodo della guerra fredda (realismo
giuridico) non sono penetrate in Eu orientale.

“Sembra che il marxismo-leninismo abbia creato uno scarto temporale significante nello sviluppo
intellettuale dell’Europa orientale”

3 – TRADIZIONI DI COMMON LAW


Sezione I – LE ORIGINI

1.1. Common law: significato e natura

Parlando di common law ciò che risalta maggiormente è la particolare figura del giurista che, se risulta
completamente ignota agli ordinamenti africani o orientali, è quantomeno diversa da quella del giurista
continentale: nella common law infatti il giudice, ma in generale il giurista, è un pratico del diritto, mentre
nella civil law è un dotto.

Common law // Civil law

La common law affonda le sue radici nel diritto inglese e comprende numerosissimi ordinamenti a causa del
notevole successo e dell’estesa circolazione del modello. Possiamo sostenere che la circolazione del
modello di common law è di natura principalmente politica, grazie alle campagne imperialiste e coloniali
dei governi britannici che, dall'inizio del XVIIsec, iniziarono ad esportare la CL nelle Americhe, in India, in
Africa e fino all’Oceania.

La penetrazione del modello di CL varia notevolmente a seconda di vari fattori, quali:

 il rapporto istituzionale che si andava instaurando tra la colonia e la madrepatria (si va dal protettorato a
rapporti di integrazione quasi completa, come in Australia o in Nuova Zelanda, prima del riconoscimento
dello stutus di dominion)

 la durata della presenza inglese

 il grado di efficienza e di sviluppo del diritto autoctono.

Oltre alle varie campagne coloniali, il modello di CL ha avuto grande influenza sia sul diritto pubblico che
privato di molti ordinamenti appartenenti in origine a diverse tradizioni a causa del suo prestigio e della sua
efficienza. In questi casi il principale veicolo è stato il diritto americano. Va però sottolineato che tra i vari
ordinamenti della famiglia di CL vi possono essere importanti differenze, basti pensare alle due principali
esperienze di questa famiglia: Inghilterra e Stati Uniti. Ad oggi, l'ordinamento americano deve essere
studiato in maniera autonoma poiché dista notevolmente rispetto alla madrepatria, per esempio nella
presenza di una costituzione scritta e rigida che pone una forma di stato federale.

Nonostante le varie differenze, è possibile comunque riscontrare elementi di continuità che conferiscono
alla famiglia di common law una certa omogeneità. Come dimostra il Calvin's case - secondo cui i popoli di
origine inglese portano con sé il proprio diritto in quei territori ove non è in vigore un sistema civilizzato -
raramente si verifica una frattura netta tra il periodo precoloniale e quello successivo.

Un importante fattore che hanno garantito questa omogeneità è il Privy Council, ovvero una corte suprema
per il Commonwealth dotata di autorità persuasiva per molti paesi. Il PC, che ormai ha perso molta della
sua autorità, ha avuto un certo rilievo a livello storico se si considera che nel periodo coloniale rivestiva il
ruolo di judical rewiew (controllo di legittimità, sulla legislazione delle colonie per assicurarne conformità
con il diritto della madrepatria).

Tra gli altri fattori che rendono questi ordinamenti abbastanza omogenei ricordiamo:

 La natura giurisprudenziale degli ordinamenti di Common law, ovvero il loro carattere di sistemi aperti. Si
pensi alla discrezionalità del giudice nella ricerca nella regola del diritto concretamente applicabile in casi
nuovi o dubbi e, in questi casi, di tener contro di precedenti decisioni su fattispecie analoghe pronunciate
da corti superiori di altri paesi nell'area di common law.

Inoltre, va sempre considerato che i pesi di CL sono accomunati dall’assenza di codificazione a carattere
nazionale, simile a quelle conosciute sul continente europeo a partire dal Code Civil.

 La comunanza linguistica, che favorisce l’omogeneità e la completa interscambiabilità di categorie e


concetti giuridici. Da questa comunanza linguista deriva la mobilità degli accademici che spinge verso una
dottrinza tendenzialmente unica.

Il binomio common law//civil law ha costituito la base di partenza per i primi studi comparatistici, che
originariamente tendevano a porre in risalto le diversità tra le due grandi famglie della tradizione giuridica
occidentale. quest diversità si misuravano su:

 il valore del precedente

 sul potre di law- making del giudice

 sul diverso ruolo della dottrina

 sull'assenza di codici

 sulla scarsa penetrazione del diritto romano nei paesi della CL.

Studi più recenti, invece, si sono soffermati a capire quanto incidessero queste differenze e a quale livello si
collocavano, per arrivare alla conclusione che "l'espressione CL può essere utilizzata per descrivere una
cultura giuridica, una particolare attitudine verso il diritto e il modo di risolvere problemi legali"

Common law // Equity

Il rapporto tra common law ed equity rappresenta una contrapposizione storica, interna allo stesso diritto
inglese.

 Da una parte abbiamo la CL, ovvero un diritto elaborato dalla giurisprudenza delle corti di
Westminster a partire dal 1066
 Dall’altra l'equity, ossia un diritto d’origine giurisprudenziale, sviluppato dalla corte di cancelleria fin
dal XIVsec e caratterizzato da rimedi processuali estranei al rigore della common law. Tale
dicotomia svolge un ruolo fondamentale nella storia delle istituzioni inglesi e i due rami del diritto
sono stati amministrati da corti diverse fin da metà XIXsec.

Common law // Statute law

La contrapposizione tra CL e Statue Law trove le sue radici nella diversa fonte di produzione della regola
giuridica.

 Common law: risulta essere di produzione giurisprudenziale (comprensivo di CL in senso stretto ed


equity), regole create oppure scoperte, quindi secondo la tradizionale concezione dichiarativa, da
corti superiori come frutto incidentale della soluzione di controversia concreta tra individui.
 Statute law: di creazione legislativa. Gli Stautes (o Acts) sono le leggi del Parlamento. Viene
elaborato dai legislatori.
Il contrasto fra questi due diritti ha assunto un significato solo recentemente, dato che in passato era
sostituito da quello tra common law (ovvero un qualcosa di comune a tutti gli uomini di Inghilterra, che
ricadevano sotto la giurisdizione diretta dei tribunali centrali reali) e consuetudini locali.

Il diritto inglese

La common law affonda dunque le sue radici nel diritto inglese. Ma che cosa deve intendersi per diritto
inglese? E' il diritto del regno d'Inghilterra, del quale, fanno parte anche Galles e l’isola di Wight. Diverso è il
caso della Scozia, la quale ha conservato il proprio ordinamento giuridict, diverso da quello inglese, anceh
dopo l'Union with Scotland Act del 1707. Questo spiega il motivo per cui è sbagliato parlare di "diritto
britannico". Il diritto inglese non è nemmeno quello del Regno Unito, formato da Inghilterra, Scozia, Irlanda
del Nord e costituisce uno stato che ha trovato nel Parlamento di Westminster, sino ala devolution del
1998, l’autorità politica nazionale. La devolution è un meccanismo che ha comportato lo spostamento di
una significativa porzione di poteri normativi ad alcune aree geografiche aventi particolari caratteristiche
(Scozia, Irlanda del Nord, Galles). Dal diritto inglese resta anche escluso il diritto dell'isola di Man e delle
isole della Manica, le quali sono dipendenze della Corona, ma non fanno parte del Regno Unito pur essedo
costituzionalmente soggette alla sovranità del suo Parlamento.

1.2. Le origini della common law e affermazione delle corti centrali di Westminster

La CL è un caso esemplare di ordinamento giuridico come risultato della sua storia, infatti, il diritto inglese
consiste nelle tecniche e nella giurisprudenza accumulatesi dal XII secolo ad oggi. Il punto di partenza è la
conquista normanna del 1066, quando Guglielmo di Normandia sconfisse Hastings, l'ultimo sovrano
sassone e al protofeudalesimo barbarico si sostituirono le più elaborate strutture feudali normanne e le
razionali istituzioni pubbliche.

Struttura unitaria della monarchia normanna.

La struttura feudale introdotta dai sovrani normanni ricorda la figura della piramide.

 Al vertice troviamo la persona del Re.

 Vi sono poi i Lords, legati al Sovrano sia per quanto riguarda il godimento dei fondi che per quanto
riguarda il profilo politico-militare

 Ed i Sub-tenants, legati ai Lords per il godimento dei fondi, ma al Re per il profilo politico-militare.

In questo modo il vertice della piramide riesce a controllare tutti i suoi vassalli e, evitando di incorrere nella
feudalizzazione delle funzioni pubbliche, non si separa dai sudditi. Fin dall’inizio notiamo una precoce
mentalità burocratica, che si manifesta in tutta la sua forza con la redazione del Domesday Book, un vero e
proprio libro del catasto in cui non solo vengono censite le proprietà, ma viene determinata anche
l’appartenenza dei beni in funzione dell’individuazione delle classi sociali. Tale censimento si manifestò poi
utilissimo a fini fiscali, giudiziari, di polizia, militari ed amministrativi.

La centralizzazione delle corti.


La struttura precocemente unitaria dello Stato si palesa anche nell'amministrazione della giustizia e nella
sua organizzazione. La CL non è altro che il prodotto giuridico di un capolavoro amministrativo che si
traduce nella formazione di un nuovo diritto comune a tutto il regno. destinato a sostituirsi alle
consuetudini locali, al contrario della società medioevale del continente europeo, caratterizzata dalla
coopresenza di diversi ordini giuridici. La CL da diritto regio ben presto si affrancò dal sovrano stesso,
assumendo caratteristiche di imparzialità che gli consentirono di sopravvivere a gravissime crisi civili e
politiche, arrivando immutato sino ai giorni nostri. Tale politica centralizzatrice permise all’Inghilterra di
differenziarsi dal continente ottenendo, già nei primi secoli del secondo millennio, un diritto uniforme.
Questo processo di accentramento regio della giurisdizione si compie su tre piani: l'affermazione delle corti
regie, la giustizia itinerante, il sistema dei writs.

(1) Le corti regie di Westminster

L’origine della common law è individuabile nella curia regis, luogo in cui il Re, coadiuvato dai grandi vassalli
e dagli alti funzionari, presiede alla direzione dello Stato e all'amministrazione della giustizia. La curia regis,
pur essendo un organo centrale, non è statica, nel senso che questa può operare senza la presenza del re e
talvola lontana dal luogo della sua corte. La peculiarità della curia regis è che la competenza del Re in
materia i giustizia è limitata in quanto la maggior parte dei compiti di amministrazione sono delegati ai
feudatari nell'abito del sstema di governo del territorio loro attribuito. Non per niente, alla curia regis si
ricorre anche:

 nei casi di violazione della pace del regno

 nei casi nei quali le corti locali non siano riuscite a rendere giustizia.

Con il passare degli anni, all’interno della curia regis si specializzano 3 organismi: l'Exchequer, il Common
Pleas ed il King's Bench, prima con il carattere di commissioni della curia e poi con quello di vere e proprie
corti, autonome detentrici della funzione giurisdizionale. Queste corti (Corti del Westminster) costituiscono
le "corti del CL" dal momento che è merito loro l'elaborazione in senso unitario del confuso materiale
normativo consuetudinario.

Exchequer: Si tratta di una sezione con compiti prevalentemente contabili, consistenti nell’amministrazione
del tesoro reale e nella raccolta delle entrate. Diventano completamente indipendenti alla fine del XIII
secolo con la formzion da un lato di un organismo con funzioni contabili ed amministrative (l'Exchequer of
Account and Receipt), e dall'altro Tale commissione è titolare di una giurisdizione principalmente fiscale,
ma è in grado di intervenire anche nei rapporti fra i privati, attraverso una serie di finzioni, qualora questo
comporti un tornaconto: è infatti possibile che l’erario tragga giovamento dall’adempimento di una
obbligazione tra privati se il creditore risulta a sua volta debitore nei confronti del Regno.

Court of common pleas: si tratta della corte che, essendo competente a conoscere le liti tra i commoners, si
occupa delle udienze comuni. Tale corte viene a costituire uno stabile organo giudiziario in grado di
svolgere un’attività processuale quantitativamente rilevante, ruolo che la rende padrona dell’elaborazione
della maggior parte della materia civilistica.

King’s Bench: si tratta della Corte del Banco del Re che, essendo presieduta da lui stesso, lo segue nelle sue
peregrinazioni. Nonostante questo forte legame con il Re, tuttavia, tale corte afferma ben presto la sua
indipendenza. Ha sede nel Westminster e estende la sua competenza ai casi in cui il re è direttamente
coinvolto come organo sovrano:
1. cause penali: la corte giudica dei reati definibili come reati di ordine pubblico, ovvero contra pacem
Domini Regis, coronam et dignitatem suam. In primo grado opera nel tempo e nello spazio ove si trova,
mentre in secondo grado è titolare della supervisione su tutti i tribunali penali

2. cause civili: la corte è competente a decidere riguardo ai casi di trespass, ovvero di illecita e violenta
invasione nella sfera giuridica personale o patrimoniale di un soggetto. In generale comunque detiene
anche una funzione di controllo nei confronti delle altre corti inferiori per mezzo dei prerogative writs.

(2) Le corti speciali

Accanto alla giurisdizione ordinaria si vanno affermando anche importanti tribunali dotati di giurisdizione
speciale, che sviluppano un diritto di derivazione romano canonica:

 corti ecclesiastiche: fu Guglielmo I che, in cambio del supporto datogli dalla Chiesa romana durante la sua
campagna militare, volle conferire piena esclusività alla giurisdizione ecclesiastica in materie quali quella
matrimoniale, testamentaria ed eretica. Nel corso del tempo, tuttavia, nonostante questa alleanza, non
mancarono motivi di conflitto tra le corti ecclesiastiche e il diritto inglese

 corti mercantili: corti fondate sulla lex mercatoria

 corti marittime: corti che applicano un diritto fondato in larga parte sullo ius gentium.

(3) La giustizia itinerante

Al declino delle corti locali contribuisce in maniera particolare l’istituzione della giustizia itinerante: non si
creano corti in provincia, ma vi si trasferisce direttamente la giurisdizione centrale. La concreta eliminazione
della giustizia locale ha però luogo solo con l’assise del 1176, con la quale viene sospesa l’autorità delle
giurisdizioni locali.

1.3 Il sistema dei writs

A partire dagli inizi del XII secolo, la Corte regia inizia gradualmente a sostituirsi alle varie corti locali che,
pur non venendo abolite, cadono in desuetudine. Le ragioni del successo delle corti reali, che assorbono
non solo la giustizia penale, ma anche quella civile, sono principalmente due:

 le corti reali si servono di alcune finzioni giuridiche, come, ad esempio, il concetto di violazione della pace
del regno, per attrarre nella propria giurisdizione le cause più varie

 le corti reali concedono in esclusiva rimedi più efficaci, sconosciuti alle corti locali. Le corti reali si mettono
in concorrenza con le autorità locali e riescono a prevalere in quanto sono in grado di offrire un prodotto
migliore, ossia una giustizia più efficace, sia sul piano sostanziale (es. nuove forme di tutela, ovvero nuovi
writs) sia su quello processuale (es. processo più rapido e razionale a cui prende parte anche la giuria).

La forte centralizzazione dell’amministrazione del giustizia presso le corti regie ha avuto importanti riflessi
sulla formazione del diritto inglese, in quanto:

1. ha favorito lo sviluppo e l’espansione della common law

2. ha favorito la formazione di uno stato unitario


3. ha ostacolato la penetrazione del diritto romano comune. L’amministrazione centralizzata della giustizia
ha tuttavia contribuito a creare un sistema fortemente carente a livello locale, almeno fino all’introduzione
delle county courts nel 1846.

Il funzionamento del sistema dei writs

Uno dei mezzi tecnici con cui opera la giustizia regia, talmente importante da permettere che essa si
intrometta nella giustizia locale, è rappresentato dai writs. Il writ (o breve) è un ordine del sovrano, ovvero
uno strumento autoritario volto a sottrarre la trattazione di una causa alle corti locali. Presupposto al suo
utilizzo, a meno che non si tratti di una causa di diretto interesse della Corona, è che la lite,
precedentemente portata di fronte alle corti locali, non abbia soddisfatto la parte. Tale writ risulta essere
imprescindibile per la tutela del diritto ("remedies precede rights"): l’attore che intende adire la giustizia
regia, infatti, deve per prima cosa procurarsi un writ adatto alla sua situazione. Tale writ costituisce il
presupposto per l’azione, ma non assicura in nessun modo una pronuncia favorevole. Si comprende allora
che, se si creano nuovi writ per tutelare nuove situazioni, si ottiene l’affermazione di nuovi diritti e la
conseguente espansione della common law. 2 sono le cause che hanno condotto all’affermazione del writ
come strumento essenziale dell’esercizio del potere delle corti di common law:

 (causa economica) il fatto che nei secoli XII e XIII la cancelleria vendeva i singoli writ agli interessati,
incassando notevoli proventi per il tesoro reale
 (causa politica) il fatto che la concessione di nuovi rimedi, nuovi writ, portava ad estendere le
competenze delle corti reali, e dunque anche il loro potere, a scapito delle corti signorili.

Il writ viene materialmente elaborato nella segreteria del cancelliere, al quale spetta anche il compito di
istituire preliminarmente il ricorso per cui si richiede la concessione del writ medesimo. Il writ può avere
due destinatari:

 lo sceriffo, ovvero il rappresentante locale dell’autorità regia, a cui viene dato l’ordine di eseguire un
servizio

 il Lord titolare di una corte feudale, che viene invitato a rendere giustizia all’attore. Se tale giustizia non
viene fatta la questione viene risolta presso le corti reali.

→ L’inosservanza dell’ordine contenuto nel writ, essendo considerata un’offesa diretta al sovrano, può
portare all’imprigionamento del responsabile. Esistono 2 tipi diversi di writ:

1. writ ordinari, consolidati nella prassi giudiziale e annotati in un apposito Registrum brevium. L’attore che
intende usufruire della giustizia regia e la cui pretesa sia tra quelle riconosciute nel Registrum deve
ottenere, dietro il pagamento di una somma di denaro, il writ idoneo a tutelare la sua situazione

2. writs straordinari, che, dato il loro carattere eccezionale, non sono elencati nel Registrum. Tali writ sono
ottenuti dai poveri per concessione gratuita o, al contrario, dietro pagamento di un prezzo altissimo. Il
numero dei writ tende a divenire piuttosto alto, tuttavia, i writ fondamentali, ovvero quelli usati più
frequentemente, sono poco numerosi. L’aumento dei writ, e di conseguenza anche della giurisdizione regia,
rappresenta un elemento a cui i nobili si oppongono fortemente. La Crisi del sistema dei writs L’opposizione
dei baroni all’aumento del potere regio si manifesta in due documenti fondamentali, emanati nel corso del
XIII secolo: 1. la Magna Charta (1215), il primo documento con cui i baroni riescono a porre un argine al
potere del re, disponendo, in particolare nelle clausole 60 e 61, che il diritto esistente avrebbe vincolato
allo stesso modo il re e i vassalli e che la violazione di tale principio da parte del re avrebbe legittimato i
baroni a sottrarsi al proprio dovere di lealtà. Oltre a questo elemento la Magna Charta introduce anche: →
il principio della tutela dei diritti di libertà. → il principio del due process, ovvero del giusto processo 2. le
Provisions of Oxford (1258), con le quali si intende sottrarre il governo del regno al re per affidarlo ad un
"comitato riformatore" dotato di ampi poteri di riforma. Con tale documento, per quello che più ci
interessa, si produce la cristallizzazione del sistema dei writ, in quanto viene negato al cancelliere il potere
di emanare nuovi writ straordinari o atipici se non in casi particolari. In questo modo, chiaramente, viene a
bloccarsi il meccanismo di sviluppo della common law, cosa che determina l’entrata in crisi del sistema
della giustizia.

Il superamento della crisi e l'evoluzione del writ of trespass

Queste Previsions of Oxford producono un notevole irrigidimento del sistema. Tale irrigidimento, tuttavia,
viene almeno in parte attenuato da un altro documento, che permette alla common law di riprendere il suo
corso: lo Statute of Westminster II (1285) il cui capitolo 24, pur mantenendo il divieto di nuovi writ,
consente tuttavia alla cancelleria di utilizzare formule conosciute per ammettere nuove azioni in consimili
casu, ossia in fattispecie diverse ma simili a quelle previste nel Registrum. A detta di alcuni autori, ma
contrariamente alla sua importanza, questa tecnica di estensione dei writ in consimilibus casibus, sembra
essere stata utilizzata con molta parsimonia dalla cancelleria.

Le corti, poste dinanzi all’esigenza di offrire tutela a situazioni concrete sempre nuove, cominciano a
riconoscere l’ammissibilità di nuove azioni quali forme derivate dai writs consolidati, dando così definitivo
impulso a quel processo di elaborazione giurisprudenziale (procedimento on the case) che costituisce
l’essenza stessa del common law. Relativamente a questo aspetto è emblematico l’esempio del writ of
trespass. Tale writ viene inizialmente concesso solo a chi ha subito un’illecita e violenta invasione
(transgressio) della sua sfera giuridica personale e patrimoniale (tre tipi di trespass: to person, to goods, to
land). Interpretando in modo estensivo gli elementi caratterizzanti del writ of trespass, i giudici, creando un
writ of trespass on the case, cominciano a offrire tutela anche per i danni causati da responsabilità indiretta
o colposa. Nei casi in cui si utilizza il trespass per offrire tutela alle nuove ipotesi di responsabilità, diventa
del tutto irrilevante l’allegazione dell’uso della forza, mentre acquista rilievo il dato sostanziale che l’attore
è stato vittima di un atto illecito o comunque dannoso. In definitiva quindi, nel writ of trespass on the case
si fanno rientrare tutti i casi di comportamenti dannosi che non possono essere considerati vere e proprie
ipotesi di trespass. Dal writ of trespass on the case si sviluppano due ulteriori strumenti di tutela:

1. l’assumpsit, in cui l’attore allega che il convenuto si è assunto un obbligo, ma, non avendolo adempiuto
(non feasance) o avendolo compiuto inesattamente (mis feasance), ha arrecato un danno alla persona o ai
beni dell’attore. Successivamente l’assumpsit subisce un’espansione, diventando progressivamente
un’azione per danni di natura contrattuale e non più delittuale

2. il trover, ovvero un’azione di danni a tutela di chi è privato di un bene mobile. Tale azione, fondandosi
sulla finzione che l’attore abbia smarrito i suoi beni e il convenuto li abbia ritrovati e convertiti al proprio
uso, diviene ben presto un’azione generale per danni contro lo spossessamento mobiliare.

Sia queste due nuove azioni sia il writ of trespass on the case, comunque, sono il risultato dell’evoluzione
del trespass e quindi, portando allo stesso modo l’impronta delle azioni delittuose, sfociano tutte nel
risarcimento del danno. Rimane dunque completamente estranea la possibilità dell’esecuzione forzata in
forma specifica, motivo questo che spinge verso la procedura in equity, che invece può garantirla. Rapporto
common law – diritto romano. A questo punto non si può non osservare la somiglianza tra l’affermazione e
lo sviluppo iniziale della common law e del diritto romano, a dispetto sia della distanza temporale si di
quella geografica. In entrambe le tradizioni infatti:

1. il rimedio precede il diritto (ubi remedium ibi ius/ remedies precede rights)

2. la tutela dei diritti si realizza solo previo ottenimento di particolari documenti (formulae/ writs), raccolti
in appositi registri

3. è superata la rigidità del sistema del numero limitato di rimedi mediante tecniche artificiose

4. i giuristi si interessano ai fatti concreti per poterli collocare nelle varie formule piuttosto che per
elaborare un sistema di diritto sostanziale.

1.4 La court of chancery e lo sviluppo dell’equity

L’equity, il sistema di diritto sviluppato e creato dalla Chancery Court, ha affiancato il sistema di common
law, imprimendo all’ordinamento inglese quel carattere dualista che non è scomparso neppure oggi. Lo
sviluppo dell'equity, anch'essa quindi diritto giurisprudenziale, è comunque assa analogo a quello della
common law, benchè di quasi 3 secoli successivo.

Le ragioni dell'affermazione dell'equity

Le origini dell'affermazione della giurisdizione della Chancery Court sono legate alla crisi della giustizia
amministrativa delle corti di Westminster. Alcuni aspetti di tali crisi sono stati osservati con riferimento
all'irrigidimento della common law, che si evolve con grande lentezza. I principali aspetti di tale crisi sono:

 l’irrigidimento della common law, che si evolve con estrema lentezza nonostante la tecnica
dell’elaborazione di nuovi writs in consimilibus casibus

 la presenza di una procedura a tal punto formalistica da portare alla perdita della causa per motivi
semplicemente tecnici

 il potere fortemente discrezionale del cancelliere di concedere il writ

 il diritto delle corti di Westminster di decidere sulla legittimità del writ e, eventualmente, di rifiutare la
propria pronuncia, se la pretesa oggetto della controversia è di un tipo sconosciuto alla common law.

Agli inizi del XIV secolo, quindi, la common law, chiusa nei rigidi schemi processuali imposti dalle forme
d’azione, comincia a mostrarsi inadeguata di fronte ai bisogni sempre nuovi della vita sociale inglese. Tale
inadeguatezza porta ad una crisi del sistema: i ricorrenti che non ottengono giustizia dalle corti di common
law, infatti, prendono a rivolgersi al sovrano. La petizione viene innanzitutto rivolta al cancelliere, il keeper
of the king’s conscience, che, se lo ritiene opportuno, la trasmette al re. Quando poi diventa sempre più
difficile per il sovrano riunirsi con il suo consiglio, viene a svilupparsi una giurisdizione autonoma del
cancelliere che cresce rapidamente in poteri e sviluppa presto un ampio corpo di regole e principi, ovvero
l’equity.

Caratteristiche essenziali dell’equity

L’equity si qualifica come un insieme di regole complementari rispetto a quelle di common law (equity
follows the law). Il cancelliere, infatti, interviene non per violare la common law, ma solo per temperarne il
rigore nei casi in cui la sua completa applicazione costituirebbe summa iniuria. L’equity, comunque, è
caratterizzata da quattro principali caratteristiche:

1. consiste in un sistema inorganico e asistematico. L’equity, infatti, non rappresentando un sistema


autosufficiente, instaura con il common law un rapporto molto simile a quello che sussiste: tra la
legislazione speciale e il codice // tra il diritto pretorio e lo ius civile

2. consiste in un sistema fortemente discrezionale, dato che non esiste un vero e proprio diritto a ottenere
dal sovrano la sua giustizia secondo equità. Tale discrezionalità è addirittura superiore a quella riscontrabile
nella common law

3. i rimedi elaborati ed offerti dalla Chancery Court sono più incisivi ed efficaci di quelli ottenibili dalle corti
di common law e decretano, più di altri elementi, il successo del nuovo sistema

4. il modello processuale, data anche la forte influenza ecclesiastica del cancelliere, si presenta come
segreto, scritto, inquisitorio e senza giuria.

Un’importante differenza, che separa il nuovo sistema di equity da quello della common law, sta nel fatto
che, mentre le corti di common law agiscono prevalentemente sui beni (common law acts in rem), il
cancelliere può agire sui diritti di proprietà anche mediante ordini diretti alle persone (equity acts in
personam), la cui inottemperanza può essere sanzionata con la pena pecuniaria e con l’arresto per
contempt, ossia per oltraggio alla corte. Nonostante si sia detto che equity follows the law, è bene tener
presente che il rapporto tra i due rami del diritto inglese ha avuto anche momenti di aspro contrasto. Il
conflitto più appariscente risale all’inizio del XVII secolo, in connessione alla contesa tra le tendenze
assolutistiche della monarchia, appoggiata dalle corti a lei fedeli come la Chancery Court, e le resistenze del
Parlamento, coalizzato invece con le corti di common law. Nonostante si risolva a favore dell’equity,
tuttavia, tale conflitto conduce ad una pacifica convivenza tra l’equity e la common law: la supremazia
riconosciuta alla prima, infatti, viene impiegata in maniera moderata da cancellieri politicamente avveduti.

Esempi di rimedi elaborati dall'equity

Qualche esempio può mostrare in modo chiaro l’efficacia dei nuovi rimedi elaborati dalla Chancery Court :

 nel caso di inadempimento del contratto, la common law offre alla parte lesa il solo risarcimento del
danno, mentre l’equity elabora due ulteriori mezzi di tutela:

→ l’esecuzione in forma specifica del contratto (specific performance)

→ l’ordine di fare o di non fare qualcosa (injunction)

 la common law ha riguardo solo alla violenza fisica, mentre l’equity concede rilevanza giuridica anche a
quella morale (undue influence)

 assume particolare rilevanza giuridica l’istituto del trust, un rapporto fiduciario in origine ideato per
motivi di riservatezza, ma poi utilizzato per vari scopi relativi alla gestione del patrimonio (A cede un bene a
B, con l’intesa che questi lo amministri in favore di C che così ne percepirà i frutti).

In definitiva, tra il XIII e il XIV secolo, l’equity si afferma come una giustizia "morale", contrapposta a quella
"legale". Tale giustizia risulta essere caratterizzata da due principali elementi, la relatività e l’elasticità, che
le permettono di adeguarsi alle necessità delle singole situazioni. Con il passare del tempo, tuttavia, l’equity
cambia completamente fisionomia e natura, in quanto cessa di essere una giurisdizione esclusivamente "di
grazia" e comincia ad assumere i caratteri di rigidezza e inflessibilità, già propri della common law. Le
decisioni giudiziarie non nascono più liberamente seguendo i dettami dell’aequitas, ma cominciano a
seguire la strada dei precedenti, portando così, con un processo lento ma inesorabile, alla formazione di un
diritto equitativo caratterizzato da regole definite e fisse. In questo modo, quindi, l’equity finisce per
diventare un secondo e ben definito complesso di casi giudiziali, di istituti, di dottrine e di regole acquisite,
che si pone al fianco della common law.
Sezione II – L’amministrazione della giustizia

2.1. LE GRANDI RIFORME DELLA GIUSTIZIA: DAL 1850ca AL 3°MILLENNIO

Agli inizi del XIX secolo l’amministrazione della giustizia si presenta con tre sistemi diversi di sempre minore
coordinazione: le Corti di Westminster, la Chancery Court e l’Admirality Court e le Corti ecclesiastiche. Lo
sviluppo e la nascita del common law elaborata dalle corti di Westiminster, attraverso il sistema dei writs;
l'affermazione dell'equity elaborata dalla Chancery Court -> queste corti amministrano la giustizia civile di
maggiore valore economico e la giustizia penale dei reati più gravi. A questo dobbiamo aggiungere che le
controversie civili di scarso valore economico non godono di fatto di alcuna rilevanza fin quando non
vengono istituite le county courts. Un diverso trend deve essere invece riconosciuto alla giustizia penale,
che anche per le cause di minor incidenza aveva elaborato il Justice of the Peace fin dal 1361. Agli inizi del
XIX sec vi è dunque in Inghilterra una notevole tendenza verso la decentralizzazione della giustizia civile,
man mano che declina l'importanza delle corti locali, ed un opposta tendenza alla decentralizzazione della
giustizia penale, man mano che vengono estesi i poteri e le attribuzioni dei giudici di pace.

Le prime riforme e i Judicature Acts 1873-1875

A partire dal XIX secolo e sulla base delle idee di Bentham, la legge comincia a rivestire un ruolo di centrale
importanza, cosa che non porta alla redazione di un codice, piuttosto alla regolamentazione di alcuni
specifici settori del diritto commerciale che necessitano di maggiore chiarezza giuridica. Si tenta di
modificare tale panorama e mitigare il senso di disagio che le mutate condizioni politiche, economiche e
sociali rendono spesso assai acuto. Le idee di Bentham si rilfettono anche sul diritto sostanziale. In tutte le
epoche del diritto inglese sono presenti leggi dal contenuto privatistico, queste leggi non mirano a
disciplinare in modo esauriente una determinata materia con pretese di completezza. Si tratta di leggi ad
hoc. A partire dalle leggi di Bentham si intende affidare alla legge un ruolo più significativo, nella
consapevolezza che ciò possa condurre ad una maggiore certezza del diritto e ad una sua semplificazione.

Il County Courts Act (1846)

Consiste nell’istituzione di una rete di corti locali, distribuite in cinquecento distretti a lor volta raggruppati
in circa sessanta circuiti, con la quale si riesce nell’intento di tutelare il credito dei piccoli e medi
commercianti , i quali rifuggivano dalla concessione di questo per il timore di non poterlo recuperare, data
la mancanza di tribunali e di procedure semplici e poco costose.

Riforme processuali: Il XIX sec conosce 4 importanti riforme sul piano processuale:

1. Uniformity of Process Act (1832) che produce l’uniformità delle citazioni in tutte le corti di common law
2. Real Property Limitation Act (1833) che comporta la riduzione del numero delle azioni reali da 60 a 3

3. Common Law Procedure Act (1854) che consiste nel tentativo di fondere alcuni aspetti processuali della
civil law e della common law, quali la possibilità di rinunciare alla giuria, la possibilità per il convenuto di
utilizzare sempre le eccezioni di equity, nonché il riconoscimento ad ogni corte del potere di discovery dei
documenti

4. Changery Pratice Amendment Act (1852) che comporta la fusione di alcuni elementi sostanziali dei due
tipi di processo, quali l’attribuzione alle corti di equity di disporre delle questioni incidentali di common law
e di concedere il risarcimento dei danni.
Nonostante queste riforme, tuttavia, la necessità che si andava profilando riguardava la creazione di una
giurisdizione unica, tanto più che spesso un privato era costretto a ricorrere a più giurisdizioni per la stessa
causa.

A tali inconvenienti cercano di ovviare i Judicature Acts del 1873-1875 che determinano
nell'amministrazione della giustizia inglese l'impronta mantenuta sostanzialmente inalterata sino alla fine
del XX secolo. quini momento essenziale è la riorganizzazione delle corti. Le numerose corti concorrenti
vengono tutte ricomprese in un’unica Supreme Court of Judicature, che si articola su 2 livelli di
giurisdizione: In 1 a istanza include la High Court of Justice competente in materia civile e la Crown Court,
competente in materia penale; in 2a istanza essa comprende la Court of Appeal. La High Court of Justice
prevede in origine 5 sezioni, poi ridotte a 3 nel 1881:

-Queen’s Bench, competente a conoscere le cause prima attribuite alle tre originarie corti regie

-Chancery, competente a conoscere delle cause precedentemente attribuite alla Court of Chancery

-Probate, Divorce and Admirality, competente in materia di successioni, matrimonio e diritto marittimo.

In 2 a istanza viene istituita un'unica Court of Appeal che prevede una sezione civile e una penale,
entrambe organi collegiali in cui sono riunite diverse corti che prima della riforma costituiscono giudici
indipendenti di impugnazione. Tale corte segue l’idea che l’appello debba sussistere in un riesame della
causa, a seguito del quale la nuova decisione può sostituire quella impugnata. Fin da subito si afferma il
principio dell’inesistenza del diritto all’appello, che invece consiste solo in un’ipotesi che si realizza con il
verificarsi di alcune condizioni, tra cui il consenso del giudice a quo.

Con l'Appelleta Jurisdiction Act del 1876 viene confermata la giurisdizione di ultima istanza della House of
Lords, affidata in fatto e in diritto ad una sua speciale suddivisione, l'Appellate Committee. Tale corte svolge
il ruolo di vera e propria corte suprema grazie sia all’autorità delle sue pronunce, cui sono vincolate tutte le
corti inferiori, sia alla fortissima discrezionalità con la quale sceglie le cause da seguire: con un fitto sistema
di leave, infatti, la House of Lords riesce a concentrarsi solo sulle questioni veramente importanti. La House
of Lords costituisce la massima istanza non solo per l'Inghliterra ma anche per Scozia e Irlanda del Nord.
L'House of Lords svolge dal 1876 un incisivo ruolo di corte suprema e ciò contribuiscono sia l'autorità delle
sue pronunce, sia il numero esiguo di ricorsi che tale corte deve decidere. Le sentenze sono molto
interessanti da analizzare, dato che presentano un carattere personale (non esiste la decisione della corte,
quanto piuttosto le diverse opinioni dei suoi membri), uno stile letterario ed una particolare attenzione alle
questioni di fatto. Con una legge del 2005 è stata modificata la composizione di tale corte, al fine di
distruggere la contiguità tra potere legislativo e potere giudiziario che da essa scaturiva. È stata così creata
in sua vece una nuova corte, la Supreme Court, composta da membri completamente svincolati dal
Parlamento inglese. Accanto a questo sistema organizzato su 3 livelli di giurisdizione, troviamo il Judical
Committee of the Privy Council, che attualmente, pur avendo perso buona parte della sua importanza, è
competente a dirimere i conflitti tra le nuove autonomie, quali le assemblee legislative di Scozia, Galles ed
Irlanda, e l’autorità centrale del Governo di Londra.

Amministrazione congiunta di common law ed equity

Viene disposta l’applicazione congiunta della common law e dell’equity e viene stabilito il principio per cui,
in caso di contrasto tra i due modelli, prevalga quest’ultima. Le differenze fra l’una e l’altra, tuttavia,
continuano ad avere una rilevanza non solo storica: da un lato, il rimedio di equity conserva ancora la sua
natura di eccezionalità e la sua concessione rientra tra i poteri discrezionali della corte, mentre dall’altro la
trattazione delle cause basate su regole di equity viene affidata alla Chancery Division, nella quale non si
impiegano le regole del contraddittorio orale.

Il Rule making power e le nuove regole processuali

Viene introdotto il principio per cui la concreta regolamentazione del processo viene effettuata da rules of
court formulate da commissioni composte da giudici ed avvocati: si tratta, appunto, di un rule making
power, che però risulta essere subordinato al potere di approvazione o di rigetto del Parlamento.
L’obbiettivo principale che queste commissioni si prefissano è quello di eliminare i tecnicismi e i vincoli di
forma.

Il Constitutional Reform Act del 2005 e la nuova Supreme Court

Il vertice della giurisdizione inglese è stato modificato con un importante legge nel marzo 2005: il
Constitutional Reform Act, favorita dalla Human Right Act del 98. L'Appellate Committee della House of
Lords è stata sostituita da una nuova Supreme Court. Tale atto non incide in modo decisivo sulla
competenza del nuovo organo di vertice della giurisdizione al quale infatti viene semplicemente trasferita.
Le decisioni della nuova corte vincolano tutti i giudici sotto ordinati. Determinante è stata l'esigenza di
eliminare dall'ordinamento inglese ogni confusione fra il potere giudiziario e gli altri poteri, che potesse
fare insorgere sospetti, alla luce della nuova cultura degli human rights, sulla effettiva indipendenza e
imparzialità del giudice di vertice dell'ordinamento.

2.2. Il ceto dei giuristi e la magistratura laica

Lo sviluppo del diritto inglese e l’affermazione della common law sono strettamente connessi con la
formazione di un ceto di giuristi professionalmente organizzato e politicamente influente.

Barristers e solicitors

Con il progressivo complicarsi del sistema dei writs diventa sempre più difficile per i litiganti stare in giudizio
di persona. Si comincia, dunque, a fare ricorso alla rappresentanza dell’attorney, a cui si affianca presto la
figura del narrator: entrambi sono professionisti formati attraverso la pratica e la costante frequentazione
di giuristi esperti. In particolare la preparazione per la professione giuridica si svolge nelle Inns of Court,
dove gli apprendisti sono istruiti dai membri più anziani, ossia i benchers e i readers. Inizialmente anche gli
attorney fanno parte dell’Inns of Court, ma successivamente, nel tardo medioevo, ne vengono esclusi.
Mentre dunque nel continente europeo la formazione del giurista, affidata all’università, ha un carattere
colto, teorico e lontano dai problemi concreti, in Inghilterra l’educazione del giurista è da sempre di tipo
pratico. Al di sopra di queste categorie di pratici vi è quella dei serjeants at law, eredi dei narratores e scelti
tra i migliori readers, cui è attribuito il compito di definire giuridicamente i termini della controversia.

Nel corso del XVII secolo inizia un processo di trasformazione che porta alla definitiva affermazione di un
sistema dominato da due figure principali:

 i barristers (eredi dei serjeants) la cui istruzione viene ancora affidata alle Inns of Court. Tradizionalmente
i barristers esercitano attività di consulenza e soprattutto di patrocinio di fronte alle corti superiori, essendo
titolari del right of audience

 i solicitors (eredi degli attorneys) la cui istruzione viene affidata alla Law Society. Il lavoro dei solicitors
consiste essenzialmente nel tenere i rapporti con i clienti e nel preparare il materiale informativo e
probatorio necessario al barrister. La loro capacità di stare in giudizio innanzi alle corti superiori è piuttosto
limitata, mentre è riconosciuta quella di stare in udienza di fronte alle county courts e ai giudici di pace.

Tale sistema, tuttavia, era causa di notevoli complicazioni e, in particolare, di un consistente aggravio di
costi del processo, in quanto richiedeva la presenta di due diverse figure di legale per affrontare una causa.
Il Courts and Legal Services Act del 1990 ha dunque riformato questa disciplina, togliendo ai barristers il
monopolio del patrocinio presso le corti superiori e attribuendolo, invece, tra gli altri, ai solicitors. In
definitiva, comunque, l’elemento che stupisce maggiormente l’osservatore continentale è che la frequenza
di un corso di studi universitari giuridici in Inghilterra non è ancora considerato un requisito sempre
necessario per accedere alla professione forense.

I giudici: la tradizione e il rinnovamento del Constitutional Reform Act 2005

A partire dal XIV secolo si è consolidata la consuetudine di reclutare i giudici inglesi tra le file degli avvocati
più prestigiosi, elemento questo che sottolinea come in Inghilterra la storia dei giudici e degli avvocati non
possa essere raccontata separatamente. I giudici superiori inglesi erano nominati dalla Corona su proposta
del Lord Chancellor che li selezionava fra i barristers con una certa esperienza professionale e di maggior
prestigio, ovvero i Queen’s Counsels. Questo tipo di scelta comportava 3 conseguenze:

1. il fatto che comunità dei giudici fosse formata a partire da un gruppo professionale ristretto, appunto
quello dei barristers, garantiva una selezione accurata

2. il legame tra gli avvocati e i giudici, a loro volta ex-avvocati, permetteva a questi ultimi di svolgere le
proprie funzioni con più facilità e immediatezza

3. i giudici nominati riproponevano i caratteri della piccola comunità dei barristers, bianchi, maschi, di
mezza età e scarsamente rappresentativi della società nel suo complesso.

Il Courts and Legal Services Act del 1990, come detto, ha inciso in maniera abbastanza profonda sull’assetto
della professione forense, disponendo, almeno fino al Constitutional Reform Act del 2005, che i giudici della
High Court venivano scelti dal Lord Chancellor tra i barristers e i solicitors titolari del right of audience con
almeno dieci anni di esperienza e nominati dalla Regina. Il fatto che i giudici venissero scelti nella cerchia
degli avvocati comportava che i tribunali superiori fossero composti da giudici con una lunga esperienza
pratica e contribuiva a rendere omogenea la figura del giurista, non contrapponendo il bar (l’avvocatura) al
bench (la magistratura). Il Lord Chancellor, tuttavia, costituiva una notevole anomalia del sistema inglese, in
quanto, da un lato, era il solo incaricato della nomina dei giudici e, dall’altro, era una figura fortemente
politicizzata, dato che partecipava di tutte le funzioni di governo. Tali anomalie e contraddizioni sono state
dunque eliminate dal ricordato Constitutional Reform Act del 2005 che ha profondamente riformato il
sistema di reclutamento dei giudici. Per quanto attiene alla figura del Lord Chancellor, questi non è più da
considerarsi un magistrato, dato che gli vengono sottratte tutte le funzioni giurisdizionali, ma conserva
comunque un ruolo importante con riferimento al sistema di reclutamento dei giudici, che avviene secondo
il seguente schema:

 la nuova Judicial Appointments Commission, una commissione composta da 15 membri nominati dalla
Regina su proposta del Lord Chancellor, seleziona i candidati per ciascun posto che si renda vacante presso
qualunque corte, ad eccezione della Supreme Court. Successivamente comunica tale scelta al Lord
Chancellor
 il Lord Chancellor, che non è rigidamente vincolato alla volontà della commissione, nomina direttamente
la persona scelta o la raccomanda per la nomina alla Regina.

La selezione avviene tra i barristers e i solicitors titolati del right of audience in base al merito, ma è
importante sottolineare che il Constitutional Reform Act prevede espressamente per la commissione
l’obbligo di prendere in considerazione anche l’elemento della diversity tra le persone che vengono scelte:
questo chiaramente per rispondere all’esigenza di una magistratura maggiormente rappresentativa della
società inglese. Per quanto attiene alle garanzie, il Constitutional Reform Act distingue due casi:

1. i magistrati di livello inferiore alla High Court possono essere rimossi per incapacità e cattiva condotta dal
Lord Chancellor di concerto con il Lord Chief Justice

2. i magistrati della High Court e delle corti superiori possono essere rimossi solo dalla Regina su risoluzione
congiunta delle due camere del Parlamento.

Vi è un altro dato relativo alle magistratura, importante al fine di comprendere il funzionamento della
machinery of justice inglese, ovvero il numero dei giudici. Tradizionalmente si sottolineava che i giudici
inglesi erano di notevole livello tecnico, depositari dell’elaborazione della common law, circondati da una
splendida tradizione di indipendenza e di prestigio, ma pochi. Tale affermazione resta valida ancora oggi se
si considera che il numero dei giudici supera di poco i 1000. Di questi solo 154 sono giudici delle corti
superiori, gli unici a cui vengono riconosciute queste 4 principali caratteristiche:

1. hanno creato e creano la common law

2. sono gli unici tutelati dall’istituto del contempt of court con cui si puniscono le offese alla corte

3. possono pronunciare la dichiarazione di incompatibilità

4. sono depositari del potere giudiziario, che risulta essere concentrato tutto a Londra.

Nonostante ultimamente si sia avuto un aumento di tali numeri, resta comunque fermo un interrogativo di
fondo: come è possibile questa disparità numerica tra l’Inghilterra e il continente, considerando che le
funzioni attribuite al potere giudiziario sono praticamente corrispondenti sui due lati della Manica? A tale
quesito si può rispondere facendo riferimento a due ordini di motivi:

1. il ricorso, nei secoli, ad organismi alternativi per la soluzione delle controversie (es. la giuria nel processo,
i Justice of the Peace e gli Special Tribunals).

2. la particolare struttura del processo civile: solo poco più dell’1% delle cause iniziate annualmente di
fronte alle corti ordinarie arriva al trial, ovvero al dibattimento presieduto da un giudice di professione, e
ciò perché si riserva ai pochi giudici togati la soluzione di questioni realmente complesse e nuove.

La magistratura laica

Una magistratura non formata da professionisti che porta con sé 2 principali vantaggi:

1. uno a livello economico, dato che i giudici di pace sono molto meno pagati dei giudici togati

2. uno a livello educativo e sociale, dato dal fatto che i cittadini possono partecipare in prima persona alle
giurie nel processo civile.
I Justice of the Peace: magistrates

I giudici di pace inglesi trovano la loro origine nei commissioners, soggetti nominati dai primi sovrani
normanni a fini amministrativi e di giustizia. Già con Edoardo III essi assunsero i caratteri dei loro odierni
successori, dunque sono circa sette secoli che la funzione del Giudice di Pace è praticamente invariata. I
Giudici di Pace non sono professionisti, fatta eccezione per quelli operanti nelle grandi città quali Londra: i
primi sono nominati dal Lord Chancellor che, tramite una commissione, li sceglie tra gli abitanti più in vista
della contea, mentre i secondi, detti stipendiary magistrates , sono scelti tra i barristers e i solicitors con
almeno sette anni di anzianità. I magistrates non ricevono alcun compenso per la loro prestazione e per
questo vengono chiamati great unpaid. Essi si occupano di tutte le cause penali, che nel 99% dei casi
risolvono tramite un procedimento sommario, ed hanno una buona competenza anche in materia civile. Sia
nell’uno che nell’altro caso comunque, possono condannare solo a pene pecuniarie, o al massimo alla
libertà vigilata.

Gli Special Tribunals

Nonostante l’impostazione negativa apportata dal pensiero di Dicey nei confronti del diritto
amministrativo, l’intensa attività legislativa che ha caratterizzato anche in Inghilterra il Welfare State ha
imposto la necessità di istituire gli Special Tribunals , cui è stata data competenza di giurisdizione nelle
cause che insorgono fra Stato e cittadini o fra cittadini privati per questioni inerenti proprio il Welfare State.
Ciò che ha assicurato il successo di tali corti consiste nella maggiore accessibilità, i minori costi e la minore
durata dei procedimenti. Con il tempo, inoltre, si è assistito ad un allargamento delle prerogative dei
tribunali ordinari anche ai tribunali speciali.

2.3. Le linee essenziali del processo adversary e le riforme della giustizia civile (1990-1999)

Tra i motivi che possono aiutare a spiegare il funzionamento della machinery of justice inglese pur in
presenza di un esiguo numero di giudici togati vi è, insieme alla cospicua presenza di magistrati laici, anche
la particolare struttura del processo.

Le linee essenziali del modello adversary di processo

Tale struttura prevede una netta distinzione in 2 fasi, la pre trial (1) e la trial (2).

Il Pre trial (1)

Il predibattimento inizia con le primissime battute del processo e si conclude con l’avvio del dibattimento.
In tale fase the case is in the hands of the parties e infatti sono rarissimi gli interventi del giudice: qualora si
presentino particolari difficoltà, interviene il master, ossia un funzionario della corte. Le funzioni
fondamentali del pre trial sono 3:

1. si prepara la causa per il dibattimento, ovvero si predispongono tutti gli atti che vanno dalla proposizione
della domanda all’udienza. In questa fase si individuano le parti della causa e si definisce la cause of action,
si scambiano i pleadings, ossia le memorie attraverso cui le parti dispongono con chiarezza le questioni
realmente controverse, e si svolge la discovery, ovvero lo scambio degli elementi che possono costituire
prove per il dibattimento

2. la decisione della causa senza dibattimento: quindi si predispongono gli strumenti procedurali intesi a
definire la controversia evitando il dibattimento, che viene dunque ad essere un evento del tutto
eccezionale: le actiones tried rappresentano solo l’1 – 1,5% circa di tutte le azioni proposte. Tra i
meccanismi che possono condurre alla conclusione del processo senza giungere al trial sono di particolare
interesse:

→ la transazione giudiziale

→ il payment into court: il convenuto può depositare presso la corte una somma di denaro atta a
soddisfare la pretesa dell’attore che, se non accetta l’offerta, comporta il proseguimento del giudizio. Se
dopo il dibattimento viene attribuita all’attore una somma uguale o minore di quella offerta dal convenuto,
il primo dovrà rimborsare al secondo le spese processuali sostenute a partire dal momento della rifiutata
offerta

→ il default judgement: la sanzione per la mancata osservanza degli adempimenti richiesti da una norma o
da un provvedimento del giudice

3. si possono ottenere alcuni provvedimenti di carattere provvisorio e interinale per la tutela di diritti e
interessi in attesa che abbia inizio e si svolga il dibattimento. In particolare è possibile richiedere al giudice
l’emanazione di un interlocutory injunction, ovvero un ordine di fare o di non fare, volto ad ottenere una
tutela rapida e immediata o tendente ad assicurare lo status ante quo.

Il Trial (2)

Come detto, al dibattimento giunge solo poco più del 1% delle controversie: a questo esiguo numero di
cause viene riservato il dibattimento caratterizzato da tre elementi tipici del processo civile adversary:

 oralità, dato che le prove sono assunte oralmente davanti al giudice nel dibattimento. Le regole che
disciplinano l’assunzione di tali prove sono ancora piuttosto rigorose

 concentrazione, dato che il dibattimento, in cui si attua l’interrogatorio e il controinterrogatorio dei


testimoni, tende a risolversi in una sola udienza o in più udienze in stretta successione tra loro

 immediatezza (non mediatezza), dato che la distribuzione dei poteri tra giudice e parti rende il processo
un libero scontro tra contendenti che, nel rispetto delle regole, si sfidano davanti ad un giudice passivo.
Corollari di questa idea di processo sono due principi:

→ la party-presentation, in base alla quale spetta in via esclusiva alle parti il potere di andare alla ricerca
delle prove e di allegarle a conforto dei fatti affermati, nonché di elaborare gli argomenti giuridici a
sostegno delle proprie pretese.

→ la party-prosecution, in base alla quale sono le parti ad iniziare il procedimento, fissandone l’oggetto, ed
a farlo proseguire fino alla sua conclusione.

Le Riforme recenti

Nel 1988 il Report del Civil Justice Review Body ha condotto a due importanti atti:

1. il Courts and Legal Services Act (1990), che ha sancito la rottura del monopolio dei barristers presso le
corti superiori

2. il County Courts Jurisdiction Order (1991) che ha portato all’ampliamento della competenza delle County
Courts e conseguente all’alleggerimento di quelle della High Court: secondo la prassi le cause di valore
inferiore alle 25.000 sterline sono di competenza delle prime, quelle di valore superiore alle 50.000 sono di
competenza della seconda, mentre le cause di valore intermedio saranno di competenza dell’una o
dell’altra a seconda della complessità.

Nel 1996 viene pubblicato il Lord Woolf’s Final Report, base per la successiva riforma, che individua nei
costi, nella lungaggine e nella complessità i mali maggiori dell’impianto processuale inglese. Nasce così il
principio del case management, secondo cui il giudice deve svolgere un ruolo attivo in tutte le fasi del
processo al fine di coadiuvare le parti nella ricerca della soluzione maggiormente rapida e conveniente.
Accanto a questo principio si afferma anche quello secondo cui vi deve essere un rapporto equilibrato tra la
complessità della causa e la complessità della macchina processuale: risulta quindi conveniente e corretto
individuare tre corsie processuali:

1. Small claim track: corsia riservata alle controversie inferiori alle 5.000 sterline

2. Fast track: corsia riservata alle controversie fra le 5.000 e le 15.000 sterline

3. Multi track: corsia riservata alle controversie superiori alle 15.000 sterline.

In definitiva, dunque, possiamo concludere che l’obiettivo principale della riforma sia quello di facilitare
l’accesso alla giustizia e di favorire una rapida conclusione di tutte le questioni dinnanzi alla corte, avvenga
essa per conciliazione, per rinvio a forme alternative di risoluzione o per disposizione sommaria da parte di
un giudice divenuto maggiormente attivo.
Sezione III – LE FONTI DEL DIRITTO

3.1. Premessa

Parlando di civil e common law si è sottolineato quanto le differenze tra le due tradizioni giuridiche
occidentali vadano assottigliandosi. Il tema della Fonti continua ad essere un osservatorio privilegiato per il
comparatista.

3.2. La gerarchia delle fonti e la nozione inglese di Costituzione.

Relativamente alla gerarchia delle fonti, la distanza che separa il Regno Unito dal resto del continente può
essere percepita a partire dal concetto stesso di costituzione: nel panorama del Costituzionalismo moderno,
infatti, il Regno Unito fa eccezione sotto un duplice profilo:

1. presenta vari atti normativi solenni di età remota (es. Magna Charta, Bill of Rights)

2. non presenta una costituzione intesa come documento scritto, ma solo un “diritto costituzionale”, un
complesso di regole che disciplinano i rapporti tra i poteri dello stato e contribuiscono a definire la forma di
governo, ricavabili da atti normativi di varia epoca.

Se si considera il principio della supremazia del Parlamento, teorizzato da Dicey, si comprende come sia
stata difficoltosa l’adesione del Regno Unito alla Comunità europea, raggiunta solo attraverso un’intesa
attività della giurisprudenza che, non senza difficoltà, è arrivata a riconoscere la supremazia del diritto
costituzionale su quello interno. In questo quadro si inserisce lo Human Rights Act (1998), una legge in
materia costituzionale che ha posto fine a un lungo dibattito sul ruolo della Convenzione europea per la
tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale Act prevede che tutte le disposizioni legislative,
passate e future, siano lette e applicate in conformità alla Convenzione e attribuisce ai giudici, in caso di
contrasto fra la legge interna e la Convenzione, il potere di pronunciare una dichiarazione di
incompatibilità. Appare dunque chiaro come il sistema istituzionale inglese, a partire dal 1998, sia andato
incontro ad una profonda rivoluzione in senso costituzionale. Tale rivoluzione, tuttavia, non ha diminuito
minimamente l’importanza della legge e del rapporto che sussiste tra questa e la giurisprudenza.

3.3 La Giurisprudenza e il principio stare decisis

Sebbene la regola secondo la quale casi analoghi debbano essere giudicati in modo analogo sia applicata in
tutto il continente, dato che risponde all’esigenza di certezza del diritto, di prevedibilità delle decisioni e di
parità di trattamento, la dottrina del binding precedent risulta essere una caratteristica peculiare del
modello inglese. Secondo tale dottrina, i precedenti giudiziari sono vincolanti e devono essere seguiti,
anche quando non risulti giusto farlo. Tale regola indica l'obbligo per il giudice chiamato a decidere una
controversia di non discostarsi dal precedente scaturito dalla decisione di un caso analogo, anche
nell'ipotesi in cui dovesse considerare detta decisione sbagliata o ingiusta.

L'affermazione delle regola stare decisis

Elaborato nel corso della storia delle corti di Westiminster e dalla Court of Chancery il diritto inglese è un
dirittogiurisprudenziale, è case law. L'obbligo di attenersi alle norme che sono poste dai giudici e di
rispettare i precedenti giudiziari è nella logica stessa di un diritto giurisprudenziale. Sebbene l’obbligo di
attenersi alle norme poste dai giudici rientri perfettamente nella logica del diritto giurisprudenziale, non da
sempre il principio dello stare decisis è effettivamente vincolante, tanto che nella fase di maggior sviluppo
della common law i giudici sono ben consapevoli del fatto di potersi discostare dalle decisioni dei
precedenti. Tuttavia, da un lato con i Judicature Act, che introdussero una riforma dell’amministrazione
della giustizia, e dall’altro con la corrente culturale predominante, che impose una concezione scientifica
delle discipline sociali con le conseguenti codificazioni continentali, si concretizzò un irrigidimento della
regola dello stare decisis, che sfociò nell’operato di un organo semi ufficiale tenuto a razionalizzare le
raccolte inglesi ed i law report. Nel XIX sec si impone nel mondo occidentale una concezione scientifica
delle discipline sociali. Tale spinta si concreta nei codici, in Inghilterra l'idea della condificazione non
attecchisce, ma l'esigenza di dare un assetto sistematico e coerente al diritto riesce comunque a trovare la
sua strada e si manifesta nell'irrigidimento della doctrine of precedent. Infine si consolida la teoria secondo
cui il precedente giudiziale è giuridicamente vincolante in modo assoluto, in quanto ciò viene enunciato
nella decisione precedente non è l'opinione di un giudice, ma la verbalizzazione di una regola di diritto
consuetudinario positivo -> teoria dichiarativa. Solo in tempi recentissimi si è nuovamente cominciato a
riconoscere ai giudici una funzione creativa. In definitiva poi è importante sottolineare che nessuna legge
ha mai sancito il principio dello stare decisis, che è invece sempre stato rispettato spontaneamente dai
giudici.

Teoria e prassi della regola stare decisis

Una corte risulta essere tenuta a seguire tutti i casi decisi da una corte ad essa gerarchicamente superiore e
le corti in grado di impugnazione risultano essere vincolate alle loro decisioni precedenti. Ciò che però è
importante sottolineare di questa regola generale è che la sola parte del precedente che realmente vincola
è la ratio decidendi. Operatività verticale ed orizzontale della regola del precedente. Per operatività
verticale si intende l’espressione della regola dello stare decisis tra giurisdizioni di diverso grado. In linea
generale la gerarchia rispecchia lo schema secondo cui la House of Lords è ormai vincolata alle decisioni
della Corte di giustizia europea e le corti inferiori, compresa la Court of Appeal, sono vincolate alle decisioni
della prima. Per operatività orizzontale, invece, si intende l’espressione della regola dello stare decisis tra
giurisdizioni di pari grado. A tal proposito si è molto dibattuto, in particolare con riguardo alla posizione
della House of Lords e della Court of Appeal:

1. la House of Lords, con la pubblicazione del practice statement (1966) dichiarò che per il futuro non si
sarebbe più sentita vincolata ai propri precedenti se ciò fosse apparso conveniente, in quanto "un’adesione
troppo rigida al precedente può essere causa di ingiustizia"

2. la Court of Appeal nel 1944 pubblicò quelle che sono le tre eccezioni al principio secondo cui essa è
vincolata dalle sue stesse decisioni:

 la Corte ha facoltà di decidere a quale di due sentenze in conflitto si atterrà;

 la Corte può rifiutare di attenersi ad una sentenza da essa stessa emessa qualora questa non sia
compatibile con una sentenza della House of Lords;

 la Corte non ha l’obbligo di attenersi ad una sentenza da essa stessa emessa se si accerta che detta
sentenza sia stata pronunciata per incuriam.

Lord Denning sostenne che la Corte d’appello si sarebbe dovuta sottrarre, qualora fosse apparso
conveniente, all’obbligo di seguire i propri precedenti, seguendo l’esempio della House of Lords. Tale
posizione, tuttavia, è contestata perché di fronte ad una sentenza ingiusta della Corte d’appello è
comunque lecito domandare l’istanza di terzo grado, cosa che invece non è possibile fare nella medesima
situazione con riguardo alla House of Lords.
La distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum

La ratio decidendi rappresenta il principio giuridico sotteso alla decisione che ha determinato quel
particolare risultato. La determinazione della ratio decidendi spetta al giudice che ha il potere di operare
distinzioni in considerazione degli elementi di fatto (distinguishing). Per applicare ad un caso la ratio
decidendi di un precedente è necessario analizzare i fatti con un alto grado di astrazione, in maniera tale da
trovare elementi di compatibilità tra le due diverse fattispecie (es. si arriva ad applicare la ratio decidendi
che ha indotto un giudice ha condannare il convenuto per danni fisici ad una causa nella quale il convenuto
ha causato soltanto danni morali).

Al contrario, qualora si intenda interpretare in senso restrittivo il precedente di una corte, i fatti specifici
finiranno per incidere fortemente e non sarà possibile applicare la ratio decidendi di tale precedente su una
nuova causa, eccezion fatta per il remoto caso in cui quest’ultima sia identica in ogni suo aspetto alla prima.
L’obiter dictum è tutto ciò che non rientra nella ratio del caso. Prendiamo l’esempio in cui la sentenza di
una corte non sia presa all’unanimità dei consensi: le sentenze delle corti inglesi, come sappiamo, hanno un
carattere personale, che evidenzia le opinioni concorrenti, ovvero quelle che sono concordi sul risultato
della sentenza ma non sui motivi che l'hanno prodotta, e le opinioni dissenzienti, ovvero quelle che sono
discordi in entrambi i casi. Sia le opinioni concorrenti che quelle dissenzienti risultano essere obiter dictum
della sentenza. Vi sono poi fattori intrinseci che possono dare maggiore o minore importanza al precedente
(es. l’età del precedente). La tecnica dell’overulling prevede l’abrogazione di una regola giurisprudenziale
vincolante. Tale abrogazione, però, ha un’efficacia retroattiva sino al momento del precedente annullato, e
questo perché l’overulling non consiste nel semplice cambiamento di una regola, quanto piuttosto nella
correzione di un errore che si considera sia sempre stato tale. Accanto all’overulling, tra le tecniche di
manipolazione del precedente troviamo:

 anticipatory overulling: una corte inferiore si sottrae al rispetto di un precedente di una corte superiore
quando risulta ragionevolmente certo che quest’ultima non seguirà più quel particolare precedente

 prospective overulling: una corte abroga un suo precedente, limitando l’effetto retroattivo di tale
abrogazione. I giudici inglesi, se mostrano prudenza per l’anticipatory overulling, sono invece totalmente
indifferenti nei riguardi di questa seconda figura di manipolazione del precedente. In definitiva, dopo aver
analizzato tutti questi motivi di flessibilità del sistema inglese, possiamo ritenere corretto sostenere che tra
il giudice di civil law e quello di common law intercorrano soltanto alcune differenze formali: il primo è
libero di discostarsi da qualsiasi decisione di un’altra corte, mentre il secondo può farlo soltanto nei limiti in
cui le tecniche descritte glielo consentono.

3.4. La legge e la sua interpretazione

Nonostante il principio della supremazia della legge venga consacrato con il Bill of Rights nel 1688, il
Parlamento si astiene per quasi un secolo e mezzo dal legiferare nelle materie di prevalente interesse delle
corti, lasciando così che la common law si sviluppi indisturbata. Con l’inizio del XIX secolo, tuttavia, il
Parlamento intraprende una consistente attività legislativa, volta principalmente ad eliminare alcune delle
caratteristiche più antiquate della common law. Il diritto, quindi, comincia ad identificarsi con la volontà del
legislatore e numerose riforme vengono attuate attraverso gli Acts del Parlamento. Con l’inizio del XX
secolo la common law entra in theage of the statutes e, successivamente, nel secondo dopoguerra, subisce
una massiccia fioritura della legislazione inglese, la orgy of statute making. Apparentemente dunque il ruolo
della legge nell’ambito delle fonti del diritto appare chiaro: gli statutes sembrano essere posti al vertice
della gerarchia. Tuttavia, vi è un certa discrasia tra le declamazioni teoriche e la realtà concreta. A fianco

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