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LEZIONE 22

ANTIOSSIDANTI: ENZIMI
Gli enzimi vengono utilizzati come strategia antiossidante nelle piante. Infatti, le piante sono
specializzate in questa strategia poiché rispetto alle cellule animali e umane hanno un’esigenza
superiore di attuare difese antiossidanti perché hanno un rischio di stress ossidativo più alto.
Quindi quello che fanno le piante per tamponare l’elevato rischio di stress ossidativo, oltre a
produrre gli altri antiossidanti come chelanti, bloccanti dell’ossigeno singoletto e donatori di
idrogeno, è fare un ciclo metabolico a scopo antiossidante: la fotorespirazione.
La fotorespirazione è un ciclo metabolico multi-compartimentale, cioè avviene
contemporaneamente in più compartimenti della cellula (a differenza degli ciclo di Calvin che
avviene tutto nel cloroplasto e il ciclo di Krebs che avviene tutto nel mitocondrio).
In questo ciclo, infatti, le molecole devono passare da un organello all’altro ed essere trasformate
dalle varie reazioni.
Analizzando il nome di questo ciclo: “fotorespirazione”, “foto” indica che avviene nelle piante, ma
in questo caso non c’entra nulla l’utilizzo della luce, mentre “respirazione” non deve ingannarci:
fino ad ora abbiamo concepito la respirazione come un modo per produrre energia, in questo caso
invece parliamo di un ciclo metabolico il cui unico scopo è quello di consumare l’ossigeno in
eccesso prodotto dalla fotosintesi.
Questo ciclo nelle piante avviene in tre organelli cioè nel cloroplasto, nel mitocondrio e nel
perossisoma che è un organello in comune con le cellule animali.
Sia nelle cellule animali che nelle cellule vegetali i perossisomi sono ricchi di enzimi antiossidanti di
cui il più rilevante è l’enzima catalasi.

In questa immagine (ottenuta grazie al TEM: microscopio elettronico a trasmissione) la catalasi è


talmente abbondante che precipita e forma un cristallo di catalasi all’interno della cellula.
Una cosa fondamentale da capire è che l’enzima catalasi è presente anche nell’uomo e non solo
nelle piante, e anche nell’uomo svolge una funzione antiossidante, però, nell’uomo non esiste la
fotorespirazione, esiste solo il perossisoma contenente enzimi antiossidanti, tra cui è presente
anche la catalasi.
Il ciclo inizia nei cloroplasti, continua nel perossisoma e nel mitocondrio e, essendo un ciclo
termina nel cloroplasto. Questo vuol dire che le molecole escono da un organello e passano in un
altro e dunque questo ciclo, per avvenire, ha la necessità che questi organelli siano vicini tra loro,
altrimenti le molecole prodotte uscendo dall’organello verrebbero perse.
Come fanno perossisomi cloroplasti e mitocondri a rimanere attaccati tra loro? Ci riescono perché
c’è un altro organello, cioè il vacuolo, che partecipa in maniera indiretta alla fotorespirazione con il
solo scopo di spingere i tre organelli a stare l’uno vicino all’altro.
Anche nelle cellule animali, se cerchiamo al microscopio il perossisoma questo è sempre vicino ai
mitocondri perché i mitocondri sono il centro in cui si concentra l’ossigeno e in cui ha origine lo
stress ossidativo. È dunque necessario che l’organello, cioè il perossisoma, che è deputato a porre
rimedio allo stress ossidativo si trovi vicino al mitocondrio.
Ma quando parte la fotorespirazione? Quando si creano condizioni di ossigeno superiori a quelle
normalmente presenti. A esempio, questo avviene quando la fotosintesi è insolitamente attiva in
casi di eccessiva illuminazione o soprattutto quando gli scambi di gas non sono efficienti perché gli
stomi sono chiusi e non esce l’ossigeno.
Nella prima reazione del ciclo, catalizzata dall’enzima Rubisco, l’O 2 reagisce con il ribuloso-1,5-
bifosfato. Questo vuol dire che l’enzima Rubisco, presente nello stroma del cloroplasto, è in grado
di accogliere come substrato o la CO2 o l’O2. Se ricordiamo è il magnesio a catturare i gas ed è
quindi in grado di catturare o la CO2 o l’O2 ed ovviamente lo fa con affinità diverse. Per l’anidride
carbonica ha una costante di affinità più bassa cioè è in grado di catturarla a minore
concentrazione mentre per l’ossigeno una costante di affinità maggiore; infatti, quando aumenta
la concentrazione di ossigeno va a prendere il posto della CO2.
Quindi quando la concentrazione di ossigeno supera un certo livello potremmo dire che l’ossigeno
spiazza la CO2 e diventa lui il substrato della Rubisco.
Si dice infatti che la Rubisco ha un duplice ruolo in quanto è sia in grado di fare la carbossilazione,
l’organicazione del carbonio, sia di prendere l’ossigeno come substrato. Quindi la Rubisco è una
carbossilasi ma anche ossigenasi e ovviamente le molecole che si ottengono sono diverse.
Quando si lega la CO2 sul ribulosio-1,5-bifosfato si forma un intermedio instabile che poi subito si
spezza in due molecole di 3-fosfoglicerato cioè due molecole a tre atomi di carbonio (ricorda che il
ribulosio-1,5-bifosfato è a 5 atomi di carbonio quando poi gli si lega l’anidride carbonica diventa a
6 atomi di carbonio). Quando al ribulosio si lega all’ossigeno non si potranno mai formare queste
due molecole di glicerato, dato che il ribulosio rimane a 5 atomi di carbonio. Anche in questo caso
si forma un intermedio instabile che però si spezza in due molecole diverse: una molecola di 3-
fosfoglicerato e una di fosfoglicolato.
Dunque, riassumendo la reazione del ribulosio-1,5- bifosfato con l’ossigeno, catalizzata sempre
dall’enzima Rubisco, porta alla formazione di due molecole diverse: una di 3-fosfoglicerato e una
di fosfoglicolato.

Il problema però è che, come possiamo leggere dall’immagine, il fosfoglicolato è un prodotto di


scarto poiché è tossico quindi il resto delle reazioni serviranno a smaltire il fosfoglicolato.
Ma perché il fosfoglicolato è tossico? Perché inibisce un enzima che si chiama
triosofosfatoisomerasi, l’enzima che nella quinta reazione della glicolisi trasforma il
diidrossiacetonefosfato in gliceraldeide-3-fosfato. Questo comporta un problema serio perché se il
fosfoglicolato inibisce questo enzima viene bloccata la glicolisi, dunque, è una sostanza che deve
essere smaltita.
Ora analizziamo il ciclo della fotorespirazione:
La fotorespirazione è un ciclo che coinvolge più organelli e il suo scopo è quello di smaltire
l’ossigeno e l’enzima che lo fa è fondamentalmente la Rubisco. Viene prodotto della prima
reazione fosfoglicerato e fosfoglicolato. Il fosfoglicerato va nel ciclo di Calvin, ma con una resa
dimezzata, anche perché consumando il ribulosio-1,5-bifosfato tutto il 3-fosfoglicerato serve a
rigenerare il ribulosio.
Quando la CO2 si lega al ribulosio si formano 2 unità di 3-fosfoglicerato che nel ciclo di Calvin
servono una parte per produrre glucosio e una parte per rigenerare il ribulosio. In questo caso
poiché è l’ossigeno a legarsi al ribulosio, si forma una sola molecola di 3-fosfoglicerato che viene
utilizzata tutta per rigenerare il ribulosio mentre la parte che nel ciclo di Calvin veniva utilizzata per
produrre glucosio viene persa completamente.
Cosa succede invece al fosfoglicolato? Una volta perso il gruppo fosfato esce dal cloroplasto ed
entra nel perossisoma. Il perossisoma anche nell’uomo è un organello in grado di prendere
l’ossigeno e smaltirlo. Nel perossisoma vegetale quando entra il glicolato viene ossidato da
un’altra unità di ossigeno producendo una molecola intermedia chiamata gliossilato.
Nell’ossidazione del glicolato da parte dell’ossigeno si produce acqua ossigenata H 2O2 che viene
scissa dall’enzima catalasi in acqua e ossigeno. Questo vuol dire che nel perossisoma entra un
equivalente di ossigeno e se ne produce mezzo, quindi, vuol dire che si consuma 0,5 di ossigeno.
Quindi tutto il ciclo consuma 1,5 equivalenti di ossigeno, 1 nel cloroplasto e 0,5 equivalenti nel
perossisoma.
Il gliossilato viene trasformato in un amminoacido, la glicina e contemporaneamente il
glutammato viene trasformato in α-chetoglutarato grazie all’enzima transaminasi che è
quell’enzima che trasforma i chetoacidi in amminoacidi.
La glicina esce dal perossisoma e va nel mitocondrio dove due unità di glicina di uniscono per fare
una reazione di decarbossilazione e ossidazione con un NAD (liberando CO 2 e NH3 nel mitocondrio)
e alla fine si produce serina, che ha un carbonio in più rispetto alla glicina, per questo ci vogliono
due unità glicina che reagiscono.
La serina esce dal mitocondrio ed entra nel perossisoma dove consumando NADH si forma il
glicerato. Il glicerato esce dal perossisoma e infine va nel cloroplasto e consumando ATP riproduce
3-fosfoglicerato. Dal 3-fosfoglicerato si produce ribulosio chiudendo il ciclo.
Nel ciclo, nel complesso, il NAD non si consuma e non si produce perché in una reazione il NAD
diventa NADH e in un’altra l’NADH diventa NAD.
La pianta però, nello svolgere questo ciclo, ha tre seri problemi.
Il primo è che alla pianta per fare la fotorespirazione, cioè per smaltire l’ossigeno deve investire
dal punto di vista energetico. Ciò vuol dire che serve l’ATP e infatti ne viene consumata una certa
quantità ogni volta che si ripete il ciclo.
Il secondo problema è che nel corso della reazione che avviene nel mitocondrio e che porta alla
produzione della serina viene liberata anche ammoniaca. La liberazione di ammoniaca non è un
fattore positivo per il mitocondrio, poiché essendo che il mitocondrio presenta un gradiente
protonico, la liberazione di una sostanza basica come l’ammoniaca è come se andasse a
“spegnere” il gradiente protonico poiché reagisce con gli H+.
Il terzo problema, ed anche più importante, è che la Rubisco è una sola; dunque, se fa la
fotorespirazione non fa la fotosintesi.
Dunque, il meccanismo di fotorespirazione è alternativo, cioè blocca la fotosintesi. Se la pianta ha
tanto ossigeno da smaltire, non produce più glucosio perché viene bloccata la fotosintesi.
Il meccanismo della fotorespirazione è attivo circa nel 90% delle piante, cioè in quelle piante che
vivono in climi temperati (fanno fotosintesi C3) e che attivano questo ciclo solo in particolari
momenti, in particolari giorni, in particolari stagioni, ad esempio quando in estate fa molto caldo,
la pianta è costretta a chiudere gli stomi e l’ossigeno tende ad accumularsi.
Una pianta che invece vive in climi aridi e molto caldi non può fare la fotorespirazione, poiché se la
facesse, dovrebbe farla continuamente bloccando sempre la fotosintesi andando in uno stato di
sofferenza che non si può permettere.
Quindi succede che le piante che vivono in climi aridi, come il mais o la canna da zucchero, pur di
non fare la fotorespirazione, modificano la fotosintesi, fanno una fotosintesi modificata che si
chiama fotosintesi C4.
Se facessero la fotosintesi C3 (si chiama C3 perché molte molecole della fotosintesi hanno 3 atomi
di carbonio) dovrebbero per forza fare la fotorespirazione e quindi avrebbero una bassa efficienza
fotosintetica ottenendo il cosiddetto effetto Warburg.
Questo effetto si chiama così perché Warburg, quando si sapeva ancora molto poco sulla
fotosintesi, sottopose le piante ad una atmosfera di ossigeno e capì che questa piante facevano
meno fotosintesi rispetto a quanta ne facevano le piante in condizioni normali. Cioè una pianta
messa in atmosfera di ossigeno, va in difficoltà, perde di efficienza poiché l’enzima Rubisco è sia
quello che smaltisce l’ossigeno che quello che fa la fotosintesi, dunque, se deve smaltire maggiori
quantità di ossigeno farà meno fotosintesi.
Quindi queste piante, che vivono in climi molto caldi, ed essendo costrette ad avere gli stomi
chiusi devono vivere con grandi quantità di ossigeno senza poter fare la fotorespirazione, che
soluzione escogitano? Fanno questa fotosintesi modificata in cui la fase luminosa e la fase buia
avvengono in due cellule differenti.
La cellula in cui avviene la fase luminosa è la cellula in cui si produce ossigeno, mentre la cellula in
cui avviene la fase buia è la cellula in cui deve agire la Rubisco. In questo modo, l’ossigeno non
viene a contatto con la Rubisco che dunque può continuare a lavorare senza problemi.
La prima fascia di cellule della foglia, cioè le cellule che stanno più in alto fanno solo la fase
luminosa, mentre quelle che stanno nelle fasce più interne, cioè stanno più in basso fanno la fase
buia, cioè quella in cui non serve la luce.
Ovviamente le cellule che fanno la fase luminosa sono in comunicazione con quelle che fanno la
fase buia e infatti devono trovare un modo per portare i prodotti della fase luminosa, cioè l’NADPH
e l’ATP, dalle cellule più in alto alle cellule più in basso che hanno bisogno di questi prodotti per
fare la fase buia.
Inoltre, la CO2 che entra dagli stomi deve arrivare alle cellule che fanno la fase buia e non lo fa
attraversando le cellule per diffusione ma deve essere smistata in qualche modo.
Ciò avviene mediante un altro piccolo ciclo che prende il nome di ciclo C4 o ciclo di Hatch-Slack
il cui unico scopo non è quello di modificare la fotosintesi ma di trasportare la CO 2, cioè a
prenderla da sopra e portarla giù alle cellule dove deve avvenire la fase buia.
Ci sono alcune differenze tra le foglie che fanno la fotosintesi C3 e le foglie che fanno la fotosintesi
C4.
Le piante C4 non presentano mesofillo a palizzata ma solo mesofillo spugnoso e intorno al fascio
vascolare presentano delle cellule grandi e ben organizzate che hanno i cloroplasti (a differenza
delle piante C3 in cui invece le cellule che circondano il fascio vascolare sono piccole e giallognole).
Queste cellule vicine al fascio vascolare sono quelle in cui avviene la fase buia delle piante C4 e
prendono il nome di cellule della guaina del fascio vascolare e la loro posizione in questo caso è
strategica poiché queste cellule che fanno la fase buia e che producono glucosio, essendo molto
vicine a questi vasi fanno si che il glucosio appena prodotto possa entrarvi ed essere indirizzato e
trasportato dove necessario.
Queste piante C4 quindi evitano la fotorespirazione e il fare questa fotosintesi modificata le rende
a più alta efficienza fotosintetica.
Ciò perché essendo che quasi tutte le piante fanno la fotorespirazione, e la fotorespirazione
comporta una perdita dell’efficienza fotosintetica, essendo che queste piante non fanno la
fotorespirazione non la subiscono questa perdita di efficienza fotosintetica, dove per efficienza
fotosintetica di intende la quantità di glucosio prodotta a parità di CO2.
Le piante C4 sono più efficienti fotosinteticamente perché, mentre celle piante C3, una volta
entrata l’anidride carbonica attraverso gli stomi, questa arrivava alle cellule per diffusione e quindi
in parte andava persa, in queste piante, grazie al ciclo di Hatch-Slack la CO2 non viene persa ma
viene tutta catturata nel primo strato di cellule e poi portata giù alle cellule della guaina del fascio
evitando la diffusione.

Il ciclo di Hatch-Slack serve per spostare la CO2.


La CO2 entra dagli stomi e viene catturata dal primo strato ci cellule del mesofillo spugnoso. In
queste cellule c’è un enzima che si chiama fosfoenolpiruvato-carbossilasi grazie al quale il
fosfoenolpiruvato reagisce con la CO2 e diventa ossalacetato. Citocromo C ossidasi, Rubisco e
fosfoenolpiruvato-carbossilasi sono gli enzimi, tra quelli analizzati fino ad ora capaci di accogliere
un gas come substrato, dove però il fosfoenolpiruvato-carbossilasi a differenza della Rubisco
ospita la CO2 come substrato ma non è per niente sensibile all’ossigeno. Ciò vuol dire che per
quanto sia alta la concentrazione di ossigeno l’enzima non lo accoglierà mai come substrato.
L’ossalacetato viene poi ridotto dall’NADPH producendo acido malico (o malato). L’acido malico in
questo caso è capace di attraversare le membrane delle cellule ed è quella molecola che passa
dalle cellule più in alto a quelle della guaina del fascio.
Quando l’acido malico oltre alle membrane delle cellule, deve attraversare le pareti, lo fa
mediante i plasmodesmi, attraverso la quale passa anche l’ATP che va dalle cellule della fase
luminosa dove viene prodotta alle cellule della guaina del fascio.
L’acido malico una volta arrivato nelle cellule più interne subisce un’ossidazione, riducendo una
molecola di NADP a NADPH, e una decarbossilazione cedendo la CO2 che entra nel ciclo di Calvin e
formando l’acido piruvico.
L’acido piruvico esce da queste cellule più interne, arriva in quelle superiori dove viene
ritrasformato dall’ATP in fosfoenolpiruvato e così si chiude il breve ciclo.
Dunque, abbiamo visto come l’anidride carbonica e l’ATP riescono a passare da un cellula all’altra,
ma trova maggiore difficoltà a spostarsi un’altra molecola, cioè il NADPH per un motivo principale:
la grandezza della molecola.
L’NADPH, infatti, viene trasportata in modo indiretto poiché reagisce nella fase buia diventando
NADP+, viene poi trasportato nelle cellule in cui avviene la fase luminosa, dove fungendo da
substrato viene ridotto nuovamente a NADPH.
Lo stesso avviene per il NADP+ che arriva come NADPH nelle cellule più interne e durante il ciclo di
Calvin viene riossidato a NADP+.
Un'altra cosa importante da sottolineare è che come ben sappiamo il fosfoenolpiruvato è un
molecola a più alta energia rispetto all’ATP, tanto da poter reagire con l’ADP per sintetizzare ATP,
ma abbiamo da poco detto che il piruvato una volta uscito dalle cellule della fase buia, arrivando
alle cellule della fase luminosa, grazie all’ATP diventa fosfoenolpiruvato.
Come è possibile questa cosa?
Non si può ottenere fosfoenolpiruvato semplicemente cedendo un gruppo fosfato al piruvato,
poiché il fosfoenolpiruvato è a più alta energia dell’ATP. Allora bisogna ricavare più energia
dall’ATP e lo si fa idrolizzando non solo un legame fosfoanidridico, ma due.
Quindi succede che il piruvato invece di reagire con l’ATP prendendo un gruppo fosfato, prende
due gruppi fosfato rompendo due legami fosfoanidridici. Il prodotto che otterremo sarà AMP
(adenosinmonofosfato), poi un gruppo fosfato sarà ceduto al piruvato e l’altro gruppo fosfato
verrà liberato. (Anche nella sintesi degli acidi nucleici avviene qualcosa di simile)
Questo gruppo fosfato inorganico liberato dall’ATP viene riciclato ed utilizzato poi nella
fosforilazione ossidativa.

NOTA:
Nelle cellule della guaina del fascio si realizza un’altissima concentrazione di CO 2, che è circa 10
volte la concentrazione di CO2 che si ottiene facendola entrare dagli stomi. Per questo motivo si
parla di altissima efficienza fotosintetica.
Le piante C3 hanno un intervallo di efficienza fotosintetica. A temperatura molto bassa la
fotosintesi è più efficiente mentre a temperature più alte è più bassa l’efficienza fotosintetica
poiché c’è troppa fotorespirazione. Per le piante C3 la temperatura ottimale è infatti di 20/25°.
Nelle piante C4 invece l’efficienza fotosintetica aumenta a ad alte temperature ed hanno una
temperatura ottimale di 30/35°.
Ad una temperatura di 30/32° una pianta normale non è in grado di fare la fotosintesi mentre la
pianta C4 la fa e anche bene. I motivi sono due:
1) Non ci sono le perdite della fotorespirazione;
2) Tutta la CO2 viene catturata per la fotosintesi.

Ci potremmo però domandare: siccome questa fotosintesi C4 è così efficiente, come mai non la
fanno tutte le piante? Perché l’evoluzione ha bisogno di una spinta ambientale, la cosiddetta
pressione ambientale. Se non c’è la pressione ambientale a cambiare qualcosa per ottimizzarlo, il
cambiamento non avviene. Quindi le piante che vivono nei climi temperati non hanno avuto la
pressione ambientale a ottimizzare la fotosintesi.
Le piante che vivono in climi temperati possono permettersi di fare la fotorespirazione; invece, le
piante che vivono costantemente nello stress idrico hanno modificato la fotosintesi facendo la
fotosintesi C4. È dunque la pressione ambientale a selezionare l’evoluzione.
Inizialmente parlando delle piante C4 abbiamo citato come esempi la canna da zucchero e il mais.
Potremmo allora supporre che le due piante abbiano un progenitore in comune che con la
pressione ambientale si è diramato e trasformato in mais, canna da zucchero e altre piante C4. In
realtà non è così, infatti, il ciclo C4 è il miglior esempio possibile di EVOLUZIONE CONVERGENTE.
Cosa intendiamo per evoluzione convergente?
La pressione ambientale era la stessa sia per la pianta di mais che per quella di canna da zucchero
che erano già piante separate. La stessa pressione ambientale ha determinato la stessa risposta,
come se quella fosse l’unica risposta possibile. Quindi si parla di evoluzione convergente quando
un tratto evolutivo evolve indipendentemente in specie non legate tra loro.

FOTOSINTESI C4 NEL RISO C3: UN’ANALISI TEORICA DEI FATTORI BIOCHIMICI E ATOMICI
Nell’ articolo si parla di un’idea dei cinesi secondo la quale, essendo che loro vivono di riso sarebbe
fondamentale un’ottimizzazione della produzione del riso. Il riso però è una pianta C3 e la loro
idea era quella di prendere parti del DNA di una pianta C4 (mais) e metterlo nel riso per farlo
diventare C4. L’idea che si sta facendo strada è quindi quella di trasformare il riso in una pianta C4
per renderla più efficiente.

La fotorespirazione è la strategia che utilizzano le piante C3 per smaltire ossigeno. Le piante C4 che
non possono fare la fotorespirazione avranno il problema dello stress ossidativo; quindi, faranno
uscire l’ossigeno dagli stomi o utilizzeranno un maggior numero di molecole antiossidanti.
Dunque, le piante C4 producono o più antiossidanti ma ogni tanto dovrebbero aprire gli stomi
perché deve entrare la CO2 ed uscire l’ossigeno.
Che succede se fa molto caldo? Gli stomi non si aprono mai.
Allora le piante che vivono in regioni sempre calde fanno il cosiddetto adattamento xerofitico.
Infatti, la maggior parte di queste piante che vivono nei deserti come il cactus, hanno le spine.
Questo perché? Perché in realtà le foglie sono grandi depositi di acqua e le spine servono a
proteggere da eventuali attacchi di predatori. Quindi le spine servono a proteggere il deposito di
acqua.
Dal punto di vista metabolico queste piante non possono mai aprire gli stomi di giorno perché fa
sempre troppo caldo e quindi si seccherebbero. Allora queste piante aprono gli stomi di notte e
prendono il nome di piante CAM.
Ovviamente le piante C3 costituiscono il 90% circa delle piante totali, il 6/7% sono le piante C4 e il
restante 3/4% sono piante CAM (cactus, ananas…).
Ma se queste piante aprono gli stomi di notte, vuol dire che fanno la fotosintesi di notte. Ma come
è possibile ciò se di notte la luce è assente? Esse, infatti, non fanno la fotosintesi di notte, ma
semplicemente di notte, aprendo gli stomi, catturano l’anidride carbonica che poi useranno
durante il giorno per fare la fotosintesi.
Si parla in questi casi di “fotosintesi con gli stomi chiusi”.
Ma come fanno queste piante a far entrare la CO2 e a tenerla intrappolata per diverse ore al loro
interno fino all’arrivo della luce e l’inizio della fotosintesi? Fanno il ciclo di Hatch-Slack. Questo
ciclo però non avviene in due cellule diverse ma tutto nella stessa cellula.
Quindi in questo caso questo ciclo non è un modo per risolvere il problema della fotorespirazione
ma lo fanno per trattenere CO2.

La cellula cattura CO2 la fa diventare acido malico che a questo punto risulta essere la molecola di
riposo che aspetta che passi la notte. L’acido malico va nel vacuolo e aspetta che faccia giorno.
Quando fa giorno, esce dal vacuolo e libera CO2.
Di conseguenza questa non è ad alta efficienza fotosintetica poiché qui non ci sono due cellule,
come nelle piante C4, ma qui avviene anche la fotorespirazione.
Quindi il ciclo di Hatch-Slack è la stessa risposta a due esigenze diverse:
1) Nelle piante C4: separazione spaziale
2) Nelle piante CAM: separazione temporale.
Esistono però, anche alcune piante CAM facoltative.
La domanda che sorge spontanea è: ma se prendo un cactus dal deserto e lo pianto in una zona a
temperatura mite, che succede?
Alcune piante sono CAM OBBLIGATE e quindi si comporterebbero anche qui da piante CAM.
Altre invece sono CAM FACOLTATIVE e aprono gli stomi di giorno. Nelle giornate fresche e umide
le piante CAM facoltative svolgono il loro ciclo normale.

Ci sono però sulla terra dei posti in cui fa caldo anche di notte, dunque, come fanno le piante in
questi luoghi? In alcuni casi è possibile che non si possano aprire gli stomi neanche di notte.
Allora la pianta come fa? Se non apre gli stomi non può far entrare ossigeno e far uscire anidride
carbonica.
RICORDA: la respirazione cellulare è il contrario della fotosintesi.
La fotosintesi non è un ciclo perfetto, poiché la pianta utilizza il glucosio non solo per le
respirazione, ma anche per sintesi delle pareti cellulari, crescita, etc.…
Se capitano giorni in cui non può aprire gli stomi la pianta rinuncia a tutto: non può avvenire la
mitosi, non fa la duplicazione cellulare etc.… allora blocca il suo sviluppo e si chiude in un ciclo in
cui l’ossigeno lo cede alla respirazione cellulare e l’anidride carbonica la prende dalla respirazione
cellulare per la fotosintesi. Ovviamente in questo caso la pianta non può sintetizzare neanche una
cellula, altrimenti il ciclo finirebbe.
Quindi in alcuni casi di stress estremo le piante non aprono gli stomi e riciclano la CO 2 della
respirazione. Tecnicamente anche l’acqua potrebbero prenderla dalla respirazione cellulare. La
fonte di energia in questi casi è ovviamente la luce e la pianta in questa condizione non può
crescere.
NOTA:
nel 900 di diffuse la moda di mettere piante nelle bottiglie. Le piante morivano? No! Ma si
dovevano scegliere piante in grado di bloccare la loro crescita. Queste piante erano messe con
poca acqua alla luce e facevano un unico ciclo chiuso (respirazione e fotosintesi).

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