I batteri sono dei microrganismi procarioti non sempre nocivi ma che possono svolgere delle funzioni benefiche per il
nostro organismo come, ad esempio, i batteri che popolano la flora intestinale importanti per il corretto
funzionamento del sistema immunitario.
Questi rappresentano una piccola porzione del mondo batterico, ovvero quello che ci aiuta a combattere gli agenti
patogeni più pericolosi, mentre l'altra porzione di questa popolazione riguarda tutti quei microrganismi che sono in
grado di arrecare all' organismo umano dei danni che si traducono con le famose infezioni batteriche.
I batteri sono classificati in base a diverse tipologie di classificazione. Una delle più adottate consiste nel classificare i
batteri in base alla loro forma.
Le principali categorie di batteri sono:
- Cocchi
- Bacilli
- Altri a forma spiralica
I batteri sono caratterizzati anche da tre parametri:
- Infettività: La capacità di un microrganismo di penetrare e replicare in un ospite.
Questo è un momento fondamentale dell’infezione batterica perché se il batterio penetrasse all'interno della
nostra cellula e il suo ciclo vitale si fermasse lì ovviamente non ci sarebbe nessun tipo di problema. Ma il
batterio una volta all'interno dell'organismo è in grado di replicare e quindi di formare tanti cloni e quindi di
espandere la popolazione batterica e di conseguenza i danni associati all’infezione stessa.
- Virulenza: misura del potere patogeno di un agente. Cioè rappresenta quanto danno ci arreca il
microrganismo una volta infettati. Questa è una caratteristica propria di ciascuna specie batterica.
- Stabilità: Esprime il tempo di persistenza dell’infettività di un agente al di fuori dell'ospite.
È un parametro principalmente virale perché il batterio sopravvive spesso e volentieri. Questo perché il virus
per poter duplicare il suo materiale genetico necessità di tutto l'armamentario di duplicazione della cellula
ospite in assenza della quale lui non dispone degli enzimi e degli organuli necessari per poter duplicare il suo
materiale genetico e quindi poi tradurlo in proteine.
Quali sono i principali siti attraverso cui il patogeno può entrare nel nostro organismo e quindi arrecarci danno?
Come detto prima non tutti i batteri sono pericolosi, molti sono nostri simbionti come, ad esempio, quelli della flora
intestinale altri possono indurre un'infezione che è possibile sconfiggere facilmente, altri ancora hanno un grado di
pericolosità maggiore.
Questi qui descritti vengono egregiamente affrontati grazie a diversi antibiotici che ci permettono di sconfiggere
quasi ogni infezione batterica, ma se pensiamo a 50 anni fa, con queste infezioni batteriche si moriva facilmente.
Se questi batteri pericolosi ad oggi sono contrastabili con l'utilizzo di un farmaco è perché sono passati un centinaio
d'anni dalla scoperta della penicillina, Il primo grande antibiotico che poi è stato commercializzato. Durante questi
100 anni è stato possibile identificare i meccanismi del ciclo cellulare batterico e quindi è stato possibile progettare
delle molecole in grado di attaccare in maniera selettiva questi meccanismi indispensabili per la sopravvivenza della
cellula batterica.
Le infezioni batteriche più comuni si manifestano sotto forma di ascessi, endocarditi, infezioni biliari, nel cavo orale,
osteomieliti e la tubercolosi. Questi sono tra le infezioni più comuni di cui poi parleremo.
CHEMIOTERAPICI
Quali sono le armi a nostra disposizione per poter combattere le infezioni batteriche.
La prima definizione di antibiotico è volta a sostanze di origine naturale prodotte generalmente da microrganismi
come gli stessi batteri, i funghi o gli actinomiceti in grado di reprimere o distruggere la sopravvivenza di altri
microrganismi.
Nonostante questo, rientrano nella classificazione anche le sostanze di origine sintetica.
Chemioterapici sono quindi farmaci che vengono prodotti attraverso una via sintetica in grado di bloccare o ridurre la
crescita di microrganismi batterici.
L'obiettivo della terapia antibatterica è quello di debellare la specie patogena e questo può avvenire in due modi: Un
modo più drastico e uno meno drastico.
Farmaco battericida: è un farmaco in grado di uccidere i microrganismi e quindi va a bloccare uno dei meccanismi
cellulari del batterio fondamentali per la sua sopravvivenza e per la sua crescita
Farmaco batteriostatico: è un farmaco meno drastico rispetto a quello battericida in grado di ridurre la
moltiplicazione della cellula batterica senza uccidere il batterio.
Bloccare la replicazione della cellula batterica è comunque un effetto importante perché ciò andrà a ridurre la
colonia di microrganismi e il sistema immunitario successivamente giocherà poi la sua parte andando ad eliminare la
popolazione batterica. Bloccare quindi la replicazione batterica è un meccanismo meno drastico ma che ci permette
di raggiungere lo stesso obiettivo.
Differenze molto importanti, sia in termini strutturali della cellula e delle macromolecole che la compongono sia in
termini di attività metaboliche, ci danno la possibilità di utilizzare delle molecole che funzionino unicamente nel caso
degli enzimi o dei recettori batterici lasciando quindi non affetti gli organismi superiori.
Nell’immagine sono raffigurate tutte le diverse classi di farmaci che agiscono sui diversi bersagli del batterio.
SULFAMIDICI
Sono dei chemioterapici venuti fuori attraverso una campagna sintetica, non sono molecole di origine naturale.
Sono stati farmaci molto utilizzati intorno agli anni 30 ma che oggi sono di scarso impiego, tranne che per casi
specifici, sia per un certo grado di tossicità sia perchè sono stati superati da farmaci più sicuri, maneggevoli e potenti.
Rappresentano la storia della chemioterapia antibatterica e in alcuni casi ancora oggi vengono utilizzati.
Quando il prontosil veniva dato in vivo e quindi andava in contatto con enzimi presenti a livello epatico, quali le
reduttasi, il doppio legame N=N veniva idrolizzato attraverso una riduzione generando la sulfanilammide e 1,2,4
triamminobenzene.
Il prontosil rosso risultava un antibatterico grazie alla formazione della solfonilamide a seguito dell’idrolisi del doppio
legame N=N e quindi può essere considerato un profarmaco. Quindi il prontosil rosso è una molecola che di per se è
inattiva ma a seguito di un metabolismo cellulare endogeno libera il principio attivo, e nel caso specifico parliamo
della sulfanilammide, mentre la triammino benzene svolge solo un ruolo farmacocinetico ma non ha nessun tipo di
attività biologica.
La sulfanilammide appartiene ad una classe chimica, quella dei sulfamidici.
SO2NH2 è definita funzione sulfonilamidica.
Si cercò di migliorare le prestazioni della sulfanilammide e per far ciò, questo vale per ogni farmaco, è necessario
capire il meccanismo d’azione.
MECCANISMO D’AZIONE
I sulfamidici sono inibitori dell'acido folico, una vitamina necessaria per la crescita della maggior parte degli
organismi viventi e indispensabile per la sintesi delle basi puriniche pirimidiniche di alcuni aminoacidi essenziali come
serine e metionina.
A partire da 6-idrossi-diidropterina si ha una cascata di reazioni che porta alla sintesi di acido folico.
La prima reazione, catalizzata dall'enzima 6-idrossi metil- diidropterina pirofosfato chinasi, consiste nell’addizione di
due unità fosfato all’OH alcolico primario della pterina con formazione del 6-idrossimetil-diidropterina pirofosfato.
L’addizione di 2 unità fosfato è molto frequente nelle tappe biosintetiche e metaboliche perché l’OH non è un buon
gruppo uscente e quindi per sostituire l’Oh con un altro gruppo è necessario convertirlo in un ottimo gruppo uscente
e si considera quasi sempre il fosfato. Esso oltre ad essere un buon gruppo uscente è molto abbondante nella nostra
cellula.
La reazione successiva consiste nella condensazione con l’acido paraammino benzoico, detto PABA. Esso viene
coniugato al CH2 del pterina con la fuoriuscita del difosfato attraverso una reazione catalizzata dal diidropteroato
sintetasi (DHPS) formando il diidropteroato.
Quest’ultimo, a sua volta, viene accoppiato con un residuo di acido glutammico (questo è un amminoacido naturale
presente anche nei batteri) al carbossile dell’acido paraammino benzoico grazie all’enzima diidrofolato sintetasi
(DHFS).
Ne viene così fuori il diidrofolato, che non rappresenta ancora la forma attiva dell’acido folico.
Il doppio legame (cerchiato sul libro) andrebbe ad ostacolare l’aggiunta di quel residuo formiminico e quindi è
importante ridurre questo doppio legame N-C per formare il tetraidrofolato. Questa reazione di riduzione è
catalizzata dall'enzima definito diidrofolato reduttasi (DHFR); esso esiste sia nei microbi sia negli organismi superiori,
perché quest'ultimi che assumono acido folico dall'esterno necessitano comunque di ridurlo per formare il
tetraidrofolato, nonostante siano due isoforme diverse.
DOVE AGISCONO I SULFAMIDICI?
Agiscono bloccando la tappa biosintetica catalizzata dalla diidropteroato sintetasi che riguarda la coniugazione con il
PABA sul 6-idrossimetil- diidropterina pirofosfato per formare il diidropteroato.
Esistono diversi tipi di inibizione enzimatica: competitiva, che si verifica, da parte di un farmaco, quando vi è una
competizione del farmaco con il substrato endogeno per legare il sito attivo, e allosterica.
Nell'immagine sono messi a confronto il PABA con le interazioni che forma con l’enzima diidropteroato rispetto alla
sulfanilammide che è il capostipite di questa classe di farmaci che agisce come inibitore competitivo dell'acido
parammino benzoico.
L'enzima diidropteroato sintetasi non è in grado di discriminare tra il PABA, suo substrato endogeno, e la
sulfanilammide, farmaco.
Quindi esso va a legare la sulfanilammide al posto del PABA e il suo sito catalitico rimane impegnato dal farmaco e
non più disponibile per il substrato endogeno. Questo provoca che tutto il meccanismo biosintetico si blocca in
quanto anziché il COO- ci sarà SO2NH2, il gruppo del sulfamidico e l’SO2H2 non può essere accoppiato con l’acido
glutammico, non è una reazione chimicamente accessibile e quindi la biosintesi del tetraidrofolato si blocca a questo
livello.
Come risultato finale non si ha la formazione dell’acido folico, indispensabile per la sintesi delle molecole biologiche.
Quali sono le interazioni chimiche che si verificano tra l’enzima e il substrato e che quindi devono essere mimate dal
farmaco?
Infatti, con l’inibizione competitiva noi dobbiamo stabilire tra il farmaco e l’enzima Le stesse interazioni, se non più
forti, che l’enzima stabilisce con il substrato.
Le interazioni sono l’NH2 del PABA che forma un legame H con il sito attivo e quindi in questa regione dell’enzima ci
deve essere un amminoacido in grado di formare dei legami H con l’NH2.
Per il farmaco, lo stesso NH2 aromatico che forma lo stesso tipo di interazione e quindi non cambia niente per
l’enzima.
L’anello aromatico forma legami di van der waals e più nello specifico legami π, interazioni elettroniche che si
instaurano grazie alla nube di elettroni che circola negli orbitali π.
Avendo due molecole di benzene, molecola planare, gli elettroni π possono interagire con altri sistemi di elettroni π
presenti in altri anelli aromatici e quindi le 2 molecole di benzene si dispongono in modo parallelo tra loro e si ha una
parziale sovrapposizione degli orbitali nella parte apicale e questo genera un legame debole.
Essendo un anello benzenico quindi, sia dell’acido parammino benzoico sia della sulfanilammide, esso formerà
queste interazioni con un amminoacido aromatico.
Anche l’anello arilico non fa differenza
Capito questo subentra il chimico farmaceutico. Cosa si può fare per migliorare l’attività della sulfanilammide?
Devo rendere il pka di essa quanto più simile al pka del substrato endogeno e per fare questo devo rendere quel H
più acido.
Vicino all’H vado a metterci un sistema coniugato e aromatico che sia in grado di stabilizzare la carica negativa che si
forma su quel N al momento della deprotonazione; l’acidità di quel H è tanto maggiore quanto più stabile sarà la sua
base coniugata.
Affiancandoci quindi un sistema coniugato e aromatico la carica negativa viene delocalizzata e questo succede con
tutti i sulfanilammidici che sono venuti dopo la sulfanilammide.
Tutti i sulfanilammidici presentano legati al N sulfonammidico un eterociclo aromatico in grado di delocalizzare una
carica negativa.
Nel momento in cui questo N si deprotona la carica negativa è stabilizzata per risonanza su tutto l’eterociclo e quindi
l’anione risulta stabile e di conseguenza quel H risulterà più acido perché si può allontanare facilmente generando
una base coniugata stabile.
Non solo io ho reso il pka dei sulfamidici simile a quello del substrato endogeno ma ho aggiunto una porzione
lipolifila che va a formare interazioni aggiuntive, interazioni di van der waals, con il target andando quindi a
potenziare il legame e renderlo più stabile rispetto a quello che formava con il PABA.
RELAZIONI STRUTTURA-ATTIVITÀ
I sulfamidici sono molecole estremamente semplici e possiamo dedurre che andando a variare la funzione
solfonamidica con una funzione carbonilica o ammidica l’attività diminuisce perché l’acidità del H diminuisce e quindi
diminuisce la carica negativa indispensabile per la formazione del legame ionico.
Quando noi parliamo di interazioni vi riferiamo a interazioni deboli ma tra di esse avremo qualche interazione più
forte tra cui la ionica rispetto a quella di van der waals e legame H. Essa è responsabile generalmente dell’affinità,
cioè il primo legame che si forma tra il farmaco e il substrato e l’enzima e poi subentrano le altre interazioni.
Andando a sostituire la funzione solfonammidica con una funzione meno acida non porta bene.
Nell’immagine la funzione solfonammidica è sostituita con un parammino benzen solfone; la molecola che si va a
formare prende il nome di dapsone e mantiene l’attività ed è uno dei farmaci di prima scelta per il trattamento della
lebbra.
L’anello aromatico inoltre non deve essere sostituito nelle posizioni 2,3,5 e 6 ma libero perché nella tasca enzimatica
non c’è spazio. Questo si può dedurre perché l’anello aromatico forma interazioni π-π e sarà tanto più forte quanto
sull’anello aromatico è presente una specie elettron attratore come l’alogeno, ma se non posso metterlo perché
peggiora l’attività vuol dire che non c’è spazio per accogliere l’alogeno.
La funzione anilinica deve essere libera ai fini dell’attività però possiamo preparare dei profarmaci e quindi
migliorare le caratteristiche farmacocinetiche del nostro sulfamidico andando a sostituire uno dei due H dell’ammina
con buoni gruppi uscenti altrimenti deve risultare libero perché l’ammina risulta importante per le interazioni.
LEZIONE 4/11
Quali sono i sulfonilamidici?
Sono farmaci entrati in disuso perché non hanno un’efficacia così alta come i successivi antibiotici che sono entrati
nella terapia antibatterica; nonostante ciò, alcuni di essi sono rimasti capisaldi della terapia antibatterica soprattutto
in associazione ad altri farmaci.
La classificazione dei sulfamidici, che avviene sulla funzione sulfonilamidica, si basa sulla capacità che i gruppi legati
alla solfonilamide hanno di formare legami H. Questo perché questa capacità va ad influenzare la farmacocinetica
della molecola e quindi influenza la durata d’azione, la via di escrezione che a loro volta condizionano dei parametri
importanti relativi al tipo di infezioni per la quale si utilizza il sulfamidico.
La prima classe dei sulfamidici sono quelli che contengono gruppi donatori di H (NH2), questi vengono facilmente
assorbiti.
La sulfaguanidina è uno dei sulfamidici che presenta dei gruppi guanidicinici in grado di donare legami H;
Questi sulfonilamidici non hanno un buon assorbimento, se vengono somministrati per via orale non
passano nel sangue attraverso l’apparato gastrointestinale ma arrivano direttamente a livello renale dove
vengono escreti.
(è come se somministrassimo il farmaco per via orale ma non arriva a livello sistemico ma viene direttamente
escreto a livello dei reni)
Una buona possibilità è quella di utilizzare i sulfonilamidici per infezioni localizzate nel basso tratto gastrointestinale
perché esso comunque è il tragitto del farmaco all’interno dell’organismo senza che venga assorbito. Ad esempio, la
sulfaguanidina è molto utilizzata come sulfamidico intestinale sfruttando la capacità che il farmaco ha di arrivare
quasi inalterato all’intestino senza subire un granchè di assorbimento sistemico.
La sulfasalazina è un farmaco impiegato in una particolare malattia infiammatoria, colite ulcerosa e il morbo
di crohn (uno dei pochissimi farmaci utilizzati, essendo queste malattie autoimmuni hanno una terapia
basata su cortisonici).
La sulfasalazina subisce un metabolismo riduttivo in
corrispondenza del legame N-N liberando la sulfapiridina e
l’acido 5-amminosalicilico; la sulfapiridina agisce come
sulfamidico e quindi per eventuali infezioni batteriche mentre
l’acido 5-amminosalicilico è un antinfiammatorio non
steroideo molto utile nel trattamento di patologie a carattere
prettamente infiammatorio.
La seconda classe di sulfamidici sono quelli che contengono gruppi indifferenti nei confronti dei legami H (gruppi
alchilici) e quindi gruppi che non interagiscono con la loro parte eterociclica aggiuntiva e che vengono ben assorbiti
ma rapidamente eliminati. Questi si concentreranno a livello dell’apparato escretorio renale dove è sede di
particolari infezioni batteriche che sono proprio le infezioni alle vie urinarie.
I sulfamidici sono tra i farmaci di elezione utilizzati nel trattamento delle infezioni delle vie urinarie. Sono molti i
batteri che possono causare questo tipo di infezioni e ci sono molti farmaci predisposti per il trattamento di questo
particolare tipo di infezione tra cui i sulfamidici, i chinolonici, la nitrofurantoina.
I farmaci impiegati a questo scopo sono il sulfatiazolo e il sulfafurazolo
(strutture da sapere)
Il terzo gruppo di sulfamidici è caratterizzato da gruppi in grado di accettare i legami H (tipicamente la funzione
metossilica CH3O). Questi sulfamidici vengono facilmente assorbiti ma eliminati lentamente, ottimo per
l’assorbimento sistemico del farmaco.
Includono quelli che vengono impiegati per il trattamento delle infezioni batteriche sistemiche.
Abbiamo la sulfadimetossina e la sulfametossipiridazina.
Sulfametossipiridazina ha una emivita che va dalle 35 alle 40 ore, quindi, è un sulfamidico sistemico grazie alla
presenza di un gruppo in grado di accettare legami H
Sulfametossipirazina è molto simile alla precedente ed è definito un reggio isomero della sulfametossipiridazina.
(reggio isomeri: molecola con la stessa formula bruta ma varia la disposizione degli atomi o dei gruppi funzionali)
Solfafurazolo
Sulfametossazolo (da sapere): è in utilizzo ed è molto importante perché rappresenta la principale associazione
tra farmaci antibiotici che viene impiegata in terapia
Sulfatiazolo
Sulfametazolo è molto simile al precedente ma presenza un N in più sull’anello eterociclico e un CH3
(da sapere tutti)
Qui abbiamo la CLASSIFICAZIONE DEI SULFAMIDICI IN BASE ALLA LORO EMIVITA.
Se l’emivita del farmaco è maggiore delle 24 ore lo consideriamo un farmaco ritardo, cioè un farmaco che espleta il
suo effetto farmacologico in un tempo estremamente lungo.
Se invece l’emivita è compresa tra le 10 e le 24 ore si tratta di un sulfamidico semi-ritardo mentre quelli ad
eliminazione rapida parliamo di un’emivita compresa tra le 4 e le 7 ore.
REAZIONI AVVERSE
Tuttavia, aldilà della questione sulla tossicità selettiva, i sulfamidici possono dare reazioni avverse a carico di
numerosi organi e sistemi come sangue, midollo osseo, pelle, reni, fegato, sistema nervoso ma anche la cristalluria
dovuta alla scarsa solubilità di alcuni esponenti delle urine e quindi la loro tendenza a precipitare e formare cristalli
diurato che causano calcoli. Più frequentemente reazioni di ipersensibilità di pelle e mucose, la più seria tra queste è
la sindrome di steven johnson.
FARMACOCINETICA E RESISTENZA
I sulfamidici hanno una buona farmacocinetica. Molti di questi sono anche caratterizzati da uno spettro molto ampio,
danno pochi effetti collaterali perché non si ha il problema delle tossicità selettiva.
Quindi perché allora sono caduti in disuso?
Per un problema molto importante nell’ambito degli antibiotici. Gli antibiotici sono farmaci che appena immessi nel
mercato hanno rappresentano un importante svolta perché è grazie ad essi che l’aspettativa di vita è salita
vertiginosamente ma è proprio questo che ha determinato il principale problema di questi farmaci cioè la
farmacoresistenza.
I batteri diventano resistenti perché nonostante siano organismi unicellulari sono i primi ad aver popolato il nostro
pianeta e quindi in grado di adattarsi. Così come si sono adattati a tutto il cerchio evolutivo allo stesso modo si
adattano anche al farmaco che minaccia la loro sopravvivenza.
Il batterio nel momento in cui viene a contatto con il farmaco è in grado di generare dei meccanismi di resistenza che
poi si trasmettono da generazione a generazione selezionando quei cloni che sono resistenti e che sono
evolutivamente migliori perché in grado di resistere al farmaco.
I meccanismi di resistenza sono molteplici. Tra i più comuni abbiamo:
- Sviluppo di DHPS con diminuita affinità per i sulfamidici: i l batterio può mutare in corrispondenza del sito
attivo del target. Se il mio farmaco è progettato per riconoscere quella regione di enzima che normalmente è
predisposta per riconoscere il PABA e il batterio muta, anche solo un amminoacido, in quella regione c’è una
buona probabilità che il farmaco non riconosca più quella regione.
- Superproduzione di PABA
Il batterio, laddove si tratta di un’inibizione competitiva, cosa può fare per superare questa competizione?
Produce più substrato.
Nel caso dei sulfamidici, viene superprodotto il PABA fino ad una quantità molte decine di volte superiore
rispetto a quella fisiologica e quindi il sulfamidico è in minoranza; di conseguenza tutta la via metabolica
catalizzata da diidropteroato sintetasi non si ferma.
- Diminuita permeabilità cellulare dei batteri
Sapendo che i batteri sono protetti da pareti cellulari, ed eventualmente membrane esterne, il cui farmaco
può attraversare attraverso sistemi di trasporto, il batterio può mutare in corrispondenza di questi sistemi di
trasporto e questo significa che se muta questo sistema di trasporto il farmaco può non riconoscerlo più e
quindi rimane fuori
- Accresciuta inattivazione del farmaco (questo riguarda gli antibiotici betalattamici).
Il batterio si può difendere attraverso la produzione di enzimi specifici che vengono diretti unicamente
all’inattivazione del farmaco, cioè questo batterio riproduce solo e unicamente per proteggersi dal farmaco
attraverso una sua inattivazione enzimatica.
Questi meccanismi di resistenza da cosa derivano? Dal fatto che il batterio, a furia di entrare a contatto con
quell’antibiotico, ad un certo punto inizia a mettere in atto questi meccanismi di resistenza.
I batteri non resistenti vengono uccisi dall’antibiotico mentre quelli resistenti sopravvivono, si duplicano e generano
cloni, una nuova popolazione di batteri resistenti a quel tipo di antibiotico. Questo perché le modificazioni genetiche
si trasmettono di generazione in generazione e, considerato che i sulfamidici sono tra i primi farmaci che sono stati
messi sul mercato e quindi sono stati utilizzati su larga scala, è chiaro anche che sono i farmaci per il quale i batteri
hanno sviluppato principalmente resistenza.
Quando vengono utilizzati antibiotici in maniera inappropriata, oltre a sviluppare facilmente ceppi batterici resistenti
si diventa anche più sensibile alle infezioni batteriche perché gli antibiotici non soltanto vanno ad arrestare la
crescita dei batteri patogeni ma agiscono anche sui batteri nostri simbionti che sono fondamentali per lo sviluppo del
sistema immunitario. Quando abusiamo della terapia antibiotica impoveriamo il nostro sistema immunitario perché
andiamo ad attaccare la flora intestinale e quindi quando si utilizza un antibiotico bisognerebbe avere il riguardo di
utilizzare i fermenti lattici in associazione.
METABOLISMO
I sulfamidici vengono metabolizzati attraverso un processo di glucuronazione, metabolismo di fase II. La
glucuronazione avviene sul N primario aromatico, cioè addizione di un gruppo glucuronico e normalmente questi
glucuronati vengono eliminati per via renale.
La velocità con cui viene addizionato il residuo di acido glucuronico determina la durata d’azione del farmaco.
VANTAGGI
Quali sono i vantaggi di questa classe di antibiotici?
- Ampio ventaglio di proprietà farmacologiche, cioè alcuni li usiamo nelle infezioni urinarie, alcuni nelle
infezioni intestinali, quali nel morbo di crohn, altri per le infezioni sistemiche. Questo vuol dire che una
stessa classe di farmaci può essere impiegata per molteplici tipi di infezioni.
- Non interferiscono con i processi biologici dell’ospite. (tossicità selettiva)
- Facilità di somministrazione, principalmente avviene per via orale
- Ampio spettro di attività antimicrobica che comprende i gram + e i gram –
- Rari casi di superinfezioni
- Poco costosi
Il solfametossazolo agisce sulla diidropteroato sintetasi mentre il trimetoprim agisce sulla diidrofolato reduttasi
Tra tutti i sulfamidici che sono stati sintetizzati perché proprio il solfametossazolo?
Per motivi farmacocinetici, i due farmaci in qualche modo devono condividere la stessa farmacocinetica.
Si somministrano 400 mg di solfametossazolo e 80 mg di trimetoprim perché quest’ultimo è molto più attivo del
solfamidico.
Per avere un meccanismo di sinergismo perfetto ci deve essere un rapporto 1:20 quindi il sulfamidico è meno
potente rispetto al trimetoprim. Io vado a somministrare 80 mg contro 400 mg, quindi un rapporto 1:5 perché in
vivo, a seguito dell’assorbimento e della distribuzione, il rapporto tra i due farmaci diventa di 1:20 ovvero quello
ottimale per avere il sinergismo.
Inoltre, il sulfametossazolo è stato scelto per motivi farmacocinetici, infatti i due farmaci insieme condividono
l’emivita che è di circa 10-11 ore.
Questo tipo di associazione farmaceutica è utilizzato per: bronchiti, polmonite, infezione alle vie urinarie, otiti,
infezioni causate da nocardia e salmonella e come trattamento nella toxoplasmosi.
Il sinergismo consente:
- una riduzione ottimale delle dosi efficaci
- aumento dell’efficacia
- migliore tollerabilità
- ritardiamo la comparsa di resistenza
Gli effetti collaterali dell’associazione sono: nausea, vomito, reazioni dermatologiche (allergie) e leucopenia,
trombocitopenia, depressione e allucinazioni in casi più gravi
Questo tipo di associazione è usata anche in pazienti immunodepressi, malati di AIDS contro pneumocystis carinii, un
protozoo responsabili della polmonite.
Un’associazione basata su antifolico e sulfamidico si usa anche per la malaria ed è definita FANSIDAR. È costituito
dalla pirimetamina, inibitore della diidrofolato reduttasi e la sulfodoxina, sulfamidico inibitore della diidropteroato
sintetasi. Quest’associazione non viene impiegata per le comuni infezioni batteriche ma molto utilizzata per la
malaria in quanto anche il protozoe della malaria è sintetizzatore di acido folico.