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LE VERITA’ DEL VELO

ALESSANDRO VANOLI
L’INVENZIONE DEL VELO. ALCUNE CONSIDERAZIONI SU COLONIALISMO, MODA FEMMINILE E
IDENTITA’ ISLAMICA
Nel 1845 Maxime Du Camp, fotografo francese, sbarcò nel porto egiziano di Alessandria. Questa
spedizione è molto nota. In oriente il fotografo giungeva per incarico del ministero francese della
pubblica istruzione e aveva il compito di inventariare i monumenti di Egitto e della Terra Santa.
Insieme a lui viaggiava l’amico Gustave Flaubert. Maxime era molto entusiasta del nuovo mezzo
fotografico, attraverso il quale ricercava oggettività. Riguardo a ciò si espresse anche in prosa,
nell’introduzione ai suoi “Ricordi”.
Nei testi di Maxime sarebbero tornate spesso immagini di donne musulmane, in particolare in un
ritratto delle strade del Cairo compare una sua riflessione nei confronti dei costumi femminili arabi.
Le fellahins sono delle contadine dalla veste blu e dal volto scoperto, che rappresentano un modello
classico di bellezza della statuaria greco-romana. Uno dei problemi intercettati dal fotografo era
l’esistenza di due modelli femminili arabi: la grande dame, infagottata in nascosta da veli, e la
popolana, povera visibile ma dal portamento classicamente elegante.
Maxime fu uno dei primi fotografi professionisti aggiungere in Egitto, il quale portava con sé la nuova
tecnica del negativo su carta ai Sali d’argento, da poco introdotta in Francia.
Tale produzione fotografica è nota e molto indagata. In particolare è stato rilevato che molto del
materiale etnografico prodotto in quel contesto rimanda più o meno esplicitamente a modelli
pittorici e la figurativi europei. Anche le donne raffigurate nella fotografia orientalistiche di fine
secolo sono disposte davanti all’obiettivo secondo formule radicate in una tradizione pittorica e
scultorea europea.
Du Camp non si discostava di molto dall’espressione della bellezza neoclassica. Egli infatti ricercava
sia semplicità sia unità, qualità che rimandavano alla castità delle Veneri classiche.
Una delle più importanti rappresentazioni dell’oriente era stata pubblicata all’inizio del 19° secolo a
seguito della spedizione di Bonaparte: le tavole della “Description de l’Egypte”, dedicati alle vestigia
antiche. Il richiamo a modelli classici è ben presente persino nel caso della rappresentazione di due
danzatrici mostrate al volto e seno scoperti (figura 8).
Le illustrazioni della Description de l’Egypte segnarono l’immaginario dell’orientalismo.
Per tanti francesi il viaggio in Africa, durante il secolo coloniale, fu più spesso una scoperta di tracce
antiche: quelle di grandi civiltà del passato o di memorie bibliche.
La storia dell’orientalismo è già stata fatta da tempo. Da decenni si studia ormai l’idea di oriente così
come fu prodotta e diffuse un Oropa attraverso la lettura, la pittura, l’architettura, e quant’altro.
Il problema non è infatti il grado di fascino esercitato da una città come Alessandria d’Egitto. Il
problema è stabilire perché tali esotismi non furono guardati come memorie storiche, perché
all’epoca in luoghi come Algeri si percepì l’assenza della storia, pur notando moschee e palazzi
saraceni.
FINE ‘800 à L’imposizione di ordine politico in ambito coloniale è stata ben studiata. Sul piano
urbanistico, ad esempio, si lega alle necessità imposte dal nuovo modello di matrice francese. I
centri antichi vennero distrutti il nome delle necessità igieniche e viarie: le nuove strade dovevano
far sparire i quartieri malsani e fornire nuovi spazi. Simili tendenze modernizzatrici si diffusero un
po’ ovunque sulle coste meridionali e orientali, non solo come esplicita imposizione delle potenze
coloniali, ma anche come volontà dei governatori locali di avvicinarsi agli standard scientifici e
culturali dell’Europa.
Anche attraverso il processo di modifica istituzionale e culturale, la storia dei paesi a maggioranza
islamica presi a farsi, per così dire, “classica”: accettando i modelli della classicità venivano relegate
al margine le altre tradizioni.
Il velo islamico corrisponde ad un’infinita varietà di atteggiamenti, usi e pratiche. Al di là di ogni
ricostruzione in senso europeo, l’occhio dei fotografi aveva in realtà accolto una serie di distinzioni
sociali che agivano anche sul vestiario: erano soprattutto le donne ricche ad indossare il velo e quindi
a nascondere i tratti del volto. Lo status sociale si poteva individuare dalla pluralità delle stoffe
impiegate, disegni preferiti, ecc…
Non tutte le donne islamiche però utilizzavano queste decorazioni. Le contadine, e le donne più
povere in generale, mostravano spesso molto di più il viso: si coprivano i capelli ma lasciavano
trasparire molto del loro corpo. La veste, e molte volte l’uso del velo, rimandava quindi ad una
esplicita distinzione di status sociale. Recenti studi hanno mostrato come le donne dell’alta società
fossero persino più attente dei loro mariti a preservare la loro reputazione: prestando attenzione ai
gioielli e alle vesti che avevano il compito di marcare tale differenza di status.
Già nel 16° secolo, l’impero ottomano aveva varato una serie di leggi volte a definire il rango
attraverso una minuziosa distinzione tra fogge e colori di abiti, scarpe, cinture e altri accessori.
Il velo era quindi un oggetto di ostentazione, legato al gusto e alla moda; faceva parte delle
dinamiche sociali ed era vissuto come elemento necessario e dato per scontato.
Per quanto riguarda l’avvento della moda: in Egitto, in Tunisia o Algeria, il colonialismo modificò
sempre più le abitudini e il gusto stesso degli abitanti locali. Naturalmente ciò avvenne, come quasi
sempre nella moda, a partire dalle classi elevate, quelle il cui contatto con il mondo europeo si stava
facendo sempre più stretto. Le ragazze egiziane di buona famiglia cominciarono infatti ad essere
attratte sempre più dai vestiti che giungevano da Parigi, e persino dall’uso delle parrucche.
All’origine c’è un vestiario islamico che copre senza costringere il corpo, un vestiario che ha un
occhio europeo appariva ormai da secoli sinonimo di mollezza. Ora questa distinzione diventa
sempre più sfumata, iniziando dalle classi elevate, le cui donne si percepiscono, per la prima volta,
sgraziate e non eleganti.
In quegli anni di fine ‘800 il dibattito sul velo, ovviamente, non si limitò al problema estetico. La
condanna del velo si batteva infatti sul nome della libertà che la legge e la natura riconoscono alla
donna.
Il vero non scomparve: in realtà moltiplicò i suoi significati, adattandosi alla complessità di quel
nuovo mondo musulmano che stava nascendo.

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