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Capitolo IV

IL GRUPPO DEL RAMO DI ALLORO:


UNA PRODUZIONE DELLA PEUCEZIA?

Quasi la metà dei vasi “Gnathia” della Collezione Jatta, più precisamente 69 esemplari sui
141 presenti, sono ascrivibili al cosiddetto “Gruppo del Ramo di Alloro”1. Fu proprio questa
osservazione a suggerire a Richard Green che tale raggruppamento potesse essere il prodotto
di botteghe “provinciali”, che egli ipotizzò operanti a Ruvo, basandosi sul postulato che i ma-
teriali della Collezione Jatta avessero sicura provenienza dalla Puglia centrale e in particolare
da Ruvo. È probabile che questa intuizione, ampiamente accettata in letteratura2, abbia colto
nel vero più di quanto generalmente si creda. Per verificarne l’attendibilità, occorre dunque
prendere in esame da vicino l’intera produzione ascritta a tale raggruppamento, con particola-
re attenzione ai materiali con provenienza accertata dall’area pugliese.
Il Gruppo del Ramo di Alloro (“Laurel Spray Group”) costituirebbe secondo Green un
filone derivato dal “Pittore della Rosa”, attraverso la mediazione del “Pittore di Toledo”, nel-
la cui diretta tradizione si andrebbe ad inserire. La produzione si collocherebbe nell’ultimo
quarto del IV secolo a.C., con le ultime attestazioni intorno al 300 a.C. circa3. Nella pubblica-
zione del 1980 lo studioso includeva nel gruppo circa 160 pezzi, per lo più vasi poco impegna-
tivi per dimensioni e apparato decorativo, che costituirebbero tuttavia un significativo nucleo
della produzione “Gnathia” dell’ultimo ventennio del IV secolo a.C.4. In seguito Green arrivò
a contare circa 300 esemplari5, computo che da allora si è ulteriormente ampliato, raggiungen-
do la cifra approssimativa di 350 pezzi. I vasi presenti nella Collezione Jatta costituirebbero
quindi da soli circa un quinto di quelli noti.
La produzione è caratterizzata da un corpo ceramico di color beige tendente più o meno
al rosato (carta Munsell 2000 - 7.5 YR), piuttosto duro e compatto, con numerosi inclusi bian-
chi brillanti visibili ad occhio nudo, di presumibile natura quarzosa o feldspatica, in lettera-
tura solitamente definiti in modo improprio “mica bianca”. È chiaramente evidente, anche ad
occhio nudo, la differenza rispetto alle produzioni tarantine, messapiche e lucane. Recenti in-
dagini archeometriche sembrano suggerire la possibilità di riscontrare – anche se con una certa
difficoltà – alcune differenze tra questo tipo di argilla e quello utilizzato per alcuni prodotti
della vicina Daunia, quali il “Gruppo Knudsen” di Canosa6. A livello macroscopico, pare visi-

1
  Ricordo che nel presente studio non sono compresi i cinque vasi sovraddipinti portati a Taranto, né quelli
lasciati alla famiglia Jatta.
2
  Rogate Uglietti 1976, p. 83 s.; Robinson 1990b.
3
  Green 1982, p. 252 ss. Sul gruppo si rimanda inoltre a Green 1976c, p. 10; Id. 1986a, pp. 130-132; Id. 2001,
pp. 61-62.
4
  Green 1980, p. 35.
5
  Green 2001, p. 61.
6
 Un nuovo studio condotto dal dott. E. G. D. Robinson, in corso di pubblicazione, consente di puntualizzare
in parte quanto affermato dal ricercatore australiano in un lavoro precedente (Grave et al. 1996/1997), relativa-
mente all’impossibilità di distinguere l’argilla “di Ruvo” da quella “di Canosa”. Le indagini archeometriche sono

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


30 iv. il gruppo del ramo di alloro

bile una concentrazione leggermente maggiore di inclusi bianchi nel gruppo canosino, rispetto
al Gruppo del Ramo di Alloro. In quest’ultimo, i colori sovraddipinti sono piuttosto pastosi
e consistenti, di buona qualità; non altrettanto si può dire per la vernice nera; con una certa
frequenza si riscontrano difetti prodottisi durante la cottura, che portarono tale rivestimento
ad assumere colorazione verdastra o rossiccia. Le superfici risparmiate dalla vernice nera sono
quasi sempre ricoperte di miltos. Sugli skyphoi una linea in vernice nera sottolinea gradual-
mente il punto di passaggio tra la parte a risparmio e quella verniciata (si vedano ad esempio i
manufatti cat. nn. 33-54).
Diverse caratteristiche – in primis il tipo di argilla, le forme e le decorazioni adottate  –
consentono di delineare un gruppo abbastanza omogeneo, la cui fabbrica, come abbiamo
visto, fu tradizionalmente collocata a Ruvo. Anche le altre collezioni storiche assemblate in
questa località presentano percentuali interessanti in proposito. Nella ex Collezione Caputi si
contano almeno 23 esemplari del Gruppo del Ramo di Alloro (su un totale di 70 vasi “Gna-
thia”) e nella Collezione Lagioia 7 su 617.
Per verificare la validità di questa ipotesi di lavoro occorrerà quindi in primo luogo
esaminare le provenienze note di tutti gli esemplari riconducibili al Gruppo del Ramo di
Alloro.

1. Provenienze

I vasi ascritti a questo gruppo furono rinvenuti soprattutto nella Peucezia costiera setten-
trionale e – almeno a giudicare dalla testimonianza offerta dalle collezioni locali – in particola-
re nell’area di Ruvo.
Gli scavi condotti nella Puglia centrale hanno sinora restituito quasi una sessantina di esem-
plari: 4 da Ruvo8, 4 da Bitonto9, 4 da Bitetto10, forse 2 da Sannicandro11, 9 da Ceglie12, 1 da Bari13,

state effettuate sui vasi del Nicholson Museum dell’Università di Sydney; occorre precisare che il campione analiz-
zato è ridotto e le attribuzioni non sempre sono sicure. Ringrazio l’autore per questa importante segnalazione.
7
  Collezione Banca Intesa 2006, cat. nn.: 289-353 e 365-366. Nel computo totale sono incluse anche due leky-
thoi a reticolo sovraddipinto; inoltre vanno considerati appartenenti alla ceramica “di Gnathia” anche gli esemplari
erroneamente catalogati come “a vernice nera” nn. 422, 446 e 493. Collezione Lagioia 2004, cat. nn.: 201, 204, 216,
221, 222, 223, 234. Nel conteggio sono compresi i 47 vasi figurati e i 14 contenitori per unguenti a reticolo sovrad-
dipinto.
8
  Cup-skyphos dalla t. B/2001 di via Moro, esposto a Bitonto nel 2003 in occasione della mostra “Antichi guer-
rieri a Ruvo e Bitonto” (Riccardi 2008). Cup-skyphos Taranto 61514 dalla tomba scavata nel 1949 in via I Maggio
(Neutsch 1956; Montanaro 2007, pp. 382 e 401, fig. 295, cat. n. 56.18). Askos Lecce 1313 (Bernardini 1961, tav.
53,3). Askos Napoli 80876, dalla t. 166 rinvenuta nella prima metà dell’Ottocento nei pressi di Corso E. Carafa
(CVA Napoli 3, IV E, tav. 64,3; Montanaro 2007, cat. n. 166.27). Sono ovviamente esclusi dal conteggio i materiali
presenti nella Collezione Jatta, per quanto detti provenire da Ruvo.
9
  Cup-skyphos dalla t. 2/1982 di via Ammiraglio Vacca (Riccardi 2003, p. 61, fig. 44). Olpetta e cup-skyphos
dalla t. 4/1981 (ibid., p. 156, nn. 163 e 164). Cup-skyphos Bari 22025, dalla t. 2/1960 di via Megra (Castellano
1969, p. 25).
10
  Acquisto Lovera 1913. Cratere Taranto TA6427, skyphos Taranto TA6432, oinochoe Taranto TA6433 e sky-
phos Pisa P110, già Taranto TA6481 (Ronzitti Orsolini 1982, pp. 529-531, tav. 149, 1-2).
11
 Un kyathos (ascrivibile alla fase finale del Gruppo del Ramo di Alloro oppure alla fase iniziale del Gruppo
Knudsen) e un cratere molto vicino al Gruppo del Ramo di Alloro: Chimienti [1910], tav. VI, 3 e 5.
12
 Uno skyphos e un cup-skyphos dalla tomba in contrada “Dietro il fosso” a Carbonara (De Palma 1989, tav.
XXIV). Una stemless cup, due boccaletti, un’oinochoe e uno skyphos dalla t. 1/1908 (Cassano 1989, p. 158, fig. 16).
Un’oinochoe e un askos dalla t. 7/1929 (Ceglie Peuceta I 1982, p. 123 ss.).
13
  Piatto su alto piede Bari 23240, dal deposito esterno della t. 5/1976 (Fornaro 1988, p. 206 s.; Baldassarre
1966).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 31

2 da Azetium (Castiello)14, 8 da Rutigliano15, 9 da Conversano16, 1 da Monte Sannace17, 1 da San-


to Mola18, 2 da Altamura19, 5 da Botromagno20, 5 da Gravina21, forse 1 da Polignano22.
Dal sito messapico di Egnazia, situato nei pressi del confine con la Peucezia, è al momento
noto un unico esemplare, custodito al museo di Lecce23. Sul fronte sudoccidentale, lungo la Valle
del Bradano, non è per ora nota alcuna attestazione, neppure in centri che mostrano una discreta
presenza di ceramica “di Gnathia”, come Montescaglioso, Timmari, Matera, Pomarico e Monte
Irsi24. Le indagini condotte in Daunia hanno invece restituito una quarantina di vasi ascrivibili al
Gruppo del Ramo di Alloro; tuttavia, in proporzione, questo numero è decisamente minimo, in
confronto alla presenza locale di produzioni sicuramente canosine, come ad esempio il Gruppo
Knudsen25. Nella Puglia settentrionale, le attestazioni del Gruppo del Ramo di Alloro paiono
concentrate nella fascia meridionale della Daunia e nel Melfese, territori confinanti con la Peuce-
zia26. Un frammento forse riconducibile al gruppo fu rinvenuto a Venosa27.

14
 Un cup-skyphos (Tagarelli 1960, p. 181, fig. 140) e il boccaletto TA140337 dalla t. 1/1977 (Riccardi 2000,
p. 149).
15
 Un’oinochoe dal territorio di Rutigliano (Gezzi, Tamma 1992, n. 22, p. 178 s.). Uno skyphos dalla t. 1/1990
(Damato 2001, p. 108, n. 117). Un cup-skyphos dalla t. 101/1977 (inedito, Taranto 165707; Lanza 2006b, cat.
n. 481). Un’oinochoe dalla t. 103/1977 (inedita, Taranto 165764; Lanza 2006b, cat. n. 487). Una coppa dalla t.
191/1979 (Depalo 1989, p. 108). Un’oinochoe dalla t. 54/1978 (Rutigliano I 2007, p. 156 s., n. 54. 29; D’Amicis
2007). Due skyphoi dalla t. 6/1978 (Rutigliano I 2007, pp. 27-28; D’Amicis 2007).
16
  Coppa su piede e askos (L’Abbate 1979, p. 78 s.). Due skyphoi dalla t. 10/1958 di via Pantaleo (Chieco-Bianchi
Martini 1964, p. 159, nn. 34 e 36). Una coppa e un frammento di oinochoe dalla t. 12/1958 di via Pantaleo (ibid., p. 171,
nn. 39 e 42). Un boccaletto e uno skyphos dalla t. 2/1979 di via Japigia (Depalo 1987, p. 91 ss.; L’Abbate 1990, p. 117).
17
  Skyphos Bari 5723, inedito (cfr. Lanza 2006b, cat. n. 394).
18
  Oinochoe dalla t. 27/1952 (Donvito 1991, p. 87).
19
 Due kyathoi dalla tomba di via Bari scoperta nel 1974 (inediti; cfr. Lanza 2006b, cat. nn. 14 e 15).
20
  Kyathos Altamura 1078, inedito (cfr. Lanza 2006b, cat. n. 84). Frammento di skyphos (Small 1992, II, p. 56,
n. 513). Due askoi e una coppa su piede dalla t. 2/1975 (Gravina s.d., p. 75 ss.).
21
  Oinochoe dalla t. 35/1991 (inedita; Lanza 2006b, cat. n. 349). Tre skyphoi dalla t. 84/1989 inediti (ibid., cat.
nn. 357, 362, 364).
22
  Askos in Strazzullo 1972, p. 116.
23
  Skyphos Lecce 1434 (Bernardini 1961, tav. 18, 5-6).
24
  Lo Porto 1973; Id. 1991; Small 1977.
25
  Tra i vasi attribuibili al Gruppo del Ramo di Alloro rinvenuti in Daunia ricordiamo, da Ordona, uno skyphos
A (Maes 1997, p. 118, fig. 18) e un boccaletto (Foggia 79.OR.81, dalla t. 81/1979); il cratere skyphoide dalla t. 77 OR
182 (inizio del III secolo a.C.) è invece ascrivibile alla fase di transizione tra il Gruppo del Ramo di Alloro e il Gruppo
Knudsen, ma più vicino al secondo (Iker 1986, fig. 421). Si annoverano inoltre 2 skyphoi da Barletta (D’Ercole 1990,
tav. 11), cui vanno aggiunti 4 esemplari inediti custoditi presso il museo locale (segnalazione del prof. Green), 5 vasi da
Arpi (De Juliis 1992, p. 39 ss., figg. 217-219) e 7 da San Severo (San Severo 1996). Da Canosa si segnalano: un bocca-
letto B (inedito, conservato a Canosa, segnalazione del prof. Green) e 2 boccaletti M dall’ipogeo di via Legnano (Prin-
cipi 1992, p. 257); 2 skyphoi C dalle tombe a grotticella 2 e 3 (Labellarte 1989); uno skyphos e un boccaletto dalla t. 2
di Vico S. Martino (Lippolis 1996, p. 420 s.); un kantharos D dalla t. 3 di via Lavello (Principi 1992, cat. n. 26, p. 483,
n. 14). Ad Ascoli Satriano sono noti 3 skyphoi C forse attribuibili al Gruppo del Ramo di Alloro (Ausculum I 2003,
tav. 73, p. 280, nn. 5, 7 e 8), un cup-skyphos dall’abitato (ibid., p. 276) e uno dalla necropoli, ascrivibile – in mancanza
di un riscontro autoptico – alla fase finale del gruppo oppure all’inizio della serie Knudsen (Tinè Bertocchi 1985,
p. 171). Una coppa su piede è custodita presso il Museo Civico di Troia (Fazia 1984, p. 64, fig. 76). Gli studi di Green
includono nell’elenco anche 2 esemplari inediti da Cupola e 9 da Salapia (comunicazione personale dell’autore).
26
 Il corredo della tomba ipogeica di un guerriero (t. 21/1993), esposto al museo di Minervino Murge, annovera
almeno 5 skyphoi C sicuramente pertinenti al gruppo e solo 2 canosini, su un totale di 12 vasi “Gnathia”. Sempre
dal Melfese ricordiamo due cup-skyphoi e probabilmente anche uno skyphos C dalla t. 187 di Forentum – Lavello
(Tocco 1976, fig. 13).
27
 Il frammento raffigura una testa femminile rivolta verso destra; i dettagli di occhi, bocca e profilo e l’indica-
zione del corpo ceramico come “impasto camoscio” fanno propendere per un’ipotetica attribuzione al gruppo; gli
editori suggeriscono che si tratti di una forma chiusa e si potrebbe perciò pensare ad un boccaletto N (Salvatore
1991, p. 89, k11).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


32 iv. il gruppo del ramo di alloro

Passando all’esame dei con-


testi coloniali, un kantharos piut-
tosto pregevole emerse negli sca-
vi di Taranto28. Non è invece nota
alcuna attestazione a Metaponto.
Tra i materiali esistenti nel-
le collezioni, occorre ricordare
il boccaletto della Collezione
Ragusa, proveniente dal taran-
tino29 e i cinque esemplari della
Collezione Meo Evoli di Mono-
poli30. Quattro vasi sono inoltre
custoditi nella Collezione Lillo
– Rapisardi di Trani, di probabi-
le provenienza da Bitonto31. Non
si deve poi dimenticare che una
trentina di esemplari ascrivibili
al gruppo erano esposti al Museo
di Bari, prima della sua chiusura Fig. 5 - Ritrovamenti di vasi ascrivibili al Gruppo del Ramo di Alloro
(fig. 5)32. in Puglia. Tra parentesi sono indicati gli esemplari presenti nelle colle-
I dati numerici assumono zioni locali.
una connotazione particolare se rapportati al totale degli esemplari, al momento noti, ascri-
vibili al Gruppo del Ramo di Alloro. Riassumendo: dei circa 350 individui calcolati, 69 ap-
partengono alla Collezione Jatta, 59 provengono da scavi in Peucezia, 44 dalla Daunia, 10 dal
Melfese, una trentina si trova nei depositi del Museo di Bari, 23 furono raccolti nella Colle-
zione Caputi, 7 appartengono alla Collezione Lagioia e 34 a collezioni diverse di probabile
provenienza dalla Peucezia. Di una sessantina di pezzi si ignora l’origine, mentre una decina
di esemplari fu rinvenuta in scavi condotti in centri situati decisamente al di fuori del territo-
rio apulo (fig. 6) 33. Tra questi ultimi si annoverano anche località molto distanti, come Spina
in Etruria e Vis (Lissa) in Croazia, che hanno restituito due oinochoai34. Simili “esportazio-
ni” ben si concilierebbero con l’ipotesi di collocare l’officina in qualche località della Daunia,
forse a Canosa35. Infatti è documentato che questo centro nel III secolo a.C. esportò lungo
le rotte adriatiche un numero considerevole di prodotti “Gnathia”, ascrivibili al cosiddetto
“Gruppo Tardo Canosino”. Anche Ruvo ricevette ceramica da Canosa, sin dalle prime fasi
della produzione, fino al III secolo a.C., quando giunsero nella Peucezia settentrionale tipici
prodotti canosini, come i vasi listati e la ceramica dorata36. Per tale motivo sarebbe lecito sup-

28
  Maraschini 1988, n. 34.7.
29
  Lo Porto 1999, tav. XLIX, 78.
30
  Reho Bumbalova 1979.
31
  Vania 2003, cat. nn. 63, 64, 70 e 71.
32
  Notizia gentilmente fornitami dal prof. Green.
33
  Sono inclusi in questo conteggio: 4 vasi della Collezione Lillo-Rapisardi di Trani, probabilmente rinvenuti
a Bitonto (Vania 2003, p. 44 ss.); 2 della Collezione Chini di Bassano del Grappa (D’Amicis 1995, cat. nn. 1.3.26 e
1.3.35); 19 della Collezione Palagi di Bologna (CVA 3, IV Ds, tav. 1,14,15,17-23,37 e tav. 2,2, 7-9, 13, 15, 17-19.); 4
al Museo di Karlsruhe (CVA 2, tav. 84, nn. 1.2, 6, 9, 11); 4 ad Amburgo (Pagenstecher 1909, 1-18, tav. 1) e 1 nella
Collezione Polese di Bari (Collezione Polese 1970, cat. n. 224).
34
  Invernizzi 1978, p. 110, figg. 1-2; Issa [1986], p. 22, cat. n. 38.
35
  Ringrazio il prof. Enzo Lippolis per avermi suggerito questa ipotesi alternativa.
36
  Labellarte, Depalo 1986, p. 76.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 33

porre, anche nel caso del Gruppo del Ramo di Alloro, una “importazione” a Ruvo dalla vicina
Canosa.
Stride tuttavia con l’ipotesi di una produzione daunia l’evidenza della distribuzione dei rin-
venimenti: non solo, ma nonostante i più frequenbti scavi condotti in Daunia, sono attestati un
maggior numero di esemplari del Gruppo del Ramo di Alloro in Peucezia, ma al contrario una
produzione canosina capillarmente diffusa in Daunia come il Gruppo Knudsen è quasi del tutto
assente in Peucezia (a parte un minuscolo
frammento, presumibilmente dell’orlo di
uno skyphos, rinvenuto a Botromagno)37.
Nella Collezione Jatta, su 141 vasi “Gna-
thia”, 69 – come abbiamo visto – sono at-
tribuibili al Gruppo del Ramo di Alloro
(cat. nn. 1-69), mentre solo 6 al Gruppo
Knudsen (cat. nn. 79 e 85-89); nella Colle-
zione Caputi la proporzione è di 23 a 1 e
nella Collezione Lagioia di 7 a 138. Se vo-
lessimo ipotizzare comunque una matrice
canosina per il Gruppo del Ramo di Allo-
Fig. 6 - Provenienza degli esemplari del Gruppo del Ramo ro, dovremmo pensare a un caso di cosid-
di Alloro. detta “special commission” ovvero di pro-
duzione specifica rivolta agli acquirenti
peucezi invece che a quelli locali. Per quanto l’argomentazione possa sembrare debole, contrasta
con questa teoria la presenza in Peucezia di un alto numero di manufatti che presentano vistose
tracce di difetti di cottura; tali oggetti più difficilmente si potevano prestare alla circolazione a
vasto raggio. Almeno per questi si dovrebbe pensare ad una produzione locale.
Un’altra ipotesi di lavoro, la cui validità potrà essere vagliata solo mediante future analisi
archeometriche, prevede invece la presenza sul territorio apulo di artigiani itineranti e la con-
seguente esistenza di più centri produttori. Oltre alla tradizionale collocazione dell’officina
a Ruvo, ipotizzata per i motivi che abbiamo già discusso, esistono diverse constatazioni che
portano a considerare Ceglie del Campo un candidato non trascurabile come eventuale centro
produttore. Le due teorie non si escludono a vicenda, ma potrebbero forse essere comple-
mentari, fermo restando che si tratta pur sempre di ipotesi di lavoro, che solamente attraverso
indagini future potranno essere approfondite e trovare o meno conferma.
Esaminando la carta di distribuzione dei manufatti ascrivibili al gruppo, emerge una certa
concentrazione intorno a Ceglie, dal punto di vista quantitativo non solo numerico, ma anche
percentuale; calcolando infatti in quale proporzione siano i vasi del Gruppo del Ramo di Al-
loro rispetto al totale dei vasi “Gnathia” rinvenuti in ciascun sito, si notano valori piuttosto
alti nella fascia settentrionale della Peucezia (fig. 7). Inoltre da Ceglie provengono i due esem-
plari attribuiti da Green al cosiddetto “Pittore di Bari 7772”, che si potrebbe considerare una
personalità di rilievo operante nella bottega, forse l’iniziatore della produzione39. Nei corredi
tombali di Ceglie si constata spesso l’associazione di vasi del Gruppo del Ramo di Alloro con
esemplari a figure rosse ascrivibili al Gruppo delle Anfore, prodotto da una bottega operante
in un sito della Peucezia settentrionale, forse Ruvo oppure Ceglie, come parrebbero ipoteti-
camente suggerire gli esemplari malcotti rinvenuti nella necropoli40. Ceglie era indubbiamente

37
  Small 1992, II, p. 57, n. 521 e p. 388, tav. X, n. D 521.
38
  Collezione Banca Intesa 2006. Collezione Lagioia 2004.
39
  Su gentile segnalazione dello studioso.
40
  Si ricorda il caso della t. 1/1908 (Cassano 1989, p. 158, fig. 16).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


34 iv. il gruppo del ramo di alloro

Fig. 7 - Carta di distribuzione dei vasi del Gruppo del Ramo di Alloro da scavi in Peucezia; vengo-
no indicati sia il numero di esemplari sia la percentuale da questi rappresentata sul totale della cera-
mica “di Gnathia” rinvenuta in ciascun sito.

un centro molto importante, ricco e sviluppato; godeva di una posizione più centrale rispetto
a Ruvo e questo meglio si concilierebbe con l’areale di diffusione dei vasi del gruppo; il rin-
venimento di forni e scarti di fornace è documentato nell’abitato, anche se non è dato sapere
quale tipi ceramici producessero41. Sappiamo inoltre che parte dei materiali della Collezione
Jatta, come abbiamo visto, proviene proprio da Ceglie del Campo.
Le analisi archeometriche condotte in Australia su materiali decontestualizzati hanno
mostrato che i vasi del Gruppo del Ramo di Alloro esaminati (un boccaletto tipo M e una
stemless cup) rientrano in un raggruppamento diverso dalle produzioni canosine (come ad
esempio il Gruppo Knudsen). L’argilla del Gruppo del Ramo di Alloro risulta invece affine,
dal punto di vista chimico, a quella della produzione a figure rosse del Gruppo del Centauro
BM42. Robinson ha pertanto ipotizzato l’esistenza di due distinti raggruppamenti pertinenti ad
officine non tarantine: una collocabile nel distretto Ruvo-Canosa (in cui rientrerebbe il Grup-
po Knudsen), l’altra in un sito non precisato della Peucezia meridionale, considerato soprat-
tutto l’areale di distribuzione delle produzioni a figure rosse del Gruppo del Centauro BM43.

41
  Gervasio 1959, p. 454.
42
  Grave et al. 1996/1997.
43
  Robinson c.s.

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iv. il gruppo del ramo di alloro 35

I dati attualmente a disposizione non consentono di formulare ulteriori argomentazioni;


solamente la pubblicazione dei materiali inediti (in particolare i vasi di Ceglie), lo scavo di
nuovi contesti e l’approfondimento delle analisi archeometriche potranno forse chiarire la si-
tuazione.

2. Morfologie

Tra le forme adottate dal gruppo prevalgono gli skyphoi C, i cup-skyphoi e le oinocho-
ai trilobate di tipo 3. Limitatamente alla fase iniziale della produzione si annoverano alcu-
ni crateri a campana; rari sono i crateri skyphoidi, gli skyphoi A e i boccaletti N. In una fase
successiva si diffondono ampiamente i boccaletti M, che sembrano legati ad una preferenza
locale della Puglia centro-settentrionale. Sempre riconducibili alla “committenza” peuceta
sono i kantharoi di tipo sessile con labbro distinto e anse sormontanti (tipo C)44; il fatto che
nelle collezioni antiquarie (ad esempio di Ruvo, Napoli, Londra, Tübingen) questa tipologia
sia spesso giunta in coppia potrebbe forse suggerire che i kantharoi sessili venissero deposti
appaiati già nella stessa tomba, anche se l’evidenza da scavo è al momento troppo limitata per
appurarlo45. Ancora tra i vasi potori si annoverano diverse stemless cup, forma che non godette
altrimenti di grande successo nella “Gnathia” apula, mentre fu adottata soprattutto dalle pro-
duzioni campane. Molto diffusi sono i caratteristici askoi a bocca semplice (tipo A) o doppia
(C).
Alcune forme particolari sembrano peculiari del gruppo, come il guttus/poppatoio con
ansa assiale (parallela al beccuccio, invece che perpendicolare come più consueto), dotato di
un piano interno forato con evidente funzione di filtro (cat. n. 14); questa variante non è usata
nella ceramica “di Gnathia” ascrivibile ad altre aree. Non solo: anche nella classificazione della
vernice nera di Morel non è inclusa alcuna forma simile46. Questo tipo di guttus ricorda piut-
tosto la forma detta “filter jug”, attestata ad Atene, ma anche in questo caso l’ansa è perpendi-
colare al beccuccio47. Il parente più prossimo sembra essere il guttus con ansa molto sormon-
tante, realizzato nella tecnica a figure rosse e a vernice nera, a volte con il corpo baccellato, che
presenta ansa e beccuccio sullo stesso allineamento48. È invece attestato un esemplare simile
al nostro – forse non a caso – proprio nella Collezione Lagioia; si tratta di un guttus a vernice
nera baccellato49. Tra i poppatoi del Gruppo del Ramo di Alloro si ricordano, oltre a quello
della Collezione Jatta, i vasi Bari 6742, Brunswick AT690, Berlino F3542 e Napoli inv. Santan-
gelo 139350.
Il boccaletto tipo N, a labbro svasato distinto e ansa a doppio bastoncello annodato, ti-
pico della ceramica a figure rosse, ma raramente adottato nella sovraddipinta, è talvolta usato
dal Gruppo del Ramo di Alloro51. La coppa a vasca emisferica, con labbro distinto estroflesso,
piede troncoconico modanato e bassa gola di raccordo, sembra tipica del gruppo; è attesta-

44
  Esempi non baccellati sono costituiti dalla coppia CVA Tübingen 7, tav. 26, 1-2, inv. 7456 e 3-4, inv. 1454.
45
  Nella t. 5/1915 di Contrada Vaccarella a Taranto se ne rinvenne un unico esemplare (Maraschini 1988, n.
34.7).
46
  Morel 1981, tav. 190.
47
  Agorà XXIX 1997, vol. 2, n. 1184, fig. 73, ascritto alla seconda metà del III secolo a.C.
48
  Si vedano ad esempio i materiali presenti nella t. 23/1957 di Taranto, datata agli anni intorno al 350 a.C. (At-
leti e guerrieri 1997, p. 396 ss.).
49
  Collezione Lagioia 2004, p. 360, n. 321, inv. A997.01.020.
50
  Bari: Collezione Polese 1970, tav. XXXVIII, n. 224. CVA Brunswick, tav. 46,10. CVA Napoli 3, tav. 68,2.
51
  Bari 23264 da Conversano (Depalo 1987, p. 91, n. 15; L’Abbate 1990, p. 117). Ginevra IM 4821. Ruvo, cat.
n. 21 (Jatta 1278, inv. 35914).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


36 iv. il gruppo del ramo di alloro

ta nella parte finale della produzione52; ne sono noti un esemplare da Conversano53 e uno da
Rutigliano54; tre coppe, decorate con un tralcio vegetale all’interno del labbro, sono presenti –
forse non a caso – nelle collezioni ruvestine (Jatta, Caputi e Lagioia)55; un esemplare con lab-
bro estroflesso più piatto appartiene alla Collezione Lillo-Rapisardi, di probabile provenienza
peucezia56. Altra forma che pare peculiare del Gruppo è la coppa su piede monoansata, dotata
di due apicature a fianco dell’attacco dell’ansa (cat. n. 56), affine al tipo Morel 6213 a vernice
nera57.
Nel Gruppo del Ramo di Alloro sono rare le lekythoi e le epichyseis, mentre non sono at-
testate bottiglie58. Per giustificare l’assenza di vasi per unguenti nel gruppo del Ramo di Allo-
ro, è stato supposto che l’uso degli oli profumati fosse più greco che indigeno59; in realtà nelle
tombe peucezie si trovano costantemente vasi con funzione di unguentari (lekythoi, alabastra,
bottiglie, epichyseis, unguentari) realizzati in classi diverse (ceramica a vernice nera, figure ros-
se, “Gnathia”, a reticolo, acroma).
L’ampia gamma di esemplari raccolti e catalogati da Green consente di verificare come
l’inizio della serie fosse indubbiamente legato alla figura del cosiddetto Pittore di Toledo; in
alcuni casi viene persino adottata la morfologia vascolare dell’oinochoe forma 2, tipica del ce-
ramografo, ma altrimenti non attestata in ambito apulo, quanto piuttosto in area campana60.

3. Motivi decorativi

Caratteristica decorativa peculiare del Gruppo del Ramo di Alloro è il rapido abbandono
dell’uso degli ovuli incisi e dipinti alternati a punti; il motivo viene semplificato in ovuli bian-
chi privi dei punti e del contorno graffito, come a volte già riscontrato in alcune opere del Pit-
tore di Toledo61. Gli esemplari che recano ovuli incisi si collocano, anche per ragioni morfolo-
giche, all’inizio della serie62. Secondo la sintassi canonica, sotto agli ovuli – separati da coppie
di linee incise – trovano posto i tremuli giallo-rossi, sulla cui interpretazione avremo modo di
tornare in seguito63. I grappoli d’uva sono contraddistinti da una forma massiccia e arrotonda-
ta, mentre le foglie sono caratterizzate dal disegno piuttosto spesso64.
Le iconografie identificate da Green si possono ricondurre a tre schemi decorativi principali:
1) tralci di vite disposti a pergolato, derivati da una semplificazione dello schema ideato
dal cosiddetto Pittore della Rosa; al centro del campo delineato dai rami è collocato un
oggetto o un animale65 (ad esempio cat. n. 34);

52
  Si ricorda ad esempio la coppa cat. n. 69 (Jatta 456, inv. 35242).
53
 Dalla t. 12/1958 di via Pantaleo (Chieco-Bianchi Martini 1964, p. 171, n. 39).
54
 Dalla t. 191/1979, inv. 173352 (Depalo 1989, p. 108).
55
 Vicenza 664, Collezione Banca Intesa 2006, p. 702, n. 320. Collezione Lagioia 2004, p. 283, n. 216.
56
  Vania 2003, p. 44, n. 71, inv. 4837.
57
  Morel 1981.
58
  Si può tuttavia ricordare l’esistenza di una lekythos a bocchello emisferico (cosiddetto perfume pot) a San
Pietroburgo e l’epichysis a corpo globulare Vicenza 515 (Collezione Banca Intesa 2006, p. 689, n. 307).
59
  Green 2001, p. 62.
60
 Un esempio è costituito dall’oinochoe della ex Collezione Caputi (Collezione Banca Intesa 2006, inv. 546).
Sul Pittore di Toledo si veda Green 1980.
61
  Ad esempio la situla Cambridge A27 (Archivio Green).
62
  Ad esempio l’oinochoe Londra 73.8-20.317, CVA British 1, tav. 5,16, già nella Collezione Castellani, contrad-
distinta da forma massiccia, con collo piuttosto largo.
63
  V. infra, p. 38.
64
  Green 1982, p. 130.
65
  Si veda ad esempio l’oinochoe cat. n. 4 (Jatta 1002, inv. 35744).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 37

2) rami secchi o di edera pendenti verticali, che incorniciano al centro un ramo di alloro
parallelo, che dà il nome alla serie66; in mezzo ai campi si trovano solitamente due rosette
(ad esempio cat. n. 15);
3) teste femminili, racchiuse o meno da motivi floreali, in rari casi alate (ad esempio cat.
n. 21).
Tipica del gruppo è inoltre la raffigurazione di un tralcio “di alloro” (secondo la nomen-
clatura di Green, seguito dalla Rogate Uglietti67) o meglio “di ulivo selvatico” (denominazione
della Forti68), con le foglie allungate e ricurve alle estremità (ad esempio cat. n. 62), che Green
ritiene derivare dalla Cerchia del Pittore della Rosa; nelle opere di questo artigiano infatti il
ramo compare nella medesima posizione, immediatamente sotto l’orlo del vaso (ad esempio
all’interno delle stemless cup)69. Tale motivo ricorre frequentemente anche nell’ornato accesso-
rio dei prodotti a figure rosse tardoapuli70.
Nello schema decorativo eponimo della serie, non di rado singoli grappoli d’uva spun-
tano tra i rami; questa caratteristica iconografica è comune alla cosiddetta “Serie Lucana”, un
gruppo identificato da Green come produzione del Materano71. A volte i rami verticali sono
alternati ad altri obliqui divergenti al centro, secondo un disegno che ricorda certe opere del
Pittore della Rosa72.
Al di là di questi elementi decorativi, il repertorio dei motivi figurati veri e propri è piut-
tosto limitato. Non compaiono alcuni temi tipici dell’iconografia greca coloniale, come ad
esempio la maschera teatrale, indizio che suggerisce una precisa selezione dei soggetti operata
dall’ambiente indigeno. Sono anche del tutto assenti le raffigurazioni di personaggi a figura
intera. I casi più impegnativi sono rappresentati dalle teste femminili e dagli intricati girali dei
kantharoi sessili e di qualche skyphos73. Alcuni volti, in particolare quelli alati raffigurati su tre
boccaletti tipo N e sull’askos Londra F584, sarebbero da attribuire, secondo Green, alla figura
che per la ceramografia a figure rosse è stata denominata “Pittore delle Anfore” (Amphorae
Painter) o ad artigiani operanti nello stesso ambito74.
L’iconografia della testa femminile alata, la cui interpretazione meriterebbe analisi appro-
fondite, ricorre anche su alcuni boccaletti tipo M75. Altri volti femminili compaiono su askoi,
skyphoi, crateri e stemless cup; queste ultime possono ospitare nel tondello centrale all’interno
della vasca, al posto della testa femminile, un animale o un oggetto, incorniciato da tre cerchi

66
  Si ricordano lo skyphos cat. n. 46 (Jatta 705, inv. 35470) e l’oinochoe Londra, British Museum 1873.8-20.317,
con rami verticali alternativamente di edera e di alloro (Green 2001, p. 90, fig. 17).
67
  Rogate Uglietti 1976, p. 76 e nota 6.
68
  Forti 1965, p. 64 n. 7; l’autrice, tuttavia, si riferisce al solo motivo costituito da “foglie oblunghe, unite a due
a due, senza lo stelo e separate da due punti che indicano le bacche”. Nel nostro caso, si trovano invece anche atte-
stazioni in cui lo stelo è presente, per lo più dipinto, ma anche inciso (costituito da una doppia linea).
69
  Green 1976c, pp. 6 e 10.
70
  Si veda il piatto rinvenuto nella t. 4/1981 di Bitonto (Riccardi 2003, p. 107, fig. 171).
71
  Su gentile segnalazione del prof. Green. Tale gruppo non è ancora stato pubblicato; vi si accenna in Lanza
2006b, p. 111 s.
72
 Il lato B dello skyphos monumentale Bonn 1201, attribuito da Green a tale ceramografo, presenta ad esempio
lo stesso schema e, inoltre, il tipico motivo della nappina aggrovigliata appesa a una catena verticale di punti bian-
chi, che spesso ricorre nel Gruppo del Ramo di Alloro. Green 1976 c, tav. 3. Per il motivo della nappina bianca si
veda l’askos cat. n. 1 (Jatta 300, inv. 36633).
73
  Ad esempio Bruxelles R481 o lo skyphos Bologna 752, che reca sul lato B il motivo decorativo eponimo, con
ramo di alloro fra due tralci d’edera sotto gli ovuli dipinti.
74
  Jatta 1278, inv. 35914 (cat. n. 21), Ginevra IM 4821 (Curti 1998, tav. V), Bari 23264 da Conversano (L’Abba-
te 1990, p. 117). Askos CVA London British 1, tav. 5,23; Rocco 1942, tav. III, fig. 11; Green 2001, p. 62.
75
  Si ricordano a titolo di esempio i boccaletti Oxford 1944.102, Washington Collezione Universitaria (Archi-
vio Green) e Bologna 765 (CVA Bologna 3, tav. 1,23).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


38 iv. il gruppo del ramo di alloro

concentrici contigui (ad esempio cat. nn. 65 e 66). Le stemless della Collezione Caputi e della
Collezione Jatta, nonché i kantharoi baccellati di quest’ultima, già in passato vennero a buon
diritto fatti rientrare all’interno della medesima officina76.
L’adozione del motivo figurato nel Gruppo del Ramo di Alloro riguarda per lo più la
rappresentazione di piccoli oggetti o animali, che compaiono solitamente su oinochoai, sky-
phoi e crateri, all’interno del pergolato di vite; non vengono mai effigiati sul cup-skyphos e sul
kyathos, con buona probabilità a causa della mancanza di spazio disponibile per la raffigura-
zione, nonché per la curvatura eccessiva della parete. Altro campo destinato ad accogliere la
rappresentazione di un oggetto è a volte, nell’askos doppio, la piccola sezione di spalla com-
presa fra i due colli77.
La maggior parte degli elementi figurati si ricollega all’iconografia connessa all’ambito del
banchetto; rientrano in questo caso ad esempio le raffigurazioni di nastri di lana, rossi e gial-
li, che venivano indossati dai banchettanti o appesi alle pareti della sala e al collo dei vasi78. Il
motivo del nastro bicromo è ripreso dal tremulo giallo-rosso (termine inglese “fillet”), che nel
Gruppo del Ramo di Alloro è ancora sicuramente inteso nel suo significato originario, come
si evince chiaramente dalla raffigurazione sullo skyphos cat. n. 35: qui la sequenza gialla e ros-
sa della benda si piega nelle estremità laterali,
che per un breve tratto ricadono perpendi-
colari, provviste di nastrini per l’allacciatu-
ra. Questo simbolismo si perse con l’andare
del tempo e i tremuli bicromi divennero un
semplice motivo decorativo. Come è stato
più volte osservato, nella produzione daunia
del Gruppo Knudsen vengono abbandonati
e sostituiti da una linea ondulata gialla79. An-
che la catena di punti bianchi desinente nella
nappina di fili aggrovigliati, caratteristica del
gruppo (fig. 8), rappresenta con ogni proba-
bilità le catenelle appese ai vasi o ad altri og- Fig. 8 - Ruvo di Puglia, Museo Nazionale Jatta. Skyphos
getti; infatti queste sono raffigurate mediante cat. n. 47, inv. 35557, Jatta 799.
la stessa modalità sul cratere a calice del Pit-
tore di Compiègne conservato a Ginevra, dove un personaggio della farsa fliacica impugna
una fiaccola e una hydria così addobbate (fig. 9)80.
Ancora riconducibili alla sfera del banchetto sono le immagini di vasellame, che vanno
probabilmente intese come raffigurazioni di oggetti in materiale metallico; a questo alludereb-
bero le forme, il colore giallo e le vivaci lumeggiature bianche, intese a rendere i riflessi di luce.
Particolarmente diffusa è la situla su tre piedi, tipica delle produzioni magnogreche, come si
evince dagli esemplari effettivamente rinvenuti, prodotti sia in metallo sia in ceramica a verni-

76
  Rogate Uglietti 1976, p. 83 s.
77
  Ad esempio l’askos cat. n. 3 (Jatta 301, inv. 36634).
78
  Tali bende compaiono sulle oinochoai cat. nn. 136 e 4 (Jatta 607, inv. 35378 e Jatta 1002, inv. 35744). Per l’uso
di cingere i vasi con tali bende, si veda ad esempio il cratere frammentario del Pittore di Konnakis rinvenuto a Ta-
ranto in via Minniti (Forti 1986, tav. LVII, lato B; D’Amicis 1996, p. 442, n. 368).
79
  Green 1995, p. 222.
80
 La raffigurazione della catenella con nappina bianca ricorre su diversi esemplari del Gruppo del Ramo
di Alloro della Collezione Jatta: cat. nn. 1, 2, 6, 9, 47, 55. Per il cratere di Ginevra: Le peintre de Darius 1986,
pp. 27 e 244. Simili addobbi venivano utilizzati nell’ambito del banchetto e del teatro; ad esempio compaiono
ad ornare il palcoscenico della farsa fliacica (si veda il cratere da Bari, Londra British F 269 in Catteruccia
1951, tav. III).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 39

ce nera81; a volte è raffigurata la variante detta


“cista a cordoni”82. Ci sono anche esempi di
crateri (a calice e a campana), anfore, kantha-
roi di tipo A1, kalathoi, stemless cup e oino-
choai83. Raffigura forse un paniere oppure un
vaso con coperchio il contenitore effigiato sul
cratere a campana Jatta cat. n. 31. Altre volte
troviamo piccoli oggetti come un incensiere,
uno specchio o un alabastron84. Le rappre-
sentazioni di torce, accese o spente, ripropon-
gono sia la tipologia comune sia la variante
locale apulo-lucana con due bracci disposti
a croce85. Molto raramente vengono effigiati
strumenti musicali86. Tra le raffigurazioni di
animali si annoverano cigni, colombe ed altri
volatili, a volte un gallo o un leprotto, non-
ché, in un caso eccezionale, un leone87.
Si può distinguere infine – all’interno
del più vasto raggruppamento del Gruppo
del Ramo di Alloro – una serie, decisamente
meno ricorrente, che, per quanto contrad-
distinta da caratteri molto simili, potrebbe
Fig. 9 - Ginevra, Musée d’art et d’histoire, Collezio- forse essere pertinente a una diversa officina.
ne privata. Cratere a calice, particolare (Le peintre de Questo nucleo, che comprende per lo più
Darius 1986, p. 27). skyphoi e oinochoai, parrebbe inoltre stret-

81
 Un esemplare fittile è conservato presso il Museo di Bari, inv. 1673. Cfr. Williams 2000, p. 264, fig. 7.
82
 Una situla è raffigurata su numerosi esemplari della serie: ad esempio l’askos cat. n. 2 (Jatta 301, inv. 36634),
l’oinochoe Lione inv. L620 (Cassimatis 1999), il cratere a campana Varsavia 198132 (CVA Warsaw 6, tav. 15, 4-5),
lo skyphos Leiden K 1948/2.1 (Green 2001, p. 89, fig. 16), la stemless cup già della Collezione Caputi (Rogate
Uglietti 1976, inv. 3; Collezione Banca Intesa 2006, p. 700 s., n. 319) e lo skyphos Altamura 7186 da Gravina
(Lanza 2006b, cat. n. 356). Una situla a cordoni compare sullo skyphos dalla tomba di Contrada dietro il Fosso a
Ceglie - Carbonara (De Palma 1989, tav. XXIV).
83
  Cratere a calice: oinochoe cat. n. 7 (Jatta 1078, inv. 36803); pelike di forma lucana Bari 8016, con un cratere
raffigurato fra un situla e una kylix o stemless cup appesa; un cratere a calice baccellato figurato è effigiato sull’oino-
choe cat. n. 7. Cratere a campana: stemless cup cat. n. 60 (Jatta 600, inv. 35372). Anfo­ra: oinochoe cat. n. 7. Kantharoi
di tipo A1: sul boccaletto/mug di tipo M Atene 2306, un kantharos è rappresentato fra due kylikes o stemless ap-
pese (Forti 1965, tav. III,c); sull’oinochoe cat. n. 5 (Jatta 975, inv. 35718) un kantharos è associato ad una oinochoe
forma 1 e ad una colomba. Kalathoi: skyphos cat. n. 35 (Jatta 1084, inv. 36809). Per le stemless cup e l’oinochoe si
vedano gli esemplari già citati.
84
 Incensiere e specchio: oinochoe Napoli 138 (CVA Napoli 3, tav. 65,6); oinochoe cat. n. 8 (Jatta 525, inv.
35303). Alabastron: cratere a campana cat. n. 31 (Jatta 1081, inv. 36806).
85
  Per la torcia di tipo canonico si ricorda il cratere a campana Vienna IV 118 A (Aus Gräbern 1985, p. 41, tav.
17, n. 61). Per la torcia a due bracci si vedano: la zuppiera Bari 5033 e lo skyphos cat. n. 38 (Jatta 1042, inv. 36769).
Nell’oinochoe Jatta cat. n. 7 è associata a una torcia normale. Per l’identificazione della torcia a bracci incrociati
come tipologia locale si rimanda a Keeling c.s.
86
  Si ricorda ad esempio il sistro italico dipinto sulla zuppiera Verona 188 Ce (CVA Verona 1, tav. 18, n. 1546, 1 a-b).
87
  Cigno: cratere skyphoide o skyphos tipo A Malibu 79.AE.188 (Green 1986a, p. 131, fig. 21 a); stemless cat.
n. 66 (Jatta 285, inv. 36618); skyphos cat. n. 46 (Jatta 705, inv. 35469); skyphos cat. n. 36 (Jatta 1035, inv. 36763). Co-
lomba: skyphos cat. n. 32 (Jatta 713, inv. 35477); skyphos cat. n. 38 (Jatta 1042, inv. 36769); oinochoe cat. n. 5 (Jatta
975, inv. 35718). Altri volatili: boccaletto tipo M Copenhagen 7972 (CVA Copenhagen 7, tav. 276,2). Gallo: skyphos
tipo A di una collezione privata di Palm Beach. Leone: skyphos tardo di Basilea (Archivio Green). Leprotto: cratere
CVA London British 1, tav. 1,8; kantharos CVA Karlsruhe 2, tav. 84,1-2, inv. B243.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


40 iv. il gruppo del ramo di alloro

tamente connesso a un sottogruppo della cosiddetta Serie Lucana88. Il decoro presenta ovuli,
tremuli giallo-rossi, fila di punti o pendenti bianco/gialli, tralcio di vite orizzontale, racchiuso
alle estremità da due rami verticali, fila di punti o gruppi di tre punti89. Il tralcio di vite è rap-
presentato completo (ovvero con elementi sia sopra sia sotto il ramo rosso, che in alcuni casi
è ondulato). I rami pendenti laterali hanno stelo lineare inciso e piccole foglie d’edera cuori-
formi bianche, come nella Serie Lucana. Sotto alla vite talvolta è raffigurato un oggetto invece
della serie di punti90. I grappoli d’uva sono gonfi, come tipico del Gruppo del Ramo di Alloro.
Un’oinochoe di questo tipo emerse nello scavo della t. 1/1908 di vico Loseto a Ceglie, associa-
ta ad uno skyphos C e a una stemless cup del Gruppo del Ramo di Alloro vero e proprio91. Il
confronto diretto dei manufatti ne suggerisce la pertinenza a due ambiti produttivi differenti;
mentre, infatti, lo skyphos e la stemless sono accomunati dallo stesso tipo di argilla (Munsell
7.5 YR 6/3-4, con molti inclusi bianchi) e di vernice (bruna a tratti verdastra, malcotta, sottile,
poco lucida, uniforme), l’oinochoe è contraddistinta da un corpo ceramico più chiaro (Mun-
sell 10 YR 6/4, con molti inclusi bianchi) e da colori sovraddipinti più sottili, meno pastosi
e più diluiti (almeno a giudicare dalla diversa tonalità di giallo, che nello skyphos assume un
colore molto più aranciato). Pur essendo migliore e più curata la resa della decorazione, anche
nell’oinochoe la vernice è malcotta, in ampi tratti verdastra, ma molto più lucente. L’unico ma-
nufatto ascrivibile a questo raggruppamento nella Collezione Jatta è l’oinochoe cat. n. 10.

4. Osservazioni di tipo tecnico

Mediante l’analisi capillare dei colori sovraddipinti presenti sui materiali della Collezione
Jatta è stato possibile dimostrare come, anche all’interno di un gruppo piuttosto omogeneo, sia
mutevole la gradazione delle tonalità dei colori adottati (essenzialmente bianco, rosso e giallo).
Ciò non stupisce, se si pensa con quale facilità le mescole dei ceramografi potessero subire varia-
zioni e soprattutto considerando il fatto che, senza dubbio, la decorazione veniva cotta insieme
al vaso stesso e poteva quindi assumere tonalità differenti di colore, anche a causa di fattori di-
versi, quali la temperatura di cottura e il grado di ossigenazione. La prova inconfutabile che la
decorazione sovraddipinta sui materiali di questo gruppo venisse cotta in un’unica fase con il
vaso (e non ad esempio applicata “a crudo” oppure fissata “a caldo” mediante una seconda cot-
tura) viene dall’osservazione di alcuni manufatti malcotti92. Le tracce lasciate dall’ingobbio co-
lorato sulla vernice nera non perfettamente sinterizzata costituiscono infatti una prova evidente
della presenza della decorazione sul vaso al momento della sua prima (ed unica) cottura. Del re-
sto, ipotizzando il caso della decorazione “a freddo”, sarebbe arduo spiegare come prodotti così
malcotti potessero costituire validi supporti per una successiva decorazione93.
Risulta tuttora di difficile interpretazione la funzione del segno a forma di croce, dipinto
in miltos sul fondo di alcune forme per lo più chiuse94. Normalmente la croce era dipinta su

88
  Su questo raggruppamento inedito si veda un’anticipazione in Lanza 2006b, pp. 111-113.
89
  Ad esempio le oinochoai Bari 6704, Napoli 1372 (CVA Napoli 3, tav. 65,11) e Taranto 9240, dalla t. 1/1908 di
Ceglie del Campo (Cassano 1989, p. 158, fig. 16).
90
 Uno specchio compare sull’esemplare Napoli 138 (CVA Napoli 3, tav. 65,6).
91
 La foto del corredo della t. 1/1908 è pubblicata in Cassano 1989, p. 158, fig. 16. I materiali sono custoditi nei
magazzini del Museo di Taranto (stemless cup TA9251, skyphos TA9262, oinochoe TA9240).
92
  Ad esempio l’oinochoe trilobata cat. n. 8 (Jatta 525, inv. 35303).
93
  Sul problema della tecnica di cottura della pittura della ceramica sovraddipinta si rimanda a Lanza 2006a.
94
 Gli askoi cat. nn. 1 e 2, le oinochoai 6, 8, 12 e l’olpe 10. Tra i materiali rinvenuti in contesto si segnalano l’olpe
da Bitonto (inv. 25340), l’askos da Botromagno (inv. TA192002), la coppa a labbro estroflesso dalla t. 12/1958 di via
Pantaleo a Conversano (inv. 21026 + 21046), le oinochoai dalla t. 1/1908 di Ceglie (inv. TA9240) e Taranto TA6433
da Bitetto (acquisto Lovera 1910). Cfr. Lanza 2006b, cat. nn. 40, 67, 154, 190, 274.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 41

oinochoai, olpai, pelikai, epichyseis e askoi, tuttavia è anche presente sul fondo di una coppa a
labbro estroflesso95; l’esemplare analogo presente nella Collezione Jatta (cat. n. 69), pur rien-
trando con ogni verosimiglianza nell’ambito della medesima officina, presenta invece sul fon-
do solchi impressi e due fasce a vernice nera. La croce rossa, riscontrabile anche nella ceramica
a figure rosse e nella vernice nera, nella sovraddipinta non è limitata al Gruppo del Ramo di
Alloro, ma è frequente anche in altre produzioni diffuse soprattutto in Messapia (ad esempio
compare spesso sulle oinochoai del Gruppo Sidewinder96). Al Museo Jatta sono esposti pezzi
ascrivibili ad altri gruppi connotati anch’essi da tale segno sul fondo (ad esempio, cat. nn. 113,
118, 125, 129). Certamente il segno non era apposto a scopo decorativo, ma funzionale, prima
della cottura; è escluso, secondo Johnston, che potesse avere un significato commerciale97. Si è
ipotizzato che fosse un marchio di fabbrica, ma la ricorrenza su materiali ascrivibili a gruppi
diversi parrebbe escluderlo. Non può indicare una misura di capacità, dal momento che ricor-
re su materiali di dimensioni diverse98; potrebbe invece trattarsi di un segno apposto dal vasaio
per un motivo tecnico (computo dei vasi, indicazione del punto centrale del fondo, ecc.)99.

5. Rapporti con altre produzioni

Come abbiamo già accennato, il legame tra il Gruppo del Ramo di Alloro e il Pittore del-
le Anfore (“Amphorae Painter”) riveste un’importanza notevole. Dal momento che i prodotti
di tale ceramografo risultano estremamente diffusi in Peucezia, è stata proposta l’ipotesi che la
sua officina fosse operante in questa regione, forse proprio a Ruvo100. Alcuni volti effigiati su
manufatti ascritti alla parte iniziale del Gruppo del Ramo di Alloro presentano caratteri in co-
mune con la ceramografia a figure rosse che ruota intorno a tale pittore101. La resa dell’occhio
sui boccaletti di Ginevra e di Conversano (fig. 10) è estremamente vicina alla maniera del ce-
ramografo102; per quanto riguarda invece la tecnica sovraddipinta è accostabile alla produzione
del cosiddetto “Pittore di Ruvo”103.
Molto simile al volto raffigurato sul boccaletto di Conversano risulta la testa alata, con
riempitivo a tre punti bianchi, sovraddipinta sul collo di un cratere a figure rosse del Pittore di
Ganimede104. Per i dettagli della bocca e dell’occhio, un confronto piuttosto stretto si intrave-
de con un coperchio di lekanis a figure rosse, attribuito al Gruppo di Stoke on Trent105. Su un

95
  Rinvenuta a Conversano (Chieco-Bianchi Martini 1964, p. 171, n. 39).
96
  Si ricorda ad esempio l’esemplare Torino 5999 (Lanza 2005, p. 38, n. 4).
97
  Johnston 1979, p. 238.
98
  Green 1976c, p. 9. La croce in miltos compare anche su alcune epichyseis; a titolo esemplificativo si ricorda-
no gli esemplari Torino 4146, attribuito al Pittore degli Alabastra di Salapia (Lanza 2005, cat. n. 7), Lecce (Bernar-
dini 1961, p. 23, tav. LII, 1 e 3), Tricarico (Bracco 1949, p. 127, frammentario), Gioia MG 879, da Monte Sannace
(Gargano 2003, p. 149; Lanza 2006b, cat. n. 438). Un segno analogo (ma più sottile e realizzato in vernice scura) è
presente anche sulle ceramiche indigene peucezie; si ricorda ad esempio il kantharos geometrico dalla t. S22 di Bo-
tromagno (fine VII-VI a.C.): Botromagno II 1969, p. 133, fig. 13.1.
99
  Ringrazio le dott.sse Amelia D’Amicis e Federica Wiel-Marin per le riflessioni e i suggerimenti in proposito.
100
  RVAp II 1982, pp. 766-774, tavv. 285-286. Green 1989, p. 222.
101
  Si vedano ad esempio l’askos “Gnathia” del British Museum (Londra F584, CVA London British 1, tav.
5,23) e i tre boccaletti N: cat. n. 21 (Jatta 1278, inv. 35914); Ginevra IM4821 (Curti 1998, tav. V); Bari 23264, dalla
t. 2/1979 di Conversano (L’Abbate 1990, p. 117).
102
  Si confronti il boccaletto “Gnathia” di Ginevra con l’anfora di Manchester o il cratere skyphoide di Beverly
Hills (RVAp II 1982, p. 766, n. 23/167 e p. 765 n. 48 a).
103
  Si tratta di un ceramografo identificato da Green in un lavoro ancora inedito. La denominazione, come ve-
dremo in seguito, deriva proprio da tre lekythoi della Collezione Jatta (cat. nn. 110-112).
104
  Bassano del Grappa 73, Collezione Chini (RVAp II 1982, p. 800, n. 28).
105
  RVAp II Suppl. 1991-1992, p. 300, n. 302b.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


42 iv. il gruppo del ramo di alloro

coperchio di pisside da Ceglie ritroviamo in-


fine lo stesso modo di rappresentare l’occhio,
il sopracciglio e la bocca106. Questi indizi
suggeriscono che il ceramografo autore del-
la decorazione del boccaletto di Conversa-
no doveva essere esperto anche nella tecnica
a risparmio. Il cratere a mascheroni a figure
rosse del British Museum (GR 1985.10-9.1),
attribuito da Trendall al Gruppo di Deri, è
ornato sul collo da un meandro destrorso e
da un tralcio di vite sovraddipinti in una ma-
niera molto vicina a quella del Gruppo del
Ramo di Alloro107. Tra questo gruppo “Gna-
thia” e le produzioni a figure rosse sono
ampiamente attestati paralleli non solo ico-
nografici, ma anche morfologici e tecnici. Si
ricordano in particolare un boccaletto e due
kantharoi baccellati della Collezione Lagioia
realizzati in tecnica mista108.
Oltre che nei particolari dell’iconografia
Fig. 10 - Conversano, Museo Civico. Particolare del
dei profili femminili, il Gruppo delle Anfore
boccaletto BA23264, dalla t. 2/1979 di Conversano presenta altri punti di contatto con il Grup-
(L’Abbate 1990, p. 117). po del Ramo di Alloro: adotta anch’esso, ad
esempio, gli ovuli sovraddipinti bianchi privi
di contorno graffito e alcuni schemi decorativi, quali la testa nel tondo delle stemless, associa-
ta a un tralcio vegetale che corre lungo il labbro109. La somiglianza è ancora più convincente
nei prodotti che utilizzano la tecnica sovraddipinta110. Alcuni manufatti del Gruppo delle An-
fore condividono con il Gruppo del Ramo di Alloro l’adozione di forme particolari, come
l’askos doppio con anse ad anello e il boccaletto tipo N111. Infine esistono alcuni dettagli for-
mali, come la configurazione di alcune “appliques” plastiche, comuni a kantharoi di entrambi

106
  RVAp II 1982, p. 893, n. 324. Si confronti anche RVAp II Suppl. 1991-1992, p. 300 n. 302b, con testa senza
ali, ma con volto e occhio molto simile, con lungo sopracciglio arcuato proteso in avanti. Si veda infine il kantharos
RVAp II 1982, p. 895 n. 387, per la resa dell’occhio.
107
 Il cratere, già sul mercato antiquario, venne pubblicato da Christies sul catalogo d’asta del 26 novembre
1980, n. di catalogo 273.
108
 Il boccaletto presenta un profilo femminile a risparmio sulla vasca, associato alla canonica sequenza del
Gruppo del Ramo di Alloro sovraddipinta sul collo; il vaso viene considerato «vicino al Gruppo delle Anfore e
di Armidale» (Collezione Lagioia 2004, p. 226, n. 164). Esempio analogo è costituito da un boccaletto di tipo M
(CVA Verona 1, tav. 10,5 a-b, inv. 139Ce). I kantharoi presentano rispettivamente una testa femminile a risparmio
fra girali sovraddipinti (inv. A997.01.299, attribuito all’officina dei pittori di Dario e dell’Oltretomba) e rosette a
risparmio sul labbro esterno e cigno sovraddipinto nel tondo interno (inv. A997.01.300). Collezione Lagioia 2004,
n. 169 p. 230 e n. 170 p. 231.
109
  Si vedano le due paterae della ex Collezione Caputi, inv. 297 e 298 (RVAp II 1982, cap. 24, nn. 122 e 123, p.
774) attribuite al cosiddetto “Amphorae Painter”, vicine in particolare alla stemless cup cat. n. 57.
110
  Rientrano in questa categoria alcuni vasi della Collezione Lagioia di Ruvo, attribuiti al Gruppo delle Anfo-
re: un boccaletto tipo M con decorazione accessoria sul collo vicina al Gruppo del Ramo di Alloro e un coperchio
di pisside globulare. Inoltre un coperchio di pisside globulare del Gruppo di Zurigo 2660 viene accostato al Grup-
po di Boston della “Gnathia” (RVAp II 1982, pp. 899-901; Collezione Lagioia 2004, p. 228). Ricordiamo anche il
coperchio di una pisside dell’Harrow School Museum (T 79 a. RVAp II Suppl. 1991-1992, parte II, p. 240, n. 168 a).
111
  Si veda ad esempio RVAp II 1982, p. 774, n. 121, ascritto al Gruppo di Taranto 9243, sottoinsieme del
Gruppo delle Anfore.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 43

i gruppi112. La stretta interrelazione tra questi due gruppi consente di tracciare una importante
connessione tra le produzioni a figure rosse e “Gnathia” della Puglia centrosettentrionale.
Ulteriore spunto di riflessione è costituito dalla compresenza, all’interno dei medesi-
mi corredi tombali, di vasi del Gruppo del Ramo di Alloro associati a “servizi” ascrivibili al
Gruppo delle Anfore e affini. Ceglie del Campo emerge per ben quattro casi: le tombe 1/1908,
4/1929, 7/1929 e la sepoltura di Contrada Dietro il Fosso a Carbonara113. La t. 4/1981 di Bi-
tonto (330-310 a.C.) ha restituito una quindicina di vasi ascritti a gruppi operanti intorno alle
figure dei pittori delle Anfore e della Patera, associati a due soli contenitori “Gnathia”, forse
non a caso entrambi buoni prodotti del Gruppo del Ramo di Alloro. Dalle sepolture rinve-
nute a Sannicandro di Bari all’inizio del secolo scorso sono emersi un cratere a campana e un
kyathos del Gruppo del Ramo di Alloro, insieme a una serie di vasi del Gruppo delle Anfore
(un cratere tipo RF, un lebes gamikos, un boccaletto tipo N e una lekythos)114. La Collezione
Jatta comprende almeno una ventina di vasi ascrivibili al Gruppo delle Anfore115.
L’osservazione diretta di alcuni materiali consente di appurare come l’argilla impiegata in
alcuni vasi del Gruppo delle Anfore presenti le stesse caratteristiche tecniche del corpo cera-
mico tipico del Gruppo del Ramo di Alloro, in particolare del sottogruppo che abbiamo visto
essere imparentato con un sottoinsieme della Serie Lucana (colore beige chiaro, Munsell 10YR
7/4, molti inclusi bianchi a granulometria finissima, miltos di colore piuttosto scuro)116. Tut-
tavia, in base ad alcune indagini archeometriche, un cratere a volute ascritto al Gruppo delle
Anfore parrebbe rientrare in un raggruppamento diverso da quello del Gruppo del Ramo di
Alloro117.
È possibile tracciare una serie di parallelismi tra il Gruppo del Ramo di Alloro e altre
classi ceramiche. Per quanto riguarda la produzione delle stemless con tondello centrale so-
vraddipinto, non si può escludere che il gruppo abbia risentito dell’influenza di alcuni prodot-
ti della “sovraddipinta apula” (cosiddetto Gruppo Xenon), ampiamente attestata in Peucezia;
sia per forma sia per sintassi decorativa (ramo vegetale esterno, tondello centrale circondato da
anelli concentrici, motivo figurato nel tondo centrale) le stemless del Gruppo del Ramo di Al-
loro ricordano infatti quelle del cosiddetto “Gruppo del Cigno Rosso”118. Anche alcune pro-
duzioni a figure rosse – come i Gruppi delle Anfore, del Sakkos Bianco, di Stroke on Trent e

112
  Si veda in proposito la discussione relativa al kantharos del Gruppo del Ramo di Alloro della Collezione
Jatta cat. n. 68, infra p. 137.
113
 La t. 1/1908 comprende probabilmente almeno due deposizioni: quella in questione, ascrivibile agli anni
330-320 a.C. e l’altra all’inizio del III secolo a.C., con vasi dauni scialbati; il corredo più antico annovera ben quat-
tro esemplari del Gruppo del Ramo di Alloro (un’oinochoe, uno skyphos C, una stemless cup e un boccaletto tipo
M), associati a un servizio completo a figure rosse del Gruppo delle Anfore e affini: un’anfora, un’hydria malcotta,
un askos e tre boccaletti tipo N malcotti. La t. 4/1929 ha restituito la lekythos eponima del Gruppo di Bari 7772,
produzione fortemente connessa con il Gruppo del Ramo di Alloro, associata a un’oinochoe, una patera e una
lekythos del Gruppo delle Anfore. Il corredo della t. 7/1929 (340-320 a.C.) comprende uno skyphos del Gruppo
di Bari 7772, un askos del Gruppo del Ramo di Alloro e due oinochoai molto probabilmente anche appartenenti al
medesimo gruppo, associati a una hydria, un’anfora e una patera del Gruppo delle Anfore (Cassano 1989, p. 158,
fig. 16; Ceglie Peuceta I, F XVI, pp. 119-134; Gervasio 1930, p. 268, fig. 12). La tomba di Carbonara contiene uno
skyphos C del Gruppo del Ramo di Alloro associato a una patera, un boccaletto N, uno skyphos A e un kantharos
del Gruppo delle Anfore e affini (De Palma 1989, tav. XXIV).
114
  Chimienti [1910], tav. VI.
115
  RVAp II 1982, p. 766 ss. RVAp II Suppl. 1991, p. 238 ss.
116
 L’indagine è stata per ora condotta su un campione limitato (vasi della t. 1/1908 di Ceglie), ma sarebbe op-
portuno approfondire la ricerca con ulteriori studi.
117
  Si tratta del cratere RVAp II 1982, cap. 24, n. 90, p. 772. Dalle indagini archeometriche australiane emerge
invece una certa familiarità tra l’argilla di due esemplari del Gruppo del Ramo di Alloro vero e proprio e una oino-
choe a figure rosse del Gruppo del Centauro BM, che occorrerebbe approfondire (Robinson c.s.).
118
  Rogate Uglietti 1976, p. 77.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


44 iv. il gruppo del ramo di alloro

il canosino Kantharos Group – adottarono uno schema analogo119. La cornice circolare bicro-
ma tripartita sarà inoltre ripresa dalla produzione centroitaliota dei pocola, come si evince dal
confronto con i piatti sovraddipinti da Capena e da Aleria, datati al primo trentennio del III
secolo a.C.120. Rimanendo nell’ambito delle produzioni “di Gnathia”, dal Gruppo del Ramo di
Alloro con ogni probabilità trasse ispirazione il Gruppo Knudsen, sviluppatosi a Canosa121. I
vasi del Gruppo del Ramo di Alloro presenti in Daunia possono aver costituito un modello,
che venne imitato mediante alcune rielaborazioni, a livello morfologico e decorativo; non è
escluso tuttavia che fossero i ceramisti stessi a circolare sul territorio. I materiali portati in luce
ad Arpi e a San Severo, inquadrabili nel tardo Gruppo del Ramo di Alloro, preludono chiara-
mente al Gruppo Knudsen122. La comunanza delle forme adottate costituisce indizio ulteriore.
Si osservano tuttavia alcune significative differenziazioni. Nella produzione daunia, ad esem-
pio, i tremuli vennero rimpiazzati da una fascia ondulata gialla; inoltre il ramo di vite perse
la parte superiore, come attestato già in alcuni esemplari del gruppo peucezio. Altra stretta
interconnessione lega alcune oinochoai del Gruppo del Ramo di Alloro a una serie di piccole
oinochoai daunie ascritte al cosiddetto “Gruppo 3Y”123.
Se le influenze esercitate sulle produzioni daunie sono facilmente identificabili, più dif-
ficile risulta stabilire la natura dei rapporti con la Basilicata orientale, anche se pare piuttosto
verosimile pensare ad una influenza della cosiddetta Serie Lucana sul Gruppo del Ramo di Al-
loro, piuttosto che viceversa124; è comunque anche vero che i due raggruppamenti condividono
una medesima matrice comune, derivando entrambi da sviluppi della Cerchia del Pittore della
Rosa, tramite la probabile mediazione del Pittore di Toledo125. Le due produzioni ebbero svi-
luppo pressoché contemporaneo, come dimostrano le associazioni di materiali dei due gruppi
all’interno dei medesimi contesti funerari; non è peraltro escluso che si verificasse un’influen-
za reciproca126.

119
  RVAp II 1982, p. 964 s.; p. 998 ss.; RVAp II Suppl. 1991-1992, cap. 24, n. 48d, p. 239.
120
  Forti 1965, p. 161; Rogate Uglietti 1976, p. 80. I pocola citati sono pubblicati in: CVA Roma, Villa Giulia
3, IV Bq, 4,1-2; Jehasse L., Jehasse J. 1973, pp. 199, 379 e tav. 99; Rogate Uglietti 1976, p. 77. Una stemless della
Collezione Dechter attribuita al Gruppo del Ramo di Alloro (Hamma 1990, p. 65, n. 38) suggerisce un’ulteriore
connessione tra le due classi; presenta all’esterno un tralcio di alloro e all’interno un uccello su kalathos; l’alloro è
dipinto in color rosso aranciato, come tipico del cosiddetto Gruppo Xenon: si ipotizzò infatti che fosse stata pro-
dotta in un centro provinciale sede di botteghe che realizzavano la “ceramica sovraddipinta apula”.
121
  Green 2001, p. 62.
122
  Si considerino ad esempio gli skyphoi Foggia TA132827, TA132826 e TA132829 da Arpi (De Juliis 1992,
n. 95, figg. 217-219; n. 96, figg. 220-222; n. 97, figg. 223-225) o lo skyphos di tipo A Foggia 7088 dalla t. 10/1971 di
San Severo (San Severo 1986, pp. 112-113, n. 5).
123
 L’esemplare Bari 7821 dalla t. 7/1929 di Ceglie del Campo (Ceglie Peuceta I 1982, p. 125, tav. XVIII, n. F
XVI 10) è molto vicino al Gruppo 3Y; su tale raggruppamento, operato da Green in via preliminare, ma ancora ine-
dito, si veda Lanza 2005, p. 65 s. e infra, p. 151.
124
  Abbiamo già avuto modo di accennare ai contatti con la Serie Lucana; a questa riconducono la presenza dei
grappoli tra i rami dello schema eponimo e le caratteristiche particolarmente simili di due sottogruppi delle due ri-
spettive serie. Un altro tratto comune è costituito dalla resa del tralcio d’edera con stelo lineare inciso e foglie supe-
riori bianche e inferiori gialle, ravvisabile ad esempio sul lato B degli skyphoi cat. nn. 48 e 51 (Jatta 875, inv. 35628
e Jatta 283, inv. 36617). È poi attestato il caso di una pelike del Gruppo del Ramo di Alloro (Bari 8016) realizzata
nella forma 2, caratteristica della “Gnathia” lucana. In analogia alla ripartizione operata da Trendall per la ceramica
a figure rosse nelle aree della Campania, Lucania e Sicilia (Trendall 1967), con il termine “Gnathia lucana” si fa
riferimento ai prodotti della Basilicata orientale; cfr. Green 2001, p. 63 s.
125
 In proposito, risulta particolarmente interessante il caso di un boccaletto tipo N rinvenuto a Conversano
(Bari 22164), decorato con tralcio di vite tra pendenti d’edera (L’Abbate 1990, fig. 80 i). Lo stile ben si colloca nella
transizione dalla tradizione del Pittore della Rosa al Gruppo del Ramo di Alloro.
126
  Si ricorda ad esempio la t. 2/1975 di Botromagno (Ciancio 1997, p. 22, sito 7). Il corredo, che comprende
69 vasi, si deve ritenere verosimilmente pertinente a due deposizioni.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 45

Esistono infine alcune interessanti stemless cup del Gruppo del Ramo di Alloro, che sem-
brano prendere a prestito motivi decorativi dalla ceramica listata canosina o più in generale
dalle produzioni indigene127.

6. Contesti
L’esponente più antico del Gruppo del Ramo di Alloro, che sia stato rinvenuto in un conte-
sto noto, è un cup-skyphos (Taranto 61514) emerso nella tomba a camera di via I Maggio a Ruvo
di Puglia, scavata nel 1949128. L’esemplare è databile agli anni intorno al 330 a.C. ed è associato
ad un nutrito gruppo di vasi a figure rosse e a vernice nera pressoché contemporanei; tuttavia la
presenza di alcuni materiali più tardi (come ad esempio il kantharos scialbato Taranto 61519) la-
scia presupporre la presenza di almeno una seconda deposizione all’interno della tomba.
Tra i contesti più significativi, che abbiano restituito prodotti del gruppo, si segnala la t.
4/1981 di Bitonto (fig. 11), indubbiamente una sepoltura di un certo livello (è l’unica tomba a

Fig. 11 - Bitonto, corredo della t. 4/1981 (Riccardi 2003, p. 99, fig. 155).

127
  Come l’esemplare della collezione Lillo Rapisardi a Trani (Vania 2003 p. 44, n. 70) o quello esposto al Ni-
cholson Museum di Sydney, che ripropongono motivi attestati nelle produzioni indigene e nel Gruppo Xenon. Per
esemplari del Gruppo Xenon si veda Robinson 1995, p. 51, nn. 109-110.
128
  Neutsch 1956, c. 289; Montanaro 2007, p. 381 ss., cat. n. 56.18.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


46 iv. il gruppo del ramo di alloro

semicamera sinora rinvenuta nel sito, con un corredo composto da 52 oggetti, di cui 38 vasi)129.
È probabile che i materiali siano riferibili a due deposizioni successive: una maschile (350-320
a.C.) e una femminile (330-310 a.C.); non si può dire a quale delle due vada ascritta la cerami-
ca “di Gnathia”, rappresentata esclusivamente da due vasi del Gruppo del Ramo di Alloro: un
cup-skyphos ed un’olpe. L’affinità iconografica dei due recipienti, decorati con il motivo epo-
nimo del gruppo, induce ad ipotizzare che essi formassero una sorta di “servizio”, composto
da vaso potorio e vaso per versare (e forse anche per attingere, considerate le modeste dimen-
sioni dell’olpe – alta una ventina di centimetri – in proporzione al cratere a mascheroni a figu-
re rosse, alto più di settanta). A livello stilistico e morfologico i due esemplari sovraddipinti
si possono ascrivere alla fase medio-alta della produzione; sono associati a ceramica a figure
rosse attribuita ai pittori di Karlsruhe e della Patera (e alla sua officina), ai gruppi delle Anfore
e della Civetta di Trieste, databili agli anni 330-320 a.C. La restante ceramica, la lucerna a ver-
nice nera e gli altri elementi del corredo ben si inquadrano in questo orizzonte cronologico.
Un altro cup-skyphos del gruppo, rinvenuto nella ricca tomba a sarcofago 2/1982 di Bitonto,
è ascrivibile per la forma ad un ambito cronologico leggermente anteriore, come confermato
dalla associazione con uno skyphos della cerchia del Pittore della Rosa e con gli altri materiali
del corredo130.
La cella B della t. 2/1975 di Botromagno, a grotticella, ha restituito una settantina di vasi,
di cui 14 “Gnathia”; tra questi, due askoi attribuibili al Gruppo del Ramo di Alloro sono as-
sociati ad alcuni vasi sovraddipinti riconducibili ad ambito lucano (un’oinochoe e un’olpetta
vicine alla produzione del Pittore di Ridola e due skyphoi della Serie Lucana)131. Il corredo si
può datare agli anni 330-320 a.C. Grosso modo contemporanea dovrebbe essere la t. 54/1978
di Contrada Purgatorio a Rutigliano, contenente 41 vasi di cui 4 “Gnathia”, con una oinochoe
trilobata del Gruppo del Ramo di Alloro132.
A volte i materiali del gruppo venivano deposti in coppie: è questo il caso ad esempio dei
due kyathoi frammentari della lussuosa tomba a semicamera di via Bari ad Altamura (330-325
a.C.), appartenente ad un personaggio di rilievo, forse uno dei principes peucezi alleatosi con
Alessandro il Molosso133.
Un discorso a parte meritano le sepolture di Ceglie del Campo, dove sono emersi pro-
dotti del Gruppo del Ramo di Alloro e del cosiddetto Pittore di Bari 7772 (tombe 4/1929 e
7/1929). Nella ricca t. 1/1908 di vico Loseto, comprendente probabilmente più deposizioni
(una degli anni 330-320 a.C. e una databile tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C.), si
rinvennero quattro esemplari ascrivibili al Gruppo del Ramo di Alloro: un’oinochoe (TA9240,
pertinente al sottogruppo imparentato con la Serie Lucana), uno skyphos (TA9262), una stem-
less cup (TA9251) e un boccaletto (TA9260)134. La tomba di Carbonara, in Contrada Dietro il
Fosso, presenta almeno due esemplari del gruppo. Il corredo, inquadrabile negli anni 330-320

129
  Riccardi 2003, p. 148 ss. A giudicare dagli elementi che compongono il corredo, si potrebbe ipotizzare che
siano da riferire a due deposizioni: una maschile, databile agli anni 350-320 a.C., e una femminile (330-310 a.C.).
130
  Riccardi 2003, p. 61, fig. 44.; il corredo non è descritto nel catalogo, ma ne è pubblicata una immagine a co-
lori. Comprende almeno 37 vasi, ascrivibili a due diversi orizzonti cronologici che fanno presupporre la pertinenza
a due diverse deposizioni, una di fine V-IV secolo a.C. e l’altra, associata alla ceramica “di Gnathia”, di fine IV a.C.
(Depalo 1984b, pp. 12 e 22).
131
  Ciancio 1997, p. 22, sito 7; Gravina s.d., p. 80 s. I materiali sono esposti al Museo Civico di Gravina in
Puglia.
132
 Una foto del corredo è pubblicata in Atti Taranto XVIII 1979, tav. XXV, 41.
133
  A questa ricca sepoltura è stata dedicata una mostra a Taranto (G. Canosa, Echi di vittorie orientali. La
tomba dell’Agip di Altamura, Antico nel Chiostro, 8, Taranto 2003); notizie della tomba furono fornite anche da
Lo Porto (Atti Taranto XIV 1975, p. 349, tavv. 58-63) e da Trendall (RVAp II 1982, p. 763 s.).
134
  Cassano 1989, p. 158 fig. 16. Cfr. Lanza 2006b, cat. nn. 188, 189, 190, 192.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia



iv. il gruppo del ramo di alloro 47

a.C., comprendeva anche un’anfora e una patera a figure rosse del Gruppo delle Anfore135. La
tomba A V scavata nel 1958, databile anch’essa al decennio 330-320 a.C., ha restituito infine
un boccaletto136.
In generale si può osservare che i vasi del Gruppo del Ramo di Alloro sono stati rinve-
nuti in sepolture di un certo livello, come nei casi di Altamura, Botromagno, Bitonto, Ceglie,
Carbonara e Rutigliano; tuttavia dal punto di vista statistico i dati non sono sufficienti per
trarne al momento conclusioni; certo è che l’aristocrazia peucezia mostra di apprezzare questi
prodotti137.

7. Cronologia

A livello di cronologia relativa, è possibile determinare una successione nella sequenza


del Gruppo del Ramo di Alloro, in primo luogo sul piano morfologico; questa peraltro non
viene contraddetta dall’evoluzione stilistica. È infatti possibile delineare una chiara progressio-
ne delle singole forme all’interno della serie, coerente con lo sviluppo delle stesse morfologie
anche nelle altre classi ceramiche (in primo luogo figure rosse e vernice nera). In particolare
esamineremo lo sviluppo delle principali morfologie.
BOCCALETTO TIPO M. Negli esemplari a figure rosse il collo è corto, strombato,
troncoconico e il corpo è poco rigonfio; nei boccaletti figurati del Gruppo del Ramo di Alloro
la morfologia si presenta analoga, con largo piede modanato e ampia gola di raccordo tron-
coconica. In seguito il corpo si fa più globoso, il collo si allunga e l’orlo si estroflette, mentre
il piede tende a restringersi. I boccaletti di questo tipo sono tra le prime forme “Gnathia” ad
adottare l’uso della baccellatura nel terzo quarto del IV secolo138. In alcuni casi il corpo è per-
corso da strigilature a reticolo; sotto l’ansa può essere impresso un motivo a croce a due o tre
bracci (cat. nn. 24-27, 29. 30), come negli analoghi esemplari contemporanei in vernice nera.
KYATHOS. Il collo e il corpo si allungano progressivamente, il piede si allarga, mentre la
gola di raccordo, ormai un vero e proprio stelo nella fase finale, diventa più sottile.
OINOCHOE. All’inizio della serie l’oinochoe trilobata forma 3 presenta sagoma più
tozza; in seguito il profilo si allunga, con corpo maggiormente rastremato alle estremità.
SKYPHOS TIPO C. Lo skyphos di tradizione corinzia presenta, all’inizio della serie,
profilo ovoidale con orlo leggermente estroflesso, per poi seguire la consueta tendenza alla
forte rastremazione della vasca verso il basso, fino a raggiungere un accenno di profilo ad S,
peraltro molto più lieve rispetto agli esemplari tarantini contemporanei.
CUP-SKYPHOS. I cup-skyphoi attestati nel Gruppo del Ramo di Alloro si collocano in
uno stadio intermedio dello sviluppo della morfologia, prima che le anse si allunghino ed as-
sumano un andamento più obliquo ed una conformazione maggiormente revoluta alle estre-
mità139.
In generale si osserva che il gruppo utilizza morfologie ascrivibili alla fase mediana dello
sviluppo delle singole forme. Il fatto che non siano attestati esiti morfologici tardi potrebbe
suggerire una precoce fine della produzione rispetto ad altre aree (se confermiamo il 300 a.C.
come termine finale) oppure un maggior conservatorismo degli artigiani peucezi. Sulla base

135
  De Palma 1989, tav. XXIV.
136
  Ceglie Peuceta I 1982, p. 184, tav. XXXI, corredo A V.
137
 La foto del corredo della tomba di Carbonara è pubblicata in De Palma 1989, tav. XXIV.
138
  Green 1976c, p. 10.
139
 Uno degli esemplari più tardi del gruppo appartiene alla Collezione Chini di Bassano del Grappa (D’Amicis
1995, p. 87).

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


48 iv. il gruppo del ramo di alloro

dell’evoluzione stilistica e morfologica è pos-


sibile ascrivere a tre diverse fasi i materiali del-
la Collezione Jatta, con una netta prevalenza di
vasi inquadrabili nelle ultime due.
Per quanto riguarda la cronologia assolu-
ta, sembra che si possa al momento confermare
la datazione all’ultimo trentennio del IV secolo
a.C., proposta da Green sulla base dell’ancorag-
gio alla figura del Pittore delle Anfore e di ele-
menti di cronologia relativa legati alle altre pro-
duzioni sovraddipinte correlate (il Pittore di To-
ledo e il Gruppo Knudsen). L’apice della produ-
zione pare collocarsi nel decennio 320-310 a.C.
Tra gli indizi interni al gruppo stesso potremmo
considerare l’anfora raffigurata sull’oinochoe cat.
n. 7 (fig. 12), affine per tipologia alle anfore gre-
co-italiche (tipo MGS IV), prodotte in Magna
Grecia e Sicilia tra il IV e l’inizio del III seco-
lo a.C.140; la cronologia proposta per l’oinochoe
agli anni 325-310 a.C. non contrasta con questo
dato.
In conclusione, il termine cronologico fi-
nale della produzione intorno al 300 a.C. pare
confermato dall’analisi dei contesti, che suggeri-
scono al massimo un abbassamento molto lieve.
I materiali più tardi si datano all’inizio del III
secolo a.C., come nel caso dello skyphos cat. n.
53. Un frammento di orlo di skyphos rinvenu- Fig. 12 - Ruvo di Puglia, Museo Nazionale Jatta.
to a Botromagno, probabilmente attribuibile al Oinochoe cat. n. 7.
Gruppo del Ramo di Alloro, parrebbe tuttavia implicare una datazione decisamente più tarda,
provenendo da un contesto stratigrafico datato tra il III e l’inizio del II secolo a.C.141. Tuttavia
l’autore ascrive tale esemplare alla fase iniziale del Medio Gnathia, fatto che ci riporterebbe
agli anni intorno al 330 a.C., a meno di voler ribassare di un quarantennio la cronologia tradi-
zionale.

140
  Caravale, Toffoletti 1997, p. 86.
141
  Small 1992, II, p. 56, n. 513, tav. X,C.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia


Capitolo V
ALTRI GRUPPI PRESENTI NELLA COLLEZIONE

1. Produzioni presumibilmente daunie o molto diffuse in Daunia

Una dozzina di pezzi della Collezione Jatta sembra riconducibile ad un ambito pro-
duttivo daunio; sono inclusi nel novero i vasi ascrivibili al “Gruppo Knudsen” (l’oinochoe
cat. n. 79, il kantharos n. 85 e gli skyphoi nn. 86-89), al “Gruppo 3 Y” (l’oinochoe n. 78) e al
“Gruppo Tardo Canosino” (la bottiglia n. 84). Questi manufatti sono tutti contraddistinti da
un corpo ceramico di colore beige piuttosto chiaro (tavole Munsell 2000, 10 YR e 7.5 YR).
Il “Gruppo Knudsen”, come è noto, prende il nome da uno skyphos conservato nella
omonima Collezione di Borgestad, in Norvegia: un oggetto che ben rappresenta le centinaia
di esemplari analoghi diffusi nei musei di tutto il mondo1. Appartengono a questo gruppo vasi
di dimensioni ridotte (skyphoi, boccaletti, piccole oinochoai trilobate e più raramente kantha-
roi) decorati con uno schema ricorrente, costituito dalla sequenza di ovuli bianchi, linea on-
dulata gialla, fila di punti gialli, fascia orizzontale rossa da cui pendono grappoli, pampini e
viticci stilizzati, contraddistinti da una forma piuttosto allungata. Solamente negli esemplari
più antichi gli elementi del tralcio di vite sono raffigurati legati al ramo mediante brevi piccioli
(ad esempio cat. n. 87): una caratteristica destinata a scomparire nella fase più recente della
produzione. Il lato B è solitamente contraddistinto da un ramo secco orizzontale collocato
immediatamente al di sotto dell’orlo; lo stelo è quasi sempre costituito da una coppia di linee
incise. La produzione, inquadrabile tra la fine del IV secolo e l’inizio del successivo, risulta
molto diffusa in Daunia: numerosi rinvenimenti furono effettuati a Canosa, Ordona, Salapia
e San Severo2. L’ipotesi avanzata da Green di ubicarne a Canosa l’officina pare confermata da
recenti analisi archeometriche3.
Il cosiddetto “Gruppo 3 Y” costituisce un raggruppamento provvisorio, ancora inedito,
operato da Green e così denominato per via della presenza di tre foglie di edera stilizzate con-
formate ad Y a chiusura della canonica sequenza decorativa, composta da: ovuli bianchi, tre-
muli giallo-rossi e/o linea ondulata bianca o gialla, fila di punti gialli, tralcio di vite, foglie di
edera ad Y alternate a gruppi di tre punti bianchi o gialli. Il gruppo include per lo più piccole
oinochoai trilobate. L’arco cronologico della produzione abbraccia la fine del IV secolo e la
prima metà del successivo4.
Il “Gruppo Tardo Canosino” (“Late Canosan”) costituisce un ulteriore vasto raggruppa-
mento di manufatti della Puglia settentrionale, inquadrabile tra lo scorcio del IV e l’inizio del
II secolo a.C.; si tratta con ogni probabilità di una produzione nata dall’incontro tra la cultura

1
  Green 2001, p. 90, fig. 18.
2
  D’Amicis 1996, p. 436; Lippolis 1996; San Severo 1996.
3
  Grave et alii 1996-1997; Robinson c.s.
4
  Lanza 2005, p. 66.

La ceramica “di Gnathia” al Museo Nazionale Jatta di Ruvo di Puglia

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