Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Nella primavera del 2018, il giornalista e scrittore statunitense Rod Dreher rende
visita a Kamila Benda, vedova di Václav Benda, dissidente cecoslovacco firmatario,
come Václav Havel, di Carta 77, scomparso nel 1999.
Tale visita è inscritta in un più ampio progetto. Scopo dell’autore era, all’epoca,
quello di verificare un'ipotesi suggeritagli da un'anziana signora immigrata
dall’Europa dell’Est e residente da tempo negli Stati Uniti, angosciata perché
quanto vedeva accadere attorno a sé negli ultimi anni le ricordava quello che era
avvenuto in Cecoslovacchia, quando il comunismo si era affacciato nel paese per
la prima volta. Arrivato a constatare la veridicità dell’ipotesi all’origine delle sue
indagini, Dreher ha quindi l’idea di elaborare un manuale di resistenza da fornire
ai suoi connazionali e, più in generale, ai popoli occidentali, per far fronte ad una
nuova forma di totalitarismo, un “totalitarismo temperato”, progetto concretizzatosi
nel suo ultimo libro: La resistenza dei cristiani. Manuale di resistenza per fedeli
dissidenti.
Grazie alla loro testimonianza, il giornalista scopre il metodo che i coniugi Benda
hanno saggiato e perseguito sotto il totalitarismo comunista, muovendo da
un’esigenza cogente: che i loro figli non perdessero la fede, che il totalitarismo non
si appropriasse della loro anima.
Consapevoli, come Solženicyn, che al cuore di ciò che aveva creato ed
alimentato il comunismo vi fosse non tanto una crisi politica, quanto spirituale, i
Benda ritenevano imperativo consolidare la forza interiore dei loro ragazzi, non
solo in quanto fedeli cattolici, ma anche in quanto giovani in grado di
comprendere il significato della missione dei loro genitori, nonché di accettare i
sacrifici che da tale missione sarebbero inesorabilmente derivati.
Sotto il comunismo, Václav e Kamila seppero fare della loro famiglia un locus
dove crescere e accogliere dissidenti saldi nella fede cristiana, consolidati nella
loro forza morale, e in grado di combattere nel movimento, più vasto, di Carta
77. Nel nome di una battaglia storica ben più grande di loro, spiega Dreher, il
patriarca Václav insegnò ai suoi figli come leggere il mondo che li circondava, e
come comprendere le persone e gli eventi in termini di bene e male, senza
permettergli di scivolare nell’ignoranza o di incedere nell’indifferenza.
Il Signore degli Anelli contribuì così alla resistenza contro il potere, contro il male
imperante e totalitario, capace di vincerti anche l’anima, incatenandola
all’oscurità. Educando al sacrificio, all’accoglienza del prossimo, all’esigenza di
porsi al servizio di qualcosa di infinito, l’opera di Tolkien ha permesso di
plasmare il coraggio morale di una famiglia, ma anche del gruppo che intorno ad
essa si riuniva, che in essa trovava conforto preparandosi e tornando dagli
interrogatori di regime.
Cinquant’anni fa, Il Signore degli Anelli partecipava alla ricostruzione morale di
un’intera nazione, aiutando a combattere il deserto di de-moralizzazione
dolorosamente riscontrato da Havel nei suoi connazionali, e a prevenirlo là dove
non aveva ancora diffuso i suoi veleni mortiferi. Il capolavoro di Tolkien
rispondeva ad un bisogno di bene, contribuiva a colmare, per mezzo della
testimonianza dei suoi (apparentemente) piccoli eroi, l’immaginazione morale di
un piccolo gruppo di dissidenti, rafforzando allo stesso tempo la loro
consapevolezza di una “responsabilità superiore a quella della propria
esistenza”, per riprendere le parole di Havel (Il potere dei senza potere). La
lettura de Il Signore degli Anelli permetteva di riscoprire la propria responsabilità
peculiare e la propria forza morale. Come raccontato da Philip Benda, leggendo
Il Signore degli Anelli “ci si accorge che innanzitutto è necessario combattere
l’impero del male, ma che la sua sconfitta non rappresenterà la fine della guerra.
A quel punto, rimangono da risolvere i problemi nella propria casa, nella
Contea”.