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ALESSANDRO MANZONI LA VITA

Nasce a Milano il 7 marzo 1785, da Giulia Beccaria, figlia del celebre giurista Cesare
Beccaria, autore del saggio Dei delitti e delle pene, e da Pietro

Manzoni, un nobile tradizionalista dalle vedute ristrette, molto più vecchio della moglie.

Pochi anni dopo la nascita del figlio, nel 1792, Giulia Beccaria si separa dal marito, per
seguire in Inghilterra e poi a Parigi Carlo Imbonati. Il giovane Alessandro viene educato in
collegi religiosi, prima dai padri Somaschi e poi dai Barnabiti. A sedici anni, lasciato il
collegio, Manzoni entra in contatto con i rappresentanti della cultura milanese e conosce le
idee progressiste della Rivoluzione francese.
Nel 1805, alla morte di Carlo Imbonati, raggiunge la madre a Parigi,dove vive uno dei
momenti più stimolanti della sua vita intellettuale. Vive con lei e le rimarrà sempre legato da
un affetto profondissimo.
Nel 1808 sposa la sedicenne Enrichetta Blondel, di fede calvinista.S otto l’influenza della
madre, la coppia si riavvicina alla religione cattolica, guidati dall’abate Eustachio Degola. Il 2
aprile 1810, ammirando il corteo nuziale di Napoleone e di Maria Luisa d’Austria, la folle
travolge la coppia e separa i due coniugi. Disperato e in preda a un attacco nervoso, si
rifugia nella Chiesa di San Rocco, dove poco dopo può riabbracciare la moglie, scampata al
soffocamento. Fu una specie di folgorazione, che li porta alla conversione.
Nello stesso anno si trasferiscono a Milano, dove Manzoni coltiva le sue passioni, tra cui la
floricultura e l’agricoltura. La vita appare serena anche se turbata da gravi disturbi nervosi,
balbuzie, ansia e agorafobia.
Nel 1811 muore alla nascita la secondogenita. Inizia il grande quindicennio creativo.

Nel 1814 acquista una casa a Milano, sua dimora definitiva. In quegli anni rifiuta di
collaborare alla rivista del romanticismo milanese “Il conciliatore”,

preferendo una posizione defilata.

Dal 1820 inizia a lavorare intensamente: progetta una terza tragedia, mai scritta e inizia il
romanzo.

Nel 1833 la moglie muore di tisi e si apre una lunga catena di lutti: solo due dei loro dieci figli
sopravviveranno al padre.

Nel 1837 sposa in seconde nozze Teresa Borri vedova Stampa. Nel 1840 esce a dispense
la seconda edizione del romanzo, con la Storia della colonna infame in appendice.
La vecchiaia dello scrittore è ancora all’insegna degli studi e della cultura: nel 1860 viene
eletto senatore del nuovo Regno d’Italia. Si spegne nel 1873.

LE OPERE MAGGIORI

Dopo la conversione, Manzoni dedica la propria energia creativa alla poesia. Della fede
ritrovata, del ritorno alla pratica del culto cattolico, gli Inni sacri sono la prima grande
manifestazione. Il programma era veramente grandioso: dodici inni sulle principali feste
religiose dell’anno ecclesiastico per esaltare Dio e la Chiesa. Ma l’autore non giunge alla
realizzazione completa del suo disegno; gli Inni furono soltanto cinque. Dal 1812 al 1815
compone successivamente la Resurrezione, il Nome di Maria, il Natale, la Passione e più
tardi la Pentecoste, inizia e non finisce Ogni Santi.
In quegli stessi anni si va delineando anche il pensiero politico e patriottico del Manzoni. Non
era nato come uomo politico e d’azione, ma sente l’amore per la patria durante le lunghe
vicende che accompagnano l’unità d’Italia con passione e fiduciosa attesa. Come
espressione di questo stato d’animo possiamo considerare le Odi civili, in particolare Marzo
1821, Il Cinque Maggio, la famosa ode scritta in appena tre giorni dopo la notizia della morte
di Napoleone. La condanna per gesta tiranniche del condottiero francese si unisce alla
celebrazione della figura del grande scomparso, che sconfitto ed esiliato a Sant’Elena,
ritrova la consolazione nella Fede, quando ormai ogni speranza sembra averlo
abbandonato.
Le tragedie costituiscono le più ampie opere in versi che il Manzoni abbia mai scritto. Sono
due, Il Conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822).La prima presenta gli ultimi anni della
vita di uno dei più famosi capitani di ventura del Rinascimento, Francesco di Bussone, Conte
di Carmagnola, al servizio di Venezia. Questi, in seguito ad un ingiusto sospetto di
tradimento, viene processato e condannato a morte: nel raccoglimento del carcere, si
distacca serenamente dalla vanità delle cose terrene e accetta cristianamente l’ingiusta
condanna. La seconda tragedia tratta le vicende degli ultimi anni

della dominazione longobarda in Italia, dal 772 al 774. Ermengarda,figlia di Desiderio, re dei
Longobardi,viene ripudiata da Carlo Magno, re dei Franchi. Scoppia quindi una guerra che
Adelchi, figlio di Desiderio, condurrà a malincuore perché dubbia e ingiusta. Dunque questa
tragedia esprime un giudizio estremamente pessimistico sul potere e sulla storia.
Nelle Tragedie il Manzoni narra ancora di personaggi illustri, che appartengono al potere e
alla storia. Non manca il sentimento religioso che aveva ispirato gli Inni, ma si esprime in
modo più poetico e meno dottrinale.
Grande importanza assumono i Cori, un cantuccio -come disse lo stesso Manzoni- nel quale
il poeta può parlare in prima persona, esprimendo le proprie idee, che in questo caso si
traducono in un’aspra condanna delle guerre civili che hanno condotto l’Italia alla servitù
politica rispetto alle potenze straniere.

LA GENESI DEL ROMANZO

Nei primi decenni dell’Ottocento in Europa si afferma un nuovo genere letterario che, come
disse il Manzoni stesso, è “un misto di storia e d’invenzione”: il romanzo storico. In esso le
vicende nascono dalla fantasia dell’autore e si inseriscono in un quadro storico ben
preciso; personaggi realmente esistiti si collocano accanto a personaggi d’invenzione.
L’inventore di questo nuovo genere è lo scozzese WALTER SCOTT, la cui opera più famosa
è il romanzo Ivanohe. Nel suo capolavoro Scott narra avventurose vicende medievali,
proiettandole su uno sfondo storico-sociale ben determinato.
Manzoni si inserisce in questo filone ormai affermato e interpreta questa forma letteraria in
modo assai originale.

LA FABBRICA DEL ROMANZO

Tra il 1821 e il 1823 il Manzoni inizia a comporre un romanzo storico, il Fermo e Lucia. Nel
1823 è finito e la sua mole è considerevole, ma il Manzoni non è soddisfatto e lascia l’opera
impubblicata, cominciando una lunga opera di revisione del contenuto.
La riscrittura dell’opera, iniziata nel 1824, è intensissima. Nel 1827 pubblica il suo romanzo
con un nuovo titolo I Promessi Sposi, presentato inizialmente alla censura col titolo Gli sposi
promessi. Questa edizione è chiamata dai critici “Ventisettana”. L’opera ottiene un enorme
successo, grazie alla sua grande attenzione al vero storico, segnando una svolta nel genere
del romanzo.
Il Manzoni, però, desidera ancora perfezionare la sua opera. Questa volta si interessa della
purezza della lingua. Egli ha scelto come lingua della sua prosa il fiorentino parlato; volendo
eliminare le espressioni non in uso nel fiorentino, nell’estate del 1827 si reca a Firenze per la
cosiddetta “sciacquatura in Arno”. Tale revisione linguistica sarà molto lunga e la redazione
definitiva, quella che leggiamo oggi, viene pubblicata dal 1840 al 1842 in dispense, illustrata
dal pittore e incisore piemontese Francesco Gonin. Questa edizione rappresenta la
conquista di una struttura romanzesca più equilibrata e coerente: rispetto al Fermo e Lucia
l’intreccio è riordinato con criteri di continuità; le digressioni storiche staccate dalla trama
principale vengono ridotte o eliminate; la lingua si orienta verso il toscano, che verifica
attentamente attraverso un intenso carteggio con amici e conoscenti.

I TEMI

GLI UMILI: Protagonisti del romanzo sono gli UMILI, la povera gente. La scelta degli umili è
veramente una novità per la letteratura italiana: l’obiettivo dei letterati era stato per secoli
raccontare le gesta di personaggi illustri.

Ora il Manzoni si fa portavoce del mondo sommerso dei deboli:

•Per una ragione di ordine religioso: il messaggio evangelico porta in primo piano gli “ultimi”;
a loro si rivolge la benevolenza divina, loro è il “regno dei cieli”.
• Per una ragione storica, in quanto Manzoni critica gli storici che raccontano solo gli
avvenimenti di re e personaggi.

Al Manzoni interessa anche mettere in luce i rapporti tra oppressi e oppressori, le due grandi
categorie di persone che si contrappongono nel romanzo così come nella vita reale.
IL SEICENTO: Anche l’epoca in cui ambientare il romanzo assume grande rilevanza. Il
Seicento è un secolo di grandi squilibri sociali, di contrasti, di ipocrisie: un’età che il Manzoni
definirà “sudicia e sfarzosa”. L’autore sceglie il Seicento per poter criticare ferocemente le
istituzioni politiche e culturali del periodo in cui vive. Il Seicento è un tempo di oppressione
violenta dei nobili sul popolo: violenta è la giustizia che uccide e tortura, violenti sono i
signorotti, sempre scortati da un piccolo esercito di guardie del corpo. Questa è l’epoca della
feroce dominazione spagnola sul Milanese (molto simile a quella austriaca dell’Ottocento).
A tutto questo il Manzoni oppone la Carità cristiana, principio che porta ad una condotta
individuale e politica che attenua le sofferenze umane.
La condanna manzoniana è anche per il grande vuoto culturale che, in Italia, caratterizza il
Seicento. Oggetto della critica sono i letterati con il loro linguaggio elaborato e complesso,
fino a diventare incomprensibile, con l’imitazione di modelli stilistici abusati, con la ricerca di
immagini fantasiose che allontanano dalla rappresentazione del Vero.
LA PROVVIDENZA: Nel romanzo è il filo conduttore che dà un senso a tutte le vicende
narrate: la PROVVIDENZA che sembra premiare chi ha sofferto e che punisce chi ha
peccato. In realtà non è così: l’intervento di Dio non cancella il male nel mondo, malgrado la
felice conclusione della storia tra Renzo e Lucia. La fiducia nella provvidenza è da intendersi
come fiducia in un misterioso disegno divino, in un progetto che si completerà solo con la
vita eterna.
Nell’opera manzoniana troviamo l’idea della “Provvida Sventura”: da tutte le loro peripezie i
protagonisti impareranno che spesso la sciagura prepara ad una gioia grande e completa.
L’UTILE – IL VERO – L’INTERESSANTE: Il Manzoni nella sua lettera “Sul Romanticismo”
scritta al marchese Cesare d’Azeglio nel 1823, spiega che “la poesia e la letteratura deve
proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo”.

Questa formula trova piena attuazione ne “I Promessi Sposi”. Dalla storia di Renzo e Lucia i
lettori devono poter trarre un insegnamento che costituisca il loro UTILE: questo lo “scopo”
del romanzo. E l’insegnamento più grande è proprio quello che riguarda la funzione della
Provvidenza; il lettore lo scoprirà man mano, assieme ai personaggi stessi. L’oggetto della
narrazione è il VERO, cioè la realtà storica, e il VEROSIMILE, frutto di invenzione, ma
solidamente ancorati alla vita reale.
• VERI sono i fatti storici: la dominazione spagnola, la peste, ecc.;

• VERI sono alcuni personaggi come i governatori di Milano;

•VEROSIMILI sono le vicissitudini di Renzo e Lucia e dei personaggi a loro vicini: non sono
veri ma potrebbero esserlo; sono inventate ma rispecchiano la realtà.
Per poter conseguire l’utile l’autore trova come mezzo l’INTERESSANTE: i colpi di scena, le
peripezie, l’intreccio dei fatti hanno il compito di dare il gusto alla lettura e quindi di
“interessare”, cioè far nascere nel lettore il desiderio di sapere “come andrà a finire”.

STRUTTURA E PERSONAGGI

Il romanzo può essere suddiviso in tre grandi fasi narrative:

• Situazione iniziale e rottura dell’equilibrio, nella trama paesana dei primi capitoli;

• Peripezie e aiutanti vari, nelle avventure parallele di Renzo e Lucia in città;

• Scioglimento e lieto fine, nel ricongiungimento dei protagonisti.

All’opera è premessa un’Introduzione in cui Manzoni utilizza la nota finzione del manoscritto
del XVII secolo ritrovato, scritto nella lingua del Seicento, attraverso la cui parodia fa
risaltare la sua scelta linguistica. Questa logicamente è un’invenzione: ma quali sono le
ragioni dell’espediente dell’anonimo?
1. Ragione letteraria: rientra tra le forme della narrazione fantastica risalire nei fatti a
qualche manoscritto compilato in età lontane;
2. Ragione polemica: l’espediente dell’Anonimo lo mette in un’ottima posizione di critica
verso situazioni, età, personaggi e usanze, la cui paternità è lasciata al vecchio manoscritto.
Sarà una polemica letteraria contro lo stile retorico del ‘600; sarà una polemica politica
contro la dominazione spagnola, implicitamente, contro ogni altra dominazione; sarà infine
una polemica morale contro ogni società fiacca, fatta di violenze, presentata dall’Anonimo
come perfetta.
3. Ragione artistica: l’esposizione della materia per bocca dell’Anonimo da’ a tutta la
narrazione un tono più vivace.
Per tutto il romanzo l’autore viene sdoppiato: ora parla il Manzoni, ora l’Anonimo, e così
possono parlare insieme,

in un gioco malizioso di persone e toni.

La struttura del romanzo è costituita da 3 grandi fasi:

1. SITUAZIONE INIZIALE e ROTTURA DELL'EQUILIBRIO

2. PERIPEZIE e AIUTANTI VARI

3. SCIOGLIMENTO e LIETO FINE

Nell'opera è presente un' INTRODUZIONE costituita da un finto manoscritto del 17 secolo


scelto per 3 ragioni:

• Letteraria => perché rende la narrazione fantastica

•Polemica => poiché l'espediente dell'anonimo lo mette in ottima posizione di critica,


soprattutto vero lo stile retorico del '600, verso la dominazione spagnola e contro ogni
società fatta di violenza.
•Artistica => perché l'autore viene sdoppiato infatti abbiamo Manzoni e l'Anonimo che
parlano insieme in un gioco malizioso di toni e persone

I personaggi principali sono:

• Come protagonisti abbiamo => Renzo (Lorenzo Tramaglino) e Lucia Mondella

• Come antagonista principale abbiamo invece Don Rodrigo. Entrambi come vedremo
avranno aiutanti, in particolare:
per i protagonisti troviamo Fra Cristoforo, Federico Borromeo e Agnese, la mamma di Lucia

mentre per gli antagonisti abbiamo lo zio e il cugino di don Rodrigo, il Conte Attilio e suo
padre, e Don Abbondio che verrà rimproverato dal cardinale Borromeo in quanto, in qualità
di curato avrebbe dovuto anteporre ai suoi interessi le anime dei suoi parrocchiani.
Poi abbiamo 2 personaggi ambigui

La monaca di Monza (Geltrude) che prima aiuta Lucia accogliendola in convento, ma poi la
vende ai Bravi facendola rapire e L'innominato (più forte di Don Rodrigo) che inizialmente
aiuta Don Rodrigo con il rapimento della sposa, ma poi ascoltando le sue preghiere andrà a
convertirsi al cattolicesimo (già attrito da crisi interiore); egli è il personaggio più dinamico del
romanzo.
LO SPAZIO

•Bergamo nel 1600 apparteneva alla Repubblica di Venezia e si trovava alla riva destra del
fiume Adda (con le spalle alla sorgente)
•Monza apparteneva al Ducato di Milano come anche pescarenico Dove si trovava il
convento dei frati e Olate il paesino Dove abitavano i protagonisti e dove vi era il palazzetto
di don Rodrigo
• da Olata, nell'addio ai monti, Lucia parte per Monza e Renzo per Milano, da dove puoi
raggiungere a Bergamo

Dove vive il cugino Bortolo. tutto questo è per scappare dalle accuse punto entrambi
attraversano l'Adda.

• il 22 ottobre del 1629 scoppia il primo caso di peste, portata dai lanzichenecchi fino a
circa il 1630 1631.

• quando scoppia la peste Renzo torna a Milano e si reca da Lucia malata di peste ma
guarita

•si ricongiungono e si sposano nei primi di novembre del 1630 e vanno a vivere in un
paesino vicino al cugino Bortolo dov’è avranno dei figli e Renzo continuerà a lavorare
onestamente. (si sarebbero dovuti sposare l'8 novembre del 1628)
• il lieto fine è leggermente autobiografico poiché presenta un parallelismo con la vita di
Manzoni.

PRIMO CAPITOLO

il primo capitolo può essere diviso in 5 sequenze:

1. descrizione dei luoghi del romanzo (digressione)

2. incontro tra don Abbondio e i bravi

3. dialogo tra il curato e i bravi

4. digressioni alle leggi contro i bravi

5. il ritorno del curato a casa e dialogo con perpetua.

Lungo una di quelle stradine, il giorno 7 Novembre dell’anno 1628, Don Abbondio, al termine
della sua passeggiata quotidiana, sta tornando verso casa leggendo il breviario (sommario).
Ad un bivio obbligato, nei pressi di un tabernacolo che riporta raffigurate le anime e le
fiamme del purgatorio, il curato vede fermi due uomini e dai loro comportamenti capisce
subito che sono lì per lui. L’aspetto dei due uomini indica chiaramente che si tratta di ‘bravi’:
hanno capelli lunghi raccolti in una reticella, dalla quale esce solo un grande ciuffo che
ricade loro sulla fronte, e sono equipaggiati con spadone, coltelli e pistole. A quel tempo
personaggi simili erano molto comuni. Numerose grida avevano tentato in ogni modo di
porre fine allo loro esistenza, senza però avere alcun successo, tanto erano potenti le caste
e le fazioni per cui tali individui operavano. I due malviventi si incamminano verso Don
Abbondio, che prima valuta possibili vie di fuga, poi cerca di ricordare eventuali torti fatti a
uomini potenti, infine accellera il passo correndo quasi loro incontro. Non potendo evitare il
pericolo cerca almeno di ridurre l’angosciante attesa.
I bravi non nascondono la loro missione: obbligare con minaccie Don Abbondio a non
celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Celebre la frase questo
matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai. Il curato è terrorizzato dai due uomini, ad
incutere in lui una paura ancora maggiore (come un fulmine durante un temporale) è il nome
del loro mandante: Don Rodrigo. Don Abbondio per sua natura non può quindi che
dichiararsi disposto all’obbedienza. Cerca però almeno di farsi dare suggerimenti su come
agire, ma i due bravi hanno però ormai svolto la loro missione, salutano il curato e lo
lasciano solo con la sua disperazione.

Vivendo in una società spietata ed essendosi reso subito conto d’essere, in quella società,
come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro, non
essendo nato nobile, né ricco e né tantomeno coraggioso, Don Abbondio aveva da giovane
ubbidito di buon grado ai parenti, che lo volevano prete. La sua non era stata pertanto una
vocazione, ma solo la necessità di entrare a far parte di una classe forte e riverita.
Durante tutta la sua vita aveva quindi cercato di tenersi fuori da ogni contesa, di cedere in
quelle che doveva inevitabilmente affrontare, di non prendere mai posizione, se non al limite,
quella del più forte, senza però esporsi troppo. Si può quindi ben capire quale fosse la
disperazione e lo sconforto di Don Abbondio in quel momento, inveisce prima contro Renzo
e poi contro Don Rodrigo.
Giunto infine a casa, il curato non riesce a nascondere il proprio stato d’animo alla sua
serva, Perpetua, che subito cerca in ogni modo di conoscere il suo segreto (i bravi l’hanno
minacciato anche di non dir niente a nessuno). La volontà di trovare conforto in una persona
fidata è troppo grande nel curato ed anche la volontà di Perpetua di conoscere gli
avvenimenti lo è altrettando, dopo aver più volte fatto giurare la donna di non dire niente a
nessuno, Don Abbondio finisce quindi per confessarle tutto. Perpetua suggerisce al suo
padrone di chiedere l’intervento dell’arcivescovo. Don Abbondio non accetta il consiglio,
temendo sempre più che il suo segreto diventi di dominio pubblico. Lascia la sua donna e si
rifugia nella sua camera da letto, non prima di aver chiesto ancora una volta alla serva di
mantenere il silenzio.

La descrizione dell’abbigliamento dei bravi è molto dettagliata: portano una reticella sul
capo, il lungo ciuffo di capelli, i baffi arricciati in punta, la cintura lucida di cuoio, le pistole, il
corno perla polvere da sparo appeso al collo, il coltellaccio, i calzoni gonfi lo spadone con la
guardia traforata
Don Abbondio compare con una presentazione in azione: dalla sequenza capiamo soltanto
che è il curato di un paesino della zona e che è solito leggere il breviario mentre torna a
casa
La figura di Don Abbondio è quella con cui Manzoni sfoggia tutta la sua capacità comica;

carattere schivo e pauroso del prete

Attraverso la comicità, intesa come parodia delle debolezze umane, Manzoni esprime una
critica: Don Abbondio è infatti un personaggio negativo dei Promessi sposi in quanto male
incarna i valori cristiani. Il carattere di Don Abbondio si delinea fin dalle prime pagine dei
Promessi Sposi, vale a dire fin dalla scena dell'incontro con i bravi: la paura che prova, le
speranze di vedere qualcuno nei campi circostanti a cui chiedere aiuto, il desiderio di
fuggire, il fatto di affrettarsi a raggiungere i bravi pur di abbreviare l'angoscia che provava nel
vederli e nell'aver capito che i due stavano aspettando proprio lui, rivelano il suo carattere
vile e insicuro.
Il timore di Don Abbondio si può capire poi anche dai dialoghi, dove il curato si limita a
balbettare o a far ricadere la colpa su qualcun' altro; nel primo capitolo, per esempio,
attribuisce la colpa a Renzo e a Lucia, ai quali era passato per

la testa di sposarsi. Non dice mai una parola che riveli coraggio, nonostante essere un
curato avrebbe dovuto garantirgli una certa protezione da parte della Chiesa.
Manzoni spiega inoltre il motivo fondamentale che aveva spinto Don Abbondio a diventare
prete: l'assoluta mancanza nel Seicento di leggi che proteggessero i deboli dai prepotenti e
dai malvagi. Così Don Abbondio, che non era certo nato con un cuore da leone, si era
presto accorto di essere nella società in cui viveva "come un vaso di terracotta, costretto a
viaggiare in compagnia di vasi di ferro". Il curato aveva pertanto deciso di diventare
sacerdote
Egli cercava di non far torti a nessuno e quando doveva scegliere da che parte stare, stava
sempre dalla parte del più potente. L'unica strategia conosciuta da Don Abbondio è la fuga;
del resto, non sa ascoltare i pratici consigli di Perpetua e subisce anche psicologicamente
tutti gli effetti della scomoda situazione in cui è coinvolto.

SECONDO CAPITOLO
Per quanto riguarda il secondo capitolo, possiamo definirlo come capitolo del matrimonio
non celebrato. i personaggi che incontreremo in questo capitolo sono perpetua, Renzo,
Lucia, Don Abbondio e Agnese.
possiamo dividerlo in:

1. notte tormentata di Don Abbondio (voleva trovare un modo per rimandare il matrimonio
di qualche settimana

poiché erano vicini all’avvento il quale era un periodo in cui non ci si poteva sposare)

2. Poi troviamo una digressione del ritratto di Renzo

3. successivamente Renzo va a casa di Don Abbondio dove accetta il rinvio del matrimonio
di una settimana.
La notte per don Abbondio trascorre agitata, tumultuosa, ma gli dà il tempo di preparare un
piano per obbedire a don Rodrigo: quel matrimonio deve essere rinviato a tempo
indeterminato. Poi si vedrà: intanto bisogna sostenere e respingere il primo attacco, quello di
Renzo che viene di buon mattino a prendere accordi col curato sull’ora del matrimonio.
La data era stata fissata da tempo dallo stesso curato: il quale, ora al vedersi di fronte
Renzo, dapprima si finge sorpreso, poi adduce una serie di scuse di carattere
amministrativo: non aveva (e se ne assume la colpa) preparato in tempo tutti gli atti prescritti
dalla Chiesa.
Non è la fine del mondo, se si sposta il matrimonio di qualche giorno. Dolente e intristito e
quasi arrabbiato Renzo esce dalla casa del curato, ma fuori è ad aspettarlo Perpetua, la
quale ha una voglia matta di parlare e dire tutto a Renzo. Abilmente solleticata Perpetua
dice a Renzo la vera ragione del rinvio delle nozze. E Renzo si precipita nella stanza del
curato e con le buone o le cattive (ad un certo momento inavvertitamente mette mano al
coltello) riesce a sapere da don Abbondio il nome del manigoldo che si oppone al
matrimonio. Mogio mogio Renzo si reca a casa da Lucia che intanto si agghindava per le
nozze.
A lei e alla suocera, Agnese, comunica il fatto: gli invitati sono allontanati con la scusa che il
matrimonio non si fa per malattia del curato. Ed effettivamente don Abbondio, pressato
prima dai bravi poi da Renzo, è caduto in preda alla febbre.

La casa del curato sembra un fortilizio: tutto vi è sbarrato come se si temesse un imminente
attacco. Alle comari che, indotte da spirito pettegolo, erano andate a bussare per trovare
conferma della malattia del curato, Perpetua affacciatasi ad una finestra conferma la notizia
con insolita fretta e secchezza.

descrizione Renzo

Renzo è un uomo di vent’anni, per bene con una buona posizione economica e laborioso
infatti possiede un podere e un filatoio. Rimase senza parenti dalla adolescenza, era vestito
il giorno delle nozze annullate in gran gala con un cappello penne di vario colore e con il
pugnale dal manico bello nei calzoni, uomo instintivo ingenuo e onesto

descrizione lucia
Questa ragazza viene presentata come modesta ed un po’ guerriera , ciò sta a significare
che Lucia è molto semplice e amabile, ma allo stesso tempo non è una donna sdolcinata e
banale. Si capisce che la ragazza sapeva dell’interesse che Don Rodrigo aveva nei suoi
confronti e non ne vuole parlare con Renzo anche perché aveva sempre taciuto per buoni
motivi, sapendo che se gliel’avrebbe detto egli si sarebbe vendicato e poi le possibilità di
sposarlo sarebbero state ben poche.

aveva lunghi e neri sopracciglie, aveva i capelli neri avvolti in trecce trapassate da lunghi
spilli d'argento. intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro e
filigrana, portava busto di broccato a fiori con le maniche separate e allacciate da bei nastri,
aveva una corta gonnella di filato di seta , due calze vermiglie, due pianelle di seta a ricami.

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