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ALESSANDRO MANZONI LA VITA

Nasce a Milano il 7 marzo 1785, da Giulia Beccaria, figlia del celebre giurista Cesare Beccaria, autore
del saggio Dei delitti e delle pene, e da Pietro Manzoni, un nobile tradizionalista dalle vedute ristrette,
molto più vecchio della moglie.

Pochi anni dopo la nascita del figlio, nel 1792, Giulia Beccaria si separa dal marito, per seguire in
Inghilterra e poi a Parigi Carlo Imbonati. Il giovane Alessandro viene educato in collegi religiosi, prima
dai padri Somaschi e poi dai Barnabiti. A sedici anni, lasciato il collegio, Manzoni entra in contatto con i
rappresentanti della cultura milanese e conosce le idee progressiste della Rivoluzione francese.

Nel 1805, alla morte di Carlo Imbonati, raggiunge la madre a Parigi,dove vive uno dei momenti più
stimolanti della sua vita intellettuale. Vive con lei e le rimarrà sempre legato da un affetto
profondissimo.

Nel 1808 sposa la sedicenne Enrichetta Blondel, di fede calvinista.Sotto l’influenza della madre, la
coppia si riavvicina alla religione cattolica, guidati dall’abate Eustachio Degola.

Il 2 aprile 1810, ammirando il corteo nuziale di Napoleone e di Maria Luisa d’Austria, la folle travolge la
coppia e separa i due coniugi. Disperato e in preda a un attacco nervoso, si rifugia nella Chiesa di San
Rocco, dove poco dopo può riabbracciare la moglie, scampata al soffocamento. Fu una specie di
folgorazione, che li porta alla conversione.

Nello stesso anno si trasferiscono a Milano, dove Manzoni coltiva le sue passioni, tra cui la floricoltura
e l’agricoltura. La vita appare serena anche se turbata da gravi disturbi nervosi, balbuzie, ansia e
agorafobia.

Nel 1811 muore alla nascita la secondogenita. Inizia il grande quindicennio creativo.

Nel 1814 acquista una casa a Milano, sua dimora definitiva. In quegli anni rifiuta di collaborare alla
rivista del romanticismo milanese “Il conciliatore”, preferendo una posizione defilata.

Dal 1820 inizia a lavorare intensamente: progetta una terza tragedia, mai scritta e inizia il romanzo.

Nel 1833 la moglie muore di tisi e si apre una lunga catena di lutti: solo due dei loro dieci figli
sopravviveranno al padre.

Nel 1837 sposa in seconde nozze Teresa Borri vedova Stampa.

Nel 1840 esce a dispense la seconda edizione del romanzo, con la Storia della colonna infame in
appendice.
La vecchiaia dello scrittore è ancora all’insegna degli studi e della cultura: nel 1860 viene eletto
senatore del nuovo Regno d’Italia. Si spegne nel 1873.

LE OPERE MAGGIORI

Dopo la conversione, Manzoni dedica la propria energia creativa alla poesia. Della fede ritrovata, del
ritorno alla pratica del culto cattolico, gli Inni sacri sono la prima grande manifestazione. Il programma
era veramente grandioso: dodici inni sulle principali feste religiose dell’anno ecclesiastico per esaltare
Dio e la Chiesa. Ma l’autore non giunge alla realizzazione completa del suo disegno; gli Inni furono
soltanto cinque. Dal 1812 al 1815 compone successivamente la Resurrezione, il Nome di Maria, il
Natale, la Passione e più tardi la Pentecoste, inizia e non finisce Ogni Santi.

In quegli stessi anni si va delineando anche il pensiero politico e patriottico del Manzoni. Non era nato
come uomo politico e d’azione, ma sente l’amore per la patria durante le lunghe vicende che
accompagnano l’unità d’Italia con passione e fiduciosa attesa. Come espressione di questo stato
d’animo possiamo considerare le Odi civili, in particolare Marzo 1821, Il Cinque Maggio, la famosa ode
scritta in appena tre giorni dopo la notizia della morte di Napoleone. La condanna per gesta tiranniche
del condottiero francese si unisce alla celebrazione della figura del grande scomparso, che sconfitto ed
esiliato a Sant’Elena, ritrova la consolazione nella Fede, quando ormai ogni speranza sembra averlo
abbandonato.

Le tragedie costituiscono le più ampie opere in versi che il Manzoni abbia mai scritto. Sono due, Il
Conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822).

La prima presenta gli ultimi anni della vita di uno dei più famosi capitani di ventura del Rinascimento,
Francesco di Bussone, Conte di Carmagnola, al servizio di Venezia. Questi, in seguito ad un ingiusto
sospetto di tradimento, viene processato e condannato a morte: nel raccoglimento del carcere, si
distacca serenamente dalla vanità delle cose terrene e accetta cristianamente l’ingiusta condanna.

La seconda tragedia tratta le vicende degli ultimi anni della dominazione longobarda in Italia, dal 772
al 774. Ermengarda,figlia di Desiderio, re dei Longobardi,viene ripudiata da Carlo Magno, re dei
Franchi. Scoppiò quindi una guerra che Adelchi, figlio di Desiderio, condurrà a malincuore perché
dubbia e ingiusta. Dunque questa tragedia esprime un giudizio estremamente pessimistico sul potere e
sulla storia.

Nelle Tragedie il Manzoni narra ancora di personaggi illustri, che appartengono al potere e alla storia.
Non manca il sentimento religioso che aveva ispirato gli Inni, ma si esprime in modo più poetico e
meno dottrinale.

Grande importanza assumono i Cori, un cantuccio -come disse lo stesso Manzoni- nel quale il poeta
può parlare in prima persona, esprimendo le proprie idee, che in questo caso si traducono in un’aspra
condanna delle guerre civili che hanno condotto l’Italia alla servitù politica rispetto alle potenze
straniere.

LA GENESI DEL ROMANZO

Nei primi decenni dell’Ottocento in Europa si afferma un nuovo genere letterario che, come disse il
Manzoni stesso, è “un misto di storia e d’invenzione”: il romanzo storico. In esso le vicende nascono
dalla fantasia dell’autore e si inseriscono in un quadro storico ben preciso; personaggi realmente
esistiti si collocano accanto a personaggi d’invenzione. L’inventore di questo nuovo genere è lo
scozzese WALTER SCOTT, la cui opera più famosa è il romanzo Ivanhoe. Nel suo capolavoro Scott
narra avventurose vicende medievali, proiettandole su uno sfondo storico-sociale ben determinato.
Manzoni si inserisce in questo filone ormai affermato e interpreta questa forma letteraria in modo assai
originale.
LA FABBRICA DEL ROMANZO

Tra il 1821 e il 1823 il Manzoni inizia a comporre un romanzo storico, il Fermo e Lucia. Nel 1823 è finito
e la sua mole è considerevole, ma il Manzoni non è soddisfatto e lascia l’opera inpubblicata,
cominciando una lunga opera di revisione del contenuto.
La riscrittura dell’opera, iniziata nel 1824, è intensissima. Nel 1827 pubblica il suo romanzo con un
nuovo titolo I Promessi Sposi, presentato inizialmente alla censura col titolo Gli sposi promessi.
Questa edizione è chiamata dai critici “Ventisettana”. L’opera ottiene un enorme successo, grazie alla
sua grande attenzione al vero storico, segnando una svolta nel genere del romanzo.
Il Manzoni, però, desidera ancora perfezionare la sua opera. Questa volta si interessa della purezza
della lingua. Egli ha scelto come lingua della sua prosa il fiorentino parlato; volendo eliminare le
espressioni non in uso nel fiorentino, nell’estate del 1827 si reca a Firenze per la cosiddetta
“sciacquatura nell’Arno”. Tale revisione linguistica sarà molto lunga e la redazione definitiva, quella che
leggiamo oggi, viene pubblicata dal 1840 al 1842 in dispense, illustrata dal pittore e incisore
piemontese Francesco Gonin. Questa edizione rappresenta la conquista di una struttura romanzesca
più equilibrata e coerente: rispetto al Fermo e Lucia l’intreccio è riordinato con criteri di continuità; le
digressioni storiche staccate dalla trama principale vengono ridotte o eliminate; la lingua si orienta
verso il toscano, che verifica attentamente attraverso un intenso carteggio con amici e conoscenti.

I TEMI

GLI UMILI: Protagonisti del romanzo sono gli UMILI, la povera gente. La scelta degli umili è
veramente una novità per la letteratura italiana: l’obiettivo dei letterati era stato per secoli raccontare le
gesta di personaggi illustri.

Ora il Manzoni si fa portavoce del mondo sommerso dei deboli:

•Per una ragione di ordine religioso: il messaggio evangelico porta in primo piano gli “ultimi”; a loro si
rivolge la benevolenza divina, loro è il “regno dei cieli”.
• Per una ragione storica, in quanto Manzoni critica gli storici che raccontano solo gli avvenimenti di re
e personaggi.

Al Manzoni interessa anche mettere in luce i rapporti tra oppressi e oppressori, le due grandi categorie
di persone che si contrappongono nel romanzo così come nella vita reale.

IL SEICENTO: Anche l’epoca in cui ambientare il romanzo assume grande rilevanza. Il Seicento è un
secolo di grandi squilibri sociali, di contrasti, di ipocrisie: un’età che il Manzoni definirà “sudicia e
sfarzosa”. L’autore sceglie il Seicento per poter criticare ferocemente le istituzioni politiche e culturali
del periodo in cui vive. Il Seicento è un tempo di oppressione violenta dei nobili sul popolo: violenta è la
giustizia che uccide e tortura, violenti sono i signorotti, sempre scortati da un piccolo esercito di guardie
del corpo. Questa è l’epoca della feroce dominazione spagnola sul Milanese (molto simile a quella
austriaca dell’Ottocento).
A tutto questo il Manzoni oppone la Carità cristiana, principio che porta ad una condotta individuale e
politica che attenua le sofferenze umane.
La condanna manzoniana è anche per il grande vuoto culturale che, in Italia, caratterizza il Seicento.
Oggetto della critica sono i letterati con il loro linguaggio elaborato e complesso, fino a diventare
incomprensibile, con l’imitazione di modelli stilistici abusati, con la ricerca di immagini fantasiose che
allontanano dalla rappresentazione del Vero.
LA PROVVIDENZA: Nel romanzo è il filo conduttore che dà un senso a tutte le vicende narrate: la
PROVVIDENZA che sembra premiare chi ha sofferto e che punisce chi ha peccato. In realtà non è
così: l’intervento di Dio non cancella il male nel mondo, malgrado la felice conclusione della storia tra
Renzo e Lucia. La fiducia nella provvidenza è da intendersi come fiducia in un misterioso disegno
divino, in un progetto che si completerà solo con la vita eterna.
Nell’opera manzoniana troviamo l’idea della “Provvida Sventura”: da tutte le loro peripezie i protagonisti
impareranno che spesso la sciagura prepara ad una gioia grande e completa.

L’UTILE – IL VERO – L’INTERESSANTE: Il Manzoni nella sua lettera “Sul Romanticismo” scritta
al marchese Cesare d’Azeglio nel 1823, spiega che “la poesia e la letteratura deve proporsi l’utile per
iscopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo”.

Questa formula trova piena attuazione ne “I Promessi Sposi”. Dalla storia di Renzo e Lucia i lettori
devono poter trarre un insegnamento che costituisca il loro UTILE: questo lo “scopo” del romanzo. E
l’insegnamento più grande è proprio quello che riguarda la funzione della Provvidenza; il lettore lo
scoprirà man mano, assieme ai personaggi stessi. L’oggetto della narrazione è il VERO, cioè la realtà
storica, e il VEROSIMILE, frutto di invenzione, ma solidamente ancorati alla vita reale.
• VERI sono i fatti storici: la dominazione spagnola, la peste, ecc.;

• VERI sono alcuni personaggi come i governatori di Milano;

•VEROSIMILI sono le vicissitudini di Renzo e Lucia e dei personaggi a loro vicini: non sono veri ma
potrebbero esserlo; sono inventate ma rispecchiano la realtà.
Per poter conseguire l’utile l’autore trova come mezzo l’INTERESSANTE: i colpi di scena, le peripezie,
l’intreccio dei fatti hanno il compito di dare il gusto alla lettura e quindi di “interessare”, cioè far nascere
nel lettore il desiderio di sapere “come andrà a finire”.

STRUTTURA E PERSONAGGI

Il romanzo può essere suddiviso in tre grandi fasi narrative:

• Situazione iniziale e rottura dell’equilibrio, nella trama paesana dei primi capitoli;

• Peripezie e aiutanti vari, nelle avventure parallele di Renzo e Lucia in città;

• Scioglimento e lieto fine, nel ricongiungimento dei protagonisti.

All’opera è premessa un’Introduzione in cui Manzoni utilizza la nota finzione del manoscritto del XVII
secolo ritrovato, scritto nella lingua del Seicento, attraverso la cui parodia fa risaltare la sua scelta
linguistica. Questa logicamente è un’invenzione: ma quali sono le ragioni dell’espediente dell’anonimo?

1. Ragione letteraria: rientra tra le forme della narrazione fantastica risalire nei fatti a qualche
manoscritto compilato in età lontane;

2. Ragione polemica: l’espediente dell’Anonimo lo mette in un’ottima posizione di critica verso


situazioni, età, personaggi e usanze, la cui paternità è lasciata al vecchio manoscritto. Sarà una
polemica letteraria contro lo stile retorico del ‘600; sarà una polemica politica contro la dominazione
spagnola, implicitamente, contro ogni altra dominazione; sarà infine una polemica morale contro ogni
società fiacca, fatta di violenze, presentata dall’Anonimo come perfetta.
3. Ragione artistica: l’esposizione della materia per bocca dell’Anonimo da’ a tutta la narrazione un
tono più vivace.

Per tutto il romanzo l’autore viene sdoppiato: ora parla il Manzoni, ora l’Anonimo, e così possono
parlare insieme, in un gioco malizioso di persone e toni.

La struttura del romanzo è costituita da 3 grandi fasi:

1. SITUAZIONE INIZIALE e ROTTURA DELL'EQUILIBRIO

2. PERIPEZIE e AIUTANTI VARI

3. SCIOGLIMENTO e LIETO FINE

Nell'opera è presente un' INTRODUZIONE costituita da un finto manoscritto del 17 secolo scelto per 3
ragioni:

• Letteraria => perché rende la narrazione fantastica

•Polemica => poiché l'espediente dell'anonimo lo mette in ottima posizione di critica, soprattutto vero lo
stile retorico del '600, verso la dominazione spagnola e contro ogni società fatta di violenza.

•Artistica => perché l'autore viene sdoppiato infatti abbiamo Manzoni e l'Anonimo che parlano insieme
in un gioco malizioso di toni e persone

I personaggi principali sono:

• Come protagonisti abbiamo => Renzo (Lorenzo Tramaglino) e Lucia Mondella

• Come antagonista principale abbiamo invece Don Rodrigo. Entrambi come vedremo avranno
aiutanti, in particolare:
per i protagonisti troviamo Fra Cristoforo, Federico Borromeo e Agnese, la mamma di Lucia

mentre per gli antagonisti abbiamo lo zio e il cugino di don Rodrigo, il Conte Attilio e suo padre, e Don
Abbondio che verrà rimproverato dal cardinale Borromeo in quanto, in qualità di curato avrebbe dovuto
anteporre ai suoi interessi le anime dei suoi parrocchiani.
Poi abbiamo 2 personaggi ambigui, con un ruolo secondario

La monaca di Monza (Geltrude) che prima aiuta Lucia accogliendola in convento, ma poi la vende ai
Bravi facendola rapire e L'innominato (più forte di Don Rodrigo) che inizialmente aiuta Don Rodrigo con
il rapimento della sposa, ma poi ascoltando le sue preghiere andrà a convertirsi al cattolicesimo (già
attrito da crisi interiore); egli è il personaggio più dinamico del romanzo.
LO SPAZIO

•Bergamo nel 1600 apparteneva alla Repubblica di Venezia e si trovava alla riva destra del fiume Adda
(con le spalle alla sorgente)

•Monza apparteneva al Ducato di Milano come anche pescarenico Dove si trovava il convento dei frati
e Olate il paesino Dove abitavano i protagonisti e dove vi era il palazzetto di don Rodrigo

• da Olata, nell'addio ai monti, Lucia parte per Monza e Renzo per Milano, da dove puoi raggiungere a
Bergamo

Dove vive il cugino Bortolo. tutto questo è per scappare dalle accuse punto entrambi attraversano
l'Adda.

• il 22 ottobre del 1629 scoppia il primo caso di peste, portata dai lanzichenecchi fino a circa il 1630
1631.

• quando scoppia la peste Renzo torna a Milano e si reca da Lucia malata di peste ma guarita

•si ricongiungono e si sposano nei primi di novembre del 1630 e vanno a vivere in un paesino vicino al
cugino Bortolo dov’è avranno dei figli e Renzo continuerà a lavorare onestamente. (si sarebbero dovuti
sposare l'8 novembre del 1628)
• il lieto fine è leggermente autobiografico poiché presenta un parallelismo con la vita di Manzoni.

PRIMO CAPITOLO

il primo capitolo può essere diviso in 5 sequenze:

1. descrizione dei luoghi del romanzo (digressione)

2. incontro tra don Abbondio e i bravi

3. dialogo tra il curato e i bravi

4. digressioni alle leggi contro i bravi

5. il ritorno del curato a casa e dialogo con perpetua.

Lungo una di quelle stradine, il giorno 7 Novembre dell’anno 1628, Don Abbondio, al termine della sua
passeggiata quotidiana, sta tornando verso casa leggendo il breviario (sommario). Ad un bivio
obbligato, nei pressi di un tabernacolo che riporta raffigurate le anime e le fiamme del purgatorio, il
curato vede fermi due uomini e dai loro comportamenti capisce subito che sono lì per lui. L’aspetto dei
due uomini indica chiaramente che si tratta di ‘bravi’: hanno capelli lunghi raccolti in una reticella, dalla
quale esce solo un grande ciuffo che ricade loro sulla fronte, e sono equipaggiati con spadone, coltelli
e pistole. A quel tempo personaggi simili erano molto comuni. Numerose grida avevano tentato in ogni
modo di porre fine allo loro esistenza, senza però avere alcun successo, tanto erano potenti le caste e
le fazioni per cui tali individui operavano. I due malviventi si incamminano verso Don Abbondio, che
prima valuta possibili vie di fuga, poi cerca di ricordare eventuali torti fatti a uomini potenti, infine
accelera il passo correndo quasi loro incontro. Non potendo evitare il pericolo cerca almeno di ridurre
l’angosciante attesa.
I bravi non nascondono la loro missione: obbligare con minacce Don Abbondio a non celebrare il
matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Celebre la frase questo matrimonio non s’ha da
fare, né domani, né mai. Il curato è terrorizzato dai due uomini, ad incutere in lui una paura ancora
maggiore (come un fulmine durante un temporale) è il nome del loro mandante: Don Rodrigo. Don
Abbondio per sua natura non può quindi che dichiararsi disposto all’obbedienza. Cerca però almeno di
farsi dare suggerimenti su come agire, ma i due bravi hanno però ormai svolto la loro missione,
salutano il curato e lo lasciano solo con la sua disperazione.

Vivendo in una società spietata ed essendosi reso subito conto d’essere, in quella società, come un
vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro, non essendo nato nobile,
né ricco e né tanto meno coraggioso, Don Abbondio aveva da giovane ubbidito di buon grado ai
parenti, che lo volevano prete. La sua non era stata pertanto una vocazione, ma solo la necessità di
entrare a far parte di una classe forte e riverita.
Durante tutta la sua vita aveva quindi cercato di tenersi fuori da ogni contesa, di cedere in quelle che
doveva inevitabilmente affrontare, di non prendere mai posizione, se non al limite, quella del più forte,
senza però esporsi troppo. Si può quindi ben capire quale fosse la disperazione e lo sconforto di Don
Abbondio in quel momento, inveisce prima contro Renzo e poi contro Don Rodrigo.
Giunto infine a casa, il curato non riesce a nascondere il proprio stato d’animo alla sua serva,
Perpetua, che subito cerca in ogni modo di conoscere il suo segreto (i bravi l’hanno minacciato anche
di non dir niente a nessuno). La volontà di trovare conforto in una persona fidata è troppo grande nel
curato ed anche la volontà di Perpetua di conoscere gli avvenimenti lo è altrettanto, dopo aver più volte
fatto giurare la donna di non dire niente a nessuno, Don Abbondio finisce quindi per confessarle tutto.
Perpetua suggerisce al suo padrone di chiedere l’intervento dell’arcivescovo. Don Abbondio non
accetta il consiglio, temendo sempre più che il suo segreto diventi di dominio pubblico. Lascia la sua
donna e si rifugia nella sua camera da letto, non prima di aver chiesto ancora una volta alla serva di
mantenere il silenzio.

La descrizione dell’abbigliamento dei bravi è molto dettagliata: portano una reticella sul capo, il
lungo ciuffo di capelli, i baffi arricciati in punta, la cintura lucida di cuoio, le pistole, il corno
perla polvere da sparo appeso al collo, il coltellaccio, i calzoni gonfi lo spadone con la guardia
traforata

Don Abbondio compare con una presentazione in azione: dalla sequenza capiamo soltanto che è il
curato di un paesino della zona e che è solito leggere il breviario mentre torna a casa
La figura di Don Abbondio è quella con cui Manzoni sfoggia tutta la sua capacità comica;

carattere schivo e pauroso del prete

Attraverso la comicità, intesa come parodia delle debolezze umane, Manzoni esprime una critica: Don
Abbondio è infatti un personaggio negativo dei Promessi sposi in quanto male incarna i valori cristiani.
Il carattere di Don Abbondio si delinea fin dalle prime pagine dei Promessi Sposi, vale a dire fin dalla
scena dell'incontro con i bravi: la paura che prova, le speranze di vedere qualcuno nei campi circostanti
a cui chiedere aiuto, il desiderio di fuggire, il fatto di affrettarsi a raggiungere i bravi pur di abbreviare
l'angoscia che provava nel vederli e nell'aver capito che i due stavano aspettando proprio lui, rivelano il
suo carattere vile e insicuro.
Il timore di Don Abbondio si può capire poi anche dai dialoghi, dove il curato si limita a balbettare o a
far ricadere la colpa su qualcun' altro; nel primo capitolo, per esempio, attribuisce la colpa a Renzo e a
Lucia, ai quali era passato per

la testa di sposarsi. Non dice mai una parola che riveli coraggio, nonostante essere un curato avrebbe
dovuto garantirgli una certa protezione da parte della Chiesa.
Manzoni spiega inoltre il motivo fondamentale che aveva spinto Don Abbondio a diventare prete:
l'assoluta mancanza nel Seicento di leggi che proteggessero i deboli dai prepotenti e dai malvagi. Così
Don Abbondio, che non era certo nato con un cuore da leone, si era presto accorto di essere nella
società in cui viveva "come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di vasi di ferro". Il
curato aveva pertanto deciso di diventare sacerdote
Egli cercava di non far torti a nessuno e quando doveva scegliere da che parte stare, stava sempre
dalla parte del più potente. L'unica strategia conosciuta da Don Abbondio è la fuga; del resto, non sa
ascoltare i pratici consigli di Perpetua e subisce anche psicologicamente tutti gli effetti della scomoda
situazione in cui è coinvolto.

SECONDO CAPITOLO

Per quanto riguarda il secondo capitolo, possiamo definirlo come capitolo del matrimonio non
celebrato. i personaggi che incontreremo in questo capitolo sono Perpetua, Renzo, Lucia, Don
Abbondio e Agnese.
possiamo dividerlo in:

1. notte tormentata di Don Abbondio (voleva trovare un modo per rimandare il matrimonio di qualche
settimana

poiché erano vicini all’avvento il quale era un periodo in cui non ci si poteva sposare)

2. Poi troviamo una digressione del ritratto di Renzo

3. successivamente Renzo va a casa di Don Abbondio dove accetta il rinvio del matrimonio di una
settimana.

La notte per don Abbondio trascorre agitata, tumultuosa, ma gli dà il tempo di preparare un piano per
obbedire a don Rodrigo: quel matrimonio deve essere rinviato a tempo indeterminato. Poi si vedrà:
intanto bisogna sostenere e respingere il primo attacco, quello di Renzo che viene di buon mattino a
prendere accordi col curato sull’ora del matrimonio.
La data era stata fissata da tempo dallo stesso curato: il quale, ora al vedersi di fronte Renzo,
dapprima si finge sorpreso, poi adduce una serie di scuse di carattere amministrativo: non aveva (e se
ne assume la colpa) preparato in tempo tutti gli atti prescritti dalla Chiesa.
Non è la fine del mondo, se si sposta il matrimonio di qualche giorno. Dolente e intristito e quasi
arrabbiato Renzo esce dalla casa del curato, ma fuori è ad aspettarlo Perpetua, la quale ha una voglia
matta di parlare e dire tutto a Renzo. Abilmente solleticata Perpetua dice a Renzo la vera ragione del
rinvio delle nozze. E Renzo si precipita nella stanza del curato e con le buone o le cattive (ad un certo
momento inavvertitamente mette mano al coltello) riesce a sapere da don Abbondio il nome del
manigoldo che si oppone al matrimonio. Mogio mogio Renzo si reca a casa da Lucia che intanto si
agghindava per le nozze.
A lei e alla suocera, Agnese, comunica il fatto: gli invitati sono allontanati con la scusa che il
matrimonio non si fa per malattia del curato. Ed effettivamente don Abbondio, pressato prima dai bravi
poi da Renzo, è caduto in preda alla febbre.

La casa del curato sembra un fortilizio: tutto vi è sbarrato come se si temesse un imminente attacco.
Alle comari che, indotte da spirito pettegolo, erano andate a bussare per trovare conferma della
malattia del curato, Perpetua affacciatasi ad una finestra conferma la notizia con insolita fretta e
secchezza.

descrizione Renzo

Renzo è un uomo di vent’anni, per bene con una buona posizione economica e laborioso infatti
possiede un podere e un filatoio. Rimase senza parenti dalla adolescenza, era vestito il giorno delle
nozze annullate in gran gala con un cappello penne di vario colore e con il pugnale dal manico bello
nei calzoni, uomo instintivo ingenuo e onesto

descrizione lucia
Questa ragazza viene presentata come modesta ed un po’ guerriera , ciò sta a significare che Lucia è
molto semplice e amabile, ma allo stesso tempo non è una donna sdolcinata e banale. Si capisce che
la ragazza sapeva dell’interesse che Don Rodrigo aveva nei suoi confronti e non ne vuole parlare con
Renzo anche perché aveva sempre taciuto per buoni motivi, sapendo che se gliel’avrebbe detto egli si
sarebbe vendicato e poi le possibilità di sposarlo sarebbero state ben poche.

aveva i capelli neri avvolti in trecce trapassate da lunghi spilli d'argento quasi a guisa di raggi di
un'aureola come ancora usano le contadine nel milanese intorno al collo aveva un vezzo di granati
alternati con bottoni d’oro e filigrana, portava busto di broccato a fiori con le maniche separate e
allacciate da bei nastri, aveva una corta gonnella di filato di seta , due calze vermiglie, due pianelle di
seta a ricami.

TERZO CAPITOLO
Quando furono da soli in casa, Lucia piangente rivela a Renzo e Agnese che vide, qualche giorno
prima mentre tornava dalla filanda, Don Rodrigo in compagnia di un'altra persona che cercavano di
trattenerla con discorsi impertinenti. Lei all’inizio se ne andò, ma mentre camminava sentì uno di loro
dire “Scommettiamo?” ridendo. Rimproverata da Agnese per non aver detto ciò subito, lei afferma di
non averlo voluto fare per non turbare i due, bensì si è rivolta al proprio confessore fra Cristoforo, il
quale le aveva suggerito di celebrare il matrimonio subito per evitare problemi. Renzo reagisce al
racconto con minacce e violenze, mentre Lucia piangeva, suggerendo di sposarsi subito e lasciare il
loro paese. Renzo però le ricorda il carattere codardo di Don Abbondio, e che quindi non potesse
celebrare il matrimonio essendo minacciato da Don Rodrigo. Agnese a quel punto suggerisce di
rivolgersi all’avvocato di Lecco, l’Azzecca Garbugli, così da trovare una soluzione legale e rapida per il
problema dei due.

Agnese convince Renzo ad andare a Lecco a chiedere aiuto al’avvocato Azzecca-garbugli (non si
ricorda il suo vero nome) e consegna quindi al giovane quattro capponi da portare in dono all’avvocato.
Durante il viaggio i capponi, scossi dal giovane, si beccheranno tra loro, a simboleggiare la mancanza
di solidarietà degli uomini nei momenti difficili.
Giunto nello studio del dottore (decadente e polveroso, in linea con le caratteristiche di un personaggio
che vive del proprio passato), Renzo riesce appena ad accennare al suo problema, tanta è la fretta
dell’avvocato. Da quel poco che lascia dire al giovane, Azzecca-garbugli pensa che sia stato Renzo a
commettere il torto, lo scambia quindi per un bravo. Gli legge una grida che tratta il caso suo, così da
fargli capire a quali pene può andare incontro. Terminata la lettura della grida, il dottore commenta
anche il fatto che Renzo non porti il ciuffo. Si complimenta con il giovane per esserselo prudemente
tagliato, gli dice però che non c’era bisogno di farlo, vantandosi così di aver tirato fuori dai guai
malviventi responsabili di ben maggiori misfatti. Comunica infine apertamente come intende agire verso
il prete e verso gli sposi che hanno subito il torto, mostrandogli il modo per togliere anche lui dai guai.
Renzo rimane sbalordito dalle parole di Azzecca-garbugli e confessa di essere lui ad avere subito il
torto, dal momento che Don Rodrigo gli ha di fatto impedito le nozze con la sua amata. A questo punto
anche il dottore rimane sbalordito, accusa Renzo di dire fandonie e lo caccia dal suo studio in malo
modo, non prima di avergli restituito i capponi portati in dono.
Mentre Renzo è impegnato a Lecco, Agnese e Lucia decidono di operare per ottenere anche un
secondo aiuto, quello di padre Cristoforo. Mentre stanno ancora decidendo come riuscire ad informare
il frate cappuccino, bussa alla loro porta fra Galdino, incaricato dal convento di Pescarenico, lo stesso
di fra Cristoforo, di raccogliere le noci offerte dai fedeli. Mentre Lucia ve a prendere le noci, Agnese,
per evitare l’argomento nozze, chiede al frate come procede la raccolta, ed i due iniziano così a parlare
di carestia. Il frate racconta alla donna un fatto miracoloso avvenuto nel passato, volendo mostrare che
l’elemosina può far tornare l’abbondanza. Un frate cappuccino, padre Macario, convinse un giorno un
uomo a non tagliare un noce incapace di produrre frutti, predicendo per quell’anno una formidabile
produzione di noci, la metà delle quali avrebbe dovuto essere data in offerta al convento. Come
predetto da Macario, l’albero diede frutti in abbondanza, ma il proprietario morì nel frattempo e suo
figlio si rifiutò di rispettare il patto fatto dal padre. A causa di questo rifiuto, le noci raccolte si
trasformarono in foglie secche. Lucia dona al frate un gran numero di noci, così che non debba andare
alla ricerca di altre offerte ma possa invece tornare subito al convento, incaricando quindi l’uomo di
chiedere a fra Cristoforo di recarsi il prima possibile da loro. Il cappuccino è più che felice di poterla
accontentare.
Renzo torna dalle donne, si congratula subito ironicamente con Agnese per il buon consiglio che gli ha
dato, e racconta quindi la sua vicenda. La donna vorrebbe poter difendere la sua posizione, ma Lucia
interrompe subito la discussione tra i due, dicendo di sperare nell’aiuto di padre Cristoforo. Le donne
salutano infine Renzo che torna così, con il cuore in tempesta, alla propria casa.

In poche parole, Renzo va dall’azzecagarbugli per risolvere il problema, ma lui non accetta credendo
che Renzo sia un bravo. Gli mostra le carte che dichiarano il reato, ma dopo che Renzo gli spiega che
loro sono nel torto, accetta di aiutarli. Successivamente, però, Renzo nomina Don Rodrigo e
l’Azzeccagarbugli lo caccia dal suo studio
Invece Lucia e Agnese cercano l’aiuto di Fra Cristoforo, ma Fra Galdino, che viene dal convento di
Pescarenico, lo stesso di Fra Cristoforo, arriva nella loro casa e chiede una raccolta di noci. Mentre
Lucia fa questa raccolta, Agnese e Fra Galdino parlano di un miracolo avevenuto in passato.
Successivamente Agnese da di fretta le noci e chiede a Fra Galdino di portargli Fra Cristoforo, e il
Frate accetta.
Renzo torna a casa, rivolge la brutta notizia, ma Lucia lo zittisce e dice che chiederanno aiuto a Fra
Cristoforo.

CAPITOLO 4
La mattina seguente, piuttosto presto, padre Cristoforo esce dal convento di Pescarenico per
raggiungere la casa di Lucia: attraversando la serena campagna, che ha i toni e i colori limpidi e dolci
del mattino, il padre osserva con dolore i segni dell'incipiente carestia. A questo punto il Manzoni
avverte il bisogno di interrompere la trama narrativa dei due promessi sposi, cosa che accadrà spesso
nel corso della narrazione e quindi ritroveremo nei riassunti dei capitoli successivi, per dare un profilo
biografico e morale del frate. Era figlio di un grosso mercante che, dopo aver faticato, s'era conquistata
una grossa fortuna: lo turbava la sua origine modesta di popolano: voleva essere accettato dai nobili
ed essere eguale a loro. La parola "mercante" in sua presenza era motivo di turbamento. A suo figlio,
Ludovico, volle impartire l'educazione che era degli aristocratici. Ludovico era cresciuto fra l'opulenza,
la servitù, con gli agi propri dei nobili. Dai quali, nonostante i tentativi di essere accettato, era stato
sempre snobbato e lasciato da parte. Aveva però indole buona che lo portava a proteggere i poveri, e
a respingere gli atti di ingiustizia e di sopraffazione. Tanto che a volte, disgustato della società, aveva
meditato di farsi frate. Viveva però in una grande contraddizione: voleva essere dei nobili, ma intanto
ne respingeva la mentalità e i pregiudizi. Voleva un mondo regolato da giustizia e non s'avvedeva che
la vita dell'aristocrazia, cui voleva partecipare, era quella della sopraffazione. Voleva essere uomo di
pace ma andava armato come i signorotti e si circondava di un corpo di guardia armata. Il fatto che
diede una svolta a tutta la sua vita fu il duello che dovette sostenere in pubblica strada, lui e i suoi
servi, tra cui uno che gli era molto caro e si chiamava Cristoforo, contro un signorotto prepotente ed
aggressivo, circondato anche questo da alcuni bravi. Lo scontro ebbe ragion futili: il prepotente voleva
che Ludovico gli cedesse il passo lungo il muro: come nobile presumeva di averne diritto. Ma questo
privilegio non gli venne riconosciuto da Ludovico che nel duello, quando vide cadere il suo Cristoforo,
persa la luce della ragione, infilzò l'avversario tra l'approvazione della gente che col vinto per le sue
maniere brutali ce l'aveva. Come fuor di sé, Ludovico viene spinto nel vicino convento dei cappuccini:
come ogni convento anche questo gode del diritto d'asilo, che concede l'immunità a tutti coloro che vi si
rifugiano: non possono però uscirne. Ma in convento Ludovico medita su di sé, sui grandi temi del
destino dell'uomo si converte e si fa frate.
Da allora fu frate e dentro sempre lo accompagnò il desiderio di giustizia con la energica opposizione
ai soprusi. Prima di iniziare la nuova vita, volle chiedere perdono al fratello dell'ucciso: lo ottenne ma la
cerimonia che doveva essere di umiliazione, si risolse in un trionfo per lui

CAPITOLO 5
Giunto a casa di Lucia, fra Cristoforo viene messo al corrente dell’accaduto e ascolta
l’esposizione dei fatti tra moti non del tutto repressi di sdegno e di dolore. È immediata la sua
determinazione ad aiutare i pro-messi sposi, non senza ricordare loro la necessità di confidare
nella giustizia divina. Si sofferma quindi a valutare quale iniziativa sia più conveniente per
contrastare don Rodrigo. Impossibile dar coraggio a don Abbondio e indurlo a celebrare
ugualmente il matrimonio; impossibile richiedere l’intervento dell’arcive-scovo, poiché non
metterebbe Lucia al sicuro dalle rappresaglie del signorotto; impossibile, infine, schie-rare i
cappuccini contro di lui, poiché l’equilibrio precario tra i frati e la nobiltà ne verrebbe turbato.
Decide infine di recarsi personalmente da don Rodrigo per tentare di convincerlo ad
abbandonare il suo malvagio proposito o almeno per comprenderne le reali intenzioni.
Prima di lasciare la casa, Cristoforo incontra Renzo, lo informa del suo tentativo, lo
rimprovera duramente per i suoi disegni di vendetta e lo esorta alla pazienza e alla fiducia in
Dio.
Fra Cristoforo giunge al palazzo di don Rodrigo (2)
Il frate si avvia alla volta del palazzotto di don Rodrigo, attraversando la piccola borgata abitata
dai suoi uomini, dove, nell’abbondanza di armi e nell’aspetto stesso della gente sono evidenti i
segni di una vita ispirata alla violenza e alla corruzione. L’edificio principale, posto più in alto di
tutti gli altri, è severo e si-lenzioso nell’ora del pranzo, tanto da sembrare abbandonato. Le
spoglie di due grandi avvoltoi e due bravi in carne e ossa fanno da minacciosa guardia al
portone. Il frate viene accolto con ironico disprezzo e poi introdotto da un vecchio servitore fino
alla sala da pranzo dalla quale giungono i clamori di un banchetto. Fanno parte dei
commensali don Rodrigo, suo cugino Attilio, il podestà del paese, l’avvocato Azzecca-
garbugli e alcuni oscuri parassiti attratti dalla ricchezza del signorotto.
Il banchetto. Una questione di codice cavalleresco (3)
Fra Cristoforo comunica a don Rodrigo di volergli parlare in privato; questi lo invita a sedersi a
tavola e a bere con i suoi ospiti. Il frate è così costretto ad assistere al pranzo e alla veemente
discussione su una questione di cavalleria che ha per tema se sia giusto o meno bastonare un
ambasciatore del nemico. La con-tesa è soprattutto tra il podestà e Attilio, che rivela la cinica
violenza del suo carattere. Don Rodrigo, con divertita malizia, coinvolge fra Cristoforo,
sollecitando il suo parere in proposito e stabilendo che in base ad esso si decida la soluzione
della contesa. Questi si schermisce, poi, messo alle strette, si dice dell’avviso che non
dovrebbero esistere «né sfide né bastonate», suscitando così le proteste dei
commensali. Don Rodrigo accenna con ironia al suo tumultuoso passato, ma il religioso non
raccoglie la provocazione per umiltà e per non compromettere il buon esito della propria
missione
.I commensali discutono della guerra tra Francia e Spagna e della carestia
Don Rodrigo sposta allora la discussione sulla guerra di successione per il ducato di Mantova,
che farà da sfondo politico-militare a tutto il romanzo. Di nuovo scoppia una contesa tra Attilio
e il podestà, poiché entrambi vantano le loro amicizie influenti e sostengono di essere in
possesso di informazioni riservate. Ne scaturisce un grottesco elogio della sagacia politica del
conte di Olivares, primo ministro dell’impera-tore Filippo IV, in realtà politico mediocre. Il
padrone di casa, accortosi però che la conversazione tende a provocare fastidiose
incomprensioni fra i suoi ospiti, cerca di placare ogni disputa con un fiasco di vino prelibato. I
brindisi trovano tutti d’accordo e l’avvocato Azzecca-garbugli viene invitato a pronunciare un
retorico e parodistico elogio dei vini e dei pranzi offerti da don Rodrigo. Il discorso
scivola poi sul tema della carestia che incomincia ad affliggere lo Stato di Milano. Qui il
giudizio è unanime: non esiste carestia, è l’oscura trama di qualche incettatore, dei fornai; il
rimedio migliore è impiccarne alcuni e allora il pane tornerà abbondante come per miracolo!
Don Rodrigo e fra Cristoforo si ritirano in una stanza appartata (5)
Don Rodrigo, intanto, sapendo di non poter rimandare ancora a lungo il colloquio con il frate, si
alza da ta-vola, prende congedo dalla schiamazzante brigata e invita fra Cristoforo a recarsi
con lui in un’altra stanza, dove poter parlare in privato.

CAPITOLO 6
l dialogo tra don Rodrigo e fra Cristoforo (1)
Don Rodrigo si apparta con fra Cristoforo e domanda con velata prepotenza il motivo della
visita. Questi espone, con parole che con grande sforzo riesce a rendere rispettose seppur
decise, la richiesta di giustizia per Renzo e Lucia. Il signorotto lo interrompe più volte con
arroganza, cercando chiaramente la provoca-zione e costringendo il frate a un ferreo
autocontrollo. Lo spirito combattivo di padre Cristoforo è messo a dura prova e più volte sta
per prendere il sopravvento, ma il frate riesce a frenare lo sdegno; egli fa appello ai buoni
sentimenti di don Rodrigo, invitandolo a riflettere sul fatto che Dio ha a cuore la sorte dei
poveri e che «i loro gemiti sono ascoltati lassù». Quando però, con deliberata sfacciataggine,
l’uomo finisce per suggerire che la fanciulla, se si ritiene minacciata, si metta sotto la sua
protezione, nella sua casa, il cappuc-cino, indignato e non più in grado di contenersi, dichiara,
con un dito minacciosamente rivolto contro il nobile, che la giovane è già sotto la protezione di
Dio, che ha pietà della casa che lo ospita e accenna infine a una minacciosa profezia.
Dapprima sbalordito, poi adirato e suo malgrado spaventato, don Rodrigo cac-cia
sprezzantemente il frate dal palazzo non senza averlo prima coperto di insuti, di fronte ai quali
padre Cristoforo resta impassibile come «nel forte della burrasca, un albero agitato
ricompone naturalmente i suoi rami».
L’incontro di fra Cristoforo con l’anziano servitore di don Rodrigo (2)
Richiamato all’umiltà dell’ordine a cui appartiene, il cappuccino si avvia all’uscita, ma viene
furtivamente richiamato dall’anziano domestico della casa, già servitore del padre di don
Rodrigo che era di tutt’altri costumi. Questi ha origliato alla porta e lo trae adesso in
disparte. Accenna alle scelleratezze cui è obbli-gato ad assistere ogni giorno e riferisce di aver
intuito l’esistenza di un qualche losco piano riguardante Lucia che si starebbe preparando per i
giorni a venire. Promette quindi di recarsi l’indomani al convento per riferirgli ogni novità. Fra
Cristoforo riconosce subito nella presenza di quella casa del vecchio un sicuro intervento
della Provvidenza e, preso congedo, si dirige, dai suoi protetti moderatamente
speranzoso, nonostante l’evidente fallimento della missione intrapresa.
Agnese propone ai fidanzati il matrimonio a sorpresa (3)
Intanto Agnese ha elaborato un proprio piano, ben cosciente delle scarse possibilità che don
Rodrigo si lasci ammansire da fra Cristoforo. Si decide infine a esporlo ai due giovani: sa infatti
per certo che, ai fini della vali-dità di un matrimonio, è sufficiente che i fidanzati si rechino con
due testimoni dal sacerdote e pronuncino in sua presenza la formula rituale. Si tratta di un
ripiego poco corretto, lo ammette lei stessa, ma giustificato nel loro caso dalle circostanze.
Renzo accetta immediatamente la proposta, aggiungendo che potrebbero poi emigrare
tutti nel Bergamasco, dove il mestiere di chi lavora la seta è ben pagato e dove sarebbero
accolti da un suo affezionato cugino. Lucia, tuttavia, resta perplessa, tanto più quando Agnese
le raccomanda di tener-ne all’oscuro fra Cristoforo. Renzo, in gran fermento, si propone subito
di provvedere ai testimoni.
Renzo convince Tonio a fargli da testimone (4)
Il giovane si reca a colpo sicuro alla povera casa dell’amico Tonio, dove la famiglia di quello è
raccolta in-torno a una magra mensa, e lo invita all’osteria. Qui, dopo aver ordinato quanto era
disponibile in un anno di incipiente carestia, gli propone di saldare in sua vece un vecchio
debito che Tonio ha contratto con don Abbondio e che questi gli rinfaccia ogni volta che i due
s’incontrano. In cambio l’uomo dovrà fare da testi-mone per il matrimonio a sorpresa. Tonio,
pressato dal bisogno di procurare cibo alla sua famiglia, accetta prontamente e indica poi nel
fratello Gervaso, che non è molto sveglio e fa tutto ciò che lui gli dice, il se-condo testimone. Si
accordano quindi per ritrovarsi tutti e tre nello stesso luogo, il giorno dopo, verso sera.
Resistenze da parte di Lucia (5)
Renzo torna soddisfatto dalle donne e le mette con un certo orgoglio al corrente del suo
successo, ma Lucia non sembra ancora convinta dei sotterfugi architettati dalla madre e dal
suo futuro sposo, tanto che ha im-piegato il tempo occorso al giovane per la propria
spedizione a contrastare le ragioni di Agnese. Quest’ultima pone anche la questione della
necessità di eludere la sorveglianza che Perpetua esercita sul curato, vantando subito dopo
di possedere un metodo infallibile per riuscirci. Riprendono poi a far pressioni su Lucia
che è sempre propensa ad affidarsi invece a Dio e alla sua Provvidenza. Quando
sopraggiunge fra Cristoforo, Agne-se, con rapido gesto, bisbiglia alla figlia l’ammonimento di
tacere il loro progetto con il padre cappuccino.

Capitolo 7
Fra Cristoforo a colloquio con le donne e con Renzo (1)
Padre Cristoforo riferisce alle donne e a Renzo il triste esito dell’incontro con don Rodrigo, ma
li esorta alla fiducia in Dio: senza spiegare del colloquio con il vecchio servitore, annuncia di
avere un nuovo motivo di speranza. Renzo ha però un soprassalto di collera per l’arroganza
del signorotto, collera che il cappuccino affronta con tono pacato ma fermo, dichiarando di
comprenderlo benissimo e tuttavia esortando il giovane a controllarsi, ad affidarsi a Dio e a
venire invece l’indomani a Pescarenico per raccogliere eventuali novità.
L’organizzazione del matrimonio a sorpresa (2)
Fra Cristoforo torna al convento e Renzo, non più trattenuto dalla soggezione per la venerabile
figura del religioso, sfoga la sua rabbia annunciando confusi progetti di omicidio e di fuga oltre
confine. Lucia allora, atterrita, lo scongiu ra tra le lacrime di non macchiarsi di simili delitti e,
quando il fidanzato le rimprovera la mancanza di collaborazione circa il matrimonio
clandestino, per calmare la sua ira accondiscende pre-cipitosamente al progetto. Renzo e
Agnese cominciano allora subito ad architettare il piano per la sera seguente. Il giovane
lascia la casa per la notte, ma il mattino dopo, di buon’ora, riprende il fervore dei pre-parativi;
intanto Agnese manda un ragazzino sveglio e fidato, Menico, a Pescarenico al posto di Renzo,
per restare a disposizione di fra Cristoforo in caso di novità.
Strane visite a casa di Lucia (3)
Nel corso della mattinata, tuttavia, accadono fatti strani che turbano l’animo di Agnese e Lucia.
Un mendi-cante dal fare sospetto entra loro in casa per chiedere la carità. Quando gli viene
regalata una pagnotta di pane, sembra però indifferente all’offerta che avrebbe dovuto
rallegrarlo e si trattiene con una scusa, come per voler spiare la disposizione delle stanze
interne.
Don Rodrigo e il Griso organizzano il rapimento di Lucia (4)
Per conoscere l’origine di questo strano incidente bisogna ritornare al giorno prima, quando
don Rodrigo si ritrova solo dopo il tempestoso colloquio con fra Cristoforo. La galleria dei
ritratti dei suoi antenati sembra rimproverarlo per la debolezza mostrata. Irato e inquieto, non
riesce a darsi pace dell’affronto subito dal frate e prova anche un indispettito e vago timore per
la minacciosa profezia. Per scacciare i pensieri molesti, esce per una lunga passeggiata,
scortato dai suoi bravi, e trascorre una parte della notte in una casa di piacere. La mattina
successiva, dopo essere stato oggetto delle beffe del cugino, affida d’impulso al Griso, il capo
dei suoi bravi e uomo di fiducia, l’impresa di rapire Lucia quella stessa sera. I necessari col-
loqui fra il Griso e don Rodrigo per organizzare il rapimento non sfuggono però al vecchio
servitore, che si mette subito in cammino per andare ad avvertire fra Cristoforo. Intanto il Griso
(il misterioso mendicante che aveva precedentemente esplorato la casa di Lucia) e i suoi
uomini preparano l’imboscata con gran di-spiegamento di forze. Tre di loro si piazzeranno
all’osteria per controllare che tutto in paese sia tranquillo, mentre gli altri si apposteranno nei
pressi della casa di Lucia in attesa dell’oscurità.
Preparativi del matrimonio a sorpresa. Renzo, Tonio, Gervaso e i bravi all’osteria (5)
Renzo passa da Agnese e Lucia per gli ultimi accordi: si recherà con Tonio e Gervaso
all’osteria e poi tornerà a prenderle. Appena giunto alla locanda, Renzo nota la presenza dei
bravi che vi fanno un gran schiamazzo e che mostrano di interessarsi a lui; il giovane chiede
informazioni all’oste, il quale però si mantiene sul vago o perché non sa o perché non vuole
dare risposta. A loro volta, gli uomini del Griso pongono all’oste le stesse domande sull’identità
dei nuovi venuti, ottenendo invece ampie informazioni su Renzo e i suoi compagni.
I promessi sposi con Agnese, Tonio e Gervaso, iniziano la loro spedizione (6)
Renzo, Tonio e Gervaso passano a prendere le due donne, mentre gli abitanti del villaggio si
stanno riti-rando per la sera. Tutti insieme si dirigono verso la casa di don Abbondio
attraversando orti e campi per non essere notati. Qui giunti, Agnese, Renzo e Lucia si tengono
nascosti dietro un angolo della canonica, mentre Tonio, con Gervaso a fianco, bussa alla
porta. Perpetua si affaccia alla finestra e dapprima si rifiuta di aprire a così tarda ora, ma poi,
quando Tonio le dice di voler saldare il debito con don Abbondio, si lascia convincere. Mentre
scende per andare ad aprire la porta, Agnese lascia soli i due promessi sposi, avanza nella via
e finge di trovarsi a passare di lì per caso.

CAPITOLO 8
Informato da Perpetua dell’arrivo di Tonio, Don Abbondio abbandona la lettura in cui era
immerso (e principalmente il dubbio su chi fosse Carneade (Carneade: questo nome mi pare
di averlo letto o sentito) e autorizza la sua serva a farlo salire insieme al fratello Gervaso.
Ritornata all’uscio di casa per accogliere a questo punto i due uomini, Perpetua incontra anche
Agnese che, fingendo di passare di lì per caso di ritorno da un paese vicino, la coinvolge in
una conversazione a proposito di alcune maldicenze sul suo conto, in particolare su due suoi
matrimoni mancati, portandola così lontana da casa.
Tonio e Gervaso entrano nell’abitazione del curato e quindi nello studio dove si trova Don
Abbondio. Anche Renzo e Lucia, approfittando della distrazione di Perpetua, entrano e si
appostano subito fuori dalla porta dello studio, in attesa del segnale concordato con i due
fratelli.
All’interno della stanza Tonio salda il suo debito consegnando le monete al curato, che le
esamina con cura, restituisce quindi la collana d’oro data in pegno dall’uomo e inizia, su
richiesta espressa di Tonio, a compilare una ricevuta. Mentre il religioso è concentrato a
scrivere il documento, i due promessi sposi, ricevuto il dovuto segnale, entrano nella stanza e
si mostrano a Don Abbondio. Renzo riesce a pronunciare l’intera formula, Lucia viene invece
interrotta violentemente dal curato, che le buttò in testa e sul viso un tappeto insieme a una
lucerna, riesce anche a scappare, si rinchiude a chiave in un’altra stanza, si affaccia ad una
finestra e chiede urlando aiuto. Il suo grido disperato fa svegliare il sacrestano Ambrogio, che
si precipita a suonare le campane della chiesa per richiamare gente dal paese in soccorso del
curato: così, alcuni uomini rimangono a casa, i più coraggiosi scendono per soccorrere in
aiuto, altri stanno a vedere.
Tornando a raccontare della spedizione del Griso e del suo seguito, i tre bravi incontrati da
Renzo all’osteria, dopo essersi accertati che fossero rincasati tutti gli abitanti del paese, si
dirigono verso il casolare dove è appostato il resto della combricola. Tutti insieme, coordinati
dal Griso travestito da pellegrino, si muovono poi verso la casa di Lucia ed Agnese, che
trovano però completamente vuota. Il Griso inzia quindi a pensare ad un tradimento, alla
presenza di una spia all’interno del gruppo.
Mentre i bravi sono impegnati a mettere sottosopra l’abitazione, Menico, di ritorno dal
convento con le indicazioni ricevute da padre Cristoforo, entra nel giardino della casa delle
donne, viene subito afferrato dai due bravi posti a guardia e non può fare a meno di trattenere
un urlo. Giungono in soccorso di Menico i rintocchi della campana. I due uomini lasciano
andare il ragazzino che quindi si mette subito a correre verso la chiesa, dove è certo di trovare
gente e riuscire a salvarsi. Udito il suono delle campane, i bravi, terrorizzati da un pericolo
ignoto, fuggono ovunque disordinatamente. Il Griso li richiama all’ordine, li raduna tutti e li
conduce verso il palazzo del loro padrone.
Tornando a Perpetua e Agnese, questa aveva fatto sì che si allontanassero dalla casa di Don
Abbondio, finchè Perpetua non si ricorda di aver lasciato l’uscio aperto e torna indietro,
Agnese deve seguirla, continuando con il discorso dei matrimoni. Ma sentite le grida di don
Abbondio, la serva spaventata corre verso la canonica, e Agnese dietro di lei. Renzo e Lucia
escono di corsa dalla casa del curato e si ricongiungono ad Agnese. Mentre i tre si stanno
allonando dalla chiesa, per evitare di essere visti dalla gente che sta accorrendo dal villaggio,
Menico li incontra e gli comunica l’ordine di padre Cristoforo: recarsi subito al convento.
Intanto la gente si raduna in piazza. Don Abbondio li ringrazia dalla finestra per essere subito
accorsi e si limita a dire loro che degli sconosciuti, oramai fuggiti, erano entrati nella sua
abitazione con cattive intenzioni; chiude poi le imposte e riprende a bisticciare con Perpetua.
Arriva nel frattempo la notizia che degli uomini armati volessero uccidere un pellegrino che si
era rifugiato nella casa di Lucia ed Agnese. Gli abitanti più coraggiosi e volenterosi si
precipano verso l’abitazione e la trovano completamente vuota. Inizialmente si pensa che le
donne siano state rapite e si fanno progetti per inseguire i malviventi, giunge però poi la notizia
che le donne sono riuscite a mettersi in salvo ed ognuno ritorna infine nella propria casa.
Il giorno dopo il console del paese verrà avvicinato da due bravi di Don Rodrigo che gli
chiederanno, con minaccie, di non riferire nulla al podestà riguardo agli avvenimenti della notte
precedente.
Renzo, Lucia, Agnese proseguono la loro fuga attraverso i campi verso il convento di
Pescarenico. Si fermano un momento solo per ascoltare la terribile esperienza di Menico, che
viene quindi poi rimandato subito a casa. Lucia durante il viaggio, già era pentita e turbata di
ciò che aveva fatto (pudore). Giunti al convento di Pescarenico, padre Cristoforo, vinte le
resistenze di fra Fazio, il sacrestano, grazie ad una frase in latino pronunciata in modo solenne
(Omnia munda mundis – tutto è puro per i puri), li fa entrare nella chiesa del convento ed
illustra loro i piani di fuga che ha predisposto.
Dopo aver pregato tutti insieme per don Rodrigo, i tre salutano e ringraziano calorosamente
padre Cristoforo, che dà a Renzo una lettera da portare al padre Bonaventura da Lodi, nel
convento di Porta Orientale a Milano, lui lo avrebbe aiutato e guidato; lasciano quindi il
convento e si dirigono verso il lago dove li aspetta una imbarcazione. Preso il largo, da lì si
vedevano i villaggi, le case, le capanne, il palazzotto di Don Rodrigo che pareva “un feroce,
ritto nelle tenebre, che medita un delitto in mezzo ad una compagnia di addormentati”, Renzo
e le due donne danno silenziosamente addio ai monti (addio monti sorgenti dalle acque) e ai
luoghi natii. Lucia si appoggia al bordo della barca ed inizia a piangere in segreto.

CAPITOLO 9
A Monza dove sono giunti trasportati da un barocciaio i tre si separano: Renzo prosegue solo
per Milano. Agnese e Lucia bussano alla porta del convento di suore indicato dal frate a cui li
ha presentati padre Cristoforo. Sono presentate non alla badessa ma ad una suora, suor
Gertrude, che in convento gode di particolari privilegi, anche perché, figlia di grandi
aristocratici, per eredità conserva sul convento dei diritti feudali. E qui il Manzoni si ferma nella
presentazione di questa strana suora che già attraverso il primo colloquio con le nostre due
donne evidenzia atteggiamenti scontrosi accanto a gesti gentili ed affettuosi. Era figlia di un
principe di origine spagnola, stanziatosi a Milano: molto ricco, ma interessato anche, secondo
le consuetudini della società, a conservare intatta la proprietà all'erede maschio. in
conseguenza della legge non scritta detta del maggiorasco, tutti i beni dovevano passare a
questi: per gli altri figli non c'era che il convento, il sacerdozio. Gertrude fin dall'infanzia era
stata destinata al convento e vi viene rinchiusa quando è ancora una bambina. Qui tutte le
suore collaborano a persuaderla della bontà di una scelta monacale; tutte la servono e la
esaltano. Quando torna a casa prima di pronunciare i voti definitivi e manifesta la sua
intenzione di non diventare monaca, trova tutto ostile: freddo, anzi gelido ed autoritario il
padre; fredda la madre, tutti cospirano a renderle impossibile l'esistenza. Una piccola
avventuretta con un paggio gliela presentano come un grave delitto, una macchia, a lavare la
quale non giova che il suo assenso a tornare al convento e a farsi suora.

CAPITOLO 10
Gertrude cede al padre e accetta di prendere i voti
Il principe, accentuando con cinica abilità il senso di colpa che si è fatto strada nell’animo di
Gertrude e approfittando senza alcuno scrupolo paterno della debolezza e disperazione della
figlia, ottiene da lei un confuso assenso a entrare in monastero. Senza lasciare tempo a
nuove esitazioni, diffonde la notizia in famiglia così che l’impegno sia noto e in qualche
ufficialmente riconosciuto. Nonostrante la costernazione della fanciulla, tutti mostrano di
essere entusiasti del suo mutamento, tanto che vengono immediatamen-te avviati i preparativi
per la cerimonia.
Gertrude chiede ufficialmente di essere accettata in convento
Come se vivesse in un sogno angosciante, Gertrude incontra i parenti venuti a festeggiare la
sua decisione e la necessità di mostrare a tutti buon viso non fa che inasprire la sua pena e
aumentare la sua confusione. L’indomani, mentre si sta recando a Monza in compagnia del
padre per la richiesta ufficiale di entrare in convento, si rende conto di aver fatto passi forse
irreparabili verso una scelta detestata, ma ormai non osa più ribellarsi. La badessa festeggia la
decisione di Gertrude, anche per i vantaggi e il prestigio che la fami-glia di Gertrude può
portare al convento.
Turbamenti e preparativi dell’entrata in convento. L’esame del vicario. Il noviziato e i voti
perpetui
Durante il viaggio di ritorno verso casa, incomincia per Gertrude l’affannoso conto di
quante occasio-ni ancora le rimangano per ritrattare le proprie dichiarazioni. Capisce
che il cerchio intorno a lei è già stretto e che difficilmente può tornare sui suoi passi.
Quando riceve la visita del sacerdote incaricato di esaminarla sulla sincerità della
vocazione, pensa di poter cogliere l’occasione per ritornare sulle pro-prie intenzioni ma,
al momento del colloquio, è trattenuta dall’aprire il proprio animo al religioso dal ri-
cordo delle velate minacce contenute nelle parole del padre che le annunciava la
visita. Il periodo che ancora la separa dalla vita in convento, costellato di feste e di
mondanità, è motivo di ulteriore sofferenza per Gertrude che, cedendo definitivamente, chiede
addirittura di entrare quanto prima nel monastero.
Inquietudini e insofferenze dei primi anni in convento
I primi anni di clausura sono per Gertrude un inferno: invece di rassegnarsi alla propria sorte e
di affidarsi al conforto della fede, si tormenta in continuazione con i rimpianti. Prova un sordo
astio nei confronti delle altre monache e delle educande, non accetta di rinunciare alla propria
bellezza, pensa alla vita che le sue coetanee conducono fuori dal monastero. Trascorrono così
questi anni sospesi, percorsi da capricci e da accessi d’ira, in cui cerca di sfogare la propria
insofferenza, fino a quando non le si presenta l’occasione di trasgredire in modo gravissimo
alle regole conventuali.
La tresca con Egidio e il delitto
Il suo appartamento, separato da quelli delle altre monache per quel privilegio che le deriva
dai suoi natali, ha un giardino comunicante con il palazzo di un malfamato giovane di
nome Egidio. Questi un giorno, attirato proprio dal gusto del proibito che gli ispira l’idea di
sedurre una monaca di clausura, le rivolge la parola e lei, malauguratamente, gli risponde.
Inizia così una relazione clandestina e colpevole, in seguito alla quale il comportamento di
Gertrude cambia, diventando ora quieto e quasi sereno, ora invece tempe-stoso e persino
volgare. Un giorno Gertrude insiste nel maltrattare una delle sue converse e costei, dopo aver
sopportato per non poco, la minaccia di rivelare tutto ciò che sa. Gertrude comprende subito la
na-tura dell’allusione e non trova più pace. Dopo pochi giorni la conversa scompare
misteriosamente, e vane ricerche portano soltanto a scoprire una probabile sua fuga. L’Autore
lascia però intendere che la giovane sia stata assassinata e il lettore conserva pochi dubbi sui
probabili autori del delitto.
Gertrude, a colloquio con Lucia, le conferma simpatia e protezione
È trascorso un anno da quell’episodio, quando avviene il colloquio con Lucia che la monaca
mostra di aver preso subito in particolare simpatia e che trattiene spesso in conversazioni
appartate, capaci non di rado di mettere in grave imbarazzo la giovane. Lucia racconta alla
madre la stranezza di certe domande della «signora» ma Agnese le assicura che non vi è
niente di insolito, poiché i potenti, chi più chi meno, sono tutti un po’ matti. Entrambe sono
comunque consolate dall’aver trovato un rifugio che sembra davvero sicuro e inviolabile.

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