Sei sulla pagina 1di 3

LA CRISI DELL’IMPRESA: IL FALLIMENTO

DEFINIZIONE
Il fallimento è un istituto che ha come fonti il regio decreto n.267/1942, o legge fallimentare ed il codice
civile  nel 2020 era prevista l’introduzione del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che doveva
sostituire la legge fallimentare (senza modificare le norme in sé ma soltanto alcuni istituti), tuttavia è stato
rinviato per la pandemia al 2021 e poi al 16/05/2022
Si tratta di una procedura concorsuale nata per la regolazione della crisi di impresa quando vi sono certi
presupposti oggettivi e soggettivi
Può essere richiesto su iniziativa privata dai creditori o dal debitore stesso, o su iniziativa pubblica dal
pubblico ministero e ha come fine la ripartizione dei crediti che deve il debitore ai suoi vari creditori, sulla
base del principio della pars condicio creditorum

I PRESUPPOSTI SOGGETTIVI DE L FALLIMENTO: ESSERE IMPRENDITORE COMMERCIALE


L’art.1 l.fall. dice che sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori commerciali (esclusi gli enti
pubblici); non sono invece soggetti a fallimento questi soggetti:
 l’imprenditore agricolo non è soggetto a fallimento in quanto è assoggettati a tali rischi:
1. rischio imprenditoriale  possibilità che durante la conduzione delle attività si verifichino eventi in
grado di compromettere l’impresa stessa
2. rischio ambientale o meteorologico  possibilità che eventi atmosferici di particolare intensità
abbiano un impatto tale da procurare danni ai beni, terreni
 il piccolo imprenditore non è soggetto a fallimento, cioè l’imprenditore che sia anche commerciale che
contemporaneamente presenta queste caratteristiche:
1. nei tre esercizi (anni) precedenti il suo attivo patrimoniale (cioè i denari sul conto corrente, il valore
del capannone industriale, dei macchinari, ecc.) annuo non è stato superiore a €300.000
2. nei tre esercizi precedenti non ha avuto ricavi lordi per €200.000
3. non ha debiti superiori a €500.000

I PRESUPPOSTI OGGETTIVI: LO STATO DI INSOLVENZA


Prima del 1942, quando vi era il codice di commercio, non esisteva un concetto di insolvenza: il codice si
limitava a dire che l’impresa falliva quando l’imprenditore aveva cessato i pagamenti L’art.5 l.fall. anticipa la
dichiarazione del fallimento nell’interesse dei creditori: non si deve aspettare che l’imprenditore cessi i
pagamenti per essere considerato fallito, poiché può darsi che vi siano degli inadempimenti o fattori esteriori
che dimostrino che l’imprenditore non sia più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, e
che sia cioè insolvente (es. l’imprenditore non riesce più a pagare i suoi dipendenti, dà loro dei beni
dell’impresa pur di continuare a farlo lavorare  l’imprenditore adempie non regolarmente i propri debiti,
ma non ha ancora cessato tutti i pagamenti)
Attenzione: l’insolvenza non è determinata solo in presenza di debiti, ma anche di crediti non ancora esigibili
perché magari qualcuno non vuole pagare o non può in quanto si trova anche lui in condizioni di insolvenza

LA PROCEDURA FALLIMENTARE
Lo stato di insolvenza non coincide con il fallimento dell’impresa  procedimento:
1) Il debitore stesso, un creditore o il pm possono proporre un’istanza di fallimento, effettuata nella dorma
del ricorso al tribunale competente
2) Segue l’udienza o istruttoria prefallimentare (pre perché anticipa la dichiarazione di fallimento, ma
anche perché il fallimento conseguente è eventuale, incerto): il tribunale potrà accogliere o rifiutare la
domanda  essendo un’udienza, si svolge nel contraddittorio: il giudice ha di fronte a sé chi ha
presentato l’istanza e il fallendo, cioè colui verso il quale l’istanza è stata sollevata
Qui l’imprenditore dovrà dimostrare di non essere fallibile o di essere sottosoglia, mostrando le proprie
scritture contabili, di cui l’altra parte non è a conoscenza
se il tribunale respinge l’istanza l’imprenditore prosegue la sua attività, altrimenti
3) L’esito della procedura vede le ipotesi di:
a) un decreto che rigetta il ricorso  quando il tribunale ritiene che non ci siano i presupposti per
accogliere l’istanza di fallimento
b) una sentenza che dichiara il fallimento  se il tribunale ritiene fondati i motivi del ricorso  poi
viene pubblicato un dispositivo (come un PQM) che contiene la decisione
Il tribunale, nella sentenza, nomina due organi: il curatore, che di solito è un avvocato o
commercialista, e il giudice delegato, che fisserà la cd. udienza per l’esame dello stato passivo, nella
quale si verifica lo stato passivo (= elenco dei debiti e dei creditori dell’imprenditore)

Essendo presenti tre gradi di giudizio, è prevista la possibilità in capo all’imprenditore dichiarato fallito, ma
convinto che non ricorrano i presupposti, di impugnare la sentenza in Corte d’Appello in cui si terrà un nuovo
processo e, anche qui, se l’imprenditore non è d’accordo con la decisione della Corte, potrà impugnarla in
Cassazione  se questa ritiene che non ci siano i presupposti per dichiarare fallito l’imprenditore, l’impresa
torna ad operare (torna in bonis)

EFFETTI DELLA SENTENZA DI FALLIMENTO


Il debitore dovrà consegnare le chiavi dell’impresa al curatore, che da quel momento la gestirà, e dovrà
“apprendere i beni dell’impresa”, cioè inserirli nell’inventario
Il compito dell’imprenditore era quello di trasformare l’attivo in liquido con cui pagare i creditori (mirare a
fare cassa): una volta fallito, verrà spossessato totalmente di tutti i suoi beni, che il curatore venderà e il cui
ricavato verrà ripartito tra i creditori dell’impresa, tutto ciò previa autorizzazione del giudice delegato (
siamo nell’ambito di un interesse pubblico)
Il curatore subito dopo la dichiarazione di fallimento invia un avviso a tutti i creditori dell’imprenditore, che
conosce grazie alla consultazione della documentazione dell’impresa (es. scritture contabili che segnano i
debiti dell’impresa e il nome dei suoi creditori)
Attenzione: nel caso in cui l’imprenditore abbia nascosto alcune passività, sarà il creditore, venendo a
conoscenza del fallimento in quanto pubblico, a dover richiedere il proprio credito, dovendolo dimostrare; se
invece nelle scritture appare un creditore fittizio (ad es. il fratello dell’imprenditore), questo riceverà l’avviso
ma semplicemente non riuscirà a dimostrare di dover ricevere il credito

L’UDIENZA PER L’ESAME DELLO STATO PASSIVO


Nei 30 gg. precedenti l’udienza, i creditori devono compiere la cd. insinuazione allo stato passivo, un atto
con cui indicano al curatore la somma di cui si ritengono creditori (es. spiegano di aver fatto un prestito o di
aver venduto un macchinario senza pagamento del prezzo), e sulla base di questo il curatore compila il cd.
progetto di stato passivo, che verrà presentato al giudice delegato  è sostanzialmente una tabella (1a
colonna: nome creditore; 2a colonna: credito da lui indicato; 3a colonna: cosa propone il curatore; la 4a
rivelerà cosa decide il giudice delegato  tuttavia i creditori hanno l’ultima parola: possono a loro volta
presentare delle osservazioni)
Il giudice si occuperà della verificazione dei crediti, sentendo sia il creditore che il curatore, procederà ad
ammettere (totalmente o parzialmente) o escludere i vari crediti, ed infine emetterà il cd. decreto di
esecutività dello stato passivo, con cui da quel momento può essere eseguito: solo con il decreto del giudice
il curatore procederà a dividere il denaro ai creditori
Nel caso in cui ad un creditore non sia stato riconosciuto il credito, oppure sia stato riconosciuto solo
parzialmente, questo (ma anche il curatore, nel caso in cui il giudice non ammette il progetto dello stato
passivo da lui presentato, anche se è più raro) potrà fare un procedimento detto opposizione allo stato
passivo, con cui si fa un reclamo ad un collegio composto da tre giudici (detti ancora giudici del tribunale)
che decidono sull’opposizione, potendo accettare o respingere la domanda  se ancora il creditore o
curatore non fosse soddisfatto dalla decisione si va direttamente in Cassazione (si dice “ricorso in salto”)

LA MONETA FALLIMENTARE O CONCORSUALE


I debiti dei privati sono pecuniari, e cioè si pagano con moneta corrente
Quando si entra nell’ambito del fallimento si parla di moneta fallimentare, per indicare il fatto che ha un
valore diverso dall’euro normale: questo perché ciò che vale nei rapporti privati non necessariamente vale se
si parla di fallimento, in quanto il credito può essere destinato a ridursi
Il privilegio (art.2745 c.c.), che consiste nella preferenza che viene accordata dalla legge ad alcuni creditori
rispetto ad altri, detti chirografari (pagati per ultimi e non per intero), stabilisce un ordine con cui i creditori
devono essere pagati:
1) i crediti prededucibili, che sono quei crediti sorti in occasione della procedura fallimentare e che devono
essere liquidati quindi al di fuori del riparto dell’attivo, ossia fuori dal concorso
2) i crediti dei privilegiati, cercando di pagarli per intero
3) i crediti dei chirografari, ai quali viene dato il residuo ( larga parte, maggior numero)
L’importante è che tutti ricevano un principio di pagamento, sia esso anche molto ridotto

Potrebbero piacerti anche