Sei sulla pagina 1di 21

CAPITOLO 1: LA LUNGA STORIA DEI DIRITTI

L’antichità

 Mesopotamia, Codice di Hammurabi 1780 a.C. : fra le leggi contenute nel codice vi sono delle
norme a tutela dei diritti dei bambini, delle donne e degli schiavi. Esso riferisce le pene
corrispondenti alle trasgressioni compiute, con il duplice vantaggio di definire i reati e le eventuali
condanne.
 Babilonia, Editto 539 a.C. : oltre ad abolire la schiavitù e permettere il ritorno dei popoli deportati
nei loro rispettivi Paesi, concesse ai cittadini dell’Impero di manifestare il proprio credo religioso e
di celebrare il proprio culto.
 Impero Maurya, III secolo a.C. : oltre a realizzare numerose opere sociali, il re si impegnò a trattare i
propri sudditi secondo il principio di uguaglianza, a prescindere dalla loro religione o dalla loro
posizione sociale. Praticò l’intolleranza religiosa ed insegnò il rispetto non solo verso i genitori e
verso gli insegnanti, ma verso quella che allora era la classe sociale più infima: servi e schiavi.

1.1. La Grecia e l’antica Roma

 Ad Atene gran parte della popolazione era esclusa dalla vita politica e sociale, riservata soltanto al
maschio-adulto-libero. Vi era l’idea che ci fosse una diversità tra il piano costituito dalle regole
prodotte dall’uomo e l’ordine naturale. Si pensava che il futuro di tutti gli uomini, fin dalla nascita,
fosse determinato dal fato e quindi che in questo senso ci fosse una parità originaria.
 Nell’antica Roma, l’essere titolari dei diritti era riservato ai cittadini liberi, maschi e pater familiae.
Anche in questo contesto si diffuse l’idea di un’uguaglianza morale originaria, confermata dal fatto
che anche gli schiavi sono capaci di compiere azioni libere, e si elaborò il concetto di humanitas
come denominatore comune del genre umano. In particolare, il Cristianesimo propose il valore
della “soggettività morale”.

1.2. La società medioevale: il feudalesimo

Nel 476, l’organizzazione feudale era già in stato di avanzata strutturazione e l’idea di un’uguaglianza di
tutti gli uomini di fronte a Dio, non riuscì a farsi valere. Esso presupponeva una forte gerarchizzazione
causando profonde disuguaglianze in cui i diversi soggetti avevano diritti e doveri diversi.

Confronto tra il diritto romano e quello medioevale: il giurista romano definiva i diritti e i doveri all’interno
di un ambito ritenuto separato dalla religione, nel Medioevo invece, i confini tra il piano giuridico, morale e
spirituale tendevano a mescolarsi.

Magna Charta Libertatum 1215: contiene un elenco di diritti come il diritto alla proprietà privata, il diritto
alla libertà personale, il diritto a non essere condannati senza motivo ecc.. Questi diritti non affermano i
diritti dell’uomo in quanto tale, ma quelli di alcuni ceti particolari che andavano emancipandosi rispetto al
sistema feudale.

Il Medioevo elaborò una filosofia del diritto chiamata giusnaturalismo: esistono diritti naturali che
precedono l’insieme delle norme stabilite dall’uomo per regolamentare la vita sociale, sia rispetto al
rapporto dei cittadini gra loro, sia nei confronti della legittima autorità.
1.3. I nuovi scenari dell’epoca moderna

Il XV e il XVI secolo sono contrassegnati da alcuni eventi che saranno importanti nel processo di
affermazione dei diritti umani.

 Entra in crisi l’idea che il potere politico si regga sulla volontà divina
 La scoperta delle Americhe pone il problema dell’incontro con le altre culture

Dal momento che tutti gli esseri umani hanno la medesima natura, i diritti che appartengono alla natura
stessa valgono per ogni uomo.

Scontro tra Las Casas, che difendeva la libertà naturale degli indigeni e Sepulveda, che sosteneva invece la
loro schiavitù. Nel 1542 vennero promosse le Leggi nuove che proclamavano la libertà naturale degli
indigeni e la messa in libertà degli schiavi ma successivamente a causa di numerose rivolte queste leggi
vennero abrogate.

Riforma protestante: venne messa in discussione l’autorità accentratrice (Roma) e si aprì la strada al
principio della libertà di coscienza.

Ascesa dei ceti borghesi: la nuova borghesia per potersi affermare aveva bisogno di limitare i privilegi della
monarchia, di rendere favorevoli le condizioni del commercio e di garantire il diritto alla proprietà privata.
Ciò portò ad una guerra civile tra il re e l’aristocrazia feudale (il vecchio mondo sociale) e la borghesia
capitalistica. Il conflitto si concluse con la vittoria della borghesia e nel 1649 venne proclamata la
repubblica. Due anni dopo la morte di Cromwell però, a causa di varie divergenze, venne ristabilita la
monarchia.

Tuttavia la situazione sociale non poteva tornare quella di prima così nel 1689 la monarchia inglese approvò
il Bill of Rights, una “Carta dei diritti” nella quale erano garantite le libertà di religione, di parola e di
stampa termina l’assolutismo e si afferma la monarchia costituzionale.

Sconvolgimenti politici e sociali di:

 De Groot: gli uomini, pur in presenza dello stato civile e del diritto positivo, restano titolari di alcuni
diritti naturali come quella alla vita e alla proprietà. Dio riconosce questi diritti in quanto
corrispondono alla ragione dunque non traggono la loro autorevolezza dal diritto divino e si
definiscono inalienabili.
 Hobbes: nel Leviatano c’è una dicotomia tra lo stato di natura e lo stato civile. Nel primo gli uomini
vivono in una condizione di isolamento assoluto che ha come conseguenza la guerra di tutti contro
tutti. Al Leviatano vengono affidati tutti i diritti dello stato di natura eccetto il diritto alla vita, il suo
compito è garantire la pace sociale.
 Locke: lo stato di natura è caratterizzato da uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni
e di disporre dei propri possessi. Egli sostiene l’irrazionalità di ogni forma di Stato assoluto ed
introduce la divisione dei poteri:
a) Al Parlamento spetta il potere legislativo
b) Al Governo quello esecutivo
1.4. Dichiarazione di Indipendenza delle Colonie Americane e Dichiarazione dei Diritti
dell’Uomo e del Cittadino

Nella seconda metà del ‘700 in America e in Francia vennero approvati due documenti che segnarono
l’evoluzione dei diritti umani.

CAPITOLO 2: LA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI


DELL’UOMO
La Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo si pone l’obiettivo di orientare l’uomo nel suo rapporto con
gli altri uomini.

2.1. Il contesto

Per parlare del contesto in cui è stata elaborata la Dichirazione, bisogna considerare tre fattori: la crisi della
Società delle Nazioni e la nascita dell’ONU, il clima internazionale dell’epoca e lo scandalo provocato dai
crimini contro l’umanità compiuti dal regime nazifascista.

 Dalla società delle Nazioni all’ONU: la società delle Nazioni si proponeva come ente sovrastatale ed
aveva come obiettivi la sicurezza collettiva e la risoluzione delle controversie fra gli Stati.
L’impotenza della Società delle Nazioni nei confronti dei Paesi che non rispettavano le risoluzioni e
la mancanza di un esercito proprio che rendeva l’Organizzazione impotente sul piano pratico
portarono allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

 Il contesto internazionale: guerra fredda che opponeva Stati Uniti e Unione Sovietica. I primi
volevano conservare il loro primato di potenza del mondo mentre i secondi auspicavano ad
incrementare le proprie potenzialità in ambito internazionale. Nel 1941 fu redatta la Carta
Atlantica che conteneva le linee generali della futura Organizzazione ed anche la Conferenza di
Teheran il cui obiettivo era quello di riorganizzare l’Europa al termine della Seconda guerra
mondiale.

Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: i redattori della carta cercarono di non ripetere i difetti che si
erano manifestati con la Società delle Nazioni, garantendo al nuovo organismo maggiori poteri di controllo
e di vigilanza. Conservarono invece, l’idea della Società delle Nazioni di costituirsi come “comunità di
eguali” in cui tutti i Paesi avrebbero dovuto godere della medesima dignità. Anche per l’organizzazione
interna delle Nazioni Unite i redattori della Carta si ispirarono alla Società delle Nazioni dotando tale
organismo di un’Assemblea Gnerale, di un Consiglio di Sicurezza, di un Consiglio Economico e Sociale, di
una Corte Internazionale di Giustizia e di un Segretario Generale.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: la sua promulgazione avvenne a Parigi il 10 dicembre del
1948. È composta da un preambolo seguito da 30 articoli.

Premesse antropologiche:

il testo contiene 3 livelli contenutistici:

1. Quello relativo alla qualità della condizione umana


2. Quello relativo alle potenzialità che essa possiede
3. E quello degli obblighi che ne derivano

“Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”  ogni uomo, fin dalla nscita, si distingue per
due qualità: la libertà e la dignità. La dignità affonda le sue radici nella libertà. La libertà non agisce
mediante l’istinto, ma per scelta; essa è in grado di prendere delle decisioni in quanto ha la capacità di
pensare. Libertà e dignità rappresetano una sorta di denominatore comune che pone gli uomini in un
rapporto di uguaglianza originaria, per cui essi sono “eguali in dignità e diritti”.

“Tutti gli uomini devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”  natura etica dell’esistenza
umana. Se tutit gli uomini hanno uguale dignità ed hanno la capacità di compiere azioni guidate dalla
ragione, sono tenuti ad esercitare la propria competenza morale secondo uno <<spirito di fratellanza>>.

L’uomo sostenuto nella Dichiarazione si caratterizza come essere sociale: è soggetto in relazione, che vive la
propria esistenza in un contesto sociale che va dalla famiglia allo Stato nazionale, fino alla comunità
internazionale.

Diritti fondamentali

Raccolti nell’articolo 3 in cui si afferma che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza
della propria persona”. Tutti gli altri diritti, per essere garantiti, esigono che siano assicurati i primi tre.

Un’ipotesi di classificazione dei diritti

I. Diritti della persona: illegittimità della schiavitù (art.4), dell’uso della tortura fisica e/o psichica
(art.5), ad ogni individuo spettano tutti i diritti (art.2) e va riconosciuta piena “personalità giuridica”
(art.6), ecc..

II. Diritti della persona nei suoi diversi rapporti con la società: cosidetti diritti civili che tutelano la
persona nella sua sfera più intima e personale e pongono dei limiti ai poteri dello Stato nei
confronti del cittadino. Ogni persona non può essere arrestata o esiliata arbitrariamente (art.9),
deve avere il diritto ad una cittadinanza (art.15), il diritto di ottenere asilo in caso di persecuzione
(art.14) ecc..

III. Diritti politici: consentono la partecipazione alla vita pubblica del paese e quindi tutelano il
cittadino nella sua sfera pubblica. Tra i diritti politici si includono la libertà di pensiero, di coscienza
e di religione (art.18), di opinione e di espressione (art.19) ecc..

IV. Diritti in ambito socio-economico: riguardano la sfera dei rapporti di lavoro, di produzione e di
proprietà. Nell’art.22 si afferma che ogni individuo ha diritto alla sicurezza sociale e alla
realizzazione dei diritti economici sociali e culturali indispensabili per lo sviluppo della sua
personalità, mentre nell’art.25 si sottolinea che ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita
sufficiente a garantire il benessere della propria famiglia. Da questi due artcioli derivano il diritto al
lavoro e all’equa retribuzione (art.23), il diritto al riposo (art.24) ecc..

V. Disposizioni eterogenee legate alla tutela della Dichiarazione: i diritti e le libertà personali non
possono essere esercitati in contrasto con le finalità delle Nazioni Unite (art.29) ecc..
2.3.1. La tutela internazionale dei diritti umani: il livello globale

A livello globale la tutela dei diritti umani è garantita dalla creazione di convenzioni che vincolano gli Stati
che le hanno ratificate e dalla costituzione di tribunali che hanno la finalità di punire i soggetti che non
rispettano i diritti umani.

La Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani

fu il primo organismo istituito nel 1946 dal Consiglio Economico e Sociale dell’ONU per la tutela dei diritti
umani. È composta dai rappresentati di 53 Stati membri dell’ONU, redige testi di dichiarazioni e convenzioni
specifiche, nomina esperti e crea gruppi di lavoro per analizzare, investigare e pubblicare rapporti sulle
situazioni dei singoli paesi.

Nel 1948 è stato creato l’organo della Sottocommisione per la prevenzione della discriminazione e la
protezione delle minoranze. Si occupa di vigilare sui diritti umani delle persone indigene e delle minoranze
etniche.

I 6 comitati

a partire dalla fine degli anni ’60 sono stati istituiti sei comitati definiti Organismi dei trattati. Ciascun
comitato riceve i rapporti sia governativi sia “alternativi” sullo stato di attuazione dei diritti umani, esamina
le controversie sorte fra gli stati membri.

1. Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale


2. Comitato per i Diritti Umani: spetta nominare degli esperti definiti relatori speciali a cui è affidato il
compito di controllare e presentare rapporti sulle situazioni di violazione dei diritti umani e sugli
strumenti adottati dagli Stati per la loro tutela.
3. Comitato per l’eliminazione delle discriminazini nei confronti delle donne
4. Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali: ha il compito di verificare se gli Stati applicano
o meno il Patto omologo e spronare il loro impegno qualunque sia il rispettivo livello di sviluppo.
5. Comitato contro la tortura
6. Comitato per i Diritti dell’Infanzia

Rispetto alla violazione dei diritti umani è famosa la procedura “1503” che permette ad ogni individuo di
denunciare le violazioni direttamente alle Nazioni Unite.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati

Fu istituito nel 1951 dall’Assemblea Generale dell’ONU ed ha il compito di garantire la protezione legale
internazionale ai rifugiati e cercare soluzioni stabili per i loro problemi materiali, di salute e psicologici.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (1993)

I suoi obiettivi sono quelli di accrescere il dialogo con i singoli governi, offrendo loro anche assistenza
tecnica e legale in materia di diritti umani, favorire la collaborazione internazionale sui diritti e migliorare il
sistema organizzativo dell’ONU per la difesa dei diritti umani.
I tribunali

L’ordinamento internazionale si è munito di strutture giudiziarie per la condanna dei soggetti responsabili di
colpe gravi rispetto ai diritti umani.

 Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia: ha il compito di punire i responsabili delle
atrocità provocatr dalla cosiddetta politica della pulizia etnica. Il tribunale ha sede all’Aja, in Olanda
e può emettere mandati di arresto internazionali.
 Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda: per l’incriminazione delle persone responsabili di
genocidio e di altre violazioni delle leggi internazionali umanitarie. Il tribunale ha sede in Tanzania.
 Tribunale Penale Internazionale Permanente: ha giurisdizione sui crimini contro l’umanità, sui
crimini di genocidio, sui crimini di guerra e sui crimini di aggressione. Il suo potere di giudizio
riguarda solo le responsabilità individuali e non le colpe e le complicità degli organismi
internazionali. Il tribunale ha sede all’Aja.

2.3.2. La tutela internazionale dei diritti umani: il livello regionale

A seconda delle diverse zone geografiche sono state adottate convenzioni e protocolli e sono stati istituiti
vari organismi volti a tutelare i diritti umani.

Comunità Europea e diritti umani

La Convenzione Europea per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituisce il
documento vincolante su cui si fobda la tutela europea dei diritti umani. La Convenzione prevede una Corte
Europea per i Diritti Umani con sede a Strasburgo, che ha giurisdizione sulle violazioni dei diritti umani
commessi da uno Stato rispetto alle singole persone e da uno Stato rispetto ad un altro Stato. I diritti umnai
da essa riconosciuti sono quelli civili e politici, mentre non sono contemplati i diritti economici e sociali. Nel
1965 entra in vigore la Carta Sociale Europea in cui i diritti economici e sociali riguardano le condizioni di
impiego e la protezione sociale.

L’Organizzazione degli Stati Americani e i Diritti Umani

La tutela dei diritti umani nel continente americano si fonda sulla Dichiarazione Americana dei Diritti e
Doveri dell’uomo e sulla Convenzione Americana dei Diritti Umani. Essa rappresenta il primo documento
internazionale sui diritti umani che collega in modo esplicito diritti e doveri. Nel primo capitolo riconsce
tutti i diritti umani, mentre nel secondo sancisce i doveri di ogni individuo nei confronti della società. L’altro
riferimento fondativo è rappresentato dalla Convenzione Americana dei Diritti Umani in cui sono
riconosciuti i diritti civili e politici.

Nel 1979 venne istituita la Corte Interamericana dei Diritti Umani chiamata a vegliare sull’applicazione della
Convenzione Americana dei Diritti Umani con funzione consultiva e giurisdizionale.

L’Organizzazione per l’Unità Africana e i Diritti Umani

Il riferimento fondativo dei diritti umani nel continente africano è rappresentato dalla Carta Africana dei
Diritti dell’Uomo e dei Popoli. Oltre a riconoscere contemporaneamente diritti civili e politici e diritti
economici e sociali, è la prima comvenzione internazionale che sancisce i diritti dei popoli. Tra i doveri
affermati dalla Carta Africana, oltre a quelli nei confronti della famiglia, della società e della comunità
internazionale, vi è il dovere di non discriminare, il dovere di lavorare al meglio delle proprie capacità e
competenze, ed il dovere di preservare e rafforzare i valori positivi della cultura africana. L’art. 30 della
Carta Africana prevedeva anche l’istituzione della Commissione Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli
istituita nel 1998 dall’Organizzazione per l’Unità Africana il cui compito era quello di promuovere e
proteggere i diritti umani.

La lega degli Stati Arabi e i Diritti Umani

Nel 1944 la Lega degli Stati Arabi ha adottato la Carta Araba dei Dirittu Umani che però non è entrata
ancora in vigore; essa prevede un Comitato di esperti di diritti umani incaricato di esaminare i rapporti
presentati dagli Atati membri sulla situazione dei diritti riconosciuti nella Carta, e di riferire su di essi ad
una Commissione Permanente della Lega Araba per i Diritti Umani. La Carta Araba non prevede
l’istituzione di una Corte. Quanto ai diritti da essa riconosciuti, non accenna né ai diritti di associazione, né
ai diritti di partecipazione politica, mentre lascia spazio alla possibilità che vi siano restrizioni e limitazioni
dei diritti umani per ragioni economiche, di sicurezza nazionale, di ordine pubblico e di rispetto dei diritti
altrui.

Il Continente Asiatico

Qui si è affermato un Movimento della società civile asiatica per la promozione e la tutela dei diritti umani
che ha adottato una Carta Asiatica dei Diritti Umani. Sebbene tale documento non abbia nessun valore
ufficiale, rappresenta lo sforzo di far crescere l’opinione pubblica sul tema dei diritti umani e di far
pressione sui Governi affinchè non restino insensibili su tali argomenti.

Uffici sul “campo”

Al fine di condurre campagne di sensibilizzazione sui diritti umani e favorire lo sviluppo di istituzioni
nazionali per la promozione e la difesa dei diritti umani, le Nazioni Unite hanno creato i cosiddetti uffici sul
“campo”. Fra i Paesi coinvolti ricordiamo il Ruanda, il Burundi, la Cambogia ecc..

CAPITOLO 3: L’OGGI DEI DIRITTI: SFIDE, COMPITI E RUOLO DELLE


RELIGIONI
3.1.L’oggi dei diritti: luci ed ombre

L’oggi dei diritti umani può essere rappresentato con l’immagine di un quadro in chiaroscuro.

Luci

a) Per il tempo in cui è stata prodotta: essa rappresenta una reazione pronta ed energica ad un
periodo molto oscuro della storia dell’umanità.
b) Intima correlazione fra l’istanza della pace e l’attuazione dei diritti umani. Come sostiene Norbero
Bobbio, ‘diritti dell’uomo, democrazia e pce sono tre momenti necessari dello stesso movimento
storico’.
c) La Dichiarazione possiede un altro valore simbolico. Essa incarna un ideale di apprezzamento della
dignità umana, ha saputo imprimere un’accelerazione al processo di riconoscimento della
grandezza del valore dell’uomo.

Ombre

a) Gli interessi di natura politica ed economica finiscono per inquinare il paradigma ideale. Ci troviamo
di fronte a Paesi che calpestano i diritti umani.
b) In molti Stati che hanno sottoscritto la Dichiarazione del 1948, i diritti umani sono occasionalmente
o settorialmente violati. Vi è un divario tra il piano di ciò che è affermato nella Dichiarazione stessa
e la sua reale applicazione pratica. Ancora oggi resta acceso il dibattito per l’applicazione e la tutela
delle due categorie primordiali di diritti enunciati nella Dichiarazione: quelli civili e politici e quelli
economici, sociali e culturali.
c) Un’altra zona grigia sul tema dei diritti umani è evidenziata da chi si domanda se i diritti così come
sono espressi in tali documenti possano valere a livello universale, a prescindere dalle peculiarità
culturali di altre parti del mondo. Dall’altra parte si accusa la Dichiarazione di essere monoculturale
e occidente-centrica.
d) La quarta area critica fa riferimento alle diverse posizioni che nei nostri Paesi si sono sviluppate sul
tema dei diritti umani.
e) Dibattito sull’interpretazione di alcuni specifici diritti umani. Il dissenso si fa intenso a proposito del
diritto alla vita.
f) Impianto individualistico della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In questa prospettiva
prima viene l’individuo e poi lo Stato. Da questa impostazione deriva il rovesciamento del
tradizionale rapporto fra il soggetto dei diritti e quello dei doveri. L’individuo non è più connotato
per i suoi doveri ma per i suoi diritti. Diritti che lo Stato è chiamato a salvaguardare, per cui adesso
è l’istituzione sociale e politica di uno Stato il soggetto principale dei doveri. Lungi dal
rappresentare i diritti di ogni uomo inteso come individuo, rischiano di diventare diritti
unidirezionali, diritti cioè che gli altri devono riconoscermi e rispettare.

3.2. L’oggi dei diritti: urgenze etiche contemporanee

A. Migrazioni e immigrazioni: numerose sono le ragioni che spingono una persona a lasciare il proprio
paese d’origine; a prescindere dalle motivazioni però, le persone si trovano spesso in una posizione
di precarietà per essere in ambienti sconosciuti. Ne conseguono altri problemi come: il modo in cui
vengono accolti, la condizione giuridica loro assegnata ecc.. Il gruppo mondiale sulla migrazione ha
sottolineato che i diritti fondamentali delle persone sono tali indipendentemente dalla loro
condizione giuridica. Il diritto internazionale infatti, affida ai singoli Stati il compito di legiferare
autonomamente in materia di immigrazione e di stabilire i criteri per l’attribuzione della
cittadinanza. Al fenomeno delle migrazioni è legata l’esperienza della convivenza multiculturale che,
se da una parte esige il rispetto delle diverse tradizioni, dall’altra suppone che ciò avvenga nella
salvaguardia dei diritti fondamentali. Il Consiglio d’Europa, nel 1995, ha approvato una Convenzione
quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Essa garantisce a tutte le persone appartenenti
ad una minoranza il diritto di uguaglianza davanti alla legge. In conclusione, bisogna pensare i diritti
in un’ottica di globalizzazione connotata da multiculturalità e multireligiosità; processo che sarà
possibile solo attraverso un’evoluzione sociale e psicologica che permetterebbe di passare dal
pluralismo culturale all’ inter-culturalità intesa come interazione e scambio reciproco nel
riconoscimento dei valori umani universali trans-culturali.
B. Per una pace perpetua in un mondo globalizzato: non potrà esserci pace stabile e duratura senza il
rispetto dei diritti di ogni uomo. Ciò in termini operativi significa che bisogna superare il primato
attribuito agli interessi economici del mercato e a quelli geopolitici legati alla posizione geografica.
C. Uomo mercificato: automercificazione:l’uomo costretto non dalla violenza fisica, ma dalla necessità
di mercato a “vendere se stesso” per poter sopravvivere. Si pensa all’uomo costretto a farsi
“imprenditore di se stesso”, a rinnovarsi continuamente per poter essere sempre all’altezza della
sistuazione. La logica mercificante apporda anche nei meandri più originari della vita. Il caso più
emblematico è quello della maternità surrogata detta anche utero in affitto. Si tratta della
procedura che vede una donna portare nel proprio grembo un figlio ottenuto tramite la
procreazione medicalmente assistita, con l’esplicita intenzione di consegnarlo ad altri una volta
portata a termine la gravidanza. Se ciò avviene dietro un compenso economico, si parla di GPA
commerciale, oppure gratuita (GPA gratuita o solidale). In questo modo la mercificazione riguarda
anche il nascituro che viene sottoposto ad un duplice trauma: quello della separazione dalla madre
e quello della negazione di uno dei principi basilari della nostra civiltà: l’indisponibilità dell’uomo
nel suo intreccio tra corpo, identità e dignità.
D. Questione ambientale: l’urgenza di un’ecologia integrale: l’ Overshoot day è il giorno in cui
l’umanità ha esaurito quello che la Terra è in grado di rigenerare in un anno. A partire dalla seconda
rivoluzione industriale (fine ‘800), la temperatura del nostro pianeta si è innalzata di circa 0,8 gradi.
Tra le conseguenze vi è lo scioglimento dei ghiacciai nordici e polari con il conseguente
innalzamento degli oceani, l’incremento di violenti fenomeni metereologici. Questi cambiamenti
non sono dovuti soltanto dalle azioni dell’uomo, ma anche dall’effetto serra che impedisce la
naturale dispersione del calore della Terra surriscaldando l’atmosfera ed il nostro pianeta. In
sostanza generiamo più anidride carbonica di quanta possa essere assorbita dalle foreste e dagli
oceani e deprediamo le risorse ambientali più rapidamente dei loro naturali tempi di riproduzione.
Di qui l’effetto serra ma anche l’inquinamento dell’aria e la formazione di piogge acide. Alcuni
climatologi hanno affermato che per contenere la temperatura sarebbe necessario attivare un
processo di riassorbimento dei gas ad effetto serra. Coloro che pagano gli effetti dei cambiamenti
climatici sono le popolazioni ridotte alla fame o minacciate dai mutamenti degli ecosistemi marini e
terrestri. Tutte queste questioni sollevate, sollecitano ad assumere la prospettiva dell’ecologia
integrale espressa da papa Francesco nella sua enciclica: “non ci sono due crisi separate, bensì solo
una e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio
integrale per combattere la povertà.” Secondo la tesi sostenuta da Fabbri, il nostro pianeta non è la
casa dell’uomo ma è l’uomo stesso: quello che viene fatto al pianeta è fatto all’uomo.
E. Ingegneria genetica, robotica ed internet: sfide per l’etica e per il diritto: la questione del rapporto
dell’uomo con la natura è possibile suddividerla in tre fasi:
1. L’uomo è colto dal timore di fronte alle forze della natura: egli usa la tecnica per difendersi
da tale forza o per trarne vantaggi.
2. Fase della Modernità: si sviluppa lo studio della natura al fine di conoscerne le leggi e di
migliorare la vita dell’uomo. È l’inzio della scienza moderna caratterizzata dall’introduzione
del metodo scientifico.
3. Fase della Contemporaneità: l’uomo interviene sulla natura per modificarla, esercitando su
di essa un senso di sovranità dispotica. Paolo Gallina parla di tecno-destino nel senso che il
rapporto fra l’uomo e le “protesi tecnologiche” costituisce il naturale destino dell’Homo
sapiens. Utilizzando una metafora sostiene che l’uomo non riesca più a fare a meno di certi
strumenti divenuti invasivi. Il loro utilizzo quotidiano li rende simili a protesi, favorendo
l’indebolimento di alcune capacità mentali fino a generare una sorta di “fossilizzazione
cognitiva”.

Ingegneria genetica: il post-umano

L’ultimo epilogo dell’intervento umano sulla natura è quello praticato dall’uomo sull’uomo. Questa
probabilità di intervento è stato reso possibile dall’integrazione fra la biologia e la tecnologia per perseguire
due finalità: quella terapeutica (per trattare patologie incurabili) e quella migliorativa (per potenziare delle
facoltà già possedute). Il termine per definire il prodotto di quest’attività è cyborg: appartiene a questa
categoria ogni persona cui siano stati applicati organi o protesi artificiali. Il termine oggi, sta assumendo una
connotazione sempre più specifica e viene usato per un uomo potenziato grazie agli interventi sul suo
genoma. Si parla di homo technologicus, che non si limita a fare e a produrre delle cose, ma interviene
sulle dinamiche della propria evoluzione, creando lo scenario del post-umano. Da una parte è vero che la
natura dell’uomo è “naturalmente tecnologica”. La capacità tecnica gli appartiene da sempre, al punto che
la sua evoluzione biologica e il suo progresso tecnico-culturale si sono svolti secondo un processo dinamico
co-evolutivo. Giuseppe Longo definisce l’uomo un simbionte, un soggetto interattivo in via di continua
trasformazione. Dall’altra parte, però, non si può fare a meno di osservare che l’invasività raggiunta dalla
bioingegneria genetica sia sostenibile solo se si ammette un’antropologia dualista per la quale spirito e
corpo sono entità separate. Solo questa prospettiva può autorizzare la trasformazione e persino il
superamento dell’attuale gentica umana. L’evoluzione della specie umana indotta dall’uomo è più veloce di
quella biologica.

Robotica ed intelligenza artificiale

All’uomo-cyborg si affiancano gli androidi, robot umanoidi. Vi è uno sviluppo sempre più sofisticato di
un’intelligenza artificiale che rende i robot non solo in grado di fare lavori manuali finora svolti dalla forza
umana, ma di pensare. L’uomo ha ciò che le macchine non hanno; in particolare è dotato di un corpo
capace di raggiungere una certa conoscenza del mondo altrimenti impensabile. Con il corpo l’uomo prende
con-tatto con le cose e con le persone. Mediante la percezione dei sensi fisici e psichici ne acquisisce una
prima conoscenza, che sarà poi sottoposta ad una specifica rielaborazione da parte della ragione. Invece, la
macchina non può che limitarsi a riprodurre un’abilità dell’uomo. Ciò che rende superiore è il fatto di
analizzare un’enorme quantità di dati in un tempo brevissimo, a compiere calcoli improponibili alla mente
dell’uomo. È stato anche dimostrato che gli strumenti informatici favoriscono l’incremento e lo sviluppo
delle competenze di problem-solving, attivando processi logico-creativi che permettono di scomporre un
problema complesso in diverse parti. Per questo motivo hanno ottenuto un certo apprezzamento
nell’istruzione scolastica, costituendo un’attività interdisciplinare capace di rinforzare le capacità logiche di
analisi e di sintesi. Oggi poi si sta sviluppando una forma particolare di robotica: la soft robotica: robot
realizzati con materiali morbidi che possono allungarsi, torcersi ecc.. (robot domestico, impiegato,
compagno, infermiere..). Affinchè si possa emanare un nuovo quadro di norme comunitarie per
disciplinare l’ascesa dei robot e l’intelligenza artificiale in Europa, occorre creare uno status giuridico per i
robot con la prospettiva di classificare gli automi come persone elettroniche responsabili delle proprie
azioni; occorre una vigilanza continuativa delle conseguenze sul mercato del lavoro e gli investimenti
necessari per evitare una crisi occupazionale; un codice etico per gli ingegneri che si occupano della
realizzazione dei robot e il lancio di un’agenzia europea per la robotica e l’intelligenza artificiale che sia
incaricata di fornire le competenze tecniche, etiche e normative necessarie.

Internet, rete di risorse e di trappole

3.4 Religione e diritti umani

Da sempre vi è un profondo intreccio tra religione e etica che riguarda i diritti umani. In tutte le società
infatti i diritti sono stati fissati nei testi religiosi e di conseguenza tali testi rappresentano le fonti principali
da cui trarre informazioni sulle condizioni morali delle diverse culture.

Questo profondo intreccio ha avuto un duplice risvolto:


1. Ha contribuito a determinare alcuni dei principali elementi contenutistici delle tavole etiche. Esse
infatti risentono delle argomentazioni teologiche che ne determinano i contenuti e li supportano.
2. Ha concorso alla definizione dell’uomo come soggetto morale.

Ciò comunque non significa che tra etica e religione non vi siano state tensioni e contraddizioni.
Nell’ottocento, infatti si è visto tra le difficoltà della Chiesa un' eccessiva esasperazione della libertà
individuale a scapito della dimensione sociale della vita umana. Oltre a questa, un ulteriore difficoltà è
legata al contesto di origine della “Carta dei diritti umani” connotata da una vena di laicismo.

Nonostante tali attriti è importante osservate come il diritto alla libertà religiosa è stato avvertito come uno
dei primi a dover essere affermato. Il riconoscimento di questo diritto ha aperto la porta al riconoscimento
della libertà di pensiero e quella di espressione.

Attualmente se da un lato si registrano numerosi atti di violenza compiuti in nome della religione, dall’altro
possiamo notare movimenti interni alla religione impegnati a favorire la collaborazione fra le religioni e a
promuovere un’etica globale.

Ogni religione condivide due principi proposti come decisivi per un’etica comune:

1. Quello di trattare umanamente ogni essere umano nel pieno rispetto assoluto della sua dignità
2. Quello di lasciarsi guidare dall’impegno a fare agli altri ciò che si vorrebbe fosse fatto a noi.

Ci si impegna dunque a realizzare una cultura della solidarietà ed un giusto ordinamento economico che
sostenga la proprietà privata e realizzare una cultura della tolleranza.

CAPITOLO 4: SULL’UNIVERSALITÀ E LA STORICITÀ DEI DIRITTI


UMANI
All’inizio del XXI si rilevano diverse posizioni riguardo ai diritti umani. Vi è chi ritiene impossibile ogni
discorso sulla loro formazione, a quanti ne avvertono l’importanza ma la ritengono un impresa disperata,
fino a coloro che invece lo ritengono imprescindibile.

Ad esempio se da un lato Enrico Berti sostiene che la mancanza di una comune fondazione si ripercuote
sulla mancanza di un comune riconoscimento pratico, dall’altro Norberto Bobbio esprime la convinzione
che oggi il problema di fondo relativo ai diritti dell'uomo non sia tanto quello di fondarli quanto quello di
proteggerli. La questione di fondo sta quindi nel trovare i mezzi di ordine politico e giuridico e le condizioni
in cui tali diritti possono essere realizzati. I due autori sostengono entrambi che primaria è la pratica del
rispetto dei diritti, ciò che li separa è il punto da cui partire per ottenere tale risultato.

Oggi il problema del fondamento dell’uomo si è risolto nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo in
cui si può ritenere fondato un sistema di valori.

4.1 Valori o diritti? La questione della loro identità e natura

I due termini differiscono per i sistemi etici diversi e spesso in contrapposizione. Nonostante ciò essi
rappresentano i due volti della stessa medaglia.

Valori: termine preferito dalle scuole di pensiero che intendono l’esperienza morale come rimando al dover
essere. La filosofia dei valori comunque ha al suo interno impostazioni tra loro antitetiche: quelle che
intendono i valori come assoluti (dover essere) e quelli che li concepisce come semplici prodotti storici.
Il termine ha un'accezione economica e fa riferimento a quanto vale un determinato bene (nel caso
dell’etica “morale'). Esso dice dunque quanto è stimabile e desiderabile un determinato bene (morale).
In questa prospettiva dunque la sua funzione è quella di indicare all’uomo i beni da perseguire e tutelare.

Diritti: corrisponde al pensiero dei giusnaturalisti che individuano nella natura la fonte dei diritti a cui le
leggi devono assoggettarsi e al pensiero opposto degli storicisti che intendono i diritti come prodotti
puramente culturali.

Il termine esprime quei valori che spettano ad ogni essere umano.

I diritti possono inoltre essere distinti in:

 Diritti umani: parlano del contenuto dei diritti


 Diritti fondamentali: parlano della forza di questo diritto che sono appunto fondanti.

I valori come i diritti hanno una Valenza storica assoluta.

Storica in riferimento al loro carattere relazionale. Essi vengono affermati sempre e solo in relazione
all’uomo che li riconosce nel tempo.

Assoluta in quanto l’istanza che essi pongono non ammette eccezioni.

Contesto in cui sono stati affermati i diritti civili e politici:

1. Giusnaturalismo
Riteneva di poter dedurre direttamente i diritti umani da un dato oggettivo costruito sull’idea di
esistenza di una natura umana comune a tutti gli uomini. Si riteneva potesse garantire qualcosa in
grado di legittimare il principio secondo cui gli uomini devono godere degli stessi diritti. Tuttavia
proprio questa idea di natura umana venne criticata in quanto vennero dimostrate le diversità di
costumi e modelli antropologici connessi alla varietà dei gruppi sociali e culturali di appartenenza.
2. Etica del consenso
Secondo cui un valore è tanto più fondato quanto più acconsentito. Nell’etica del consenso dunque
la forza intersoggettiva del consenso sostituisce il dato di natura del giusnaturalismo. In questa
prospettiva la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo rappresenta la più grande prova storica
del consenso di tutti gli uomini. La critica rivolta questa posizione è quella di essere troppo
dipendente dalla qualità del consenso che talvolta può assumere altri indirizzi e non solo a difesa
dei diritti umani.
3. Evidenzialismo
Considera i valori e i diritti umani come principi di per sé stessi evidenti. Questa prospettiva fu
anch’essa criticata in quanto se vi fosse un rapporto diretto tra ragione e valori etici, tutti
dovrebbero intuire immediatamente e contemporaneamente la stessa forma di bene.

4.2 Universalità storica dei valori e dei diritti umani

4.2.1 “Natura umana”: il “proprio” dell’uomo


Con il termine, il giusnaturalismo fa riferimento a ciò che definisce e distingue l’uomo da qualsiasi altro
essere esistente, ovvero la sua specificità che tradizionalmente viene fatta coincidere con la frase “l’uomo è
zòon lògon echon” = animale avente il logos. l’uomo è soggetto pensante dotato di parola e dunque la
razionalità dell’uomo non è solo la ragione logica o sperimentale ma è ragione pensante,discorsiva e
comunicativa. per l’antropologia classica l’uomo è un animale sociale. in questo caso il logos esprime
contemporaneamente concettualizzazione e comunicazione.
l’uomo è coscienza in triplice senso:
1. in quanto presenza a se stesso (coscienza di sé)
2. come coscienza di qualcos’altro da sé (coscienza dell’altro)
3. come coscienza della relazione con l’altro (coscienza della relazione tra sé e l’altro da sé)

La natura dell’uomo è dunque quella di una coscienza relazionale.

Il concetto di natura esprime, oltre al piano della consapevolezza e della razionalità, anche un’aspirazione
che si traduce in un compito ovvero quel,lo di vivere umanamente la propria esistenza in relazione all’altro
che è il proprio simile con cui dobbiamo riconoscerci. in questa prospettiva la natura umana è caratterizzata
da un telos, ovvero un fine da realizzare che è quello di perseguire il pieno sviluppo della propria
personalità umana, contribuendo nello stesso tempo allo sviluppo di quella degli altri. essendo un compito
iscritto nella vita dell’uomo, non può essere coinvolta la sua libertà.

4.2.2. L’umano trascendentale

L’identità che caratterizza l’uomo e gli permette di ricercare ciò che gli garantisce dignità di vita è la
coscienza relazionale che cerca e realizza il proprio compimento nella libertà. Questo compimento
attraversa non solo la coscienza del singolo ma anche la coscienza dei popoli. L’uomo, infatti:

o Vive nella cultura


o Si esprime attraverso di essa
o Nella cultura prende forma l’identità di ciascuno
o Da essa emerge la coscienza personale di sé
o In essa matura l’esperienza personale di ciascuno
o In essa si ricevono le prime fondamentali rappresentazioni dl bene e del male

 L’UOMO È DUNQUE CULTURA

Quando si dichiara l’universalità dei diritti umani quindi ci si riferisce innanzitutto all’esistenza di un
humanum anteposto alle differenze culturali: un humanum transculturale, dotato di forza generativa, che si
pone all’origine delle diverse culture e contemporaneamente si eleva a termine di riferimento e
valutazione. Nell’humanum transculturale sono dunque raccolte non solo le capacità che
contraddistinguono l’esistenza umana (coscienza, libertà, relazionalità), ma anche le modalità e le
condizioni per soddisfare i bisogni fondamentali. È necessario quindi considerare l’uomo con uno sguardo
d’insieme attento sia ai suoi bisogni primari, sia alle specifiche capacità che lo rendono umano. Queste
diverse dimensioni costituiscono la soglia minima al di sotto della quale non è permesso ad una persona di
vivere in modo veramente umano (poesia se questo è un uomo – Levi).

4.2.3 Storicità Dell’umano Universale

Le differenze interculturali dimostrano il carattere non universale dell’etica. Ogni cultura ha la sua etica e
ogni persona ha la sua morale. Ciò che si sa è che i diritti umani non sono stati riconosciuti sin dall’inizio
dell’umanità ma sono stati e continuano a essere soggetti ad un’evoluzione storica. È di conseguenza ovvio
che l’ipotesi giusnaturalista di una natura umano su cui fondare i diritti sia un’ipotesi insostenibile in quanto
se così fosse tutti i popoli avrebbero dovuto raggiungere la stessa conoscenza dei diritti umani e affermarli
allo stesso modo.

In realtà, l’humanum non è un dato storico raggiunto una volta per sempre, ma si rende manifesto nella
coscienza relazionale dell’uomo nell’atto di ricercare e realizzare il proprio compimento nella libertà. Il
senso dell’humanum infatti cresce con il crescere delle esperienze relazionali. È attraverso tali esperienze
infatti che l’uomo apprende dell’altro e di sé e impara, così a conoscersi e a riconoscersi (è questo il telos
che, per il giusnaturalismo, l’uomo deve perseguire).  la coscienza è dinamica.

Se è dinamica la coscienza che apprende l’humanum, anche il suo profilo contenutistico deve esserlo. Esso
si manifesta nella forma di un valore e ha la proprietà di essere contemporaneamente dotato di massima
universalità e massima particolarità storica:

 Massima universalità in quanto la sua proprietà è quella del’universale concreto. Universale è


l’aspirazione ad una vita umana degna di questo nome
 Massima particolarità storica in quanto le sue realizzazioni sono storiche.

Si può dire dunque che il valore morale (diritto umano fondamentale) è:

 Posseduto dall’uomo, ma allo stesso tempo irriducibile a possesso dell’uomo


 È realtà che gli appartiene poiché da lui incarnata, ma dal momento che lo supera sempre è realtà
che non gli appartiene
 È a lui immanente e contemporaneamente trascendente
 È culturale e transculturale

Ciò significa che l’esistenza dei diritti umani fondamentali radicati in un’humanitas intesa come minimo
comune denominatore ideale non conduce alla negazione delle differenze culturali, ma al contrario,
condizionando le differenze ne impedisce l’assolutizzazione.

Per queste ragioni il cammino della conoscenza morale deve essere legato alla maturazione etica della
cultura in cui si vive. Questo progresso vale per ogni forma di conoscenza.

4.2.4 L’humanum Svelato: Evidenza Intuitiva E Forza Del Dialogo

Al carattere storico dell’umano universale contribuisce la qualità della ragione morale che cerca la
conoscenza contenutistica del bene morale. Essa non coincide con la ragione logico-sperimentale (o almeno
non solo), ma la supera raggiungendo conoscenze che la ragione tecnico-scientifica non può raggiungere.
Essa possiede dunque la stessa caratteristica delle verità delle affermazioni morali. Quella morale è una
verità di senso che indirizza l’agire dell’uomo. Prima di raggiungere però la forma dell’imperativo (ciò che si
deve fare), rivela il significato delle cose e delle esperienze.

Le conclusioni raggiunte dalla riflessione etica assumono quella che Turoldo definisce struttura “dossica”
del bene morale. “doxa” = opinione che però in ambito etico non indica un’opinione affrettata e
superficiale ma una convinzione personale argomentata. Questo tuttavia non significa che le risposte della
ragione pratica (morale) siano razionalmente deboli o relative, ma che hanno uno statuto di verità diverso
dall’incontrovertibilità della logica formale e deduttiva.

La singolarità di questa forma di conoscenza viene espressa nel preambolo della dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, mediante la categoria della fede, termine che definisce la natura della conoscenza
morale. La validità della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non può essere dimostrata, ma ha una
sua evidenza intuitiva che si può esplicitare e svolgere in argomenti capaci di dimostrare la validità di tale
sistema di valori. La ragione morale è dunque alla ricerca di valori comuni capaci di permettere la
convivenza, e quando non li trova come nel caso del pluralismo culturale contemporaneo, ricerca soluzioni
pratiche condivisibili.

4.2.5 L’”Universale” Della Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell’uomo

Tale aggettivo racchiude almeno 4 significati:

1. Fa riferimento all’aspirazione della dichiarazione a qualcosa di universalmente umano a cui ispirarsi


nell’azione
2. Esprime la volontà della dichiarazione di rivolgersi a tutti i popoli. Per questo motivo essa si
presenta come universalmente comprensibile e universalmente apprezzabile (tutti la possono
condividere)
3. Presupponendo il carattere condiviso dell’humanum, la dichiarazione sottende la possibilità che
quanto affermato sia traducibile in azioni corrispondenti alle diverse realtà culturali
4. Si afferma che i contenuti fondamentali espressi nella dichiarazione sono irreversibili e dunque
rappresentano un risultato da cui non è eticamente lecito tornare indietro.

A conferma di ciò è importante osservare come i diritti dichiarati vincolanti dall’ONU convergano
con quelli dedotti da una riflessione filosofica (Martha Nussbaum) e antropologica (h. Kung).

4.2.6 guadagni dell’humanum condiviso

La posizione di quegli indirizzi che negano il riferimento morale ad un humanum condiviso (anti-
universalismo etico) cadono nella contraddittorietà in quanto se non esiste alcuna unità di misura
condivisibile, in riferimento a che cosa si sostiene la denuncia e la condanna?

Partendo da ciò la dichiarazione della conferenza mondiale delle nazioni unite ha affermato che “tutti i
diritti umani sono universali, indivisibili, interdipendenti e interconnessi, pertanto benché debba essere
tenuto presente il valore delle diverse condizioni culturali, storiche e religiose è obbligo degli stati tutelare e
promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali”.

Questo obbligo viene assicurato dalla prospettiva che riconosce un humanum condiviso. Esso garantisce
diversi guadagni:

1. Afferma un termine di comunicazione tra le differenze, sostenendo che tutte le forme culturali
portano in sé tratti e caratteristiche di un’unica matrice di provenienza. Esse dunque non sono mai
completamente estranee tra loro.
Questo dato permette di confrontare le diverse culture, sottoporle a valutazioni critiche e ricercare
un consenso convergente.
Le culture sono tra di loro:
 Confrontabili  dal momento che tutte le culture fanno riferimento ad un’unica unità di
misura (sebbene diversamente interpretata) si può fare un’equiparazione che permetta di
coglierne gli elementi comuni
 Valutabili  poiché l’humanum fornisce indicazioni vincolanti, è possibile denunciare le
pratiche che lo contraddicono e definire così quei comportamenti definiti “crimini contro
l’umanità”.
 Convergenti
2. Permette di superare il relativismo generato da un principio di tolleranza troppo superficiale che
sfocia in una sorta di indifferentismo: tutto è lecito, purché non sia a mio danno.
3. L’idea di umanità condivisa (humanum) non contraddice il pluralismo culturale, anzi, attesta la
possibilità di molteplici soluzioni culturali umanamente sensate e rispettose della dignità umana.
4. Spiega perché ogni cultura tenda a comprendersi come naturale e avverta cioè il proprio rapporto
con l’humanum come originario, ritenendo di essere fedele interprete.

4.3 Dal Valore Ai Valori/Diritti: All’origine Dell’etica

Riferirsi all’humanum come termine di riferimento significa assumerlo come valore morale e cioè come
guida di riferimento per l’esistenza.

Dal momento però che esistono numerosi beni assumere l’uomo come bussola per l’orientamento morale
implica una scelta: quella della sua elezione e predilezione. Si tratta di un’opzione ricca i rischi ma
nonostante ciò ragionevole almeno per due motivi:

1. In quanto a noi è dato unicamente il punto di vista dell’uomo. Tale prospettiva non può includere
un atteggiamento di rispetto verso ogni altro essere vivente (in quanto noi abbiamo unicamente il
nostro punto vista, ovvero quello dell’uomo), non significa,tuttavia trascurare o calpestare altri beni
esistenti. È convincente a questo punto prendere in considerazione la prospettiva di un’ecologia
sociale elaborata da Bookchin (poi chiamata ecologia integrale da papa Francesco) che colloca e
considera l’uomo nel suo ambiente naturale.
2. In quanto tra i beni esistenti sulla terra, l’uomo si distingue per alcune sue caratteristiche che fanno
sì che l’etica sia un’attività esclusivamente umana.

Nonostante questo suo essere in se stesso valore di riferimento, l’uomo ne raggiunge la consapevolezza
solo attraverso il riconoscimento da parte dell’altro. L’uomo si rispecchia nell’altro suo simile e in lui vede
ciò che non riesce a vedere direttamente in se stesso. Nell’altro simile egli ritrova se stesso e attraverso di
lui è in grado di apprezzare il proprio valore e avere stima di sé. (in questo incontro l’uomo scopre
l’imperativo morale  “accoglimi nella mia dignità). L’altro, infatti, quando si trova di fronte al proprio
simile attende di essere accolto e stimato nella propria unicità.

Metafora: incontro tra simili come goccia d’acqua nel fenomeno della rifrazione

Si tratta di n incontro in cui uno si trova in una situazione di precarietà e di bisogno, in cui talvolta è
calpestata la sua dignità. In queste situazioni è come se l’uomo costituisse il raggio di luce che, soffrendo la
fame, la malattia…viene scomposto lasciando emergere quei beni che gli appartengono di diritto (vita,
sicurezza, pensiero, libertà…).

“Accoglimi nella mia dignità” significa “riconoscimi nei beni che mi appartengono”. Ma quali sono questi
beni?

1. Beni propri della persona


 Vita - salute
 Libertà
 Benessere
2. Beni primari + beni derivati (quei beni che non sono vitali, ma che migliorano la vita delle persone)
 Cibo - abitazione
 Lavoro - denaro
 Istruzione
 Ricreazione
3. Beni della relazionalità
 Famiglia
 Amici
 Comunità
 Religione come legame con dio (nel caso del credente)

Esistono quindi alcuni vettori di comportamento che indicano il modo di proteggere e favorire i beni
fondamentali dell’uomo:

 Onestà
 Giustizia
 Rispetto
 Fedeltà, veridicità e lealtà

4.4 Le Generazioni Dei Valori/Diritti

Con il termine “generazione dei diritti” viene indicato lo sviluppo dei diritti umani partire dal 18°secolo.
Nelle dichiarazioni firmate IN QUELL’epoca viene compiuto un salto concettuale: dall’impostazione classica
del diritto naturale per cui i diritti dei singoli erano subordinati agli interessi della comunità sociale, si passa
a quella moderna secondo cui i diritti appartengono al soggetto in quanto individuo e l’azione legislativa ha
il solo compito di farli rispettare. Questi due sistemi sono sostenuti da due diverse visioni antropologiche. Il
diritto medievale riteneva, infatti che l’appartenenza alla comunità sociale fosse un elemento fondamentale
della natura umana (si riprende l’ipotesi di Aristotele dell’uomo come animale politico), mentre il
giusnaturalismo moderno pone in primo piano l’individuo anziché la società.

I primi documenti che dimostrano questa evoluzione sono la dichiarazione dei diritti dell’uomo, la
dichiarazione di indipendenza americana e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della
rivoluzione francese.

Da questa impostazione si rileva come l’uomo sia prima di tutto individuo, prima di appartenere ad una
comunità sociale. È proprio all’interno di questo contento che si affermano i diritti della modernità.

Diritti della modernità

1. Diritti di prima generazione: diritti civili e politici la loro caratteristica principale è quella di
essere strettamente correlati all’istituzione e all'organizzazione dello stato e valgono solo per
coloro che vi appartengono a pieno titolo, cioè i cittadini.
Lo stato limita il suo potere e si impegna a garantire i diritti civili e politici dei suoi cittadini. Tali
diritti sono anche chiamati “diritti di libertà”: libertà di pensiero, di espressione, di culto, di credo
religioso, di partecipazione al governo del proprio paese. La funzione principale di questi diritti è
quella di garantire a ciascun cittadino quegli spazi di libertà atti a garantire una propria
affermazione politica, sociale ed economica. Lo stato, a sua volta pone degli obblighi con il solo
scopo di tutelare i diritti dei suoi cittadini garantendo loro il massimo spazio di libertà possibile
entro i limiti della convivenza sociale.
2. Diritti di seconda generazione: diritti economici, sociali e culturali  (diritto all’istruzione)

3. Diritti di terza generazione: diritti di solidarietà  i diritti di terza generazione riguardano quei
soggetti che si trovano in condizione di fragilità che può essere determinata dallo stato sociale o
culturale, dallo stato di salute fisico o psichico o per altri motivi. Tra i diritti di terza generazione
troviamo dunque:
 Diritti del fanciullo
 Diritti del malato
 Diritti delle persone diversamente abili
 Diritti del consumatore e dell’utente
 Diritto ad uno sviluppo equosolidale
 Diritto alla pace internazionale

Tra i diritti di terza generazione vengono anche citati i diritti dei popoli in quanto fanno riferimento
ad un soggetto collettivo che vive in una situazione di subordinazione militare, economica, politica e
culturale.

Infine troviamo incluso anche il diritto al rispetto dell’ambiente (diritto a vivere in un ambiente
sano).

4. Diritti di quarta generazione: i nuovi diritti  lo sviluppo della ricerca scientifica in ambito
biologico e in quello della genetica ha introdotto notevoli vantaggi ma al contempo ha reso
necessario lo sviluppo di nuovi diritti “di quarta generazione” di cui ne fanno parte il diritto al
patrimonio genetico dell’individuo.

CAPITOLO 5: DIRITTI E DOVERI: I CODICI DEONTOLOGICI


Come abbiamo già visto nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo era emerso un impianto
individualista, proteso a far valere i diritti personali a scapito dell’assunzione delle proprie responsabilità.
Ciò che manca è la prospettiva della reciprocità, che presuppone la disponibilità a guardare le cose non solo
dal nostro punto di vista ma anche da quello degli altri. Come osserva Bobbio, è vero che proprio questa
impostazione individualista ha permesso il riscatto etico dell’uomo inteso come soggetto personale,
tuttavia tale liberazione si è trasformata in un atteggiamento pretenzioso di chi vanta solo diritti senza
tenere in considerazione i propri doveri. Occorre dunque abbandonare questa cattiva interpretazione della
logica dei diritti. Per compiere tale correzione è però necessaria una virata culturale.

5.1 Diritti E Doveri

In etica, quando si fa riferimento al diritto morale s’introduce anche il suo corrispettivo costituito dalla
categoria del dovere morale (diritto morale – dovere morale).

Il diritto è una figura deontica (si riferisce al dovere) che ha un senso preciso solo nel linguaggio normativo.
Non è dunque concepibile alcun diritto al di fuori di un sistema di leggi che, per tutelarlo, impongono dei
doveri.

In epoche precedenti il linguaggio etico prevalente non era quello dei diritti ma quello degli imperativi, fatto
di doveri positivi (comportamenti da svolgere) e negativi (comportamenti da evitare). Si pensi ad es. Alla
tavola dei dieci comandamenti, o ancora al codice di Hammurabi.
In passato l’esperienza morale si manifestava innanzitutto attraverso la formulazione di prescrizioni e
divieti che il soggetto morale doveva ovviamente rispettare.

Secondo Bobbio tale prospettiva era all’epoca preferita in quanto, in quelle civiltà, l’interesse morale era
considerato dal punto di vista della società piuttosto che dal punto di vista del singolo. Le società antiche
dunque attribuivano alle norme la funzione di proteggere il gruppo nel suo insieme, piuttosto che il singolo.

Se integriamo questa prospettiva con la dimensione relazionale dell’esistenza umana ci rendiamo conto che
l’altro prima di tutto è colui per mezzo del quale sono stato generato e accudito. Nei suoi confronti
pertanto ho un debito originario. In questo modo, la presenza stessa dell’altro genera l’esperienza etica in
termini di comando. L’altro si presenta come comando ed imperativo. L’altro svolge quindi
contemporaneamente la funzione di legislatore (pone i comandi) e fonte dei contenuti morali (ho appreso
dall’altro che mi ha cresciuto i miei valori morali). In questo senso l’incontro con l’altro genera nel soggetto
morale il senso del debito e contemporaneamente quello del dovere.

Assumere come fonte dell’imperativo morale il modello dell’alterità ci offre due vantaggi:

1. Da un lato ci permette di superare lo schema o la società o il soggetto, affermando invece la


profonda relazione tra l’uomo e il suo simile e dunque tra il soggetto e la società (non più o uomo o
società ma entrambe)
2. Dall’altro per il modello etico della relazionalità il senso del dovere morale non deriva da un obbligo
dettato da una legge esterna all’uomo, ma nella coscienza è l’uomo che avverte il valore della
presenza dell’altro che si traduce in termini di imperativo e da questa egli elabora le proprie
decisioni.

Dovere e diritto diventano due facce della stessa medaglia:

Il dovere che sta all’origine dell’esperienza morale scaturisce dal riconoscimento di un bene
talmente grande da assumere la forza di un diritto e, a sua volta, il diritto si impone alla coscienza morale
assumendo la forma del dovere.

5.2 Etica E Diritto

La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha prima di tutto valore etico e poi valore giuridico. In essa
vi è il trionfo del connubio tra etica e diritto.

I sostenitori del positivismo giuridico ritengono che etica e diritto siano ambiti tra loro estranei e in
conflitto. È vero che il diritto non si propone come sistema valoriale volto a orientare le coscienze personali
nelle decisioni che riguardano le dimensioni più intime della persona e che il suo compito è quello di creare
le condizioni per l’attuazione di una convivenza ordinata e per lo sviluppo del bene comune, ma è anche
vero che elaborare una legge significa assumere una decisione pubblica facendo riferimento ad un
determinato sistema valoriale.

5.3 La Natura Dei Codici Deontologici

Etimologia:

Deontologia: dèon-ontos = “ciò che va fatto” + logos = “parola, scienza”.


Con il termine si identificano quei codici comportamentali di alcune categorie di professionisti impegnati in
ambiti lavorativi che hanno una particolare rilevanza sociale proprio per la natura relazionale della loro
attività.

Codice: raccolte organiche, solitamente scritte, di norme comportamentali ai quali un gruppo sociale affida
la tutela del proprio sistema etico complessivo

Deontologia: specifica che le norme raccolte in quel codice riguardano l’insieme dei valori, dei principi, delle
regole e delle consuetudini che un determinato gruppo professionale stabilisce e si impegna a osservare
nell’esercizio della propria professione.

Secondo il collegio nazionale dei ragionieri e dei periti commerciali il codice deontologico è l’insieme dei
principi, delle regole e delle consuetudini che ogni gruppo professionale si dà e deve osservare, ed alle quali
deve ispirarsi nell’esercizio della sua professione.

Esso rappresenta lo strumento scritto e reso pubblico che raccoglie le regole di condotta che devono essere
rispettate nell’esercizio di una determinata professione. Il fatto ch venga messo per iscritto e sia reso
pubblico ha una notevole importanza, poiché esso è un documento oggettivo e consultabile in primis dai
rispettivi utenti.

I codici deontologici si collocano su un terreno più vicino all’etica piuttosto che non al diritto giuridico,
sebbene comunque esso faccia da ponte tra i due.

Oggi tutti i professionisti che fanno riferimento ad un proprio ordine possiedono un codice deontologico.

I codici deontologici condividono tutti alcune caratteristiche:

 Riguardano professionisti che lavorano in un contesto di relazione interpersonale immediato


 Le loro prestazioni riguardano il bene della persona (loro utente)
 Le loro competenze possono essere esercitate direttamente o indirettamente sulla persona
 Condividono alcune finalità comuni: la tutela del cliente, la responsabilità nei confronti della
società, la tutela del gruppo professionista.
Il perseguimento di tali obiettivi viene realizzato seguendo alcuni principi etici fondamentali:
 Principio del rispetto del valore, della dignità e dei diritti di ogni persona
 Principio della tutela del benessere del destinatario dell’intervento e/o d terzi
 Principio del rispetto della libertà del cliente di scegliere il professionista e/o, in ambito
sanitario, di scegliere il luogo di cura
 Principio del diritto dei soggetti alla riservatezza ed all’anonimato
 Principio del consenso informato
 Principio del segreto professionale
 Principio della competenza, della capacità e della fondatezza scientifica della propria
attività
 Principio di onestà e responsabilità
 Principio dell’autonomia professionale come rifiuto di ogni ingerenza esterna o di
strumentalizzazioni
 Principio del decoro e della dignità professionale
 Principio della trasmissione delle informazioni dovute alla legittima autorità
 Principio della rilevanza sociale dei propri interventi

 Sono continuamente sottoposti a revisione e aggiornamento

Potrebbero piacerti anche