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Roma antica

La scultura rappresenta la Lupa capitolina che allatta i gemelli Romolo e Remo che furono aggiunti,
probabilmente da Antonio del Pollaiolo, nel tardo XV secolo

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'Italia romana, Storia romana e
Italia (epoca romana).

Secondo la tradizione, la città di Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. da Romolo sul colle Palatino. In
realtà, già in precedenza erano sorti villaggi in quella posizione, fondamentale per la via di commercio del
sale, ma solo alla metà dell'VIII secolo a.C. questi si unirono in una sola città. La zona era dotata, inoltre, di
un buon potenziale agricolo, e la presenza dell'isola Tiberina rendeva facile l'attraversamento del vicino
fiume Tevere.

Età regia (753-509 a.C.)

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma ed Età regia di Roma.

Romolo instaurò nella città il regime monarchico: fino al 509 a.C., Roma fu retta, secondo la tradizione, da
sette re,[18] che apportarono notevoli contributi allo sviluppo della società. Ognuno dei primi quattro,
infatti, operò in un diverso ambito dell'amministrazione statale: il fondatore eponimo Romolo diede il via
alla prima guerra di espansione contro i Sabini, originatasi dall'episodio del ratto delle Sabine, e associò al
trono il re nemico Tito Tazio, allargando per primo le basi del neonato Stato romano. Suddivise poi la
popolazione in tre tribù e pose le basi per la ripartizione tra patrizi e plebei. Il suo successore, Numa
Pompilio, istituì i primi collegi sacerdotali, come quello delle Vestali, e riformò il calendario. Il terzo re, Tullo
Ostilio, riprese le ostilità contro i popoli vicini e sconfisse la città di Alba Longa mentre, il successore, Anco
Marzio, costruì il primo ponte di legno sul Tevere, fortificò il Gianicolo e fondò il porto di Ostia.

Ai primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo
a.C., infatti, gli Etruschi, all'apogeo della loro potenza, estesero la loro influenza anche su Roma, che stava
divenendo sempre più grande e la cui importanza a livello economico incominciava a farsi considerevole.
Era dunque fondamentale per gli Etruschi assicurarsi il controllo su una zona che garantiva il passaggio delle
rotte commerciali; anche se non si ebbe mai un reale controllo militare etrusco su Roma. Il primo re
etrusco, Tarquinio Prisco, combatté contro i popoli confinanti, ordinò la realizzazione di numerose opere
pubbliche, tra cui il Circo Massimo, la Cloaca Massima e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e
apportò, infine, anche alcuni cambiamenti in campo culturale. Il suo successore, Servio Tullio, fu, secondo la
leggenda, l'ideatore dell'ordinamento centuriato, sostituendolo alla precedente ripartizione della
popolazione e combatté anch'egli contro alcune delle principali città etrusche e latine limitrofe a Roma.
Ultimo monarca a governare Roma fu Tarquinio il Superbo, espulso dall'Urbe nel 510 a.C., secondo la
leggenda con l'accusa di aver violentato la giovane Lucrezia; il patriziato romano, comunque, non era più
disposto a sottostare al potere centralizzato del re, ma desiderava acquisire un'influenza, in campo politico,
pari a quella che già rivestiva negli altri ambiti della vita civile.

Età repubblicana (509-27 a.C.)

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Romana.


La conquista dell'Italia peninsulare

Evoluzione del nome Italia e dell'estensione geografica del territorio che, de iure, costituiva l'Italia durante
l'età romana.

Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo e il fallimento (determinato, secondo la leggenda, dalle eroiche
azioni di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia) del suo tentativo di recuperare il trono con l'aiuto degli
Etruschi condotti dal lucumone di Chiusi, Porsenna, fu instaurata, per opera di Lucio Giunio Bruto,
organizzatore della rivolta antimonarchica, la Repubblica. Essa prevedeva la spartizione tra più cariche dei
poteri precedentemente appartenuti a un uomo solo, il re: il potere legislativo fu assegnato alle assemblee
dei comizi centuriati e del senato, e furono create numerose magistrature, consolato, censura, pretura,
questura, edilità, che gestissero i vari ambiti dell'amministrazione. Tutte le cariche, tra le quali il consolato e
il pretorato, erano cum imperio, ossia collegiali, in modo tale che si evitasse l'affermazione di singoli uomini
che potessero accentrare tutto il potere nelle loro mani.

Roma si trovò subito a lottare contro le popolazioni latine delle zone limitrofe, sconfiggendole nel 499 a.C.
(o, secondo altre fonti, nel 496 a.C.) nella battaglia del Lago Regillo, e federandole a sé nella Lega Latina
mediante la firma del foedus Cassianum, nel 493 a.C.[19] Combatté poi contro gli Equi e i Volsci, e, una
volta sconfitti, si scontrò con la città etrusca di Veio, espugnata da Marco Furio Camillo nel 396 a.C.

I primi anni di vita della Repubblica romana furono notevolmente travagliati anche nell'ambito della politica
interna, in quanto le gravi disuguaglianze sociali che avevano portato alla caduta del regno non erano state
cancellate. I plebei avviarono così una serie di proteste contro la classe dominante dei patrizi: nel 494 a.C.,
infine, si ritirarono in secessione sul Monte Sacro (Secessio plebis). La situazione si risolse con l'istituzione
della magistratura del tribunato della plebe e con il riconoscimento del valore legale delle assemblee
popolari. Importanti acquisizioni furono anche la redazione, nel 450 a.C. da parte dei decemviri, delle leggi
delle XII tavole, che garantivano una maggiore equità in ambito giudiziario, e l'approvazione della lex
Canuleia, nel 445 a.C. Nel 386 a.C. l'esercito romano fu sconfitto dai Galli guidati da Brenno, che
sottoposero l'Urbe a un rovinoso saccheggio. Vent'anni dopo, nel 367 a.C., furono promulgate le leges
Liciniae Sextiae, che ampliarono ulteriormente i diritti della plebe.

Consolidata la propria egemonia nell'Italia centrale, Roma volse le proprie mire espansionistiche verso sud
attaccando i Sanniti, contro i quali combatté tre difficili guerre (nel 343-341 a.C., nel 327-304 a.C. e nel 298-
290 a.C.), che, nonostante alcune umilianti disfatte inflitte dai Sanniti a Roma (celebre quella delle Forche
Caudine nel corso della seconda guerra sannitica), si conclusero dopo alterne vicende con la vittoria romana
e la sottomissione totale dei Sanniti.

Consolidata la propria egemonia sull'Italia centro-meridionale, Roma arrivò a scontrarsi con le città della
Magna Grecia e con la potente Taranto, che invocarono allora l'aiuto del re d'Epiro Pirro, che sbarcò in Italia
con un potente esercito comprendente anche elefanti da guerra; nonostante alcune sofferte vittorie (con
grandissime perdite) contro i Romani a Heraclea e ad Ascoli, Pirro fu duramente sconfitto a Maleventum nel
275 a.C. e costretto a tornare oltre l'Adriatico. Taranto, dunque, fu nuovamente assediata e costretta alla
resa nel 272 a.C.: Roma era così potenza egemone nell'Italia peninsulare, a sud dell'Appennino Ligure e
Tosco-Emiliano.
Le guerre puniche e i conflitti in Oriente

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre puniche, Guerre macedoniche e
Guerra contro Antioco III e lega etolica.

La conquista dell'Italia portò Roma a scontrarsi con l'altra grande potenza del Mediterraneo Occidentale:
Cartagine. Le guerre che si scatenarono furono di inaudita ferocia e di notevole durata, ma videro infine il
trionfo totale di Roma. La prima guerra punica scoppiò nel 264 a.C. allorché Roma inviò un piccolo
contingente in soccorso di Messina, con l'intento di assicurarsi il controllo dello stretto di Messina, ambito
però anche dai Cartaginesi, che decisero di reagire con la guerra. Dopo alcune vittorie negli scontri terrestri,
Roma potenziò la flotta, dotandola di corvi, e riuscì a ottenere alcune importanti vittorie navali, anche se il
tentativo di Marco Attilio Regolo di portare la guerra sul suolo africano e imporre la resa a Cartagine fallì e il
console, catturato, venne giustiziato facendolo rotolare dentro una botte. La guerra finì, dopo alterne
vicende, con la vittoria di Roma (241 a.C.),[20] che poté così estendere il suo dominio annettendo Sicilia,
Sardegna e Corsica; sconfisse inoltre i pirati illirici che, tacitamente supportati dalla regina Teuta,
infestavano le coste adriatiche e, qualche anno più tardi, incominciò a espandersi nella pianura padana a
scapito dei Celti (battaglia di Clastidium, 222 a.C.).

Nel frattempo, preoccupato dalle mire espansionistiche puniche in Hispania, il Senato stipulò un nuovo
patto con Cartagine; tuttavia, nel 218 a.C., dato che il generale punico Annibale Barca attaccò la città di
Sagunto, alleata di Roma, si decise di dichiarare nuovamente guerra a Cartagine. Annibale valicò le Alpi con
un potente esercito comprendente anche elefanti e inflisse varie sconfitte alle legioni romane. Dopo una
fase di stallo, durante la quale Roma poté riorganizzarsi, grazie alla politica attuata dal dictator Quinto Fabio
Massimo, detto il temporeggiatore, le legioni romane subirono una pesante sconfitta contro Annibale nella
battaglia di Canne (216 a.C.). Mentre numerose città si alleavano con i Cartaginesi e anche la Macedonia di
Filippo V scendeva in guerra contro Roma, Annibale si attardò nel Sud Italia (ozi di Capua), mentre i Romani,
seppure provati, poterono lentamente ricostituire le proprie forze: il console Publio Cornelio Scipione
ottenne diverse vittorie sui Cartaginesi in Hispania, mentre in Italia Roma riuscì ben presto a recuperare le
città italiche che l'avevano tradita per allearsi con Annibale e sconfisse anche il fratello di Annibale,
Asdrubale Barca, mentre tentava di portare rinforzi ad Annibale. Nel 203 a.C. Scipione, conquistata la
Penisola iberica e ristabilita la situazione in Italia, sbarcò in Africa per tentare di ottenere una vittoria
definitiva e sconfisse Annibale, nel frattempo tornato a Cartagine, nella battaglia di Zama, costringendo
Cartagine a capitolare e ad accettare le dure condizioni di pace imposte da Roma.

Dopo la conclusione della guerra con Cartagine, Roma completò la sottomissione della Gallia Cisalpina,
sconfiggendo sia i Celti o Galli, sollevatisi contro Roma durante la seconda guerra punica, sia le popolazioni
locali: attorno al 191 a.C. la Gallia Cisalpina fu ridotta a provincia, mentre nel 177 a.C. venne sottomessa
anche l'Istria e, due anni dopo, i Liguri Cisalpini.

Ormai potenza egemone del Mediterraneo occidentale, Roma volse le sue mire espansionistiche a danno
degli stati ellenistici dell'Oriente, sottomettendo nell'arco di un cinquantennio (200 a.C.-146 a.C.) la Grecia
(per maggiori approfondimenti su queste campagne non riguardanti la storia d'Italia e che qui non vengono
trattate per motivi di spazio, cfr. guerre macedoniche) e completando la sottomissione di Cartagine (terza
guerra punica, 149-146 a.C.). Con la sconfitta dei nemici contro cui combatteva da anni su entrambi i fronti,
Roma era diventata padrona del Mediterraneo.
Conseguenze delle conquiste

Le nuove conquiste, tuttavia, portarono anche notevoli cambiamenti nella società romana: i contatti con la
cultura ellenistica, temuta e osteggiata da Marco Porcio Catone detto il Censore, modificarono
profondamente gli usi che fino ad allora si rifacevano al mos maiorum, trasformando radicalmente la
società dell'Urbe. L'introduzione di usanze e conoscenze provenienti dall'Oriente (filosofia, retorica,
letteratura, scienza greca) fece sì effettivamente che il livello culturale dei Romani, almeno dei patrizi,
crescesse significativamente, ma generò altresì una decadenza dei valori morali, testimoniata dalla
diffusione di costumi e abitudini moralmente discutibili, che non poté non provocare l'opposizione da parte
degli ambienti più conservatori, capeggiati da Catone il Censore, i quali si scagliarono contro le culture
extra-romane, tacciate di corruzione dei costumi, e lottarono contro l'ellenizzazione dei costumi a favore
del ripristino del mos maiorum, i valori che, secondo Catone, avevano reso grande Roma.

I problemi connessi a un'espansione così grande e repentina che la Repubblica dovette affrontare furono
enormi e di vario genere: le istituzioni romane, fino ad allora concepite per amministrare un piccolo Stato,
non erano adatte per amministrare uno Stato che si estendeva dall'Hispania, all'Africa, alla Grecia, all'Asia.
Le continue guerre in patria e all'estero, inoltre, immettendo sul mercato una quantità enorme di schiavi,
usualmente impiegati nelle aziende agricole dei patrizi romani, portarono a ripercussioni tremende nel
tessuto sociale romano: infatti la crisi della piccola proprietà terriera, provocata dalla maggior competitività
dei latifondi schiavistici (che ovviamente producevano praticamente a costo zero), determinò da una parte
la concentrazione dei terreni coltivabili in poche mani e una grande quantità di merci a buon mercato,
dall'altra generò la nascita del cosiddetto sottoproletariato urbano. Parecchie famiglie costrette a lasciare le
campagne si rifugiarono nell'urbe, dove non avevano un lavoro, una casa e di che sfamarsi dando origine a
pericolose tensioni sociali abilmente sfruttate dai politici più scaltri.

A tentare una riforma che ponesse un rimedio alla crisi furono per primi i fratelli Gracchi, ovvero Tiberio e
Gaio Sempronio Gracco, il cui progetto di riforma prevedeva la limitazione dell'occupazione delle terre dello
Stato a 125 ettari e la riassegnazione delle terre eccedenti ai contadini in rovina, oltre alla limitazione delle
terre che le famiglie nobili potevano possedere a non più di 1000 ettari; i terreni confiscati furono distribuiti
in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7,5 ettari). Un tale piano di riforma trovò
però l'opposizione dei ceti aristocratici, i cui interessi furono duramente colpiti, che impedirono l'attuazione
della riforma assassinando i due fratelli.

Le rivendicazioni di socii e schiavi: la guerra sociale e le guerre servili

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra sociale.

Già dal tempo dei Gracchi a Roma si avanzavano proposte d'estensione dei diritti di cittadinanza anche agli
altri popoli italici, fino ad allora federati, ma senza successo. La speranza degli alleati italici era che a Roma
prevalesse il partito di coloro che volevano concedere agli alleati italici la cittadinanza romana. Ma quando
nel 91 a.C. il tribuno Marco Livio Druso, che stava preparando una proposta per concedere la cittadinanza
agli alleati fu ucciso, ai più apparve chiaro che Roma non avrebbe concesso spontaneamente la
cittadinanza. Fu l'inizio della guerra che, dal 91 a.C. all'88 a.C., vide combattersi gli eserciti romani e quelli
italici. Gli ultimi a cedere le armi ai Romani, capeggiati tra gli altri da Silla e Gneo Pompeo Strabone, padre
del futuro Pompeo Magno, furono i Sanniti. Gli italici si videro comunque riconosciuta la cittadinanza
romana. All'epoca, comunque, l'Italia comprendeva solo la parte peninsulare; la parte transpadana formava
la provincia della Gallia Cisalpina i cui abitanti, a differenza degli italici peninsulari, non erano ancora
cittadini romani. Nel dicembre del 49 a.C., Cesare, concesse la cittadinanza romana agli abitanti della
provincia e, nel 42 a.C., la provincia venne abolita del tutto, rendendo così la Gallia Cisalpina parte
integrante dell'Italia romana, che costituiva a sua volta il territorio metropolitano di Roma e si differenziava
per statuto dalle province, essendo queste ultime tutti i restanti territori al di fuori di essa.

Moneta raffigurante Augusto e Marco Vipsanio Agrippa, vincitori della battaglia di Azio

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Schiavitù nell'antica Roma e Terza guerra
servile.

Il trattamento disumano degli schiavi, i quali, secondo la legge, non erano persone, ma strumenti dei quali il
padrone poteva abusare, danneggiare o uccidere senza conseguenze legali[21][22], portò essi a rivoltarsi
più volte a Roma nel tentativo di ottenere la libertà o un miglioramento delle loro condizioni. Le prime due
ribellioni, o guerre servili (scoppiate rispettivamente nel 135 a.C. e nel 104 a.C.), pur necessitando di anni di
interventi militari diretti per essere sedate, non minacciarono mai la penisola italiana né tanto meno la città
di Roma direttamente.

La terza guerra servile, condotta dallo schiavo e gladiatore Spartaco e scoppiata a Capua nel 73 a.C., al
contrario, mise in forti difficoltà Roma, che sottovalutò la minaccia: nei primi tempi numerose legioni
subirono non pronosticate sconfitte contro gli schiavi ribelli, il cui numero era rapidamente cresciuto fino a
70.000, ma, una volta che venne stabilito un comando unificato sotto Marco Licinio Crasso, al comando di
sei legioni, la ribellione venne schiacciata nel 71 a.C. Circa 10.000 schiavi fuggirono dal campo di battaglia,
mentre 6.000 di essi vennero crocifissi lungo la Via Appia, da Capua a Roma. La rivolta scosse il popolo
romano, che «a causa della grande paura sembrò incominciare a trattare i propri schiavi meno duramente
di prima».[23]

Anche la condizione legale e i diritti degli schiavi romani incominciarono a mutare: durante il principato di
Claudio (41-54), fu promulgata una costituzione che puniva l'assassinio di uno schiavo anziano o ammalato,
e che dava la libertà agli schiavi abbandonati dai loro padroni,[24] mentre, durante il regno di Antonino Pio
(138-161), i diritti degli schiavi furono ulteriormente ampliati e tutelati, con la limitazione degli abusi che i
padroni potevano commettere e l'istituzione di un'autorità teoricamente indipendente cui gli schiavi si
potevano appellare.[25]

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