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COLLECTION DE L’ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME - 413

L’ONOMASTICA DELL’ITALIA ANTICA


ASPETTI LINGUISTICI, STORICI, CULTURALI,
TIPOLOGICI E CLASSIFICATORI
a cura di Paolo POCCETTI
L’ONOMASTICA DELL’ITALIA ANTICA
.
COLLECTION DE L’ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME
413

L’ONOMASTICA
DELL’ITALIA ANTICA
ASPETTI LINGUISTICI, STORICI, CULTURALI,
TIPOLOGICI E CLASSIFICATORI

a cura di Paolo POCCETTI

ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME


2009

.
I testi qui raccolti costituiscono gli atti del convegno organizzato
a Roma, il 13-16 novembre 2002, dall’École française de Rome,
l’Università di Roma 2 «Tor Vergata» e l’Institutum Romanum
Finlandiae

L’onomastica dell’Italia antica : aspetti linguistici, storici, culturali,


tipologici e classificatori / a cura di Paolo Poccetti
Rome : École française de Rome, 2009
(Collection de l’École française de Rome, ISSN 0223-5099; 413)
ISBN 978-2-7283-0799-9 (br.)
1. Onomastique - - Italie - - Antiquité - - Congrès 2. Italien (langue) - -
Étymologie - - Noms - - Congrès I. Poccetti, Paolo

CIP – Bibliothèque de l’École française de Rome

 - École française de Rome - 2009


ISSN 0223-5099
ISBN 978-2-7283-0799-9

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PAOLO POCCETTI

INTRODUZIONE

In un clima scientifico in cui la ricerca è sempre più mirata a


concentrarsi verso temi specifici e ad orientarsi in senso sempre più
specialistico proporre per un congresso un tema di così ampio respi-
ro come l’onomastica dell’Italia antica nell’ampiezza dei suoi ambiti,
delle sue pertinenze linguistiche, delle sue interconnessioni e dei
suoi sviluppi diacronici può apparire un atto di sfida o di provoca-
zione o di reazione. In realtà, l’idea della realizzazione dell’incontro
scientifico, svoltosi a Roma dal 13 al 16 novembre 2002, di cui qui si
raccolgono gli atti, è scaturita proprio dalla consapevolezza della
settorialità e della specializzazione alla quale ormai anche l’onoma-
stica di uno spazio geografico e cronologico relativamente ristretto,
quale appunto è l’Italia antica, è assoggettata. In questo quadro la
formula del convegno è stata dettata dall’esigenza di un confronto di
metodi, di approcci, di competenze diverse tra quanti all’inizio del
XXI secolo si sono occupati di temi legati all’onomastica dell’Italia
preromana e romana, temi, che si intrecciano e confluiscono inevi-
tabilmente nel mondo romano e nel patrimonio linguistico della la-
tinità.
Tale confronto, che è alla base stessa della proposizione del te-
ma dell’incontro scientifico, di cui qui si raccolgono gli atti, è matu-
rato prima in clima di contatti e di collaborazione a livello interna-
zionale : a questo contesto si devono il suo concepimento, la formu-
lazione e la sua organizzazione. Infatti, anche sul piano concreto il
convegno è stato realizzato con la sinergia internazionale di tre
istituzioni presenti a Roma, l’Università di Roma 2 «Tor Vergata»,
l’École française de Rome e l’Institutum Romanum Finlandiae, le
quali hanno generosamente messo a disposizione le rispettive sedi e
le risorse finanziarie per lo svolgimento dei lavori. Ed è a queste
istituzioni che, per le suddette ragioni, va espressa la gratitudine
più profonda.
Invece, per quanto riguarda l’impegno personale sul piano or-
ganizzativo e per lo svolgimento sereno dei lavori occorre tributare
un riconoscimento particolare a Francesca Dragotto (per l’Universi-
tà di Roma 2 «Tor Vergata») e a Stéphane Verger e a Véronique
Sejournet (per l’École française de Rome). Naturalmente è a tutti
coloro che hanno partecipato al convegno ed hanno inviato il loro

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2 PAOLO POCCETTI

testo per la pubblicazione che va il merito sostanziale della riuscita


dell’iniziativa e della validità scientifica degli atti che si commenta
da sé.
Il congresso è stato concepito in una dimensione marcatamente
interdisciplinare, avendo riunito linguisti – per la maggior parte, da-
to che, per ovvie ragioni, la linguistica è l’ambito di ricaduta prima-
ria dell’onomastica – ma anche storici, filologi, epigrafisti di ambiti
diversi e, più in generale, antichisti.
Per riunire competenze ed interessi così diversi non si poteva
che ricorrere al comune denominatore di un titolo generico, all’in-
terno del quale sono stati ricavati percorsi tematici, nei quali ap-
punto sono stati associati esperti di discipline diverse oppure, vice-
versa, specialisti della stessa disciplina sono stati assegnati a sezio-
ni diverse in ragione del taglio o dell’oggetto del loro contributo.
Pertanto la distribuzione tematica del presente volume rispecchia
fedelmente quella delineata al momento dello svolgimento del con-
vegno stesso.
La diversità delle competenze e degli approcci ha fornito spunti
e stimoli interessanti non solo in sede di discussione delle singole re-
lazioni (discussione della quale per ragioni tecniche non è stato pos-
sibile raccogliere i testi), ma anche per le suggestioni e l’orientamen-
to delle ricerche future.
Infine, non è inopportuno ricordare che uno dei risultati più
fruttuosi dell’impulso dato dal convegno è stata la collaborazione
italo-francese nella realizzazione periodica di incontri più ristretti,
dedicati a temi specifici dell’onomastica dell’Italia antica. Due di
questi incontri si sono nel frattempo già svolti presso l’Università di
Lyon 2 : di questi sono in corso di stampa gli atti.
Il presente volume che raccoglie gli atti del congresso di cui reca
il titolo esce con un ritardo più lungo del consueto rispetto alla data
di svolgimento del congresso medesimo. Chi scrive ne ha la respon-
sabilità primaria, forse, in parte, attenuata, oltre che da esigenze tec-
niche, dalla volontà pervicace di attendere l’invio del testo da parte
di tutti coloro che si erano iscritti a parlare, nella convinzione che
l’apporto prezioso di ciascuno – nelle proprie competenze e nel pro-
prio taglio metodico – non poteva mancare nel compimento finale e
nella memoria del congresso.
Credo di interpretare il sentimento comune di tutti i partecipan-
ti nel dedicare questi atti a due figure di studiosi che hanno consa-
crato larga parte della loro attività scientifica all’onomastica del-
l’Italia antica. La prima dedica è purtroppo alla memoria, quella di
Helmut Rix, al quale le more – già allora troppo lunghe – di stampa
hanno impedito di vedere la pubblicazione del volume, essendo de-
ceduto il 6 dicembre del 2004. L’altra figura di studioso, a cui è caro
dedicare il volume, è Jürgen Untermann, il quale, pur essendo stato

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INTRODUZIONE 3

impedito dalle sue condizioni di salute di partecipare al congresso,


ha inviato ugualmente il testo del suo intervento di cui è stata data
lettura ed ha successivamente acconsentito alla pubblicazione, così
come era stato redatto, nell’impossibilità di curare una redazione
definitiva.

Paolo POCCETTI

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MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

NOTE DI TOPONOMASTICA
DEGLI INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA*

Per le loro nuove basi d’occidente i Fenici hanno scelto postazio-


ni del tipo già sperimentato in oriente, con poche eccezioni1. Anche
per i nomi hanno spesso attinto alla loro lingua. I nuovi abitati a vol-
te prendono il nome dal paesaggio (un capo, un’isola contrassegnate
da elementi specifici), a volte invece lo derivano da caratteristiche
della nuova costruzione o dal rapporto rispetto a un centro prece-
dente : si hanno così toponimi come «cinta muraria/fortificazione»
(GDR), «città nuova» (QRTHDŠT) o «luogo nuovo» (MQMHDŠ).
La prima serie di nomi ha ˙ origine dall’impressione che le˙ nuove
terre esplorate fanno sui navigatori : la vegetazione, gli animali tipi-
ci di un’isola possono offrire – per motivi di vario tipo – la designa-
zione all’insediamento 2, così anche il promontorio dove ci si stabili-
sce, magari dedicato a un dio protettore.
In varie regioni del Mediterraneo, tuttavia, gli abitanti della co-
stiera Canaan, non trovano terre incolte, ma culture sviluppate e
genti con lunghe tradizioni di vita associata. Così i nuovi venuti pos-
sono adottare toponimi locali; altrimenti i nomi nuovi si possono
giustapporre a quelli locali (in alcuni casi traducendone il significa-
to nella propria lingua), o possono assumere suffissi «locali» (v. in
seguito) 3.

La toponomastica degli insediamenti fenici d’occidente non è


stata oggetto di studi approfonditi d’insieme; esistono tuttavia due
lavori di base di carattere classificatorio ad opera di M. Sznycer 4 ed

* Su questi argomenti ho discusso e scambiato pareri con Sergio Frau. Glie-


ne sono molto grata così come lo ringrazio per aver riletto l’intero testo.
1
Il caso di Malta, dove la città fenicia principale era situata al centro del-
l’isola (attuale Rabat) è particolare, almeno in base alle nostre conoscenze attua-
li; cf. Ciasca 1982, p. 132-154.
2
Cf. in proposito le osservazioni di Poccetti 1996, p. 47-48.
3
Cf. Poccetti 1996, p. 54. Per alcuni esempi nella toponomastica sarda, al di
fuori del problema della colonizzazione fenicia, cf. anche ad es. Blasco Ferrer
1993, p. 180-181.
4
Sznycer 1977, p. 163-175.

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8 MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

E. Lipiński 5. I due studiosi sono concordi nell’indicare come perti-


nenti alla lingua fenicia i nomi composti con vocaboli che indichino
un’«isola» (}Y); un promontorio (R}Š); un «luogo» (MQM); una
«città» (QRT). Invece, l’origine di altri nomi di luogo citati in iscri-
zioni e legende di monete o nelle fonti letterarie antiche (opere geo-
grafiche, peripli, ecc.) è discussa e non sempre assicurata.

In questa esposizione sono esaminati i toponimi di pertinenza


linguistica semitica nord-occidentale attestati dalle iscrizioni e le-
gende di monete fenicie e puniche che provengono dalla Sardegna e
dalla Sicilia; si lasciano perciò da parte i problemi che riguardano i
nomi TRŠŠ e ŠRDN attestati sulla stele di Nora (CIS I 144 =
KAI 46) 6. Sono inoltre citati toponimi formati con macom- come
primo elemento, attestati dalle fonti o tuttora esistenti. L’incompe-
tenza specifica non mi permette se non di elencare alcuni nomi di
origine non semitica presenti in iscrizioni, affrontando eventual-
mente qualche problema particolare.
Come osservazione generale, ricordo che i toponimi fenici sono
a volte resi tal quali in greco e in latino, a volte sono tradotti (i due
sistemi si verificano per l’isola di S. Pietro; v. sotto), a volte al nome
fenicio ne corrisponde un altro usato in greco e in latino che appare
del tutto diverso. Il significato da attribuire a queste differenze nel
nominare un medesimo sito non è sempre evidente.

1. «Isola» e «Capo»

a) }Y «isola». I nomi composti con }Y «isola» e R}Š «capo», pro-


montorio» sono del tutto comuni e sono – come è stato mostrato
nell’ambito della toponomastica greca – legati alla navigazione 7. Si
trovano in tutta l’ampia regione dove si sono stabilite colonie feni-
cie; non sono invece caratteristici della toponomastica dell’area
orientale; solo il sostantivo R}Š «capo» è usato, come dovunque, in
funzione di elemento toponomastico 8.
Nei nomi di luogo formati con }Y «isola», questo sostantivo si
trova sempre (come è naturale) al primo posto ed è seguito da un
complemento di specificazione generalmente al plurale. L’esempio
più caratteristico è il nome }YNSM, presente su un’iscrizione da Ca-
˙

5
Lipiński 1992, s.v. Toponymie, p. 465-466 (Sources phéniciennes).
6
Ultime trattazioni : Ahlström 1991, p. 41-50; Zuckermann 1991, p. 269-302;
Shea 1991, p. 241-245; Frendo 1996-1997, p. 8-11.
7
Cf. in particolare Poccetti 1996, p. 37-73.
8
Lipiński 1992, s.v. Baal-râsh/rôsh, p. 60, con citazione di Lipiński 1971;
Elayi 1981, p. 331-341.

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INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA 9

gliari (KAI 64 = ICO Sard. 23) e più volte analizzato. Corrisponde al-
l’attuale «Isola di S. Pietro» nella Sardegna di Sud-Ovest e significa
«isola degli sparvieri»; il toponimo è trascritto come Enosim da Pli-
nio (Nat. Hist. III, 7, 84), mentre è tradotto alla lettera da Tolomeo
come Hierakōn nēsos (III, 3), mostrando così che il suo significato
era ben chiaro ancora al tempo del geografo. Ciò dimostra un con-
tatto saldamente stabilito tra elemento greco ed elemento fenicio, al-
meno per quanto concerne questo insediamento e almeno dal perio-
do ellenistico.
È formato sullo stesso schema }YRNM, il nome fenicio – di si-
gnificato discusso – dell’attuale Pantelleria, chiamata in greco Cos-
sura. }YRNM ci è tramandato da legende di monete 9 dell’isola non
precedenti il III secolo a.C. ; inoltre, dall’iscrizione CIS I, 265, una
dedica dal tofet di Cartagine (III-prima metà II secolo a.C.) dove il
dedicante «appartiene al ‘popolo’ di YRNM» [sic! grafia tarda]10).
Mentre l’elemento }Y significa certo «isola», sul significato del
complemento di specificazione non c’è piena concordia. M. Sznycer,
in base a un passo di Giobbe, dove si tratta di renānı̄m (39 : 13)11,
suppone che il nome significhi «isola degli struzzi»; tuttavia è diffi-
cile pensare che a Pantelleria vivessero questi uccelli, tanto da carat-
terizzarla. In maniera più verosimile, G. Levi Della Vida ha suppo-
sto che questi RNM di Pantelleria fossero degli uccelli «starnazzato-
ri»12, in base al significato della radice ebraica RNH/RNN.
b) «Inarim» (= Aenaria = Pithekoussa) è in rapporto con un no-
me semitico? Accenno qui brevemente – perché si è proposto un le-
game possibile tra Inarim/Aenaria/Pithekoussa e un toponimo o gen-
ti semitiche nord-occidentali – all’intricata questione del nome anti-
co di Ischia13, «isola delle scimmie» («isola dei pithoi» secondo Plin.
Nat. Hist. III, 6, 8)14, sulla base anche di un eventuale nome etrusco
arimos che, secondo alcune glosse, avrebbe designato appunto le
scimmie15. Le due varianti del nome latino, Inarim e Aenaria, sono
state poi connesse, secondo punti di vista diversi, con l’Oriente semi-
tico : Inarim, usato in fonti poetiche, è messo in rapporto con l’even-
tuale localizzazione ad Ischia del paese degli Arimoi citato da Omero
(Iliade II, 783) e da Esiodo (Teogonia, 304-305), genti che – a loro

9
Cf. Manfredi 1995, p. 108-109; 205; 326.
10
Sulla caduta di alef, cf. Friedrich – Röllig – Amadasi Guzzo 1999, § 29b, d.
11
Cf. Sznycer 1977, p. 173.
12
Levi Della Vida 1963, p. 467, nota 8; cf. anche Manfredi 1995, p. 108.
13
Cf., da ultimo, Poccetti 1996, p. 55 (con bibliografia precedente), inoltre,
in particolare, il lavoro dello stesso Poccetti 1995.
14
Cito di nuovo i lavori fondamentali : Bonfante 1992, p. 283-284. Peruzzi
1992, p. 115-126; Gras 1994, p. 127-133.
15
Strabone XIII, 4, 6; Servio, Aen. IX, 712; Esichio, s.v. (v. Gras 1994, p. 128
e nota 10).

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10 MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

volta – rifletterebbero il nome degli Aramei, a ricordo di un’antica


loro presenza in Occidente, in modo specifico a Pithekoussa16.
Il nome Inarim, d’altra parte, potrebbe essere formato – secondo
quanto proposto da P. Poccetti – dall’elemento fenicio }Y «isola», se-
guito da un sostantivo plurale, sempre fenicio : teoricamente la spie-
gazione proposta non è inverosimile, anche se le radici N{R o NWR
che – seguendo la spiegazione di P. Poccetti – sarebbero eventual-
mente alla base del secondo elemento di Inarim, non sono presenti
in nomi di luogo a me noti di quest’area linguistica.
Alla discussione si aggiunge qui ora un ulteriore nome di isola,
che mostra, a mio parere, come sia delicata la ricostruzione etimolo-
gica della toponomastica, quando non si basi su raffronti sicuri e su
eventuali serie. Una dedica dal tofet di Constantine (Algeria; secolo
II a.C. circa)17 contiene il toponimo di }Y{RM, probabilmente «isola
degli {RM» (da pronunciare press’a poco ı̄/ēarı̄m), luogo di prove-
nienza del dedicante (detto «uomo di Canaan MQRML, cittadino di
}Y{RM»)18. Il toponimo, non si può – almeno per ora – attribuire con
sicurezza ad alcuna «isola» del Mediterraneo, né si può precisare il
significato del secondo elemento che lo compone19.
L’assonanza di }Y{RM con un’isola degli Arimoi è evidente, così
come è immediata la tentazione di riconoscere in quest’isola la pos-
sibile equivalente della Pithekoussa di Tunisia 20, «isola delle scim-
mie», sulla base delle glosse sopra citate 21 (ed eventualmente «degli
Arimoi»), così nominata da navigatori euboici per la presenza – qui
– di questi animali, che avrebbero, poi, fornito il nome anche alla Pi-
thekoussa campana. Ma l’accostamento, a mio parere, si deve esclu-

16
Su tutto il problema, cf. Poccetti 1995, p. 79-103 (sul nome «etrusco»,
p. 84-85).
17
Berthier – Charlier 1955, no 102, l. 5 = KAI 116. Cf. forse anche, con caduta
di alef e {ain, YRM in Berthier – Charlier 1955, no 113, 1 : il dedicante è B{L YRM
«cittadino di YRM».
18
Nel commento di Berthier – Charlier 1955, p. 84 si osserva che MQRML
deve essere formato dalla preposizione MN che indica la provenienza seguita da
un nome geografico. }Y{RM è messo in via di ipotesi in rapporto con il vocabolo
ebraico che significa «foresta», y{r (}Y{RM sarebbe «mis pour Y{RM»).
19
Cf. la nota 18 e Krahmalkov 2000, p. 212, s.v. Y{R I, che interpreta il nome
come «isola degli alberi, delle foreste» (}y+y{RM . }y{RM).
20
Pseudo Scilace descrive : «Dopo Utica si trova il promontorio Ippo e la cit-
tà omonima e presso la città c’è una palude e nella palude delle isole, e sulla costa
(e nelle isole) queste città : ... Pitecusa con un porto e dirimpetto ancora un’isola
e sull’isola la città di Eubea». Pitecussa sarebbe attualmente situata a Tabarka
(Tunisia), non quindi su un’isola (il testo di Scilace mi sembra tuttavia ambiguo),
mentre Euboia viene identificata con un’isoletta di fronte a Tabarka; cf. Pseudo-
Scilace 111, in Cordano 1992, p. 56.
21
Il nome sarebbe stranamente quello etrusco. Il nome delle «scimmie», non
noto in fenicio, è qōp in ebraico.

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INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA 11

dere, così come – secondo l’ulteriore interpretazione cui si è accen-


nato sopra – un eventuale rapporto con gli Aramei 22.
In conclusione, mi sembra che il nome di Pithekoussa (lascian-
do da parte la questione del suo significato) non si possa legittima-
mente connettere né con un toponimo fenicio, né con una, pur vero-
simile, frequentazione del Mediterraneo di occidente da parte di in-
dividui di lingua aramaica.

c) R}Š «capo». Come per }Y-, anche i nomi di luogo formati con
R}Š «capo» sono seguiti da un complemento di specificazione di va-
rio tipo. L’unico toponimo eventuale formato da questo sostantivo è
R(})ŠMLQRT, noto da una serie di monete in argento dalla Sicilia e
da due dediche cartaginesi (CIS I, 264 e CIS I 3707), nelle quali i de-
dicanti si dicono «appartenenti al ‘popolo’ di Rōšmelqart» (}Š B{M
R}ŠMLQRT). Sulle monete R}Š è scritto spesso senza alef, una pro-
va, non la più antica, della caduta abbastanza precoce di questa la-
ringale nella pronuncia (v. nota 10). Non è il caso di riferire ancora
sul dibattito che vede opporre ai sostenitori (generalmente numi-
smatici) di una spiegazione di R(})ŠMLQRT come il nome di una
zecca cartaginese 23, a quelli che riferiscono l’espressione a un topo-
nimo di Sicilia, identificato con varie località, tra le quali, più di re-
cente, sembra prevalere Selinunte 24. Da parte mia, ho sempre soste-
nuto l’interpretazione toponomastica : di recente tuttavia, le consi-
derazioni numismatiche di L. Mildenberg, mi hanno indotto a
riconsiderare il problema e a domandarmi se – sulle monete – il so-
stantivo R(})Š «capo» non possa designare uno specifico «corpo» di
truppe scelte, che avrebbe preso il nome dal dio Melqart (l’espressio-
ne potrebbe tradursi «corpo (= compagnia o simili) di Melqart» 25.

2. «Luogo» e «Città»

a) MQM «luogo». I toponimi formati su MQM «luogo» non


hanno alcuna attestazione epigrafica in Italia. Se ne hanno invece
varie testimonianze letterarie : in Sardegna vi sono quattro località
chiamate Macomades o Magomadas 26 ; lo stesso nome è attribuito a

22
Il paese di Aram (}RM) darebbe l’etnico Aramı̄ (}RMY; enfatico. }RMY}).
Inarim o Aenaria non possono cosi essere legati al nome «indigeno» degli Ara-
mei. Sulla ridimensionata presenza a Ischia di viaggiatori dalla Siria del Nord v.
Boardman 1994, p. 95-100.
23
Cf. Mildenberg 1993, p. 7-8; Mildenberg 1996, p. 259-272; Manfredi 1995,
p. 114-118.
24
Cf. Cutroni Tusa 1995, p. 235-239; inoltre Amadasi Guzzo 1997, p. 81-85.
25
Cf. Hoftijzer – Jongeling 1995, p. 1044, s. v. r}s1, n. 4 (moabitico).
26
Cf. Zucca 1985, p. 185-195; Garbini 1992, p. 181-187.

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12 MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

tre insediamenti del Nord-Africa 27. È un chiaro sviluppo del fenicio


MQMHDŠ, che vuol dire letteralmente «luogo nuovo».
˙
Anche in questo caso, si tratta di un nome di luogo non usato (a
quanto consta finora) nell’oriente fenicio – e più in generale nel se-
mitico di Nord-Ovest. G. Garbini ha supposto, con ragione, che il
termine MQM abbia qui un significato più ristretto o specifico ri-
spetto al generico «luogo». Sulla base di precedenti osservazioni, ha
proposto che, nella toponomastica, maqōm designi la «piazza» e più
esattamente la «piazza del mercato» 28. Questi «luoghi nuovi» – in
Sardegna – sorgono tutti in corrispondenza di insediamenti nuragici
preesistenti e in regioni che non corrispondono a quelle tradizionali
della «colonizzazione». Presentano resti di frequentazione cartagi-
nese che risale almeno al V/IV secolo a.C. e sarebbero quindi «mer-
cati nuovi» apertisi al commercio punico. Ma come si svolgeva que-
sto commercio? Chi ne erano gli interlocutori, quali i prodotti scam-
biati?
Mi sembrerebbe possibile supporre una maggior antichità origi-
naria di questi così detti «mercati nuovi» forse non rispetto a Carta-
gine. Si tratterebbe, come mostrano alcuni scavi in altri siti, di pre-
coci luoghi di scambio tra mercanti fenici e centri indigeni ancora/di
nuovo vitali 29. La combinazione del termine macom- con suffissi lo-
cali (Macomer attuale corrisponde a un precedente Macopsisa, il cui
secondo elemento non è fenicio) indica comunque un sovrapporsi di
due «etnie» 30 e quindi una «commistione» abbastanza profonda, e
perciò forse antica, i cui modi di funzionamento e le cui cause sono
ora uno dei problemi che la ricerca sta affrontando 31.

b) QRT «città». Il nome QRT «città» è usato per formare un uni-


co toponimo : si tratta di QRTHDŠT «città nuova». Il vocabolo è ap-
˙

Fora 1991, p. 221-228.


27

Tuttavia la piazza del mercato, cioè il foro, si chiama a Leptis Magna (cf;
28

Levi Della Vida – Amadasi Guzzo 1987, n. 26 (31), 2, p. 63) MHZ, un termine che
˙
è usato una volta in ebraico con il senso di «porto», che significa già «porto» in
ugaritico, e che invece, più tardi, in aramaico medio, significa «città», piazzafor-
te, «luogo di commercio». J. Teixidor ha proposto che questo stesso termine pos-
sa designare in origine, almeno in occidente, un tipo di insediamento paragona-
bile all’emporio greco. Non sappiamo peraltro se il concetto di emporio esistesse
in ambito fenicio.
29
Cf. quanto notato da Lo Schiavo 1997 (introduzione alla mostra, senza
n. di pagina); cf. inoltre, per un insediamento con sbocco sul mare, Bafico – Og-
giano – Ridgway – Garbini 1997, p. 45-53. Il più importante nuraghe della zona, il
Nuraghe Palmavera, sembra aver cessato di essere attivo nell’VIII secolo a.C.
(ibid., 45). Il nuraghe di S. Imbenia sembra aver avuto, invece, da questo periodo,
una funzione di emporion.
30
Oltre alla nota 3, cf. Swiggers 1989, p. 25-36 (soprattutto p. 32).
31
Solo a titolo di esempio, cf. Basoli 1997, p. 66-69; Maddau 1997, p. 70-75.

.
INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA 13

plicato non solo alla più famosa Cartagine, la capitale africana, ma,
almeno dall’VIII secolo, a una città di Cipro (Limassol o Kition), ret-
ta da un governatore (SKN) di «Hiram re di Sidone» (CIS I 5 =
KAI 31), e, verosimilmente, ad almeno una città della Sardegna (ol-
tre alla Cartagena di Spagna).
In Sardegna QRTHDŠT è nominata su due iscrizioni, una da Ol-
bia (KAI 68 = ICO Sard. ˙ 34), l’altra da Tharros (ICO Sard. 32).
A quale centro spettasse il nome di Cartagine è una questione
aperta. A Olbia, nonostante una lacuna che precede l’espressione do-
ve è nominata QRTHDŠT, mi sembra verosimile che il dedicante
˙
fosse designato dall’espressione }Š B{M QRTHDŠT «che appartiene
al popolo, cioè alla cittadinanza, di Cartagine» ˙ 32 : si tratta di uno
straniero rispetto a Olbia, che dunque si chiamava diversamente 33.
Nell’iscrizione di Tharros, invece, la città nuova è nominata nella
formula di datazione, che ricorda i sufeti : «essendo sufeti in
QRTHDŠT X e Y». Tharros – che è il nome della città sul Capo
˙
S. Marco usato in iscrizioni latine, da autori classici e, infine, da
geografi antichi 34 – poteva quindi, nel III secolo a.C., chiamarsi Car-
tagine. Contro questa interpretazione, già sostenuta da G. Chiera 35,
E. Lipiński 36 ha contrapposto l’ipotesi che la datazione sopra citata
fosse effettuata riferendosi all’anno dei sufeti della capitale africa-
na : non ci sarebbe stato altrimenti bisogno di specificare che questi
magistrati erano in QRTHDŠT. Un confronto per la formula nota a
Tharros proviene, come già ˙ osservato 37, da Leptis Magna, dove l’uni-
ca iscrizione punica pervenuta ha la formula «essendo sufeti in Lep-
ci» (ŠPTM B}LPQY) 38. Proprio dalla Sardegna, inoltre – da Sulci –
proviene˙ una coppa in argento iscritta, che si conclude, ancora una
volta, con una formula di datazione : «essendo sufeti in Sulci»
(ŠPTM BSLKY) 39. La formula dell’iscrizione tharrense si può dun-
que,˙ con buona probabilità, applicare al centro dove il testo è stato
inciso, cioè alla città che ora chiamiamo Tharros.

32
Cf. Amadasi Guzzo 1992, p. 441. Diverse sono le integrazioni proposte da
Lipiński 1989, p. 67-73.
33
Per un’identificazione Olbia = QRTHDŠT cf. Chiera 1983, p. 177-181.
QRTHDŠT dell’iscrizione è invece da identificare ˙ con la città africana secondo
˙
Lipiński 1989, p. 67-73
34
Le attestazioni del toponimo Tharros (nelle varie ortografie) – il cui nume-
ro sempre plurale è sottolineato – e dell’aggettivo «tarrense» sono citate da Zucca
1984, p. 31-32; v. in particolare : Sall, Hist. II, 12, Ptol. III, 3, 2; Rav. IV, 411. (o V,
26), It. Ant. 84; CIL X, 7591, 8009.
35
Chiera 1982, p. 197-202.
36
Lipiński 1989, p. 67-73.
37
Amadasi Guzzo 1992, p. 444-445 : anche a Cartagine si poteva datare
usando la formula «essendo sufeti a Cartagine» (CIS I, 5632, l. 3).
38
Levi Della Vida – Amadasi Guzzo 1987, n. 31 [37], p. 74 (II secolo a.C.).
39
Garbini, in Bartoloni – Garbini 1999, p. 82-91.

.
14 MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

Accettando l’ipotesi che nel III secolo a.C. questo abitato venisse
designato come QRTHDŠT, rimangono aperte altre due questioni. A
Sud di Tharros, sul ˙ golfo di Oristano, l’antico insediamento di
S. Maria de Nabui sembra aver conservato l’antico nome di Neapo-
lis 40, considerato come la possibile trasposizione greca di un origina-
rio QRTHDŠT 41. Vi erano allora forse due QRTHDŠT in Sardegna?
A questa ˙domanda non so rispondere, se non supponendo˙ uno slitta-
mento del nome antico verso Sud. In secondo luogo, come mai la
città detta Tharros (con varie ortografie) in età romana e poi tar-
doantica. è stata chiamata, in precedenza, con un nome del tutto di-
verso? è stata forse (in parte?) in periodo ancora punico rinnovata e
per questo chiamata «città nuova»?
c) QRTHDŠT e SR. La questione dell’identificazione Tharros =
QRTHDŠT induce˙ ˙ domanda di quale fosse il nome originario
alla
˙
del centro fenicio. A Tharros, sulla base della testimonianza di un’i-
scrizione, vi era un importante santuario del dio Melqart che riceve
l’appellativo di MLQRT {L SR «Melqart su SR/Tiro (?)» 42 ; lo stesso
˙
titolo il dio lo riceve in un’iscrizione ˙
da Cagliari 43
e su una lamina
di bronzo iscritta da Antas : nessuno dei tre documenti precede il
44

IV secolo. Il titolo che ha Melqart, {al hassūr, non trova ora un con-
˙ ˙ SR potrebbe intendersi
fronto in un’iscrizione da Ibiza 45. Il termine
come un nome comune «roccia» e il dio sarebbe ˙ chiamato «Mel-
qart che è sulla roccia», come pensa G. Garbini 46. Può essere, altri-
menti, un vero e proprio toponimo.
SR, nell’espressione analizzata qui, è sempre preceduto dall’arti-
colo,˙ il che farebbe ritenere che il vocabolo sia un nome comune.
Toponimi con l’articolo sono peraltro ben documentati in fenicio,
specialmente se provvisti di un significato, e sono presenti in Sarde-

40
Datole forse non in contrapposizione a Othoca (che potrebbe significare
«(città) vecchia»), ma in opposizione all’antico centro nuragico qui ora docu-
mentato; cf. Zucca 1997, p. 131-135.
41
Amadasi Guzzo 1968, p. 19-21. In seguito v. ad es. Zucca 1987; Moscati –
Zucca 1989.
42
ICO Sard. 32, linea 1 e Amadasi Guzzo 1992 a, p. 205-214. L’iscrizione, rot-
ta in alto a sinistra, non è stata letta completamente; vi si menzionano importanti
lavori di costruzione dedicati a questo dio.
43
Amadasi Guzzo 2002, p. 173-179.
44
Garbini 1997, p. 65 (Antas no 25).
45
Su due cippi bilingui considerati maltesi Melqart è detto B{L SR «Signore
˙
di Tiro» (cf. ICO Malta 1 e 1 bis; da ultime, con la storia del ritrovamento,
M. G. Amadasi Guzzo – M. P. Rossignani, in Amadasi Guzzo – Liverani – Mat-
thiae 2002, p. 20; altrimenti BSR «in Tiro», su uno scarabeo del V-IV secolo a.C.;
cf. da ultimi, Avigad – Sass 1997,˙ p. 268, n. 719 (con lettura MLQ/RT RSP) e bi-
bliografia precedente. Per l’iscrizione da Ibiza, v. Amadasi Guzzo 2007 ˙(con bi-
bliografia precedente).
46
Cit. alla nota 44.

.
INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA 15

gna in iscrizioni puniche davanti ai nomi di Cagliari e Sulci 47. L’ipo-


tesi di un nome di luogo rimane quindi possibile. Data l’importanza
dell’iscrizione dedicatoria di Tharros, che fa concludere per l’esi-
stenza proprio qui di un grande santuario di Melqart (ad Antas inve-
ce il santuario principale doveva essere dedicato a Sid; Cagliari, in
iscrizioni puniche ha il nome di KRL}/Y, v. sotto), sembra possibile
che il nome SR fosse originariamente attribuito a questo luogo sa-
cro. Il culto di˙ Melqart su SR, MLQRT {L HSR, si sarebbe da qui dif-
fuso altrove in Sardegna e˙ a Ibiza (così come ˙ il culto di Astarte di
Erice, {ŠTRT }RK, si diffonde altrove, ed è ad esempio, attestato a
Cagliari, v. sotto).
Se è vero che SR indicava una parte dell’insediamento di Thar-
ros, si deve ricordare˙ l’etimologia che di Tharros aveva proposto
M. L. Wagner 48 e che di recente è stata rimessa in evidenza da
S. Frau 49 : il nome deriverebbe da Sūr (SR), lo stesso nome di Tiro
del Libano, che è chiamata in alcuni˙ esempi˙ latini Sarra, mentre l’et-
nico «tirio» è Sarranus (esistono anche però i toponimi Tyros e Ty-
rus e l’etnico Tyrius). La resa della sibilante, talvolta con s, talaltra
con t (ts o z) sembra un indizio della pronuncia affricata (che in Tiro
¯ ¯ da una t originaria 50).
proviene
˙¯ la differenza nella vocalizzazione tra Sūr e Thar-
Soprattutto per
˙
ros, J. Friedrich aveva rivolto obiezioni all’equivalenza Tharros = Ti-
ro, mentre altri studiosi hanno messo in rapporto il toponimo di
Sardegna con un’area linguistica non semitica e hanno attribuito il
nome Tharros (e simili individuati in Sardegna stessa e in altre aree
geografiche) a uno strato linguistico genericamente chiamato «me-
diterraneo» 51. L’etimologia di Wagner rimane quindi incerta.
Se Tharros non deriva da SR, ma è un toponimo «locale» già ai
tempi degli insediamenti fenici˙ dell’età del Ferro, si deve spiegare la
ragione dell’epiteto {L HSR dato al dio Melqart di Tharros. In questo
˙
caso – scartando un significato generico di «roccia» – mi sembra
possibile supporre che un primo centro fenicio di nome SR si sia im-
piantato accanto ad un insediamento indigeno forse già ˙ chiamato
Tharros (o simili) e che qui i primi coloni abbiano fondato un san-
52

47
Cf. Friedrich – Röllig – Amadasi Guzzo 1999, § 297 I.
48
M. L. Wagner 1997, p. 154 e in maniera più dettagliata in Wagner 1954-55,
p. 79-82.
49
Frau 2002, 615-642.
50
Cf. Friedrich-Röllig-Amadasi Guzzo 1999, § 11, nota 4.
51
La questione è trattata in maniera rapida da Zucca 1984, p. 32, che conclu-
de «Il nome della città fenicia sarebbe derivato dal toponimo mediterraneo (sic!),
imposto dai Sardi al promontorio meridionale del Sinis».
52
R. Zucca indica due nuclei primitivi dell’insediamento fenicio, uno ad oc-
cidente della collina di S. Giovanni e l’altro sulla collina di Su Muru Mannu; cf.
Zucca 1997 a, p. 120.

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16 MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

tuario di Melqart (eventualmente posto su un’altura rocciosa). Que-


sto primo centro potrebbe essere stato rinnovato (con l’aggiunta di
un secondo nucleo?) chiamato QRTHDŠT «città nuova», mentre il
˙
sito del santuario del dio Melqart avrebbe conservato il nome primi-
tivo . In modo simile, il nome «locale» Tharros si sarebbe conserva-
53

to nell’uso comune e avrebbe prevalso (anche per la somiglianza con


il nome fenicio?) nelle fonti letterarie successive e nelle iscrizioni la-
tine. Il ricordo dell’insediamento almeno doppio si sarebbe forse
mantenuto nel numero plurale del toponimo, ricordato come tale da
fonti antiche 54.

3. «Carali», «Sulci», «Bitia»

In Sardegna, iscrizioni da Sulci e da Antas citano i nomi antichi


– non fenici – di Cagliari e S. Antioco (Sulci) nelle grafie (H/})
KRLY/} e (H)SLKY 55. L’uso dell’articolo davanti a tali nomi non si
spiega per ora sulla base di quanto ci è noto sulla determinazione in
fenicio 56. Come per Tharros, Sulci fenicia è affiancata da insedia-
menti nuragici. Per quanto, tuttavia, la ceramica lasci presumere
una certa coesistenza tra Fenici e abitanti locali, l’insediamento del-
l’VIII secolo a.C. appare sorto su un’area «priva si insediamenti indi-
geni tra l’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro» 57 ; una situazio-
ne simile è possibile per Cagliari, dove la città moderna ricopre in
buona parte i resti antichi.
Ricorre infine nell’iscrizione fenicia in assoluto più recente che
possediamo (II secolo d.C.; KAI 170) il nome BYT{N, corrispondente
all’odierna Bitia; è spiegato da E. Lipiński sulla base del semitico
Bı̄t- {ayn, «casa della sorgente» 58 ; l’ipotesi non sembra sicura : la se-
conda parte del toponimo, potrebbe essere un suffisso ed il nome,
ancora una volta, dovrebbe considerarsi non semitico. Anche l’inse-
diamento fenicio di Bitia è stato preceduto infatti da una lunga fase
di frequentazione, non più in atto – a quanto sappiamo – al momen-
to dello stanziamento dell’VIII secolo a.C. 59.

53
Già M. L. Uberti nella voce Tharros, in Lipiński 1992, p. 447-449 suppone
l’esistenza di due nuclei fenici.
54
Non ho le competenze per spiegare il latino Sarra e l’etnico Sarranus.
55
Per Antas, cf. Fantar 1969, n. I, 2, p. 51; n. II, 1, p. 61; n. III, 4, p. 65; il no-
me di Sulci è nell’iscrizione cit. a nota 39 e, sempre in Sardegna, in ICO Sard.
Np. 5, l. 2. Sul nome Caralis cf. di recente Swiggers 1989, p. 31, con la nota 19.
56
Cf. Friedrich-Röllig-Amadasi Guzzo 1999, § 297, 1.
57
Bernardini 1997, p. 59; cf. già Bernardini 1995, p. 193-201.
58
Lipiński 1992, s.v. Toponymie, p. 466 (questa etimologia è accettata anche
da G. Tore, ibid., s. v. Bitia, p. 73).
59
Cf. Bartoloni 1997, p. 82.

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INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA 17

4. «Motya»
Le legende monetali della Sicilia fanno conoscere alcuni toponi-
mi di attribuzione linguistica non sempre sicurissima e di interpre-
tazione spesso incerta.
L’insediamento di Mozia (che ha ripreso il suo nome antico –
volgarizzato – dopo essere stato chiamato S. Pantaleo), Motyh in
greco, è noto dalle legende di monete che si datano tra il 480 a.C. e il
413/397 a.C. 60. Esse presentano le seguenti grafie : MW}, }MTW,
}MTW}, HMTW} 61. ˙
˙ La discussione
˙ è tuttora viva sull’origine linguistica del nome.
La più antica spiegazione, lo considerava fenicio e gli attribuiva il si-
gnificato di «filanda» : si sarebbe trattato di un sostantivo a prefisso
M- (con significato locativo), di una radice TWY che vuol dire, tra
l’altro, «filare» 62. ˙
In seguito è prevalsa l’ipotesi, sostenuta in particolare da
M. Sznycer, che il nome non fosse fenicio, a causa dell’ortografia
che pareva contrastare con le regole note per la lingua di Tiro e Si-
done 63. Anche il significato del nome «filanda» non sembrava accor-
darsi con quello di un centro commerciale, dove certo esistevano fi-
lande, ma che non sembra caratterizzato in particolare da questo ti-
po di attività. Per questo M. Nenci ha avanzato una proposta
diversa, connettendo il nome con l’accadico. Il confronto con questa
lingua si è dimostrato però poco persuasivo 64.
La conoscenza più approfondita delle regole ortografiche del fe-
nicio d’occidente sembra dimostrare che la spiegazione grammati-
cale data fin dai tempi di P. Schröder è corretta : il toponimo appare
solo in un caso privo di H- o }- iniziale, da spiegare come l’articolo,
scritto di rado in maniera «corretta» (H), o, più frequentemente, se-
condo una grafia recente dovuta a indebolimento (o caduta della
consonante H). Ma, le monete di Mozia sono sembrate troppo anti-
che perché, nella grafia, }- potesse essersi già sostituita all’originaria
H-; per questa ragione si è pensato all’uso di queste due consonanti
per indicare la vocale iniziale di un nome non semitico.
L’articolo scritto } si trova però già su una stele iscritta della
stessa Mozia – nel vocabolo }MTNT, «il dono» 65 – databile tra la me-
tà e la fine del VI secolo; inoltre su una stele di Cartagine che si può
attribuire al 405 a.C. (CIS I, 5510) 66.

60
V. Amadasi Guzzo 2005.
61
Cf. Manfredi 1995, p. 347-351.
62
Cf. Schröder 1869, p. 135; RE XVI, 1933, p. 387, s.v. Motya
63
Sznycer 1977, p. 170.
64
Nenci 1993, p. 143-146.
65
Amadasi Guzzo 1986, n. 39, p. 41.
66
Cf. Krahmalkov 1974 (CIS I, 5510.9-11), p. 171-177.

.
18 MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

Anche la grafia con } finale è sembrata discordante rispetto al-


l’ortografia fenicia tradizionale che non annota le vocali. Ma, in que-
sto caso – come nel precedente – esempi di } finale come vocale ven-
gono dal fenicio sia d’oriente sia d’occidente : nelle due aree la con-
sonante è usata come vocale nella trascrizione di nomi propri
stranieri. In occidente è usata poi, regolarmente, per indicare una
vocale lunga in fine di parola (in particolare nel caso dei pronomi
suffissi vocalici) 67.
Il nome dell’insediamento doveva essere pronunciato originaria-
mente *Matway > *Matwē, per la contrazione dei dittonghi che ca-
ratterizza il˙ fenicio; quindi
˙ Motwē, con oscuramento di a dovuto alla
contiguità dell’enfatica t. Non ˙abbiamo in oriente esempi di verbi o
˙
nomi a prefisso M- di seconda radicale W e terza Y, per poter affer-
mare con certezza che la seconda consonante, in un verbo come
TWY, fosse davvero scritta. Non vi è tuttavia nessun indizio contra-
˙ Ancora una volta il punico tardo ci dà esempi del verbo «vive-
rio.
re», al perfetto semplice, hawō, «egli visse», scritto HW}< HWY (da
cui il latino ave «vivi! »). ˙ ˙ ˙
Il toponimo Motuē deve essere quindi un sostantivo fenicio, an-
che perché è isolato˙ nella toponomastica della regione siciliana. È
importante perché contribuisce a mostrare che tradizioni ortografi-
che diverse da quelle della lingua d’oriente, tradizioni che sono con-
siderate caratteristiche della lingua detta punica in una fase di svi-
luppo piuttosto tarda, sono in realtà già presenti al principio del V
secolo, se non già nel VI. Sul significato del nome di Mozia si può
invece tuttora discutere 68.

5. Palermo e Solunto
a) Palermo = SYS. Sempre le monete attestano che, molto vero-
similmente, il nome˙ fenicio
˙ di Palermo (Panormos) era SYS. Il topo-
nimo è inciso su monete in bronzo e in argento datate tra ˙ il
˙ 430 e la
fine del IV secolo a.C. In un solo caso è attestata la grafia senza Y,
cioè SS. Il significato del termine è ancora una volta dibattuto :
˙˙
un’etimologia fenicia soddisfacente non si riesce a trovare, né con-
fronti con altri toponimi di formazione analoga nel semitico di
Nord-Ovest. L’ipotesi dell’equivalenza di significato tra SYS e Panor-
˙ ˙
mos, proposta da L.-I. Manfredi, non sembra affatto dimostrata 69
. E,

Friedrich-Röllig-Amadasi Guzzo 1999, §§ 105, 113.


67

Lipiński 1992, s.v. Toponymie, p. 466 : «pourrait évoquer le mouillage


68

’couvert’ du côté de la haute mer par le cordon littoral, à supposer que le mot se
rattache à la même racine que l’arabe tawā».
69
Su questa e altre interpretazioni,˙ cf. Manfredi 1995, p. 112-113.

.
INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA 19

tuttavia, una formazione da una radice SYS, ben attestata in ebrai-


˙ ˙
co, sembra la traccia più verosimile da seguire 70
.

b) Solunto = KPR’. La Solunto fenicia e punica, sempre sulla


base delle legende di monete, si doveva chiamare KPR}. Il toponi-
mo è attestato su serie in bronzo e in argento datate tra il IV-
seconda metà del IV secolo a.C. 71. L’identificazione è sicura sulla
base di esemplari che hanno al dritto la legenda SOLONTINON e
al rovescio la legenda KPR}. Il termine è stato messo in rapporto
con un sostantivo che significa «villaggio», che è attestato però in
arabo e in aramaico, mai in fenicio. L.-I. Manfredi mette in con-
fronto il toponimo con il vocabolo aramaico, proprio – credo – per
la terminazione in –}, che è quella aramaica dello stato determina-
to. Una simile spiegazione sembra presentare qualche difficoltà :
prima tra tutte quella di immaginare la fondazione aramaica di un
insediamento che già Tucidide indica come originariamente feni-
cio (anche se è vero che il concetto di Fenici per i Greci era am-
pio). La radice KPR «coprire» e poi (all’intensivo) «espiare» è ben
attestata in ebraico; è perciò verosimile che esistesse anche in fe-
nicio. Ancora una volta, soprattutto in questo periodo ormai re-
cente, la ’ finale deve indicare una vocale lunga; se davvero il to-
ponimo è fenicio è possibile pensare a una terminazione -at del
femminile ridotta a -ā, e forse a -ō. Sul significato non sembra
prudente pronunciarsi. Per completezza soltanto si ricorda che
KPRT indica un oggetto dedicato in un’iscrizione di Umm el-
{Amed, dove la traduzione è incerta (si pensa a una statua di ani-
male, reale o fantastico).

6. Erice e Agrigento

a) }RK «Erice». In Sicilia, l’unico toponimo attestato in un’iscri-


zione fenicia monumentale è quello del centro elimo di Erice, scritto
}RK, presente su una dedica ad Astarte (ICO Sic. 1), incisa su una la-
stra di marmo, ora perduta, copiata a Erice nel XVII secolo. Esisto-
no poi monete del centro elimo, datate nel IV-III secolo a.C. con la
legenda }RK. Il nome è infine presente su un’iscrizione frammenta-
ria dalla Sardegna (Cagliari; ICO Sard. 19) e su due dediche cartagi-
nesi (CIS I 3776; 4910). Corrisponde al greco Erux e al latino Eryx ; è
un adattamento di un toponimo non semitico, nel quale manca, co-
me di regola nelle parole adattate alla lingua fenicia, la terminazione
del nominativo.

70
Cf. Manfredi 1992, p. 25-31.
71
Cf. Manfredi 1995, p. 111-112; p. 336-337.

.
20 MARIA GIULIA AMADASI GUZZO

b) }GRGNT = Agrigento? Sempre per la Sicilia un caso interes-


sante è quello della possibile presenza del toponimo Agrigento nell’i-
scrizione cartaginese CIS I 5510, 10. Secondo Ch. R. Krahmalkov 72 vi
sarebbe menzionata la presa di Agrigento, in una grafia – }GRGNT –
che non rifletterebbe il greco e che Ph. C. Schmitz considera l’adat-
tamento del toponimo originario non grecizzato 73. La spiegazione
del termine in chiave toponomastica non è stata generalmente ac-
colta con favore, ma mi sembra tuttavia la più convincente 74.
Se dunque i viaggiatori fenici chiamano con nomi presi dalla pro-
pria lingua varie delle loro «colonie» in occidente, un numero non
minore non appartiene al semitico di Nord-Ovest, ma è assegnabile a
famiglie linguistiche diverse; e tali nomi, del resto, erano molto pro-
babilmente già in uso al momento dell’arrivo dei nuovi abitanti. Le
conclusioni concrete di questa situazione, che è comune a tutte le
aree dove diverse popolazioni si sono incrociate, sono da valutare ca-
so per caso, come di volta in volta sono da interpretare le varie deno-
minazioni, «indigene», fenicie e greche/latine, di uno stesso sito. È
comunque evidente che, nonostante cesure negli sviluppi culturali di
determinate regioni – in un periodo che generalmente coincide con la
fine dell’età del Bronzo – la toponomastica non permette di constata-
re l’esistenza di una frattura netta tra culture locali e nuovi venuti al
momento della fondazione dei loro primi insediamenti.

Maria Giulia AMADASI GUZZO

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Ahlström 1991 = G. W. Ahlström, The Nora Inscription and Tarshish, in Maa-


rav 7, 1991, p. 41-50.
Amadasi Guzzo 1968 = M. G. Amadasi Guzzo, Neapolis = qrthdšt in Sarde-
gna?, in Rivista degli Studi Orientali 43, 1968, p. 19-21. ˙
Amadasi Guzzo 1986 = M. G. Amadasi Guzzo, Scavia Mozia. Le iscrizioni,
Roma, 1986.
Amadasi Guzzo 1992 = M. G. Amadasi Guzzo, Divertimento 1991. Ancora sul-
la Cartagine di Sardegna, in R. H. Tykot – T. K. Andrews (a cura di), Sar-
dinia in the Mediterranean : A Footprint in the Sea. Studies in Sardinian
Archaeology Presented to Miriam S. Balmuth, Sheffield, 1992, p. 439-
447.

72
Krahmalkov 1974, p. 171-177.
73
Schmitz 1994, p. 1-13.
74
Cf., contro, Garbini 1984, p. 24-25.

.
INSEDIAMENTI FENICI IN ITALIA 21

Amadasi Guzzo 1992 a = M. G. Amadasi Guzzo, Sulla dedica a Melqart di


Tharros e il toponimo QRTHDŠT, Atti del Convegno «L’Africa Romana»
9, Sassari, 1992, p. 523-532.˙
Amadasi Guzzo 1997 = M. G. Amadasi Guzzo, R}Š MLQRT, «les élus de Mel-
qart»?, in Antiquités Africaines 33, 1997 [Hommages à G. Souville I],
p. 81-85.
Amadasi Guzzo 2002 = M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizione punica a Cagliari,
in Quaderni della Soprintendenza archeologica per le province di Cagliari
e Oristano 19, 2002, p. 173-179.
Amadasi Guzzo 2005 = M. G. Amadasi Guzzo, Ancora sul nome di Mozia, in
A. Spanò Giammellaro (a cura di), Atti del V Congresso internazionale di
Studi fenici e punici, Palermo, 2005, p. 575-578.
Amadasi Guzzo 2007 = M. G. Amadasi Guzzo, Un’iscrizione punica da Ibiza,
in P. G. Borbone – A. Mengozzi – M. Tosco (a cura di), Loquentes lin-
guis. Studi linguistici e orientali in onore di F. A. Pennacchietti, Wiesba-
den, 2007, p. 13-20.
Amadasi Guzzo – Rossignani 2002 = M. G. Amadasi Guzzo – M. P. Rossi-
gnani, in M. G. Amadasi Guzzo – M. Liverani – P. Matthiae (a cura di),
Da Pyrgi a Mozia. Studi di archeologia mediterranea in memoria di
A. Ciasca, Roma, 2002, p. 5-28.
Avigad – Sass 1997 = N. Avigad – B. Sass, Corpus of the West-Semitic Stamp
Seals, Gerusalemme, 1997.
Bafico – Oggiano – Ridgway – Garbini 1997 = S. Bafico – I. Oggiano –
D. Ridgway – G. Garbini, Fenici e indigeni a Sant’Imbenia, in P. Bernar-
dini (a cura di), Phoinikes B-SHRDN : i Fenici in Sardegna. Nuove acqui-
sizioni, Oristano, 1997, p. 45-53.
Bartoloni 1997 = P. Bartoloni, L’insediamento fenicio-punico di Bitia, in
P. Bernardini (a cura di), Phoinikes B-SHRDN : i Fenici in Sardegna.
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.
CORINNE BONNET

OSSERVAZIONI COMPARATIVE
SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA
DELLA SICILIA E DELLA SARDEGNA

Se il concetto geografico di «Italia» e quello cronologico di «An-


tichità» sono stati posti al centro dell’attenzione dei partecipanti a
questo Convegno, conferendo al nostro incontro scientifico una so-
stanziale coerenza ed unità, sul piano linguistico è ovvio che tale
quadro obbliga a confrontarsi con una grande diversità, quindi con i
fenomeni di interazione culturale e linguistica.
Si intende qui trattare dell’onomastica personale fenicio-punica,
limitando l’indagine all’area isolana – Sicilia e Sardegna –, entrambe
toccate durevolmente dal fenomeno dell’espansione fenicia nel Me-
diterraneo centrale e occidentale sin dall’VIII secolo a.C.1
Va subito detto che la documentazione su cui svolgere tale inda-
gine è relativamente scarsa : disponiamo per ciascuna delle due re-
gioni prese in considerazione di meno di duecento iscrizioni per tut-
to l’arco temporale che spazia dal periodo arcaico a quelle neo-
punico, quindi per circa otto secoli di storia, comprendendo tutti i
numerosi siti ad oggi scavati : Mozia, Lilibeo, Palermo, la Grotta Re-
gina, Erice, ecc. per la Sicilia; Tharros, Antas, Cagliari, Olbia, Nora,
ecc. per la Sardegna 2. Inoltre, è ovvio che non tutte le iscrizioni con-
tengono degli antroponimi : per la Sardegna, la proporzione è del-
l’ordine di due terzi soltanto. Di conseguenza, è metodologicamente
delicato trarre degli insegnamenti da una documentazione così scar-
na e a macchia di leopardo. Tuttavia per l’antichista, questo tipo di
situazione euristica è purtroppo il pane quotidiano. Non si può, non
si deve rinunciare a valorizzare ogni indizio, pur evitando l’accani-
mento ermeneutico.
La mia formazione e l’orientamento delle mie ricerche spiega
perché le mie interrogazioni nei confronti dell’onomastica non sono

1
Per una messa a punto del quadro storico, cf. Falsone 1995, p. 674-697;
Tronchetti 1995, p. 712-742.
2
Ringrazio Paolo Xella, ISCIMA C.N.R., per avermi dato accesso alla banca-
dati epigrafica fenicio-punica, di cui prepara la pubblicazione in collaborazione
con il C.S.I.C. (Spagna), un progetto al quale, del resto, presi parte nelle sue fasi
iniziali.

.
26 CORINNE BONNET

primariamente linguistiche, bensì storiche : l’antroponimia costitui-


sce un’importante fonte di conoscenza del passato, come tante altre
certo, ma con precipue caratteristiche; la ricostruzione storica non
può quindi prescindere da una corretta analisi linguistica. Nell’in-
traprendere un’indagine sull’onomastica fenicio-punica di Sicilia e
Sardegna, avevo in mente un’interrogazione storica, che esplicito
subito. L’approccio al fenomeno storico dell’espansione fenicia nel
Mediterraneo si basa essenzialmente su due categorie di documen-
tazione : quella archeologica, sempre più importante, che ci restitui-
sce i siti, i luoghi, le configurazioni ambientali, la cultura materiale
e che fissa i paletti cronologici 3, poi la documentazione letteraria, a
suo tempo analizzata dal mio connazionale Guy Bunnens 4, in parti-
colare le testimonianze di Tucidide (essenziale per la Sicilia), Poli-
bio, Livio, Diodoro, ecc. Si tratta in questo caso di testimonianze in-
dirette, scritte cioè da autori greci e latini che avevano della civiltà
fenico-punica una visione esterna e spesso distorta per vari motivi
ideologici e che elaboravano delle cronologie artificiose in riferi-
mento agli eventi marcanti della propria cultura (ad esempio, prima
o dopo la Guerra di Troia) 5. La letteratura fenicio-punica, come si
sa, è praticamente naufragata, quindi in sostanza ignota 6.
In una tale configurazione documentaria, le iscrizioni rappre-
sentano l’unica fonte scritta diretta e costituiscono un corpus parti-
colarmente prezioso per gli storici. Purtroppo la loro tipologia non
risponde sempre alle attese, in quanto sono per lo più delle dediche
– stereotipate e ripetitive –, delle iscrizioni di appartenenza, comme-
morative o funerarie, che registrano alcuni fatti della vita quotidia-
na : un atto devozionale, un decesso, una proprietà. Lo stile formu-
lario lascia pochissimo spazio alla fantasia, quindi al lavoro dello
storico che, senza disprezzare l’approccio seriale, ama anche lavora-
re sui particolari, sui dettagli significativi, sulle eccezioni. Inoltre, le
iscrizioni reali, quelle che hanno un contenuto storico o storiografi-
co significativo, sono abbastanza rare in Oriente, del tutto assenti in
Occidente («pour cause»!). Gli eventi e le tappe del processo di
espansione verso l’Occidente, in cerca di nuovi giacimenti metallife-
ri, di nuovi sbocchi e di nuovi mercati, non sono evocati nelle iscri-
zioni (a parte forse l’iscrizione di Nora 7) : esse tacciono del tutto su-

3
Su questa problematica, rimando a vari contributi nel volume collettaneo
menzionato alla nota 1, in particolare sul tema «Expansion et colonisation», al
contributo di Niemeyer 1995, p. 247-267.
4
Bunnens 1979
5
Cf. Ribichini 1995, p. 73-83.
6
Cf. Krings 1995, p. 31-38.
7
Cf. Amadasi Guzzo 1967, (d’ora in poi : ICO), Sardegna 1.

.
OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 27

gli attori, sui momenti e sui luoghi di questo decisivo fenomeno sto-
rico. Una simile situazione ci spinge a prendere in considerazione
l’antroponimia come una possibile fonte di informazione sull’espan-
sione nel Mediterraneo : possono i nomi degli abitanti dei siti feni-
cio-punici di Sicilia e di Sardegna dirci qualcosa dell’origine dei loro
antenati giunti per primi in quei luoghi? Sono in grado di delineare
un quadro della religiosità locale o regionale da confrontare con
quello della madrepatria? Tradiscono qualcosa dei fenomeni e delle
modalità dell’interazione con le popolazioni indigene? Queste sono
le domande che tenterò di affrontare, ricorrendo a un approccio
comparativo nella speranza che faccia emergere delle similitudini e
delle differenze significative da interpretare in termini storici 8.
Dopo aver precisato la parte programmatica del mio intervento,
passiamo ora alla parte operativa dell’indagine, con la consapevolez-
za, però, che la distanza può essere tanta fra l’una e l’altra. In questo
caso, è proprio lo stato della documentazione a determinare uno ia-
to fra le domande formulate e le risposte possibili. Prima di adden-
trarmi nel dossier delle epigrafi, sarà forse opportuno spendere
qualche parola introduttiva sull’onomastica semitica. Sin dall’inizio
degli studi di semitistica, l’onomastica è apparsa come un settore di
primaria importanza 9, in particolare per studiare le concezioni e le
pratiche religiose. I nomi semitici sono in effetti spesso dei brevi
enunciati che associano una divinità a una qualità espressa sotto
forma di un epiteto, un sostantivo o un verbo, del tipo «Baal è gra-
zioso», o «Baal è mio fratello», o ancora «Baal ha concesso». Questi
enunciati costituiscono una finestra aperta su ciò che la storiografia
tedesca chiama la persönliche Frömmigkeit, cioè la religiosità priva-
ta, personale, in opposizione alla religione ufficiale, pubblica, che si
manifesta piuttosto in altre fonti (testi rituali, dediche pubbliche,
iscrizioni di fondazioni, ecc.). In altre parole, i nomi, proprio perché
personali, associati a una persona per tutta la durata della sua vita,
tradiscono le preoccupazioni esistenziali, spesso legate alla famiglia,
alla discendenza, alla salute. Alla divinità che funge da patrono, il
Schutzgott o personal god, attorno al quale si è sviluppato un dibatti-
to approfondito in campo orientalistico10, si chiede sostanzialmente
protezione, benessere e intercessione presso gli altri dei. In questa
prospettiva, va sottolineato il fatto che, negli ultimi anni, senza ne-
gare una specificità della religiosità privata, così come traspare fra
l’altro dall’antroponimia, si tende a sottolineare il fatto che questa
religiosità non è in nessun modo autonoma rispetto a quella ufficia-

8
Sulla stessa linea, cf. Xella 1978, p. 71-77.
9
Cf. da ultimo, Di Vito 1986.
10
Cf. in particolare, Rainer Albertz 1978.

.
28 CORINNE BONNET

le che serve in fondo ad attirare sulla comunità intera e sulla perso-


na del re, che ne conduce le sorti, benessere, protezione, stabilità e
intercessione, esattamente ciò che si chiede a livello personale al dio
protettore. Religiosità privata e religiosità pubblica sono quindi due
facce di una stessa realtà11.
Per tornare ai nomi, va ancora detto che vigeva nel Vicino
Oriente una concezione che attribuiva al nome un valore magico e
teologico. Il nome non è esterno alla realtà che designa : ne fa parte
e ne determina l’esistenza e il destino; ha un valore noetico e dina-
mico12. Il testo della Genesi è molto chiaro in proposito : dare un no-
me significa creare, far esistere13. Di conseguenza, la conoscenza di
un nome costituisce un potere, un dominio su ciò che designa, da
cui il criptogramma Adonay per nascondere il nome di Yhwh che
deve rimanere sconosciuto, come quello dell’Innominato manzonia-
no. Il nome è una specie di doppio della persona : ciò spiega perché,
in un’iscrizione bilingue fenicio-greca di Atene, l’antroponimo She-
my, che rimanda a Shem, il nome divinizzato, sia reso in greco con
Antipatros, cioè, in qualche modo, il «sosia»14. L’elemento teoforo
Shum (su-mu) è del resto attestato sin dal III millennio a.C., negli
antroponimi dei testi di Ebla15.
Queste considerazioni ci consentono di affermare che il nome è
un elemento significativo dell’identità delle persone e che la scelta
dei suoi vari componenti, l’elemento teoforo e la qualità ad esso at-
tribuita in particolare, era tutt’altro che casuale. Detto ciò, però, i
dettagli delle circostanze in cui il nome veniva attribuito, quindi an-
che le motivazioni stesse di ogni singola scelta, ci sfuggono quasi del
tutto. Chi sceglieva il nome? A prevalere era la logica del nucleo fa-
miliare ristretto, come inducono a pensare i non rari casi di pappo-
nimia, oppure entravano in conto delle considerazioni legate a grup-
pi sociali più ampi (come il genos nel mondo greco)? Quando di pre-
ciso avveniva la cerimonia di imposizione del nome nella vita del

Su questo dibattito, cf. Di Vito 1986. Il dibattito su religione privata -reli-


11

gione pubblica, in ambito orientale, si è anche nutrito dal delicato dossier delle
iscrizioni di Kuntillet-‘Ajrud, nel Sinai, dove Yhwh è venerato insieme ad una pa-
redra femminile, il che sembra tradire una notevole distanza fra culto ufficiale e
pratiche quotidiane. Cf. Müller 1992, p. 15-51.
12
Cf. le voci Nom et Nom divin, in Dictionnaire encyclopédique de la Bible,
Turnhout 1987, p. 903-905; DBS VI, p. 514-541; ThWAT VIII, p. 122-176; K. van
der Toorn – B. Becking – P. van der Horst (edd.), Dictionary of Deities and De-
mons in the Bible, 2a ed., Leiden 1999 (d’ora in poi : DDD), p. 763-764. Cf. anche
Lubetski 1987, p. 1-14.
13
Genesi 2,18-23.
14
L’iscrizione è CIS I, 115. Cf. Bonnet 1988 (= Mélanges en l’honneur de
M. Sznycer, Paris 1990), p. 39-47.
15
Cf. Pomponio – Xella 1997, p. 503-505.

.
OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 29

neonato? In quale misura giocavano le tradizioni familiari di fronte


a probabili fenomeni di moda? Quale portata aveva veramente il
senso di un nome : reale o solo convenzionale? Cosa si nasconde,
nel vissuto delle persone, dietro un nome come «Baal ha dato» : la
semplice consapevolezza che il dio comunque concede ogni bene,
oppure una circostanza precisa di gravidanza difficile (com’è il caso
per Samuele nell’Antico Testamento). L’onomastica è, come la reli-
gione, abbastanza conservatrice : non è raro trovare una genealogia
che mostri la ripetizione meccanica di un nome o di più nomi attra-
verso varie generazioni. Ciò significa che l’antroponimia può veico-
lare dei tratti arcaici da valutare in riferimento a tradizioni di cui si
è perso la traccia a livello di devozione operativa, contemporanea.
Infine, la laconicità degli enunciati onomastici, sprovvisti di qualsia-
si aggancio esterno, quindi in qualche modo auto-referenziali, rap-
presenta un notevole ostacolo alla comprensione del contesto. I limi-
ti della nostra indagine sono quindi più che evidenti ed è probabile
che alcune delle considerazioni scaturite dall’esame dell’onomastica
semitica possano anche rivelarsi adeguate ad altri corpora di cui si
tratterà nell’ambito di questo incontro scientifico sull’onomastica
dell’Italia antica.

Sia in Sicilia che in Sardegna sono massicciamente attestati i


nomi più correnti del repertorio onomastico fenicio e punico16 : i
Baalyaton, Germilqart, Bodashtart o Abdeshmun, gli Baalhanno,
Himilkat, Abdimilk, ecc. Va notato che l’onomastica maschile è infi-
nitamente più rappresentata di quella femminile, per il semplice fat-
to che le donne sono raramente protagoniste di messaggi scrittori
qui, come altrove, e in molti periodi storici. Fra i 44 nomi differenti
attestati nelle 40 iscrizioni provenienti dal tofet di Mozia pubblicate
da M. G. Amadasi Guzzo17, nessuno appartiene a una donna, eppu-
re, col tofet, abbiamo a che fare con un ambito rituale legato alla fa-
miglia, alla riproduzione, dove del resto la donna è presente tramite
le raffigurazioni femminili, nude o vestite, presenti sulle stele. Nel
tofet, quindi, almeno a Mozia, le donne non sembrano mai compiere
un’offerta al titolare del luogo sacro, Baal Hammon (cosa che av-
viene invece, anche se raramente, nel tofet di Cartagine).
Quindi, ad un primo sguardo, appare con chiarezza che l’ono-
mastica fenicio-punica della Sardegna e della Sicilia si ispira ai mo-
delli della madrepatria fenicia e della metropoli punica di Cartagine.
Alcuni nomi, però, sui quali torneremo fra poco, costituiscono degli

16
Il repertorio di riferimento è tuttora Benz 1972, ormai seriamente supera-
to, anche se sempre molto utile come punto di partenza.
17
Amadasi Guzzo 1986 (d’ora in poi Mozia).

.
30 CORINNE BONNET

hapax all’interno del corpus fenicio-punico Possono, in certi casi, es-


sere ricollegati alle antiche tradizioni cananee del II millennio (tra-
mite la documentazione ugaritica in particolare) o persino al fondo
semitico più antico, qual è attestato, ad esempio, nei testi di Ur III,
nell’ultimo secolo del III millennio a.C.18 Su questa base è stata avan-
zata l’ipotesi di un carattere arcaico o arcaicizzante dell’onomastica
fenicio-punica di Sicilia e di Sardegna, un’ipotesi che metteremo fra
poco alla prova.
Prima di soffermarci su questi casi interessanti, che si segnala-
no alla nostra attenzione per la loro singolarità, non sarà forse inuti-
le proporre qualche dato sintetico d’insieme.
Per tentare di ricollegare gli ambienti coloniali ai fulcri fenici,
un elemento essenziale potrebbe essere rappresentato dalle divinità
che entrano a far parte dei nomi personali. Sappiamo in effetti che il
concetto di religione fenicia è in buona parte convenzionale, più an-
cora di quello di religione greca che trova nell’epopea omerica e nel-
la teogonia esiodea una base panellenica che si tramanderà per se-
coli nella produzione letteraria. Se ci fosse stata conservata almeno
una piccola parte della letteratura fenicia, avremmo forse un’idea di
ciò che fosse la religione fenicia, sempre che tale concetto non sia
un’«invenzione» o una «convenzione» della storiografia moderna.
L’unico a darcene una certa idea è Filone di Biblo, nella sua Storia
fenicia, che comprende anche un discorso approfondito sulle origini
mitiche, ma si tratta di un contemporaneo di Adriano, pervenutoci
tramite le citazioni, più tarde ancora e per lo più polemiche, di Eu-
sebio di Cesarea!
Le iscrizioni fenicie, a dire il vero, ci rivelano soltanto le realtà
topiche, quindi i culti poliadi, i pantheon delle varie città-stato, Tiro,
Sidone, Biblo, Sarepta, ecc., in accordo del resto con la struttura po-
litica di una regione che non fu mai unificata, se non sotto dominio
straniero e forse, in una certa misura, nelle sue proiezioni mediter-
ranee. Il ricorso a Melqart, Baal di Tiro, nei nomi propri coloniali
potrebbe costituire un indizio della provenienza tiria di queste per-
sone, come la presenza di Eshmun rimanderebbe a un ambiente ori-
ginariamente sidonio. Ashtart, dal canto suo, è attestata in tutta la
Fenicia, mentre i nomi divini generici come Baal, Adon, Milk (il
«Re») e Milkat (la «Regina») non corrispondono a una zona precisa
della Fenicia19. Non risulta quindi sempre agevole stabilire un nesso
etnogenetico fra un nome attestato in Occidente e una regione, una
città-stato d’Oriente.

Su questa documentazione, cf. Di Vito 1986, (n. 8).


18

Per una visione panoramica della religione fenicio-punica, cf. Bonnet –


19

Xella 1995, p. 316-333.

.
OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 31

In Sicilia come in Sardegna Baal è l’elemento teoforo più fre-


quentemente attestato (14 volte a Mozia, una decina di volte negli al-
tri siti della Sicilia e circa 40 volte in Sardegna 20). Nel contesto delle
iscrizioni del tofet di Mozia, si potrebbe pensare di riconoscere nel
Baal dell’onomastica personale il dio del luogo, cioè Baal Hammon,
ma tale ipotesi non si impone necessariamente. Il senso del nome di
una persona non dipende dal contesto in cui essa pratica la propria
fede, ma da una scelta operata alla nascita e motivata dal desiderio
di assicurare al neonato una protezione adeguata. Senza escludere
che l’elemento teoforo Baal nei nomi di Mozia possa rimandare an-
che a Baal Hammon, credo piuttosto che si tratti di una designazio-
ne generica per il «Signore», cioé il dio preposto alla protezione per-
sonale, il Schutzgott o personal god, che menzionavo prima. Nel re-
pertorio onomastico del III millennio a.C., dingir in sumerico e ilum
in accadico, cioè semplicemente il «dio», non rimandano a una figu-
ra specifica, ma all’«angelo custode» di chi porta tale nome 21. Ora,
nell’onomastica fenicio-punica di Sicilia e di Sardegna, colpisce la
quasi assenza dell’elemento teoforo el o il (plurale elim), col senso
generico di «dio», mentre Baal è molto presente. Del resto, i testi
mitologici di Ugarit tradiscono già un’evoluzione interna dei pan-
theon semitici per cui El è ormai caratterizzato come un dio della
creazione, saggio e anziano (padre degli anni), chiave di volta del
pantheon, ma remoto e confinato in un ruolo di autorevole padrone
del mondo, mentre tocca a Baal il ruolo attivo di primo piano, quello
di protettore della comunità e di campione di lotte e imprese eroi-
che 22. Sembra quindi ragionevole pensare che il Baal dell’onomasti-
ca fenicio-punica di Sicilia e Sardegna non sia un Baal particolare,
topico, bensì il grande dio che estendeva la propria protezione alle
moltitudini.
A questo Baal, comune e personale allo stesso tempo, vengono
attribuite diverse qualità, generiche o specifiche : quella di regnare,
di proteggere, di aiutare, di essere grazioso, di salvare, di dare, di es-
sere signore, fratello, ecc. Un accenno particolare merita il nome
RP’B‘L, ipoteticamente attestato in un’iscrizione del tofet di Mozia
(VI sec. a.C.) 23, che costituisce un hapax nella documentazione ono-
mastica fenicio-punica. Significa «Baal ha guarito/salvato» e si ri-
collega alle tradizioni siriane, specie ugaritiche, dove Baal, in quan-

20
Il carattere approssimativo dei conteggi è legato al fatto che varie iscrizio-
ni sono frammentarie o di lettura incerta (com’è il caso per molti dei graffiti della
Grotta Regina, presso Palermo).
21
Cf. Di Vito 1986, (n. 8).
22
Cf. Xella 1984.
23
Cf. Mozia 10. Il lamed finale è restituito.

.
32 CORINNE BONNET

to ha conosciuto un’esperienza di morte e ritorno alla vita, viene


chiamato Rapiu’ e i re morti divinizzati Rapiuma : tale termine trova
un’eco nei Rephaim biblici. Dietro a questa terminologia, che asso-
cia paradossalmente i morti alla guarigione/salvezza, si cela una
complessa ideologia della regalità e della morte, secondo la quale i
re morti, con Baal in testa che funge da modello mitico, continuano
nell’aldilà ad essere attivi per la comunità dei vivi e a dispensare pro-
tezione, benessere e guarigione 24.
Melqart, dio tirio per definizione 25, è attestato ben 16 volte in
Sardegna e meno di 10 volte in Sicilia. Eshmun, il Baal di Sidone, è
presente in 7 nomi sardi e in 6 nomi siciliani 26. Questi numeri con-
fermano il fatto che la componente tiro-sidonia fu predominante
nella fase iniziale dell’espansione fenicia verso Occidente. Il corpus
delle iscrizioni del tofet di Mozia, è bene ricordarlo, risale al VI seco-
lo a.C., sicché la distanza rispetto al momento della colonizzazione
non è tanta, forse dell’ordine di 6-8 generazioni, il che consente di
ipotizzare una parziale conservazione dei nomi originari della ma-
drepatria fenicia.
Ashtart, dea pan-fenicia per eccellenza 27, è menzionata 6 volte
nell’onomastica di Sardegna e una decina di volte in Sicilia, mentre
Tanit, dea tipicamente cartaginese, anche se sappiamo ormai che il
suo culto era impiantato anche in Oriente, è molto più discreta : una
sola volta in Sardegna e mai, a mia conoscenza, in Sicilia (dove non
risulta nemmeno esplicitamente documentata a livello cultuale) 28.
Questi dati evidenziano la forza e la permanenza, almeno a livello
devozionale, delle tradizioni specificamente fenicie presso gli inse-
diamenti di Sicilia e di Sardegna. Del resto, è risaputo che le mino-
ranze testimoniano un attaccamento durevole alle proprie tradizioni
ancestrali, che vengono considerate come il serbatoio di un’identità
messa in pericolo dal contesto allogeno potenzialmente fagocitante.
La pregnanza della cultura fenicia, orientale, troverà fra poco altre
conferme, un tratto che è sensibile in una certa misura anche a Car-
tagine.
Fra gli elementi divini attestati nei nomi propri del corpus feni-
cio-punico di Sicilia e Sardegna, troviamo una serie di divinità me-

24
Cf. Xella 1984, e la voce Rephaïm; in DDD, p. 692-700, per citare solo qual-
che titolo rappresentativo di una bibliografia davvero sterminata. Il nome ipoco-
ristico RP} è attestato anche una volta a Cartagine.
25
Rimando a Bonnet 1988 a. Cf. anche DDD, p. 563-565.
26
Su Eshmun, DDD, p. 306-308.
27
Bonnet 1996; DDD; p. 109-114.
28
Su Tanit, cf. la voce relativa nel Dictionnaire de la civilisation, p. 438-439
(E. Lipinski).

.
OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 33

no importanti o francamente minori, che sono attestate anche altro-


ve, ma la cui rarità può essere d’aiuto per completare e mettere a
fuoco la mappa della religiosità locale in riferimento ai modelli ori-
ginari.
– Sid 29 (SD) ci è conosciuto essenzialmente come il dio principa-
˙
le di Antas, ˙ Sardegna, dove viene identificato con il dio nazionale
in
chiamato Sardus Pater nelle iscrizioni in lingua latina. Stranamente
non compare mai nell’onomastica epigrafica del sito, mentre è pre-
sente sia a Olbia (in una dedica del III sec. a.C.) 30 sia a Monte Sirai
(in una dedica del IV/III sec. a.C.) 31. Viene naturale chiedersi : come
mai la devozione locale per il dio non si riflette nell’onomastica del
posto e si esprime invece al di fuori del sito cultuale di predilezione?
Non risulta facile proporre una risposta. Notiamo ancora che il dio
compare come elemento teoforo in ambito sia fenicio sia punico.
– Sakon 32 (SKN) compare due volte come elemento teoforo nel-
l’antroponimo Grskn, che figura sia in una dedica a Melqart prove-
niente da Tharros, datata al III-II sec. a.C. 33, sia in una stele del tofet
di Sulcis (S. Antioco) dello stesso periodo 34. Si tratta di un dio antico
che rimanda al culto dei betili attestato sin dal II millennio a.C. nel-
la Siria amorrea. È altresì ben documentato a Cartagine.
– Dagon 35 (DGN), antica divinità legata al grano, attestata sin
dai testi di Ebla nel III millennio a.C. in qualità di dio poliade della
città siriana di Tuttul e padre di Baal nei miti ugaritici, poi assurto a
divinità nazionale da parte dei Filistei, come lo rivela l’Antico Testa-
mento, è attestato una volta, nel nome B‘ldgn, su un sigillo di Thar-
ros 36. Non si conoscono ad oggi attestazioni in ambito punico.
– Shaggar 37 (ŠGR) potrebbe essere l’elemento teoforo del nome
{BDŠG[R], attestato nella lunga dedica a Melqart, di Tharros, del III-
II sec. a.C. 38. Si tratta di un dio probabilmente lunare (della luna pie-

29
Cf. Lipinski 1995, p. 332-350. Questo volume è molto utile per individuare
le fonti relative ad ogni divinità, anche la più infima, ma va usato con grande cir-
cospezione per quel che riguarda le interpretazioni proposte.
30
ICO Sardegna 34.
31
ICO Sardegna 39.
32
Cf. Lipinski 1995, p. 176-179.
33
ICO Sardegna 32.
34
Cf. Bartoloni 1986, no 1529, p. 240. La lettura è leggermente incerta : il
kaph si legge parzialmente e il nun è restituito.
35
Cf. DDD, p. 216-219; Cf. anche Lipinski 1995, p. 170-174 (segnala anche l’e-
sistenza di toponimi in ambito semitico dell’ovest, ma ignora il sigillo di Thar-
ros).
36
Cf. Vattioni 1981, no 14. Cf. Xella 1992, p. 92; Garbini 1993, p. 221 (che lo
considera filisteo per la presenza dell’elemento Dagon, un’ipotesi che non è del
tutto obbligatoria, visto che questo dio è diffuso nell’intera area siro-palestinese).
37
Cf. DDD, p. 760-762; cf. Lipinski 1995, p. 351-355.
38
Cf. ICO Sardegna 32.

.
34 CORINNE BONNET

na?), attestato a Ugarit in relazione con la fecondità del gregge. Que-


sto elemento teoforo compare anche in quattro testi cartaginesi.
– Kothar/Koshar 39 (KTR/KŠR; Chousôros in Filone di Biblo) è
˙
attestato nella stessa iscrizione di Tharros nel nome [{B]DKŠR, at-
tribuito a una persona che riveste la funzione di «decoratore»
(MTH) 40. Ora, sappiamo che, ad Ugarit, Kothar era il dio artigiano,
fabbro˙ e mago, responsabile della costruzione del sontuoso palazzo
di Baal. Questo nome divino compare anche nell’onomastica perso-
nale di Cartagine.
– Shaban 41 (ŠBN) compare nel nome }HŠBN, «fratello di ND»,
in un’iscrizione funeraria neopunica di Sulcis ˙ (S. Antioco) 42. Riman-
da anch’egli a un ambiente culturale siriano poiché tale elemento
teoforo, assente del resto della documentazione fenicio-punico, è at-
testato ad Ugarit.
– Sidiq 43 (SDQ), teonimo e antroponimo nello stesso tempo, è
˙
attestato in un’iscrizione neopunica di tipologia incerta, incisa su un
frammento di base circolare, proveniente da Sulcis (S. Antioco) 44.
Questo dio cananeo, personificazione della «Rettitudine», è menzio-
nato nei testi di Ugarit in coppia con Misor, personificazione della
«Legittimità», due elementi basilari dell’ideologia della regalità nella
Siria dell’Età del Bronzo e del Ferro. Mentre assente a Cartagine,
questo elemento teoforo è attestato a Cipro e negli antroponimi feni-
ci d’Assiria.
– Il dio Shalim 45 (ŠLM) compare due volte nel corpus delle iscri-
zioni del tofet di Mozia nel VI sec. a.C. : tale quale 46 ed anche nel no-
me YKNŠLM 47 che ha vari paralleli. Shalim è attestato nei testi di
Ugarit, come stella della sera, in parallelo con Shahar, stella del-
l’aurora, di cui tratteremo subito dopo 48. Ci sono nomi con questo
elemento teoforo anche a Cartagine.

Cf. DDD, p. 490-491.


39

Il senso della radice è «ricoprire», «decorare». ICO Sardegna 32, 9.


40

41
Cf. DDD, p. 759-760; cf. Lipinski 1995, p. 414-415, che considera che non si
tratta di un antroponimo – «c’est de l’inhabileté à porter un jugement sur des don-
nées connues qu’est née l’hypothèse de l’existence d’une divinité Šbn...» : p. 414 – e
propone quindi una diversa cesura del testo, che, tuttavia, convince poco.
42
ICO Sardegna Neopunica 6, 4.
43
Cf. DDD, p. 577-578 (s.v. Misharu); Lipinski 1995, p. 112-114.
44
ICO Sardegna Neopunica 1.
45
Cf. DDD, p. 755-757; Lipinski 1995, p. 283; 536.
46
Mozia, 22,2.
47
Mozia, 23,2. La radice kwn, associata all’elemento teoforo, significa «esse-
re», «esistere».
48
Sul loro mito, Xella 1973.

.
OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 35

– Shahar 49 (ŠHR) è presumibilmente presente nel nome ŠHRR,


attestato una volta,˙ a Mozia 50. Se così fosse, darebbe ulteriore consi-
˙
stenza al filone «cananeo» dell’onomastica che stiamo esaminando.
Esistono dei paralleli sia in Oriente sia in Occidente.
– Miskar 51 (MSKR), l’«araldo» divino, ci orienta invece in un’al-
tra direzione. È attestato una volta nel nome {BDMSKR nel tofet di
Mozia 52, con paralleli soprattutto punici, oltre a un precedente a Ni-
nive e una tarda menzione a Sidone. Miskar, nello stato attuale della
documentazione, sembra aver goduto di una popolarità speciale a
Mactar in Tunisia. Si tratta quindi forse, questa volta, di un influsso
africano sull’onomastica della Sicilia.
– Gush (GŠ) è presente nel nome BR/DGŠ in una dedica di An-
tas, in Sardegna 53. G. Garbini propone di identificarlo a un dio indi-
geno, mentre P. Xella 54 lo ricollega a un dgu-si attestato in ambito si-
riano e aramaico, il che mi sembra più coerente col quadro che si
evince dalla documentazione.
Come si vede, spesso e volentieri, il nostro sguardo si è voltato
verso l’Oriente, che sembra costituire il maggiore orizzonte culturale
di riferimento dell’onomastica personale fenicio-punica di Sicilia e
Sardegna. Prima di esaminare alcuni altri casi problematici, vorrei
attirare l’attenzione su un’iscrizione molto particolare scoperta a Ol-
bia 55. Si tratta di una dedica del III sec. a.C. : se il suo destinatario
divino non è più leggibile, essa contiene pur tuttavia una genealogia
straordinaria, riferita al dedicante e composta da ben 16 generazio-
ni, il che ci riporterebbe indietro nel tempo fino praticamente all’e-
poca della fondazione della colonia fenicia di Olbia. «Che il caposti-
pite sia quello che si è stabilito nella colonia?» si chiede giustamente
M. G. Amadasi Guzzo 56. L’ipotesi prende quota in considerazione
del fatto che il capostipite in questione porta il nome apparentemen-
te programmatico di «Sid è re» (mlksd), forse in riferimento all’isola
˙
dove i coloni si stabilirono, conquistando una nuova supremazia che
il nome intendeva tradurre. Ciò farebbe pensare che la genealogia è
di ispirazione «ideologica», almeno per le sue parti più antiche. In
altre parole si tratterebbe di una ricostruzione retrospettiva, senza
vero aggancio con la realtà storica. Stupisce fra l’altro il fatto che lo

49
Cf. DDD, p. 754-755; cf. Lipinski 1995, p. 355-356.
50
Mozia, 28,2.
51
Cf. Lipinski 1995, p. 174-176 (con l’alternanza di vocalizzazione Miskar/
Maskir).
52
Mozia, 24,3-4.
53
Fantar 1969, IV, 3.
54
Xella 1978, p. 73; DDD, p. 375-376.
55
ICO Sardegna 34.
56
ICO, p. 114.

.
36 CORINNE BONNET

stesso nome non figura mai due volte nella genealogia e che ben
quattro di questi nomi sono in pratica degli hapax. Esaminiamoli :
– il nome {BDTYWN 57, quindi «servo di TYWN», contiene, in
posizione di teoforo, un nome divino assolutamente sconosciuto. Di-
vinità locale? Oppure eventuale trascrizione del greco uewn per ren-
dere il semitico }LM, «dei», come supponeva Ch. Clermont-Gan-
neau? A meno di pensare a un confronto con l’antroponimo ugariti-
co twyn, mediante una metatesi, una soluzione che però risulta poco
credibile per il carattere dubbio della decifrazione del nome 58 ;
– alla generazione successiva, troviamo un PT, che potrebbe
eventualmente aver a che fare con il dio egiziano Ptah ˙ 59 ;
– tre generazioni dopo, compare un certo YM}, che alcuni ana-
lizzano come un ipocoristico di Ytnmlqrt o Ytnmlk, ma che potreb-
be anche ricollegarsi al dio del mare yam, ben attestato a Ugarit co-
me avversario di Baal, dio caotico e primordiale delle acque 60 ;
– infine il padre di costui e nipote del capostipite porta in nome
di HLBN, unica attestazione nel corpus fenicio-punico, da mettere
˙
in rapporto con il semitico h/hlb «colle», «collina», da cui il toponi-
mo Aleppo e l’antroponimo ˙ebraico
˘ Khaleb. Sin dall’onomastica del
III millennio a.C., non è raro attribuire al personal god la qualità di
«montagna», «collina», come simbolo della sua potenza cosmica.
L’iscrizione di Olbia contiene quindi un catalogo veramente sin-
golare di nomi, di cui alcuni risultano ad oggi senza paralleli, a con-
ferma del fatto che questa lunga genealogia è stata elaborata in cir-
costanze e con scopi che ci sfuggono.
Va ancora segnalata un’iscrizione neopunica di provenienza
sconosciuta in Sicilia 61, contenente i nomi }HYY}QL e YT}. Il primo
presuppone un teoforo Y}QL, per altro sconosciuto, da mettere forse
in relazione con il teonimo mauro Iocolon attestato in un’iscrizione
latina : CIL VIII 16809 (Iocoloni deo patrio). Secondo F. Vattioni 62,
questo teonimo avrebbe un’etimologia semitica – yhw’ln, ossia «Fac-
cia vivere dio» – e una notevole posterità poiché ne avrebbe trovato
le tracce persino negli elenchi telefonici della Sardegna, nei nomi
moderni di Iuculano e Culmone, (ipocoristico di [Iu]culmone). Se-
condo Vattioni, il dio all’origine del nome di Iocolon, colui che «fa
vivere», sarebbe Baal Hammon. Se questa ipotesi fosse valida, con-

ICO Sardegna 34,3.


57

Cf. Coacci Polselli 1975, p. 67-72, in part. p. 71, con i dubbi di Xella 1978,
58

p. 75, n. 20.
59
Cf. Lipinski 1995, p. 323-325.
60
Cf. DDD, p. 737-742; Lipinski 1995, p. 80, 122 (si tratta del Pontos di Filo-
ne di Biblo). Un tale ipocoristico di Ytnmlqrt o di Ytnmlk è senza parallelo.
61
ICO Sicilia Neopunica 1.
62
Vattioni 1995, p. 422-425.

.
OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 37

fermerebbe, per l’onomastica fenicio-punica di Sicilia e Sardegna,


l’esistenza di una pista «africana» già evidenziata precedentemente,
accanto a quella «orientale», che domina.
Quanto al nome di YT}, nella stessa iscrizione neopunica, è di
interpretazione più incerta ancora; lo si potrebbe collegare al nome
libico YTT} oppure al nome ugaritico {bdyt, dove yt sembra fungere
da teoforo, a meno che YT} non sia un errore per YTN} (fenomeno
che non è attestato altrove).
Con l’antroponimo MTR, attestato in un’iscrizione funeraria di
Mozia del V/IV sec. a.C. 63, come nome di un vasaio, rimaniamo sul ter-
reno delle ipotesi senza riscontro né paralleli : esiste un nome libico
mtrh ed anche un elemento teoforo matar attestato nell’onomastica di
Mari, ma risulta impossibile orientare la scelta, né si sa se quelle sono
le piste giuste. Quanto a }RKRH, antroponimo attestato in un graffito
neopunico su ceramica a vernice ˙ nera di Tharros 64, potrebbe signifi-
care «(Na)karah è luce», in riferimento alla dea solare sud-arabica.

Esamiamo ora alcuni altri casi interessanti che sono, tuttavia,


senza rapporto diretto con il repertorio dei nomi divini.
– YP{, Yafi, è attestato in un’iscrizione del tofet di Tharros 65, ipo-
teticamente datata al IV sec. a.C., e trova un unico parallelo possibi-
le nell’onomastica filistea ed ebraica.
– Il nome MQM figura in un’iscrizione funeraria di Tharros del V/
IV sec. a.C. 66 e potrebbe derivare dalla radice QWM, «alzarsi, erigersi»,
come i nomi Abiqummu o Ahiqummu attestati varie volte in ambito
sia fenicio sia punico. Non è chiaro se sia lecito mettere questo nome in
relazione con il titolo rituale di mqm ’lm, cioè «colui che fa alzare la di-
vinità», attestato nell’ambito del culto di Melqart 67. Alla stessa radice si
riallacciano i nomi (})HQM (con caduta dell’aleph prostetico), attesta-
˙
to a Mozia in tre iscrizioni del VI sec. a.C. 68 e }BQM attestato una volta
a Mozia , con paralleli fenici e punici, ugaritici ed ebraici.
69

– Il nome KTM è attestato in un’iscrizione funeraria di Tharros


del V/IV sec. a.C. 70 Non sembrano proponibili paralleli nella docu-
mentazione semitica. L’ipotesi di un nome indigeno sembra possibi-

63
Mozia, 27 A, 3.
64
ICO Sardegna Neopunica 9.
65
Garbini 1993, p. 219-230, spec. p. 225-229, no 30. Garbini ipotizza un im-
probabile pellegrinaggio di questo Yafi a Kition.
66
ICO Sardegna 24,4.
67
Su questo titolo, cf. Bonnet 1988 a, p. 174-179 e, più recentemente, Müller
1996, p. 111-126.
68
Cf. Mozia 1,3; 4,3; 35,3.
69
Cf. Mozia 32,2.
70
ICO Sardegna 7,2.

.
38 CORINNE BONNET

le, ma il patronimico, formato sull’elemento teoforo Baal, è fenicio,


anche se di difficile interpretazione. Si è pensato a un accostamento
all’accadico katamu, «coprire», oppure kutimmi, «orafo, incisore di
stele/iscrizioni».
– MQR} è presente in un’iscrizione commemorativa neopunica
di Sulcis 71, probabilmente per trascrivere il latino Macer, visto che
nel testo sono anche presenti i nomi Felix e Pullius in trascrizione
punica, anche se l’aleph finale non si spiega facilmente 72. Per questo
motivo, non è del tutto da escludere un rapporto con il greco Make-
ris che Pausania 73 considera come il padre di Sardos, l’eponimo del-
l’isola, e come l’Eracle egiziano e libico, che potrebbe quindi riallac-
ciarsi al Baal di Tiro, Melqart.
– LB}, con il senso di «leone», è attestato in una dedica di Sulcis
del VI sec. a.C. 74 Sin dall’onomastica accadica del III millennio
a.C. 75, la qualità di «leone» viene attribuita alle divinità per sottoli-
neare la loro forza, ma forse anche il loro carattere negativo, distrut-
tivo (il leone come metafora della morte). In una lista accadica di di-
vinità, la dea Labatu, la «Leonessa», viene identificata con «Ishtar
del lamento». A Ugarit, l’appellativo di «leone» è usato per Athtar, il
corrispondente maschile di Athtart 76. È praticamente impossibile sa-
pere chi si nasconde dietro questo nome a Sulcis. Melqart sembra
un buon candidato a motivo sia della sua vicinanza con Ashtart sia
della sua identificazione con Eracle, il dio-eroe con la leonté, ma si
tratta soltanto di un’ipotesi.
– Il nome }TŠ è attestato in una dedica a Baal Shamim, da Ca-
gliari, risalente al III sec. a.C. 77 ; nella genealogia del proprio padro-
ne, Baalhanno, servo di Bodmilqart, menziona infatti quattro ante-
nati, con dei bei nomi semitici, tranne l’ultimo, questo }TŠ. Si tratta
forse di un nome indigeno.
– {RM compare in due iscrizioni simili dipinte sulla pancia di
due urne a punta conica, del IV sec. a.C. 78. Tale elemento risulta at-
testato in varie lingue semitiche e va ricollegato alla radice {rm «am-
monticchiare» Viene usato ad Ugarit per formare antroponimi, to-
ponimi e etnici.

ICO Sardegna Neopunica 2,3.


71

In Tripolitania, nelle iscrizioni latino-puniche, Macer è piuttosto trascritto


72

sotto la forma m{qr.


73
Pausania X, 17,2. Su questo passo, cf. Bonnet 1988 a, p. 250-252; cf. anche
A. Brelich 1963, p. 23-33 (rist. in Mitologia..., cit., p. 43-52. E. Lipinski, Dieux et
déesses, p. 366-369, considera che si tratta di un teonimo libico o berbero.
74
ICO Sardegna 17,5.
75
Cf. Di Vito 1986, (n. 8).
76
Cf. Xella 1978, p. 73.
77
ICO Sardegna 23,3.
78
ICO Sardegna 35.

.
OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 39

Cercando di approdare a qualche conclusione, possiamo affer-


mare che, accanto a una grande maggioranza di nomi comuni all’a-
rea orientale ed occidentale, si evidenzia, specialmente nel corpus
onomastico della Sardegna, una forte connessione orientale, che ri-
guarda l’area siro-palestinese del III e II millennio a.C. Si tratta quin-
di di un repertorio di nomi che si differenzia sensibilmente da quello
cartaginese, e punico in generale. Da questo punto di vista, la distan-
za sembra maggiore fra Sardegna e Africa che fra Sicilia e Africa, co-
m’è del resto logico che sia. Sappiamo, da altri canali di indagine,
che nel quadro della colonizzazione fenicia nel Mediterraneo, la Sar-
degna appare come particolarmente legata all’Oriente : l’archeologia
e la cultura materiale ne forniscono molte illustrazioni. Detto ciò,
costruire, sulla base di questi pochi elementi, un vero discorso stori-
co, in rapporto al processo di espansione, alle sue modalità, alla sua
cronologia, alle sue caratteristiche culturali sembra praticamente
impossibile nello stato attuale delle conoscenze, che consentono tut-
t’al più di individuare delle grandi linee interpretative.
Colpisce inoltre la scarsissima interazione con le onomastiche
locali, come se la comunità fenicia vivesse ripiegata su stessa, senza
apertura nei confronti delle culture indigene. Va però detto che il
momento impegnativo della scelta di un nome, di cui si pensava che
potesse in qualche modo condizionare il destino della persona, non
è certo il più significativo e adatto per misurare l’impatto delle dina-
miche interculturali. I fattori della tradizione sembrano in effetti
giocare un ruolo determinante, anche come elemento di conserva-
zione di un’identità culturale e religiosa resa più fragile dal contesto
coloniale. In questo senso l’onomastica personale fenicio-punica
può essere definita arcaica o arcaizzante, in rapporto cioè a un con-
testo storico preciso.
Dal punto di vista storico-religioso va sottolineata la ricchezza
del repertorio di elementi teofori, molto più ampio e diversificato ri-
spetto a ciò che sappiamo dei pantheon cittadini, dove dominano po-
che divinità, molto affermate. Con i nomi personali, siamo messi di
fronte a un’ampia gamma di devozioni private, fortemente radicate
nelle tradizioni antiche, risalenti all’Età del Bronzo. Se abbiamo capi-
to bene il senso e la portata della scelta di un nome, si deve escludere
che questi nomi divini, ricollegabili in modo particolare alle tradizio-
ni religiose cananee di Ugarit, siano dei semplici relitti. Un dio perso-
nale, anche se legato a un contesto antico e remoto, doveva esercitare
una protezione efficace ed era scelto sulla base di esigenze esistenzia-
li sicuramente diverse da quelle che ispirano il culto ufficiale, rivolto
agli dei più potenti, ma forse anche più distanti dalla gente.

Corinne BONNET

.
40 CORINNE BONNET

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Amadasi Guzzo 1967 = M. G. Amadasi Guzzo, Le iscrizioni fenicie e puniche


delle colonie in Occidente, Roma, 1967.
Amadasi Guzzo 1986 = M. G. Amadasi Guzzo, Scavi a Mozia – Le iscrizioni,
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tions, Roma, 1972.
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mentaire à CIS I, 115, in Semitica, 38, 1988 (= Mélanges en l’honneur de
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d’interprétation fondé sur une analyse des traditions littéraires, Bruxelles-
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kadian Onomastics : the Designation and Conception of the Personal
God, Ph. D., Harvard University 1986.
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Occidente, Roma, 1967.
Krings 1995 = V. Krings, La littérature phénicienne et punique, in V. Krings
(a cura di), La civilisation phénicienne et punique. Manuel de recherche,
Leida-New York-Colonia, 1995, p. 31-38.

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OSSERVAZIONI COMPARATIVE SULL’ONOMASTICA FENICIO-PUNICA 41

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que, Lovanio, 1995, p. 332-350.
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Mozia = M. G. Amadasi Guzzo, Scavi a Mozia – Le iscrizioni, Roma 1986
(d’ora in poi Mozia).
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schriften von Kuntillet ‘Agrud und Hirbet el-Qôm, in Zeitschrift für Althe-
braistik, 5, 1992, p. 15-51.
Müller 1996 = H.-P. Müller, Der phönizisch-punisch mqm }lm im Licht einer
althebraïschen Isoglosse, in Orientalia, 65, 1996, p. 111-126.
Niemeyer 1995 = H. G. Niemeyer, Expansion et colonisation, in V. Krings (a
cura di), La civilisation phénicienne et punique. Manuel de recherche,
Leida-New York-Colonia, 1995, p. 247-267.
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nités éblaïtes à l’époque des archives royales du IIIe millénaire, in AOAT
245, Münster, 1997, p. 503-505.
Rainer Albertz 1978 = R. Albertz, Persönliche Frömmigkeit und offizielle Reli-
gion, Stoccarda, 1978.
Ribichini 1995 = S. Ribichini, Les sources gréco-latines, in V. Krings (a cura
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New York-Colonia, 1995, p. 73-83.
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sation phénicienne et punique. Manuel de recherche, Leida-New York-
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Vattioni 1995 = F. Vattioni, Il dio mauro Iocolon, in SMSR, 61, 1995, p. 422-
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Xella 1973 = P. Xella, Il mito di šhr e šlm, Roma, 1973.
Xella 1978 = P. Xella, Remarques sur le panthéon phénico-punique de la Sar-
daigne sur la base des données onomastiques, in M. Galley (a cura di),
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occidentale II, Algeri, 1978, p. 71-77.
Xella 1984 = P. Xella, Gli antenati di Dio, Verona, 1984.
Xella 1992 = P. Xella, Matériaux pour le lexique phénicien-I, in SEL, 9, 1992,
p. 92.

.
FEDERICA CORDANO

ONOMASTICA PERSONALE E GEOGRAFIA


NELLA SICILIA GRECA

Premessa
Il rapporto fra toponomastica ed onomastica personale appar-
tiene alla lingua greca, ed è testimoniato ovunque essa venga parla-
ta; ma in un ambiente coloniale, qual’é quello della Sicilia, vanno
presi in considerazione vari meccanismi che hanno generato l’uso
preferenziale o addirittura esclusivo di alcune categorie di nomi per-
sonali.
Il rapporto stesso con la toponomastica ha un valore speciale e
duplice, perché i nomi geografici possono essere greci o non greci e,
se la denominazione greca può significare appropriazione del terri-
torio, anche la liberalità nell’uso di parole indigene nella toponoma-
stica delle città greche appartiene alla logica coloniale.

1. Nomi personali che sono in serie con toponimi greci o non greci, e
nomi connessi con l’isola
Inizio dalle categorie più note, cioè da quei gruppi di antroponi-
mi che sono in serie con toponimi – di preferenza idronimi – caratte-
ristici delle città di appartenenza e la cui diffusione è limitato allo
stesso ambito geografico, questo aspetto è importante perché diffe-
renzia questo gruppo da quei nomi personali che ricordano toponi-
mi remoti, è tema su cui tornerò1.
Gli esempi più noti dei gruppi ai quali mi riferisco ora, sono
Ge¥lwn, Gelw¥iov e Gelw¥i rispetto al fiume Ge¥lav e alla città di Ge¥la :
significativamente l’uso di tali nomi si estende a Camarina nel V sec.
a.C., dopo le due fondazioni geloe della città 2 ; allo stesso modo al to-
ponimo Selinoỹv, identico per fiume e città, salvo nel genere (m. e
f.), e non esclusivo della Sicilia (sono noti quelli del Peloponneso e
dell’Asia Minore), si accompagnano i nomi personali Se¥liniv, Se-
linw¥ntiov e Selinw¥i, naturalmente in questo caso le omonimie non

1
Per tutti i nomi rimando a P. M. Fraser – E. Matthews 1997.
2
In generale Robert 1938, cap. V; e in particolare F. Cordano 1985, 2, p. 158-
162.

.
44 FEDERICA CORDANO

hanno gran significato; ma nella Sicilia orientale – Siracusa, Acre e


Taormina – è ben testimoniato ¶ Eloriv, coniato su quello del fiume
e dell’emporio, ed un identico rapporto si può facilmente vedere fra
™Yciv e ™ Ycav, fra Ipparı̃nov, Ipparı¥wn, nomi privilegiati dai Dioni-
sii e il fiume Ippari, e ancora fra Lipa¥rwn e le Lipari, fra Na¥jiov e la
città di Naxos oppure fra ¶Entellov e la città di Entella 3.
Gli antroponimi così individuati sono legati comunque al terri-
torio, sia per origine che nell’uso, però alcuni nascono come nomi
greci, altri sono entrati nell’uso greco, insieme ai relativi toponimi :
è certamente questo il caso di Gela e di Entella, e forse anche di
qualche altro. Se da un lato tale evidenza è un segnale forte della so-
cietà mista di cui parliamo, dall’altro non mi pare importante che
l’origine del nome sia ascrivibile a lingue diverse dalla greca, dal mo-
mento che esso è entrato nell’uso dei Greci, e non solo di Sicilia.
Per rimanere nell’ambito dei nomi per così dire ‘geografici’, oc-
corre ricordare – per ribadire che sono nomi greci sia nell’origine
che nell’uso – la serie di nomi personali che evocano le popolazioni
dell’isola, i vari Sikelo¥v, Sikano¥v, Sikana¥.
Essi non sono usati solo in Sicilia e fanno parte di una pratica
frequente fra i Greci, quella di trasformare un qualunque etnonimo
in antroponimo; questa pratica è stata interpretata in due diversi
modi, infatti c’è chi vi legge l’indicazione del paese di provenienza
del singolo individuo o della famiglia; mentre altri, a cominciare da
Louis Robert 4, vede nella scelta dell’antroponimo-etnico la volontà
di sottolineare od enfatizzare un rapporto privilegiato con la popola-
zione di quel nome. Il nostro caso risponde a tutte e due le posizioni,
perché la frequenza dei nomi nella stessa Sicilia risponde alla prima
interpretazione, quella cioè che prevede uno spostamento; mentre il
loro uso fuori dell’isola può corrispondere alla seconda, quella delle
relazioni interpersonali.
Quando poi si trova un Sikano¥v figlio di Arxwnı¥dav 5, che è no-
me portato da un famoso re siculo (Tucidide VII, 1) si è portati a ve-
dere una prova certa della commistione tra siculi e greci. In realtà si
può solo dire che sono tutti nomi greci, anche quello del re siculo,
che è diffuso pure a Creta.
Un’interpretazione diversa, ma abbastanza particolare, merita-
no i nomi di alcuni altri cittadini di Camarina che si chiamano
Je¥nwn, Je¥nov, Jeno-klh¥v, Jeno-kra¥thv, Jeno¥-lytov, Jeno-fw̃n, so-
prattutto perchè Je¥nwn 6 (n. 79) è figlio di un Korkyraı̃ov, e quindi
l’uso combinato del nome che significa ‘ospite’ o ‘straniero’ con quel-

3
F. Cordano 1990, p. 63-66.
4
Robert 1938 e F. Cordano 1985, 2, p. 158-162.
5
F. Cordano 1992, no 23.
6
Ibid. no 79.

.
ONOMASTICA PERSONALE E GEOGRAFIA 45

lo che ricorda l’isola di Corcira può segnalare la provenienza della


famiglia in questione 7.
L’interpretazione, dicevo, non può entrare nella norma, perchè
la situazione in cui si inseriscono questi cittadini di Camarina è ec-
cezionale, si tratta della rifondazione della città ottenuta con un ve-
ro e proprio sinecismo e quindi con la raccolta di individui di varia
provenienza.

2. Nomi che derivano da uno specifico rapporto con la madrepatria e


con le relative istituzioni
Tutti i nomi di cui ho parlato finora sono molto diffusi, da ciò si
potrebbe dedurre che essi siano preferiti dai Sicelioti; in realtà, se si
vanno a vedere le frequenze, si trova un numero ancor maggiore di
individui che vengono chiamati con nomi diffusissimi in tutta la
Grecia, continentale e insulare. Anche fra questi si possono isolare
delle serie e dei nomi rari, le une e gli altri ci conducono ad ambito
metropolitano, vuoi alla singola madrepatria e alle relative istituzio-
ni, vuoi ad altre precise aree di lingua greca.
La documentazione siciliana è in gran parte di tradizione dori-
ca, per il semplice motivo che le città ioniche, che sono calcidesi,
hanno avuto vita breve. Però, le scarse testimonianze relative ad al-
cune città ioniche sono di grande importanza per immaginare la lo-
ro fisionomia sociale, la coesione fra le città e con l’area metropoli-
tana. Le città calcidesi della Sicilia, se non altro per motivi cronolo-
gici, erano rette da gruppi aristocratici, riformati in senso
censitario, come si evince dalla legislazione di Caronda, che è pure
una grande manifestazione di coesione etnica.
Malgrado le riforme costituzionali i Calcidesi di Sicilia, come gli
Ioni di alcune importanti città d’Asia, danno ai gruppi civici i tradi-
zionali nomi di famiglia (es. i Pollı¥dai di Naxos e di Teos) che pos-
sono essere uguali o derivati da nomi personali 8.
Una vistosa differenza presentano in questo senso alcune città
doriche della Sicilia, ove con uno spirito innovatore sconosciuto al-
trove, evidentemente in seguito a rifondazioni e riforme costituziona-
li, si è scelto di denominare i gruppi civici con dei numerali, abbando-
nando così l’onomastica tradizionale nell’ambito pubblico; in quello
privato, voglio dire nell’antroponimia, si possono invece trovare delle
precise caratteristiche che accomunano le città doriche della Sicilia
ad altre del mondo greco, in particolare Cirene e alcune città di Creta.
Un nome raro come Ue¥stwn, presente a Camarina ed Alesa, ed il
femminile Ue¥sth per una sorella di Dionisio I, trovano un bell’ap-

7
F. Cordano 1990 a, p. 443-446.
8
F. Cordano 1988, p. 18-22.

.
46 FEDERICA CORDANO

poggio nella omonima fonte presso la quale i Cirenei vinsero gli Egi-
ziani di Apries (Hdt IV 159) 9.
Fra le serie predilette si può senz’altro contare quella dei nomi
maschili in –iv (gen. –iov) che Olivier Masson ha studiato per Cire-
ne : in Sicilia abbiamo già notato questa desinenza in alcuni nomi
derivati dai toponimi; ma altri numerosi si troverebbero scorrendo
gli elenchi delle singole città; vorrei segnalare che questa propensio-
ne è così forte da esser applicata anche a nomi non greci, per esem-
pio a Selinunte (Sariv, Kadosiv) e anche Caỹmiv a Camarina.
D’altra parte, con Creta si possono indicare dei confronti pun-
tuali con i nomi preferiti nella Camarina ‘geloa’, quali la serie dei no-
mi di Ejaxestı¥dav, Eja¥xwn ed appunto ¶Ejaxiv.
Non si creda però che in una città dorica venissero usati solo no-
mi di consuetudine dorica : accanto ai numerosi Heraclidas e affini,
si possono trovare dei nomi di tradizione ionica, come Ura¥syv10,
Fa¥ÿllov, ben attestato ad Atene e Delfi e che sembra aver avuto par-
ticolare fortuna in ambito coloniale11.

Conclusioni

Nelle città greche di Sicilia difficilmente entrano nomi locali, i


famosi ¶Apelov e Tı¥ttelov e quanti altri si trovano in quelle comuni-
tà miste, come quella di Selinunte espressa nella grande defixio12 o
nelle famiglie miste parlanti greco, come quella compianta nella ste-
le cosiddetta di Comiso13. Mi rifaccio ancora ai Camarinesi : su più
di 300 nomi di cittadini del V secolo, se ne può forse trovare uno
non greco (Uripainov).
Abbiamo visto che un re siculo si può chiamare Arxonı¥dav, é il
naturale frutto dell’acculturazione a senso unico, difficilmente un
greco di Sicilia avrebbe dato un nome siculo a suo figlio, e se voleva
distinguersi da altri greci aveva le possibilità che ho indicato sopra
di attingere all’onomastica greca epicorica.

Federica CORDANO

F. Cordano 1994, p. 65-79.


9

Masson 1972, p. 281-293, part. 292.


10

11
Cordano 1994.
12
O. Masson, La grande imprécation de Selinonte (SEG XVI 573), in BCH
1972 p. 377-388.
13
G. Pugliese Carratelli, Comiso. Epigramma sepolcrale greco del VI sec. a.C.,
in N.Sc. 1942, p. 321-324.

.
ONOMASTICA PERSONALE E GEOGRAFIA 47

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Cordano 1985 = F. Cordano, Nomi di persona geloi, in Riv.Fil.Cl. 1985,2,


p. 158-162.
Cordano 1988 = F. Cordano, Gruppi gentilizi presso i Nassii di Sicilia, in Boll.
d’Arte 48, 1988, p. 18-22.
Cordano 1990 = F. Cordano, Grecs et gens de Sicile au VIII et VII siècle avant
notre ère, in Actes du symposium international Thracia Pontica IV, 1988
(1990), p. 63-66.
Cordano 1990 a F. Cordano, Alcuni aspetti dell’onomastica personale di Ca-
marina, in Par.d.Pass. 1990, p. 443-446.
Cordano 1992 = F. Cordano, Le tessere pubbliche dal tempio di Atena a Cama-
rina, Roma 1992, no 23.
Cordano 1994 = F. Cordano, Tre note sui nomi di persona, in XVIII Misc. gre-
ca e romana, Roma 1994, p. 65-79.
Fraser – Matthews 1997 = P. M. Fraser – E. Matthews, A Lexicon of Personal
Names, III A, Oxford 1997.
Masson 1972 = O. Masson, Remarques sur quelques anthroponymes myce-
niens, in Acta Mycenaea, 1972,p. 281-293, part. p. 292.
Robert 1938 = L. Robert, Études épigraphiques et philologiques, Parigi 1938,
cap. V.

.
LUCIANO AGOSTINIANI

FORMULE ONOMASTICHE BINOMIE


NELLE EPIGRAFI ANELLENICHE DI SICILIA

1. Fanno parte del dossier epigrafico «siculo»1 due iscrizioni in-


cise a crudo su due lastre di terracotta (nella vulgata qualificate co-
me «tegole» a destinazione funeraria) 2, provenienti dall’area della
anonima città del Mendolito di Adrano (Agostiniani 1992, 2-3). La
seconda di queste è costituita da una sequenza resesaniresb [– – –],
la cui segmentazione più ovvia è resev anirev b [– – –]. Quanto alla
prima, la sua storia esegetica è stata pesantemente condizionata da
letture tanto autorevoli quanto errate, come quella di Whatmough,
Pagliaro e Pisani 3. Ma una volta stabilito, sulla base di fatti oggetti-
vi 4, che l’iscrizione va letta come dohitimrykeshazsyie [– – –], a parti-
re da questa lettura le sole possibilità di interpretazione sono ancora
oggi quelle avanzate da Ribezzo 5, vale a dire : 1) dohit im rykev haz-
syie[v «dat eum Rucus Hazsuius»; 2) dohitim rykev hazsyie[v «dau-
tium [scil. ‘dono’] Ruci Hazsuii» (la traduzione è ovviamente quella
di Ribezzo stesso), l’una e l’altra congruenti con quanto nell’altra
«tegola».
Senza che si possa escludere quest’ultima interpretazione, che
isola nel testo della seconda «tegola» un dohitim, termine per «do-
no» nella lingua locale, la segmentazione alternativa dohit im si rac-
comanda 6 sia per solidarietà interna alla lingua del Mendolito (im

1
L’etichetta è tradizionalmente attribuita al complesso delle testimonianze
anelleniche di Sicilia dell’area centro-orientale, che storicamente ai Siculi viene
assegnata. Sulla cautela imposta in proposito dalle cattive condizioni dell’erme-
neutica di una parte di esse, e non le meno importanti, si veda Agostiniani 2006,
p. 114.
2
Ritenute, cioè, essere destinate per tombe cosiddette “alla cappuccina”. In
realtà, è più che probabile che si tratti, invece, di elementi per il rivestimento pa-
rietale di un edificio o di altra struttura, comunque a destinazione non funeraria
(vedi ora Cultraro 2004 e Agostiniani 2006, p. 117 nota 13).
3
Agostiniani 2006, p. 117 : cfr. Whatmough 1933, p. 442-443, n. 576; Paglia-
ro 1935, p. 157-158; Pisani 1964, p. 296-297, n. 127.
4
Da ultimo, Agostiniani 2006, p. 117, nota 14.
5
Ribezzo 1923, 1928 e 1932.
6
Prosdocimi, in Prosdocimi-Agostiniani 1976-77, p. 246.

.
50 LUCIANO AGOSTINIANI

«questo» della «tegola» è solidale con iam (akaram) «questa (arce)»


dell’iscrizione della porta urbica, Agostiniani 1992, 1); sia per la pos-
sibilità di trovare riscontri in area italica per la struttura di dohit ; e
si aggiunga che im compare nell’iscrizione sudpicena sul cippo di
Cures (RI 1) 7. Se ne evince, perciò, che -es in rykev hazsyie[v è una
marca di nominativo 8 ; e lo stesso varrà per -es di resev anirev.

2. Quelle delle due «tegole» del Mendolito di Adrano non sono le


sole testimonianze di un’uscita in -es nell’onomastica personale della
Sicilia arcaica. Su una defixio greca degli inizi del V secolo a.C., pro-
veniente da una località imprecisata della Sicilia (Dubois 1989, 176),
compaiono, accanto a tre antroponimi genuinamente greci, Sı¥mē,
Leptı¥nav, Prajı¥av, altri tre antroponimi, scritti pratomakev, kykyiev
e araotev, tutti e tre con la stessa uscita. Mentre per kykyiev e arao-
tev non vi sono riscontri in ambito greco – per cui le basi onomasti-
che sono chiaramente 9 da assegnare ad una lingua anellenica10 –
pratomakev ha la struttura di un nome greco, Prato¥maxov (variante
dorica di Proto¥maxov), ma con due scarti rispetto a questo : uno fo-
netico (kappa al posto di chi), l’altro morfologico (-ev al posto di -ov).
Gli stessi due scarti dalla norma del greco si ritrovano nella sequen-
za eyrymakev che si legge nell’iscrizione dipinta su un’anfora dal cen-
tro indigeno ellenizzato di Montagna di Marzo (Agostiniani 1992,
18) : sequenza che si oppone alla forma canonica dell’antroponimo
greco, Eyßry¥maxov, esattamente come pratomakev a Prato¥maxov. Sia-
mo evidentemente di fronte all’adattamento di due nomi greci alla
fonetica e alla morfologia della lingua locale11. Che in -es vada vista,

Cfr. Agostiniani 1984-85, p. 219. L’iscrizione è frammentaria, ma la se-


7

quenza im si identifica senza incertezze (non fosse altro per la presenza di inter-
punzione tra parola e parola). Il conguaglio con im del Mendolito è proposto sia
dal primo editore del testo, Alessandro Morandi, sia da Anna Marinetti (1985,
p. 149 nota 101).
8
Naturalmente, questo implica che si interpreti l’iscrizione come testo di
dono, il che mi è sempre parso poco congruente con il supposto carattere funera-
rio delle “tegole”. A giustificazione, richiamavo in passato le condizioni che si ri-
scontrano in Etruria, dove l’istituto del dono può correlarsi agli ambiti funerari, e
tracce di tale correlazione possono riscontrarsi in iscrizioni tombali (Agostiniani
1980-81, p. 516-517). Lo studio di Cultraro (2004) appena citato, che dimostra la
destinazione non funeraria dei due manufatti, rimuove evidentemente (ed ele-
gantemente) la difficoltà.
9
Agostiniani 2006, p. 115.
10
Ciò è confermato, per kykyiev, dalla possibilità di confronto con la sequen-
za kykyov che, seguita da una forma dalla prima persona del verbo «essere» in
greco, hßmı¥, compare su un peso fittile dal centro indigeno di Terravecchia di Cuti
(Dubois 1989, 175a).
11
Agostiniani 2006, p. 115-116.

.
FORMULE ONOMASTICHE BINOMIE 51

in tutte e quattro le attestazioni, una marca morfologica di nomina-


tivo è fuori dubbio : nella defixio la presenza del nominativo, caso
delle forme di citazione, è secondo le aspettative (enumerazione di
personaggi), ed è positivamente riscontrabile nei nomi di stampo
greco; quanto a eyrymakev, è pura evidenza che, nel dettato del-
l’iscrizione di Montagna di Marzo, esso funzioni da soggetto del-
l’azione espressa dai verbo in -ed che segue.
A queste testimonianze di nomi con uscita in -es altre se ne ag-
giungono dal dossier epigrafico anellenico siciliano dell’area centro-
orientale. Intanto, l’iscrizione dell’anfora di Montagna di Marzo pre-
senta, subito prima di eyrymakev, una sequenza a Pev, vedi più avan-
ti. Inoltre, sempre a Montagna di Marzo, tra i graffiti su ceramica
della Tomba 31 (Agostiniani 1992, 14) compare una sequenza (sicu-
ramente isolabile come tale) scritta marev, su cui ritorneremo; e una
sequenza Poltev è con tutta probabilità isolabile nella citata iscrizio-
ne sulla kotyle di Grammichele (Agostiniani 1992, p. 140).

3. Tutto punta dunque verso il riconoscimento dell’esistenza,


nelle parlate anelleniche di Sicilia, di un’uscita in -es di nominativo.
La presenza di tratti italici nelle iscrizioni anelleniche dell’area stori-
camente attribuita ai Siculi12 rende, d’altro canto, ineludibile il con-
fronto con quanto si riscontra in area italica : dove del pari è attesta-
ta un’uscita in -es, sul cui valore si è sviluppata una complessa ed an-
nosa diatriba tra chi vi vede un’uscita di genitivo (variante
monottongata di -eis), e chi, invece, la ritiene una marca di nomina-
tivo (esito di un precedente *-yos). Un riesame di tutta la questione,
anche alla luce di una serie di nuove acquisizioni documentarie e er-
meneutiche, mi ha condotto (Agostiniani 2006) a distinguo abba-
stanza sottili (ma necessari in rapporto alla complessità della mate-
ria), che comunque non smentiscono il valore di nominativo conte-
stualmente evidente per i nomi in -es delle iscrizioni siciliane.

12
Agostiniani 1980-81, p. 514-517; 1984-85, p. 204-207; 1992, p. 139-140;
2006, p. 113-115. Ne allineo qui alcuni dei più evidenti (e meno controvertibili).
L’iscrizione della porta urbica ha corrispondenze con il lessico istituzionale itali-
co nei termini toyto e Perega- (nonché, per designazione anche se non per etimo-
logia, in akara-) e presenta una probabilissima forma verbale in -ed, geped ; la
stessa uscita verbale in -ed è presente in due occorrenze nella citata iscrizione
dell’anfora di Montagna di Marzo e in quella, anch’essa già citata, di della kotyle
di Grammichele; l’iscrizione sulla stele di Sciri (Agostiniani 1992, 7) ha un Pide
che richiama il videtas dell’iscrizione sudpicena della stele di Bellante (TE 2),
massime se optiamo per una delle ipotesi interpretative di Adiego Lajara (1995,
p. 136-137), che cioè la sequenza vada segmentata /wide : ta :s/ ‘velas, míralas’;
nella stessa iscrizione di Sciri si legge tebeg, sovrapponibile al tefeí ‘a te’ del-
l’iscrizione sudpicena ST Sp TE 7 e al tefeh di ST Sp CH 2 e solidale, sotto il profi-
lo pragmatico, con il Pide appena considerato.

.
52 LUCIANO AGOSTINIANI

4. Rimandando al succitato lavoro per un panorama completo


della questione, in questa sede vorrei limitarmi all’esame della testi-
monianza offerta dalle iscrizioni delle due «tegole» del Mendolito di
Adrano. Una sequenza come rykev hazsyie[v si presenta con l’evi-
denza di una formula onomastica bimembre (al pari di quella del-
l’altra «tegola», resev anirev)13 ; e altrettanto appare evidente14 la
prossimità strutturale di rykev hazsyiev a sequenze onomastiche
osche di ‘prenome + gentilizio’, del tipo Stenis Kalaviis (ST Sa 22,
Isernia) se in alfabeto encorico, Steniv Titidiev (ST Po 164, Rossano
di Vaglio) se in alfabeto greco. Anche la formula bimembre rykev
hazsyiev del Mendolito andrà dunque letta alla stessa maniera : un
primo elemento onomastico, seguito da un secondo elemento che lo
determina, e nel quale non necessariamente va visto un gentilizio15.
Ancora più stringente sul piano formale è il confronto con le for-
mule onomastiche riscontrabili in un cospicuo gruppo di iscrizioni
di VI-V secolo a.C. (dunque cronologicamente coerenti con quelle
del Mendolito di Adrano), quali il uelaimes staties della stele sud-
picena di Crecchio (ST Sp CH 1 B), il luvcies cnaiviies dell’iscrizione
presannitica della kylix di Nola (ST Ps 13) e il p[-]les adaries del-
l’iscrizione, anch’essa presannita, dell’oinochoe di Vico Equense (ST
Ps 5). Se, come ritengo proponibile, la pregiudiziale di un possibile
valore genitivale di queste attestazioni arcaiche dell’uscita in -es va
rimossa16, e il tipo uelaimes staties è solidale con il tipo Stenis Kala-
viis /Steniv Titidiev, allora le attestazioni arcaiche mostrano uno svi-
luppo difforme da quello delle attestazioni osche. Per queste ultime,
non c’è motivo di non rifarsi alla spiegazione tradizionale, sostenuta
da Buck e da Lejeune17, secondo la quale -is di Stenis è da *-yos, e
-iis/-iev di kalaviis e Titidiev sono da *-iyos, in ambedue i casi18 per

13
Incidentalmente, si dirà che la sicura finale in -v del secondo elemento
onomastico motiva sufficientemente l’integrazione in hazsyie[v.
14
Agostiniani 1984-85, p. 205.
15
Cristofani 1993 vi vede piuttosto un patronimico.
16
Agostiniani 2006, p. 122-125. Si aggiunga l’*apaes pumpúnies che si ricava
dal confronto della stele di Loro Piceno (ST Sp MC 1 : apaes) con il cippo di Mo-
gliano (ST Sp MC 2 : esmín apais po[m]pú[n]ies uepetín) e il *tites alies di Bellan-
te (se si accoglie l’emendamento, assai suggestivo, di Meiser 1997, p. 118). Le due
formule mamerces huśinies e cnaives flaviies presenti nelle iscrizioni su due kyli-
kes, sempre da Nola (rispettivamente, ST Ps 11 e Ps 14) mostrano di avere la stes-
sa configurazione strutturale, ma la loro attribuzione linguistica è incerta (Ago-
stiniani 2006, p. 122-124).
17
Buck 1928, p. 35, 60-61; Lejeune 1976, p. 76. Un po’ grossolanamente, ma
con una certa efficacia descrittiva, per il fenomeno in questione viene talvolta im-
piegata l’etichetta di «samprasārana».
18 ˙
Sulla variazione areale che tocca gli esiti di *-iyos (ma non quelli di *-yos),
per cui si ha -iis al centro dell’area linguisticamente italica, -ies/-iev a nord e a sud
di questa, vedi Agostiniani 2006, p. 133.

.
FORMULE ONOMASTICHE BINOMIE 53

effetto del fenomeno, generale in italico, della sincope della vocale


finale di fronte ad s. Ma nel caso della formula rykev hazsyiev (e ue-
laimes staties) una trafila del genere giustifica la terminazione del
secondo elemento della formula, ma non quella del primo, che si
presenta come -es/-ev invece dell’atteso -is/-iv. A mio avviso, una ipo-
tesi non irragionevole è quella di una omologazione delle due uscite
dei nomi presenti nella formula onomastica : NOME-is + NOME-ies >
NOME-es + NOME-ies. Se così è, l’oscillazione, in area sudpicena, tra
apais di Loro Piceno e apaes di Mogliano (vedi sopra, nota 16) può
rappresentare l’oscillazione tra una forma conservativa e una inno-
vativa.

5. Individuato in rykev hazsyiev il modulo formulare bimembre


caratteristico dell’onomastica italica, si pone il problema di quanto
questo modulo sia diffuso nel complesso della documentazione epi-
grafica anellenica di Sicilia. Ovviamente, c’è da considerare, prima
di tutto, la presenza di resev anirev sull’altra «tegola» del Mendoli-
to (vedi sopra) : le differenze con il tipo di rykev hazsyiev (da consi-
derare parallele a quelle che, in ambito osco, oppongono il tipo Ste-
nis Kalaviis /Steniv Titidiev al tipo Stenis Buttis di ST Cm 14) non
toccano il fatto che, anche qui, si ha a che fare con una formula
onomastica bimembre, del pari qualificabile come di stampo itali-
co. Ed è possibile che una formula onomastica del genere si trovi in
un’altra iscrizione del Mendolito di Adrano, la summenzionata
iscrizione della porta urbica. La prima riga dell’iscrizione suona iam
akaram epopaska agiiev geped. Se, come ritengo, il soggetto del-
l’azione espressa dalla forma verbale geped (vedi sopra) ed esercita-
ta in rapporto all’arce (iam akaram, accusativo : «quest’arce») è da
riconoscere nella sequenza epopaska agiiev, e se si accoglie una
suggestiva proposta di Aldo Prosdocimi, che vede in epopaska un
nome personale (un composto, calco di denominazioni greche di
analoga formazione, e che si rifanno alla menzione del cavallo), al-
lora potremmo considerare che anche in epopaska agiiev si abbia
una designazione antroponimica bimembre, nella quale un secondo
elemento – che mostra, significativamente, una struttura morfologi-
ca analoga a quella del secondo elemento di rykev hazsyiev – è pre-
ceduto da un primo nome, la cui natura di composto nominale tro-
va una motivazione nella pressione culturale dell’onomastica greca
su quella locale.

6. Il resto delle iscrizioni anelleniche di Sicilia è senz’altro lonta-


no dalle condizioni di evidenza italica che caratterizzano le designa-
zioni antroponimiche del Mendolito. Laddove l’interpretazione dei
testi permette di individuare designazioni di personaggi (il che è
lungi dal verificarsi sempre) queste si presentano per lo più sotto la

.
54 LUCIANO AGOSTINIANI

forma del nome unico. I pochi casi reperibili di strutture bimembri,


sia nelle iscrizioni dell’area «sicula», sia in quelle dell’area elima, so-
no tutti, qual più qual meno, di qualificazione problematica.

6.1. Per l’area «sicula», condizioni morfostrutturali analoghe a


quelle rilevate al Mendolito sembrano presentarsi in una delle due
designazioni antroponimiche della citata iscrizione dell’anfora di
Montagna di Marzo, e cioè a Pev eyrymakev (Agostiniani 1992, p. 131-
132, 152 n. 18) : le finali dei due elementi della formula sono quelle
attese (massime se ci rifacciamo al tipo di resev anirev, vedi sopra),
e la presenza di un nome greco (in morfologia locale) come determi-
nante nel secondo elemento si spiega, di nuovo, come dovuto al con-
tatto linguistico-culturale. La congruenza con quanto al Mendolito
non stupisce, dato il carattere marcatamente italico che segna, ana-
logamente a come avviene al Mendolito, le iscrizioni di Montagna di
Marzo (a cominciare dalla presenza di un antroponimo italo in due
dei graffiti della tomba 31 : Agostiniani 1992, p. 131-132, 151 n. 17).
Ma non mancano problemi di interpretazione del testo (che non
possiamo affrontare in questa sede), e questo già al livello dei rico-
noscimento delle unità costitutive; e d’altro canto a Pev (ammesso
questa sia la forma del primo elemento della formula) non pare tro-
vare confronti diretti tra i nomi attestati nelle iscrizioni italiche (ma
la base è largamente presente nell’onomastica etrusca).
Nella stessa Montagna di Marzo figurano altre possibili occor-
renze di formule onomastiche bimembri : ma in condizioni di anco-
ra maggiore incertezza rispetto alla testimonianza dell’anfora dipin-
ta. Tra i graffiti della succitata tomba 31 compare due volte la se-
quenza marev kakami (Mussinano 1970, p. 172, n. 3; p. 173-174, n. 4),
una volta la sequenza marev kaka (Mussinano 1970, p. 171-172, n. 2),
due volte la sequenza ara kakami (Mussinano 1970, p. 174 n. 5;
p. 175-176, nn. 7-8). Se – come sembra indicare il confronto tra ma-
rev kakami e marev kaka, e come suggerisce il formulario delle coeve
(prima metà del V secolo a.C.) iscrizioni greche e non greche del-
l’Isola – in mi va vista una forma della prima persona singolare del
presente del verbo «essere»19, la formula onomastica sarebbe costi-
tuita, rispettivamente, da marev e ara (il primo con possibilità di ri-
chiamare un tema onomastico italico : Marev < *Maryos, con finale
in -ev per la quale è proponibile la trafila fonetica individuata sopra
per la finale di rukes) 20, seguiti da un determinante Kaka, non me-
glio qualificabile.

19
Agostiniani 1980-81, p. 517.
20
Agostiniani 1984-85, p. 200-201.

.
FORMULE ONOMASTICHE BINOMIE 55

Sempre all’interno dell’area «sicula», formule onomastiche bi-


membri sembrano documentate nei centri indigeni della zona degli
Iblei. Così l’incipit della stele di Sciri (Agostiniani 1992, p. 131, 148
n. 7) : nendav pyrenov (la lettura di pyrenov è tutt’altro che indubita-
bile per la parte centrale, ma assicurata per l’inizio e la fine della se-
quenza); così la stele di Licodia Eubea (Agostiniani 1992, p. 131, 150
n. 12) con adiomiv raroio ; e così il graffito ypei pinigoi emi sulla kylix
attica dalla tomba 19 di Grammichele, di recente acquisizione (Ago-
stiniani-Cordano 2002, p. 85-87).
Una qualificazione della formula bimembre in queste iscrizioni
si scontra con difficoltà diverse e a più livelli. Per Licodia Eubea e
Grammichele esiste, preliminare, il problema della attribuzione lin-
guistica. La sequenza adiomiv raroio può certamente qualificarsi co-
me testo in una lingua non greca, costituito da un nome personale
Adiomiv seguito da una determinazione al genitivo, Raroio, con fina-
le -oio per la quale si potrebbe richiamare l’uscita -osio del latino-
falisco 21; ma nemmeno si può escludere che – come suggeriva Lejeu-
ne 22 – Raroio non sia nient’altro che il genitivo in -ō di un antroponi-
mo *Raroiov, e che quindi il testo sia in greco. Quanto a ypei pini-
goi di Grammichele, una interpretatio graeca del testo – a onta del
carattere aberrante, rispetto alla tradizione formulare greca, della
codificazione del possesso attraverso il dativo e non il genitivo : da
imputare, presumibilmente, a un effetto del contatto linguistico tra
Greci e indigeni 23 – è comunque da ritenere, in partenza, metodolo-
gicamente preferenziale. L’onomastica. però, non sembra greca; e
d’altro canto, in positivo, appare proponibile per il primo elemento
della formula, ypei, un confronto con l’antroponimo Kupe / Qupe,
ampiamente presente, con funzione di nome personale, nelle coeve
iscrizioni etrusche di Campania, per esempio Qupes (Fuluśla) di ET
Cm 2.46 o Cupes (Alurnas) di ET Cm 2.13, per non citare che due
delle molte occorrenze.

6.2. Come annunciato sopra, anche nelle iscrizioni dell’area eli-


ma si riscontra, per lo più, la presenza del nome unico. Le designa-
zioni antroponimiche nelle quali, viceversa, possiamo riconoscere
una formula onomastica bimembre sono due. Sulla prima, IAS
I 319 : atai tykai (emi) grava un tasso di incertezza. Non è impropo-
nibile, in effetti, una segmentazione ataitykai – (emi), che porterebbe
alla identificazione di un nome unico Ataityka. Ma la prima seg-
mantazione, con riconoscimento di una sequenza Ata* Tyka*, si

21
Paino 1958, p. l63-168.
22
Lejeune 1970, p. 21-22.
23
Agostiniani 1999, p. 439-442.

.
56 LUCIANO AGOSTINIANI

raccomanda sia per fatti interni (atai : tykai), sia per la possibilità di
richiamare l’antroponimo Atov documentato a Selinunte : la comu-
nanza onomastica tra Segesta e Selinunte è ben nota 24, e nello speci-
fico Ata starebbe a Atov come Иotyla* (Segesta, IAS I 289 e 317) a
Иotylov (attestato nella “grande defixio di Selinunte”, Dubois 1989,
38 : 475-450 a.C.). La seconda formula onomastica bimembre del-
l’area elima – questa, accertata – è IAS I 322 : titelai metiaai, il cui
primo elemento trova, di nuovo, confronti nell’epigrafia selinuntina
coeva (Titelov, sempre nella “grande defixio di Selinunte”), con lo
stesso rapporto formale (Titela* elimo : Titelov selinuntino) che le-
ga Ata* e Иotyla* ai corrispondenti nomi selinuntini. Il nome Tite-
lov compare anche nell’onomastica greca di Segesta di II-I secolo
a.C. : IG XIV 291 : ... Tı¥ttelov Artemidw¥roy ... e 287 : Diw¥dorov Ti-
te¥lov Appeiraı̃ov ..., qui con accertata funzione di nome personale :
il che può sostenere l’ipotesi che la stessa funzione vada attribuita al
Titela della formula elima, e che di conseguenza per il secondo ele-
mento della formula si possa proporre la funzione di specificatore,
che l’accordo configura come aggettivale (formante *-yo-?).

Luciano AGOSTINIANI

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Agostiniani, L. 1977 Iscrizioni anelleniche di Sicilia, I, Le iscrizioni elime, Fi-


renze (= IAS I).
Agostiniani, L. 1980-81 Epigrafia e linguistica anelleniche di Sicilia : prospetti-
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di un quadriennio, in Kokalos 30-31, p. 193-222.
Agostiniani, L. 1992, Les parlers indigènes de la Sicile prégrecque, in Lalies.
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«Kokalos» 45, p. 427-448.
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Buck, C. D. 1928, A grammar of Oscan and Umbrian, Boston.

24
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.
FORMULE ONOMASTICHE BINOMIE 57

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son, The Pre-Italic Dialects of Italy, II, Oxford, p. 431-500, 540-543.

.
DOMENICO SILVESTRI

LE METAMORFOSI DELL’ACQUA
IDRONIMI E ISTANZE DI DESIGNAZIONE IDRONIMICA
NELL’ITALIA ANTICA

a¶riston [...] y™dwr


Pindaro, Olimpica I, 1

«Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,


la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta».
Francesco d’Assisi, Laudes creaturarum, 15-16

«L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò


e la prima di quella che viene. Così il tempo presente».
Leonardo da Vinci, Pensieri, 35

dedicato alla memoria di Helmut Rix per i suoi


Bausteine zu einer Hydronymie Alt-Italiens
(Heidelberg, 1950) e per molto altro ancora

Premesse terminologiche e metodologiche

Nozione di «istanza di designazione»


Per questa nozione, che costituisce il presupposto epistemologi-
co su cui si fonda il mio accostamento all’argomento proposto, rin-
vio a miei lavori, più e meno recenti, nei quali cerco di definire una
mappa cognitiva della storicità dei fatti di lingua, riconducibili ad
«istanze» (la lingua nel suo darsi semiotico, biplanare e idiosincrati-
co) e «circostanze» (i contesti di produzione linguistica, da indivi-
duare come presupposizioni metaculturali; gli accostamenti dei lin-
guisti, da certificare come assunzioni di pertinenze metalinguisti-
che)1. Riporto qui di seguito la mappa cognitiva, precisando che una

1
Cfr. D. Silvestri, Storia delle lingue e storia delle culture, in R. Lazzeroni (a

.
62 DOMENICO SILVESTRI

sua lettura «orizzontale» da sinistra a destra individua percorsi di


specificazione (la lettura opposta, ugualmente legittima, formalizza
percorsi di generalizzazione), mentre una sua lettura «verticale» dal-
l’alto verso il basso permette di riconoscere la simultaneità delle
istanze e la correttezza della pertinenza rispetto alla presupposizione
di partenza (la lettura opposta, ugualmente legittima, permette inve-
ce, fermo restando il riconoscimento della simultaneità delle istanze,
di individuare una certa presupposizione a partire da una pertinenza
correttamente assunta). La complessità procedurale di questi per-
corsi cognitivi è solo apparente : in ogni caso essi aspirano ad essere
risposte adeguate (non dico : esaurienti) ad una complessità reale,
che è quella storica, istituzionale e situazionale dei fatti di lingua.

PERCORSI COGNITIVI

Presupposizioni metaculturali contesti storici contesti istituzionali contesti situazionali


Istanze semiotiche simboli icone (diagrammi) indici
Istanze di strutturazione unità sintagmi testi
Istanze di rappresentazione designazioni significazioni comunicazioni
Istanze linguistiche sistemi norme processi
Pertinenze metalinguistiche sintattiche semantiche pragmatiche

Il metodo della «morfoanalisi»


Anche per questo metodo rinvio ad un mio contributo preceden-
te 2, nel quale ho affrontato il problema dei dati onomastici «opa-
chi», cioè morfologicamente non perspicui e pertanto apparente-
mente non percorribili sul piano etimologico, riconoscendo a dati di
ricorsività sequenziale nel corpo del segmento significante un potere
indiziario ed euristico prezioso per motivate illazioni etimologiche.
Nel caso degli etnici (e dei toponimi) dell’Italia antica di dubbia o
non definita indeuropeità è possibile individuare ricorsività fonotat-
tiche, che portano al riconoscimento in prima sede (1.) di un nucleo
designativo di base con schema CVC (varianti possibili : -VC, CV-,
C-C, dove il segno – marca possibili cancellazioni fonotattiche), in
seconda sede (2.) di una vocale «tematica» V (a volte apparentemen-
te cancellata), in terza sede (3.) di una consonante C, in quarta sede
(4.) o di un’ulteriore vocale V o di una diversa consonante additiva
C, a cui segue eventualmente ulteriore morfologia derivativa e ne-
cessariamente eventuale morfologia flessionale delle lingue di arri-

cura di), Linguistica storica, Roma, 1987, p. 55-85; La lingua come istanza di rap-
presentazione : designazioni, significazioni, comunicazioni, in E. Fava (a cura di),
Teorie del significato e della conoscenza del significato, Milano, 2001, p. 15-39.
2
Cfr. D. Silvestri, I «nomi nazionali» nell’Italia antica : morfoanalisi e proto-
storia onomastica, in Incontri Linguistici, 18, 1995, p. 105-120.

.
LE METAMORFOSI DELL’ACQUA 63

vo. In questo modo è possibile individuare, a prescindere da «riscrit-


ture» morfologiche seriori, il seguente

SCHEMA MORFOTATTICO SOGGIACENTE

1.CVC (-VC, CV-, C-C). + 2.V (-). + 3.C. + 4.V./C. + [morfologia derivativa
e/o flessionale delle lingue di arrivo]

1. ESEMPI DI ISTANZE DI DESIGNAZIONE IDRONIMICA

1.1. Profondità del corso


Scelgo l’esempio emblematico di Padus e Bodincus (Gallia Tran-
spadana), riguardo al quale invito ad una «rilettura» di Plinio, N.H.
III, 122 :
Pudet a Graecis Italiae rationem mutuari, Metrodorus tamen Sce-
psius dicit, quoniam circa fontem arbor multa sit picea, quales Gallice
vocentur padi, hoc nomen accepisse, Ligurum quidem lingua amnem
ipsum Bodincum vocari, quod significet fundo carentem. Cui argu-
mento adest oppidum iuxta Industria vetusto nomine Bodincomagum,
ubi praecipua altitudine incipit.
L’interpretatio pliniana, che sposta l’attenzione dal presunto fito-
nimo gallico padus, ad una non meglio precisata pertinenza lingui-
stica ligure, a cui segue l’importante (ed evidenziata) motivazione
semantica (quod significet fundo carentem) non ci esime – proprio a
partire da quest’ultima – dal ricercare invece una base etimologica
celtica, ad es. irl. bond «pianta del piede», gall. bon «base», cfr. lat.
fundus, che nel caso di un presumibile *bo(n)din-, con valore agget-
tivale del derivato in -in- (cfr. BELINO AUG. CIL III 4474 con il valore
di «praeclarus» da celt. *bel- «chiaro, lucente»), avrebbe subito la
dissimilazione regressiva di -n- anteconsonantica. Ma Plinio, per po-
ter parlare di «carenza di fondo», dovuta appunto alla profondità
del corso, deve aver necessariamente riconosciuto nell’idronimo un
ulteriore valore aggettivale, proprio di una presunta ulteriore deriva-
zione in -cus, quest’ultima specifica delle formazioni latine del tipo
caecus, luscus, mancus studiate a suo tempo da Saussure 3. Con que-
sto voglio dire che Plinio, con la sua doppia competenza gallica e la-
tina, ha finito per fare un’agnizione gallolatina dell’idronimo in que-
stione, che originariamente doveva suonare *Bodinus (cfr. per il tipo
Ticinus), «che ha fondo», ma che in bocca latina è stato ridetermi-

3
Cfr. Recueil des publications scientifiques, Genève, 1922, p. 595-599 (già ap-
parso nella Festschrift für Vilhelm Thomsen, Lipsia, 1912, p. 202 s.).

.
64 DOMENICO SILVESTRI

nato ed enfatizzato come «quello a cui (quasi) manca il fondo, il


senza fondo (apparente)», data la sua vistosa e quasi topica «profon-
dità». Se si accede a questa mia spiegazione, assume nuova «luce»
(si fa per dire!) il «famigerato» lucus a non lucendo, che non è desi-
gnazione enantiosemantica, come è stato frettolosamente detto e su-
pinamente ripetuto, ma è ulteriore prova della vigenza derivativa del
suffisso -cus (il lucus è in tal senso, nella competenza linguistica lati-
na, non il luogo del tutto privo di luce, bensì quello scarsamente illu-
minato). In realtà il fondamento etimologico di lucus sta proprio nel
riferimento alla «luce» in quanto allude, in prima istanza designati-
va e a quota indeuropea, alla «radura», luogo di pratiche religiose
nel «bosco sacro», valore semantico quest’ultimo che si spiega facil-
mente per contiguità metonimica 4. Di fronte a questa constatazione
corre l’obbligo di porsi il problema delle «riletture» morfosemanti-
che che si fanno, di volta in volta, di nomi comuni e propri : un lu-
cus, di «luminosa» profondità indeuropea, diventa un «a non lucen-
do» di storicità latina; un Bodincus di morfologia ligure (o «medi-
terranea» : -nk-!) è riletto come «fundo carens» secondo una
competenza linguistica di identica contestualizzazione storica. Re-
sta il problema del nome Padus, che non è separabile da Bodincus,
ma presenta, nel presumibile nucleo designativo comune, variazioni
nel consonantismo (p-!) e nel vocalismo (-a-!). In questo caso siamo
probabilmente in presenza di riformulazioni fonetiche assai più an-
tiche, la prima legata alla ben nota oscillazione «sorda/sonora» pro-
pria e specifica del consonantismo di area mediterranea, la seconda
che ricorda (?) l’allargamento di ŏ in a di area germanica (ma con
evidenti radicamenti paleuropei). Anche queste ultime considerazio-
ni ci invitano a non sottovalutare la complessità del plurilinguismo
preistorico e protostorico con indubitabili (ma non sempre bene in-
dagati) riflessi nella costituzione del thesaurus idronomastico del-
l’Italia antica.

1.2. Colore del corso

«Nero, scuro»
Ottimi rappresentanti di una più ampia serie idrocromonimica
sono Aesontius (Venetia et Istria), Aesar (Etruria), Aesis (Umbria),
Aesarus (Bruttium). L’impostazione etimologica del problema è

4
Per una designazione congruente cfr. sanscrito loká- m. «spazio libero,
mondo (in quanto «luogo della luce»)», lituano laũkas «campo» e il francese clai-
rière «radura», che è replica neolatina dell’appellativo gallico belsa «radura» atte-
stato da Virgilio grammatico (4, 20), a sua volta connesso con *belos «chiaro» (v.
sopra).

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LE METAMORFOSI DELL’ACQUA 65

quella devotiana 5 : nell’esauriente rassegna svolta dal grande studio-


so emergono due (apparentemente) distinti valori referenziali, «ne-
ro, scuro» e «luminoso > sacro», che, a mio giudizio, sembrano da
un lato porre il problema di una risposta «perimediterranea» con -s-
per gli esiti perindeuropei di i.e. *aidh- 6, dall’altro sembrano adom-
brare la possibilità di una coesistenza enantiosemantica tra «nero» e
«luminoso > sacro». Riguardo a questa possibilità faccio notare che
essa è puramente illusoria, in quanto i.e. *aidh- ricopre tutte le
istanze fenomeniche della «combustione», dallo splendore della
fiamma ardente al nero opaco del materiale (soprattutto ligneo) bru-
ciato, specializzandosi in area mediterranea nel primo caso nella
sfera del «sacro» (cfr. etrusco aisar «dei»), nel secondo in quella del
«profano» (cfr. Aesar, sempre in Etruria, idronimo applicato ad un
fiume dalle acque presumibilmente scure). Degna di nota è l’ipotesi
di una originaria istanza cromonimica indiziata dalla formazione in
-r-, in quanto essa ci riporta ad un processo derivativo di quota in-
deuropea 7.

Aquilo (Apulia et Calabria), corso d’acqua più propriamente apu-


lo (a sud di Luceria), trova un immediato confronto con lat. aquilus,
aggettivo con i valori di «bruno, scuro, etc.» (cfr. pure in prossimità
delle sue sorgenti l’ecotoponimo Mutatio Aquilonis e, non molto lon-
tano, in area irpina, l’importante sito di Aquilonia) 8. Proprio que-
st’ultimo toponimo ci ripropone, a partire da una derivazione prima-
ria *aqu-il- (con suffisso latamente valutativo), una formazione in
-on-, frequente in idronimi (cfr. ad esempio Frento, in immediata
contiguità areale, e – più da lontano – Savo in Campania, Anio, nel
Latium Vetus, Minio e Umbro, in Etruria, Rubico, in Emilia, etc.). Su
alcuni di questi (Minio e Rubico) tornerò tra breve per le loro più o
meno evidenti implicazioni cromonimiche. Per quanto concerne il
nucleo designativo di base (aqu-), oltre alle sue evidenti implicazioni
cromonimiche (cfr. pure l’ornitonimo aquila, uccello dal piumaggio

5
Cfr. G. Devoto, AIS- etrusco e AIS- mediterraneo, in SE, 5, 1931, p. 299-316,
sp. p. 303.
6
Cfr. H. Rix, op. cit., p. 190, che affronta anche il problema della derivazio-
ne in -r- nel caso di alcuni di questi idronimi.
7
Su queste tematiche rinvio ai miei lavori Per un’etimologia del nome Italia,
in AIWN, 22, 2000, p. 215-254, apparso anche in M. Bugno e C. Masseria (a cura
di), Il mondo enotrio tra VI e V secolo a.C. Atti dei seminari napoletani (1996-1998,
Napoli, 2001, p. 207-238, e Origine e fortuna del nome Africa, in Giornata di studio
con Ida Baldassarre (= Annali di Archeologia e Storia Antica, n.s. 8, 2001, p. 21-24).
8
L’aggettivo latino si applica con una certa ricorsività al colore della pelle
umana, cfr. Svetonio, Aug. 79 : colorem inter aquilum candidumque («il suo colo-
rito stava tra il bruno e il bianco» tr. di Felice Dessì).

.
66 DOMENICO SILVESTRI

scuro, e l’anemonimo aquilo (formazione in -on-!), vento del nord (si


ricordino le specifiche implicazioni cromonimiche di tutta l’area set-
tentrionale nel mondo antico!), va considerata la possibilità che sia
Aquileia (regio X) sia il gentilizio Aquilius (e il suo correlato etrusco
Acvilna!) rientrino nella nostra serie 9. Ma c’è di più : credo di aver di-
mostrato, qualche anno fa10, che tutta una serie toponomastica del-
l’Italia antica a base *ak(h)- rappresenta uno strato più arcaico di
quella a base *aqu- ma in una condizione di identità del nucleo desi-
gnativo. L’idea ispiratrice di base o prototipica è sempre e in ogni ca-
so il riferimento alle nozioni di «nero, scuro».

A queste nozioni si rifà anche Aternus, fiume prima sabino, poi


vestino, poi peligno, infine marrucino11, che si confronta agevolmen-
te con lat. ater, il cui riferimento cromonimico al «nero» si integra
con il tratto negativo di «non lucente». In realtà lat. ater rappresenta
un’ulteriore replica, in condizioni diatopiche diverse, del già esami-
nato i.e. aidh-, di cui conferma i valori già individuati12. La deriva-
zione in -no- in questo caso con apparente funzione valutativa («il
nerastro»? Ma v. avanti!), ci porta alla ragionevole ipotesi di una
«rilettura» o risegmentazione morfologica sicuramente già antica,
secondo un paradigma derivativo «mediterraneo» (formazioni in
-rn-!) esemplificato da toponimi come Minturnae tra gli Aurunci, Fa-
lernus (ager) e Avernus (lacus) in Campania, Volturnus fiume pari-
menti campano; a questi aggiungerei il mons Taburnus di area irpi-
na, il Tifernus (flumen) di area frentana e, ancora, Salernum, noto
ecotoponimo di area campana, a cui si affianca subito Aesernia
(odierna Isernia del Molise), etc. Il paradigma qui evocato ha riscon-
tri toponomastici antichi extra-italiani e moderni13 e pone con forza
il problema del valore morfosemantico più antico del primo elemen-
to derivativo -r- in presumibili protoforme *Mintur, *Faler, *Aver,
*Voltur, *Tabur, *Tifer, *Saler, *Aeser, la cui legittimazione predocu-

9
Sul carattere equifunzionale dei due nomi cfr. C. de Simone, Etrusco Ac-
vilna – latino Aquilius. Un problema di intercambio onomastico, in La Parola del
Passato, 247, 1989, p. 263-280.
10
Cfr. Acerrae e Volturnum : due istanze toponomastiche nella protostoria lin-
guistica della Campania in D. Silvestri (a cura di), Lineamenti di storia linguistica
della Campania antica. I. I dati etnotoponomastici, Napoli, 1986, p. 65-80.
11
Con riscontri documentari italici di area sabina : cfr. ...(?)/ mesene / flusa-
re/ poimunien/ atrno/ aunom/ hiretum (Ve. 227).
12
Cfr. il mio lavoro sull’etimologia del nome Africa citato alla nota 7.
13
Cfr. per una sommaria rassegna C. Battisti, Sostrati e parastrati nell’Italia
preistorica, Firenze, 1959, p. 340-341, che opportunamente segnala che «nel caso
della formante di -rn- è probabile la composizione di due elementi». Su questa
modalità di risegmentazione derivativa, di quota decisamene protostorica, rinvio
alle mie considerazioni svolte nel lavoro citato alla nota 2.

.
LE METAMORFOSI DELL’ACQUA 67

mentaria sembra per altro scaturire dall’esistenza di toponimi come


Tibur nel Latium Vetus (con il derivato Tiburnus!), Anxur (antico
nome di Terracina, con il derivato Anxurnus!), Voltur (mons) del-
l’Apulia (per il quale si confronti l’anemonimo Volturnus!). L’ipotesi
più ragionevole, che trova conforto nei plurali etruschi del tipo cle-
nar «figli», aisar «dei» e, più latamente, nel cosiddetto «plurale me-
diterraneo» presumibile in formazioni in -ara studiate a suo tempo
da Vittorio Bertoldi14, è che qui siamo in presenza di una designazio-
ne generica di collettivo, nel caso del nostro idronimo «le (acque)
nere o scure» (cfr. per una formazione analoga l’idronimo Aesar di
area etrusca, v. sopra).

Merula è un corso d’acqua della Liguria (Plinio, N.H. 3, 48), che


si presenta come omofono del lat. merula «merlo», l’uccello «nero»
per eccellenza (cfr. ingl. blackbird, etc.). In ambedue i casi il riferi-
mento cromatico non è immediatamente evidente, ma lo diventa se
ci si ricorda che me¥ropev è in Omero un (finora) enigmatico epiteto
di a¶nuropoi, il cui valore cromonimico («gli oscuri, i senza nome»)
sembra ricevere attraverso questo epiteto una sorta di «glossa di tra-
duzione». Per tutta la problematica rinvio ad un mio lavoro di qual-
che anno fa15, qui limitandomi a far notare che il suffisso di valutati-
vo -ul- ci autorizza a presupporre una significazione lessicale che si
può rendere con la nozione di «nerastro». Tra breve vedremo (nel
caso di Mefula, v. sotto) come questo genere di formazioni si inseri-
sca in una sfera «laica»16 in cui rientra anche Albula (v. sotto).

«Rosso»
Il fiume Rubico (Aemilia) è a tutti noto per il suo epocale attra-
versamento. Il confronto con lat. ruber sembra scontato con eviden-

14
Cfr. V. Bertoldi, Plurale mediterraneo in residui fossili in Mélanges de lingui-
stique offerts à Jacques Van Ginneken à l’occasion du soixantième anniversaire de
sa naissance, Parigi, 1937, p. 157-169.
15
Cfr. a¶nurwpov : un’etimologia (im)possibile? in R. Ambrosini et al. (a cura
di), Scríbthair a ainm n-ogaim. Scritti in memoria di Enrico Campanile, Pisa,
1997, p. 929-986 (sp. p. 970-971).
16
Nella sfera «religiosa» rientrano invece le formazioni del tipo Mefitis, noto
teonimo italico che presenta lo stesso nucleo designativo di base. Se ci si ricorda
dell’esistenza di un toponimo Mifinum, anch’esso di sfera «laica» (come Mefula!),
si può ulteriormente rintracciare questo rapporto tra «sacro» e «profano» nella
coppia Curitis, teonimo, e Curinus, etnico, poi epiteto di Marte ed Ercole. L’origi-
naria valenza di etnico (ma con la stessa morfologia del toponimo Mifinum!) è
confermata dall’odierno agiotoponimo Sant’Arcangelo dei Coreni, identificato da
A. La Regina in area vestina. Per Mefitis rinvio alla mia nota su AIWN, 4, 1982,
p. 261-266.

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68 DOMENICO SILVESTRI

te allusione al colore delle acque. L’assenza di -r- (cromonimica!)


dopo la -b- può essere frutto di dissimilazione in condizioni di conti-
guità sillabica e di un presumibile forte accento iniziale, ma può an-
che essere primaria, se si considerano le forme latine che ne sono
sprovviste (specialmente gli aggettivi rubeus «rosso, rossiccio», in
Varrone e Columella, e rubidus «rosso cupo, rosso fosco o bruno» di
Plauto e Svetonio.
In una sfera cromatica estremamente simile rientra l’idronimo
Minio (a sud di Tarquinia, nell’Etruria meridionale), anche Munio
(Etruria), cfr. Minius fluvius Galiciae nomen a colore pigmenti sum-
psit Isidoro 13,21,32 e 19,17,7. Un odierno affluente dell’Arno di
area fiorentina, il Mugnone, non può non avere la stessa origine. Si
noti la sintomatica ricomparsa del procedimento derivativo già se-
gnalato.

«Bianco, biancastro»
In questa sfera cromatica rientra l’idronimo Albula (Picenum,
Latium), cfr. lat. albus. Per il problema delle acque sulfuree, notoria-
mente biancastre, e della loro denominazione «laica» contrapposta
a quella «sacra» si vedano i già trattati Mefula (toponimo della Sabi-
na) e il teonimo Mefitis.

«Bianco, grigiastro»
Assai interessante è Casuentus (fiume della Lucania, forma con-
corrente : Ka¥sav), cfr. lat. cascus «vecchio (sc. con i capelli bian-
chi)» e canus «bianco, dai capelli bianchi, canuto», inoltre con lo
stesso significato pel. casnar «vecchio, testa grigia) con ricomparsa
dell’elemento derivativo -r-. Nel confronto rientrano anche i Casuen-
tini dell’alto corso dell’Arno, che indiziano un corrispondente idroni-
mo per questo fiume e forse anche Casilinus (Campania), che indica
il corso mediano del Volturno. Cfr. pure en urbid Casontonia del-
l’iscrizione di Caso Cantovius, secondo la proporzione Casuentus :
Casontonia = Aquilius : Aquilonia. L’idea di fondo è sempre quella di
un colore «grigiastro» dell’acqua.

«Giallo, giallastro»
Gli idronimi Helvinus (Picenum), forse anche Helurus (Umbria),
di tradizione incerta, trovano un’immediata connessione con lat.
helvus e forme connesse (in particolare helvinus!). il valore semanti-
co è «giallo», più esattamente «giallastro», come si evince dal fatto
che la forma indeuropea ricostruibile è *ghelswo- : a questo proposi-
to il dizionario etimologico di Ernout e Meillet segnala : «en litua-
nien, les adjectifs en -swas indiquent l’idée de ‘tirant sur’ : gelsvas ‘ti-

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LE METAMORFOSI DELL’ACQUA 69

rant sur le jaune’, žalsvas ‘tirant sur le vert’». Siamo di nuovo, in vir-
tù di accertati procedimenti derivativi, non tanto sul piano del
«colore», quanto su quello di un’«approssimazione di colore», che è
appunto la condizione cromonimica delle acque naturali.

1.3. Lentezza del corso


Bradanus (Apulia et Calabria), cfr. Tardus, altro suo nome. Per
l’accento cfr. Plàtani, fiume a nord di Agrigento, che forse esprime lo
stesso concetto, con riferimento a gr. platy¥v «piano, piatto» (e quin-
di «lento» nel caso di un corso d’acqua).

Lo stesso ragionamento vale per il diffuso tipo idronimico Cla-


nis (Etruria, Latium), Clanius (Campania, quest’ultimo forse identi-
co a Liternus, cfr. Literna palus). Una eco moderna di questo nome è
costituita dal termine di area napoletana e casertana lagno con il va-
lore di «canale» (sc. a decorso lentissimo dell’acqua, cfr. i notissimi
Regi Lagni). Notevole mi sembra il fatto che l’esito campano moder-
no non segua la trafila fonetica prevista per il nesso consonantico
[kl], ma denunci in esso una debolezza dell’occlusiva velare in sede
iniziale (secondo principi di etruscità fonetica campana?). Più a
nord, nell’Etruria proprie dicta, gli esiti moderni sono La Chiana (cfr.
Valdichiana) e, piuttosto inaspettatamente, Il Chianti. Su questo ca-
so, piuttosto ... miracoloso, di conversione di «acqua» in ... «vino»,
ho richiamato a suo tempo l’attenzione17. Resta impregiudicato ma
(per me) ineludibile il problema di un eventuale rapporto tra questa
serie idronimica e l’aggettivo latino plānus nel quadro di una «(con)
fusione» tra [p] e [k] di fase prostorica (e, nel caso dell’Italia meri-
dionale, anche di fase neolatina).
Nella stessa sfera referenziale si collocano Mare (Venetia et
Istria), cfr. Septem maria, paludi nel delta del Po, e Maricla, nome
tardo del fiume Ariminus (Umbria); cfr. inoltre il teonimo Marica,
l’Artemide delle paludi, con santuario alla foce del Liri, a sua volta
denominato anche Clanius (!) e l’odierno marana «canale a decorso
lentissimo» di area laziale.

1.4. Trasparenza del corso


Liquentia (Venetia et Istria), Digentia (Sabina, odierno Licenza).
Il secondo nome dipende da un possibile equivoco (-g- per -c-) e dal-
lo scambio «sabino» tra -d- e -l-. In latino liquidus vale anche «limpi-

17
Cfr. Il nome «Chianti» e la documentazione dell’Italia antica in Chianti. Sto-
ria e origine di un nome, Centro di Studi Storici Chiantigiani, Quaderno IX (Set-
tembre 1988), Radda in Chianti-Fattoria Vignale, p. 33-40.

.
70 DOMENICO SILVESTRI

do» (cfr. Virgilio, Ecloga II, v. 58-59 : heu heu, quid volui misero mi-
hi? Floribus Austrum / perditus et liquidis immisi fontibus apros).

1.5. Copiosità del corso


In base a diversi e non sempre perspicui trattamenti della sono-
ra aspirata indeuropea *dh, presente (a parer mio) nel paradigma ri-
costruttivo costituito dalla radice *audh- con il presumibile valore di
«gonfiarsi, rigonfio» (cfr. lat. offa di evidente origine italica nella
sfera alimentaria), abbiamo Audena (Liguria)18, Utens (Aemilia)19,
Aufeia aqua (Sabina, Latium), Aufentum (Latium : forse anche Ay¶fi-
lov), Ofens (Latium, varianti : Oufens, Ufens), Aufid(i)us (Sam-
nium : forse anche ¶Ofilov) 20. Per l’esito moderno Úfita, idronimo in
provincia di Avellino, si veda l’idronimo successivo.

1.6. Brevità del corso


A proposito dell’idronimo Ausar (Etruria, l’odierno Serchio) ri-
mando ad un mio articolo di vari anni fa 21, in cui riconnettevo la se-
rie idronimica a base *ausa (la devotiana «fonte»!) a i.e. *ōus «boc-
ca > fonte, sbocco d’acqua» in un quadro di riferimenti prioritaria-
mente di area germanica. In quella circostanza osservavo che i corsi
d’acqua molto brevi hanno come riferimento prototipico le «sorgen-
ti» o le «fontane» concepite come «bocche d’acqua». Tra le numero-
sissime testimonianze ivi raccolte ricordo qui solo l’idronimo cala-
brese Úsito con accento protosillabico che, in tal senso, ricorda Úfita
già visto ed affianca Méfete ad Aquino, secondo condizioni accentua-
tive assai interessanti. Esistono in particolare tre brevi corsi del Ser-
chio (il piccolo Serchio, Auserclo/Serchio a decorso brevissimo, che
sbocca direttamente in mare; il Serchio normale, l’Auser/Osari, che
sfiora Pisa a nord e si getta nell’Arno; la Serchia, che si dirama all’al-
tezza di Lucca, costeggia il monte Pisano ad est, si identifica con il
lago di Bientina e sbocca quindi in Arno). In realtà la serie Ausa (dif-
fusa in tutta l’Europa occidentale) costituisce un significativo episo-
dio della preistoria linguistica europea e si manifesta, di volta in vol-
ta, come periceltica, perilatina, perigermanica, in una situazione di
contatto tra indeuropeità emergente e non indeuropeità residuale.

18
Con «normale» deaspirazione ligure dell’occlusiva sonora aspirata indeu-
ropea!
19
L’assordimento dell’occlusiva deaspirata sembra rispecchiare condizioni
protolatine.
20
In questo cs l’esito -f- del fono in questione è normalmente italico.
21
Cfr. Ancora a proposito di elementi «non indeuropei» nelle lingue germani-
che, in AION -Filologia Germanica, 28-29, 1985-86, p. 589-604.

.
LE METAMORFOSI DELL’ACQUA 71

1.7. Orientamento del corso


Il Tanarus della Liguria e il Tanager della Lucania, al di là della
loro vicinanza formale, sono ulteriormente accomunati dal fatto di
essere entrambi fiumi i cui corsi sono orientati verso nord. La cosa
diventa ancora più interessante nel momento in cui si appura che il
primo in carte medievali si chiama Tanagrus e Tanager, mentre il se-
condo è oggi detto Negro, ma già i Romani lo chiamavano Niger o
Nigrum. Il «nero» in effetti, nel mondo antico e in un’area assai va-
sta, è emblematicamente il colore del nord (come il «rosso» lo è del
sud) 22. A questo punto si pone il problema dell’elemento (prefissa-
to?) ta- per il quale è stata avanzata da M. L. Wagner la ragionevole
ipotesi che si tratti di una sorta di articolo «mediterraneo» con per-
sistenze sarde e testimonianze berbere 23.

1.8. Compresenza di altri corsi


I dati sono i seguenti : Spineticum ostium, in pratica il delta del
Po (Venetia et Istria), Spı̃nov potamo¥v (nome della porzione termina-
le del Po, secondo Stefano di Bisanzio, cfr. proùv eΩnıù tw̃n toỹ Pa¥doy
stomotwn ... Spinh̃ti kaloyme¥nw ∞ di Dionigi di Alicarnasso I, 18, 2-3),
Spino e Nodinum cfr. Cicerone, Nat. deor. III, 52 : «... in augurum
precatione Tiberinum Spinonem Almonem Nodinum alia propinquo-
rum fluminum nomina videmus», testimonianza veramente preziosa
in quanto descrive indirettamente ma esattamente la condizione
idrografica di un delta fluviale con specifico riferimento alla plurali-
tà, alla vicinanza dei corsi d’acqua. Preziosa è l’informazione alia

22
Cfr. J. Knobloch, Sprache und Religion, I, 1 : Der älteste Mythos der
Menschheit, 1. Farbbezeichnungen in geographischen Namen. 2. Farbnamengebung
bei den Himmelsrichtungen, Heidelberg, 1979, p. 9-22 (con importanti annotazio-
ni su diverse alternative cromatiche).
23
Cfr. a questo proposito D. Silvestri, A proposito di alcuni idronimi del Bru-
zio in P. Poccetti (a cura di), Per un’identità culturale dei Brettii, Napoli, 1988,
p. 211-222, che ora va corretto in questa particolare prospettiva (a proposito della
coppia idronimica Ne¥aiuov-Tene¥aiuov). Per il problema di un presumibile artico-
lo «mediterraneo» nel quadro di possibili contatti preistorici e protostorici tra
area libico-berbera e Sardegna rinvio all’equilibrato e condivisibile inquadramen-
to di I. Putzu nel suo bel libro Quantificazione totale/universale e determinatezza
nelle lingue del Mediterraneo, Pisa, 2001, in particolare p. 167-169. A questo propo-
sito faccio notare che dagli esempi ivi riportati sembra evincersi un fenomeno di
armonizzazione vocalica tra elemento prefissato e nucleo designativo di base, nel
senso che il primo si conforma al secondo, secondo una modalità ben accertata
nelle lingue agglutinanti dello spazio eurasiatico e che è garanzia della profondi-
tà cronologica del fenomeno. Questa circostanza sembra essere sfuggita al Wa-
gner nel suo libro epocale sulla fonetica storica del sardo, per la cui traduzione
(con introduzione e appendice) rinvio al testo curato da Giulio Paulis (Cagliari,
1984, sp. p. 188-191, con abbondante esemplificazione che conferma il fenomeno
di armonizzazione vocalica sopra individuato).

.
72 DOMENICO SILVESTRI

propinquorum fluminum nomina cioè «nomi diversi di fiumi (che


scorrono) vicini», per cui se Spino è «fiume a scorrimento plurimo
(sc. a delta!) «Nodinum (cfr. lat. nodus «intreccio»!) è, in modo ana-
logo, «fiume a scorrimento intricato (sc. a delta!)». In questa pro-
spettiva non sembra peregrino evocare per questa situazione fluviale
l’immagine etimologica della «spina (sc. di pesce)» 24.

2. SINTESI

Profondità, colore, lentezza, trasparenza, copiosità, brevità,


orientamento, compresenza sono alcune delle «istanze di designa-
zione» ricostruibili per gli idronimi dell’Italia antica con riferimento
alle loro condizioni «naturali» (mentre sono stati volutamente tra-
scurate le implicazioni culturali). Esse rappresentano nelle loro ri-
sultanze prima linguistiche e poi onomastiche alcune delle possibili
«metamorfosi dell’acqua», elemento notoriamente instabile ed in-
sieme imprescindibile per la vita e la conoscenza umana di ogni
tempo e di ogni paese.

Domenico SILVESTRI

24
Per una trattazione approfondita del problema rinvio al mio Per un’etimo-
logia del nome Italia, in AIWN, 22, 2000, p. 215-254, uscito anche in M. Bugno e
C. Masseria (a cura di), Il mondo enotrio tra VI e V secolo a.C., Atti dei seminari
napoletani (1996-1998), Napoli, 2001, p. 207-238.

.
ALDO PROSDOCIMI

NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA


E DELL’ITALIA ANTICA

Premessa
Quando sono stato invitato al Convegno avevo una ragione di
gratitudine per gli organizzatori; ora ne ho una seconda per avermi
permesso di presentare con ritardo un testo che è un sommario, o
indice di alcuni temi da rivisitare (v. Appendici 2008). Vicende mi
hanno portato, oltre che al ritaglio, all’assetto ‘retorico’, abibliografi-
co e in parte biografico1 come col passare del tempo mi è vizio cre-
scente. La non-bibliografia è in parte dovuta al tempo, o a non-
letture adeguate (o meno), ma anche al fatto che alcune letture e/o
conoscenze sono (o dovrebbero essere) patrimonio comune : si può
vivere di ricordi bibliografici ma non si deve annegare e fare annega-
re nella bibliografia. L’aspetto biografico è stato sollecitato di recen-
te (2001 → 2004) 2 dalla raccolta di alcuni miei lavori; qui è richiama-
to il fatto che per essermi occupato, da oltre quarant’anni, di lingue
di frammentaria attestazione, a partire dal venetico, l’onomastica ha
sempre occupato un posto centrale perché il grosso della documen-
tazione era ed è onomastica. Per altre aree linguistiche concomitanti
l’onomastica era di fatto tutta la documentazione : è il caso del-
l’‘illirico’ con referente d’obbligo H. Krahe (con l’arrivo poi all’‘Alteu-
ropäisch’) : Krahe era un ‘morfologista’ e, poi, un fonetista ma i suoi

1
E anche per questo, però, riprendo alcuni miei frammenti da scritti prece-
denti; può configurarsi forse come un centone, ma la motivazione è nel fatto che
sono disiecta membra, in qualche caso comparse in sedi non facilmente raggiun-
gibili o in collocazione impropria quali paragrafi di articoli comprendenti più te-
mi. In questa prospettiva ‘centonaria’ riprendo buona parte di un articolo di An-
na Marinetti (1982), in quanto ha dato lo spunto ad una sezione di queste Note.
Parimenti riporto un frammento di una recentissima memoria di Emilio Peruzzi,
in quanto mi ha dato occasione di focalizzare alcuni punti del mio discorso; al
proposito non vorrei essere frainteso : la memoria di Peruzzi ha importanza, for-
se capitale, per altre ragioni (decifrazione del protoindiano), ma in un paio di
punti tocca anche la tematica di questa relazione.
2
A. L. Prosdocimi, Scritti inediti e sparsi. Lingua, Testi, Storia I-III, Padova,
2004 (abbr. SIES).

.
74 ALDO PROSDOCIMI

allievi diretti, H. Rix e J. Untermann, hanno sviluppato i concetti di


‘formula onomastica’ o di ‘Namengebiet’, o di altro ancora. Il concet-
to di ‘formula onomastica’ rispetto a ‘nome proprio’ – ben più antico
quale o¶noma ky¥rion – era implicata nell’articolo di Mommsen che,
non per caso, è ripreso come primo della raccolta di scritti ‘Römi-
sche Forschungen’; la citazione non intende essere ‘dotta’ ma fun-
zionale ad un discorso, importante anche se solo accennato :
Mommsen, pur editore di testi, fondatore dell’epigrafia italica (Die
Unteritalischen Dialekte, 1850) e, col CIL, rifondatore dell’epigrafia
latina (e con essa dell’epigrafia classica in generale), non è un lingui-
sta ma essenzialmente uno storico (e quale storico!) che focalizza la
questione della formula onomastica. Di converso è stato (fra tanti)
un linguista di alta classe che ha riportato il tema ‘nome proprio’ (la-
tino-italico-etrusco) da ‘formula onomastica’ ad etimologia (etimo-
logismo?) di singoli nomi : W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer
Eigennamen (1904). Il libro di quasi 600 pagine (più 50 pagine di fit-
tissimi indici) è stato spesso recepito più come repertorio di un nu-
mero enorme di forme citate (reperibili grazie ad un indice esausti-
vo) e non nella tesi che vi sottostava, e cioè l’etimologia dei nomi la-
tini e, meno, la struttura della forma/formula onomastica in cui
erano inseriti. Il ‘ritorno’ alla ‘formula onomastica’ come comprensi-
va e/o sovraordinata di quello che (allora) era il concetto di nome
(proprio – ky¥rion) è venuta da M. Lejeune per l’onomastica venetica 3
e dai (citati) J. Untermann ed H. Rix : di particolare importanza è
Das etruskische Cognomen di Rix (1963) che veniva a cambiare, se
non a rovesciare, la prospettiva di W. Schulze. Negli stessi anni ma-
turava la concezione dell’onomastica latina di E. Peruzzi; questi si
esprimeva in monografie della fine anni ’60 inizio anni ’70 e vi era
centrale il concetto di nome proprio quale formula onomastica; Rix
nel 1972 ritornava 4 sull’onomastica etrusco-italica all’insegna della
formula onomastica; con questo tralascio molto altro, e altri, ritor-
nando al mio iter sul tema ‘onomastica’.
Ho premesso che, avendo lavorato su ‘Restsprachen’, ho vòlto
all’onomastica una attenzione particolare per estrapolare dati di
lingua e, per questo, sono stato attento all’aspetto metodologico e,
in ciò entrava ed era angolato il tema ‘formula onomastica’; pensa-

3
In numerosi lavori a partire dal 1950, culminati nella monografia Ateste à
l’heure de la romanisation (Étude anthroponymique), Firenze 1978; cfr. al proposi-
to quanto scrivo in Michel Lejeune et L’Italie antique, in CRAI, 2001, p. 175-183 (=
Hommage rendu a Michel Lejeune, Academie des Inscriptions et Belles Lettres,
Parigi, 19 gennaio 2001, p. 33-41).
4
Zur Ursprung der römisch-mittelitalischen Gentilnamensystem, in Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt I, 2, Berlino, 1972, p. 700-758.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 75

vo che, bene o mal fatto, questo fosse il massimo di ‘scientificità’,


ma dopo – anche per l’impatto con le idee di E. Coseriu e di ciò di
precedente che si rifaceva al nome proprio – sono arrivato a intra-
vedere non solo lo spazio di una metodologia, ma uno spazio meno
frequentato dai linguisti (ma non dai logici) che definirei ‘teoria del
nome proprio’ (in primis dell’antroponimo). Tuttavia anche per
ambito di attività ho continuato a trattare e a rivedere il concetto
di ‘formula onomastica’, in particolare a proposito del venetico e
del celtico d’Italia specialmente nella sezione denominata ‘lepon-
zio’ 5 ; anche al seguito di una prospettiva insita in nuce nel concetto
di Vornamegentile introdotto da Rix per l’etrusco – nel mio iter as-
sociata a revisioni cronologiche-morfologiche e socioculturali – ho
modificato, talvolta in modo radicale, la concezione strutturale e
ideologica della formula onomastica binomia nel venetico e nel le-
ponzio, specialmente per quanto concerne la posizione sistemico-
strutturale e ideologica dell’appositivo tra patronimico, gentilizio (o
pseudo gentilizio), e il ‘gamonimico’ di Lejeune, segnalati morfolo-
gicamente come tali, vs. appositivi non segnalati morfologicamente
e ben attestati nell’inizio stesso della creazione locale della formula
bimembre; ne ho dato una interpretazione socioculturale che si
trova nei miei scritti più recenti su questo tema e che qui è rilevan-
te perché mi ha portato a riflettere su alcuni aspetti dell’onomasti-
ca latina (e secondariamente italica); un esempio : la reinterpreta-
zione morfologica dell’appositivo leponzio in -alo- quale -a-lo- mi
ha portato a rivedere la funzionalità dei gentilizi romani in -l- tipo
Pompilius, Manilius 6, e dei corrispondenti falischi – questi com-
paiono in diversa struttura formulare [-iliV-]. In entrambe le tradi-
zioni il morfema -l- entra nell’onomastica ma non c’è connessione
diretta di derivazione quale sarebbe una pertinenza originaria
esclusivamente in senso ‘verticale’ – cioè in una comune genesi ‘in-
deuropea’ del suffisso come specifico dell’onomastica – perché non
c’è alcuna premessa storico-culturale : la formula onomastica isti-
tuzionale si forma in Italia, e per l’appositivo con morfema in -l-
non in senso ‘orizzontale’ (irradiazione) perché non vi sono motivi
di irradiazione in nessuno dei due sensi possibili di trasmissione; vi
è, in più, il factum che la (ri)strutturazione morfologica del morfe-

5
A. L. Prosdocimi in G. Fogolari – A. L. Prosdocimi, I Veneti Antichi. Lingua
e cultura, Padova 1988, spec. p. 367-388; Appunti per una teoria del nome proprio,
in Problemi di onomastica semitica meridionale, a cura di A. Avanzini, Pisa 1989,
p. 15-70 [ora in SIES vol. I]; Note sul celtico in Italia, in St. Etr., LVII, 1991,
p. 139-177.
6
Lascio senza indicazione di quantità -i- prima di -l- per i motivi che si ve-
dranno appresso.

.
76 ALDO PROSDOCIMI

ma in -l- è diversa nelle varie funzioni e/o tradizioni per cui una ir-
radiazione per prestito, o solo influenza, è esclusa. Queste esclusio-
ni riportano a ciò che precede la funzionalizzazione onomastica del
morfema derivazionale in -l- e cioè alla sua semicità morfologica
nella lingua (nel caso ‘indeuropeo’ ricostruito) che è la precondizio-
ne della sua funzionalizzazione nell’onomastica; alla tipologia è da
aggiungere il tipo Messalla < *messan(ă)la e Hispallus < *hispanĕ/
ŏlo-, Romulus (Appendice). Discorso analogo vale per la morfologia
di cognomina in -a in concorrenza con -ō(n) : la constatazione della
morfologia onomastica tradizionale è la conseguenza di una causa-
lità che è nella precedente e fondatrice funzionalità nella lingua. In
alcuni casi l’antica funzionalità può essere andata perduta e/o mar-
ginalizzata nella lingua, mentre può essere conservata nell’onoma-
stica, o resa più riconoscibile nella funzionalità assunta nell’ono-
mastica, a patto però che la prassi inveterata della constatazione di
una fenomenologia (spesso contrabbandata per spiegazione) si in-
verta in una spiegazione della fenomenologia stessa, qui nell’ono-
mastica; tuttavia l’onomastica costituisce un settore di una casisti-
ca ben più ampia nella morfologia della lingua e che, come lingua,
investe buona parte della grammatica latina di cui è esemplare
quella di Leumann (1977) : la fenomenologia ha una causalità,
complessa quanto si vuole nella genesi, nelle espansioni e nelle re-
strizioni, nelle rifunzionalizzazioni etc. etc. – ma la sua fondazione
causale nella morfologia della lingua resta, precede e spiega; di
contro la fenomenologia fondata sull’uso, da cui una conseguente
classificazione, è un effetto e non una causa. Ciò detto, in una
corretta prospettiva euristica, la fenomenologia, e la base per la
spiegazione, per certi aspetti è già una spiegazione quale classifica-
zione, ma non ha la dimensione della/e sequenza/e causale/i che
possono essere ormai irriconoscibili ma che sono esistite per impli-
cazione logica e fattuale; in questi casi il pericolo è di scambiare la
classificazione della fenomenologia, corredata da attribuzioni di
valore ingiustificate, con la spiegazione propria (causale) ut sic; in
questi casi l’esposizione della fenomenologia con pretese di spiega-
zione e, come detto sopra, una assenza di spiegazione.
Un altro aspetto che toccheremo concerne la formula onomasti-
ca quale contenuti dei componenti nel loro essere ‘lessico semantico’
entro la formula quale sistema per cui la formula onomastica non
consiste solo di sequenze formali ma di possibili, spesso evidenti,
contenuti ideologici, in buona parte permessi dalla trasparenza les-
sicale degli elementi costituenti. Nella formula antroponimica ro-
mana il nucleo è il gentilizio : senza questo, almeno per l’ambito cui
ci riferiamo, non ci sarebbe formula o il termine ‘formula’ avrebbe
un altro senso, legittimo iuxta propria principia ma diverso. Malgra-
do sia stato trattato da innumerevoli studiosi e da molte angolazioni

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 77

credo che ci sia ancora da dire sulla posizione dell’appositivo fra pa-
tronimico e gentilizio e precisamente quale conseguenza del rappor-
to tra familia e gens (2008 : su questo tema v. ora 2007/2008 ‘Roma’;
Appendice n. 1).

1. LA FORMULA BINOMIA ROMANO-ITALICA.


L’ANTROPONIMIA ORGANIZZATA IN SISTEMA 7

1.1. È opinione e dottrina di molti che il sistema binomio cen-


tro-italico e venetico sia continuazione di un sistema indeuropeo,
riscontrabile nel tipo Aias Telamonios; è invece mia ferma idea che
vi sia uno iato essenziale nel valore istituzionale, e qui la pertinen-
za è l’istituzione : il tipo Aias Telamonios a quota indeuropeo è so-
lo una possibilità che ha la lingua per esprimere una genealogia
tramite l’aggettivo, fungibile col genitivo (cfr. l’alternarsi della for-
mula per l’altro Aias : Oiliades e Oileos) e non necessaria (formula
monomia per Achilleus, Agamemnon alternante con formula bino-
mia con patronimico o con formula monomia ristretta al solo pa-
tronimico, etc.); il tipo Tullus Hostilius, Publius Valerius etc. è in-
vece una struttura istituzionale. Nostra tesi fondamentale è che il
sistema binomio non sia ut sic eredità indeuropea ma, come isti-
tuzione (e questa è la pertinenza, non quella di fornire un nome
da un patronimico) 8 sia una creazione italica : l’individuo singolo
è individuato entro un individuo culturale 9 superiore, la gens, cioè
dal nome singolo si passa al praenomen del singolo seguito dal no-
me della gens. Il nome proprio (NP) è la significazione linguistica
dell’Individuo Culturale (IC) come ipse che, come tale, ne è la base
prelinguistica; l’IC, in quanto individuo, è per sua natura asistemi-
co o, meglio, tenuamente sistemico. Ma l’IC può strutturarsi in

7
Questo paragrafo è tratto da Filoni indeuropei in Italia. Riflessioni e appun-
ti, in L’Italia e il Mediterraneo antico, Atti del Convegno SIG, vol. II, Pisa, 1995,
p. 7-163 (ora in SIES, vol. III). I rimandi seguono la numerazione della bibliogra-
fia pure data in SIES, vol. I, p. IX-XXX.
8
E. Peruzzi, Onomastica e società nella Roma delle origini, parte I, in Maia,
21, 1969, 126-158, e Origini di Roma, I Firenze 1970, focalizza l’aspetto istituziona-
le. Indipendentemente dalla validità della sua tesi sulla sabinità della formula bi-
nomia a Roma e sulla fase patronimica come intermezzo storico e cronologico e
non solo logico come tramite alla fase gentilizia, la posizione di Peruzzi segna,
nella questione, un caposaldo e un giro di boa.
9
La nozione di Individuo Culturale (IC) è centrale per la teoria del nome
proprio (Prosdocimi, Appunti per una teoria del nome proprio, cit. spec. p. 27 sg.).
L’individuo culturale è ciò che la cultura identifica come individuo e che esprime
linguisticamente con un sistema linguistico appropriato e specifico; non è l’indi-
viduazione tipo ‘quest’uomo’ ‘il romano ucciso alle idi di marzo...’ ma C. Julius
Caesar.

.
78 ALDO PROSDOCIMI

qualche cosa che non corrisponde alle classi culturali sottostanti al


N(ome) C(omune), e che non corrisponde neppure all’Individuo-
ipse, ma che corrisponde a nuove unità : queste raggruppano indi-
vidui la cui priorità logica e culturale è l’ipse individuale che, tut-
tavia, entrano in un gruppo che è a sua volta Individuo-ipse e non
una classe di individui. Trova qui posto la tematica relativa alla
formula onomastica di tipo ‘latino’ (C. Julius Caesar) e a questioni
connesse (singolare ∼ plurale nei nomi propri) : Claudii è NP e an-
che Appius Claudius è NP. Claudii non è una classe, o almeno non
è classe allo stesso titolo di nomi comuni quali ‘rose/rosa’, ma è un
nuovo individuo culturale – la gens Claudia appunto – nuovo in ra-
gione di una (nuova) realtà per cui si identifica una permanenza
socio-culturale della ‘gens’ nello spazio-tempo. Di qui lo status di
un membro della gens che, come Individuo Culturale, ha NP indi-
viduale ma che, insieme, appartiene alla gens che, a sua volta, è
Individuo Culturale; qui non è pertinente, anzi sarebbe fuorviante,
l’assimilazione di Appius Claudius, individuo primario, al singolo
di una classe – non individuo primario ma individuato – mentre è
corretto e pertinente il concetto di gerarchia di individuazione cul-
turale : un Appius Claudius è comunque un Individuo Culturale,
ma è inserito in una struttura, la gens, che è a sua volta un Indivi-
duo Culturale : gens Claudia o Claudii, gens Fabia o Fabii, etc.; co-
sì il primo (prenome +) Cornelius Scipio con cognomen Nasica è
un Individuo Culturale, Lucius (Nasica) che fa parte di un altro
Individuo Culturale – il ramo degli Scipiones - a sua volta è una
sottoclasse di un altro individuo culturale sovraordinato, la gens
Cornelia. A sua volta sovraordinato vi è l’individuo culturale Roma,
per cui tutti quelli che hanno determinate caratteristiche sociogiu-
ridiche possono essere qualificati di Romani. Come si vede, la ge-
rarchia di individuazione culturale è correlata alla articolazione
sociale e l’onomastica ne è sollecitata di conseguenza nelle valenze
pertinenti : di qui l’individuazione dipende dagli ambiti quale
espressione onomastica dei legami sociali; è pertanto in questa
prospettiva che va vista una correlazione pertinente tra sistema
culturale – che riunisce singoli Individui Culturali in Individui Cul-
turali di rango superiore – e il sistema onomastico correlato. In al-
tre parole, è qui che è motivata la sistematicità del NP – sistemati-
cità intesa come articolazione di sistema/struttura oltre la sempli-
ce individuazione e conseguente numerabilità equipollente di IC,
quindi di NP equipollenti o senza collegamenti sistemici. Implici-
tamente o esplicitamente l’Individuo Culturale della gens determi-
na lo ‘iato’ tra patronimico opzionale (di fase e cronologia ‘indeu-
ropea’) e patronimico obbligatorio (di fase e cronologia ‘italiana’) e
di qui un passaggio alla fissazione in gentilizio. Si possono porre
due sequenze del processo :

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NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 79

sequenza a 3 sequenza a 2
1. indeuropeo patronimico opzionale 1. indeuropeo
2. Italia A patronimico istituzionale 2. Italia
3. Italia B patronimico = gentilizio fase unica
La sequenza a 3 ammette, al limite, una istituzionalità in qual-
che misura già ‘indeuropea’, e lo iato tra le fasi ne risulterebbe mino-
re; la sequenza a 2 è per lo iato totale, e noi la preferiremmo con una
precisazione : le due sequenze non si escludono, ma possono essere
un modo diverso di porre la stessa realtà, a seconda che nel mecca-
nismo di formazione si accentui l’aspetto logico come anche crono-
logico e realizzato per lungo tempo, oppure si annulli di fatto lo spa-
zio logico mediano non come non esistito, ma come non rilevante (e
in ciò la durata non conta). In ogni caso la ‘italianità’ della formula
onomastica binomia istituzionale è confermata dal fatto che fin dal-
l’inizio – a prescindere da dove sia generata – pertiene sia ad ambito
‘indeuropeo’ sia ad ambito non indeuropeo come è l’etrusco10. Quel-
lo che è pertinente non è la genesi linguistica né i mezzi morfologici
correlati, ma la natura istituzionale per cui si ha un nome individua-
le seguito da un appositivo, normalmente con morfema aggettivo –
indeuropeo -jo-, etrusco -na- – in ciò manifestamente indipendente
da genesi linguistica remota ma rispondente a condizioni sociologi-
che della realtà italiana.
Se la formula binomia è una innovazione nata in Italia da esi-
genze istituzionali ‘italiane’, la sua espansione è un fenomeno di
arealità ‘italiana’. Nel Nord, venetico e leponzio11, la formula bino-
mia arriva con la scrittura come portato della cultura etrusca a par-
tire dal ± 600 a.C. : i mezzi formali possono essere gli stessi di quelli
all’origine della formula latina (e) italica, ma qui la genesi non è ‘ita-
lica’ bensì ‘italiana’, perché il modello è etrusco. Abbiamo formule
binomie anche morfonologicamente congruenti che collegano l’itali-
co, dall’italico del nord (umbro e dialetti ‘minori’) al brettio; si tratta
del fatto che il morfema -jo- assume aspetto diverso a seconda che si
trovi nel primo o nel secondo elemento della formula binomia, tipo

nome individuale appositivo


nominativo -is -(i)es, -iís, -iev
accusativo -im -iúm, -iom

10
Rix, Zur Ursprung der römisch-mittelitalischen Gentilnamensystem, cit.
11
Sulla formula venetica Prosdocimi, Veneti Antichi, cit, p. 367-383; sulla
formula leponzia A. L. Prosdocimi, Sull’etruschità linguistica e culturale, in Etrus-
ker nördlich von Etrurien (Akten des Symposions von Wien-Schloss Neuwaldegg,
2.-5. Oktober 1989), a cura di L. Aigner Foresti, Vienna, 1992, p. 443-471 e Note
sul celtico in Italia, cit.

.
80 ALDO PROSDOCIMI

Vi sono casi di appositivo in -is, ma questa è l’aspettativa foneti-


ca e quindi non sono significativi, mentre è significativo che in tutto
l’italico – dall’umbro (estremo nord) fino al brettio – si ha in maggio-
ranza o in esclusiva la fenomenologia predetta. Nel siculo di VI a.C.
abbiamo formule binomie con caratteristiche di tipo italico anche se
morfonologicamente con l’italico non del tutto congruenti12.
Tratto in altra sede tutta la problematica connessa al corpus do-
cumentale : spiegazione morfonologica del fenomeno nel quadro di
altri fenomeni fonetici panitalici, peculiarità della formula onoma-
stica per quanto concerne la morfonologia, etc.; qui è sufficiente la
constatazione del fenomeno morfonologico e il fatto che la forma
(aggettiva) in -jo- ha esito diverso solo per essere al secondo o primo
elemento della formula binomia, quindi con presupposizione di for-
mula binomia stabile, il che implica formula istituzionalizzata, co-
me tale fissata nel secondo elemento così da farvi corrispondere un
morfema derivativo differenziato.
Nella querelle sulla formula binomia non è stata sufficientemen-
te sottolineata la fissità del morfema (ove ci sia morfema derivativo)
che indica il gentilizio. La peculiarità, anzi l’essenza della formula
binomia italica, è data dalla simultaneità 1) della pertinenza istitu-
zionale che importa obbligatorietà e non opzionalità; 2) della fissa-
zione in un morfema unico, -jo- nell’italico. Per quanto concerne il
secondo elemento, stante che l’esito foneticamente normale è quello
del primo (-is), è rilevante non solo il fatto che sia differenziato, ma
che lo sia allo stesso modo in aree diverse, come è implicato da -(i)
es, -iís, -iev che sono, all’evidenza, esiti identici o appena modificati
nelle singole tradizioni di un solo fatto combinato di morfologia :
-jo- trattato diversamente (palatalizzazione di -o-) rispetto a -jo-
primario (sincope di -o-); cioè si sarebbe avuto un -(i)j(o)- + -jo- > i(j)
o- > -i(j)e-13.

12
-es/-es non risponde a -is/-ies e richiede un discorso anche in rapporto alla
eventuale sincope; su quelli come su miei precedenti cenni sarà da ritornare ap-
profonditamente anche per l’importanza areale della Sicilia e la correlata proie-
zione cronologica e storica per l’italico, se vi sono collegamenti con esso.
13
Ho ravvisato il motivo nel fatto che solo in questa occasione, generata da
ragioni extralinguistiche la lingua ha occasione di avere un aggettivo in -jo- (pa-
tronimico-gentilizio) che ridetermina una forma che è già in -jo- come forma ag-
gettiva, da cui è tratto l’antico nome individuale. Su ciò A. L. Prosdocimi, Studi
sull’italico, «St. Etr.» XLVIII, 1980, p. 187-249; ‘Sabinità e (pan)italicità linguisti-
ca, «Dialoghi di Archeologia» 5, 1987, p. 53-64; Note su ‘Italico’ e ‘Sannita’, in La
Campania fra il VI e il III secolo a.C., Atti del XIV convegno di Studi Etruschi e
Italici (Benevento 24-28 giugno 1981), Galatina 1992, p. 119-148; Filoni indeuropei
in Italia. Riflessioni e appunti, in L’Italia e il Mediterraneo antico, Atti del conve-
gno SIG (Fisciano-Amalfi-Raito 4-6 novembre 1993, vol. II Pisa 1995, p. 7-163; Il
genitivo singolare dei nomi in -o- nelle varietà italiche (osco, sannita, umbro, sud-
piceno etc.), «Incontri Linguistici» 25, 2002, p. 65-76.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 81

Si può spiegare l’esito diverso del secondo elemento in altro modo, ma


resta il dato che la differenza di trattamento è dovuta al fatto di essere al
secondo elemento della formula binomia, cioè è fenomeno di lingua non in
funzione della normale morfonologia ma solo per essere morfonologia del
secondo elemento della formula. Se la dimorfia -is/-ies, -im/-iom, presenta
una differenziazione morfonologica dovuta al solo fatto di essere in formu-
la onomastica e non alla langue, la differenza nell’esito è prodotta da una
forza adeguata insita nella formula stessa, cioè nella sua istituzionalità e
fissazione in -jo- : ove c’è -ies c’è formula binomia istituzionale; di conse-
guenza se la differenziazione della morfonologia dell’appositivo è estesa a
tutto l’italico la conclusione è che la formula binomia istituzionale e fissata
in -jo- per l’appositivo fosse già dell’italico unitario, cioè di un italico (= ita-
lici per istituzionalità) non ancora espanso e/o separato da iati socio-cultu-
rali e/o politici; l’ipotesi contraria presupporrebbe una poligenesi e non è
concepibile poligenesi con istituzionalità/fissità risolta nello stesso modo
morfonologico (-jos > -ies; -jom > -iom). Per l’ipotesi monogenetica della
formula fissa e quindi espressione di unitarietà istituzionale non è necessa-
ria una concentrazione areale primigenia dell’italicità sottostante, ma è ne-
cessaria una comunicazione o contatto socioculturale tali che la formula
nata in un centro si espandesse non per sovrapposizione (incontro di itali-
ci) ma per naturale irradiazione e quindi assunzione di una formula che
esprimeva una comune struttura sociale. Se dette premesse non sono con-
futate, vi sono delle notevoli implicazioni socioculturali, e cioè l’esistenza
di una struttura gentilizia già nell’età del bronzo se, come è stato fatto no-
tare da autorevoli archeologi, questa è la data cui far risalire come unità
una italicità tale da avere come monogenetica la formula binomia col se-
condo elemento fisso in -jo-. Ma se la formula onomastica è in -jo- per tutta
l’area e se vi è una qualche forma di unità/unitarietà, ciò non può non ave-
re riflessi nel configurare il farsi della italicità linguistica e, insieme, po-
trebbe congiungersi ad altri fenomeni istituzionali riflessi nel lessico e sot-
tesa semantica. Non sono certezze, e sono frammenti : tuttavia invitano a
ripensamento. Se poi si individuano le condizioni morfonologiche per col-
legare le formule sicule di VI a.C., di per sè e nel quadro di ‘italicità non-
canonica’ già prospettata, il ripensamento deve essere anche più ampio, se
non più profondo.

A favore della prima trafila è il fatto che in diversi sistemi indeuropei (d’Ita-
lia) la formula binomia si forma in modalità del tutto diverse; ne consegue che vi
è -jo- come potenziale caratterizzatore con funzionalità onomastica specifica – in
quanto di appositivo – di forme già in -jo- ma – in quanto nome individuale – sen-
za funzione onomastica specifica; oltre che in italico (sopra) ho individuato in
ciò la motivazione dell’utilizzazione di -(i)ko- come alternativo a -jo- negli apposi-
tivi del venetico (A. L. Prosdocimi, Venetico. Due nuovi ciottoloni patavini (*Pa
27, *Pa 28). Morfologia e sistema onomastico. Nuovi dati da *Pa 28, in St. Etr. L,
1982 [1984], p. 199-224, e Veneti Antichi, cit. ); per la stessa motivazione -ilio- è al-
ternativo di -jo- in latino : Pompilius : Pompius; Hostilius : Hostius; Servilius :
Servius etc. : appresso.

.
82 ALDO PROSDOCIMI

1.2. Un caso secondario di arealità : l’espansione della formula bino-


mia nell’Italia settentrionale
Nell’‘indeuropeo’ dell’Italia del nord, leponzio e venetico hanno
la formula binomia, ma le condizioni sono del tutto diverse dal co-
me, dove, quando della formula binomia (etrusco-)latino-italica. La
formula binomia arriva nel Nord come portato di cultura centro-
italiana, specificamente etrusca, intorno al ± 600 a.C. : è un fenome-
no dai contorni ben più ampi di quanto si pensava nel passato : l’ar-
rivo della scrittura è contestuale e ne è causa (v. Appendice, n. 2).
L’ipotesi che la formula fosse arrivata nel Veneto quando il sistema
era ancora aperto (cioè con il patronimico non ancora fissato a gen-
tilizio) va riformulata nei termini seguenti14. Come istituzione, e non
come opzionalità di dare un appositivo a un nome individuale tra-
mite un epiteto o il patronimico, la formula binomia irradia
dall’Etruria; è ragionevole pensare che la sua introduzione sia coeva
all’introduzione della scrittura : se il kantharos di Lozzo – prima me-
tà VI a.C. – è equivoco (nella nostra vecchia interpretazione la for-
mula onomastica è monomia), l’iscrizione di Cartura (*Es 122), pure
di prima fase scrittoria (± VI a.C.), ha una formula binomia (v. Ap-
pendice, n. 3).
Recenti riconsiderazioni hanno fatto rivedere le modalità del
processo e della consistenza della formula venetica nell’appositivo
che, fino ad ora interpretato come patronimico, presenta alcuni casi
antichi di trasmissibilità, cioè si configura come un gentilizio : i due
aspetti non sono antitetici, se adeguatamente correlati. L’Etruria,
nell’epoca in cui irradia cultura nel Nord (intorno alla fine di VII-VI
a.C.), ha una formula con gentilizio assestato; se pure l’etrusco ha
conosciuto una fase ‘patronimica’, questo è un precedente qui non
pertinente, se non per il fatto che il gentilizio ha conservato la mor-
fologia di patronimico – base onomastica + morfema derivativo – e
come tale può essere rianalizzato e quindi, secondo questa rianalisi,
può fornire un modello per il secondo elemento della formula bino-
mia; tuttavia la formula con gentilizio non è una pura forma, perché
il gentilizio è la forma di un contenuto socio-culturale preciso, quale
è l’emergere della gens di un determinato livello urbano o immedia-
tamente preurbano : il gentilizio in Etruria risponde ad una esigen-
za strutturale sociogiuridica.

14
È un modo di vedere maturato negli ultimi decenni : A. L. Prosdocimi,
Cultura etrusca transpadana, in Gli Etruschi a nord del Po II, Mantova 1987,
p. 110-117; Venetico. Due nuovi ciottoloni patavini; Note sul celtico in Italia; Sull’e-
truschità linguistica e culturale, citt.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 83

L’acquisizione della formula binomia nel Veneto non risponde


ad analoga esigenza strutturale, perché non ci sono le condizioni so-
cio-culturali dell’Etruria : non si intende negare che vi poteva essere
una struttura parentale corrispondente alla ‘gens’, ma è improbabile
che vi fosse una ‘gens’ nei termini strutturale e sistemici dell’Etruria;
ne consegue che l’acquisizione della formula binomia nel venetico (e
nel leponzio) è per ‘moda’, ove il termine ‘moda’ indica sbrigativa-
mente una funzionalità culturale diversa da una funzionalità strut-
turale (analogo discorso potrebbe farsi per l’acquisizione dell’alfabe-
to quanto all’ambito di utilizzo e funzionalità nell’ambiente venetico
e leponzio).
Ciò comporta che il secondo elemento della formula binomia,
quale pertinenza primaria, è un appositivo, e non un patronimico o
un gentilizio; l’essere di norma patronimico, e ciò che questo ha in
sé come istituzionalità, è un fenomeno indotto dal fornire il secondo
elemento della formula onomastica con il mezzo più immediato, il
nome del parens/pater.
L’impostazione della questione così individuata per il venetico,
offre chiavi per interpretare gli appositivi del leponzio. La fenome-
nologia del leponzio esige, indipendentemente e ancor più eviden-
temente che non per il venetico, l’identificazione della pertinenza
del secondo elemento della formula, e in particolare lo svincola-
mento dell’automatismo ‘appositivo = patronimico’. Dalla casistica
delle forme di appositivo del leponzio15 si evince un dato evidente :
l’appositivo non è fondato su una base istituzionale, come potreb-
be essere un patronimico (e tanto meno un gentilizio), ma è fon-
dato solo su se stesso, cioè nell’essere il secondo elemento di una
formula onomastica binomia; in altre parole, la varietà formale
del leponzio (molteplicità di formanti derivative, o assenza delle
stesse) non solo conferma, ma è prova decisiva rispetto a quanto
si era desunto dai casi del venetico : il patronimico è un modulo,
tra altri, per creare una formula binomia, e ciò prima di essere in
funzione istituzionale propria di patronimico : un appositivo di al-
tra natura – poniamo un soprannome-cognomen – può svolgere la
stessa funzione.

15
Si vedano PID II; M. Lejeune, Lepontica, Parigi 1971; M. G. Tibiletti Bru-
no, Ligure leponzio gallico in Lingue e dialetti dell’Italia antica, a cura di A. L. Pro-
sdocimi, Roma, 1978, p. 130-208; M. G. Tibiletti Bruno, Le iscrizioni celtiche d’I-
talia in I Celti d’Italia, a cura di E. Campanile, Pisa, 1981, p. 157-207; A. L. Pro-
sdocimi, I più antichi documenti del celtico in Italia, in Atti del 2o Convegno
Archeologico Regionale (Como 13-15 aprile 1984), Como, 1987, p. 67-92; Note sul
celtico in Italia, cit.

.
84 ALDO PROSDOCIMI

2 – -LO- COME FORMANTE ONOMASTICA. LEPONZIO -A-LO-, -I-LU-.


LATINO -ILIUS. -Ō(N) E -A

Premessa. -lo- come formante onomastica16

-lo- quale diminutivo e nomen agentis17 è una sottocategoria di


una pertinenza più generale, qualcosa come ‘in relazione con ...’ : si
può capire come dalla pertinenza generale possa essere tratta una
funzionalità onomastica di patronimico. La questione eventuale è il
perché della base derivazionale -a- in -alo- del leponzio : su questo
cercheremo di rispondere al paragrafo successivo. Quanto alla base
derivazionale in -i- questa non dà particolari problemi quale sia la
quantità : -ı̆- come sostituto di -ŏ-, -ı̄- come sostituto di -(i)jo-18 in de-
rivazione.
Come visto sopra19, la questione del patronimico nella formula
onomastica si risolve nella pertinenza dell’appositivo; anche così re-
sta comunque il quesito se in leponzio -ilo- – più esattamente -lo- se-
guente a -i- – possa essere un patronimico nel senso di indicare l’ap-

16
Ritorneremo brevemente dopo aver proposto quello che, nel mio iter, è
stato l’avvio ad identificare la tematica di cui trattiamo qui; l’avvio ad una ricon-
siderazione dei dati romani e più in generale latini (in questi il falisco che è una
varietà di latino) è venuta dagli appositivi in -alo- del leponzio, il tutto entro il
quadro del celtico in Italia (cfr. i lavori cit. a nota precedente). La riproposizione
del mio iter sarebbe insignificante o ridicola come autobiografica, ma ritengo
che sia istruttivo perché – bene o male argomentato, corretto o errato – lo spunto
è venuto là ove non c’è una dottrina assestata come istituzionalità e come morfo-
logia che la manifesta; in particolare si sono evidenziate la funzione derivativa di
-lo- e la isofunzionalità di -ō(n) e -a, in termini di cui il latino ha evidenza nella
cognominazione, ma che conserva, sia pure marginalizzato, nelle coppie tipo
scriba : Scribonius.
17
Oltre la manualistica meno recente (Brugmann 1916, II 1, p. 360 sg.; [Wac-
kernagel-]Debrunner 1954, II 2, p. 849 sg.) Più specifici gli studi di B. Zucchelli,
sull’origine della funzione diminutiva del suffisso -lo- in latino, in Studi linguistici
in onore di Vittore Pisani, Brescia, 1969, p. 1075-1100 e nella monografia Studi
sulle formazioni latine in «-lo-» non diminutive e sui loro rapporti coi diminutivi,
Parma 1970; qui ampia bibliografia; concentrato di esempi e bibliografia in Leu-
mann, Lat. Gr. 19775, p. 311-312 : avanti e passim [e qui Appendice n. 1 sul nome
Romulus; v. ‘Roma’ 2007/8 ove il tema è trattato più ampiamente].
18
-io- > -ı̄- e -o- > -ı̆- in derivazione è associata in latino al nome di W. Schul-
ze e per i nostri fini è sufficiente la constatazione della fenomenologia. Va però
aggiunto che la ‘regola’ affonda le radici in una morfologia che si situa nel più an-
tico fondo indeuropeo : *-jo- > -ı̄- via *-jH2 >- iH2 come derivatore (non ancora
femminile) e -ŏ- sostituito da -ı̆- verisimilmente da una antica allomorfia -o-/-i- in
qualche misura parallela alla legge di Caland-Henry(-Wackernagel), per cui -rŏ- è
sostituito da -ı̆- in composizione (v. ad nota 52).
19
Cfr. anche Prosdocimi, Note sul celtico in Italia, cit.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 85

partenenza a un ‘pater’. Lejeune (1971 ‘Lepontica’, p. 53 cit.) lo nega


ma non si vede il perché della negazione a priori, in sé e nella pro-
spettiva morfologica (qui posta) secondo cui -i-lo- è della stessa
struttura morfologica di -a-lo-, dallo stesso Lejeune (con la vulgata)
ritenuto patronimico; vi sarebbe a favore la formula oletu amašilu
(PID 307) : qui -ilu < *-ilō(n) potrebbe o dovrebbe essere il patroni-
mico -i-lo- con -ŏ-s nella variante -ō(n) che – secondo l’interpretazio-
ne derivante dal principio ‘patronimico’ – sarebbe attestata nel vene-
tico 20. È però altrettanto ragionevole, secondo la ‘prospettiva del-
l’appositivo’ posta sopra, reinterpretare gli appositivi venetici in
-ō(n) non quali varianti in -ō(n) di patronimici in -ios, ma quali ap-
positivi non patronimici; tuttavia poiché il venetico non è il leponzio
e per il fatto interno che -u < *- ō(n) è di per sé morfema di appositi-
vo 21 amašilu non può essere considerato come prova del valore pa-
tronimico di -ilo-. In favore di *-ilō(n) > -ilu derivativo (patronimico)
va però avanzata una considerazione di altro tipo : -(i)lo-, in una se-
quenza di quattro sillabe dove non sembra esserci composizione, è
da analizzare a priori quale morfema derivativo, per cui si rientra
nella problematica della sua funzione tra langue e onomastica : si ri-
torna pertanto a -lo- che nella funzione onomastica può e quindi de-
ve venire tolto dall’isolamento. L’isolamento viene tolto all’interno
grazie al parallelo strutturale di -alo- secondo l’analisi morfologica
-a-lo- data sopra; per -i-lo- resta la questione della quantità di -i- e
della sua genesi morfologica, premessa alla sua funzionalità e seg-
mentazione ‘sincronica’. L’isolamento viene pure tolto dall’esterno 22

20
J. Untermann, Die venetischen Personennamen, Wiesbaden, 1961, per tou-
peio e moldonkeo, seguito con qualche esitazione da A. L. Prosdocimi, La lingua ve-
netica II, Padova-Firenze, 1967; da cassare invece l’idea di un dativo toupeio propo-
sto da A. L. Prosdocimi, Una iscrizione inedita dal territorio atestino. Nuovi aspetti
epigrafici linguistici culturali dell’area paeloveneta, in Atti Ist. Veneto SS.LL.AA.,
CXXVII, 1968-69, p. 123-183. Per Moldonkeo in formula trinomia (Es 24) Vants
Moldonkeo Karamns guadagna punti l’eventualità da lungo tempo affacciata su ba-
se etimologica che moldonkeo sia un epiteto corrispondente ad ant. sl. mladenı̆cı̆, a.
pruss. maldenikis ‘ragazzo’ (Lingua venetica II cit., p. 152). Se non è direttamente un
epiteto, è da ventilare la possibilità che sia un appositivo da epiteto per un ius o una
fictio iuris della Namengebung di cui ci sono preclusi gli estremi, ma che in qualche
modo doveva essere in atto per le formule trinomie e per alcune binomie.
21
Prosdocimi, Note sul celtico in Italia, cit., § 3. 4.
22
Questo per una concezione vulgata – ma che condivido solo in parte, e per
certi aspetti affatto – dovrebbe essere convincente anche per chi, nel caso di lin-
gue di frammentaria attestazione, ha il ‘complesso giustificativo’ per una forma
nuova o (spesso apparentemente) isolata. Per il ‘complesso giustificativo’ v.
A. L. Prosdocimi, Il Venetico, in Le lingue indeuropee di frammentaria attestazio-
ne-Die indogermanischen Restsprachen, Atti del Convegno SIG-Idg-Gesellschaft
(Udine, settembre 1981), Pisa, 1983, p. 153-209, passim; Riflessioni sulle lingue di
frammentaria attestazione, in Quaderni dell’Istituto di Linguistica dell’Università di
Urbino, 6, 1989, p. 131-163.

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86 ALDO PROSDOCIMI

e precisamente dal latino dove c’è -ilius, di cui lascio imprecisata la


quantità del primo -i- «tra Pompı̆lius e Lucı̄lius» (cfr. avanti § 2.2)
per appuntare il fatto che una formante -l- funziona da (patronimi-
co >) gentilizio. Il perché della variante dovrebbe essere nella traspa-
renza morfologica : se vi sono prenomi in -io- come in Lucio-, un lo-
ro derivato, per essere trasparente, non dovrebbe essere -jo-, quindi
si ricorre a un derivativo in -l(-o)- che si ricaratterizza in -io- 23 quale
inserimento nella struttura morfologica del (patronimico >) gentili-
zio in -io- e non in -Cŏ- che suonerebbe come cognomen, comunque
come non-gentilizio.
Ritornando al leponzio la prospettiva cambia : se vi è morfolo-
gia indeuropea (come è), non è tanto un -ilo- che fa difficoltà per un
patronimico (o anche per un derivativo generico), ma è piuttosto un
-alo-, con -a- presuntivamente lunga. La ragione di -a- per derivare
da -ŏ- può essere spiegata in termini di morfonologia ereditaria e
cioè in parallelo ad -ā-nŏ- e ad altre forme in cui -ā- è un tramite de-
rivativo da -ŏ- 24. Ma -ā può (non : deve) avere un’altra spiegazione, e
questa non vuole essere niente di più che una ipotesi di lavoro.

Il principio euristico di Meillet per giudicare indeuropea una forma (attesta-


zione in almeno tre lingue) non contrasta, perché si pone in una diversa prospet-
tiva, specialmente per il divenire della morfologia; del resto, lo stesso Meillet, poi
codificato dall’allievo Kuryłowicz, è per altra via fautore della ricostruzione inter-
na, il che implica la matrice indeuropea di ciò che continua in una sola lingua,
naturalmente a determinate condizioni della ricostruzione interna (su ciò v. an-
che A. L. Prosdocimi, Diachrony and Reconstruction : ’genera proxima’ and ’diffe-
rentia specifica’ in Proceedings of the XIIth International Congress of Linguistics
(Vienna 28 agosto-2 settembre 1977), Innsbruck, 1978, p. 84-98; Diacronia : rico-
struzione. Genera proxima e differentia specifica, in Lingua e stile, XIII/3, 1978,
p. 335-371 : entrambi ora in 2004 SIES, vol. II).
23
È possibile che questa sia la spiegazione di maešilalui; se questo è da un
prenome italico mai/esio-, l’appositivo viene caratterizzato con -l- precedente -io-
>- ı̆-, quindi viene reinserito nella normale derivazione secondo il locale -alo-. È
una spiegazione complessa e ardita, anche per una potenziale interferenza tra
italico e leponzio, ma non è assurda in quanto ripeterebbe con altri mezzi morfo-
logici lo schema Lucio- : Lucilio- :
Lucio- *Lucı̄lo- Lucı̄l-io-
Maešio- *Maešilo- Maešil-alo-.
24
Sarebbe possibile anche una base in -ā- e non in -ŏ- ma difficilmente sa-
rebbe di femminile : non qui da pensare a un matronimico o a un derivativo da
donne perché senza padre giuridico, come è invece il caso per venetico -iaio-/
iako- (su cui Prosdocimi, Venetico. Due nuovi ciottoloni patavini, cit. e Veneti an-
tichi, cit. ). La derivazione da maschili in -ā rientra invece o è variante dell’ipotesi
proposta al paragrafo seguente : la differenza consiste nella posizione di -ā inteso
come formante-tramite da nomi in -ō(n) , rispetto a cui -ā primario costituirebbe
una equivalenza di langue, ma non di realizzazione normale (nel senso della ‘nor-
ma’ di E. Coseriu).

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 87

2.1. Una ipotesi su -a- in -alo- dell’onomastica leponzia


Si è visto come -alo- è da analizzare, almeno geneticamente, co-
me -lo- aggiunto ad una base in -a, presumibilmente in -ā < *-eH2 ; se-
condo un discutibile apriori questo -ā può essere di femminile ma
può essere anche di maschile, tipo latino-sabino Numa, celtico Buc-
ca, Tucca 25 (v. Appendice n. 4). È possibile che -alo- provenga da no-
mi individuali in -a + -lo-, con possibile o probabile retroformazione
-alo-, e quindi creazione del morfema -alo- disponibile anche per ba-
si non in -a, cioè di fatto, anche se teoricamente non in esclusiva,
per basi in -ŏ- (-os). Una motivazione del presunto successo di -alo-
su basi in -ŏ- potrebbe essere nel fatto che -ā- risolveva alcuni pro-
blemi di -ŏ- come medium in derivazione; ma non pare una motiva-
zione sufficiente. È possibile una motivazione diversa, non necessa-
riamente alternativa, in quanto le due spiegazioni potrebbero essere
facce di uno stesso prisma o un modo diverso di proporre la stessa
realtà.
Posto che -ā e -ō(n) sembrano avere almeno una funzione in co-
mune, quella di formare ipocoristici e/o cognominazioni; posto che i
nomi individuali in -u < *-ō(n) sembrano non avere corrispondenti
appositivi che, nel caso di morfema -alo- secondo la logica morfolo-
gica di morfemi tipo -on-, si presenterebbero come -on-alo- 26 ; posto
ciò, si può ipotizzare che -ā- sia, all’origine, allomorfo di -ō(n) in de-
rivazione, specificamente per -lo-. Il fondamento nella langue do-
vrebbe essere nella isofunzionalità di -ā e -ō(n) come derivativi così
da fornire il corrispondente dei cognomina romani tipo Sulla, Mes-
salla, a celtico Bucca e Tucca come romano Cicero e Scipio. L’ipotesi
(di lavoro come detto) può essere suffragata oltre che dall’assenza di
appositivi da -u < *-ō(n) derivati mediante l’aggiunta di -alo- numero
qualitativamente rilevante – ma non per i numeri, irrilevanti come
quantità per una statistica seria – dal fatto che alcuni appositivi in
-alo- presuppongono una base di ipocoristico presumibilmente in
*-u < *-ō(n); la motivazione nella realizzazione storica (‘norma’ di
Coseriu) dovrebbe essere nella morfologia di una base -ō- /-ŏn- suf-

25
Questa classe di formanti per il maschile meriterebbe in sé e per l’onoma-
stica più attenzione e approfondimento di quanto non abbia mai avuto; per i no-
stri fini è sufficiente la presenza di nomi celtici in -a, tipo le cognominazioni in
formula latina citate in testo; resta la questione dei nomi in -a nei nomi indivi-
duali celtici, specificamente leponzi (per il tipo koimila di PID 301 v. i cenni in
Prosdocimi, Sull’etruschità linguistica e culturale, cit).
26
Lascio senza notazione la quantità della vocale -o- nella derivazione e nel
paradigma, in quanto qui non pertinente; tuttavia la eventualità di una estensio-
ne della quantità lunga fuori dal nominativo (tipo latino -ō, -ōnis) e una quantità
breve fuori dal nominativo (tipo greco -wn, -onov), il leponzio dovrebbe avere la
breve perché vi è -o- e non -u- < *-ō- (per questo fenomeno e la sua antichità cenni
in Note sul celtico in Italia, cit. § 5.3.).

.
88 ALDO PROSDOCIMI

fissata da -lo- : se da un tramite morfonologico -ŏn-, quale risultato


fonetico si sarebbe avuto rispetto al nome base? Se da -ō, si sarebbe
fondata la derivazione su -ō di nominativo e non su -ŏn- della for-
mante dell’intero paradigma (v. nota precedente). Senza escludere,
anzi prevedendo l’eventualità di -lo- in derivazione aggiunto sia a
-ŏn- che a -ō- 27, vi può essere stata la scelta di sostituzione con -ā- in
derivazione per la (parziale?) isofunzionalità nella derivazione di
cui si è detto.
verkalai presuppone una base *werg- o *werk- che non dovrebbe
essere una forma nominale diretta in quanto vergo- è un sostantivo
che continua nel celtico insulare, ant. irl. ferg., ant. bret. guerg ‘Zorn’
(Pedersen VGKS I, p. 105), mentre nel celtico continentale (gallico)
si ritrova nel composto vergo-breto- che non appartiene all’onomasti-
ca ma al lessico, come si evince dall’autore romano «...qui summo
magistrati praeerant, quem vergobretum appellant Aedui...» e dal fat-
to che nelle monete compare come magistrato monetale : sia come
derivato indirettamente dal sostantivo *wergo-, sia dal composto co-
me trasferito nell’onomastica alla base di verkalai, si deve porre a
priori un morfema derivativo, di ipocoristico (o di forma assimilabi-
le), probabilisticamente in *-ō(n) > -u.
Da area venetica (Altino) si ha verkvano- 28 ; nel venetico la grafia
-k- è per [k] e non per [g]. Ci sono evidentemente ragioni perché le
sonore siano rese come sorde (geminate?) negli ipocoristici, tra cui
quelli celtici; ci pare che l’oscillazione c/g in grafie allogene (per lo
più latino) e l’evidenza celtica della base verk-, non venetica, indichi-
no in verkvano- un nome allotrio nel venetico : nel caso avremmo un
nome celtico (leponzio). Ciò posto verkvano- corrisponde evidente-
˙
mente a leponzio verkala- (appositivo femminile al dativo in PID
269); verkvano- dello scriba venetico si presenta come naturale in-
crocio tra una base *verku (<-ō) e -ano-, allora come -a- non sovrap-
posto a *-ō(n) > -u secondo la ipotesi, ma aggiunto, probabilmente
per essere formato (o scritto) in ambiente (venetico) non celtofono.

27
Queste eventualità di realizzazione potrebbero essere alla base di forme in
-ullo- < -ŏn-lo- o in -ūlo- < -ō-lo-; credo che vadano esperite come possibili matrici
genetiche per suffissi celtici, il loro proliferare a partire da alcune basi e una pos-
sibile motivazione parziale in alcune isofunzionalità genetiche in derivazione.
28
L’iscrizione è stata segnalata da M. Tombolani, Materiali di tipo La Tène da
Altino (Venezia), in Celti ed Etruschi nell’Italia centro-settentrionale dal V secolo
a.C. alla romanizzazione, Atti del Colloquio internazionale (Bologna 12-14 aprile
1985), Bologna, 1987, p. 171-189; la lettura ivi data, verkvaloi, pare da correggere
in verkvanoi (A. Marinetti, lettura inedita), pertanto quanto già detto in altre sedi
riguardo alla presenza della formante -alo- in questo nome è da cassare.

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NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 89

Ritornando al leponzio :

retalos può rappresentare un derivato da un *retu < *retō(n) co-


me ipocoristico di nomi composti in redo-, retu/i/o-, *recto con -ct- >
-ht- 29.
kualai è classificato dal Lejeune come ipocoristico; kua- sarebbe
del secondo membro di atekua. Ho sostenuto altrove 30 una ‘storia’
composizionale di atekua per cui sarebbe estremamente improbabi-
le una estrapolazione di un -kua; indipendentemente dalla mia ipo-
tesi genetica per atekua, un ku- da attribuire alla base nominale è al-
quanto improbabile, come riconosce lo stesso Lejeune 31, che però
non ne trae le conseguenze in direzione di un ipocoristico in -ō(n)
come abbreviazione del primo elemento di composto e/o come for-
ma originale in -ō(n) 32. Se -ō(n) è della forma originale o è per un no-
me di base ipocoristico, resta comunque che si ha *-ō(n) > *-u, men-
tre in derivazione si avrebbe -ā-.
Se -alo- è morfema di appositivo da nomi in -ōn-, evidentemente
non si aggiunge ma si sostituisce; ma questa non è la morfologia in
derivazione di -on- bensì di -ŏ- tematico. La cosa si può dire in più
modi; ne scelgo un paio : -ō(n) di appositivo ‘ritorna’ a -ŏ/ĕ- quando
prende il suffisso (-a)lo-, e come tale, in derivazione, ha un tramite
-H2- che porta -ŏ/ĕ- apofonico 33 ad -ā-; oppure -ō(n) + lo- viene sosti-
tuito da -ā. Per quanto concerne la sostituzione

29
Cfr. K. H. Schmidt, Komposition in gallischen Personennamen, Tubinga,
1957, p. 257-258; qui è citato pure il lemma ‘Ressi- etc. ’, teoricamente possibile
come primo elemento di composto, rispetto cui la base di Retalos potrebbe essere
un ipocoristico in *-ō(n) > -u.
30
A. L. Prosdocimi-A. Marinetti, Venetico e dintorni, in Atti Ist. Veneto
SS.LL.AA., CXLIX, 1990-1991, p. 401-450.
31
Lejeune, Lepontica, cit., p. 68; cfr. p. 63 : «un adjectif patronimique à suf-
fixe -alo-. Il faut donc que le nom du père ait été quelque chose comme *kuo-. Or
la probabilité d’un nom individual monosyllabique est pratiquement nulle. On
posera donc, comme nom du père, un dissyllabe *KuSo- (ou *GuSo-) seconde S
con segno di semivocale sans notation (§ 10b) de la consonne S u con segno di se-
mivocale de transition».
32
È possibile che qui ci sia il nome del cane (= lupo per eufemismo) nella
forma kuō(n) come nel celtico insulare goidelico e brittonico (Pokorny IEW,
s. v.), forse non (ancora) nella morfologia cuno (cun- + -o- ‘tematico’?) dei com-
posti nel gallico (Schmidt, Komposition, cit., p. 186) : ma non è necessario perché
un Kurzname avrebbe potuto partire da ku(no)- + -ōn; oppure un *kunon- avreb-
be potuto dissimilarsi in *kuon-. Per il nome del cane come eufemismo del nome
del lupo v. H. Birkhan, Germanen und Kelten bis zum Anfang der Römerzeit, Vien-
na, 1970, p. 345 sg.
33
Uso questa dizione per segnalare una fase morfonologica precedente alla
morfologizzazione della distinzione e/o/Ø quale è nelle descrizioni ‘classiche’ del-
l’apofonia indeuropea (altri usa å/ä o simili); per questo cenni in A. L. Prosdoci-
mi, Latino (e) italico e indeuropeo : appunti sul fonetismo, parte I in Messana, 12,

.
90 ALDO PROSDOCIMI

-ō(n)- 
 + -lo- > -alo-
-a 
potrebbe esserci una motivazione funzionale : -ō(n) è già un deriva-
tivo tale da funzionare anche da appositivo il che non pare compete-
re ad -a (che pure condivide con *-ŏn- alcune funzioni onomastiche :
cfr. 1991 cit.); l’allotropo di langue -ā- sarebbe un mezzo per evitare
un accumulo morfologico isofunzionale 34. Di una possibile ragione
morfonologica si è detto sopra; si è anche visto che sono da prevede-
re alternative morfologiche che prescindano dalla fonetica o che se-
guano una diversa via nella forma della base in derivazione : in ciò
può essere campione l’onomastica di base kat- 35 dove si hanno tutte
le derivazioni possibili, buona parte da considerare, almeno geneti-
camente 36, derivate da ipocoristici da composti di katu- (v. nota 35).
In questa prospettiva una forma come Catullus, cognomen del poeta
cisalpino, potrebbe essere da *kate/ol-lo- quindi con tutt’altra strut-
tura morfematica; ma se si tiene presente la frequenza della base
cat- nella Cisalpina, normalmente ascritta al gallico anche nella do-
cumentazione indiretta, per esempio venetica; se si tiene poi conto
che questa base compare come antroponimo nella variante kata 37 –
in cui -a è certamente di maschile come base di appositivi (-a-ko-, -a-
kna- etc.) – si può avanzare l’ipotesi di lavoro che -ullo- sia da -ŏn- +
-lo- o da -ō- > -ū- + -lo- (e resa romana con -ŭllo-/-ūlo-), ove -ō(n)/-ŏn-

1992 [1994], p. 93-160; parte II in Messana, 18, 1993, p. 117-184 [ora in SIES
vol. III].
34
Si noterà al proposito che -io- di appositivo non si aggiunge a -on- : komo-
neos di PID 276 non è una eccezione perché compare anche come prenome (PID
275), quindi, quale sia la base di partenza, -eo- (< -io-) non è in funzione di deriva-
zione appositiva.
35
Schmidt, Komposition, cit., distingue due lemmi, Cata- (p. 166-167) e Catu-
(p. 167-168), in omaggio a una certa tradizione, ma in cata «Wir würden dann in
allen Beispielen ein catu- ansetzen, wie es in Vendryes BSL 38, 1937, 113 ff. für
den Cata-mantaloedis u. Hubschmid, Praeromanica 83 für Cata-manus ja schon
getan haben». Il discorso fatto in testo porta una ulteriore ragione : sia cata- che
caton- potrebbero essere forme di ipocoristico (o assimilabili) di composti in «ca-
tu- : ir. cath, cy. cad ‘combat’ (Dottin 244; cfr. Pedersen 1, 132)...»; cfr. anche
D. Ellis Evans, Gaulish Personal Names, 1967, p. 171-173.
36
Sottolineo ‘geneticamente’ in quanto diverso da ‘diacronicamente’ ed ete-
rogeneo rispetto a’sincronicamente’, termine questo che, quale etichetta e conte-
nuto – quando posso e a differenza di altri – evito come la peste, in quanto non
dice niente più di ‘sistemicamente’ ma, rispetto a questo, maschera la dinamicità
dei progressi. Nel nostro caso la eteromorfia derivazionale indica che il sistema –
tra langue ed onomastica – ha assunto una propria configurazione, anche lonta-
na dai fondamenti genetici; ma questi non si pssono né debbono annullare; even-
tualente si tratta si riconoscerne la posizione nel sistema onomastico.
37
Questo kata nella documentazione indiretta del venetico non è da confon-
dere con kanta (ibid. ), in quanto il venetico, di norma, nota la n anteconsonanti-
ca.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 91

sarebbe varietà isofunzionale di -a-. La riprova verrebbe da docu-


mentazione indiretta ma parimenti probante : il venetico nella fase
recente è ricco di onomastica celtica (gallica); tra questa è stato rico-
nosciuto katulsto- 38 : qui katul- in presenza di tutta la serie celtica
kat- (nota 35) difficilmente andrà con *kate/olo- ‘cucciolo (> cagnet-
to)’ di lat. catulus, per semantica e perché il venetico pare non cono-
scere la trafila fonetica *-e/olo- > -ulo-; pertanto si ripropone la pro-
spettiva vista sopra; ciò andrà approfondito in altra sede anche in
rapporto alla tematica delle varianti (celtico d’Iberia) Camulus/Ca-
malus 39 : qui è sufficiente questo cenno quale complemento all’ipo-
tesi fatta sopra di cui questa, se valida, ponendo la sostituzione in
senso inverso, non la contraddice ma la conferma nel punto centra-
le : la isofunzionalità di -on e -a e la conseguente sostituibilità in de-
rivazione : catalus attestato in area venetica (PID) sarebbe l’alterna-
tiva di Katul- e Catullus.
Anticipo : -ō(n) e -ā < *-eH2 e lat.*-ilius.
Si apre qui una problematica squisitamente linguistica che par-
te dalla isofunzionalità di -ō(n) e -ā < -eH2 (latino -ā > -ă) 40 e arriva a
conseguenze sia sul piano delle forme dell’onomastica sia, a monte
di questa, alla morfonologia che ha fornito le precondizioni lingui-
stiche alla funzionalità di dette forme. Daremo avanti dei cenni per
lat. -ă < *-ā < *-eH2 che ha derivati in -Ø-io- (cioè senza -a-) come i
maschili in -o-s e non in -a-io- come era da aspettarsi. Le implicazio-
ni per i precedenti della morfonologia ‘indeuropea’ e delle categorie
di ‘maschile’ e ‘femminile’ quali innovazioni nella distinzione morfo-
nologica hanno potenzialità esplicative importanti se non decisive;
in concomitanza – faccia di una stessa medaglia o di un prisma che
dissocia in più facce una matrice unica – ci sono implicazioni per la
spiegazione della cosiddetta ‘regola di Schulze’ per -ı̄lio- quale specie
di un genus più ampio e che va dall’allungamento in derivazione, ti-
po tribŭ- : tribūnus, al genitivo in -ı̄ dei termini in -ŏ-, al tipo gallus :
gallı̄na 41, pecu pl. pecua 42, alle coppie cerva/ia, Consiva/ia, al tipo mi-

38
Su katulstos A. Marinetti, Venetico in Studi Etruschi, LI, 1983 [1985],
p. 283-302 e Prosdocimi, Veneti antichi, cit., p. 258-259.
39
L’alternanza Camalus/Camulus in area iberica (su cui Birkhan, Germanen
und Kelten, cit., p. 336 sg. ) ha forse a che fare con la nostra questione, ma è biva-
lente per la non sicura quantità di -u- : -ŭ- o -ū-?
40
A. L. Prosdocimi, Sull’accento latino e italico, in Festschrift für Ernst Risch
zum 75. Geburtstag (a cura di A. Etter), Berlino-New York, 1986, p. 601-618.
41
G. R. Solta, Venetische Personennamen und indogermanische Femininbil-
dung, in «Die Sprache» V, 1959, p. 187-208.
42
Su pecu e correlati v. ora A. L. Prosdocimi, Sul lessico istituzionale indeu-
ropeo, in Scritti inediti e sparsi. Lingua, Testi, Storia, I-III, Padova, 2004, vol. III,
p. 1247-1357.

.
92 ALDO PROSDOCIMI

ner-va < *menes-wa con -va < -wH2 che è ‘femminile’ residuale in lati-
no mentre in messapico, nella grafia -o-a (foneticamente [-ua]), è
normale ed alterna con C’a < -Cija e -Ca 43 ; etc., fino alle motivazioni
della cosiddetta ‘legge di Sievers’ e, con essa alle radici della morfo-
nologia nominale dell’indeuropeo antico 44. Qui mi arresto per la se-
de e per l’opportunità ma, spero mi sia fatto credito, le posizioni non
sono fondate sul nulla anche se, in parte, si inquadrano in orizzonti
non contemplati da alcune vulgate correnti.
Come si vedrà meglio avanti, la morfonologia di -ı̄lius è com-
plessa ma ben spiegabile nella genesi, evoluzione, funzione; alla ba-
se c’è il derivativo -lo-, di cui abbiamo parlato sopra perché propon-
go delle alternanze di -i- precedente tra lunga e breve (cosiddetta ‘re-
gola di Schulze’), individuato in -lio- un modello per distinguere
formalmente il (patronimico?) gentilizio di basi già in -io- (-ı̄-), o co-
me alternativo a -io- per basi in -o- (-ı̆-). La funzionalità di -ı̄lio- (con
la lunga perché da base in -io-) è potente, mentre la funzionalità di
-ı̆lio- è meno evidente, ma è verosimile che funzionasse per segnala-
re che il derivato da un tema in -ŏ- non era nome individuale → pre-
nome in formula binomia ma (patronimico? →) gentilizio : un Ma-
nius rispetto a manus o mane è il nome individuale romano per ec-
cellenza 45 pur avendo forma in -io-. Tuttavia -lo- compare come -lio-
evidentemente per la sua posizione-funzione nella formula binomia.
Lo stesso -lo- compare come -ŏ- od -a nelle cognominazione tipo Hi-
spallus e Messalla, il che, da una parte riporta a -lo- e dall’altra alla
alternanza/isofunzionalità di -os, e -a come si vedrà (§ 3) per i pre-
nomi tipo Atta, Mama, etc. : è una riprova della funzione di -l(o)- ri-
determinato da -io- per il (patronimico →) gentilizio, ma ripropone
nella cognominazione un’altra isofunzionalità e cioè tra -ō(n) e -a,
che non va semplicemente constatata dicendo che i cognomina sen-
za altri morfemi designativi tipo -lo, -na etc. sono di norma in -ō(n)
ed -a per cui questi sarebbero ‘marcatori’ della funzione cognomina-
le ma, invertendo la sequenza causale, si dovrà individuare perché
queste forme di lingua sono utilizzate come morfemi per cognomi-
na. Anticipo un a priori e cioè che - ō(n) e -ă < *-ā sono indicatori di
appartenenza ad una classe tramite un valore (generico) di ‘relazio-
ne con = appartenenza a’ quale applicazione pragmatica.

43
A. L. Prosdocimi, Sulla flessione nominale messapica, parte I in Arch.
Glott. It., LXXIV, 1989, p. 137-174; parte II in Arch. Glott. It., LXXV, 1990, p. 32-
66 (v. anche Appendice n. 4).
44
A. L. Prosdocimi, Syllabicity as a genus, Sievers’ Law as a species, in Papers
from the 7th International Conference on Historical Linguistics, Amsterdam-Phila-
delphia 1987, p. 483-505 [ora in SIES vol. III].
45
Su Manios della Fibula prenestina v. A. L. Prosdocimi, Helbig med fefaked?
Sull’autenticità della fibula prenestina : riflessioni angolate dall’epigrafe, in LEFI.
Linguistica Epigrafia Filologia Italica, 2, 1984, p. 77-112.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 93

2.2. -ı̄lius e -ı̆lius

2.2.1. La ‘regola’ di Schulze


La questione è stata individuata da W. Schulze (1904, ZGLE alle
p. 454-456); immersa in una rassegna eterogenea, ma non per que-
sto meno importante, è a mio avviso, una perla da mettere alla luce
prelevandola dall’ostrica. Il lavoro di Schulze data di un secolo e si è,
storiograficamente, ingiusti nel giudicarlo scontestuato da epoca e
temperie in cui è stato scritto; anche per questo ritengo opportuno
riprendere verbatim la sezione che interessa; salvo eccezioni non ri-
porto le note ma ne ritengo il rimando per segnalare la base ‘filologi-
ca’ delle affermazioni (v. Appendice n 6). Da una considerazione sul-
la geminazione ∼ non-geminazione nella base nominale rispetto ai
suffissi derivazionale, nel caso in -l(l)- (p. 451 sgg.), qui non collegati
alla cosiddetta ‘lex mamilla’ (ma v. p. 520), Schulze passa ad una
considerazione morfologica sulla geminazione consonantica e, al
suo seguito, sulla correlata quantità vocalica nella sequenza sillabi-
ca 46.

[p. 454] Dagegen beobachten wir sehr häufig grade ein Ausei-
nanderstreben der Form, zB. bei Mettius und Metilius, Siccius und Si-
cilius, also dasselbe Auseinanderstreben, das wir Accoleius : Acilius
soeben constatirt haben.
Es ist aber zunächst nothig, diese Formen auf -ilius einmal ge-
nauer zu verhören : sie sehen harmloser und einförmiger aus, als sie
in Wirklichkeit sind. Die dringlichste Aufgabe ist, ihre Quantitätsver-
hältnisse festzustellen1). Nur für einen Theil ist das bereits geschehen,
für Acilius Atilius Catilius Lucilius Manilius Metilius Pacilius Rutilius
Statilius Venilius, die sicher, Magilius Utilius, die wahrscheinlich lan-
ges i vor dem l haben, dann für Basilius Rupilius Tutilius, die sicher,
Mamilius Vetilius, die wahrscheinlich kurzen Vocal in gleicher Stel-
lung zeigen. Ausserdem ist der Vocal lang in Agrilius oben S. 115 Coe-
silius 2) Caltilius 139 Campilius 3) Caprilius 145. 353 4) Carvilius 5) Divi-
lius 90 Egrilius 6) Etrilius 268 Laetilius 178 Luxilius 7) Qpsilius 335
Anm. 1 Pantilius 8) Publilius 9) Servilius 10) Voltilius 260 (CIL VI s.
30906) 11), kurz dagegen in Aemilius 12) Caecilius 13) Gargilius 172 Her-
sislius 174 Orbilius 1) Otācilius 131 Pompilius 2) Pontilius 3) Quinc-
tilius 4) Romilius 5) Sentilius 6) Sextilius 7) Tongilius 8) Turpilius
246 9) Tutilius 248 Vergilius 10) und Numilius 10). Die Zeugnisse habe
ich unter dem Texte zusammengestellt und dadurch den Leser in den

46
A quanto appare vi è giustapposizione fenomenologica ma non correlazio-
ne eziologica così come, anche per l’epoca, non vi è questione di geminazione
consonantica / quantità vocalica tra segmentalità e sopra segmentalità.

.
94 ALDO PROSDOCIMI

Stand gesetzt, die Beweiskraft dieser Zeugnisse für jeden einzelnen


Fall unabhängig von meinem Urtheil selber zu taxiren 11) : nicht alles
ist gleich sicher, aber was ich bieten kann, reicht aus, um die Quanti-
tätsdifferenz im Princip zu erklären.
Diese Erklärung ergießt sich nämlich ganz von selbst aus der Ge-
genüberstellung von Q(uintus) Quintı̆lius (CIL VI 200 XIV 1526 sq.)
Sex(tus) Sextı̆lius (VI 26506 XIV 251) 1) Pompus Pompı̆lius und
L(ucius) Lucı̄lius (VI 21584 XI 3376) P(ublius) Publı̄lius (VI 25170 a
sq. 25182 sq. IX 422) M(anius) Manı̄lius Statius Statı̄lius (oben
S. 166) : aus den -io-Stämmen Caesio- Lucio- Manio- Pacio- (osk. Pa-
kis) Publio- Servio- Statio- Voltio- (oben S. 260) stammen die lang-
vocalischen Gentilicia Caesı̄lius Lucı̄lius Manı̄lius Pacı̄lius Publilius 2)
Servı̄lius Statı̄lius Voltı̄lius, aus den o-Stämmen caeco- Mamo- orbo-
(oben S. 221 Anm. 1) 3) Pompo- Quincto- Sexto- dagegen die kurz-
vocalischen Caecı̄lius Mamı̆lius Orbı̆lius Pompı̆lius Quinctı̆lius Sex-
tı̆lius 4). Es ist derselbe Gegensatz, der Jedermann von tibia : tibı̄cen
und tuba : tubı̆cen her geläufig ist. Die Regel scheint mir so evident,
dass ich unbedenklich aus der Quantität des Gentilnamens Aemı̆lius
für die S. 295 citirte Inschrift den Vornamen Aemus (nicht Aemius)
und umgekehrt aus der Form des Vornamens, den Hostus Hostilius
trägt, die Quantität des Gentiliciums Hostı̆lius erschliesse – trotz der
vereinzelten I longa, die die capitolinischen Fasten einmal in diesem
Namen, zugelassen haben 5). Dass der lange Vocal in Acilius Atilius
Etrilius Rutilius von Haus aus monophthongisch war und nicht erst
aus ei entstanden ist, scheinen die praenestinischen Grabschriften
CIL XIV 3046. 3067. 3125 sq. 3229 ausreichend zu erhärten».

[p. 455] 7) Sextı̆lianus Martial 1, 11 und 26. 6, 54. Merkwürdiger-


weise haben zwei Inschriften longa in diesem Namen VI s. 33279
(non recogn. : zweimal) XII 2247. Das muss ein Versehen sein, wie es
VI 11074 auch hei Aemilius vorgekommen ist. Oder ist Sēstı̄lius ge-
meint? Leider kann ich für diesen Namen die Quantität nicht fest-
stellen. Dass Sēstius und Sextius identisch sind, ist eine Fabel.

[p. 456] Chase Harvard Studies 8, 125 hat schon das Richtige,
Solmsen’s Versuch Lucı̄lius Manı̄lius an lucı̄ manı̄ anzuknüpfen (Stud.
zur lat. Lautgesch. 117), wird sich schwerlich dagegen behaupten kön-
nen. S. auch die oben S. 243 sq. angeführte Aeusserung Borghesi’s.
5) Falsche I longae S. 455 Anm. 7. Publicius hat I longa vor c CIL
V 3022, obwohl Ovid Fast. 5, 294 die Messung Pūblı̆cius verbürgt.

La fenomenologia identificata da Schulze ha di per sé una evi-


denza ma è corroborata da un caso che Schulze elimina come con-
trario alla sua tesi e che invece la conferma : Hostı̄lius ha la -ı̄- lunga
perché non deriva da Hostus ma da Hostius. Per questa affermazio-
ne ci sono dei paralleli quali Attus e Attius, ‘normalizzati’ a partire
da Atta (avanti, § 3 passim) e Mettus/Met(t)ius Fufetius (dictator de-
gli Albani contro i Romani di Tullo Ostilio); tuttavia nel nome di Ho-
stius e non Hostus vi è una motivazione più profonda ed evidente

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 95

per la priorità di Hostius rispetto a Hostus perché Hostius è da ho-


sti-, con il derivativo -jo- (teoricamente anche solo -o-). Una confer-
ma della -ı̄- lunga di Hostı̄lius viene dalla toponomastica, precisa-
mente dal toponimo Ostiglia, centro a 35 km da Mantova alla sini-
stra del Po; tuttora importante nodo viario, Ostiglia continua la
romana Hostilia (Plinio XI, 12), Tacito (Hist. III); documentato co-
me Hostilia in epoca altomedievale (a. 834, 861) continua nell’attua-
le Ostiglia <(H)ostı̄lia e non da +Hostı̆lia che, secondo la continuazio-
ne romanza, avrebbe dato +Oste- (v. Appendice n. 7). In ogni caso
anche senza ulteriori conferme, quello che io, con altri, definisco ‘re-
gola di Schulze’ : l’evidenza è un fatto ma non ne è data la spiegazio-
ne (= causa) della fenomenologia; la spiegazione si articola in vari
aspetti, connessi ma tenere distinti nelle loro pertinenze.

2.2.2. La funzione di -ı̄lio- e -ı̆lio-


La funzione di -ı̄lio- appare evidente : è un modo di marcare il
gentilizio dove c’è un nome individuale (→ prenome) in -io-. L’italico
risponde in altro modo e cioè ricaratterizzando -io- tramite -jo- da
cui -i(o)-jo- > (grafie varie) -ie- / -ií- etc. (avanti). Restano da spiegare
la -ı̄- per -io-, -l- in questa funzione e, correlatamente, perché -io- e
non -o- (come in leponzio : v. sopra § 2.1), cioè -lio- e non -lo-; alle
prime due questioni risponderemo avanti, mentre all’ultima si può
rispondere ora : -io- rappresenta la struttura formale del gentilizio
per cui, quale che sia la base, il morfema -io-, marca di già derivazio-
ne, è ormai, ut sic, la marca del gentilizio. En passant : questo, con
altro di cui si dirà, ripropone il gentilizio come originato dal patro-
nimico, e questa è una spiegazione avanzata da molti e per lo più da-
ta come acquisita 47, ma pone a monte una questione istituzionale : il
patronimico deriva dal pater in senso stretto, cioè il pater familias,
ma non da un *pater gentis da cui la ulteriore questione : quale è il
rapporto, nell’ipotesi il legame di sequenzialità lineare, tra familia e
gens? Non ho risposte ma, a quanto mi consta, la questione – topica
nella romanistica – è stata per lo più 48 elusa, accantonata o data per
scontata proprio nel nodo essenziale : se e come una gens, cioè una
struttura gentilizia, si configura come continuazione lineare di una
familia, cioè di una struttura con pater della familia rispetto a cui il
pater di fase ‘romulea’ si configura come un ‘rex/regulus’, struttura
che sopravvive – sia pure con un ‘pater/regulus’ ridimensionato nella
potestas – accanto alla gens che non ha il pater ‘rex/regulus’ ma che

47
Rix, Zur Ursprung der römisch-mittelitalischen Gentilnamensystem, cit.
48
Ma v. Peruzzi, Origini di Roma I, cit., cap. XI p. 146-165.

.
96 ALDO PROSDOCIMI

esprime i patres del senato 49. Su patronimico e gentilizio, familia e


gens v. sopra e ora, 2007/8 Roma].
Se la funzione di -ı̄lio- per -io- appare evidente, non sembra of-
frire pari evidenza -ı̆lio- da -o- : per questo sarebbe stato sufficiente
il normale -io-. La spiegazione, come anticipato sopra, c’è, è sempli-
ce ed evidente, solo che si parta dal factum dell’esistenza di -ı̆lio- co-
me derivatore da -ŏ- : -ı̆lio- ha la stessa ragione di -ı̄lio- tenendo con-
to che basi in -ŏ- avevano allomorfi e/o derivati in -io- che erano no-
mi individuali e non gentilizi ma che restavano come base nominale
nella lingua, potenzialmente nome individuale ma anche solo base
nominale, per tutti il rapporto manus : Manius (su ciò sopra); la
struttura si può estendere a coppie quali quintus : Quintius, Quinti-
lius, *Pompo- : *Pompio-, Pompilius etc. Resta il fatto che una base
-o- e non -io- dava -ı̆lio- perché il gentilizio derivava da una base no-
minale, cioè di lessico della lingua, in -ŏ- e non in -io-; qui è da sotto-
lineare un punto che può avere particolare rilievo per la genesi strut-
turale e sistemica del gentilizio : -ı̄lio- ha questa forma in -l- e non il
semplice e normale -io- perché ha una base già onomastica di nome
individuale (→ prenome) in -io- e ciò presuppone che il gentilizio de-
rivi da un patronimico, a sua volta derivato da un nome individuale
(simplex nomen), in -io- nel caso di -ı̄lio-, quindi con necessità di dif-
ferenziazione morfologica (o morfonologica per l’italico : sopra
§ 1.1) : -ı̄lio- e non il solo -io- implicherebbe uno stadio patronimico
pre-gentilizio proprio perché il morfema con -ı̄l- dovrebbe presup-
porre un nome individuale (→ prenome) in -io- da cui differenziarsi
morfologicamente, nel caso con -l(io)-.
Di contro il tipo -ı̆lio- non presuppone un nome individuale di
cui essere patronimico, per cui il nome individuale dovrebbe esse-
re in -o- (o -Ø-), quindi sarebbe dotabile di un normale derivativo
in -io-; che vi sia -ı̆lio- e non -io- è spiegabile, come detto sopra,
con il fatto che -io- è (anche) morfema di nomi individuali da temi
in -Co- (o -Øo-) tipo Manius : manus, Servius : servus etc. Si con-
ferma che -ı̆lio- è morfema di gentilizio da tema nominale in -Cŏ-
(o CØ-) che non è nome proprio individuale ma termine di lessico
della lingua; se, come pare, è così ne consegue che una categoria di

49
Qui dovrebbe intervenire anche -i/ele/io- che nel latino falisco indica la fi-
liazione (?) ma mi attengo alla segnalazione per il solo latino di Roma. Tuttavia
ricordo che il latino falisco rende evidente un fatto, e cioè che -ı̆lio- non è da
*-ĕlio- come nel latino di Roma perché in falisco *-elio- resta -elio- come -ilio-. Un
fenomeno fonetico falisco, relativamente seriore, porta la sequenza -ilio- a (grafi-
co) -io-. Sui dati del latino falisco su queste ed altre questioni, in sé e attinenti al
latino di Roma e ad altri ‘latini’ (Latinisch nella convenzione tedesca) sarà da ri-
tornare. Su -ı̆-/-ı̆- + -l- v. anche appresso.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 97

gentilizi è formata per morfologia senza avere per tramite un patro-


nimico : qui mi arresto ma le possibili implicazioni per la storia isti-
tuzionale del gentilizio potrebbero essere cospicue sia per la genesi
della formula binomia con il gentilizio di secondo elemento sia, a
monte, per il rapporto sociogiuridico tra familia, con pater (sopra)
da cui il patronimico, e gens con parens ma con gentilizio (v. anche
avanti).

2.2.3. -ı̄- e -ı̆-


La cesura morfologica -ı̄lius, -ı̆lius può avere motivazioni nell’as-
setto sincronico recente e/o nella descrizione grammaticale ma, come
in casi consimili, la morfologia genetica è base -ı̄- + -lio-, ∼ base -ı̆- +
-lio-. Nel nostro caso, prima di motivare il perché di -ı̄-/io- vs. -ı̆-/-ŏ-, è
sufficiente a motivare il che (factum), cioè la segmentazione morfolo-
gica (genetica) per cui -ı̄- e -ı̆- appartengono geneticamente alla mor-
fonologia dalla base, per la stessa ragione che ha fatto individuare la
morfonologia stessa : -ı̄- presuppone una base in -io-, -ı̆- presuppone
una base in -ŏ-, quindi la cesura morfologica genetica viene dopo,
cioè tra -ı̄-/-ı̆- e -lio-. Su -ı̄- vs. -ı̆- qui brevi cenni perché la morfonolo-
gia a monte rientra in un orizzonte ampio e complesso, non solo per
le sue radici ‘indeuropee’ ma perché nelle grammatiche (salvo ecce-
zioni in trattazioni singole) le radici genetiche non sono considerate
o sono spezzettate e/o ripartite in sezioni separate, in una confuzione
tra genesi (diacronia) e funzionalità sistemica (sincronia).
Un avvio alla spiegazione parte da -ı̄- per -io- : la morfonologia è
in derivazione di -io- e -i/jō, particolarmente evidente nei derivati in
-no- per cui si cūria < *co-uirio/a ma Quirı̄nus < *co-uirı̄-no-, Quirit-
< -co-uirı̄-t- 50. Un secondo livello di spiegazione identifica in -ı̄- un
esito di -*iH2 dove -H2 sarebbe una laringale in funzione derivazio-
nale, la stessa del femminile in -i/j(l) H2 e del genitivo in-ı̄. La sua ge-
nesi remota non interessa qui se non per il fatto che -H2- differenzia
-ı̄- < -io- rispetto a -ı̆-< -o-; di conseguenza -ı̆-, invece che un -ĕ- se-
condo il modulo sikelov : siculus : Sicilia, *famelos (osco famel); fa-
mulus : familia (TI fameřia 51), è un -ı̆- primario, allomorfo di -ŏ/e- in
derivazione, come è confermato dai gentilizi in -ı̆dius (Schulze
p. 437 sgg., 198-9) dove -ı̆- non può provenire dall’effetto di -l- ‘mol-
lis’ come invece è in -i- del tipo familia < *famelia (cit.); il tema, co-

50
A. L. Prosdocimi, Curia, Quirites e il ‘sistema di Quirinus’ (Populus Quiri-
tes Quiritium II), in Ostraka, V, 1996, p. 243-319; anche Etnici e strutture sociali
nella Sabina : Cums, in Identità e civiltà dei Sabini, Atti del XVIII Convegno di
studi Etruschi e Italici (Rieti-Magliano Sabina 30 maggio-3 giugno 1993) Firenze,
1996, p. 227-255.
51
J. Untermann, Wörterbuch der Oskisch-Umbrischen, Heidelberg 2000;
A. L. Prosdocimi, Tavole Iguvine, vol. III in stampa.

.
98 ALDO PROSDOCIMI

me detto, porterebbe ben avanti nella genesi stessa della morfonolo-


gia derivazionale ‘indeuropea’ ma qui ci arrestiamo, salvo ricordare
che l’allomorfia -o- con -i- in derivazione ha la stessa matrice di ciò
che è stato riconosciuto in greco per il tipo kydro¥v che in derivazio-
ne assume la forma kydi- : per tutti il caso kydia¥neira 52.
Lasciando da parte precedenti ‘glottogonici’, non inverosimili
ma a quote in cui la comparazione con esiti ricostruttivi non è più
sufficientemente fondata, -l- come derivatore funzionalizzato all’o-
nomastica si ha, nello stesso latino, nelle cognominazioni tipo Mes-
sala e Hispallus : <*-năla, -*ně/ŏlo- etc. È significativo che nella co-
gnominazione vi sia -l- ma non -ius, riprova che -ius era sentito come
morfologia propria del gentilizio, anche per i gentilizi in -ı̆lio- che
non derivano da nomi individuali (→ prenomi) in -io- (sopra). Resta
la pertinenza di -l- che non è un diminutivo ma, come altri casi quali
-no- in -ı̄nus, la funzionalizzazione al diminutivo è una conseguenza
della pertinenza generale che significa ‘relazione con’ da cui si ha il
diminutivo, ma da cui anche un nomen agentis tipo bibulus (v. sopra
nota 17) : come nel caso di Hispallus Messalla la caratterizzazione di
un nome, sia etnico o toponimo, entro il sistema onomastico in posi-
zione non di gentilizio. Il discorso si dovrebbe estendere all’italico
proprio e a forme onomastiche latine con sospetto di italicità, ma qui
ci arrestiamo perché il discorso porterebbe lontano e avrebbe com-
plicazioni notevoli tra genesi, riformazioni, interferenze.

2.3. -ō(n)
2.3.1. Premessa
Per -ō(n) siamo partiti da una retrospettiva minima sull’onoma-
stica leponzia e vi abbiamo derivato un’ipotesi di lavoro sulla isofun-
zionalità di -ō(n) e -a < *-eH2 fondata su morfologia derivazionale
‘indeuropea’, geneticamente comune ma diversamente sistemata e
funzionalizzata nelle singole lingue; anche per il tema della relazio-
ne nell’ambito del convegno ci siamo limitati al richiamo più imme-
diato, il latino e, per documentazione meno immediata, l’italico.
Avremmo potuto richiamare le forme in -n- della flessione germani-
ca o venetica, celtica o indiana antica o greca, etc. 53 Il latino, salvo

52
La legge è stata identificata da Caland e poi comunemente accettata per
-ro-/-i- : bibliografia in Schwyzer, Gr. Gr. I p. 447-448. Fr. Bader in vari luoghi ha
riportato l’allomorfia già riconosciuta in -Cro-/-Cri- ad una più elementare (e logi-
camente primaria) in -Co-/Ci-.
53
Sulla fenomenologia della dialettalità greca dirò qualcosa più avanti in
quanto, rivisitata di recente, è suscettibile di ulteriori aggiustamenti da una ango-
lazione diversa e, a quanto mi sembra, solidale con le formanti in -ō(n) del latino
e, più immediatamente, del leponzio (e con esso di altra dialettalità celtica) per

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 99

casi quali homo/-inis ha generalizzato -ōn-nei casi derivati dal nomi-


nativo e in derivazione come manifesta homonem/hemonem 54. Il ve-
netico sembra avere una generalizzazione di -ō come il latino (cfr.
ariuns < *ariōn(i)s), ma anche un -ō(n) : -ōn di tipo ‘greco’ : la que-
stione va ristudiata 55, ma non è immediatamente pertinente in que-
sta sede in cui si tratta della funzionalità di -ō(n)(/-on-) nell’onoma-
stica e delle sue premesse nelle pertinenze semiche della langue.

2.3.2. Le pertinenze semiche di -ō(n) e la loro funzionalizzazione


nell’onomastica
La conseguenza nell’aver riconosciuto una funzionalizzazione
di -ō(n) nell’onomastica – non solamente antroponimia, ma qui si
focalizza questo aspetto – per chi avesse voluto trarla, sarebbe di ri-
cercare le condizioni nella langue per cui una formante -on- (da cui,
in più lingue, -ō al nominativo) potesse funzionare da formante ono-
mastica, polivalente com’è, anche se non è detto esplicitamente, nel-
la vulgata : -ō(n) per un Kurzname non è lo stesso che -ō(n) per un
cognomen, tipo Catō(n) rispetto a catus. Il secondo caso è immedia-
tamente pertinente, perché è la funzionalità onomastica di una per-
tinenza di langue, una derivazione da definire prima facie ‘aggettiva’
più propriamente con la pertinenza ‘appartenente alla classe di...’.
Catō(n) non è il catus ma è ‘colui che è della classe del catus’, così
come Cicerō(n) non è il cicer ma ‘colui che ha a che fare con il cicer’,
quindi, per decodificazione pragmatica, un ‘*ciceroso’. Una volta ri-
conosciuta la pertinenza di langue di -ō(n) è da prevederne una ap-
plicazione non ristretta all’onomastica, anche se nell’onomastica ha
avuto ragioni di applicazione e, tramite la frequenza dell’uso, di es-
servi individuata; ma questo è un accidente euristico da non confon-
dere con la sua pertinenza primaria nella langue; meglio ancora, la
prospettiva ‘onomastica’ ha rovesciato la catena causale, causa-effet-
to, e così ha impedito di individuare correttamente la funzionalità di
-on nell’onomastica stessa, convertendo una constatazione in una
spiegazione, doppiamente pseudo-spiegazione : 1) perché non spie-
ga ma constata la fenomenologia entro l’onomastica; 2) perché non
riporta la funzionalità entro l’onomastica alla più generale semicità
entro la langue.

l’aspetto morfonologico : come il greco ha la morfonologia nom. -wn altri casi


-on-, così il leponzio (e altro celtico) ha esiti fonetici che presuppongono -ō(n) >
-u vs. -ŏn- > -on-.
54
hemonem è in Paolo (89L9 «Hemona humana et hemonem hominem dice-
bant»; la quantità è assicurata da homonem in Ennio ann. 138; sulla questione,
anche per forme extraromane, v. Leumann, Lat. Gr. 19775 § 325 ‘Zusatz’ e § 343d.
55
Sul tema è in preparazione un lavoro, tra celtico e venetico, da parte di
A. Marinetti, P. Solinas, A. L. Prosdocimi.

.
100 ALDO PROSDOCIMI

La semicità di -ō(n) entro la langue è, come visto, ‘relazione


con...’, ‘appartenente alla classe di...’, cioè si tratta di una derivazio-
ne ‘aggettiva’ che può avere diverse applicazioni pragmatiche o, in
altro modulo di inquadramento, di realizzazione come ‘norma’ di
Coseriu, cioè come realizzazioni ‘storiche’; una di questa è la forma-
zione tipo a.ind. balı̄n : bala con valore di agente, o lat. curion- : cu-
ria ‘quello della curia = il capo della curia’ etc.; un’altra può essere di
puro aggettivo come il tipo cum silvis communionibus già identifica-
to da Terracini e attribuito al (suo) ‘ligure’ 56. In questa situazione un
-ō(n) ove sia applicato a un nome proprio, può essere equivoco tra
formante di nome proprio come nome proprio, tipo Caton-, Cice-
ron-, e formante di derivativo da nome proprio; per non essere
astratti né pensare che sia una distinzione ad hoc, è la stessa temati-
ca del derivatore -jo- che, nella lingua, forma derivati primari e se-
condari, quindi ‘aggettivi’ e che funziona come derivatore nel siste-
ma onomastico quale formante secondaria (cioè da basi già nomina-
li) nei cosiddetti appositivi, di norma patronimici, tipo venetico
Voltiomno- : Voltiomnio-, lat. Postumo- : Postumio-; l’interferenza
tra i due piani di funzionalità – linguistica propria e onomastica – è
evidente, pertanto una formante in -io- può essere una forma ‘agget-
tiva’ della lingua trasposta ut sic come nome proprio individuale ma
può essere anche un derivatore nell’onomastica di una base di nome
individuale, quale che sia, allora con la funzione di derivatore ono-
mastico ‘appartenente a ...’, cioè per lo più, ma non necessariamente
‘figlio di ...’ e, in alcune tradizioni fissato anche come gentilizio (so-
pra e avanti).

Confesso che mi è stato difficile realizzare questo status complesso ed


incrociato tra sistema linguistico proprio e funzionalità onomastica per un
derivatore ‘centrale’ quale, nell’indeuropeo, è -jo-; ancora più difficile mi è
stato il comunicarlo per scritto, così che la sua ricezione è risultata pres-
soché inesistente, in sé e nelle conseguenze morfologiche nel sistema ono-
mastico, cioè dove un nome individuale già in -jo- debba essere ulterior-
mente caratterizzato per risultarne derivato, da -jo- o da sostituti per ca-
ratterizzazione (più) marcata; anche in questa situazione credo che
l’esempio di -jo- nella sua duplice funzionalità tra funzionalità di lingua e
funzionalità onomastica sia sufficientemente evidente per evidenziare, mu-
tatis mutandis, lo status di forma derivazionale -ō(n) tra lingua e onoma-
stica (v. ad nota 13).
-ō(n) forma derivati nella lingua e nell’onomastica; nell’onomastica può
derivare sia da una base della lingua, per esempio da un tema in -ŏ- nel rap-
porto tipo lat. Caton- : catus (sopra); non è una semplice trasposizione ono-
mastica, ma la forma in -ō(n) ha una funzionalità onomastica primaria : in

56
B. Terracini, Spigolature liguri, in Arch. Glott. It., 20, 1926, p. 122-160.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 101

un determinato sistema onomastico segnala che la forma è un cognomen


(nel senso visto sopra); in un altro sistema può segnalare che è un ipocoristi-
co, cioè una riduzione, significante, del nome intero : è un fatto della feno-
menologia e a questo si è fermata la vulgata, mentre non sarebbe difficile
proseguire e mostrare perché -ō(n) della lingua sviluppa nella funzione ono-
mastica di ipocoristico la sua pertinenza di lingua quale segno che il nome
proprio in -ō(n) appartiene alla classe significativa dell’elemento, di solito il
primo, di un composto che ‘significa’ nel composto stesso; ma di ciò altro-
ve : qui è sufficiente avere identificato in -ō(n) la funzione di trasporre un
elemento di lessico nell’onomastica, e che vi rientra anche il membro di un
composto ritenuto Kurzname, in quanto nel composto è una forma di lessi-
co, mentre è onomastico solamente in composizione se abbreviato (Kurz-
name) mediante la marca morfologica -ō(n) che significa due cose in con-
temporanea o, dal punto di vista onomastico, una sola cosa a due facce : la
base di lessico è in funzione onomastica e viene segnalato che è il centro di
significatività di un nome composto.

La funzione onomastica di -ō(n), di cui si è detto e definita pri-


maria, è stata finora vista come esclusiva mentre, come fondata nel-
la sua funzionalità nella langue, era da prevedere anche una funzio-
ne ‘secondaria’, e cioè una funzionalità derivativa entro l’onomastica
per cui -ō(n) può essere morfema equivalente a -io- di appositivo per
indicare ‘appartenente a...’, esattamente come -jo- : Iulius = (appar-
tenente alla) gens Iulia ma iulius = ‘della gens Iulia’ secondo il tipo
‘basilica Iulia, Ulpia’ etc. 57 ; pertanto, apposto su di un oggetto, po-
niamo di genere femminile, un iulia non significa necessariamente il
nome di una signora ‘Iulia’ (senza prenome, secondo la prassi roma-
na, su cui un cenno appresso), ma anche, o piuttosto, l’appartenenza
alla gens Iulia : questo non implica che iulia sia un genitivo morfolo-
gico ma è solo un modulo di significare mediante l’aggettivo, l’ap-
partenenza pragmatica che si potrebbe significare anche mediante
la morfologia flessionale di genitivo. Analogizzando l’eventualità che
una forma onomastica si presenti su un oggetto come forma isolata,
e non in formula, non implica un genitivo morfologico per più ra-
gioni :
1) la presenza di nominativi è un fatto noto all’epigrafia, per
esempio nel venetico in alternativa al dativo; non è una casualità ma
la conseguenza dello status del nominativo come caso (ormai?) ‘as-
soluto’ e quindi svincolato o svincolabile da una funzione sintattica
in una sequenza finale esplicita. Una morfologia flessionale di nomi-
nativo ut sic, cioè indipendentemente da morfologia derivazionale

57
Ne ho trattato a proposito dell’iscrizione con vetusia : A. L. Prosdocimi,
Vetusia di Preneste : etrusco o latino, in St. Etr., XLVII, 1979, p. 379-385.

.
102 ALDO PROSDOCIMI

della parola di base, nel caso nome proprio, può significare tanto de-
dica (funzione dativo) quanto possesso (funzione genitivo), quanto
entrambi.
2) Una forma (onomastica) al nominativo può esprimere la
funzione di possesso tramite la morfologia derivazionale della for-
ma stessa, tipo Ulpia, Iulia di una basilica 58. Pertanto un morfema
in -ō(n) con funzione ‘aggettiva’ di ‘pertinente a...’ può benissimo
esprimere il possesso, così come può funzionare in una formula
onomastica al secondo elemento, appositivo da altra base nominale
come allomorfo del derivatore -jo- : dovrebbe essere il casos di plia-
leuu nella forma onomastica uvamokozis plialeuu dell’iscrizione di
Prestino 59.
3) (1+2) La duplice funzionalità di -ō(n) spiegherebbe un feno-
meno constatato ma non spiegato negli appositivi dell’onomastica
venetica e celtica-cisalpina : J.Untermann (1961) poneva l’esistenza
= evidenza di allomorfi in -ion- negli appositivi ‘patronimici’ del
venetico in -io- (cfr. nota 20). Tra l’altro veniva così eliminato un
presunto – e non impossibile – genitivo in -eio 60 il che riproduce
l’iter argomentativo per un presunto genitivo in -u in leponzio.
Untermann desumeva la sua interpretazione da un’analisi formale-
strutturale delle formule, ma non ne dava una spiegazione se non
come selezione di un allomorfo su una possibilità di langue. Ora
c’è una motivazione non generica : un derivatore, -ō(n), caratteriz-
za ulteriormente un derivatore in -jo- : se si tratti di ipercaratteriz-
zazione funzionale o di caratterizzazione funzionale a una marca
morfologica che era, o era sentita, come non sufficientemente ca-
ratterizzante come derivazione con sema di ‘appartenenza’ : e que-
sto è sufficiente come contorno, non come prova, del nostro di-
scorso.

58
Il fatto che la formula onomastica romana per la ‘donna’ non abbia il no-
me individuale ma solo il gentilizio potrebbe indicare la che donna nello status
giuridico ‘normale’ era assimilabile alle res della gens, almeno secondo certi pa-
rametri di giuridicità, da verificare tra realtà fattuale del tempo e nella codifica-
zione formale di una realtà formale recepita dal passato; sia realtà effettuale, sia
eredità formale, la differentia specifica con lo status onomastico del filius fami-
lias è una evidenza.
59
A. L. Prosdocimi, L’iscrizione leponzia di Prestino : vent’anni dopo, in Zeit-
schrift für celtiche Philologie 41, 1986, p. 225-250; Celti in Italia prima e dopo il V
secolo a.C., in Celti ed Etruschi nell’Italia centro-settentrionale dal V secolo a.C. alla
romanizzazione, Atti del Colloquio Intarnazionale (Bologna 12-14 aprile 1985),
Bologna, 1987, p. 561-581; I più antichi documenti del celtico in Italia, in Atti del 2o
Convegno Archeologico Regionale (Como 13-15 aprile 1984), Como, 1987, p. 67-92.
60
Ipotizzato per toupeio (Pa 7) nella formula hostihavos toupeio. Per un pre-
sunto genitivo in -u nel leponzio v. Note sul celtico in Italia, «St. Etr.» LVII, 1991,
p. 139-177.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 103

3. -A NELLA LANGUE E -A NELL’ONOMASTICA

Premessa
Si è vista una isofunzionalità di -a con -ō(n) in alcune posizioni
dell’onomastica, e si è contemplata l’esigenza di un approfondimen-
to di tale isofunzionalità nella langue quale fondamento e causalità
(v. Appendice n. 5-6). Nel nostro caso la langue è una (ri)costruzione
nominata ‘indeuropeo’; la sua unitarietà consiste in (non molti)
principi struttivi distribuiti e/o evoluti in varietà e/o filoni, poi andati
a costituire le lingue storiche non documentate per vari motivi,
estrinseci quali casualità del pervenire documentale, o intrinseci
quali status di consistenza di lingue cosiddette ‘indeuropee’, che so-
no espressione di diverse realtà socioculturali : nello spazio, nel
tempo, nei contesti storici 61. Questo richiamo dovrebbe essere una
costante sempre presente quale principio nell’operare; qui lo esplici-
tiamo perché quanto diremo sull’onomastica e sui suoi fondamenti
morfologici nella langue consiste in terminali di processi ed evolu-
zioni complesse e specializzate, a volte cristallizzate in modo tale da
conservare tratti e strutture arcaiche che nelle langues hanno diver-
samente evoluto, tra marginalizzioni, ristrutturazioni, risistemazio-
ni, (ri)categorizzazioni : è il caso delle forme in -ā < *-eH2 che affon-
da le radici nella consistenza della categoria stessa del femminile e
nel suo essere come formarsi tra semantica e la creazione di una sua
morfologia; è il caso di forme derivazionali quali i morfemi in *-je/o-
e *-je/oH- con indistinzione vs. distinzione tra basi in -e/o-s e basi in
-e/o-H1, queste seconde con le due opzioni *-Ce/oH2 + -jo- > -CØjo- o
-Ce/oH2 + -jo- > -Ce/oHjo- > -Cajo- 62.
Si aggiunga che queste premesse sono inferibili da frammenti in
parte fossilizzati nella funzionalità onomastica, e qui ulteriormente
dissociati dalla prospettiva, dalle finalità e interessi, non ultimi dalle
competenze dello studioso che ne tratta – in termini brutali con di-
cotomie di visuali dal basso (onomastica) o dall’alto (morfonologia),
entrambe legittime, entrambe parziali, entrambe di difficile giunzio-
ne in sé e nelle premesse delle compartimentazioni disciplinari che,
volenti o nolenti, ci condizionano. Con la coscienza delle difficoltà
mi avventuro in alcuni assaggi e proposte su aspetti marginali e/o
marginalizzati di forme onomastiche e/o di lessico (o da lessico deri-

61
Cenni in Prosdocimi, Filoni indeuropei in Italia, cit., e in altri lavori [ora ri-
presi in 2004 SIES, cit.].
62
A. L. Prosdocimi, Syllabicity as a genus, Sievers’ Law as a species, in Papers
from the 7th International Conference on Historical Linguistics, Amsterdam-Phila-
delphia 1987, p. 483-505, e Latino (e) italico e indeuropeo : appunti sul fonetismo,
parte I in in Messana, 12, 1992 [1994], p. 93-160; parte II in Messana, 18, 1993,
p. 117-184 (entrambi ora in SIES, cit. vol. III). (Cfr. anche Appendice n. 4).

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104 ALDO PROSDOCIMI

vate), quali atta- : Attius; *tata : Tatius; *appa : Appius e *papa : Pa-
pius; amma : Ammius; mama : Mamius etc. Un tema che qui accen-
no ma che andrebbe approfondito sia sul lato formale che sostanzia-
le sono le coppie tipo atta-tata etc. e loro derivati in -Øio- tipo Attius,
Tatius; la lista si potrebbe allungare anche se non di molto; quello
che si può segnalare è che le coppie, specialmente nella serie gemi-
nata, per lo più sono di occlusive sorde e non di sonore, il che po-
trebbe essere significativo per la cosiddetta ‘teoria glottalica’ o, me-
glio, per la ricostruzione di un consonantismo nel senso di Gam-
krelidze (-Ivanov) e Hopper (1973 ‘New Look’) : non è questa la sede
per approfondire ma per accennare all’apertura morfonologica con
esiti fonologici; parimenti non è la sede per evidenziare un aspetto
morfonologico, cioè di lingua, che appare secondario per l’onoma-
stica – tuttavia vedremo che non lo è per alcune implicazioni ono-
mastiche – ma che non lo è per fasi antichissime del farsi della mor-
fonologia tra maschile e femminile e, di riflesso, per la formazione
stessa del femminile quale categoria morfo-semantica di genus e
non di sexus : è un grosso tema della ricostruzione indeuropea da
sempre ma che negli ultimi tempi è stato incentrato sui dati delle
lingue anatoliche; di converso la questione va posta su tutte le lingue
indeuropee e nella loro ricostruzione interna : nel nostro caso una -ā
< *-eH2 che ha la stessa morfonologia di -os < -o-s presuppone una
equivalenza morfonologica della ‘vocale apofonica’ 63 e/o + s e e/o +
H2, per cui ci si riporterebbe ad una fase ‘preflessionale’ con -e/o-
senza -s e -H2, meglio con -s e -H2 non ancora funzionalizzati catego-
rialmente tra maschile e femminile e, da inserire, la categoria di ‘no-
minativo’ nel senso della grammatica tradizionale. Alle coppie date
sopra si possono aggiungere forme latine e italiche quali amma (Ve
147) : falisco mama (Ve 241); mamius/maamies (Ve 32); Acca
(Ve 215 f) e Acca (Larentia); Caca : Cacius/us; oltre le coppie il tipo
Fabius da faba etc. : questo per quanto concerne la morfonologia
*-eH2 > -ā > ă 64 + -io- > -Øio- (nei termini dati sopra e avanti). Soprat-
tutto vi è la simmetria, meglio specularità, dei tipi atta : tata, amma :
mama etc.; questi sono normalmente liquidati come nomi infantili,
nella terminologia tradizionale ‘Lallwörter’, poi rivisitati in chiave di
apprendimento della lingua da Jakobson (avanti), con ulteriori re-
centi ‘scoperte’ (dell’acqua calda) di alcuni psicologi-linguisti su ‘pa-
pa’ e ‘mama’ : ed altro ancora tra storia, preistoria ‘canonica’ e prei-
storia che affonda nella esecuzione e/o facultas loquendi quale an-
tropizzazione. Quello che interessa nella fenomenologia che

63
Cfr. i lavori citati a nota precedente.
64
Per lat. -ā > -ă v. Prosdocimi, Sull’accento latino e italico (1986), cit.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 105

permane nella storia, e anche nei fondamenti preistorici, non è la


genesi ma la funzionalità socio-culturale nella realizzazione storica.
Se basi lessicali ‘infantili’ forniscono onomastica, o sono premesse
ad una funzionalità onomastica per figure socio-culturali di alto o
altissimo rango, è questa funzione che va evidenziata come perti-
nente; eventualmente dovrà essere oggetto di riflessione il perché
termini ‘infantili’ assumono la funzionalità socio-culturale predetta,
e questo meriterebbe ben altri approfondimenti. Ciò detto è da riaf-
fermare che la qualifica di ‘Lallnamen’ (o ‘nursery rimes’) non è una
spiegazione, nemmeno una pseudo spiegazione, ma è un trucco che
rovescia il corretto modo di spiegare nel ‘che cosa si deve spiegare’ :
non si deve spiegare il prima ma il dopo storico, e questo anche in
una storicità proiettata nella preistoria ricostruibile per speculazio-
ne che, se pure ‘speculativa’, non è astratta ma è fondata su dati, sia
pure pochi; la loro proiezione è sufficiente a fare intravedere alcuni
tratti generali di un quadro possibile (o ‘compossibile’) ma non i
tratti che configurano la struttura e le funzioni del sistema sociocul-
turale in cui termini infantili potessero assumere semicità/funziona-
lità di terminologia delle strutture ad alto livello sociale/culturale e/o
giuridico e/o politico. La identificazione del fuoco socio-culturale e
non genetico dei Lallwörter è stata sottolineata da Anna Marinetti 65
a proposito di atta e *appa nei termini che si porranno appresso 66.

3.1. I tipi Atta, Attius, Appius etc.

3.1.1. La forma
Nell’articolo del 1982 di Anna Marinetti (v. nota 65), la ripresa
della questione di Atta/ius/us e Appius tra sabinità e romanità del-
l’uno o dell’altro aveva – come appare anche dal titolo – motivo
prossimo nella revisione, quasi rifondazione, della interpretazione
delle iscrizioni sudpicene dovuta, in primis, alla attribuzione di va-
lore ad alcuni segni che cambiavano la fisionomia di non poche for-
me 67. Nella ripresa del corpus (poi offerto dalla stessa nel 1985 : no-
ta precedente) si evidenziava la frequenza di apaiús (pl.) e apaes

65
A. Marinetti, Atta/us : Appius; lat. atta, sabino *appa e sudpiceno apaio-.
Sabini a Roma e ‘Safini’ nelle iscrizioni sudpicene, in Res Publica Litterarum, V, 1,
1982, p. 169-181.
66
Si riprendono alcune pagine dell’articolo del 1982, con aggiornamenti per
quanto concerne la posizione delle iscrizioni sudpicene : qui sono identificate se-
condo l’edizione Marinetti 1985.
67
A. Marinetti, Il sudpiceno come italico (e sabino?). Note preliminari, in in
St. Etr. XLIX, 1981, p. 113-158; Le iscrizioni sudpicene. I. Testi, Firenze, 1985.

.
106 ALDO PROSDOCIMI

(sg.), evidentemente da apaio- e, dato il plurale, in valore non di no-


me individuale (→ prenome) ma di gentilizio o nome di funzione
con possibilità designativa propria dell’onomastica. Ciò portava a ri-
prendere la questione se il prenome Appius fosse la romanizzazione
di un nome sabino, Attus/ius nell’ipotesi; o non fosse vero l’inverso,
e cioè che un sabino *appa si era romanizzato in atta, Attius/us, e
ciò malgrado le fonti e l’autorità di Mommsen. Il processo argomen-
tativo e il contenuto dell’articolo di A. Marinetti è anticipato in una
breve premessa :
Questo lavoro si articola in tre sezioni, collegate nell’argomenta-
zione in senso progressivo, cioè la sezione 1. (Atta-Appius rimanda a
un lat. atta e sabino *appa, termini del lessico istituzionale) è autono-
ma rispetto alla sezione 2. (estensione di *appa al sudpiceno, tramite
apaio- e l’equazione sudpiceno centrale = Safini = Sabini) che ne di-
pende e, se valida, allarga e precisa il discorso precedente (panitalici-
tà dell’opposizione semantico-istituzionale ‘padre ∼ grande padre’, sia
pure realizzata con lessico non unico : atta = *appa); la 3. propone,
per sommi capi, il riflesso della ‘safinità’ del sudpiceno per gli episodi
‘sabini’ nella Roma del VI-V secolo. Infine una postilla su Atto Na-
vio».

All’articolo, che riprenderemo in larga parte come citazione te-


stuale, si apporranno alcune postille sulla forma e riflessi : in parti-
colare si riprende la derivazione di -a in -Øio- e -Øo-; in seguito si
riprende, come problematica e non come soluzione, il tema dei pre-
nomi ‘significanti’ tipo atta/*appa e Ferter (Resius) fino a prenomi
quali Poplio- di un Valesio- che è cognominato Poplicola/Publicola 68,
cioè con una duplicazione concettuale del prenome all’epoca ben
trasparente lessicalmente (su ciò avanti); di qui una apertura pro-
blematica sull’imposizione del prenome dalla ‘nascita’ (giuridica si
intende) alla prima maturità e/o all’entrata nella vita pubblica = po-
litica; si pone una gamma di eventualità astratte : da un prenome
dato una prima volta e rimasto immutato ma già, sin dall’inizio, un
prenome ideologico – il che è ben presente all’antiquaria per una
funzionalità beneaugurante in modo generico o associata alle mo-
dalità della nascita fino alla imposizione del prenome – fino a un
prenome scelto come ideologia del personaggio stesso una volta en-
trato nella vita pubblica; per questo non mi sono noti (ma possono

68
Il riferimento è alla menzione di Poplio- Valesio- nell’iscrizione da Satri-
cum, pubblicata in Lapis Satricanus. Archaeological, epigraphical, linguistic and
historical aspects of the new inscription from Satricum, Archeologische Studiën
van het Nederlands Instituut te Rome, Scripta Minora V, ‘s-Gravenhage 1980,
p. 71-94; cfr. A. L. Prosdocimi, Sull’iscrizione di Satricum, in Giorn. It. Filol., XV
[XXXVI] 2, 1984, p. 183-230; Satricum. I sodales del Publicola steterai a Mater
(Matuta?), in La parola del passato, XLIX, 1994, p. 365-377.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 107

esistere, e da me non conosciuti) esempi o accenni antiquari, ma è


una possibilità da tenere presente per fasi di cui conosciamo poco
perché il cambiamento del nome individuante (prenome) è una pra-
tica ben nota se non normale in molte culture, compresa la nostra 69.
Vi sono casi di ideologizzazione quali la trasformazione del gentili-
zio aristocratico (e patrizio) Claudius in Clodius che suonava più
popolare per il cesariano ucciso da Milone : ma questo tocca la for-
ma quale gentilizi, e non tocca i prenomi. Sarà però da tener pre-
sente una fenomenologia della fase storica più recente rispetto a
quella meno recente in cui i praenomina sono a scriptio plena e non
ridotti a pure sigle secondo i meccanismi ben noti, ma non sviscera-
ti a fondo nel rapporto funzionale, non posizionale nella sequenza
onomastica, tra praenomen e cognomen (o cognomina).
Nel dossier sarà da mettere il fatto che Appius, come è noto, è
esclusivo dei Claudii salvo il caso di Appio Erdonio che, come ricor-
da la Marinetti, è pure sabino, ma che, a differenza dell’installarsi
dei Claudii, è stato una meteora a Roma; l’esclusività di Appius è, co-
me detto, cosa ben nota ma non spiegata e/o non inquadrata né in-
quadrabile in quanto sappiamo dalle fonti : è indizio di dare praeno-
mina secondo regole antiche, perpetuate per tradizione ma che noi
(né gli antichi?) non conosciamo o riconosciamo? Questo non tanto
per il tema Appius quanto per la possibilità di modi di assegnare
prenomi, tra cui nomi ‘parlanti’, secondo regole non sopravvissute
alla storicità che ci è pervenuta dalle fonti. Qui anticipiamo un pun-
to formale – con riflessi anche contenutistici – che riprendiamo
avanti dopo aver considerato una casistica più ampia ed articolata e
cioè il rapporto *appa : appius e Atta : attius : attus. Partendo dal
fatto che a Roma atta è termine di lessico oltre che prenome del-
l’antenato della gens Claudia (Svet. Tib. 1) Anna Marinetti, dopo una
disamina filologica delle forme/fonti propone la seguente argomen-
tazione e correlata restituzione dei processi sottesi alla fenomenolo-
gia da commentare (Marinetti 1982 cit., p. 171-18170) :
La doppia forma si spiega come trasposizione da lingua a lin-
gua; tale trasposizione non essendo foneticamente altrimenti moti-
vabile 71 richiede il concetto di ‘traduzione’; la traducibilità di nomi

69
Cfr. Prosdocimi, Appunti per una teoria del nome proprio, cit.
70
Mantengo qui le note dell’articolo originale, segnalandole con inserimento
tra parentesi quadra.
71
[Cioè con radici storiche come Charles-Carlo, Guillaume-Wilhelm etc. Sul-
la trasposizione onomastica v. E. Coseriu, Falsche und richtige Fragestellungen in
der Übersetzungstheorie, in L. Grähle – G. Korlén – B. Malmberg (a cura di), Theo-
ry and practice of translation, Nobel Symposium 39 (Stockholm 1976), (Bern-
Frankfurt a. M. : Las Vegas 1978), 17-32; ma è da approfondire la realizzazione
storica e istituzionale in particolare per ciò che concerne la ‘traduzione’ grazie al-
la trasparenza].

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108 ALDO PROSDOCIMI

propri implica ‘nomi parlanti’, cioè – quantomeno – lessicalmente


motivati; il che comporta che nel lessico delle due lingue esistessero
le parole-base corrispondenti. (La variazione per traducibilità delle
basi si spiega bene nella doppia tradizione quale trasposizione dal
sabino al latino, ma sarebbe una esigenza anche all’interno di una
sola tradizione in cui allora si dovrebbero porre due lessemi con-
correnti : su ciò anche appresso). Se le basi di Appio- e Atta erano
forme lessicali e vitali, rispettivamente, nel sabino e nel latino, do-
vevano avere significato prossimo in modo tale da fornire la base
per la traduzione; cioè ci doveva essere, se non l’identità, una pros-
simità della configurazione semantica, cioè della funzione nel cam-
po semantico.
Teoricamente, l’oscillazione App-/Att- potrebbe essere un fatto
interno del sabino che Roma si limita a recepire come varianti
onomastiche. Se fosse così, sarebbero da postulare nel sabino due
basi lessicali atta e appa coesistenti; ma l’ipotesi è estremamente
improbabile alla base, perché una variazione onomastica di questo
tipo è pressoché esclusa all’interno di una sola tradizione, mentre
si giustifica nell’impatto di due tradizioni diverse a patto che vi sia-
no ragioni di trasporre l’una forma all’altra : ragioni fonetiche – il
che non pare il caso – o lessicali, cioè di trasponibilità della base
lessicale. Si tratta pertanto di distribuire att- e app- tra sabino e ro-
mano.
Dato lo stato documentale del sabino, ogni argomento ex silentio
è senza valore. Valgono però le premesse poste sopra – sia per sabino
che per latino – e cioè :
1. att- e app- sono basi lessicali significanti;
2. devono avere (nei limiti di corrispondenza funzionale posta) lo
stesso significato;
3. devono appartenere a tradizioni diverse.
A questo punto si innesta il dato positivo (su Atta preteso preno-
me sabino si è detto sopra) : atta è testimoniato come termine di les-
sico nel latino, mentre in latino non esiste alcuna base app-.
Ciò, associato, è decisivo e fa scattare il meccanismo di assegna-
zione di app- al sabino e di attribuzione a questo sabino di un signifi-
cato corrispondente a lat. atta.
Lat. atta appartiene alla terminologia della parentela : Festo
(11 L) : «Attam pro reverentia seni cuilibet dicimus, quasi eum avi no-
mine appellemus» e (13 L) «At[t]avus, quia atta est avi, id est pater, ut
pueri usurpare solent».
La presenza di una base lessicale atta nel latino dà ragione del-
l’alternanza Appius/Atta; alla base del sabino Appius (a prescindere
dallo status non onomastico od onomastico sui generis) viene ricono-
sciuta da parte romana una forma di lessico (non sappiamo se nel sa-
bino ancora vitale), a cui corrisponde nel latino il termine atta; que-
st’ultimo viene funzionalizzato di conseguenza e assume lo stesso sta-
tus (para)onomastico di Appius nella resa di nomi di personaggi
sabini; il processo è all’incirca :

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NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 109

Appius Atta
↓ ↑
base lessicale −−➝ base lessicale
sabina latina

Si viene così a ridire che in questa prospettiva Atta costituisce la forma


di traduzione latina del sabino Appius, di cui rende adeguatamente il valore
(‘padre’ in una funzione particolare).

1.2 Su lat. atta e sab. *appa

Le basi da ricostruire sono atta e *appa- (*appa come si vedrà appres-


so); il primo è ben attestato in diverse lingue indeuropee; 72 il secondo è da
postulare sulla base di Appius/apaio- (sudpiceno : avanti); non è necessario
richiamare forme onomastiche dell’Asia minore, ove accanto ad Atta/Tatta
si incontrano le forme Appa/Pappa 73, che porterebbero a riconoscere in
*ap(p)a una forma collaterale ad *atta, con valore e funzione simile fin da
fase preitalica : 74 per i nostri fini qui 75 è necessario e sufficiente il congua-
glio in Italia; questo conguaglio si è sopra dimostrato dalla ‘traduzione’ Ap-
pius/ Atta.
L’origine di i.e. *atta, secondo la vulgata, è di Lallwort (forma ‘infanti-
le’) designante il ‘padre’ nell’accezione familiare del termine (il ‘padre che
nutre’ secondo Benveniste), contro la nozione giuridica espressa da *patēr;
tuttavia il richiamo alla quota indeuropea in cui *atta coesiste con *patēr,
necessario per l’inquadramento etimologico, rischia, davanti all’esigenza di
una ‘traduzione’ per Atta, di confondere i termini della questione. È eviden-
te che se si parte, per Atta, dal presupposto di vedervi una forma familiare,
infantile, anche se etimologicamente (= etimologia remota) fondata, essa
appare, ut sic, quanto di meno adeguato per figure con probabili funzioni
istituzionali come quelle del nostro tipo. Siamo del parere che si debba
reimpostare il problema della posizione di nomi quali *atta nella terminolo-
gia istituzionale; tratteremo altrove il tema specifico : qui ci limitiamo a
sottolineare che è necessario, per comprendere il valore e l’uso di titolature/

72
[E. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes 1 (Parigi,
1969), 209-215].
73
[L. Zgusta, Kleinasiatische Personennamen, (Praga, 1964), p. 70 sg.;
W. Fauth, «Adamma Kubaba», Glotta 45 (1967), 129-148, spec. p. 141-144].
74
[Una possibile conferma, anche se da prendere con qualche cautela per l’e-
straneità all’ambito indoeuropeo (pure se non è da escludere la possibilità di un
‘prestito’ dall’italico circostante), è data dall’etrusco apa (e varianti), per cui il si-
gnificato ‘padre’ è altamente probabile (v. anche nota 42) : apa TLE 318 436 634
883 928, apas CIE 4115 etc.].
75
[Le righe seguenti dedicate ad atta quale termine della parentela mirano a
rivendicarne l’importanza, almeno per una certa fase del latino che ha corrispon-
denza di spazio semantico istituzionale dell’italico : il tema, qui brevemente e
sbrigativamente accennato, sarà da sviluppare nel quadro istituzionale (fino a
quota indeuropeo)].

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110 ALDO PROSDOCIMI

nomi quali Atta e Appius/apaio-, ridimensionare, a parte l’‘etimologia’, le at-


tribuzioni ‘Lallwort’, ‘termine affettivo’ etc.; in primo luogo è da applicare
con cautela la nostra categoria di affettività che contrasta con la possibilità
di riconoscere in forme di questo tipo nomi istituzionali, ‘ufficiali’, in quan-
to oppone nettamente la sfera privata a quella pubblica. Inoltre, se anche
per questi nomi l’origine prima può essere di Lallwort (e ciò è visibile nella
struttura fonetica elementare di *atta e *ap(p)a), quanto importa è la fun-
zionalizzazione di essi e le connotazioni che possono assumere in ambiti di-
versi. In questa prospettiva, in *atta si vedrà allora non tanto una maggior
‘adesione sentimentale’ (= affettività), quanto semplicemente una alterità ri-
spetto a *patēr; *atta cioè non sarà il ‘papà,’ ma designerà una funzione in
cui, della sfera della ‘paternità’, possono venir mantenuti alcuni parametri,
quali ad esempio una attribuzione di gerarchia, o la distanza genealogica,
od altro.
La ambiguità dell’eguaglianza ‘forma originariamente infantile’ = ‘con-
notazione familiare’ è confermata dal fatto che in alcuni ambiti indeuropei
*atta è l’unico termine che designa il padre (‘pater’) con tutte le implicazioni
che le società in questione vi attribuiscono 76.
Resta la cooccorrenza latina di pater e atta. Atta è evidentemente un ‘pa-
dre’ speciale, se si vuole un nonno o meglio un ‘avo’ (da distinguersi e oppor-
si ad avus se questo è l’‘avo materno’ secondo l’analisi di Benveniste). Il pro-
cesso che ha portato il termine ‘affettivo’ può essere diretto, nel senso – co-
nosciuto all’etimologia – per cui termini indicanti persone vecchie,
connotate anche affettivamente, passano ad indicare persone ‘speciali’, dota-
te di specifica posizione di prestigio. Ma è altrettanto, forse più, probabile
che l’affettività connessa al termine sia un fatto preistorico e che già da fase
prelatina il termine svolgesse un ruolo istituzionale donde, in concorrenza
col vincitore pater, la specializzazione a qualcosa come il ‘pater gentis.’
Il sabino *app- dovrebbe avere posizione semantica corrispondente
(progressione di precisione rispetto a quanto individuato, e cioè una prossi-
mità di significato), per cui parla anche l’affinità di configurazione formale,
ma per rigore – non avendo il correlato termine pater in opposizione – non si
possono fare affermazioni sicure. (Si vedrà invece, allargando al sudpiceno,
che la posizione semantica è la stessa).
In conclusione : in Atta/-o- e il corrispondente sabino di Appius sono da
vedere, originariamente, non forme onomastiche, ma nomi ‘parlanti’, affini,
anche se non identici, al tipo di Ferter Resius e Modius (Fabidius) (su cui v.
avanti). Appius diviene a pieno titolo forma onomastica (= privo di motiva-
zione, cioè di trasparenza semantica) nel momento in cui viene utilizzato, in
contesto romano, alla stregua di tutti gli altri prenomi; ma per la fase prece-
dente, che è quella che ci interessa (Sabini/sudpiceno) si deve prendere in

76
[Ittita attaš, antico slavo otı̆cı̌(< *at(t)ikos), gotico atta (fadar è qui hapax :
Galati 4. 6). Per la possibilità di funzionalizzazione di questi nomi ricordiamo ad
esempio che nel gotico atta tende ad assumere il significato di ‘padre della fratria’
piuttosto che ‘padre della famiglia (in senso ristretto)’ con l’evoluzione delle strut-
ture della famiglia stessa (J. Trumper, Filologia germanica [Padova, 1976],
p. 101)].

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NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 111

considerazione anche per questo, cioè per il suo corrispondente, lo status di


appellativo o di onomastica motivata 77.

2. *app- nel sabino e *ap(p)a, nel sudpiceno. Il tipo onomastico


apaio-, il tipo Atta, Ferter

Questa ipotesi di sabinità per Appius che, come si è visto, è desumibile


già dalla posizione (= assenza) del nome dall’onomastica di Roma, si può al-
largare al mondo italico, tramite l’onomastica delle iscrizioni sudpicene 78.
L’utilizzazione di questi dati, già noti da qualche tempo, è ora resa possibile
dalla qualifica di ‘sabino’ (safino-) presente in iscrizioni sudpicene recente-
mente rinvenute; 79 si apre con queste una prospettiva di lavoro sui caratteri
della sabinità anteriore al V secolo, noti finora tramite, l’ottica romana, non
solo nel versante linguistico, ma anche in quello sociopolitico.

77
[Da *atta e *ap(p)a derivano forme onomastiche in diversi ambiti; oltre
che nell’Asia Minore, nel gotico, in cui da atta è derivato il nome del re degli Unni
Attila : v. S. Feist, Etymologisches Wörterbuch der Gotischen Sprachen (Halle,
1923), s. v. atta. Per l’etrusco apa l’attribuzione è oscillante. Secondo A. J. Pfiffig
(Etruskisch apa ‘Vater’ und Name, in BzNF, n.s. 6, 1971, 35-39) ricorrerebbero en-
trambe le possibilità : nella maggioranza dei casi si tratterebbe di un nome pro-
prio, in altri di ‘padre’; quest’ultimo pare fuor di dubbio nella sequenza apac atic
’padre e madre.’ Per la questione v. spec. M. Pallottino, «Il culto degli antenati in
Etruria e una probabile equivalenza lessicale etrusco-latina; Studi Etruschi 26
(1958) 49-83].
78
[Le iscrizioni sudpicene (o protosabelliche, o medio-adriatiche) sono state
negli ultimi anni rivalutate all’interno del corpus italico; l’edizione offerta da
A. Morandi (Le iscrizioni medio-adriatiche [Firenze, 1974]) ha avuto il merito di
riproporre questo settore di studi, ma si è dimostrata carente sotto diversi aspet-
ti. Una nuova edizione, con rilettura e commento delle iscrizioni, ha costituito la
mia tesi di laurea (A. Marinetti, Le iscrizioni sudpicene [Univ. di Padova, a. a.
1978-79] ora in corso di rielaborazione per la stampa); una anticipazione di temi
generali, con trattazioni esemplificative di singoli punti in A. Marinetti, Il sud-
piceno come italico (e sabino?). Note preliminari, in Studi Etruschi, 49, 1981, 113-
158; per ragioni contingenti le iscrizioni sono citate in testo secondo la numera-
zione di Morandi, anche se talvolta le letture differiscono radicalmente].
79
[Si tratta di tre stele monumentali, rinvenute da A. La Regina a Penna
S. Andrea (Teramo) nel 1973; queste iscrizioni, di imminente pubblicazione a cu-
ra dello stesso La Regina (che ringrazio per avermi permesso di utilizzare i mate-
riali ancora inediti), riportano l’etnico safino- ‘sabino’, confermando così a pieno
titolo le fonti antiche che indicano i Piceni discendenti dai Sabini, e rivestono
quindi la massima importanza per l’inquadramento etnico, a quota VI-V secolo,
di queste zone dell’Italia antica. Anticipazioni sui contenuti di queste iscrizioni
sono offerte da A. La Regina, Centri fortificati preromani nei territori sabellici del-
l’Italia centrale adriatica, in Posebna Izdanja, 1975, p. 271-282 e A. L. Prosdocimi,
Le iscrizioni italiche, in Le iscrizioni pre-latine in Italia, Atti dei Convegni Lincei 39,
Roma, 1979, 119-204. A proposito dell’onomastica, un problema che qui non vie-
ne toccato, ma che contiamo di approfondire in futuro, è costituito da quanto il
sudpiceno può apportare (anche in negativo) per la formula onomastica sabina
canonica, cioè binomia, che E. Peruzzi fa risalire ai Sabini dell’VIII secolo (Origi-
ni di Roma I, cit.)].

.
112 ALDO PROSDOCIMI

Nel sudpiceno ricorre più volte una forma, apparentemente onomasti-


ca, derivata da una base *apa/appa (con normale non notazione di gemina-
ta : d’ora in poi *ap(p)a); le occorrenze sono : (Mor. 1) apaes; (Mor. 6)
apaius; (Mor. 16) apais (corradicale Mor. 4 apúnis).
La forma comune da ricostruire è un *apaio-s che si ricava non tanto
dalle forme del singolare, in cui gli avvenuti fenomeni morfonologici ma-
scherano in parte la base, ma dal plurale apaiús. La sabinità delle iscrizioni
sudpicene giustifica la giunzione Apaio-/Appius (e non sarà casuale la corri-
spondenza anche cronologica tra le nostre iscrizioni, datate – acmè – tra la
fine del VI e il V secolo 80 e gli episodi di Appio Claudio e Appio Erdonio),
Confrontando il sudpiceno *apaio- con il nome dei due Sabini, si viene a
confermare quanto proposto sopra, e cioè che il tipo Appius fosse la primiti-
va forma sabina; viene la conferma nel rovesciare l’affermazione di Momm-
sen, nel senso che «die ächt sabinische Form» non è Attus ma Appius, o me-
glio la (o una) forma sabina corrispondente a lat. Appius; o ancora, il che è
equivalente, Appius costituisce la latinizzazione (formale, cioè morfologica)
di una forma sabina *ap(p)(a)io- 81. Inoltre si evince la forma della base,
*ap(p)a, perfetto parallelo di atta (come si vedrà appresso vi è parimenti per-
fetta corrispondenza semantica).
Riassumiamo alcuni fatti :
1. Atta/us e Appius hanno una base lessicale rispetto a cui sono motivati;
2. Atta non mostra morfema derivazionale rispetto alla base;
3. entrambi i Sabini Claudio ed Erdonio portano lo stesso prenome che
ha corrispondenza in *ap(p)aio- sudpiceno, che mostra sì morfema deriva-
zionale ma anche la base in -a- (non Ø come in Appius);
4. ricorrenza di apaio- nello stesso corpus sudpiceno in misura statisti-
camente rilevante;
5. la stranezza delle formule onomastiche sudpicene in cui compare
apaio-.
Il tipo apaio- compare, a quanto è dato rilevare, sempre attribuito a un
altro nome, púpún-; per questo ultimo più volte ricorrente l’ampia distribu-

80
[Una sicura cronologia è possibile solo per le iscrizioni da Penna S. An-
drea, rinvenute in contesto archeologico, che A. La Regina pone al V secolo; per
il resto del corpus si deve comunque supporre una datazione approssimativa-
mente alla stessa epoca e, per alcune iscrizioni, anche più antica, specialmente in
base a fatti grafici (esempi sporadici di conservazione fino al IV secolo compaio-
no in iscrizioni su elmi; presentano comunque peculiarità tali da costituire un
problema a parte). Per ragioni di metodo, è necessaria una precisazione : l’etnico
safino- compare esclusivamente nelle iscrizioni da Penna S. Andrea; non sarebbe
quindi, a rigore, applicabile anche ai produttori delle altre iscrizioni, nel senso
che solo per Penna S. Andrea si può parlare con certezza di ‘Sabini :’ ma i carat-
teri interni delle iscrizioni (lingua, grafia, etc. ) e molte caratteristiche culturali e
sociali si ritrovano perfettamente uguali anche nel resto del mondo sudpiceno,
che si deve considerare quindi globalmente omogeneo].
81
[Non interessa qui discutere la forma di base, ma -aio- da una base -a pare
la corretta morfologia, anche per il latino secondo la morfologia (ereditaria) per
cui -io- si sostituisce a -o-, ma si aggiunge ad -a-].

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 113

zione geografica escluderebbe l’indicazione di una gens o ‘famiglia’ e fareb-


be propendere piuttosto per una funzione di etnico o designazione a questo
assimilabile 82. Le formule che ci sono giunte complete infatti sono : (Mor. 1)
apaes... púpúnis nír e (Mor. 6) púpúnum... apaiús, in cui l’ipotesi di etnico
per púpún- pare consolidata dalla morfologia di genitivo plurale (‘dei p.’) 83.
Si aggiunga poi che pare da escludere che il sudpiceno *apaio- costitui-
sca un vero prenome, nel senso di designazione onomastica individuale, poi-
ché in Mor. 6 compare nella forma di nominativo plurale apaiús. Un preno-
me per più persone non ha senso, in generale e in queste formule in partico-
lare. Sono – è vero – possibili altre soluzioni onomastiche, come un
appositivo (patronimico o gentilizio) : ciò è possibile per apaiús, meno per
apaes dove ci si aspetterebbe il nome individuale (púpún- non ostacola in
quanto indicante unità sovraordinata, ad esempio un etnico). Le formule
onomastiche sudpicene in cui è presente il tipo *apaio- si rivelano quindi
quanto meno problematiche.
L’anomalia di questa onomastica sudpicena può spiegarsi attribuendo a
queste forme uno status onomastico particolare; penseremmo a nomi ‘par-
lanti’, del tipo di quelli noti da fonti romane, e riferiti a figure semileggenda-
rie situabili nel periodo delle origini e della formazione di Roma; questi per-
sonaggi rivelano nel nome stesso la natura della loro funzione : come ad
esempio Modius (Fabidius), nel cui ‘prenome’ 84 è forse da vedere una desi-
gnazione di carica 85, o Ferter Resius «qui ius fetiale constituit», dove entram-
bi gli elementi onomastici rispecchiano l’ambito delle competenze 86. Si note-

82
[A. La Regina ha avanzato oralmente (da ultimo in un seminario interdi-
sciplinare sulle Tavole Iguvine, Gubbio 2-3 maggio 1980) l’ipotesi che púpún- cor-
risponda al tipo piceno- (possibile, anche se la spiegazione fonetica non è del tut-
to lineare : v. A. L. Prosdocimi, Le iscrizioni italiche, cit., p. 141); secondo La Re-
gina avremmo quindi due forme, Piceni/Sabini, con diversa distribuzione areale,
ad indicare lo stesso ethnos].
83
[Le altre iscrizioni presentano difficoltà di lettura : Mor. 4 è in buona par-
te illeggibile e in Mor. 16 pare di dover leggere apais pomp[]púnes. É importante
comunque, come si vedrà, rilevare la presenza dell’attributo nír ‘princeps’ in que-
ste formule : oltre che nell’iscr. Mor. 1, cit. in testo, compare anche in Mor. 4 rife-
rito ad apúnis. In Mor. 8 è riferito sempre ad un púpún- : in questo caso però la
formula onomastica non è *apaio- bensì petroh : petroh púpún[is/um (...) ní] r; in
una delle iscrizioni da Penna S. Andrea compare il sintagma safinúm nerf’i prin-
cipi dei Sabini’].
84
[‘Prenome’ è tra virgolette in quanto ha uno status particolare non identifi-
cabile con un autentico praenomen; ciò, come si vedrà, vale anche per Appius e
Atta/-o-].
85
[E. Peruzzi, Onomastica e società nella Roma delle origini, parte prima, in
Maia 21 (1969), 126-158, p. 140].
86
[Auct. de praenom. § 1. Su Ferter Resius v. E. Peruzzi, «Ferter Resius»,
Maia 18 (1966), 277-278 e C. Ampolo, Fertor Resius Rex Aequicolus, Par. Pass 27
(1972), 409- 412; in particolare Ampolo mette in luce, oltre al confronto di Ferter/
Fertor con l’umbro ařfertur, termine che designa l’officiante nelle cerimonie, il
possibile legame di Resius con una voce sicula indicante il re con funzioni augu-
rali; questo sulla base di un frammento di Epicarmo : rhso¥v . aßrxo¥v o©v aıßre¥sei taù
uey¥mata su cui S. Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano, (Catania,

.
114 ALDO PROSDOCIMI

rà che, pur nella tradizione romana e agenti, direttamente o indirettamente,


sulla costituzione di Roma, sono di ambito non romano ma specificamente
italico e, per orizzonte, prossimo alle nostre iscrizioni, il che pare, se non de-
cisivo, fortemente significativo.
Si tratta di un’ipotesi, ma che risponde ad esigenze che restano; come
resta la questione della base istituzionale 87 riflessa dai nomi certamente par-
lanti (Atta/Appius; Ferter) e del loro preciso status onomastico, che non ap-
profondiamo, ma che si può simboleggiare da una parte nel tipo Ferter, Atta
(appellativo in funzione onomastica senza trasposizione morfologica) e dal-
l’altra nel tipo Appius (completo inserimento nell’onomastica immotivata
mediante -io-), con, forse (?), mediano, il tipo Apaio- (morfema di derivazio-
ne -io- ma permanenza della base in -a-).
Quale sia la spiegazione, è lecito comunque attribuire, oltre al sabino,
anche al sudpiceno (= safino) una base * ap(p)a, vitale o stata vitale, in valo-
re prossimo a lat. atta. L’estensione al sudpiceno permette di completarne la
configurazione semantica, in quanto è testimoniato il termine pater-, che,
nella coppia matereíh patereíh (Mor. 6; cfr. Marinetti cit. a n. 16) è certamen-
te il ‘pater.’ Quindi *ap(p)a è relegato ad un’altra ‘paternità’, come lat. atta ri-
spetto a pater, per cui è completato il giro : la traducibilità Atta/Appius si ba-
sa non su una generica prossimità di significato, ma su una precisa corri-
spondenza semantica; ciò comporta un’ulteriore importante acquisizione :
Roma (quale polo latino) e il sabino-sudpiceno (quale polo italico) mostra-
no, anche qui, una comunanza istituzionale, che si esprime in una comune
configurazione semantica, eventualmente con diversità lessicale 88.

Si potrebbe ulteriormente discutere sullo status di lat. Atta rispetto ad


atta, vale a dire se prima della traduzione esistesse un nome Atta, cioè la pos-
sibilità (istituzionale) di derivare un nome da atta, cioè la figura istituzionale

1946), p. 27 sg. Ampolo così conclude : «Pur non potendo affermare nulla di sicu-
ro, ci si chiede se il nome di questo re degli Equi sia in realtà una titolatura, inter-
pretata poi come nome proprio» (p. 412). Lascio da parte la (buona) possibilità
che umbro reh. nuvkri di un elmo di Bologna (Studi Etruschi 44 (1976), 267) sia
una menzione tipologicamente prossima secondo la proposta di J. Heurgon
(REL, 1972, p. 99-102) di riconoscere un *rehtur ‘rector’ dei Nocerini (evidente-
mente di *Nuvkria umbra)].
87
[Pare legittimo domandarsi – e si riprenderà questo tema – se il tipo di fi-
gure quali Claudio ed Erdonio rispetto alla massa di persone cui sono a capo e se
l’incerta qualificazione (dal punto di vista romano) della posizione di Erdonio e
della gente al suo seguito (su ciò cfr. Noé cit. ) non corrispondano a una struttura
istituzionale per cui nelle iscrizioni sudpicene uno è detto púpúnum/is nír ‘princi-
pe dei...’ (come detto in un inedito da Penna S. Andrea si ha safinúm nerf ‘princi-
pi dei Sabini’)].
88
[Per la definizione della koiné italica, sia dal versante storico che da quello
linguistico, v. S. Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano (Messina,
1946); G. Devoto, Storia della lingua di Roma, (Bologna, 1940). La tematica è stata
ripresa di recente, anche alla luce di nuovi dati : v. A. L. Prosdocimi, Le iscrizioni
italiche, cit., p. 183-186 e Le lingue italiche, in Lingue e dialetti dell’Italia antica,
(A. L. Prosdocimi ed. ), (Roma, 1978), p. 543-558].

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NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 115

(onomastica e base sociale) corrispondente. La questione è importante ma


non è pertinente ai fini del nostro discorso, che è centrato sul caso specifico
di una consapevole e intenzionale traduzione della forma sabina. Ricordia-
mo comunque che l’unica forma di questo tipo nota a Roma è la variante At-
tus nel nome dell’augure Atto Navio, la cui formula onomastica è però da ri-
prendere in considerazione alla luce di quanto prospettato sopra per Appius
(su Atto Navio v. avanti). Il confronto con il nome di Navio può spiegare an-
che l’uso nelle fonti della variante Attus per il nome di Claudio : probabil-
mente il riferimento ad una forma già nota. Rispetto ad Attus, Attius presen-
ta anche la struttura di derivato in -io-, forse per analogia con Appius; per At-
tius è comunque possibile un’altra spiegazione, e cioè che Livio «... who
writes Attius, may have misunderstood it as a nomen, for there was a gens
Attia» 89.

Per quale motivo le fonti mostrano una attribuzione ‘sabino Atta - latino
Appius’ che, se la nostra ipotesi è corretta, va invertita? Come detto sopra,
non si può escludere a priori che il sabino avesse conosciuto anche atta in
fase diversa da quella di appa; in questo caso si giustificherebbe l’attribuzio-
ne delle fonti : ma appare ipotesi ad hoc e non è comunque probabile. In ca-
so contrario la spiegazione va ricercata all’interno di Roma stessa; possiamo
avanzare un’ipotesi : la continuità del prenome Appius nella gens dei Claudii
(v. sopra) e il ruolo fondamentale giocato dalla gens stessa nelle vicende di
Roma possono aver determinato la completa assimilazione di Appius nel si-
stema onomastico latino; da ciò, in fonti relativamente tarde, il rigetto del-
l’alternativo Atta, non altrimenti utilizzato nell’onomastica, sentito ormai
‘meno latino’ di Appius e allora attribuito, in dipendenza dall’origine stranie-
ra dei Claudii, al sabino. Non è escluso che in ciò abbia giocato anche la po-
co comune morfologia in -a del nome, per cui Roma aveva un parallelo in un
ben noto nome sabino, Numa.
Riassumendo i termini della questione, Appius si qualifica come auten-
ticamente sabino, già sulla base dei soli dati che ci vengono dalla tradizione
romana. Il sudpiceno conferma e rafforza l’ipotesi di attribuzione linguistica
al sabino, e testimonia una parallela applicazione dello stesso modulo pa-
raonomastico (o nome ‘parlante’ o appellativo) nelle forme * apaio-. Appius
viene accolto nel latino, inteso nel suo valore appellativo e reso con una for-
ma di traduzione ricavata dalle possibilità del lessico latino, cioè Atta.

3. Possibili riflessi per gli episodi di Claudio ed Erdonio

Se l’applicazione dei dati ricavabili dal sudpiceno ai Sabini che operano


a Roma è corretta, il parallelo non aiuta solo a risolvere un problema di ono-
mastica; infatti, nella misura in cui la formula onomastica si struttura in
funzione delle strutture sociali,le implicazioni che si possono ricavare dall’a-
nalisi di queste forme coinvolgono anche l’assetto storico-sociale delle popo-
lazioni in questione. Non sappiamo ricostruire quali fossero le strutture so-

89
[Ogilvie, A Commentary, cit., p. 274].

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116 ALDO PROSDOCIMI

ciali, sudpicene o sabine soggiacenti, e sarebbe del tutto errato – automati-


camente e non per equivalenze funzionali – voler applicare le categorie note
da Roma (familia, gens, etc.) a questi ambiti. Per il sudpiceno si è visto che
*apaio- è riferito ai púpún-, entità non ben definita, ma che potrebbe indica-
re una comunità con vincoli prevalentemente etnici. Per quanto riguarda i
Sabini, sia Appio Claudio che Appio Erdonio giungono a Roma alla testa di
un gran numero di persone (per Claudio le fonti parlano di 5000 uomini; per
Erdonio di 4000 o 2500); 90 la composizione di questi gruppi è abbastanza
controversa : per Claudio si parla di clientes (Servio), famiglie (compresi
donne e bambini : Plutarco), etc.; per Erdonio ugualmente si parla di schiavi
ed esuli (Livio), schiavi personali e clientes (Dionigi) 91. Ciò può riflettere il
tentativo degli autori antichi di classificare in categorie proprie entità sociali
strutturate diversamente da quelle romane 92, entità che potrebbero assomi-
gliare a quelle che si intravedono nelle iscrizioni sudpicene, o coincidere con
esse; se così fosse, si tratterebbe allora di forze a carattere prevalentemente
militare (com’è soprattutto l’angolazione delle fonti per l’episodio di Appio
Erdonio), ma si configurerebbe una vera e propria migrazione di un’intera
comunità, in cui si spiegherebbe la presenza di elementi non omogenei (pa-
renti, amici, clientes, schiavi, famiglie).

Postilla su Attus Navius

A proposito delle attestazioni di Atta/-o- si è sopra ricordata la figura


dell’augure Atto Navio, operante a Roma sotto i Tarquini (meno accreditata
la versione che lo colloca all’epoca dei regni di Romolo e Numa). Il nome
Navius, secondo l’interpretazione di Schulze, e di altri al suo seguito 93, an-
drebbe ricondotto all’ambito etrusco; questa attribuzione non sembra però
verosimile, e non solo per reazione al panetruschismo onomastico di Schul-
ze, ma perché è contraddetta dal comportamento stesso del personaggio,
quale è descritto nelle fonti. L’atteggiamento di Atto Navio è infatti decisa-
mente antietrusco; la sua opposizione a Tarquinio Prisco (rex forse inaugu-
ratus secondo la prassi dell’investitura regale, ma quasi certamente privo de-

90
[Il numero di 5000 è tramandato da Servio, Appiano e Plutarco; altri si li-
mitano a rilevare il gran numero : «magna clientium manu» secondo Livio e Sve-
tonio. Per Erdonio si tratterebbe di 4000 (Dionigi) o di 2500 (Livio : secondo
Ogilvie, A Commentary, cit., p. 424, questo numero è forse da correggere in 450;
v. Noé, Il tentativo di Appio Erdonio, cit., p. 648).
91
[Sulla composizione del seguito di Erdonio v. le discussioni in Capozza,
Movimenti servili, cit., p. 62-63 e Noé, Il tentativo di Appio Erdonio, cit., p. 645-
648].
92
[Entità sociali di questo tipo non sono comunque del tutto sconosciute a
Roma; basti pensare all’episodio che vede protagonista la gens Fabia, ai cui oltre
trecento membri si debbono aggiungere gli schiavi e i clienti : «Fabii ... trecenti
sex fuerunt de una familia. Qui cum coniuratu cum servis et clientibus suis contra
Veientes dimicarent...» (Servio, ad Aen., 6. 845)].
93
[W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, (Gottinga, 1904)
p. 197; v. anche Navius in PW16 (1935), cc. 1933-1936 (W. Kroll)].

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NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 117

gli auspicia 94 come tutti i sovrani etruschi), non si accorda infatti con la sua
presunta origine. Nel contrasto con Tarquinio, Atto Navio si pone quale «as-
sertore della tradizione augurale romana,» nel senso che «nel momento del-
l’influenza della divinazione straniera sentiva il bisogno di salvare i principi
fondamentali del diritto augurale» 95.
Da ciò si verrebbe a delineare una figura pienamente inserita nella tra-
dizione romana; il nome Attus è dunque coerente con la ‘romanità’ del per-
sonaggio e adeguato, nel suo probabile valore appellativo, alla posizione e
all’importanza dello stesso 96.
Meno evidente è l’interpretazione di Navius : il nome Navius non ha ri-
scontri nell’onomastica romana, con l’unica eccezione di un Quintus Navius,
autore di una riforma tattica nel 221 a.C.; accanto alla forma Navius un’altra
tradizione menziona però questo personaggio come Naevius 97. In ogni caso la
forma Navius appare isolata a Roma; come forma onomastica in senso stret-
to, dopo il rifiuto dell’interpretazione etrusca, appare priva di spiegazione e
attribuzione ad un ambito noto; il negativo di questa conclusione non avreb-
be comunque peso nell’inquadramento del personaggio in ambito romano.
In mancanza di meglio, avanziamo la possibilità che anche Navius si
possa intendere come nome ‘parlante’ o comunque si possa vedervi la pre-
gnanza del significato; questo non per voler dilatare più del necessario la ca-
tegoria, ma perché le possibilità sembrano notevoli, concorrendo condizioni
favorevoli per riconoscervi un nome di questo tipo : la fase arcaica in cui si
svolgono i fatti e la sfera sacrale in cui agisce Atto Navio (per un parallelo v.
Ferter Resius, nota 51); inoltre, se Attus è qui appellativo, la necessità di spe-
cificarlo non con il nome di una gens o simili (come è il caso dei sabini Ap-
pii, entrambi in funzione di guida politica e militare), ma con l’ambito in cui
il personaggio opera o con la funzione che riveste.
Per il valore di Navius azzardiamo un’ipotesi (che non vuol essere in al-
cun modo un’etimologia, del tutto prematura), richiamando il greco na¥ov,
*naPov¥ ‘tempio’; un possibile parallelo è nel miceneo (ka-ko) na-wi-jo, una
cui interpretazione può essere ‘(aes) templare’ 98. Se così si dovesse intendere
anche navius, per il nome di un personaggio la cui attività si svolge nel cam-
po religioso, un’interpretazione di questo tipo (‘addetto, nella sfera del na¥ov)
non apparirebbe del tutto fuor di luogo.

94
[È appunto l’assenza di tale aspetto che spiega il potere esercitato su Tar-
quinio da Atto Navio. Infatti con la monarchia etrusca viene a scindersi il potere
regale da quello augurale, in quanto l’augurium resta di competenza del collegio
degli auguri. Sulla questione v. P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augu-
rale 1 (Torino, 1960), p. 567 sg.].
95
[Catalano, Contributi, cit., p. 572].
96
[In questo caso è evidente che l’eventuale valore di appellativo di Attus
avrebbe connotazioni diverse dal tipo Appius/Atta riferito a Claudio, in cui entra
anche l’aspetto politico-militare; ma, come si è detto, nomi di questo tipo posso-
no venir funzionalizzati diversamente a seconda delle circostanze].
97
[V. anche Navius (2) In PW cit.].
98
[G. Pugliese Carratelli, Documenta Mycenaea (Milano-Varese, 1964),
nr. 459 e p. 160. Sulla penetrazione di miceneismi nel Lazio v. i molti lavori di
E. Peruzzi; da ultimi : Aspetti culturali del Lazio primitivo (Firenze, 1978), e Myce-
naeans in Early Latium (Roma, 1980)].

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118 ALDO PROSDOCIMI

La restituzione del processo va contro la vulgata, in parte fonda-


ta sulle fonti, in parte imposta dalla autorità di Mommsen, e tuttavia
appare come ben fondata perché dà ragione di tutta la fenomenolo-
gia non solo romana ma anche del (sabino) sudpiceno; non solo per-
ché ha un fondamento documentale fortissimo : a Roma c’è atta ma
non c’è *appa che fondi un Appius così come atta del lessico (lin-
gua!) fonda Atta e il prenome (onomastica) Attius/us : Atta si presen-
ta come la prima resa romana di un *Appa sabino. Comunque il pro-
cesso qui proposto potrebbe non essere in contrasto con le fonti che
danno Appius come romano se si intende che Appius nella sezione
finale -Øius è la morfologia romana di un sabino *appa o *appaio-
con -io- che non si aggiunge ma che si sostituisce ad -a e con un Atta
romano che traduce un *appa(-io-?) sabino, da cui una trafila più
complessa di quella proposta sopra. Schematizzando

Sabino Romano
*Appa −| ➝ Atta −➝ Attius/Attus ‘traduzione’
| |
(Appaio?) −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−➝ Appius ‘morfologizzazione’

Le tematiche implicate sono almeno due, ciascuna con articola-


zioni e complessità proprie : 1) la morfologia derivazionale atta > -ius,
*appa > -ius e, a monte, la natura/genesi dei nomi in -a tipo Atta al ma-
schile, ma non dissociandolo dal femminile tipo Acca, per i maschili fi-
no al tipo agricola; 2) la semicità tra lingua e onomastica del tipo atta,
*appa e, con essi del tipo Ferter e, allargando, del tipo Poplio-/Publius.

3.1.2. Le basi lessicali tipo atta e tata : funzionalità lessicale e


funzionalità onomastica

Atta come prenome è attestato; tata come prenome non è atte-


stato ma è attestato Tatius per la formula binomia del sabino Titus
Tatius contro la formula monomia di Romulus; la contrapposizione
ha dato l’avvio alla tesi della genesi sabina della formula binomia a
Roma (Peruzzi 1968-9 poi 1970 ‘Origini’) contro la formula mono-
mia albano-romana; non è di questo che si intende trattare qui se
non per due aspetti congiunti : la forma Romulus come derivato in
-lo- da Roma, quindi con un vuoto per il nome precedente all’esisten-
za giuridico-politica di Roma 99, e la formula binomia di Hostius/

99
Ho trattato, in parte, di questi temi : A. L. Prosdocimi, Populus Quiritium
Quirites. I, «Eutopia» 1995-IV,1 (= Atti del Convegno «Nomen Latinum. Latini e
Romani prima di Annibale», Roma 24-26 ottobre 1995), p. 15-71 (ora 2008 v. ‘Ro-
ma 2007/8’; cfr. qui, alla fine, Appendice n. 1).

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 119

Hostı̄lius (per -ı̄- v.sopra), il comandante generale delle truppe di Ro-


molo, che compie le stesse azioni e che ha la stessa moglie di Romo-
lo, quindi potenzialmente Romolo stesso, sdoppiato tra due modi di
nominare la stessa persona. Di questo secondo punto tratteremo
avanti restrittivamente per la motivazione ideologica e morfologica
del prenome Hostius (e della sua variante Hostus); del primo punto
qui consideriamo parimenti un aspetto e cioè che se Romulus è un
nome derivato dalla sua funzione storica ‘Uomo di Roma’, cioè con
uno status onomastico particolare – e ciò prima e indipendentemen-
te dalla sua eventuale identità con Romolo quale Individuo Fisico100
– anche Titus Tatius potrebbe essere un nome di status onomastico
particolare sia pure con (apparente) formula binomia e con minor
trasparenza immediata che non il simplex nomen Romulus. Per Ti-
tus Tatius non c’è trasparenza ma, oltre al possibile parallelo ideolo-
gico con Romulus, ci sono indizi di qualche peso.
tito- è già stato interpretato come ‘genius’ (anche in senso falli-
co) in iscrizioni falische e l’interpretazione si è riproposta, sia pure
dubitativamente, per le iscrizioni sudpicene; qui in una delle iscri-
zioni più lunghe e complesse del corpus, da Penna S. Andrea (TE 5)
compare un dat. titúi 101 che, secondo l’interpretazione data da
A. Marinetti102, dovrebbe costituire il destinatario; la dedica proma-
na dai ‘Safini’ e dalla túta stessa, e ciò – assieme ad altri aspetti –
porta ad individuare un destinatario ‘divino’, ‘semi-divino’, il ‘genius’
della comunità’, forse un antenato eroizzato103.
Tatius dovrebbe presupporre una base onomastica *Tata da tata
‘nonno, avo’ non attestata onomasticamente come invece lo è Atta da
atta che è ben più di un ‘padre’ nel linguaggio infantile, come appare
nella vulgata secondo Paolo (13L) «Attavus, quia atta est avi nomine,
id est pater ut pueri usurpare solent»; ma questa vulgata è da rivede-
re secondo lo stesso Paolo (11L) «Attam pro reverentia [corsivo mio]
seni cuilibet dicimus, quasi eum avi nomine appellamus» : su ciò v.
sopra Marinetti 1982 (cit.). Dio solo sa come era la voce (o le voci) in
Festo così epitomate da Paolo e, meno ancora, nell’originale di Ver-

100
Cfr. sopra in testo, e Prosdocimi, Appunti per una teoria del nome proprio,
cit.
101
Una forma titiúí compare nell’iscrizione sul ‘bracciale’ conservato a Chie-
ti, in un contesto non immediatamente perspicuo, ma che comunque inquadra
l’iscrizione come dedica; cfr. Marinetti, Iscrizioni sudpicene, cit., p. 233 e, con
una revisione di lettura e interpretazione, A. Marinetti, Le iscrizioni sudpicene, in
Piceni popolo d’Europa, Roma 1999, p. 134-139, spec. 138.
102
Marinetti, Le iscrizioni sudpicene, cit., p. 117-130.
103
Cfr. gli indizi di un culto degli antenati nell’iscrizione sudpicena Marinetti
AP 2, con dedica ‘alla madre (e) al padre’.

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120 ALDO PROSDOCIMI

rio Flacco, ma un valore di atta come termine parentale sui generis e


non semplice voce puerile pare assicurato, la riprova è nel lemma di
Paolo (13L) che riporta la notizia relativa ai ‘pueri’ : attavus dei codi-
ci è stato corretto in *atavus (ă-) perché ritenuta lectio facilior su un
*atavus a causa di atta che seguiva. ătavus non dovrebbe andare con
atta non solo a causa della quantità di ă – un ātavus sarebbe compa-
tibile con atta secondo il tipo iūpiter : iŭppiter – ma perché è in una
serie di forme in cui avus è preceduto da preposizioni (proavus, aba-
vus) e quindi at- sarebbe da qualificare come preposizione *ati/e al-
trimenti nota; ma è proprio la possibilità di associare atta ad atavos
che non è certo voce puerile ma di alto o altissimo livello (per tutti
Orazio degli atavi regali di Mecenate) che riporta atta a un valore
parimenti alto anche se è anche ‘voce’ di pueri; non solo, ma proprio
il contesto in cui si dice che è voce di pueri conferma che atta è an-
che, e prima (Paolo 13L), termine pro reverentia. Con questo ci si ri-
porta a un punto capitale tanto usato (ed abusato) quanto decettivo
nella sua (apparente) semplicità ed evidenza esplicativa : i nomi tipo
atta, tata, papa etc. sono voci infantili elementari e, per questo, sono
o possono essere presenti in tutte le lingue senza motivi di parentela
genetica. Tuttavia questa è una spiegazioni della forma in generale,
della genesi in generale e, entro la generalità, della genesi entro sin-
gole lingue indipendentemente da monogenesi o poligenesi ma non
è una spiegazione della funzione assunta nelle singole lingue ivi in-
cluse ‘famiglie’ linguistiche, tra queste le lingue indeuropee e/o alcu-
ne lingue indeuropee : qui la funzione è assunta ben oltre quello che
è definito ‘voci infantili’; qui la forma, associata al valore-funzione
(il ‘segno’ di Saussure), potrebbe riportare a comunità genetica. Non
è questa prospettiva che interessa qui – che peraltro andrà ripresa
oltre la genericità dell’universale (o quasi universale) delle voci in-
fantili – quanto la funzionalità assunta in latino ed in italico tra si-
stema di lessico e sistema onomastico. Ho altrove104 rivendicato la
linguisticità del nome proprio non quale elemento di lessico (di lan-
gue), ma in quanto significa iuxta propria principia : qui i principia
sono diversi rispetto al modo di significare del lessico anche se l’o-
nomastica è fondata su forme lessicali, in un modulo che è stato de-
finito ‘bricolage’105. Nel mio lavoro del 1989 (citato) ho pure proposto
di definire il livello dell’onomastica a partire dall’Individuo Cultura-
le, in questo preceduto dall’Individuo Fisico : sopra e nota preceden-
te; a questo nella lingua, risponde l’Individuo Linguistico quale No-
me Proprio; ho anche mostrato, se pure in modo insufficiente e sbri-

104
Prosdocimi, Appunti per una teoria del nome proprio, cit.
105
C. Lévi-Strauss, La penséè sauvage, 1962.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 121

gativo, che vi può essere interferenza tra i livelli di identificazione


dell’Individuo; qui accentuerei la centralità dell’Individuo Culturale
nel senso che la sua traduzione in lingua può essere insieme et nome
di lessico et nome di onomastica a seconda della catena sistema in
cui viene posto : questa dovrebbe essere la posizione di nomi quali
atta/Atta, *tata/Tata etc.
Questo breve intermezzo può avere oscurato invece che chiarifi-
cato il tema, pertanto ritorno alla fattualità che si articola a più livel-
li, connessi ma da distinguere : 1) è un fatto che nomi come atta/Atta
sono et nomi comuni et nomi di Individuo; 2) è pure un fatto che
questo tipo di nomi funziona in modo particolare nei due sistemi in
modo simmetrico : nel sistema lessicale rientrano nella terminolo-
gia della parentela ma con modalità particolari rispetto al sistema
‘centrale’106 ; nel sistema onomastico hanno parimenti uno status
particolare rispetto al sistema ‘centrale’ perché sono insieme nomi
di lessico di una classe ad un solo membro – quindi individuano co-
me nomi di lessico quali Individui Culturali – ma, in questo status,
individuano anche come Individui Linguistici cioè come Nomi Pro-
pri; 3) la posizione particolare, almeno in lingue indeuropee come il
latino e l’italico, sembra essere collegata alla loro struttura ‘elemen-
tare’ rispetto alla loro posizione nel sistema parentale ‘centrale’ in
-ter e, insieme, con altri elementi non in -ter ma non di forma ele-
mentare che vi si sono associati, tipi lat. filius, gr. yßio¥v, ted. Sohn etc.
(v. nota precedente). In antico indiano tatá- è normalmente reso e
inteso come nome familiare del padre : Mayrhofer p. 471 s.v. tatá
tatáh m. Vater / father (im RV familiärer Ausdruck zusammen mit
nanā´ «Mutter, Mütterchen»; dieses Nebeneinander setzt sich in heu-
tigen Mundarten des Nordwestens fort, Schulze, Kl. Schr. 237f.), tatā-
mah m. Großvater (AV); tātá (Vok. Sg.) freundliche Anrede (an den
˙ den Schüler), später auch tātah m. Vatter. Kosewort wie gr.
Sohn,
˙
te¥tta, ta¥ta, tatã, lat. tata, rus. táta «Vater» u.v.a., vgl. U., WP I 704,
Vasmer III 81.
Il rimando al W(alde) P(okorny) può ora essere sostituito dal
suo derivato Pokorny (IEW p. 1056 s.v.) :
tata-, tē˘ta u.dgl.; Lallwort.
Ai tatá- ‘Vater’, tāta- ‘Vater, Sohn, Lieber’; gr. te¥tta (Hom.) Vok., tatã
Vok. ‘o Vater!’; alb. tatë ‘Vater’; lat. tata ‘Vater (in der Kindersprache);
Ernähern’; cymr. tad, corn. tat ‘Vater’, hen-dat ‘Grossvater’; aisl. þjazi
‘ein Riese (*þeUa-sa?); lett. tẽta, lit. tẽ˙tis, tẽ˙të, tėtýtis ‘Vater’, apr. thetis
‘Grossvater’ (apr. tāws ‘Vater’, thewis ‘Vaterbruder’, lit. tė´vas, lett. tē-
ves ‘Vater’), lit.tetà ‘Tante’, žemait. titìs ‘Vater’; russ. táta usw. ‘Vater’,

106
Cfr. P. Solinas, Sulla terminologia della parentela nell’indeuropeo. Le radici
ottocentesche della questione. Parte I, in Atti dell’Istituto Veneto di SS.LL.AA.,
CLVI, 1997-98, p. 783-866.

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122 ALDO PROSDOCIMI

russ-ksl.teta usw. ‘Tante’, aksl. tet6–ka ds.; nhd. Tate, ostfries. tatte ‘Va-
ter’; norw. taate ‘Lutschbeutel’, isl. táta ds., norw.schwed. tātte
‘Frauenbrust, Zitze’.
Daneben germ. Formen mit i und u : ags. titt ‘Brustwarze, Kuhzitze’,
mhd. zitze ‘Zitze’, schwed. titta ‘Tante, alte unveirhatete Frau’; mdh.
zutzel ‘Sauglappen’, schwed. tytta ‘alte Frau, Muhme’, ahd. tutta, tuta
‘Brustwarze’ u.dgl.; ähnlich gr. tytuo¥v, -on ‘klein, noch ganz jung’, ty-
tuo¥n ‘ein bisschen’, inschr. auch ‘bre¥fov, paidı¥on’; tynno¥v ‘klein gering’;
eine auch ausserhalb der idg. Sprachen verbreitete Lallwortgruppe.
WP.I 704, WH.II 650, Trautmann 320, Vasmer 3, 81.
La lemmatizzazione dell’IEW che associa tata a teta è dovuta al
preconcetto di ‘Lallwort’ per questa classe di forme; per questo, a
causa della forma, tutto pare permesso, anche se la distribuzione se-
mantica è ben precisa : tata è per lo più (se non esclusivamente) ‘pa-
dre’ e teta per lo più non lo è. Si tratta di specificare quale tipo di ‘pa-
ternità’ : l’esplicito o l’implicito porta ad una ‘paternità’ di tipo ‘fami-
liare e/o infantile’ ma, credo, ci sia anche un’altra paternità,
istituzionale anche se marginalizzata (specificherò e inquadrerò più
avanti il senso di ‘marginalizzazione’). Nella voce del IEW sono rias-
sunte, ma non specificate, le valenze semiche di tata, ma una parte
di questo può essere, o è, causato dalla genesi formale, ma non im-
plica la semicità e, specificamente la funzionalità nella terminologia
della parentela o, come preferirei, nella terminologia delle relazioni
sociali107 ; da questo punto di vita, che è il solo pertinente per l’uso
del termine, è certamente ‘istituzionale’ nel senso che lo è il tipo lat.
pater, gr. path¥r, sscr. pitā etc.; è però da ribadire che i termini di ti-
po tata sono comunque istituzionali perché rientrano in un sistema
di lingua che significa una struttura sociale, quindi istituzionale; ne
consegue che sarà da individuarne posizione e funzione nel sistema,
e non sarà da escluderle dal sistema perché non appartengono a un
nucleo sottosistemico quale, dal punto formale, la terminologia -ter
o, dal punto contenutistico, la terminologia della parentela ‘centrale’
(sopra ad nota 106). Al proposito va ancora una volta sottolineato il
grosso equivoco, vero ‘peccato originale’, del modo in cui è stata
considerata la terminologia del tipo tata liquidata all’insegna della
genesi della forma di Lallform o di nursery rime, etc. e non della fun-
zionalità semantica nel sistema della/e lingua/e, e ciò anche con ri-
flessi nella parentela genetica di tali forme : se è un a priori che un
tata dell’antico indiano non può di per sé essere esposto qui all’inse-
gna di parentela genetica con un lat. tata o con un celtico *tata, una
volta dimostrata prima la parentela genetica tra dette lingue e che,
entro tale parentela, vi sia una isomorfia di funzionalità nel signifi-
care – in ciò, differenziata tra ‘voce elementare’ e ‘lessico istituziona-

107
Cfr. Solinas, cit. a nota precedente.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 123

le’ – è lecito proporre l’ipotesi di genesi comune quale istituzionalità


terminologica della parentela e/o delle relazioni sociali. [V. ‘Appen-
dice’ nr. 8]; come più volte affermato la questione si incentra sulla
posizione assunta, nell’essere come varietà entro l’‘indeuropeo’ la cui
parentela è definita prima con parametri linguistici, e dopo come
evolvere entro le singole tradizioni.
Vedremo meglio per il caso atta; qui riprendiamo il caso tatá
dell’antico indiano dai dati documentali su cui si è basata la vulgata
(sopra e appresso) e su dati potenziali secondo una recentissima tesi
sulla lingua sottostante alle iscrizioni ‘protoindiane’ (avanti § ‘Ex-
cursus’). Come visto l’etimologia, con la vulgata, pone e spiega sscr.
tatá all’insegna di ‘Koseform’ e la comparazione con altre lingue in-
deuropee confermerebbe implicitamente ciò che non è esplicitato
nello stesso senso; tuttavia un (AV) tatāmahah ‘Grossvater’ male si
accorda con la semicità data come in RV ‘familiarer˙ Ausdruck’; si
può ribattere che l’autorità del Rgveda è superiore a quella del-
l’Atharvaveda per cronologia e per˙la consistenza stessa delle raccol-
te; è peraltro da aggiungere che l’Atharvaveda conserva arcaismi che
il Rgveda non ha; secondo la spiegazione corrente tatā-maha sarebbe
˙
rifatto su pitā-maha, frequente ma con documentazione a partire
dall’Atharvaveda : anche se fosse così, si deve porre per tata una se-
micità che poteva sovrapporsi a quella di pitā ‘pater’. Inoltre c’è un
tata tata che è tradotto come ‘father of fathers’; se è così non c’è spa-
zio per una voce ‘familiare’, bensì per un termine parentale di alto li-
vello anche se relegato fuori dal sistema ‘centrale’ dei nomi in (sscr.)
-tā < -*tēr integrati da termini quali putra- o gr. yßio¥v.
Pokorny IEW, voce atos/atta p. 71 :
ā˘tos, atta Lallwort ,Vater, Mutter’.
Ai. attā ,Mutter, ältere Schwester‘, atti-h ,ältere Schwester‘, osset.
`a`da, gr. a¶tta, Väterchen‘ dial. Akk. a¶tein, a¶˙ttein ,Großvater‘, lat. atta
m. ,Vater; Kosewort der Kinder dem Vater gegenüber‘, got. atta ,Va-
ter‘ (Demin. Attila, ahd. Ezzilo), afries. aththa ds., ahd. atto ,Vater,
Vorfahr‘ (tt durch stets danebenlaufende Neuschöpfung unverscho-
ben), aksl. ot6–c6– (*āttikós) ,Vater‘; alb. at ,Vater‘, joshë ,mütterliche
Großmutter‘ (*āt-stā?), hett. at-ta-aš (attaš) ,Vater’.
Ein ähnliches *ā˘to-s in germ. *āþala, *ōþela scheint auch die
Grundlage von ahd. adal ,Geschlecht’ nhd. Adel, as. athali, ags. æUelu
N. Pl. ,edle Abkunft‘, aisl. aUal ,Anlage, Geschlecht‘, Adj. ahd. edili, as.
ethili, ags. æUele ,adelig, edel‘, dehnstufig ahd. uodal, as. ōthil, ags.
ēUel, anord. ōdal ,(väterliches) Erbgut‘ (vgl. auch ahd. fater-uodal, as.
fader-oUil ,patrimonium‘); hierher got. haimōþli n. ,Erbgut‘, vgl. mit
derselben Vokallänge ahd. Uota (eigentlich, Urgroßmutter‘), afries.
ēdila ,Urgroßvater‘; toch. A ātäl ,Mann‘; hierher auch av. āuwya- ,Na-
me des Vaters Uraētaona’s‘ als ,von adeliger Abkunft‘?
Die Zugehörigkeit von gr. aßtalo¥v, jugendlich, kindlich‘, aßta¥llw
,ziehe auf, warte und pflege‘ und ,springe munter wie ein Kind‘, red.

.
124 ALDO PROSDOCIMI

aßtita¥llw ,ziehe auf‘ (Redupl. unter Einfluß von tiuh¥nh ,Amme‘?),


wird von Leumann Gl. 15 154 bestritten.
Ein auf den verschiedensten Sprachgebieten sich stets neu bil-
dendes Lallwort (z. B. elam. atta, magy. atya ,Vater‘, türk. ata, bask.
aita ds.). Ähnlich tata.
WP. I 44, WH. I 77, 850, Feist 62, 233, Trautmann 16.

I riferimenti essenziali ci sono ma vanno riordinati e razionalizzati :


1) a) quidditas. La natura/genesi di ‘Lallwort’ pare una evidenza
non solo per la forma – a cui è da aggiungere la specularità con ta-
ta come amma : mama etc. (sopra) – ma anche per il contenuto che
si distribuisce tra semicità ‘femmina’ e ‘maschio’, tuttavia in modo
non disordinato e non omogeneo nella quantità e qualità distributi-
va; b) la probabilità, per molti e per me certezza, che il sexus fisico
e/o socioculturale non avesse corrispondente categorizzazione qua-
le genus grammaticale (Appendice, n. 4); ciò ne avrebbe determina-
to la dissociazione in ‘+maschio’∼ ‘+femmina’ ma ne avrebbe posto
le condizioni di diversità di polarizzazione, così come il genere
grammaticale fa realizzare in modo corrispondente il sesso di per-
sonificazioni di concetti astratti, per esempio la ‘morte’ tra latino e
germanico. Questo, come si è detto, non è una predeterminazione
assoluta ma una predeterminazione probabilistica, e ciò è suffi-
ciente a spiegare la distribuzione semantica del ‘Lallwort’ e, insie-
me, a rendere significativa la polarizzazione nel ‘+maschio’ come
quantità e qualità :
2) a) quantità. amma ‘+femmina’ è molto più ristretto che ‘+ma-
schio’ e, inoltre, come contenuto i due non si sovrappongono nella
stessa tradizione, il che implica che l’origine (genetica ‘onto’- e ‘filo’-)
è un antefatto rispetto alla funzionalità semantica, derivatane sì ma
sola pertinente nelle tradizioni di lingue indeuropee in cui occorre.
b) qualità. La specializzazione -a ‘+ maschio’ occupa uno spazio cen-
trale nell’istituzionalità indeuropea, e di altre tradizioni; qui è perti-
nente l’ambito indeuropeo secondo le premesse date sopra per
quanto attiene alla parentela linguistica, e a ciò che di semantico-
istituzionale vi è connesso : il tutto precede e inquadra fenomeni al-
trimenti ascrivibili a (quasi) universalità delle forme. Peraltro que-
sto è un solo aspetto perché ve ne è un altro e, a nostro avviso, più ri-
levante : la terminologia collegata e/o derivata non è quella di un
‘padre’ qualunque, e nemmeno quella di un ‘pater’ quale ‘pater fami-
lias’ in epoca ‘romulea’ (nota 50)108, ma di un ‘padre dei padri’, un
‘padre carismatico’ che sta oltre e/o al disopra della rete terminologi-
ca della parentela, e per questo può significare un ‘di più’ che non

108
Cfr. sopra in testo e Prosdocimi, PQQ I e PQQ II citt.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 125

rientra nella terminologia parentale in senso stretto [Appendice


n. 8]; per ristrutturazioni e/o evoluzioni semantiche, vi può essere
introdotto così da entrare nella casella semica di ‘pater’; tuttavia la
casella che gli spetta è quella di un ‘pater’ in senso ideologico più che
giuridico, cioè un ‘padre dei padri’ o un ‘super-padre’. Ciò che rap-
presenta nelle lingue germaniche, in sé e più nei derivati, implica a
fortiori la configurazione predetta (appresso) : la natura/origine for-
male di ‘Lallwort’ è un passato (remoto) mentre la sua funzione nella
terminologia della parentela (o delle relazioni sociali : Appendice,
n. 8) è una evidenza che, tuttavia, andrà ulteriormente studiata fra
terminologia parentale in senso stretto (giuridico) e terminologia
parentale in senso ideologico. Una volta identificato il punto crucia-
le e cioè la non-spiegazione all’insegna della forma (‘Lallwort’) in fa-
vore della funzionalità, si aprono delle prospettive di revisione e di
allargamento di orizzonti sulla terminologia delle ‘relazioni sociali’
che hanno per centro le relazioni parentali : non è di questo che trat-
tiamo qui (altri forse lo farà in altra sede); qui ci limitiamo alla pre-
senza di questa terminologia parentale ‘fuori sistema’ nell’onomasti-
ca e, tramite questa, ad altri nomi di funzionalità sociale, sociogiuri-
dica o socioculturale, nell’onomastica. Più avanti poniamo un caso
in cui la errata qualificazione funzionale di forme ‘Lallwort, nursery
rime’ può essere fuorviante o può non dare le coordinate appropriate
per questioni di capitale importanza quale potrebbe essere una
‘chiave’ per la decifrazione/interpretazione di una scrittura e, nel
contempo, inquadrare la lingua nei termini consentiti dai materiali
documentali (§ 3.1.3 a proposito delle iscrizioni ‘protoindiane’ da
Harappa e Moenjodaro nella decifrazione proposta da E. Peruzzi).
Torniamo a Roma e Italici.
Ciò che Marinetti (1982) ha proposto per atta, *appa (sopra
§ 3.1.1) resta valido e trova la sua collocazione nella classe di questi
nomi di qualificazione sociale che hanno uno status particolare per
cui identificano un individuo quale membro di una classe ad un solo
membro (B. Russell), e questo condivide una funzione propria del-
l’onomastica, ma per una via diversa, lessicale e non specificamente
onomastica; lascio qui da parte queste distinzioni di principio109 per
riportare alla fenomenologia specifica e alle motivazioni della fun-
zionalità onomastica del tipo atta : questa risulta da quanto visto so-
pra, ma è meglio identificata e circoscritta da quello che non av-
viene : perché atta (e *tata : appresso) ma non pater? La risposta, an-
che in questo caso, è stata adombrata sopra nel modo e/o livello di
istituzionalità tra giuridicità in senso stretto ed ideologia, non in
senso generico ma nelle potenzialità che da essa possono realizzarsi.

109
Ma vedi Prosdocimi, Appunti per una teoria del nome proprio, cit.

.
126 ALDO PROSDOCIMI

‘pater’ all’interno della familia, di cui è appunto il pater familias,


è un termine di una classe ad un solo membro : questo ancora in fa-
se (relativamente) recente per cui la resa/traduzione è il pater fami-
lias, come (ancora) è nel Catone del de Agricultura110) : questo in as-
soluto nella Roma dei pater (singolare pour cause) romulei in fase
pre-Quiritaria111, che entro la familia si configurano come ‘(quasi) re’
con diritto di vita e di morte; pertanto : in questa prospettiva socio-
giuridica la familia è in comunità con altre familiae che hanno pater
con lo stesso status giuridico Pater individua, quasi come nome pro-
prio, solo all’interno della propria familia quindi, come tale, non ha
potenzialità individuante all’infuori della familia; se pure la familia
pare configurarsi come struttura portante della società, la comunità
è composta da più familiae, per cui ne consegue che pater resta es-
senzialmente un termine di lessico, quindi gli è preclusa una funzio-
nalità di tipo paraonomastico che pertiene al tipo atta/Atta che, in
formula binomia, può identificare al pari di un prenome, anche se
per via diversa e con uno statuto diverso per principio, ma poi assi-
milato a un prenome vero e proprio per cui un atta/Atta viene ‘nor-
malizzato’ in Attius/Attus. [2008. Per ragioni di lunghezza, già ecces-
siva, nel 2002 → 2003/4 avevo omesso un paragrafo su Atta ‘padre’
nel Padre Nostro del gotico della traduzione di Wulfila, e su come ne
tratta Benveniste 1969, Vocabulaire; l’ho ripreso nella relazione del
Convegno ‘Roma 2007/8’, nella stesura 2008].

Excursus 3.1.3. tata in una proposta di decifrazione delle iscri-


zioni protoindiane
E. Peruzzi ha proposto dei preliminari alla decifrazione delle
iscrizioni protoindiane112. La qualifica di ‘preliminari’ è riduttiva per
la quantità condensata e qualità intrinseca del processo di ‘decifra-
zione’, specialmente nella eleganza del procedimento argomentati-
vo. Personalmente credo che Peruzzi abbia aperto la via maestra ed
è da augurarsi che prosegua oltre quello cui è arrivato; anche se i
primi (e per me eccezionali) risultati non convincessero, lo scritto

110
Su ciò Prosdocimi, Tavole Iguvine II § 4, e III § ‘Tassonomie’, in stampa;
cfr. (anche se sorpassato da TI cit.) A. L. Prosdocimi, Catone (a. c. 134, 139-141) e
le Tavole Iguvine. ‘Archetipo’ produzione e diacronia di testi nei rituali dell’Italia an-
tica, in Testi e monumenti. Studi storico-linguistici in onore di Francesco Ribezzo,
Mesagne, 1978, p. 129-203.
111
Prosdocimi, PQQ I e PQQ II citt.
112
E. Peruzzi, Indeuropei ad Harappa, in La Parola del Passato, LVII, 2002,
p. 401-466. Per difficoltà grafiche si omettono le riproduzioni di segni ‘decifrandi’
e vi si rimanda all’originale (in Peruzzi 2002) con le convenzioni [orig.] : per i no-
stri fini – non per la decifrazione! – il discorso resta sufficientemente intelligibile.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 127

dovrà comunque restare tra i modelli della decifrazione113. Questa


premessa è necessaria perché io escerpirò un frammento in quanto
pertinente al nostro tema ma che, avulso dalla sequenza argomenta-
tiva, perde lo smalto che ha in essa perché ivi è ‘preparato’ da quanto
precede ma, soprattutto è confermato da quanto segue, il tutto all’in-
segna della individuazione del sistema di notazione dei numerali,
sia cardinali sia, e qui è il punto che interessa, con gli ordinali rico-
nosciuti come formati in -ta : il valore ta attribuito a un sillabogram-
ma grazie ad una determinata ipotesi di lavoro su una serie di 4 sil-
labogrammi identici in sequenza è la chiave euristica per entrare
nella cifra. Riprendo frammenti da Peruzzi (p. 41-44), ricordando
ancora una volta che la scontestuazione, necessaria per ragioni pra-
tiche, non rende giustizia alla pregnanza di ciò che è escerpito.

Ǥ 4.3. Tornando al segno ---, il fatto che esso, in quanto suffisso per gli
ordinali, abbia valore fonetico (§ 11) porta a non condividere l’identificazio-
ne sostenuta da Parpola, che invece presuppone per --- un valore ideografi-
co : ‘le sequenze [v. originali p. 451 Peruzzi] formano tutta l’iscrizione di due
bastoncini d’avorio (2795 e 2803) ma un terzo bastoncino d’avorio (2792) re-
ca l’iscrizione - -- ----’.
I due gruppi [v. originali p. 451 Peruzzi], proprio perché sono due scrit-
ture diverse, corrisponderanno a due distinte espressioni (cf. § 41), e a mag-
gior motivo se si tratti di nomi propri (un individuo non scrive il suo nome
in due modi completamente diversi nel medesimo ambiente e su oggetti
identici).

§ 44. E qui con triplicazione e quadruplicazione del segno fonetico --- si


scrivono nomi, propri o comuni, che si riferiscono a persone, poiché alle
epigrafi su bastoncini d’avorio or ora citate (§ 43)

2795 [v. originali p. 451 Peruzzi]


2803 [v. originali p. 451 Peruzzi]
corrispondono, rispettivamente,
L-210 oo [v. originali p. 451 Peruzzi] (impronta di sigillo)
M-1123 oo [v. originali p. 451 Peruzzi] (sigillo) [fig. 40].
Non sappiamo se in esse l’ultimo segno
l) funga solo da determinativo ideografico, oppure
2) sia l’elemento finale di un composto,

ma tanto oo quanto oo [v. originali p. 452 Peruzzi] sono l’immagine di un


individuo (il secondo segno è un nesso di U con il pittogramma ∼ trattato al
§ 38) e dunque i due gruppi si riferiscono ad un uomo.
Perciò in [v. originali p. 451 Peruzzi] si ha la scrittura fonetica di due
nomi che nelle corrispondenti diciture sigillari

113
Malgrado libri e/o lavori sulle decifrazioni resta, a mio avviso, da fare un
lavoro generale sulla decifrazione in sé e poi articolata nelle varie decifrazioni.

.
128 ALDO PROSDOCIMI

1) ricorrono accompagnati dai determinativi * e, rispettivamente, ∼, op-


pure
2) sono il primo elemento di un nome composto con * e, rispettivamen-
te, ∼.
Se si tratta di nomi propri, [v. originali p. 452 Peruzzi] potrebbe essere
forma accorciata di [v. originali p. 452 Peruzzi], forse con valore ipocoristi-
co (ma v. § 53).

§ 45. Secondo un principio generale formulato da Jakobson (che perciò


talvolta va sotto il nome di ‘legge di Jakobson’), in tutte le lingue le fasi dello
sviluppo fonologico si succedono seguendo un ordine costante.
‘All’inizio del primo stadio linguistico si avvia lo sviluppo del vocalismo
con una vocale aperta, e contemporaneamente lo sviluppo del consonanti-
smo con un’occlusiva di articolazione anteriore. Come prima vocale compa-
re una a, e di solito un’occlusiva labiale come prima consonante del linguag-
gio infantile. Come prima opposizione consonantica si presenta quella del
suono orale e nasale (per es. papa – mama); segue l’opposizione delle labiali
e dentali (per es. papa - tata e mama - nana). Se osserviamo le lingue vive del
mondo, rileviamo che queste due opposizioni costituiscono per così dire il
consonantismo minimo. Esse sono le uniche che non possono mancare in
nessun luogo’.
Inoltre, la ripetizione della medesima sillaba, come appunto nelle forme
ora citate, è caratteristica dei termini parentali.
La ‘legge di Jakobson’ non fa altro che enunciare (e spiegare psicologi-
camente e fisicamente) un fatto di comune esperienza. È una legge statistica
fondata sui grandi numeri, cioè sull’osservazione dell’uniformità di certe
strutture fonologiche in un esteso numero di lingue, e dunque vale per ogni
tempo e luogo.
Poiché si tratta di un fenomeno generale, qualunque lingua parlassero i
protoindiani, è statisticamente probabile che [v. originali p. 453 Peruzzi] ri-
ferentisi ad un uomo (§ 44) fosse propriamente un termine parentale con la
struttura fonica papa-papa o tata-tata.
Sono invece altamente improbabili le forme come mama-mama e nana-
nana perché nella maggior parte delle lingue mama e nana si riferiscono alla
madre; così per es. ved. tata ‘babbo’ – nanā ‘mamma’ (RV 9.112.3), gr. ta¥ta –
maùmmh, lat. tata – mamma, ecc.

§ 46. Come suffisso degli ordinali, [v. originali p. 453 Peruzzi] ha valore
fonetico (§ 11). Nel gruppo [v. originali p. 453 Peruzzi], esclusa una grafia
rebus, la quadruplicazione implica che il segno rappresenti una sillaba
(§ 39), ed è evidente che questa non può consistere soltanto in una vocale.
Qui giunti, è appena necessario avvertire che, procedendo oltre questa
ovvia constatazione, il ragionamento non potrà essere che probabilistico.
Poiché si riferisce ad un uomo (§ 44), [v. originali p. 453 Peruzzi] è una
parola o un nome proprio (eventualmente un ‘nome parlante’, ossia un voca-
bolo con funzione onomastica), non una pura onomatopea. Perciò la sillaba
rappresentata da [----] non avrà la struttura cons. + cons. + voc. (cioè per es.
[v. originali p. 454 Peruzzi] tra-tra-tra-tra) né cons. + voc. + cons. (per es. tar-
tar-tar-tar); del resto, avendosi la quadruplicazione della medesima sillaba, ne

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 129

risulterebbero forme assai poco probabili anche se si trattasse di un’onoma-


topea indeclinabile. E appare altrettanto improbabile una consonante aspi-
rata, per es. tha (cioè tha-tha-tha-tha).

La sillaba [v. originali p. 454 Peruzzi] sarà costituita da consonante e


vocale, e data la lunghezza della sequenza sarà una sillaba breve (cioè per es.
ta-ta-ta-ta, non tā-tā-tā-tā).

§ 47. Inoltre, un vocabolo o un nome (non un’onomatopea) così costrui-


to e riferentesi ad un uomo è senza dubbio la reduplicazione della forma bi-
sillaba [v. originali p. 454 Peruzzi] di Rjd-1 [fig. 44] (frammento vascolare,
dove però si vede che il gruppo è integro), forma che compare anche sul si-
gillo L-37 in un composto con altri due segni non sicuramente riconoscibili.
Di solito, in qualsiasi lingua, una parola così strutturata è originaria-
mente propria del linguaggio infantile : le voci bisillabe per iterazione del
medesimo segmento fonico sono per lo più nursery forms e per lo più, come
si è detto (§ 45), termini parentali.
Quanto poi al significato, un composto consistente nella ripetizione del-
la medesima parola è un tatpurusa, come ad es. ind. putra-putra ‘figlio del fi-
glio’, rāja-rāja ‘re dei re’, ecc. ˙

§ 48. Come avvertito fin dall’inizio (§ 6), in questo studio sulle epigrafi
della Valle dell’Indo ci si è valsi finora di forme indiane solo per chiarire il
ragionamento con esempi attestati in una lingua antica della medesima area
geografica, dove per altro si sono già ravvisati elementi di continuità cultu-
rale dall’età protoindiana fino ai giorni nostri.
Ora, sta di fatto che l’indiano ha una formazione con t (e nessuna con p)
che presenta tutti i caratteri indicati ai §§ 45-46 : tata-tata ‘padre dei padri’,
duplicazione di tata (familiare rispetto a pitr, cf. ved. tatā-maha letteralmen-
te ‘grand-papa, grand-dad’ = pitā-maha lett. ˙‘grand-père, grandfather’), e tata
è ‘forma lessicale specificamente vedica che ha trovato posto anche nelle for-
mule cultuali di preghiera’ e ‘ricorre già all’inizio di tutta la tradizione come
un vero e proprio appellativo’. Il ved. tata è irrilevante perché essendo una
nursery form (§ 47) non è in alcun rapporto con identiche parole di altri idio-
mi che hanno la stessa origine, come per es. gr. ta¥ta e lat. tata, e quindi
eventualmente nemmeno con un’analoga voce protoindiana (e trattandosi di
nursery forms, un protoind. tata non offrirebbe alcun indizio circa il vocali-

.
130 ALDO PROSDOCIMI

smo della lingua e la sua parentela), Non è invece privo di interesse, e non
soltanto a fini di pura esemplificazione, il raddoppiamento di tata nell’ind.
tata-tata, dato che il protoindiano presenta nel gruppo [v. originali p. 456
Peruzzi] che si riferisce ad un uomo (§ 44) la medesima quadruplicazione,
cioè ottenuta ripetendo una parola costituita da due sillabe identiche, e che,
appunto riferendosi ad un uomo, è probabilmente un termine parentale
(§ 45). In quanto nursery form, indipendentemente da qualsiasi rapporto ge-
netico, tale voce protoindiana potrebbe coincidere per origine, significante e
significato con quella indiana.
In qualunque modo si voglia giudicare tale accostamento, va sottolinea-
to che esso non si fonda indebitamente a fini ermeneutici, come è d’uso, su
presunti rapporti con altri idiomi, in questo caso con l’indiano antico. Alla
sua base vi è un dato intrinseco alla lingua : la cosiddetta ‘legge di Jakobson’
(§ 45) enuncia un fatto che si osserva nella maggior parte degli idiomi e
quindi è statisticamente probabile che si verificasse anche in quello della
Valle dell’Indo, così come si constata in innumerevoli sistemi linguistici di
ogni tempo e luogo; anzi, a rigore, la ‘legge di Jakobson’ si manifesta sempre,
se pur con diversa valenza : cioè per es. il tipo tata, di solito termine parenta-
le, compare come voce infantile tanto nelle lingue antiche quanto nelle mo-
derne, ma come nome del padre non in tutte è uscito dall’ambiente della
nursery e si è imposto nell’uso corrente (talvolta anche di registro elevato, ad
es. ittita gerogl. tata e romeno tată. Ne consegue che la nostra valutazione
del gruppo [v. originali p. 456 Peruzzi] resta statisticamente verosimile an-
che a prescindere da qualsiasi riferimento all’indiano antico».

Ho abbondato nella citazione integrale di un segmento dell’argo-


mentazione di Peruzzi mentre con rammarico ho tralasciato quel che
precede, perché qui è pertinente il modo argomentativo di Peruzzi re-
lativo a tata, tatatata indipendentemente dalla validità della decifra-
zione stessa. Il ricorso alla cosiddetta ‘legge di Jakobson’ è uno stru-
mento euristico per portare, come ipotesi di lavoro, un notum gene-
rale su un ‘ignoto’ particolare; questo ‘ignoto’ particolare era però
stato inquadrato all’interno nell’avere prima individuato che cosa po-
tevano e/o dovevano significare le sequenze in ta – nomi propri e/o ti-
toli e/o entrambi – e dopo, tramite la ‘legge’ (di Jakobson), l’avervi ri-
conosciuto il tipo di sequenze ripetute che poteva significare quello
che richiedeva l’analisi interna. C’è tuttavia un passo logico che si do-
vrebbe, e a mio avviso si può, esplicitare e cioè vi sarebbe una ‘nursery
rime’ (o ‘Lallwort’) che avrebbe funzione istituzionale di alto livello;
come tale, rientra nel quadro posto sopra che potrebbe, non dico do-
vrebbe, riportare una generica ‘Lallwort’ quale origine formale ad un
termine istituzionale entro la parentela ‘indeuropea’. A questo propo-
sito l’ipotesi è basata su sscr. tata/tatatata in chiave esemplificativa e
non genetica perché, nella (corretta) prospettiva da cui Peruzzi è par-
tito, una forma tata (o simili) non è esclusiva di una famiglia di lin-
gue : la forma sì, ma il contenuto? Abbiamo visto sopra la distinzione
tra genesi/natura della forma e il valore/funzione della stessa, e ciò re-

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 131

stringe la pluralità universalista anche se, di per sé, non riporta ad


una sola famiglia di lingue : ‘di per sé’ perché nel caso di tata, ponia-
mo tra latino e sanscrito (sopra), tata non fonda né può fondare alcu-
na parentela, ma la parentela tra dette lingue è già fondata su base
linguistica; pertanto il trovare forme di questo tipo con funzioni ‘isti-
tuzionali’ in lingue già dimostrate apparentate, che le forme in que-
stione (tata nel caso) vanno prese in considerazione, almeno come
ipotesi di lavoro, quale lessico istituzionale. Appare poi, se non presu-
miamo troppo, che quanto posto sopra fra genesi/natura formale e
funzione significativa di parole tipo atta/tata colmi una lacuna nella
sequenza argomentativa di Peruzzi : le forme tatatata sono ricono-
sciute quali ‘nursery rimes/Lallwörter’ ma l’uso passa attraverso la fun-
zionalizzazione nel significare di tali forme : tata ‘padre (carismatico/
ideologico?)’ tatatata ‘padre dei padri’114. Qui mi arresto perché la fun-
zione di questo excursus-appendice consiste nel mostrare l’opportu-
nità, meglio necessità, di individuare la funzionalità nel sistema
sociale (parentale v. sopra e ad nota 106) assunto dalle ‘nursery rimes/
Lallwörter’.

4. RITORNO A ROMA. FERTER. HOSTIUS. POPLIO- / PUBLIUS :


CONSIDERAZIONI MINIME

4.1. Il tipo Ferter è stato brevemente trattato da Marinetti 1982


(sopra) nella sua posizione tra nome-funzione e nome ‘onomastico’ :
tutta l’eziologia che lo concerne mette in risalto il nome-funzione
perché è il fondatore o sistematore dello ius fetiale in casa propria
(rex Aequicolus) e di qui introdotto a Roma tra Numa Pompilio (Li-
vio I, 24, 4 sgg.) e Anco Marcio (Livio I, 32, 5 sgg.). Si possono fare
speculazioni se Resius non rappresenti un *regius, il che avvalore-
rebbe la natura e persistenza di Ferter quale nome-funzione dell’‘of-
ferente’ potenzialmente generalizzato a ‘sacerdote’ in generale : le la-
sciamo da parte, perché il punto che qui è pertinente è lo status pa-
raonomastico di *ferter/Ferter. Peruzzi115 ha mostrato come la forma
in -ter e non in -tor, come è per i normali nomina agentis, è fedede-
gna, non solo perché è quella tràdita da due diversi testimoni, di cui
uno epigrafico, ma perché il suo comportamento morfonologico è

114
Se Peruzzi ha ragione di riconoscere in tatatata il ‘padre dei padri’; se vi si
può applicare che questa è una paternità di tipo carismatico per cui un ‘padre’ è
assimilabile alla posizione di un (piccolo) ‘rex’ – allora si pone la questione se il
modello non sia il tipo LU.GAL.GAL del sumerico (poi sumerogramma in accadi-
co) ‘re dei re’, meglio ‘principe dei principi’. Non sta qui, né a me, proseguire sulle
implicazioni di un eventuale rapporto tra la grafia protoindiana e quella sumeri-
ca.
115
E. Peruzzi, Ferter Resius, in «Maia» 18, 1966, p. 227-278.

.
132 ALDO PROSDOCIMI

diverso in italico e latino : -ter ha -tr- in derivazione mentre -tōr in la-


tino non lo è in quanto è in -tōrio-; la questione è forse più comples-
sa, a partire dalla sua descrizione della grammatica indiana che ha
influenzato descrizione e interpretazione della grammatica compa-
rata e ricostruttiva116 occidentale, ma per più ragioni, tra cui l’evi-
denza documentale, Ferter è forma che non va corretta in *Fertor117.
All’evidenza documentale si aggiungano due motivi, uno interno al
latino e uno nella matrice indeuropea. All’interno del latino una for-
ma in -ter – che non sia nella serie parentale tipo frater, mater, pater –
è difficilior rispetto ad una forma in -tor, per cui si danno due even-
tualità che rispondono allo stesso principio : se la forma equicola
fosse stata in -tor non avrebbe avuto nessun motivo di essere traspo-
sta in un latino -ter; se la forma equicola fosse stata in -ter non
avrebbe, parimenti, avuto nessun motivo di essere trasformata in
-tor all’interno della tradizione latina.

4.2. Poplio- / Publius, Poplicola / Publicola, poplico-/ publicus


Sopra abbiamo posto la questione dei prenomi ‘motivati’ quali
poplio- rispetto alla cognominazione Poplicola-. Quando è stata edita
(o pre-edita) l’iscrizione di Satricum (cfr. nota 68), il commento sul
prenome poplio- aveva richiamato la derivazione da poplo-, prece-
dente formale di populus, ancora nel valore (originario) di poplo-
‘esercito’, valore ben evidente perché è rimasto nel denominativo po-
pulāri e conservato col valore non evoluto in ‘populus’ (a Roma) nel-

116
Cfr. Solinas, Sul lessico indeuropeo della parentela, cit. a nota 106.
117
La voce ařfertur/arsfertur < *ad-bhertōr- nelle Tavole Iguvine è una testimo-
nianza incontestabile (v. ora Untermann, WOU cit. s. v., con alcune riserve sul
modo di proporre il termine tra latino, italico e precedenti ‘indeuropei’ : su ciò
Prosdocimi, Tavole Iguvine II in stampa, cit., § 10). Si aggiunga che l’idronimo
Fortóre è così definito nel Dizionario di Toponomastica (UTET, Torino 1990,
p. 282 s. v.) : «È l’antico Fertor nominato da Plinio Nat. Hist. III 103, di origine
prelatina ed affine all’etnico Frentani (...). L’idronimo è omofono di un altro no-
me di fiume della Liguria anch’esso menzionato da Plinio, Nat. Hist. III, 5 (que-
sto forse di origine latina; v. Petracco Sicardi-Caprini 1981, 50)». A parte l’assen-
za di accento e di indicazione del colorito vocalico per il Fortore meridionale se-
condo -o- (-tor-) che indica una originaria [ō] o una [ŭ] breve ad orecchio latino
se si tratta di una u italica; a parte l’accostamento con i Frentani che non possono
avere niente a che fare con Fertor come morfologia; a parte l’affermazione che
Fertor in Liguria è «forse» latino (anche perché un *bh- non latino sarebbe stato
probabilisticamente rappresentato da b-); a parte di domandarsi se Fertor del
Fortóre da (accus.) *Fertōre(m) sia un latinismo o la trasposizione in latino di un
italico *fertur- – a parte tutto ciò, si conferma che, italico trasposto in latino o la-
tino e basta (a mio avviso improbabile), -o- è di quantità lunga e non apofonica
come è invece il morfema -ter –.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 133

le Tavole Iguvine118. In altra sede ho criticato119 che poplio- dell’iscri-


zione di Satricum fosse una occasione per fare una etimologia re-
mota di ‘poplo- esercito’ : la pertinenza è nel valore sociopolitico e/o
istituzionale intorno alla metà del VI a.C. quale circa quem per la
nascita e correlata Namengebung di un Poplio- Valesio- : ancora po-
plo- ‘esercito’ o già poplo- ‘populus’? Ritengo che il valore primario,
se non esclusivo, fosse quello di ‘poplo- esercito’ e altrove credo di
poterlo dimostrare con un termine post-quem (posteriore di poco al
± 500 a.C.) in cui ‘poplo- esercito’ è ormai evoluto primariamente a
un valore poplo- ‘populus’. Ho posto sopra uno dei termini della que-
stione e cioè se il prenome Poplio- sia quello imposto dal pater nel ri-
conoscimento giuridico del figlio o sia un nome assunto più tardi
dal personaggio per una valenza ideologica, in seguito esplicitata
nella cognominazione poplicola/publicola. Un prenome ideologico è
verisimilmente Marcus detto di un Furius cognominato Camillus :
qui, se coglie nel segno questa ipotesi, si è in una situazione del tutto
diversa, non tanto perché la cognominazione di Camillus è comple-
mentare a Marcus120 mentre la cognominazione Poplicola / Publicola
riproduce il prenome Poplio- ma, e questo è fondamentale, perché,
se è così, il prenome Marcus sarebbe stato dato da una tradizione
ideologizzatrice e ‘storicizzatrice’, mentre Poplio- attestato nell’iscri-
zione di Satricum mostra chiaramente che è il prenome di un Vale-
sio, quasi certamente il Poplicola. Non tenendo conto della differen-
za posta sopra, tra la prenominazione Poplio- di un Valesio- senza
cognominazione in Satricum ma cognominato nella tradizione co-
me Poplicola / Publicola – oltre alla differenza vista sopra tra com-
plementarietà e ripetizione/sovrapponibilità – si avrebbe una inver-
sione per cui un Furius Camillus avrebbe ricevuto il prenome ‘ideo-
logico’; mentre un Poplio- Valesio- avrebbe ricevuto un prenome
‘cognominale’; vi è però un tratto comune, del medesimo rilievo :
entrambi sono all’insegna di ideologia trasposta nel lessico correlato
all’onomastica; su ciò torneremo appresso dopo un paio di conside-
razioni per cui Poplio- non solo è ideologico ma potrebbe essere un
prenome con funzione ‘cognominale’, allora autoimpostosi dal per-
sonaggio storico-fisico, e non dal pater alla ‘nascita’ (giuridica). Po-
plio- Valesio- dell’iscrizione di Satricum ha dei suodales, cioè una
‘banda’da presupporre guerriera sia, come pare probabile, ove siano
qualificati Mamartei ‘Marzii’, sia nel caso che Mamartei sia il dativo
di dedica ‘a Marte’121. Se si aggiunge che (almeno) una tradizione at-

118
Prosdocimi, Tavole Iguvine III, in stampa.
119
Cfr. i miei lavori citati a nota 68.
120
Tratto di questo aspetto a proposito del Marce Camitlnas della Tomba
François di Vulci, in un lavoro tuttora inedito (cfr. nota 134).
121
Prosdocimi, Sull’iscrizione di Satricum, cit.

.
134 ALDO PROSDOCIMI

tribuisce al Publicola la fondazione della repubblica dopo avere


sconfitto un esercito ‘Tarquinio’ che doveva essere del tipo ‘tiranni-
co’ come o lo costituivano quelli del Prisco e del Superbo, cioè un
esercito personale, dovrebbe essere implicito che anche il Publicola
doveva avere un esercito dello stesso tipo di cui facevano parte i suoi
suodales, gli autori della dedica di Satricum. La configurazione di
un Publicola con un esercito personale di tipo ‘regale-tirannico’ po-
trebbe essere la ragione per cui, accanto alla fondazione della Re-
pubblica, al Publicola è adombrata, se non esplicitamente associata,
una affectatio regni. Lascio questo terreno che non mi è proprio per
ritornare al punto che qui interessa e cioè la trasparenza lessicale
del prenome Poplio- e del cognomen Poplicola.
Si parte da una premessa basilare : poplo-, da cui il prenome Po-
plio-, ha un aggettivo corrispondente che è poplı̆co-, attestato in epo-
ca antica ma che arriva piuttosto in basso e che è ufficializzato come
istituzionale in diciture del tipo poplicod. Per ragioni che qui non in-
teressa perseguire in tutti i particolari, ad un certo punto poplico- è
sostituito da pūblico-; non essendovi alcuna ragione fonetica per la
sostituzione, questo non può essere che un incrocio lessicale e que-
sto, a priori, dovrebbe avere una motivazione semantica nel lessico.
Tra le motivazioni, già addotte nella vulgata, vi è l’incrocio con pū-
bes, e pare la più probabile se non addirittura l’unica possibile; tut-
tavia questo incrocio, o rimotivazione, è stata posto all’insegna della
forma piuttosto che della semantica, qui semmai di semantica istitu-
zionale. L’incrocio, relativamente tardo, ha delle implicazioni sia
per pūbes che per poplo- : per entrambi implica una continuità, cro-
nologicamente in basso, della semicità bellica di pūbes e pop(V)lo-;
quella della pūbes, che sarà recuperata da Virgilio, è da rivedere nel-
le motivazioni ‘in alto’ quali la ‘iuventus’ e la (osco-sannita) ‘vereia’
(di ciò altrove122) anche per la (relativa seriorità) dell’incrocio pubes
+ poplo- > poplico- > pūblicus che implica una permanenza della se-
micità guerriera per entrambi i termini, in particolare per poplo- che
già dal ± 500 a.C. (sopra) significava primariamente ‘populus’ (del la-
tino classico e giuridico). Quello che è centrale ai fini del nostro di-
scorso è il fatto che il prenome Poplio- si trasforma in Pūblio- quan-
do poplico- si trasforma in pūblico- : una eventuale sfasatura non sa-
rebbe rilevante rispetto alla isomorfia della trasformazione; ciò
implica, evidentemente, che il prenome Poplio- conservava – quindi
a fortiori aveva prima – una trasparenza lessicale ideologica, nei ri-

122
Prosdocimi, Tavole Iguvine III, in stampa. Nelle TI non c’è il termine ve-
reia, che è dell’italico meridionale, ma c’è poplo che, almeno nelle radici, ne è il
corrispondente, qualcosa come ‘gioventù di leva’ (= in armi). Sui giovani di leva
in epoca arcaica v. Torelli, Lavinium, Roma, 1984, passim.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 135

guardi di poplo-; anche altri prenomi conservano trasparenza e/o


motivazioni rispetto alle loro basi lessicali e questo è ricordato dal-
l’antiquaria (v. sopra), ma il nostro ha l’evidenza nell’uso di lingua
(poplico- > pūblico-) e non solo in una operazione antiquaria. In con-
clusione o, meglio, in apertura di questione si ripropone una revisio-
ne dell’ideologia alla base del sistema onomastico arcaico tra formu-
la binomia e trinomia e, prima, della riduzione del praenomen a si-
gla nella formula : ogni sistema onomastico è anche – talvolta
prevalentemente – ideologico; per Roma si tratta di rivedere il coef-
ficiente ideologico nelle varie epoche, specialmente prima della co-
dificazione delle formula binomia nei tria nomina classici (e in se-
guito nella proliferazione di nomina e/o cognomina).

4.3. Hostius Hostilius. hostius e hostis


Il personaggio ha formula binomia in un momento in cui, alme-
no secondo Peruzzi123, nella istituzionalità albano-romana avrebbe
dovuto esserci il simplex nomen mentre la formula binomia sarebbe
un portato dalla sabinità di Tito Tazio; come detto sopra non entro
nella questione perché l’argomentazione di Peruzzi sull’esclusione di
formula binomia, per quanto elegantemente argomentata, mi lascia
qualche perplessità, almeno nella distribuzione tra formula binomia
(da patronimico) esistente ma non opzionale di contro alla formula
binomia quale istituzione giuridica. Peruzzi liquida Proculus Julius
con formula binomia perché figura ambigua, potenzialmente filosa-
bina; resta comunque Hostius Hostilius che, quale comandante delle
truppe di Romolo, è fatto morire (Livio I, 12) nello scontro con i Sa-
bini guidati da Mettius Curtius.
Hostius è evidentemente derivato da hosti- + -jo-124, cioè da hosti-
< *ghosti- nel valore di ‘straniero (entro il territorio altrui)’. Il valore
‘straniero’ è conservato dall’antiquaria romana ed è confermato dal-
la comparazione tipo ted. Gast ‘ospite in patria d’altri’ : appresso. La
certezza del valore originario di hosti- nel senso predetto richiede
non una dimostrazione ma un supplemento alla storia evolutiva del
termine che, a Roma, ha portato al valore di ‘nemico’ : questo, spe-
cialmente nella cronologia, interessa al nostro discorso per la (even-
tuale) perdita di motivazione ideologica per un prenome quale Ho-
stius : la forma primaria Hostius e non Hostus è confermata dalla -i-

123
Peruzzi, Onomastica e società e Origini di Roma I, citt., passim.
124
Astrattamente anche + -ŏ- ancora in funzione di derivazione da basi nomi-
nali, ancora vitale nell’antico indiano e con tracce a Roma : cfr. la proposta di ri-
conoscere una derivazione in -o- in mamartei dell’iscrizione di Satricum = ‘ma-
martioi’ da parte di E. Campanile, ripresa da A. L. Prosdocimi, Satricum. I soda-
les del Publicola steterai a Mater (Matuta?), in La parola del passato, XLIX, 1994,
p. 365-377

.
136 ALDO PROSDOCIMI

lunga, attestata, di Hostı̄lius125. A priori il prenome doveva essere


motivato dal lessico, sia dato come prenome dal pater sia assunto
più tardi come prenome nel senso ‘quasi cognominale’ contemplato
sopra per Poplio-. Nel caso di Hostius non ci sono ragioni e/o indizi
quali per il cognomen Poplicola rispetto al prenome Poplio-, pertan-
to ci atteniamo all’ipotesi meno arrischiata e cioè a vedere in Hostio-
un prenome dato dal pater : ovviamente un prenome augurale e/o
ideologico, compatibile con la base hosti-. Di questa ho trattato più
volte a partire dal venetico (H)ostio-, Hostihavos (1967 LV II s. vv.) e
del leponzio uvamokozis; ho rivisto il tema lat. hostis per lat. hosti-
capas a proposito di parricida/paricidas e damnas, contesto in cui
trattavo di Quirites nella Roma di Numa Pompilio126.

hosticapas e hostis127
hosticapas è glossato da Paolo (91 L) ‘hostium captor’. Morfologica-

125
V. sopra § 2.2.1 a proposito di Schulze 1904 che, dando la priorità ad Ho-
stus, inverte i termini della questione ed elimina, come scomoda, la lunga di Ho-
stı̄lius perché, secondo la sua regola (peraltro corretta) un -ı̄lius non può derivare
da Hostus e, infatti, non ne deriva, perché deriva da Hostius; analoga oscillazione
in prenomi quali Attus/Attius (v. anche sopra § 3, Marinetti 1982 cit.) e Mettus/
Mettius (Fufetius).
126
Prosdocimi, PQQ I e PQQ II citt.; da quest’ultimo riprendo qui le p. 286-
288. Il tema Quirites, Quirinum, curia < *co-uirı̄tes, *co-uirı̄no-, *co-uiria è stato
ripreso per morfonologia in altri lavori tra cui Etnici e strutture sociali nella Sabi-
na : Cures, in Identità e civiltà dei Sabini, Atti del XVIII Convegno di Studi Etru-
schi e Italici (Rieti-Magliano Sabina, 30 maggio-3 giugno 1993), Firenze, 1996,
p. 227-255. L’aspetto storico-istituzionale sarà completato in un lavoro d’insieme
attualmente in manoscritto; in PQQ II, come detto in testo, era ripreso per parici-
das della nota lex Numae da me inserita nel contesto della Roma dei Quirites <
*co-uirı̄tes.
127
La sproporzione fra l’attenzione volta a paricidas e, in misura minore, a
damnas, ha relegato hosticapas ‘hostium captor’ a semplice notazione aggiuntiva
con l’effetto di non considerare la serie come omogenea e attribuibile a un deter-
minato ambiente giuridico in quanto la serie va posta tra i nomi maschili in -a ti-
po popa, Proca (e Procas), Numa. Per il valore giuridico di hostis cfr. Varrone, l. l.
V 33 «Ut nostri augures publici disserunt, agrorum sunt genera quinque : Roma-
nus, Gabinus, peregrinus, hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab
Rom<ul>o; Gabinus ab oppido Gabi<i>s; peregrinus ager pacatus, qui extra Roma-
num et Gabinum, quod uno modo in his serv<a>ntur auspicia; dictus peregrinus a
pergendo, id est a progrediendo : eo enim ex agro Romano primum progredieban-
tur : quocirca Gabinus quoque peregrinus, sed quod auspicia habet singularia, ab
reliquo discretus; hosticus dictus ab hostibus; incertus is, qui de his quattuor qui
sit ignoratur».
Questo passo di Varrone sembra smentire l’assimilazione dello hostis al pe-
regrinus; non è così o, meglio, è la riprova che il valore attuale di hostis ‘nemico’
rendeva disagevole una spiegazione : la riprova è nel modo di spiegare le partico-
larità dell’ager Gabinus che è peregrinus ma ha una sua specificità rimasta nel di-
ritto augurale ma che Varrone constata e non spiega. La specificità dell’ager Gabi-
nus costituisce un punto fondamentale per i rapporti Gabii – Roma (tematica Pe-

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 137

mente non può essere un *hosticapatos in quanto sarebbe *captos e


il valore sarebbe ‘captus’, appunto, e non ‘captor’. Mettere in dubbio
la glossa non è di buon metodo, specialmente considerando che un
-capas = *captus non sarebbe mai stato interpretato come un ‘cap-
tor’, da Verrio Flacco o sue fonti : hosticapas doveva significare ‘ho-
stium captor’. O con semicità istituzionale da rivedere/ricostruire
(appresso) : non ‘catturatore’ ma ‘ricettore’ di hosti-.
Un rilievo : come mai -capas e non -cipas come in accipio, conci-
pio (< ad-, con-capio), e come in paricidas entro la lex di Numa? Po-
trebbe esserci una ragione scrittoria : hosticapas non ha seguito la
fonetica della lingua in atto perché portato e fissato da fonti scritte
anteriori a *-cap- > -cip-; è possibile anche una più semplice inter-
pretazione inserendo la forma nei quadri- o pentasillabi tipo patefa-
cio che non danno *pateficio per quanto qui -ĕ- sia da -ē- per correp-
tio iambica da *pătēfacio, in quanto precedente a -facio > -ficio128,
per cui patĕfacio ha la stessa configurazione di un *hosticapio > ho-
sticapas; tuttavia, visto che *paricaida(s) che ha la stessa configura-
zione dà par(r)icida, si deve porre, come minimo, che sulla tradizio-
ne della forma ha influito la diversa vitalità delle forme nell’evolve-
re : paricida(s) è continuato dal vitale parricida, hosticapas è
conservato in una glossa.
Un hosticapas ‘catturatore di nemici’ dà poco senso, e forse è an-
che per questo che la testimonianza è sottovalutata, se non lasciata
del tutto da parte. Ma hostis ha primariamente il valore di ‘stranie-
ro’ : la comparazione lo testimonia : per tutti Gast del tedesco; cfr. i
dizionari etimologici classici, Walde-Hofmann ed Ernout-Meillet
s.vv. hostis e hospes.

Gli ambiti indeuropei ivi dati sono ora da ampliare, tramite l’onomasti-
ca, al venetico (nel composto Hostihavos di un ciottolone patavino : cfr.
G. B. Pellegrini-A. L. Prosdocimi, La lingua venetica, Padova-Firenze 1967,
voI I ad Pa 7 e vol. II s.v.) e a una sezione del gallico, il leponzio (Uvamoko-

ruzzi) e di ciò tratto in altra sede; qui è pertinente il fatto che peregrinus copre
varie realtà come ‘generico’ : da una parte l’ager Gabinus, detto esplicitamente,
dall’altra l’ager hosticus non detto esplicitamente ma implicito in quanto si dice
altrove sul valore di hostis come ‘straniero’ e ‘peregrinus’. Su hostis v. A. L. Pro-
sdocimi Etnici e ‘nome’ nelle Tavole Iguvine, in Gli Umbri del Tevere, Annali della
fondazione per il Museo «Claudio Faina» VIII, Orvieto 2001, p. 31-77 ora ripreso
in TI II cap. 7. Per il frammento augurale TI III cap. ‘Auspicio’ e IV ‘Auspicio ro-
mano’.
128
La correptio si applica su accento fisso sulla penultima prima del suo ar-
retramento sulla prima. Una prima formulazione è in Prosdocimi 1986 Accento; il
nucleo resta ma, insieme a correzioni, ho individuato espansioni ed implicazioni;
non ho ancora avuto il tempo di stendere la nuova versione; ne ho anticipato al-
cuni punti in 1992-94 Latino (e) italico; 1996 Cures; 1995 Filoni indeuropei.

.
138 ALDO PROSDOCIMI

zis nell’iscrizione di Prestino : cfr. A. L. Prosdocimi, L’iscrizione di Prestino,


in SE, XXV, 1968, 199-222; L’iscrizione leponzia di Prestino : vent’anni dopo,
in Zeitschrift für celtiche Philologie 41, 1986, 225-250; Note sul celtico in Ita-
lia, in SE, LVII, 1991, 139-177).
È evidente che *ghosti- come fonte onomastica di nomi non composti
non può significare ‘nemico’, anzi la prospettiva va invertita : ‘nemico’ è una
innovazione del latino e relativamente tarda; la semantica originaria perti-
nente è ancora conservata nel denominativo hostire e redhostire, Festo 91,
416 L (cit. in testo); ne tratterò altrove anche a proposito di hostia come
strumento della ‘aequatio = pax deorum’. Per hostis e hostire per ora v. Ben-
veniste 1969 Vocabulaire, I, 69. In questa luce va rivisto il composto venetico
hostihavos già ‘tradotto’ – tramite la radice *ghow- – come ‘chi evoca il nemi-
co’, mentre tramite hostis ‘straniero’ va inteso come ‘colui che dice = garanti-
sce lo straniero’; così uvamokozis leponzio < *upomo-ghosti- sarà ‘colui che
ha lo straniero sopra tutto’ (*upomo- come ‘summus’), o ‘che sta sopra lo
straniero’ = ‘ne è garante’ [sul tema v. ora Patrizia Solinas in stampa].
Il venetico e il leponzio, col latino, riportano l’istituto a data indeuropea
comune in un senso nuovo rispetto al tipo hospet- : l’istituto esprime la tute-
la dello straniero in modi diversi da *ghostipe/oti- e ciò significa radicamen-
to e vitalità dell’istituto, premessa alla sua espressione in moduli variati; se
poi *ghosti- in quanto ristretto al celtico d’Italia (cosiddetto ‘leponzio’) è una
irradiazione dal venetico, ciò potrebbe rientrare nei particolari legami che
uniscono venetico e latino (cfr. Prosdocimi in G. Fogolari-A. L. Prosdocimi,
I Veneti Antichi. Lingua e cultura, Padova 1987).
La dottrina dello hostis ‘straniero’ è ben attestata, direttamente e indi-
rettamente : Festo 414-416 L «Status dies <cum hoste> vocatur qui iudici,
causa est constitutus cum peregrino; eius enim generis ab antiquis hostes
appellabantur, quod erant pari iure cum populo Romano, atque hostire po-
nebatur pro aequare. Plautus in Curculione (5) ‘Si status condictus cum ho-
ste intercedit dies, tamen est eundum, qua imperant, ingratis’».
Un esempio indiretto : hostis con valore ‘straniero’ doveva essere anche
nella formula del lictor «Exesto, extra esto. Sic enim lictor in quibusdam sa-
cris clamitabat : hostis, vinctus, mulier, virgo exesto; scilicet interesse prohibe-
batur» (Paolo 72 L). Qui il valore di hostis doveva essere ‘straniero’ perché è
omogeneo con la logica della legge che concerne le categorie di ‘romani’, o a
romani assimilati, che non dovevano essere presenti a determinate cerimo-
nie, ed è impensabile che vi potesse essere uno straniero-nemico; eventual-
mente, se ci fosse stato, questo entrava nella categoria del ‘vinctus’ in quanto
non avrebbe potuto esserci che in questa condizione che, peraltro, doveva ri-
guardare essenzialmente un cittadino romano, vinctus, per esempio, come
nella perduellio della lex horrendi carminis.
Varrone, 1.1. VII 49 : «Apud Ennium : ‘Quin inde invitis sumpserunt per-
duellibus’. Perduelles dicuntur hostes; ut perfecit, sic perduellis, <a per> et
duellum : id postea bellum. Ab eadem causa facta Duellona Bellona».
Festo 91 L «Hostis apud antiquos peregrinus dicebatur, et qui nunc ho-
stis, perduellio».
Char. 211, 18K. «Perduellio per quam duellio et plus quam hostis».
Interessa particolarmente il rapporto con perduellis/perduellio per due

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 139

ragioni correlate : perduellis/ion-129 nasce in un ambito istituzionale in cui


l’autore di un gravissimo – poi il massimo – crimine di stato è collegato alla
guerra, cioè nella situazione in cui una comunità si confronta con un’altra e
dà l’occasione di individuare un crimine di stato, contro il massimo crimine
‘interno’ che è il parricidium; perduellis/perduellion- viene eliminato per esse-
re sostituito da hostis, ormai ‘hostis-nemico’ derivato semanticamente da
‘hostis-straniero’ : è il segno linguistico della evoluzione istituzionale.
Tornando a hosticapas come ‘ricettore di stranieri (in patria)’ e non co-
me ‘catturatore di nemici’ è significativo che la glossa di Paolo (91 L) sia cin-
que lemmi dopo il lemma «Hostis apud antiquos peregrinus dicebatur» etc.
Peregrinus, dato qui e altrove, va ulteriormente precisato tra ‘straniero di pa-
ri diritto’ (come presuppone hostire ripreso da Benveniste) e ‘straniero’ gene-
rico, che è già una banalizzazione e un avvio al valore ‘nemico’ : la distinzio-
ne tra hostis ‘straniero’ e peregrinus è implicita dalla dottrina augurale : Var-
rone, l.l. V 33 cit. sopra. Naturalmente, per un ager in cui si auspica, hosticus
è di hostis ‘straniero’ e non ‘nemico’, e nel testo in cui concorrono hostis è di-
stinto da peregrinus.
hosticapas ‘colui che accoglie lo straniero’ viene a significare lo stesso di
hospes che dà lo hospitium, distinto in pubblico e privato; non ho competenza
per entrare nell’aspetto giuridico per cui rimando a P. Catalano, Linee del si-
stema sovrannazionale romano, I (Torino 1965), spec. 192 (bibliografia alle no-
te 2-3); su peregrinus e hostis come ‘stranieri’ eventualmente distinti ho detto.
Per quanto concerne hospes che continua nello hospitium, istituto vitale in
epoca storica, mi permetto di porre un aspetto di lingua che, rispetto ad hosti-
capas, può implicare fatti sostanziali. Hospet- alla base di hospitium è parola
ereditaria, comunque precedente alla creazione di hosticapas che possiamo
porre all’VIII a.C.; al VIII a.C. hospet- significava già ‘signore dello hostis – stra-
niero’ e come tale presupponeva un istituto corrispondente relativo all’ambito
‘politico’ in cui lo hostis entrava come tale; ed è a priori ovvio che l’ambito e le
condizioni politiche di ante VIII a.C. non erano le stesse dell’epoca storica, da
cui è parimenti ovvia una evoluzione correlata. Ma nella evoluzione c’è la con-
tinuità posta dal termine hospet- che, rispetto a hosticapas, è et prima et dopo,
quindi anche durante = coesistente, con una configurazione :
1o fase (ante VIII a.C.) hospet- Ø

2o fase (± VIII-VII a.C.) hospet- – hosticapas


3o fase (post VI a.C.) hospet- Ø
hospitium

129
perduellis ‘nemico’ è un bahuvrihi in -ı̆- da *per-duello- con duellum antico
per bellum (Walde-Hofmann I 100 s. v.; Ernout-Meillet s. v.) fatto come inermis <
*en-arm(a)-i-; perduellion- femminile ne è derivato tramite -ōn ed è l’unico vitale
nel crimine perduellio; è però attestato perduellion- come equivalente di perduellis
(citazioni in Lindsay, Glossaria IV 176 ad Paolo 58). L’omomorfia tra perduellion-
= perduellis o perduellio astratto pone dei problemi a mia conoscenza non solo
non risolti ma, prima, non correttamente inquadrati; a monte va riconsiderata
l’etimologia di bellum < duellum tra forma e contenuto (con evoluzione!). Ai no-
stri fini è sufficiente il valore di ‘contendente > nemico’ precedente ‘hostis’.

.
140 ALDO PROSDOCIMI

È la stessa configurazione di parricida rispetto a paricidas (§ 2.7.2); ciò,


oltre a confermare la solidarietà delle forme in -as, le relega ad un determi-
nato momento istituzionale che – almeno dalla diacronia delle forme lingui-
stiche – non appare come evoluzione ma come alternativo a quello prece-
dente che sopravvive e rispunta nella fase che sarà poi ‘storica’.

Hostius Hostilius ha tutta l’aria di una creazione di formula bi-


nomia partendo da Hostius, allora quale simplex nomen è parlante :
non insisto su questo, quanto su alcune coincidenze che mi hanno
da sempre incuriosito e che qui, senza ricorsi bibliografici, sviluppe-
rò solo per quello che può aggiungersi a quanto detto sopra sui nomi
di Romulus e Titus Tatius. Sia Romolo che Tito Tazio sono presenti
ma entrambi hanno un comandante delle truppe diverso da loro,
Mettius Curtius per i Sabini e Hostius Hostilius per i Romani. Della
biografia di Mettius Curtius non sappiamo (o io non so), ma di Ho-
stius Hostilius sappiamo, da fonti diverse da Livio, che duplica le
azioni di Romolo ed ha una sposa che ha lo stesso nome della sposa
sabina di Romolo 130 : si sono tentate varie spiegazioni, ma una ipote-
si, se si vuole ingenua ma legittima, è che Romulus – il cui nome de-
riva da Roma sua fondazione e che, pertanto, non può essere il no-
me di Roma prima della fondazione di Roma (v. qui Appendice n. 1)
– avesse un altro nome, allora, Hostius (Hostilius?). Nella logica di
questa ipotesi, anche per quanto proposto sopra per il prenome Tito-
di Titus Tatius, si potrebbe porre che Tito- (Tatio-) fosse un nome di
funzione, cognominazione parallela a Romulus e che il suo nome
‘anagrafico’ fosse Mettius Curtius; in ogni caso questa seconda ipote-
si non ha la cogenza di quello che si intravede nel rapporto Roma-
Romulus che, per logica interna, non può essere il nome anagrafico
di lui, Romolo, fondatore di Roma perché Romulus presuppone Ro-
ma quale nome ‘politico’, nota 50 [qui ‘Appendice’ n. 1 e ‘Roma’
2007/8]. L’antiquaria è confluita in (Verrio Flacco →) Festo
(326-9L) : sul nome di Roma dibatte, da varie fonti, la derivazione
non da Romulus ma da Romus/Rhomus. Il terzo re di Roma è Tullus
Hostilius : «Inde Tullum Hostilium, nepotem Hostilii [corsivo mio],
cuius in infima arce clara pugna adversus Sabinos fuerat, regem po-
pulus iussit; patres auctores facti. Hic non solum proximo regi dissi-
milis sed ferocior etiam quam Romulus fuit»; dopo, nella guerra
con Alba, ci sono due reges, rispettivamente Tullus Hostilius e Gaius
Cluilius, che muore (o è fatto morire) per cui «dictatorem Albani
Mettium Fufetium creant» : di nuovo, un Hostilius contro un Met-
tius (Liv. I 22-23).

130
Peruzzi, Origini di Roma I, cit., p. 52-54.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 141

Segue (Liv. I 24) la ‘storia’ degli Horatii e Curiatii che, a mio avviso, è
una storia interna a Roma perché solo così si spiega (Liv. I, 24, 1-2) «Forte in
duobus tum exercitibus eran trigemini fratres, nec aetate nec uiribus dispares.
Horatios Curiatiosque fuisse satis constat, nec ferme res antiqua alia est nobi-
lior; tamen in re tam clara nominum error manet, utrius populi Horatii, utrius
Curiatii fuerint».
Vi sono altre ragioni per pensare che gli Horatii e i Curiatii fossero en-
trambi all’interno di Roma131 così come all’interno di Roma si era svolta la
battaglia fra Romulus e Hostius Hostilius da una parte e, dall’altra, Titus Ta-
tius e Mettius Curtius; tuttavia lasciamo questo fatto come una constatazio-
ne che si aggiunge ad altro che vedremo, qui segnaliamo che sono da ripren-
dere : la dimorfia Mettius e Mettus corrispondente alla dimorfia Hostius e
Hostus (qui con la priorità certa di Hostius : < * hosti-jo- : sopra; la geminata
di Mettius che potrebbe essere un tratto italico visto che (più tardivamente)
in osco-sannita c’è -CCiV- il che confermerebbe la priorità di -tius- su -tus.
La grafia e la morfonologia del genit. Metioeo Fufetioeo in Ennio meritereb-
bero un discorso a parte, specialmente per la morfonologia del genitivo dei
temi -o-/-(e)jo-.

Nella sequenza dei re di Roma ci sono almeno due aspetti che da


sempre mi hanno incuriosito, certamente già oggetto di attenzione e
spiegazione da altri, specialmente storici, e che propongo ingenua-
mente e senza approfondimenti. Primo : la media statistica – non
cronologia vulgata ma non da essa lontana – della durata di ciascun
re è di + 35 anni : 35 × 7 = 245 che ab urbe condita danno il seguente
computo : 754 (/3) – 245 = 509, una delle date della cacciata dei reges.
Secondo : la sequenza dei reges è parentale con un salto di un rex –
maggiore di una generazione tenendo conto della media statistica di
35 anni posta sopra – fra Numa e Anco, Tarquinio e Tarquinio; se vi
si immette Hostius Hostilius c’è sequenza parentale anche per Tullus
che, come è detto da Livio, è ‘Hostilii nepos’ specificando che Hostius
è il comandante generale di Romolo : in questo per la formula ono-
mastica tra simplex nomen e formula binomia (su cui sopra specifi-
camente per Hostius Hostı̄lius) potrebbe essere significativo che in-
vece del prenome Hostius o della formula binomia sia dato il nomen
e, al posto del praenomen, per indicare Tullus Hostilius sia data una
perifrasi ‘Hostilii nepos’; questa designazione è, nella teoria logica del
nome proprio, una ‘descrizione finita’132 per sostituire l’‘individuato-
re’ praenomen Hostius : è ipotizzabile una traccia residuale per cui
Hostius Hostilius aveva ancora (giuridicamente) il simplex nomen
Hostius, poi restituito o ricavato secondo la formula binomia, quale
Hostius Hostilius? È possibile che Hostilii di Livio, individualizzato

131
Di ciò tratto in A. L. Prosdocimi, Populus Quiritium Quirites III, in stam-
pa; v. anche TI II-III, pure in stampa.
132
Prosdocimi, Appunti per una teoria del nome proprio, cit., ora in 2004
SIES I.

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142 ALDO PROSDOCIMI

dalla ‘descrizione finita’ invece che dal prenomen, sia un mezzo (di
Livio o di sua fonte) per conciliare una fonte che portava solo Ho-
stius? Può essere un elemento del dossier, aperto sopra, tra Romulus
e Hostius Hostilius? Qui mi arresto, perché si entra troppo nella sto-
ria-Geschichte che non mi pertiene, mentre ha qualche pertinenza
con le mie competenze sulla storia-Erzählung, e il nome proprio è in-
dicatore di storia-Geschichte divenuta storia-Erzählung; in questa il
nome proprio, oltre che essere parte della storia o di una storia, quale
contenuto ha più, o esclusivamente, la storia divenuta Erzählung che
la storia già stata Geschichte : è una tematica che andrebbe appro-
fondita in generale, ma che si ripresenta ogni volta per casi specifici
come è la ‘storicità’ dei personaggi della Tomba François133.

5. MINIMA. LA ‘FORMA’ DELLA ‘FORMULA’ ONOMASTICA ;


LA SEQUENZA SINTATTICA

La figura etimologica ‘forma di una formula’ può essere ridicola,


ma non è un vezzo retorico perché, a mio avviso, è stata posta atten-
zione più alle peculiarità delle singole aree socioculturali che non al
quadro generale nel manifestarsi lessicale e morfosintattico, quali
l’assenza ∼ presenza dei termini di parentela, in particolare ma non
esclusivamente il termine per ‘figlio’ e/o l’uso dell’aggettivo o del ge-
nitivo; di questo, per il venetico, v. in questi Atti la relazione di Anna
Marinetti.
Un altro aspetto, per lo più scontato, è la struttura sintattica che
è del tipo Numa Pompilius e non *Pompilius Numa. È cosa nota che
il latino è una lingua in cui il determinante precede il determinato,
come è il tipo senatus consultum; da una quarantina d’anni – a parti-
re da un lavoro tipologico di J. Greenberg (1963) poi sviluppato dal-
lo stesso e da altri nelle più svariate forme e inquadrato in dottrine
e/o teorie diverse – questo giro è stato inserito in un quadro più ge-
nerale di tipologia sintattica per cui la precedenza del determinante
è la normalità per le lingue cosiddette S(oggetto) O(ggetto) V(erbo)
o anche (S)OV. Le lingue romanze tra cui l’italiano sono del tipo (S)
VO ed è questione aperta il come, il perché, il quando ciò sia av-
venuto, ma l’unico punto che qui interessa è il quando tra latino let-

133
Su ciò ho trattato in una relazione (A. L. Prosdocimi, Icone e nomi propri
come segni. Note sulla Tomba François) al XXIII Convegno di Studi Etruschi ed
Italici «Dinamiche di sviluppo delle città nell’Etruria meridionale : Veio, Caere,
Tarquinia, Vulci» (1-6 ottobre 2001); per varie ragioni – non ultima le dimensioni
assunte dal testo scritto – la relazione non entra negli Atti del Convegno, ma sarà
pubblicata come volume a parte. Avevo trattato della ‘Geschichte-Erzählung’ nel-
la tomba François a Perugia nel corso di Etruscologia dell’Università per stranie-
ri, luglio 1995; ho ripreso il tema nella stessa sede, per le lezioni di luglio 2007.

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 143

terario e latino non letterario. Io appartengo alla minoranza che ri-


tiene che il ‘quando’ sia antico ma, comunque, non tanto antico da
arrivare all’epoca della formazione della formula binomia (ante
quem al ± 700 a.C.); di conseguenza si pone la domanda : perché
Numa Pompilius e non +Pompilius Numa? La questione di questa se-
quenzialità si pone per altre lingue indeuropee d’Italia : italico, ve-
netico, leponzio tutte (ancora) (S)OV, con punta nell’umbro che ha
come normali posposizioni tipiche di (S)OV134. La peculiarità deve
derivare dallo status onomastico per cui la sequenza non è quella
della lingua, ma questa è una constatazione e non una spiegazione
anche se ne può essere un avvio. Prima approssimazione : Numa
Pompilius è un individuo, Numa, che ha come pater +Pomp(i)os, cioè
fa parte della sua familia, oppure, da altra prospettiva, fa parte della
gens Pompilia. Un *Pompilius Numa sarebbe un Numa che ha la qua-
lità di essere Pompilius, non come appartenenza ma come inerenza;
in altre parole è una questione di predicazione, cioè di tema e rema
(in altra dizione equipollente), comunque da rapportare all’onoma-
stica quale designazione di individuo, e non restrittivamente ad ono-
mastica propria né alla sola antroponimia, perché c’è il tipo tota
iiouina, ocar fisi(o) a Gubbio, nomen latinum ma anche latinum no-
men, Fabium nomen a Roma; a Gubbio nomen è del tipo naharcum
nome contro il tipo tota iiouina, a Roma respublica Romana/Roma-
norum, senatus populusque Romanorum etc.; in venetico accanto al-
l’antroponimia col tipo Voltiomno- Voltiomnio- si ha la sequenza (pl.
acc.?) Termonios deivos etc.. Da quanto visto appare che la semplici-
tà della prima risposta per l’antroponimia tipo Numa Pompilius è
giustificata ma non completa per la stessa formula che il tipo M(ar-
ci) f(ilius) secondo la normale sequenza senatus consultum. Un ele-
mento per il quadro può essere quanto ho scritto per la posizione
della qualifica safino- nelle iscrizioni sudpicene da Penna S. An-
drea135 : ... vengo alla presenza di safino – nelle iscrizioni di Penna
S. Andrea da un punto di vista particolare, e cioè il ‘senso’ di questa
presenza che deve essere pregnante perché nelle iscrizioni sudpice-
ne si ha solo a Penna, ed è concentrato in una classe di monumenti
omogenea, con almeno una occorrenza sintattica anomala, safinas
tútas.

134
TI IV ‘Grammatica’, in stampa. Ivi anche la sequenzialità onomastica
vol. II § 7, anticipato in Etnici e ‘nome’ nelle Tavole Iguvine, in Gli Umbri del Teve-
re, Annali della fondazione per il Museo «Claudio Faina» VIII, Orvieto 2001,
p. 31-77.
135
Riprendo qui quanto detto in A. L. Prosdocimi, Gli etnici, in Piceni popolo
d’Europa (Catalogo della Mostra), Roma, 1999, p. 13-18.

.
144 ALDO PROSDOCIMI

Dalle occorrenze (...) risulta :


1) a) safinús, nominativo plurale come etnico ‘Safini’ (TE.5)
b) safinúm nerf ‘dei Safini i nerf = principes (vel similia)’(TE.6) : lo
stesso etnico in un modulo ‘ideologizzato’
2) a) meitims safinas tútas (TE.7); meitims è termine istituzionale con-
notato come ideologizzato, qualcosa come ‘pilastro/colonna/cippo di riferi-
mento’ (vel similia) della safina toúta. Qui l’etnico qualifica la ‘comunità, po-
lis’ in una posizione inusuale rispetto alla normalità : tota iouina, tata tarsi-
nate ecc. ‘tota iguvina = Gubbio’, ‘tota tadinate = Tadino’; la funzione è
quindi diversa : non è il nome specifico della toúta ‘polis (vel sim.)’, ma la
qualifica della toúta come ‘safina = dei Safini’. È un modulo sintattico equi-
valente a safinúm nerf ‘dei Safini i nerf’ con la covariazione obbligata per i
nerf che non sono semplicemente ‘safini nerf’ ma ‘dei Safini i nerf’; per la tota
lo stesso si esprime variando la sintassi : safina túta e non *túta safina signi-
fica necessariamente *safinúm túta ‘safina = dei Safini la túta’. túta ha valore
autonomo e centrale; ciò è confermato da
b) alíntiom okreí safina[ / ]nips toúta tefeí (TE.7) : okreí, locativo o da-
tivo se maschile, è da solo, o specificato da alíntiom che precede; in ogni ca-
so safina[ femminile – quale che ne sia l’integrazione – non gli può essere ri-
ferito; ma, se come è verosimile, è da integrare [toúta], si ha la coppia istitu-
zionale panitalica ocri-touta, a un dipresso ‘arx + civitas’, per indicare la
‘polis’ (sopra e nota 7). Tutto ciò è centrale in sé, e lo è stato storiografica-
mente per individuare questa struttura ideologica, ma qui è rilevante il fatto
che la simmetria con okreí richiede una integrazione che importa lo stesso
caso (poniamo una *safina[í toútaí]), quindi con esclusione di un nominati-
vo; ciò esclude la possibilità che questo safina[ sia da congiungere a toúta
successivo, nominativo (comunque per la morfologia non sarebbe simmetri-
ca a okreí); lo stacco era comunque richiesto a priori dall’inserzione di ]nips,
e questo oggettivamente malgrado le diverse eventualità di collocazione del-
la sequenza nella restituzione del testo di cui TE.7 è un frammento. Questo
importa :
c) nel frammento ]nips toúta tefeí, toúta è designazione autonoma,
che non ha bisogno – come sarebbe normale – di qualificazione : qui indica
la toúta. La significatività (‘Bedeutsamkeit’) di questo è assoluta, anche se si
invocasse il fatto che la omissione di safina è permessa dal contesto per cui
l’omissione della qualifica sarebbe meno o per nulla significativa; non è così,
e la significatività è piena perché la premessa della omissione del nome per
contestualità non esiste, in quanto safina túta, come si è visto, non è un no-
me allo stesso titolo di tota iouina. Più ancora : la giunzione tra la sintassi di
safinas tútas e toúta da sola senz’altra qualifica conferma in modo incrociato
la centralità e autonomia designativa di toúta; se si vuole invocare una con-
testualità è quella di respublica o, forse meglio, di urbs detto in Roma o in
contesto romano.
Quanto detto porta a conclusioni di tale portata per cui ho piena co-
scienza di necessità di ripensamenti e riprove, ma non in tutto e non allo
stesso grado : la gradualità della riprova e del dubbio metodico è diretta-
mente proporzionale all’allargarsi e allontanarsi per qualità e quantità dei

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 145

dati che qui abbiamo considerato, dichiaratamente selezionati ed esemplifi-


cativi. Mi attengo ai punti centrali.

I. safino- è etnico a valore ideologico prima che politico, almeno qui :


questa restrizione (che ritornerà) è essenziale perché deve fare ripensare,
rivedere, riconsiderare il complesso Penna S.Andrea secondo una archeolo-
gia a tutto tondo : a partire dalla funzionalità delle stele, cioè al loro conte-
sto, ivi compreso un accertamento cronologico; ciò anche in considerazio-
ne che
II. Anche touta da come appare nei testi ha una connotazione ideologi-
ca, per cui diventa essenziale verificare quanto ‘contenuto materiale’ vi sia
nel ‘contenente ideologico’ espresso dalla touta che è safina come ‘dei Safini’
e non come nome proprio tipo tota iouina; ciò in relazione a
III. Il nome dei Praetutii è evidentemente derivato da un parasinteto
*prai touta ‘davanti alla touta’. Ometto qui alcuni aspetti morfonologici – sa-
rebbero interessanti anche per altri riguardi – perché la struttura mi pare
evidente; altrettanto mi pare evidente che un etnico così formato presuppon-
ga una touta per eccellenza cui riferirsi : non una touta, ma la touta; e ciò in
netto contrasto con i Marrucini che derivano l’etnico da una touta, e di con-
seguenza dalla sua denominazione, Marouca, non dalla touta quale riferi-
mento per eccellenza, come touta in sé, ed esclusivo.
Mi rendo conto che per la derivazione di Praetutii da touta vi è sempre
il discorso della contestualità, per cui ogni centro rilevante è il centro per il
contesto prossimo, e pertanto è riferimento sufficientemente indicativo : è il
tipo toponimico dei vari Castro, Mercato, Civita ecc.; ma da questa tipologia
al fornire la base per un etnico ci corre, per qualità e quantità. È per questo
che avverto la necessità di riprendere (in altra sede) tutto quanto concerne
Praetutii, Praetutianus ager e questioni collegate in funzione di questa pro-
spettiva, e cioè, per esempio, la consistenza preaugustea dei Praetutii come
territorio, identità ecc. Con la coscienza di questi desiderata, è legittimo por-
re come ipotesi che Praetutii non sia l’etnico riferito ad una touta qualsiasi,
ma sia l’etnico riferito ad una touta specifica, la touta, perché è safina túta,
cioè la touta di cui si parla nelle iscrizioni di Penna S.Andrea nel modo in
cui se ne parla».

Non so se ho ragione nell’identificare in questo modo la tou-


ta ‘comunità’ che ha dato il nome ai Praetutii ma certo alla base
dell’argomento è la sequenzialità di safino- rispetto a touta-, e
questo resta, in contrasto con la sequenza del tipo tota iiouina :
una ragione in più per riflettere su un quadro in cui sono da
comporre i tratti portanti delle sequenze onomastiche o para-
onomastiche.

Aldo PROSDOCIMI

.
146 ALDO PROSDOCIMI

APPENDICE – 2008

Il Convegno si è svolto in un’atmosfera e accoglienza impeccabili, grazie


alle forze congiunte degli ospiti (lat. hospes), l’École française de Rome e
l’Institutum Romanum Finlandiae, in sinergia con l’organizzatore scientifi-
co, il collega ed amico Paolo Poccetti.
Ho tenuto la mia relazione basandomi su una scaletta, appunti e mate-
riali già stesi, per questa o altre occasioni. Mi è stato richiesto il testo tempo
dopo, purtroppo in un momento per me difficile e, sia pure in ritardo, ho
presentato un testo non raffazzonato ma affrettato. Poi non ne ho saputo
più nulla fino alla fine del 2007, in cui mi si preannunciavano le prime boz-
ze, poi pervenute all’inizio del 2008.
Nel frattempo, ad aprile 2007, si è tenuto a Roma il Convegno «L’ono-
mastica di Roma. Ventotto secoli di nomi», organizzato da Paolo Poccetti,
Sergio Raffaelli, Enzo Caffarelli, Francesca Chiusaroli, Francesca Dragotto
(ora citato come Roma 2007/8). Il Convegno partiva da un progetto del Di-
partimento di Antichità e Tradizione Classica dell’Università di Roma Tor
Vergata, ove nasce un Laboratorio Internazionale di Onomastica. Come si
vede dalle relazioni previste nel programma – per lo più, se non tutte, rego-
larmente svolte – il tema è generale e quindi con valore programmatico, per
una diacronia che riporta ad una acronia volta a fini di teoria e metodologia.
Ciò detto, le prime relazioni del Convegno (C. De Simone, Il nome di Romo-
lo : problemi attuali; A. L. Prosdocimi, Sull’onomastica di Roma ‘palatina’;
H. Solin, Nomi greci nel mondo romano; P. Poccetti, Toponimi dell’Italia an-
tica a Roma, toponimi di Roma nell’Italia antica; G. Ferri, Il nome segreto di
Roma) entrano nell’ambito di questa (precedente : 2002!) relazione; in parti-
colare la relazione di Carlo De Simone e, ovviamente, la mia che, in quanto
incentrata sullo stesso tema, riprendeva summatim il testo del 2002 →
2003/4 che all’epoca (aprile 2007) non solo era inedito, ma di cui non avevo
più notizie sull’eventuale esito a stampa.
Per quanto concerne il legame tra la mia relazione del 2002 e quella del
2007 (Roma 2007/8) rimando alla seconda, che si fonda sulla prima. La ri-
presa, pressoché in contemporanea, dell’arrivo e correzione di bozze della
prima (2002 → 2008) e della stesura della seconda (2007 → 2008) mi ha por-
tato a rivedere in più punti la prima relazione; di questo darò ragione dopo
aver considerato un tema che era già nella relazione del 2002, che considera-
va il nome e la configurazione storica di Romulus, in sé e rispetto al nome di
Roma.

[1] ‘Romulus-nome’ e ‘Romulus-cosa’ : Individuo → Individuo storico

Nel 2002 avevo considerato il ‘nome’ e la ‘cosa’ Romulus sotto due


aspetti o, meglio, ne avevo trattato separatamente : l’aspetto formale, Romu-
lus da Roma come -a-lo->* -ĕ-lo- > -u-lo- e come Romulus di ± metà VIII a.Cr,
che è il personaggio cui la storiografia antica e moderna come ‘storia/storie’
ha attribuito l’attribuibile, ma della cui identità onomastica soprastante non
ha mai dubitato. Romulus non può essere disgiunto da (il nome di) Roma, e

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 147

su Roma quale toponimo avevo già scritto, tra una semplice (micro)toponi-
mia e una toponimia giuridica (A. L. Prosdocimi, Populus Quiritium Quiri-
tes. I, «Eutopia» 1995-IV,1 (= Atti del Convegno «Nomen Latinum. Latini e
Romani prima di Annibale», Roma 24-26 ottobre 1995), p. 15-71).
Nella relazione del 2002 avevo considerato «-lo- quale formante di ono-
mastica» (§ 2 p. 84 sgg.), -lo- (e -la) quale derivativo non diminutivo (§ 2.2.3
p. 97-98) e il rapporto con un personaggio ‘storico’ sottostante. (§ 3.1.2
p. 118-119 e § 4.3 alla fine p. 140-141). Non avevo trattato direttamente il
nome Romulus per non appesantire ulteriormente il testo, e perché non c’e-
rano motivazioni adeguate alle trattazioni più recenti dovute all’operosità di
C. De Simone : in particolare Il nome di Romolo in Roma 2000, p. 31-37, in
contesto con A. Carandini, Variazioni sul tema di Romolo. Riflessioni dopo
La nascita di Roma (1998-1999), in Roma 2000 p. 95-150 [Roma 2000 corri-
sponde alla curatela (A. Carandini-R. Cappelli) di Roma, Romolo, Remo e la
fondazione della città, Catalogo della Mostra, Milano, 2000.] Non avevo preso
sul serio il discorso di De Simone (sparso anche in altri lavori), fino a che
A.Carandini non l’ha accolto in un articolo derivato dai lavori precedenti nel
volume La leggenda di Roma I, 2006 (Fondazione Lorenzo Valla).
Il titolo del contributo («Appendice I», p. 455-468) è I nomi di Romolo e
Remo come etruschi. La sede di prestigio e, soprattutto, la funzione che do-
veva avere nell’economia di un’opera inserita in una serie di fonti mi portava
a riprendere la problematica del nome Romulus : l’avrei proposta in questa
Appendice, se nel frattempo nel Convegno del 2007 (sopra) De Simone non
avesse riproposto lo stesso tema. Di conseguenza ho ritenuto opportuno di
rimandare alla relazione del 2007 quanto, per cortesia ed ospitalità, avevo
pretermesso nell’occasione; ivi peraltro avevo avanzato le mie riserve – me-
glio, dissenso totale – sull’interpretazione ‘storica’ e, prima, sull’attribuzione
linguistica di De Simone. Poiché non posso prevedere la circolazione che
avrà il testo del Convegno del 2007 (Roma 2007/8), anticipo qui alcuni punti
che sono ivi svolti molto più ampiamente. Detti punti sono implicati e/o in
sintonia con quanto già detto e scritto nel 2002 (→ 2003/4 e prima) per -lo- di
latino-romano Romulus e di quanto vi afferisce.
1) -lo- è latino-romano. L’attribuzione primaria all’etrusco di Orvieto
(De Simone) è un hysteron proteron per il ‘fondatore’ di Roma; più ancora :
per quel che se ne sa della morfologia derivazionale etrusca, tra forma e se-
micità in sé e rispetto al latino-romano, è un obscurum per obscurius (v. an-
che punto 4).
2) Il nome di Romolo in sé e rispetto a Roma è un problema già per gli
antichi, ma è un problema centrale come prova la voce di Festo «Romam...»
(326-330L), epitomata dall’originale (perduto) del de significatione (/signifi-
cationibus) verborum di Verrio Flacco. A mia conoscenza, è la voce in asso-
luto più lunga (e tormentata) del compendio di Festo, il che riflette verosi-
milmente lo status della voce in Verrio (ridotta, come si addirebbe ad un’epi-
tome?).
3) Un *Rumele etrusco (De Simone) trasposto in latino-romano come
*Romelos > Romulus, quindi con etrusco ru- > romano ro- puramente foneti-
co, oltre ad un preteso ma indebito hysteron proteron fra etrusco e romano,
-mele > *-melos > mulus morfonologico pare escluso dalla voce immediata-
mente precedente nell’epitome di Festo (e in Verrio? o forse era conglobata

.
148 ALDO PROSDOCIMI

in una grande ‘voce’ onnicomprensiva? ciò non toglie valore alla testimo-
nianza, a maggior ragione se era entro la voce «Roma» nell’originale verria-
no) : (326L) «Romulum quidam <a> fico Ruminali, ali quod lupae ruma nu-
tritus est, appellatum esse ineptissime [sottolineatura mia] dixerunt». Quanto
segue è di non facile interpretazione ma ineptissime detto di una derivazione
da Rum- è chiarissimo.
4) Ma c’è di più su -lo- che in latino-romano non è diminutivo, ma indi-
ca ‘appartenenza a...’, da cui una eventuale funzionalizzazione ANCHE per i
diminutivi : v. sopra gli esempi su Hispallus, Messalla, etc. Al proposito, per
il latino ma anche per l’etrusco, secondo l’iter esposto da De Simone per -le
‘diminutivo’ da un toponimo etrusco *ruma da cui Roma, ne conseguirebbe
che *romelos in latino-romano e *rumele in etrusco sarebbe un diminutivo,
qualcosa come il ‘Romanino’ pittore, così come il ‘Perugino’ è il pittore che
viene da Perugia, ma non è il ‘piccolo Perugio’ (?!). Qui la morfonologia ‘fi-
nale’ è dirimente : SE Romulus è da Roma + -lo- - quale sia il valore di -lo-
(ma non un banale diminutivo bensì un derivativo) – la morfonologia è
(latina-)romana, così come per Hispallus < *Hispană-lo-/a, Messalla < Messa-
nă-lo-. La questione di -lo-/-la nei cognomina si pone sul piano proprio della
cognominazione in -a e non sulla sequenza morfonologica -a+lV- che in ro-
mano – e per principio ci restringiamo rispetto alle altre varietà indeuropee
d’Italia – dà -e-lV- > -ulus/-a.
La questione è complessa ma chiara : -ā (genetico > lat. -ă; A. L. Pro-
sdocimi, Sull’accento latino e italico, in Festschrift für Ernst Risch zum 75.
Geburtstag (hrsg. A. Etter), Berlino-New York, 1986, p. 601-618) si comporta
qui come -os e non, come sarebbe normale, conservando -ā in derivazione,
come è altrimenti la normalità anche contro -ă al nominativo : tipo multă
ma multāre, multātus. La motivazione è morfonologica ed esclusivamente
dell’indeuropeicità, in Italia nel nostro caso (A. L. Prosdocimi, Filoni indeu-
ropei in Italia. Riflessioni e appunti, in L’Italia e il Mediterraneo antico, Atti
del Convegno SIG (Fisciano-Amalfi-Raito 4-6 novembre 1993), vol. I, Pisa,
1995; ora in Scritti inediti e sparsi, Padova, 2004, vol. III, p. 1359-1531) : di
questo, qui pertinente al latino-romano, si ha analogo comportamento an-
che, mutatis mutandis, in italico, col tipo *nowa > *nowela > [noula] sannita
(grafico) núvla.
Motivazioni più approfondite sono nel testo scritto della relazione del
2007 (‘Roma 2007/8’). Qui interessa anticipare l’esclusione di un etrusco
*Ruma+ -le- > latino-romano *Romelo, per a priori storico (Roma!) e per a
priori di lingua : ci sarebbe stato *Ruma-lo-, non avendo l’etrusco la regola
morfonologica per cui -a- in derivazione avanti -lV- passa a -lo-; viceversa è
da porre l’inverso, e cioè che etrusco *Rumele sia da un latino-romano *Ro-
melo-. Advocatus diaboli pro etrusco : ricorrere ad una trasposizione sincro-
nica di un (fantomatico) etrusco -a-le- in latino -e-le secondo la morfonologia
romana sarebbe un obscurius, ma, più ancora, se etrusco Rumel(e)- rispon-
desse a Romulus < *Romelos sarebbe, comunque, un romanismo in etrusco,
per cui si confermerebbe la ‘romanità’ di Romulus < *Romelos.
5) L’argomento per Rumele etrusco e non Romanus (o varianti) ripreso
da Carandini (2006 Leggenda p. XXXVII) è semplicemente insussistente per-
ché, in *Romulos, -lo- ha una funzione derivativa assimilabile a un (etnico-)
poleonimo, ma significa l’origine (poleonimia) in modo diverso da Romano-,

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 149

così come Hispallus non è lo +Hispanānus/Hispanı̄nus, Messalla non è il


+
Messanānus/Messanı̄nus.
Per questo e altro su (il nome) Romulus si rimanda ad altra sede.

[2]

L’arrivo = acquisizione della scrittura per insegnamento dei ‘maestri’


portatori di scrittura, quindi creatori di una scrittura per adattamento ad
una diversa realtà linguistica ma anche socioculturale, è sempre stata veduta
non nei contenuti testuali (appresso) ma nella pura scrittura (nel nostro ca-
so alfabetica) ut sic, cioè come forma e contenuti dei segni scrittorii e della
loro concatenazione nella sequenza (alfabetica); così ancora sostanzialmen-
te A. L. Prodocimi, in M. Pandolfini-A. L. Prosdocimi, Alfabetari e insegna-
mento della scrittura in Etruria e nell’Italia antica, Firenze, 1990. L’in nuce
per la scrittura come contenuti testuali,ivi prospettato ma non svolto, è stato
realizzato un decennio dopo in occasione di un altro lavoro (L. Del Tutto
Palma-A. L. Prosdocimi-G. Rocca, Lingue e culture intorno al 295 a.Cr. : tra
Roma e gli Italici del Nord, in La battaglia del Sentino (Atti del Convegno, Ca-
merino-Sassoferrato, 10-13 giugno 1998), Roma, 2002, p. 407-663); l’alfabe-
to è in funzione di quanto da esso è notato, cioè dei contenuti testuali in cui
si realizza la lingua (sul testo come realizzazione della lingua v. A. L. Pro-
sdocimi, Su testo e segno, in Linguistica testuale, Atti del XV Congresso Int.
di studi della SLI (Genova-S. Margherita Ligure, 8-10 maggio 1981), Roma,
1984, p. 63-84, ora in Scritti inediti e sparsi. Lingua, Testi, Storia, I-III, Pado-
va, 2004, vol. I). Nei ‘contenuti testuali’ sono primarie le strutture formulari
e, in queste, rientra appunto la formula onomastica (cfr. A. L. Prosdocimi,
Sulla scrittura nell’Italia antica, in Scrittura e scritture : le figure della lingua,
Atti del Convegno SIG (Viterbo, 28-30 ottobre 2004), in corso di stampa).

[3]

Ritengo ora (2008) astrattamente possibile che le interpretazioni già da


me date (riprese in G. de’ Fogolari-A. L. Prosdocimi, I Veneti antichi. Lingua
e cultura, Padova 1987 ad *Es 120 p. 282-284, *Es 122 p. 249-253) possano
essere diverse; ma il quadro generale non cambierebbe se non per fissazione
cronologica. Di ciò altrove.

[4]

La questione dell’antichità o (relativa) recenziorità della categoria di


femminile e correlata espressione formale è oggetto di discussioni, special-
mente in seguito alla decifrazione e conseguente interpretazione delle lingue
indeuropee anatoliche arcaiche. Credo si possa dimostrare che la categoria è
(relativamente) recenziore anche indipendentemente dall’anatolico : di ciò
tratterò altrove. Tuttavia quanto vediamo avanti può prescindere dalla que-
stione generale, anche se dovrà, con altro, entrare optimo iure nel dossier.

.
150 ALDO PROSDOCIMI

Come detto al § 3, i maschili in -a quali appa, atta, mama, etc. hanno con -(i)
jo- la stessa morfologia derivazionale dei nomi ‘maschili’ in -os, il che si può
spiegare solo con una morfonologia -e/o-s per cui -ā (poi > -a) è parallela
quale -e/o-H2 : la vocale ‘apofonica’ -e-/-o- ha -s come (agentivo →) nominati-
vo e -H2 come derivativo non (ancora) polarizzato a fornire morfologia per il
‘femminile’, ma un derivativo (a valore di collettivo?). In questa prospettiva
rientra anche il ‘femminile’ in -iă /-jā, -i di sscr. devı̄ e vrki, e latino nutrı̄- in
nutrı̄-re, entrambi derivativi in *-j(V)H2. ˙
Riprenderò il tema ora sparso in diverse sedi (A. L. Prosdocimi, Syllabi-
city as a genus, Sievers’ Law as a species, in Papers from the 7th International
Conference on Historical Linguistics, Amsterdam-Philadelphia 1987, p. 483-
505 su -Ce/o-i/ie/o- > -CØ(e/o)-; Latino (e) italico e indeuropeo : appunti sul fo-
netismo, parte I in Messana, 12, 1992 [1994], p. 93-160; parte II in Messana,
18, 1993, p. 117-184, cap. 1.3, 2 e aggiunte-appendici; entrambi ora in Scritti
inediti e sparsi. Lingua, Testi, Storia I-III, Padova 2004; Umbro furfa- vs. lat.
forfex : -eH2 > -a vs. -eH2s > -eks, in Arch.Glott.It., LXX, 1985, p. 51-61; L’iscri-
zione gallica del Larzac e la flessione dei temi in -a, -i, -ja. Con un ‘excursus’
sulla morfologia del lusitano : acc.crougin, dat.crougeai, in Idg. Forschungen,
1989, p. 190-206; Sulla flessione nominale messapica, parte I in Arch.Glot-
t.It., LXXIV, 1989, p. 137-174; parte II, in Arch.Glott.It., LXXV, 1990, p. 32-
66; Il genitivo messapico in -ihi, in Studi linguistici in onore di Roberto Gu-
smani, Alessandria, 2006, p. 1421-1434.

[5]

Preciso però che la possibilità, poi realizzata in lingue storiche e stori-


camente attestate, era fondata su potenzialità di langue : l’utilizzazione per
ipocoristico e/o cognominazioni è una funzionalizzazione delle predette po-
tenzialità che non sono esaurite bensì realizzate o manifestate in tale funzio-
ne, e questo è da ricordare per non restringere la funzionalità che è poten-
zialità nella langue di -ō(n) e -ā ad una o più funzionalizzazioni nelle lingue
(storiche : è tautologico), invertendo così la direzione di causa (langue) ed
(→) effetto (funzionalizzazioni nelle varie lingue). Di -ō(n) e -ā quali effetto
di V breve + laringale ha trattato più volte Françoise Bader, in più scritti;
non sono sempre d’accordo su alcuni punti, anche non secondari, ma sono
d’accordo sulla necessità di rivedere la tematica oltre quello a cui ci ha abi-
tuato una vulgata ‘filologica’ (su questo appresso [n. 6]). Comunque per i no-
stri fini è sufficiente la prospettiva ‘limitata’ seguita nel testo (sostanzial-
mente dei primi anni ’90).

[6]

Con ‘filologico’ non intendo un negativo, ma solo una prospettiva par-


ziale, per cui si mostra una fenomenologia che è effetto di una causalità che
non si tenta di riconoscere o, quanto meno, porre come desideratum : v. an-
che sopra [n. 5]. Con questo non si vuole colpevolizzare la ‘filologia’ (come si
intende ora e non come la intendeva un Boeck) ma solo evidenziare il suo li-

.
NOTE SULL’ONOMASTICA DI ROMA E DELL’ITALIA ANTICA 151

mite; più ancora : la ‘filologia’ come accertamento delle res e, poi, come di-
sposizione ordinata delle res, è una necessità, ma è un primo livello; un ulte-
riore livello è la spiegazione (causa) che può non essere individuata ma che
non va eliminata come esistenza per implicazione logica e materiale; soprat-
tutto, la causalità non va scambiata con la disposizione ordinata delle res
(effetto), da cui una possibile, anzi frequente, inversione della sequenza tra
causalità ed effetto.

[7]

Non è da ipotizzare un *-ĕlia > +ilia secondo il modello toscano, perché


qui non si ha la cosiddetta anafonesi toscana del tipo famiglia di contro al ti-
po veneto (e lombardo-emiliano) fameia/famegia. A riprova c’è la forma alto-
medievale Hostilia (834, 861) : v. Dizionario di Toponomastica, Torino, 1990,
p. 465 s.v. Ostiglia (MN).

[8]

Ho suggerito la dizione ‘relazioni sociali’ a P. Solinas in occasione del-


l’articolo cit. a nota 106. La ragione è molto semplice, banale forse, ma im-
portante; ‘terminologia della parentela’ è una dizione canonica ma impro-
pria o deformante perché limitativa e, soprattutto, perché non definibile en-
tro la semanticità istituzionale; cf. A. L. Prosdocimi, Sul lessico istituzionale
indeuropeo, in Scritti inediti e sparsi. Lingua, Testi, Storia I-III, Padova, 2004,
vol. III, p. 1247-1357, specialmente le pagine iniziali, riprese da Il lessico
istituzionale italico. Tra linguistica e storia, in La cultura italica, Atti del Con-
vegno della SIG (Pisa 19-20 dicembre 1977), Pisa, 1978, p. 29-74. Anche ‘re-
lazioni sociali’ è limitativo e senza confini netti nella generale semicità che
nella realizzazione (storica : è tautologico) è sociale, ma almeno amplia le
restrizioni poste da ‘lessico della parentela’ ed evita non poche conseguenze
negative delle restrizioni predette.

.
PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA


SULLA BASE DELL’ONOMASTICA ANTICA1

Premessa
Per identificare le varietà del celtico parlate in territori dell’Italia
antica è necessario dare innanzitutto una panoramica dell’onoma-
stica italiana di tale matrice 2 ; partendo dai nomi di luogo (cap. I) 3,
passeremo quindi agli etnonimi antichi (cap. II) 4, ai pochi teonimi
(cap. III) 5 e infine ai nomi di persona (cap. IV) 6, ai quali è dedicato
anche il contributo dell’amico Motta in questo stesso volume 7. Si
noterà che i quattro capitoli in questione, che impiegano tutti

1
Nel presentare il testo della conferenza tenuta il 14 novembre 2002 all’Insti-
tutum Romanum Finlandiae desidero innanzitutto ringraziare della generosa
ospitalità gli organizzatori di tanto piacevole e istruttivo congresso. Ringrazio
inoltre altrettanto cordialmente i colleghi J. A. Arenas (Lampeter), G. Borghi
(Genova), C. García Castillero (Vitoria), M. P. Marchese (Firenze) e J. Zeidler
(Treviri) di avermi gentilmente procurato alcuni lavori di difficile reperimento.
2
Ragioni di spazio impediscono di specificare ogni volta le fonti relative agli
esempi : i più cospicui si potranno facilmente verificare nella bibliografia basila-
re attinente alle lingue celtiche; si rimanda inoltre complessivamente a lavori
precedenti dell’autrice, quali Sonanten e NWÄI, nonché gli articoli 1994, 1995,
1995-96, 1999/2000, 2002.
3
Qualora non si specifichi diversamente, la documentazione storica dei no-
mi di luogo italiani citati (i) compare nel DT e (ii) è compatibile con le spiegazio-
ni proposte nel presente testo; i nomi in alfabeto greco sono tratti dalla ‘Guida
geografica’ di Tolomeo e sono stati per lo più già commentati estesamente in
DBSt 1999/2000 con le aggiunte 2002/2005.
4
Si rimanda per questi, oltre che alla ‘Guida geografica’ di Tolomeo, alle car-
te del GHW e del Barrington; cf. inoltre Grzega 2001, p. 6 e ora DBSt 2006/2008,
nonché nel LKA s.v. «Stammesnamen».
5
I dati vengono raccolti nell’ambito del progetto F(ontes) E(pigraphici)
R(eligionum) C(elticarum) AN(tiquarum) della Österreichische Akademie der
Wissenschaften, cf. per un primo bilancio Zaccaria 2000/2001-02, nonché prossi-
mamente in Sartori.
6
Molti di essi si trovano, anche se differentemente raggruppati, in Unter-
mann 1959-1961; altri sono stati estratti dall’OPEL o ancora da Mercando/Paci
1998.
7
Vedi il contributo di F. Motta in questo volume, p. 295ss.

.
154 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

materiale illustrativo proveniente esclusivamente da territori italia-


ni 8, sono organizzati in modo assolutamente simmetrico e divisi cia-
scuno a sua volta in quatttro paragrafi, di cui il primo (§ a, parame-
tri di celticità linguistica) dà un’idea, seppur sommaria, dei criteri
che si applicano quando si definisce un nome come celtico; il secon-
do (§ b, orizzonte geografico) esplora i confini del territorio in cui si
possono incontrare nomi linguisticamente celtici; il terzo (§ c, carat-
teri specifici del territorio italiano) descrive le isoglosse più tipiche
dell’onomastica celtica incontrata in Italia, siano esse caratteristiche
di tutto il corpus o anche solo di zone/ periodi particolari; il quarto
(§ d, stratificazione linguistica) mette in risalto eventuali isoglosse
che – riscontrabili all’interno dello stesso corpus – contrastino fra di
loro, allo scopo appunto di individuare i vari tipi, ovvero strati, di
celticità linguistica presenti sul territorio italiano, problema su cui
si ritorna complessivamente nel cap. V.

I. I NOMI DI LUOGO

A) Parametri di celticità linguistica

Per identificare un nome come celtico disponiamo basicamente


di quattro parametri 9, corrispondenti rispettivamente alla fonetica
(a), alla formazione della parola (b), al lessico (g) e al sistema ono-
mastico (d).
Il primo parametro (a) implica la presenza di mutamenti foneti-
ci caratteristici delle lingue celtiche in generale, quali ad esempio
– *#p > Ø, come p.es. in La¥rion, il Lago di Como (← ie. plōro – >
airl. lár, cimr. llawr ‘il fondo’), e possibilmente in Arno, Arnate, Arna-
sco, se dall’ie. *parn- ‘pietra’10 ;
– b < *bh, p.es. in rivo Comberanea nonché in Búrmia = Bormida
e Aquae Bormiae = Bormio, rispettivamente da ie. *bher-1e2, ‘portare’ e
‘ribollire, agitarsi’; si noti che la celticità del secondo etimo si rispec-
chia ora nel derivato celtiberico Bormeskom11.

8
Invece i materiali onomastici di altra provenienza – utilizzati per eventuali
raffronti – vengono sempre espressamente individuati come tali (i.a. per mezzo
di abbreviazioni indicanti la provincia romana : GES = Germania superior, HIS =
Hispania etc.).
9
Cf. anche DBSt 2000, p. 407s.
10
Cf. Blažek 2001 sulla connessione tra airl. airne ‘pietra’ e itt. per, parn-
‘casa’.
11
Legenda monetale A. 81 con il gen. plur. di un etnico. V. però anche più ol-
tre alla n. 179.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 155

In Briga¥ntion e nel collettivo o femminile Brianza (< *bh.gh-;t-yā˘)


per indicare un territorio elevato si constaterà – in aggiunta al pas-
saggio celtico comune delle medie aspirate a medie – anche l’isoglos-
sa – an < *en < *;, tipica del celta continentale e gallico;
– i < *ē, come in briva ‘ponte’, plur. dell’ie. *bhrēw-o-m ‘asse’, da
cui poi toponimi quali Brivio e affini12 ;
– ē < *ei, come nell’idronimo emiliano Reno, il Rhenus di Plinio
III, 118 (< *rei-no-s, airl. rían ‘corso; mare’13).
Il secondo parametro (b) considera celtiche parole formate per
mezzo di una morfologia caratteristica, e in particolare
– i composti che hanno per determinatum dunum. montem ( airl.
dún), come Verdunum = Verduno, il cui determinante parrebbe risali-
re all’ie. *upero-;
– i composti che hanno per determinatum magos ‘campo’(:airl.
mag), quali Excingomagus ‘insediamento-in-pianura di guerrieri’ e
Bodincomagus per un insediamento nella pianura del Po14 ;
– i composti che hanno per determinatum mello- (: airl. mell
‘ball, round mass’) < *mel-no-s, orig. ‘ciò che sporge’ o ‘il rilievo’
(NWÄI, p. 253), come il saltus Leucumellus della TAV15.
In Dormello, Dormelletto il determinante risale con buona proba-
bilità formale e semantica al celt. durno- ‘pugno’ (: airl. dorn) nell’ac-
cezione ‘ciottolo’ («stone of the size of a fist»)16, attestato del resto an-
che come morfema indipendente nella stessa toponomastica cisalpi-
na (Dorno)17. Allo stesso gruppo di composti celtici apparterrà il iugo
Blustiemelo della SeM18 ;
– i prefissati con ari/e-, alcuni dei quali potrebbero aver svilup-
pato lo stesso significato ‘a oriente di’ del corrispondente airl. air
(GOI, p. 483). In Arelica > Arilica – oggi Peschiera del Garda – lica
: airl. lecc, cimr. llech ‘lastra di roccia o pietra’ (< *p/k(k)ā˘) non è al-
tro che il collettivo del (-)licon che si incontra in toponimi ed etnoni-

12
NWÄI, p. 26. Sulle continuazioni romanze Pellegrini 1990, p. 123, e Grzega
2001, p. 110 s.v.; per l’ispanico Brieva (Briviesca è solo moderno), cf. Nieto Balle-
ster 1997, p. 94. V. anche il LKA alla voce «Briva».
13
Diversamente da quanto si dice nel DT, p. 534.
14
Nome precedente all’antica Industria : Plinio N.H. 3, 122.
15
Il toponimo, etichettato come «ligure» solo in virtù del contesto in cui ap-
pare (Pellegrini 1981, p. 38; Petracco Sicardi 1981, p. 75), riflette in realtà un cel-
tico arcaico, pertanto con il significato di ‘lucente collina’.
16
Rivet/Smith, p. 345. Cf. anche Durnomagos ‘kiesfeld’ oggi DormagenD. Di-
versamente il DT, p. 253.
17
Cf. Pellegrini 1990, p. 120.
18
Cf. Petracco Sicardi 1981, p. 73, nonché ora Crawford 2003 e Pansardi
2004.

.
156 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

mi19. Ambiguo è invece Arlàte «à comprendre ‘devant le marais’», an-


che se non si può escludere completamente la possibilità che con-
tenga il gall. ratis < *p.H-ti-s ‘porta’ (: airl. ráith ‘earthen rampart’)
reso irriconoscibile dalla dissimilazione delle liquide (ror > rol) 20 ;
– i derivati da temi in nasale che mostrano un morfema -un-, va-
le a dire con generalizzazione della u celtica sviluppatasi nel nom.
sing. (che terminava originariamente in *ō#), come Beloỹnon, l’at-
tuale Belluno 21;
– i derivati per mezzo di suffissi in velare 22, come possono essere
Karraka o la base derivazionale contenuta in Birakellon «the place
of the Short-cape-wearing people», risuffissata a formare l’attributo
gall. Biracillus, utilizzato evidentemente sia come nome di persona
sia come etnico 23 ;
– i derivati con il suffisso di appartenenza -asko-/ā, classificabile
ora come celtico a pieno titolo grazie alla recente documentazione
di varie forme celtiberiche quali Belaiska, l’attributo della Contrebia
che, ricollegabile ai Beli(ci), risale a un derivativo *Bel-ask-yā 24, o an-
che il gruppo sociale dei viriaskum e nomi di famiglia come quello
dei Binniskum e dei Bolgondiskum 25. Nella SeM possiamo quindi ri-
tenere celtici gli idronimi liguri Veraglasca, derivato dal nome dei
Veragri 26, Tulelasca, derivato dall’oronimo Tuledu (la cui base andrà

Diversamente il DT, p. 484.


19

Cf. risp. Delamarre, p. 197, e DBSt 2000, p. 409, a cui si aggiungeranno i


20

toponimi citati da Watson 1909-1910, p. 240 : «Urray, in Ross-shire, Gaelic Ur-


rath, is for air+ràth, near the forth or earthwork, and in Gaul there is Are-dūnon
with similar meaning».
21
Come già rilevato studiando l’Italia di Tolomeo, le attestazioni antiche non
presentano nessuna traccia del celtema **dunon, che secondo la communis opi-
nio sarebbe concorso a formare il toponimo in questione, e la maggior parte dei
manoscritti presenta addirittura solo una l scempia (1999/2000, p. 93). Si tratterà
invece del neutro originato dal gen. plur. dell’etnonimo *Belunes ‘i Forti’, affini
quindi agli ispanici Beli.
22
Da correggere a questo proposito Rivet e Smith che definiscono -āko- «un-
common in N(orthern) Italy and Iberia» (p. 276). Superati sono anche i dubbi re-
gistrati da Bernardi 1975, p. 71.
23
Il nome di persona è riapparso recentemente in una iscrizione pubblicata
dal Lambert (2001, p. 68s.), da aggiungere quindi alla mia precedente trattazione
del toponimo (1999/2000, p. 92).
24
Maggiori particolari in DBSt 2002, p. 100.
25
Discendenti rispettivamente da una famiglia di magistrati (cib. bindis) e
da *Bolg-on(n)-o-s (cf. il Bolg-ed-o civis Sequanus attestato in Belgica, OPEL,
p. 308) : DBSt 2002, p. 103. – In più di un caso ai derivati in -sk- se ne affiancano
altri in velare semplice, cf. la serie derivazionale NL Virovia (legenda monetale
A. 71) → agg. cib. u.i.r.o.u.i.a.ka e NL ViroviacumBEL → NL Virovesca HIS in García
Alonso 1993/95, p. 403s., nonché gli es. in DBSt 2002, p. 100 n. 55 e p. 103 (I).
26
Con indubbia dissimilazione della liquide (ror > rol).

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 157

a sua volta confrontata con l’airl. taul ‘protuberanza, umbone’), e


Neviasca derivato dal toponimo Nevio, oggi Néi 27.

– i derivati in -Vdyo- come Klastı¥dion (Strabone Geogr. V, 1 §


11), il luogo della battaglia oggi detta di Casteggio, celtico anche in
virtù del 3o parametro, avendo infatti come base derivazionale un
corrispondente dell’airl. clas ‘fossa, trincea’ (< ie. *klH2d-tā);
– i derivati in -mo- come Be¥rgomon, l’attuale Bèrgamo, uno dei
pochi esempi rizotonici, ovvero con preservazione dell’accento celti-
co arcaico;
– i derivati con il formante -nk- che conosciamo dall’aco. youenc
‘giovane’, gall. Iovincus, o dall’idronimo *Aberinka > Abrı¥gkaG S. In E

Italia sembra essere questo il caso del nome più antico del fiume Po,
chiamato «Ligurum lingua» 28 Bodincus, se lo segmentiamo come
*bhodh-enko-s e vi ravvisiamo una base affine al gall. bedo- ‘fossa, ca-
nale’ ( cimr. bedd); potrebbe però trattarsi piuttosto di uno dei ‘deri-
vati limite’ da cui ebbe origine il suffisso stesso se risalisse a un anti-
co *bhudhmen-ko-s formato sulla base indoeuropea corrispondente
tra l’altro al gr. pyumh¥n 29 ;
– i derivati in *-ŏnā, tra cui Kremwna/ Kremwnia, vale a dire Cre-
mona (← kremu-, continuato anche nell’irl. crim ‘aglio selvatico’), e
probabilmente Cetona dalla base celtica kaito– / keton ‘bosco’ ( cimr.
coed), con importanti equivalenti toponomastici tanto sul continen-
te (CetobrigaHIS) quanto nelle isole britanniche 30.

Si noti invece che l’aggiunta del suffisso -yo-/-yā ai vari toponimi


non crea dei nuovi derivati veri e propri o iperderivati 31, ma li trasfor-
ma semplicemente in aggettivi; l’alternanza tra toponimi con e senza
il suffisso in questione, come p.es. Mediola¥nion vs. Mediolanon o
Kremwnia vs. Cremona, rivela quindi solo che le forme aggettivali ve-
nivano usate come varianti libere accanto a quelle del sostantivo 32.

27
Tutti discussi tra l’altro da Petracco Sicardi 1982, p. 111.
28
Plinio N.H. III, 121, che ne dà anche «Gallice» il nome Padus, l’unico atte-
stato invece da Tolomeo (< *kwā-do-s «the Bulging/Swelling (river)»? DBSt 1999/
2000, p. 96).
29
Cf. Pellegrini 1990, risp. p. 118 e 103; IEW, p. 174; EWA II, p. 228s. s.v.
bhudhná- ‘Boden, Grund, Tiefe’.
30
Watson 1909-1910, p. 237s.; diversamente il DT s.vv. Si noterà che l’etimo-
logia qui proposta è avallata da dati archeobotanici.
31
A differenza di quanto sembrano pensare alcuni studiosi, tra cui Petracco
Sicardi 1983, p. 1018s., e Pellegrini 1990, p. 109.
32
Si tratta dello stesso fenomeno osservato da Villar 1995, p. 101, a proposito
del nome dell’antica città di Lutia HIS, dove la forma toponimica che si affermerà
(Luzaga E) è proprio quella originaria dell’aggettivo (cib. *lutiaka).

.
158 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

Il terzo parametro di celticità (g) si fonda sulla coincidenza della


base derivazionale del nome in questione con un lessema di tipo cel-
tico e si può applicare a toponimi quali
– eventualmente Alesate = Alzate e Álice, nel caso che siano stati
formati dal lessema corrispondente all’airl. ail < *p/Hi-(k-)s ‘pietra,
scoglio’ 33 ;
– Artena, Artegna e Artogne, che si possono ritenere derivati dal
gall. artua ‘pietra’ ( airl. art) 34 ;
– Eborodoynon (= EmbrunF), il fundus/saltus Ebu/orelia della
TaAV, nonché Euruno (oggi Inveruno), tutti contenenti eburo- ‘tasso’
(cimr. efwr airl, ibar) 35 ;
– possibilmente Gandosso e sim. se contengono celt. gando-
‘container, vessel’ 36 ; si tratta di un lessema documentato, oltre che in
germanico 37 e nel raro airl. gand ‘a vessel, a can’, nel NL Gannodoy-
ronG S ‘vessels-market’ e nel gall. gandobe/u su un piatto da Lezoux
E

(RIG-L-66) 38. Una interpretazione celtica può risultare valida anche


per l’idronimo ligure Gandovera 39, soprattutto se teniamo conto del
fatto che lo stesso etimo si impiega in varie lingue germaniche con il
significato di ‘piccola barca o canoa’;
– le due Segeste attestate da Plinio (N.H. III risp. 131 e 48), la Se-
gesta ex Carnis che il Frau 1981 propone di ritrovare nell’attuale Sez-
za, frazione di Zùglio Càrnico (Iulium Carnicum), e la Segesta Tigul-
liorum che si continua nel nome di Sestri Levante, entrambe dalla
ben nota base celtica sego- ‘forte’ con l’arcaico suffisso di superlativo
-isto-/-ā 40 ;

Diversamente il DT s.vv.
33

In questo senso già Trumper e Vigolo 1997, p. 224 (analisi non ancora ac-
34

colta nella seconda edizione del DT s.vv.).


35
Cf. i.a. Petracco Sicardi 1981, p. 77, e 1983, p. 1017s.
36
Diversamente il DT p. 296 (sempre in provincia di Bergamo esistono an-
che Gandino e Gandellino).
37
Dove potrebbe evtl. essere un prestito, cf. IEW p. 351.
38
Dove è stato interpretato, oltre che a partire dal sostantivo in questione
(Fleuriot : «aux moyen des récipients»), anche dal corrispondente aggettivo anti-
co irlandese con il significato di ‘limitato, scarso’, cf. Lambert in RIG II/2, p. 176s.
con bibliografia. In entrambi i casi la forma continentale può rappresentare la re-
golare continuazione di un nomen agentis ie. *gh;-d-ó-s dalla radice *ghend- ‘fas-
sen, ergreifen’. Cf. anche DBSt 2002/2005a, p. 90s. con bibliografia.
39
*Gandobera, cf. Lejeune 1972, p. 264, e Pellegrini 1981, p. 38.
40
La tradizionale etimologia celtica si impone – a differenza di quella propo-
sta da Anreiter 2001, p. 124 – soprattutto per ragioni strutturali, cioè di formazio-
ne della parole, indipendentemente dal fatto che il toponimo in questione si rin-
contri in zone più o meno celtizzate come l’Hispania ulterior, la Germania infe-
rior e la Pannonia.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 159

– Verubius = Verebbio e probabilmente anche Ubiale presso il


monte Ubione, per contenere il corrispondente dell’airl. ub ‘punta’ 41;
– Uxe(i)llo = Ussèglio, Uxellus/is = Usseaux e Utschelg (il Passo del
S. Bernardino), tutti dal celt. uxello- ‘alto’ (cimr. uchel, airl. úasal);
– Novara : oltre all’aggettivo *nowo- (forma celtica recenziore di
*newo-), il toponimo sembra – ad un esame morfologico più approfon-
dito – contenere anche il sostantivo celt. varia ‘recinto, difesa’ (< *w.-
yā), documentato in DurnovariaBRI («the ‘Pebbles-enclosure’», DBSt
2002/2005a, p. 78) e nella forma mista ArgentovariaG S ; si tratta della
E

stessa base contenuta nel derivativo *warı̄nā, al quale risalgono tanto


l’airl. foirenn quanto l’acimr. guerin. factio (EGOW, p. 67). La forma
più antica del toponimo italiano sarebbe pertanto la tolemaica Noya-
ria, riduzione aplologica del *Novovária sviluppatosi regolarmente
dall’originario composto celt. *newo-waryā; da tale /Novaria/ sarebbe
poi derivato l’attuale Novara per retroformazione ipercorretta 42. Può
darsi inoltre che anche il nome di Verona risalga a questa stessa fami-
glia di parole, vale a dire se corrisponde all’airl. feronn/ferann ‘territo-
rio delimitato’ 43 e non rappresenta invece un più antico **uper-onā 44 ;
– Oyßike¥tia ‘la combattiva’, oggi Vicenza, arcaico nomen agentis
in dentale semplice dal tema verbale vik- ‘combattere’ continuato
dall’airl. fichid ‘id.’
Il quarto parametro infine (d) tiene conto della presenza di for-
mazioni parallele nell’onomastica corrispondente di altri territori
notoriamente celtici; così p.es. l’italiana
– Arláte trova un confronto nelle galliche ArlesF e ArletF ;
– Bitoyrgı¥a (nella Toscana di Tolomeo e di alcune opere geografi-
che medioevali 45) è rispecchiata tanto da BourgesF quanto da BiturisE ;
– Bologna, ossia l’antica Bōnónia, trova un pendant innanzitutto
nel teonimo airl. Búanann, rappresentando quindi un derivato celti-
co *bhoun-on-yā ‘la (città) duratura’ 46 ;

41
Diversamente il DT s.v.
42
Essendo una forma in -ya associata di regola al tipo aggettivale (v. sopra al
§ I.a.b con le note 31 e 32).
43
Cf., sempre con il grado normale della radice verbale *wer- ‘difendere’, an-
che gli airl. ferenn ‘cinta’ e fertae ‘argine, tumulo’.
44
Questa seconda ipotesi etimologica, che io stessa proponevo nel 1999/
2000, p. 94, mi sembra ora meno probabile per ragioni strutturali, essendo i deri-
vati in *-ŏnā solitamente formati da basi nominali (NWÄI, p. 452s., Hamp 1990,
p. 193, e qui sopra al § I.a.b). In ogni caso, anche la particolare ricchezza di celti-
smi preservatisi nella zona (Grzega 2001, p. 289s.) sembra parlare a favore di una
etimologia celtica del toponimo.
45
Tol. III, 1, § 48; cf. Cuntz 1923, p. 160, e DBSt 1999/2000, p. 92.
46
L’etimologia, da me presentata nel 1995, p. 24, è stata ripresa – anche se
non del tutto correttamente – da Trumper e Vigolo 1996, p. 229, e si trova ora ac-
colta in Delamarre, p. 84, s.v. bouno > bounonia ‘durable, prospère’.

.
160 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

– Duno corrisponde tanto al Doỹnon della Irlanda antica quanto


ai Daun e Thun di paesi successivamente germanizzati;
– Eborodoynon si confronta con YverdonCH ;
– Mediola¥nion 47 ha vari paralleli tra cui MetelenCH e MedelingenCH ;
– Saquána e anche la Soána 48 rappresentano lo stesso tipo di
idronimo celtico Sequana che si continua nel nome della più famosa
SeineF.

B) Orizzonte geografico dei nomi di luogo


Il territorio geografico in cui nomi di luogo sicuramente celtici
sono rappresentati con una certa densità (a) abbraccia, oltre a Pie-
monte, Lombardia, Liguria, Veneto nell’accezione più ampia 49, Emi-
lia e Romagna 50, anche Umbria e Marche (cf. Sentinon – Tol. III, 1, §
53 – «the place on the way», oggi Sentíno, e Sena Gallica, oggi Seni-
gallia), nonché la Toscana, dove incontriamo la Bitoyrgı¥a Toy¥skwn
di cui sopra (< *Biturı̄gya ‘la reggia del mondo’ o – più probabilmen-
te – ‘la città dei *gwitu-rēg-es, i.e. dei Bituriges’), Birakellon e Sena.
Ci si può poi chiedere se nomi di luogo formalmente classificabili
come celtici, però attestati al di fuori dell’area suddetta e nella fattispe-
cie in territori leggermente più a sud, non possano indicare la presen-
za di piccoli insediamenti più o meno isolati (di commercianti o come
resti di una fase più antica?) al di fuori della Keltikh¥ vera e propria.
Come osserva Frey 1996 [1997] a proposito i.a. della distribuzio-
ne di armi lateniche in Italia «it is remarkable that the spread of the-
se characteristic weapons reaches beyond the settlement area of the
Celts as described by the ancient historians» (p. 60). «Should we
then conclude from these finds that in the countryside [...] there we-
re Celtic warriors, be they mercenaries or marauding hordes, who
had a loose association with the towns? If these conclusions are cor-
rect, we have to assume that the Celtic invasions in Italy were not a
short process, but that probably before the massive invasion of who-

47
Che presenta inoltre indizi di celticità del tipo (a) nel determinatum del
composto : -lānom < ie. *p/H-no-m ‘piano’.
48
Cf. la bibliografia in DBSt 1995-96, p. 135 n. 236, e per la Soana in partico-
lare Pellegrini 1981, p. 57.
49
Cf. Trumper e Vigolo 1997, p. 223 : «sembra essenzialmente provato il
quadro di un Friuli a forte base toponomastica celtica, man mano che si procede
dalla pianura verso la Carnia»; cf. anche ibid. p. 226, dove si arriva a calcolare un
15% di toponimi celtici per il Friuli, mentre per il Veneto (p. 231) si raggiunge un
35%.
50
Bologna e altri toponimi celtici riscontrabili per queste due zone nel cor-
pus tolemaico (DBSt 1999/2000 e 2002/2005) già permettono di correggere Grze-
ga 2001, p. 285.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 161

le tribal groups there were different movements of smaller groups


who then settled in the vicinity of still flourishing older towns»
(p. 78). Cf. anche Vitali e Kaenel 2000, che parlano, p. 119s., de «l’in-
stallation d’individus ou de petits groupes celtes au sein des différen-
tes populations italiques dès le Ve s. av. J-C.». Come faceva notare
ancora nel 1927 Fraser – anche se in altro contesto – «we have no
ground for assuming that during the prehistoric period immigra-
tions were less numerous, or resulted in anything more serious than
the gradual absorption of newcomers, on each occasion, by the al-
ready mixed population» (p. 175).
Si propone pertanto come possibile (b) la celticità dell’antica Ebu-
rum a sud di Salerno 51 e soprattutto di un gruppo coerente di toponimi
antichi della Corsica, isola in cui pure si è trovato materiale latenico 52
e del resto facilmente raggiungibile dalle località celtiche sia della Li-
guria sia della Toscana. Si tratta in primo luogo di Alista, Matis(s)a,
Oyßenikion, Mantinon, Rotanoy potamoỹ eßkb(olaı¥), tutti perfettamente
analizzabili come appartenenti al sistema linguistico del celta 53.
Assai meno probabile, anche se forse non completamente im-
possibile (g), soprattutto se si ricorda il grande uso che già i Leponti
facevano del corallo 54, è l’origine celtica del nome di alcune poche
località costiere nelle altre isole, come p.es. Portus Luguaidonis in
Sardegna 55 o l’Empo¥rion Segestanw̃n in Sicilia 56.

C) Caratteri specifici dei nomi di luogo attestati in territorio italiano


Distinguibili in arcaismi (a) e innovazioni (b), annovereremo tra
i primi (a)
– la conservazione di eu quale si osserva in Liguria (saltus Leu-
cumellus, Neviasca);
– la conservazione di ent pretonico come in Sentinon, oggi Sentì-

51
Barrington, carta 44 : H.4.
52
Cf. la carta di Kruta-Poppi in Frey l.c.
53
Si constata inoltre la presenza di toponimi – anch’essi antichi – conosciuti
da altre zone del mondo celta quali Albiana e Kloynion, Palanta.
54
Cf. Schmid-Sikimic¥ 2001, p. 60 : «Bemerkenswert an südschweizerischen
Bestattungsplätzen der älteren Eisenzeit ist [...] auch das Vorkommen von Bern-
stein und vor allem Edelkorallen, die reichlich Eingang in die Schmuckproduk-
tion gefunden haben, selbst aber nur im Fernhandel zu bekommen waren.» E a
p. 125 : «[Die Kelten] verwendeten die Koralle weit mehr als die vorangehenden
Kulturen».
55
Semplici coincidenze parrebbero invece Oyßsel(l)iv, oggi Usèllus (prov. Ori-
stano), e *litana (nei moderni Lìdana e Rio Lìdana; v. però al § IV.a), normalmente
classificati come «paleosardi» (cf. Wolf 1998, p. 38 e 64, 58, 93, 263, 267, 299).
56
«Die Münzlegenden, vor allem die Bilinguen, zeigen eindeutig, daß die
epichorische Form das S- erhalten hatte» (Schmoll 1958, p. 8); sul tipo onomasti-
co v. sopra al § I.a.g con la nota 40.

.
162 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

no (dal celt. sentu- ‘sentiero’, cf. airl. sét), cf. Sentı¥khE, mentre il
gruppo è passato a int nel Sintoion galata 57 ;
– la sopravvivenza di resti del nome-radice *bh.gh-s ‘rocca’ (i.e. di
contro alla forma modernizzata briga- del gallico e del britannico)
cf. Arebrigium, Seprio e forse Vaprio, Cadore 58 ;
– l’utilizzazione di cotto- nel significato originario di «bucklig»
(così nel nome delle Alpes Cottiae), laddove in britannico assumerà
poi il significato di ‘curvo’ e quindi ‘vecchio’ riferito a persone (come
nel cimr. cot bret. coz, DBSt 1999/2000, p. 93).

Altri toponimi mostrano invece isoglosse di innovazione (b), quali


– la labializzazione u+Lab < o+Lab, come nel dativo plurale cel-
tiberico, che termina regolarmente in -ubos 59 ; si incontra in Liguria
in saltus Leucumellus e in rivo Vindupale 60 ;
– l’assimilazione n(n) < nd come nel nome del rivom Vinelascam
in Liguria, da un originario *vind-el-askā (cf. anche cimr. gwynn e
airl. find, Finn < vindo- ‘bianco’), e in quello del Lago di Garda, Ben-
nakon lı¥mnhn, da una base celt. benda ‘punta’ 61 «applied to a variety
of things, including lochs» 62 ;
– la sporadica assibilazione del nesso -dy- come quella riscontra-
ta nella Penisola Iberica, cf. lep. meśiolano su un miliario rinvenuto
a Milano 63 ;
– l’anticipazione della palatalità, in toponimi quali Airuno, Aira-

57
Falileyev 2002, p. 87, nel mettere in dubbio l’arcaicità delle forme con -ent-
non tiene conto né dei vari tipi di mutamenti fonetici documentati in gallico in
sillaba pretonica (cf. gli studi di DBSt 1994 e 1995), né del fatto che i fautori da lui
citati di una alternanza libera ent / int (postura normale prima del ’94) provengo-
no da una corrente che rifiuta a priori la parossitonia del gallico in quanto iso-
glossa di innovazione propria di una fase gallo-britannica.
58
Rispettivamente con are- (nell’Itin.provinc.Ant.Aug. 345.4 e 347.7), sego-,
u(p)o- e catu- in funzione di determinante. – Nello stesso contesto ricorderemo
anche il briś di Montmorot (Verger 1998/2001), casomai non si trattasse di una
abbreviatura.
59
Cf. Eska [1989 e 1995] citato in DBSt 2002, p. 98, dove tale labializzazione
si annovera tra le innovazioni del celtiberico.
60
V. sopra al § I.a.b e – risp. – in basso al § I.d; il fenomeno di labializzazione
ligure appare già tra le isoglosse elencate da Lejeune 1972, p. 266, che al no 3 ne
risalta l’assenza nell’idronimo Porcobera, peraltro così arcaico da conservare ad-
dirittura la #p- (v. al § I.d).
61
Documentata nell’iscrizione di Fuentes de Ropel (cf. la bibliografia citata
in DBSt 1999/2000, p. 95 n. 22) e nell’airl. benn (ibid. n. 23).
62
«Loch Beannach, horned loch, is a common name, usually mistranslated»
(Watson 1908-09, p. 339s.).
63
Tibiletti Bruno 1986, p. 99s.; sulla affricazione celtiberica DBSt 1999/2001,
p. 328s., nonché 1998/2007.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 163

sca; Airolo, Airole. Incontrandosi tale isoglossa, oltre che nelle lingue
celtiche cosiddette insulari, anche nel corpus paleoispanico prove-
niente dalla Celtiberia e dalla zona occidentale 64, mi pare lecito pen-
sare che rappresenti nelle parlate romanze un influsso del sostrato;
– la palatalizzazione ye < yo, che si osserva in area cosiddetta li-
gure 65 e si confronterà con quanto avviene regolarmente in goidelico
in sillaba atona 66 : cf. montem Berigiemam, che non è un composto 67,
bensì un derivato, probabilmente elativo, in -mā da una base *bhergh-
yo- formata a partire dalla ben nota radice *bherĝh ; iugo Blustiemelo
e, sempre nella SeM, fontem Lebriemelum, ai quali fa eco nella TaAV
Nitielium ← celt. nitio- ‘interno > del luogo’ 68 ;
– l’epentesi nel contesto #(C)VRVCV, documentata nel succitato
oronimo Berigiema, da un originario *Bhérĝh-yo-mā e di cui si cono-
scono paralleli nella Penisola Iberica 69 ;
– la fissazione dell’accento sulla penultima sillaba nella fase gal-
lica la rivelano p.es. *Berg-ál(l)-is > Bergalli, Bargali = Bargagli e Bar-
rolius = Barolo, nonché Arlate, Blenio, Bologna, Briona, Cadore, Cre-
mona, Issiglio, Ivrea, Milano, Soana, Susa, Vendoglio, Vicetia = Vi-
cenza 70 ;
– lo sviluppo di suffissi del tipo VCxCxV < VCxV, vale a dire
con geminazione consonantica riconducibile all’allungamento fone-
tico della sillaba tonica aperta. Si tratta dello stesso fenomeno 6 VCV
> 6 VCCV che in tedesco ha condotto a Wetter dall’aated. wetar. Esem-
pi italiani ne sono l’-éllo- di Birakellon e Brijellon e l’-énno-/ā di
Ardenno, Val Brevenna, che non rappresentano quindi suffissi del
tutto nuovi, bensì varianti dei morfemi ie. e celt. -lo- e -no- (cf. anche
DBSt 2005a, p. 91).

64
DBSt 2002, p. 98s., 116, 121. Cf. ora anche ead. 2005/2007.
65
Come rileva Lejeune 1972, p. 266, sulla scia del Devoto. Cf. ora DBSt 2006.
66
In Spagna il tipo Nemaiecanum è latinizzato rispetto al gen. plur. indigeno
Nemaioq( ) (sul r. e v. della tessera di Herrera de Pisuerga, cf. Marco Simón 2002,
p. 169s.).
67
Si noti che l’etimologia che si suole citare in proposito – riferita tra l’altro
dalla stessa Petracco Sicardi (1981, p. 73, e 1982, p. 111), che pur propone alterna-
tivamente una analisi, benché rudimentale, come derivato – va contro la struttu-
ra di tutti gli altri nomi del nostro corpus, regolarmente del tipo SOV.
68
La sicura attestazione del lessema in più di un composto celtico continen-
tale (cf. ora Delamarre, p. 235 s.v. gall. nitio ‘d’ici, propre’) fa apparire superata la
vecchia interpretazione (riferita i.a. da Petracco Sicardi 1981, p. 76).
69
V. oltre al § IV.a.d e IV.c.b con la nota 160. Cf. ora DBSt 2005/2007.
70
Come risulta dai lavori del 1994, 1995 e 1995/6. Si aggiungerà ora che non
tutte le peraltro assai poche eccezioni (Bèrgamo, Polcèvera, Vendévolo) saranno
necessariamente dovute ad interferenze con l’accentuazione latina, potendo per-
fettamente riflettere il sistema celtico anteriore (2002, p. 118s.), che traspare an-
che dagli sporadici fenomei di epentesi e di restrizione di -yo- in -ye-. Cf. ora an-
che DBSt 2005/2007 e 2066.

.
164 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

D) La stratificazione linguistica del territorio italiano come appare dai


nomi di luogo
– È tuttora visibile l’inclusione di elementi preindoeuropei o co-
munque pre – ovvero non celtici in toponimi celtici. Si tratta eviden-
temente dello stesso fenomeno constatabile fuori d’Italia nello strato
onomastico a cui appartengono l’aggettivo cib. PERKUN-et-aka- e il
teonimo celtico continentale APAdeva che designano rispettivamente
un recinto consacrato i.a. a una divinità arborea e una dea acquati-
ca 71. È questo il caso del PALA delle stele lepontiche, che ritroviamo
con un determinante specificamente celtico nell’idronimo *vindo-
pal-i-s ‘dalle bianche pietre’, regolare tema in -i – di bahuvrı̄hi secon-
do il modello indoeuropeo arma ∼ inermis, presente in celtico p.es.
nell’airl. suthain ‘eternal; long-lived’ (tema in i) vs. la base tan ‘time’
(tema in ā) 72. È interessante notare che, oltre che nella Liguria anti-
ca (in rivo Vindupale SeM) e nel Veneto (oronimo Vendevolo 73), lo
stesso nome si incontra anche nella Penisola Iberica (idronimi Ven-
doval, presso Badajoz 74). Parallelamente, troviamo l’arcaico PORCO-
‘trota’ con la *#p- preservata (vs. il regolare airl. orc ‘salmone’
< ie. *pork-ó-s ‘variegato’) come determinante di un composto ver-
bale in cui la radice (*bher-) ha invece già assunto la forma fonetica
regolare del celtico : nel flovio Porcobera della SeM. Da annoverare
in questo stesso gruppo sono il lessema COTTO- (di cui al § I.c.a) e
possibilmente ALBUM per indicare un tipo di insediamento 75, come
nel toponimo Album Ingaunum (oggi Albenga), che a un esame ap-
profondito risulta significare ‘Urbs Pictorum’ 76.
– A nomi di luogo con la labiovelare sorda preservata, come Sa-
quána in Piemonte (< Sequana < sékw-onā), ed eventualmente poi
semplificata, come nel caso di Tikinov / Ticinus «the running (ri-

71
Come discusso più ampiamente in DBSt 1993/96, p. 227s. n. 72, e in Are-
nas/DBSt 2005.
72
NWÄI, p. 539. Cf. anche l’airl. sochrait ‘having good or many friends’
< *su-karant-i-s (Uhlich 2002, p. 415).
73
Da un precedente < *vindu-pal-o-s : Marchese 1979, p. 175s.
74
Come sottolinea la Prósper 1998, p. 148s., anche se, vincolando l’etichetta
linguistica ‘ligure’ specificamente all’attuale regione ligure, rifiuta curiosamente
l’etimologia tradizionale; metodologicamente corretta è piuttosto la posizione
della Marchese 1979, p. 177, che sottolinea come «un *vindupala era, come strut-
tura di langue, di tutto il leponzio [recte : di tutto il celtico arcaico] e che solo per
un fortunato fatto, cioè la fissazione in un toponimo, ce ne è conservata l’attesta-
zione unicamente in Liguria [e altri pochi territori]».
75
Si noti che Breeze 2002, p. 263s., preferisce il significato di «middle part»
alla classica interpretazione del tipo ‘rocca’.
76
Con Ingauni < *ping-a-mn-o-i, participio presente mediopassivo del verbo
corrispondente al lat. pingō, v. oltre al § II.a.b.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 165

ver)» < * tjkw-ino-s (cf. airl. techid ‘corre’) 77, si affiancano quelli di
epoca posteriore con labializzazione della labiovelare in questione,
come Eporedia = Ivrea 78, nonché il montem Prenicum ‘coperto di al-
beri’ nella stessa Liguria 79.
– Alla base Taur-, non ancora metatizzata in Augusta Taurino-
rum = Torino 80, si affianca la forma con la metatesi caratteristica del
celta seriore come in Tarvisium = Treviso e in Tarvisio.
– I vari tipi di continuazione della base vindo- riflettono diffe-
renti strati onomastici, cf. Vindupalis (il più arcaico e specificamen-
te ligure 81) vs. Vinelasca (con l’assimilazione consonantica regolare
in lepontico) vs. villa Vendoni (con il gruppo nd preservato e l’assi-
milazione vocalica in sillaba pretonica tipicamente gallici), oggi Vin-
done, tutti attestati in Liguria.

II. GLI ETNONIMI

A) Parametri di celticità linguistica


In virtù della fonetica (parametro a) si possono classificare
come coniati da popolazioni celtoparlanti – per citare solo alcuni
esempi – il nome, probabilmente sorto come denominazione eso-
gena, dei Carni < ‘provvisti di corni’ (isoglossa arn < *.n come nel
nome dei Galli Carnutes, dalla base derivazionale corrispondente
al galat. ka¥rnon e al britannico comune carn) e quello degli stessi
Lēpontioi, di cui tanto la labiovelare già labializzata (isoglossa p <
*kw, gen.plLhpontı¥wn ← *leikw-ont-yo-) quanto la ricaratterizzazione
per mezzo del suffisso -yo- 82 che si trattava di una designazione
già gallica e quindi esogena indicante gli «Emigranti», ovvero i

77
Che pare rappresentare un caso di semplice dissimilazione della compo-
nente labiale w davanti alla i iniziale del suffisso.
78
Da *ekwo-reid(a)-yā, con il significato originario di ‘the (town) of the hor-
se-carts’, cf. la bibliografia in DBSt 1999/2000, p. 93 (il toponimo e la discussione
relativa vanno aggiunti a Uhlich 2002, p. 417 e 423s.).
79
Attestato nella SeM : dalla base prenne gl. arborem grandem (: cimr.
prenn), laddove il goidelico ha crann come in airl. ‘albero, legna’ < *kw.snó-. Im-
motivata e poco economica la ricostruzione della Petracco Sicardi 1981, p. 75.
80
Dall’etnonimo Taurini ‘(forti) come tori’, di cui si conosce un parallelo
onomastico – fuori d’Italia – nel nome dei Celti Taurisci NOR, nonché in quello, leg-
germente modernizzato, dei Teurísci vicini alla Dacia (cf. Falileyev 2007,
p. 25 s.).
81
Per via della labializzazione della -o- in -u- (sconosciuta p. es. al lepontico,
che forma dat. plur. in -iobos, -ebos).
82
Tipica delle formazioni participiali modernizzate del celtico continentale
(DBSt 1995a, p. 433), si osserva anche nell’etnonimo gen.plOyßediantı¥wn (Vediantio-
rum in Plinio) «either ‘the Leaders’ or ‘the Sages’» (DBSt 1999/2000, p. 91).

.
166 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

«Departing ones» 83 piuttosto che i «Left behind» o loro discen-


denti 84.
Quanto poi alle caratteristiche morfologiche degli etnonimi che
si possono ritenere coniati da popolazioni celtoparlanti (parametro
b), incontriamo frequentemente nomi
– composti con -riges; in particolare l’etnico Caturiges (/gen.plKa-
toyrigw̃n) ‘i re della battaglia’, riunisce in sé anche i rimanenti para-
metri di celticità linguistica, presentando cioè concordanze di tipo
fonetico (i < *ē), lessicale (catu-), onomastico (Katu/origes in territori
transalpini, da cui tra l’altro il toponimo ChorgesF);
– composti in -sami, come Venisami, ‘gli amichevoli’, dalla base
*weni- che si ritrova nel gall. oyenikoi «ceux du clan» (RIG-*G-279)
e nel nome dei Oyßenı¥knioi nell’antica Irlanda 85 ;
– derivati da altri composti notoriamente celtici, come nel caso
dei Catubrini, plur. di katubri-no-s, formato sulla base del nuovo te-
ma in -i- 86 *katu-bri(k)s ‘rocca della battaglia’ (cf. il NL Cadore 87). È
peraltro probabile che l’etnico in questione ci sia giunto in quella
che era una variante con morfema derivazionale latinizzato 88 ;
– derivati con suffissi in velare, quali i Marici (← gall. maros
< *mōro-s ‘grande’) e i Medoakoi /Medwakoi/ di Strabone, Geogr. V, 1
§ 9 89, che, affini ai *Medu-an-yō-s ispanici (nella legenda cib. A.84
gen.pl
MeTuainum), risultano pertanto confrontabili con airl. medb
«‘enivrant’ et ‘enivré’» 90 ;

83
Cf. Prosdocimi 1984/87, p. 75; inoltre DBSt 1995-96, p. 135f., e 1999/2000,
p. 91. Si ricorderà con Lejeune 1972, p. 263, che «à l’exception de Strabon, qui
donne Como comme leur limite méridionale, les Anciens s’accordent à localiser
les Lepontii nettement plus au nord, vers les sources du Rhin (César) ou du Rhô-
ne (Pline); leur nom survit dans celui de Val Leventina (haute vallée du Ticino en
amont de Biasca)».
84
Tratti così moderni contrasterebbero infatti con un eventuale residuo di
impiego passivo dell’aggettivo verbale in -nt- a meno che non si tratti della mo-
dernizzazione di una designazione più antica.
85
Per l’analisi come composto si rimanda a NWÄI, p. 429s., per la forma ir-
landese a DBSt 1999/2000, p. 100s. con ulteriore bibliografia; cf. ora anche ead.
2004/2007, p. 149.
86
V. anche quanto si dice più avanti al § II.c.a sul passaggio fonetico di -iks a
-is e la conseguente reinterpretazione morfologica che si incontra in vari tipi ono-
mastici.
87
Discusso in DBSt 1995-96, p. 116.
88
Vale a dire come il tipo con -enses rispetto a -ates, la cui alternanza è ana-
loga a quella osservabile tra il classico tipo in -i/e tani e i vari -ites, -uli etc.
89
Il nome è evidentemente contenuto anche nell’idronimo Meduacos della
Cisalpina citato da Lambert, LG p. 60, mentre più complessa è la connessione
con Malamocco nella laguna di Venezia proposta da Trumper e Vigolo 1997,
p. 228s.
90
LEIA-M-27 : «aussi nom propre».

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 167

– derivati con suffissi in dentale, come i Genuates, che nella


SeM alternano con la forma latina Genuenses, sulla base del topo-
nimo Ge¥noya o i Gaisa¥tai (Strabone, Geogr. V, 1 § 10) ← gall. gai-
so- ‘giavellotto’;
– derivati in -auni 91, ovvero originari participi presenti medio-
passivi indœuropei nell’assetto fonetico caratteristico di gran parte
delle lingue celtiche, in cui il passaggio mn > un è dovuto alla pri-
ma lenizione comune 92. È questo il caso degli Anauni (da cui il to-
ponimo Anayn-ion = Nanno «the town of the Staying ones» 93), in
origine *ane-mn-o-i, participio di diatesi media del verbo corri-
spondente all’airl. anaid ‘si ferma’; il loro nome forma una coppia
antitetica con quello degli Alauni in territorio germanico, che il
Delamarre spiega ora 94 come participio della radice verbale ie.
*h2 elh2- «ziellos gehen» (LIV, p. 235), arrivando quindi a una più
che plausibile interpretazione dei due etnici come «Errants vs. Sé-
dentaires». Allo stesso tipo di participio apparterrà anche il nome
degli Ingauni, che rappresenta evidentemente un originario *(p)in-
gamnoi, ossia un participio mediopassivo dello stesso presente
*pingō che si documenta anche in latino 95 ; l’etnico, geograficamen-
te ligure e finora ritenuto oscuro, si rivela quindi non solo come
linguisticamente celtico – ossia coniato da una popolazione celto-
parlante –, ma anche come semanticamente corrispondente alla
denominazione, probabilmente esogena, dei Britanni/ Prettanoi
ovvero dei Picti 96.
Tra gli etnonimi che consideriamo linguisticamente celtici per
contenere un elemento sicuramente appartenente al lessico celtico
(parametro g) sono da annoverare
– il nome dei gen.plBadiennw̃n (/ v.l. Bagienni) ‘gli abbronzati’ o ‘i
biondi’, il cui nom. sing. *Badyénnos ha come base l’aggettivo ie.
*bhe-dyó-s continuato dall’airl. buide gl. flavus e dal prestito lat. ba-
dius ‘baio’ 97 ; gli sviluppi fonetici verificatisi ci confermano le varie

91
Per uno studio sistematico cf. DBSt 1994a.
92
Ovvero quella per cui in contesto sonoro le occlusive sonore passano a fri-
cative sonore e la nasale labiale m passa alla fricativa bilabiale sonora [m].
93
DBSt 1999/2000, p. 91 con bibliografia. Si aggiungerà che Anaunia è il
«Nome di tradizione dotta della Val di Non» (DT, p. 27).
94
In una gentile lettera del 26-2-2002. Cf. ora id. 2004.
95
LIV, p. 418.
96
L’ultimo, entrato in uso solo molto tardi, potrebbe essere stato in origine
semplicemente una resa latina dell’etichetta celtica ‘Britanni’, cf. N.K. Chadwick
1958.
97
Sulla ricostruzione in dettaglio NWÄI, p. 358; sulla varia lectio DBSt 1999/
2000, p. 90.

.
168 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

fasi accentuali ricostruibili 98 i. *Bádyo-no-s (celta comune 99) > ii.


*Bádyenos (celta ligure) > iii. *Badyénos (gallico) > iv. *Badiénnos
(gallico cisalpino). Non è sicuro però che la denominazione dei Ba
(d)io-casses in Francia (da cui il NL Bayeux) sia analoga e quindi
comparabile con l’airl. buide-chass «aux boucles blondes»100 ;
– il nome dei Nerusii tra Nizza e Antibes, sulla base di un’antica
denominazione del ‘maschio’, di cui l’airl. ner ‘cinghiale’ rappresenta
una specializzazione;
– il nome dei Segusi, da cui il NL Segoy¥sion (oggi Susa) sul quale
si formerà poi il nuovo etnonimo (nelle varianti gen.plSegoysianw̃n e
Segusini della tradizione latina), in quanto derivato direttamente
dalla base sego- ‘forza’, contenuta anche nel nome dei Segovii delle
Alpi Cozie101.

Etnonimi considerati celtici in virtù di etnici esattamente corri-


spondenti nel mondo celta (parametro d) sono poi su territorio ita-
liano quello

– dei Boii (plur. di Boios < *bhow-yo-s «the Oxen-raiser» o da


*b oy-ó-s «der Schläger»102), documentati i.a. nell’Europa centro-
h

orientale;
– dei Cēnomani (/ gen.plKenomanw̃n) ‘quelli che vanno lontano’ ←
{*keino- ‘lontano’ (airl. cían) + m;H-o-s (radice contenuta nel gall.
mantalon ‘cammino’, nel verbo cimr. myned etc.)}, attestati anche in
Francia, risp. iuxta Massiliam ...in Volcis e nella Lugdunense (NL Le
Mans)103 ;
– dei Lingones «the Springers» < *lengwh-on-es (cf. il verbo airl.

98
Per la palatalizzazione vocalica in sillaba atona e l’allungamento fonetico
della consonante in sillaba tonica v. anche quanto detto ai § I.c.a, II.c.a, III.c.a e
IV.c.a.
99
Resti di questa arcaica accentuazione sull’antepenultima affiorano ora in
parte del materiale ispanico, cf. DBSt 2002, p. 118s. al no 19, e 2005/2007, p. 156-
159.
100
LEIA-B-113; cf. l’interpretazione di questi ultimi data da DBSt 2008,
§ 5.1.2, avallata anche dalla più moderna variante Bodiocasses, con assimilazione
della -a- iniziale che si trovava in posizione pretonica.
101
Barrington, carta 17 : H4.
102
Cf. rispettivamente DBSt 2008, § 2.2 con bibliografia alla nota 42, e
KGPN, p. 153.
103
Plinio NH III, 130 e – con nn – IV, 107. – Si noteranno le reinterpretazioni
ipercorrette quali Genoma¥noi per il gruppo italiano (Strabone, Geogr. V, 1 § 9) e
Cenimanni, diventato addirittura Cenimagni, per il gruppo britannico (Cesare pa-
ce Rivet e Smith, p. 374s.). L’etimologia, presentata con più dettagli in DBSt
1999/2000, p. 91, si aggiungerà a Uhlich 2002, p. 423s.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 169

lingid ‘balza’), insediati anche tra Belgica e Germania Superior, co-


me documenta il NL LangresF.

B) Orizzonte geografico degli etnonimi


Etnonimi sicuramente coniati in ambito celtoparlante appaiono
diffusi (a) lungo tutto l’arco alpino dall’estremo est all’estremo ovest,
fino alla costa marchigiana. Il territorio, strettamente corrisponden-
te all’Italia settentrionale, appare leggermente più limitato con ri-
spetto a quello definito dai nomi di luogo, cosa che non sorprende se
consideriamo che le fonti antiche avranno parlato di Celti solo dove
la presenza di questi era massiccia.
Nel caso di etnonimi documentati unicamente da toponimi, è
prudente, qualora il territorio di attestazione del toponimo non
coincida con il territorio di attestazione del gruppo etnico corri-
spondente, supporre che il toponimo in questione derivi da un co-
gnomen tardio, anche se di matrice celtica, piuttosto che dall’etnico
celtico vero e proprio. Un esempio di questo tipo è il NL Mezzomeri-
co (in provincia di Novara, attestato come Mestomadrigo nel 918
A.D.104), laddove la presenza dei Mediomatrici è documentata nel no-
me e nella zona di Metz F.
Si danno poi i nomi di altri gruppi etnici che sarebbero interpre-
tati come celtici (b) se fossero documentati in altri territori. Così
p.es. in Corsica i nomi dei Likninoi, dei Tarabenoi e dei Titianoi e in
Sardegna quello dei Beronicenses ricordano assai da vicino l’onoma-
stica paleoispanica105.
Teoricamente celtico (g) potrebbe essere infine il nome degli
¶Elymoi nella Sicilia occidentale (con #h- nel PN Helymus 106), una
delle cui città era appunto Segesta; intendo dire che, se ci limi-
tassimo all’analisi linguistica prescindendo dai dati storico-ar-
cheologici, un etnonimo derivato per mezzo del suffisso aggettiva-
le -mo- (di impiego abbastanza frequente nell’onomastica celtica)
dalla base *pelu- ‘numeroso, viel’ (contenuta peraltro anche nel-
l’etnonimo celt. Helvetioi > Elvetioi) sarebbe non solo fonetica-
mente, bensì anche morfologicamente e semanticamente plau-
sibile.

104
Ricollegato invece direttamente con l’etnonimo dalla Tibiletti Bruno 1986,
p. 108.
105
E in particolare il personale cib. Likinos, documentato sul continente co-
me Licnos Contextos (RIG-L-10; il cognomen credo sia di tipo etnico e corri-
sponda all’etnonimo Contestani, sicuramente esogeno; cf. 2002, p. 117 al no 13);
l’etnonimo Tarbelli in Aquitania (un derivato analogo anche nel NL Tarbonia
della TaAV, Petracco Sicardi 1983); gli etnici dei Tittoi e dei Bhrwnev nella Cel-
tiberia.
106
Schmoll 1958, p. 57.

.
170 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

C) Caratteri specifici degli etnonimi attestati in territorio italiano


Tra le isoglosse di conservazione (a) sono da annoverare
– l’utilizzazione del significante seno- ‘vecchio’ nel nome dei Se-
nones nelle Marche, semanticamente corrispondenti all’airl. Túath
Sencheneóil ‘tribù della razza antica’ o Túath Senérand ‘tribù della
Irlanda antica’107, mentre in altri territori vi si sostituirà il tipo Ate-
cotti108 ;
– probabilmente i derivati in -us- come Nerusioi, Segusioi;
– Un arcaismo però modernizzato è contenuto nel nome degli
*Issubrēs < *issubreys ‘quelli di sotto alle alture’, attestato come
Isymbroi109 nonché, più frequentemente, nella forma ipercorretta
Insubres; si tratta del plurale di tema in -i- formato su *issu-bris, esi-
to fonetico del composto celt. *issu-briks formato con l’arcaico no-
me-radice *bh.ĝh-s ‘altura rocca’. L’isoglossa fonetica che qui si pre-
suppone (ks > s) è realmente documentata per lepontico e celtiberi-
co, nonché per il galatico110, e avrà indubbiamente favorito la
rinterpretazione come temi in -i- di nom. sing. in -is appartenuti in
origine alla declinazione consonantica.

Da quanto detto al § II.a.a a proposito dei Lēpontioi risulta inve-


ce meno probabile il carattere passivo dell’aggettivo verbale in -nt-.

Anche tra gli etnonimi ritroviamo poi le isoglosse di innovazione (b)


– *yo > ye in area ligure; l’isoglossa, che – torniamo a sottolinea-
re111 – risulta affine a quanto avviene in goidelico, rende conto del
passaggio di *Badyo-no-s a *Badyenos nel nome dei Badiennoi;
– la diffusa geminazione consonantica suffissale dovuta all’al-
lungamento f o n e t i c o della sillaba tonica aperta, visibile, oltre che
nel suffisso -enno- dello stesso etnico Badiennoi, nella variante Ceno-
manni del composto Cenomani.

107
Hogan, p. 653.
108
Si noti però che il popolo così designato viene ritenuto irlandese da alcuni
autori (Freeman 2002), fino al punto di essere considerato «a Latin rendering of
the Old Irish aithechthúatha» (Rance 2001, qui p. 249).
109
Strabone Geogr. V, 1 § 9 (2x) e 12. – Tra i nomi derivati da *ı̄s/ı̄ssu- (1995-
96, p. 119) potrebbe essere da annoverare anche la città britannica di Isoy¥rion,
ovvero Isu(r(i)um)-Brigantum BRI (diversamente Rivet e Smith, p. 379s.).
110
Cf., a parte il graffito Priś < *briks( ) a Montmorot nella seconda metà del VI
s. a.C. (Verger 1998/2001), la moneta insubre Natoris ‘re delle battaglie’ (< *n;to-rēg
s); il nome di zecche come N.e.r.to.bi.s e SEGOBRIS nella Penisola Iberica (sull’iso-
glossa e le sue conseguenze DBSt 2002, p. 102, 106s., 117); dativi come Bedorei e so-
prattutto Bwdorei formato sul personale galatico Bwdoriv (Falileyev 2001).
111
V. sopra ai § I.c.a e II.a.g.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 171

D) La stratificazione linguistica del territorio italiano come appare da-


gli etnonimi

– Gli etnonimi – e non solo quelli derivati da toponimi – soglio-


no essere linguisticamente più moderni di questi ultimi, e in partico-
lare meno opachi dal punto di vista semantico. Non sorprende dun-
que incontrare un unico caso in cui un etnonimo dell’Italia celtica
parrebbe essere stato derivato da un elemento preceltico o eventual-
mente preindœuropeo112. Si tratta di Langates, che alterna nella stes-
sa SeM con l’equivalente latino Langenses, anche se la base deriva-
zionale LANGA in esso contenuta, prevalentemente documentata in
toponimi ricorrenti in aree celtizzate e in qualche termine romanzo
indicante formazioni di terreno, viene da alcuni autori interpretata
come lessema celtico vero e proprio113.
– La presenza di per lo meno due livelli di celticità è docu-
mentata anche dalla coesistenza di entrambe le designazioni etni-
che, ovvero del tipo arcaico e probabilmente esogeno Keltoı¥, ap-
parso nelle forme etruschizzate di personale Celuestra (tardo VI
sec. a.C., Caere) e Keltie (prima metà del III sec. a.C., Spina)114, di
fronte al più moderno Galli, che si estenderà poi anche alle Isole
Britanniche115.
– Due strati si possono distinguere anche fra gli etnonimi deri-
vati per mezzo del suffisso *-ō(n) dei nomina personalia : il primo
preserva il regolare morfema -on-, come nel nome dei Lingones e Se-
nones, mentre il secondo ha esteso la terminazione -u# del nom.
sing. a tutti gli altri casi e numeri, per cui i più settentrionali Bexu-
nes ‘[dagli elmi] provvisti di becco (← gall. *bekko-)’ risultano al
tempo stesso più moderni116.

112
Vale a dire analogo agli esempi illustrati sopra al § I.d.
113
Ossia ereditario di matrice indoeuropea. Sulla voce romanza «*lanka
(gall.?) ‘Vertiefung im Gelände; Flußbett; lange, steile Wiese’ cf. la recente discus-
sione di Grzega 2001, p. 192, che però non parla delle varianti con velare sonora
(DT, p. 343 s.v. Langhe; su quelle spagnole cf. Nieto Ballester 1997, p. 208 s.v. Lan-
ga de DueroE), né tantomeno dell’apparente esistenza di un aggettivo *langā ‘lunga
(?)’ nel cib. l.a.Ka.z (Sonanten, p. 165, e MLH V/1, p. 215s.), attributo della Segontia
non Paramica nella legenda monetale A.77 (si noterà che l’avvenuta sonorizzazio-
ne a -z# della -s# del genitivo sing. celtiberico comprova la sonorità della conso-
nante, velare, con cui inizia la sillaba finale : DBSt 1999/2001 : p. 328s. con alcune
correzioni in ead. 2004/2005).
114
Cf. risp. Solinas 1993-94, p. 927, e Vitali e Kaenel 2000, p. 119.
115
La cronologia relativa dei due tipi di designazione fu individuata corretta-
mente dal Tovar 1977; da correggere è invece DBSt 1998 : § 1, a cui si rimanda so-
lo per le attestazioni del tipo seriore (Galli) in Britannia e in Irlanda.
116
Degno di nota è anche lo sviluppo fonetico kk > x di tipo gallo-britannico,
cf. DBSt 1999/2000, p. 90.

.
172 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

III. I TEONIMI

A) Parametri di celticità linguistica

Pochi sono i teonimi classificabili come linguisticamente celtici


che si documentano su territorio italiano.
Il criterio fonetico – o parametro a – è applicabile a Belenos
< *gwelen-o-s ‘sorgivo’ (– isoglossa b < ie. *gw ), la cui base derivazio-
nale *gwelen – ‘fonte’ è estratta dalla radice verbale ie. *gwelH- ‘goc-
ciolare, sgorgare’ e trova un confronto nel ted. quellen, Quelle e nel
gr. balaney¥v, balaneı̃on117.
Per quanto poi riguarda la formazione della parola – o parame-
tro b –, ritroviamo fra i teonimi
– dei derivati, come si è detto, originariamente participiali in
-auno-/ā; così le matrone Concanaunae ‘inclite’ o evtl. ‘sonore’, se da
un femm. sing. *kon+kan-a-mnā (che si confronterà con il personale
Adcanaunos ‘inclito’ della legenda monetale arverna RIG-4-12), a
meno che non siano derivate dall’etnico dei Concauni118 ;
– dei derivati in -ŏno-/ā (anche in Italia è documentato il culto a
Epona ‘la equina divina’ < *ekwŏnā);
– dei derivati in -mo- come nel nome del Genius Coloniae Bri-
xiae Bergimos, ‘elevato’.

Al criterio di celticità lessicale – o parametro g – rispondono


– le divinità delle querce nelle dediche – rispettivamente da Mi-
lano e da Brescia – Matronis Dervonnis e Fatis Dervonibus, dalla ba-
se dervos, cimr. derw, co. derow, bret. daeru ‘quercia’119, nonché
– il dio Bras(s)ennos, riconducibile all’etimo di cimr. e aco. bras,
bret. braz, airl. bras ‘grande’ (< ie. *gw.H-sto- ‘pesante’).

Infine con rispetto al criterio dell’esistenza di nomi corrispondenti


nel mondo celta – o parametro g –, troviamo per
– Abinios120 un confronto nei teonimi AbilosGAL e AbionaNOR&HIS 121,

117
Per maggiori dettagli sulla nuova etimologia – recepita da Šašel Kos 2001,
p. 13 – cf. DBSt 2000/2003, p. 56s.
118
DBSt 1995, p. 292s. con bibliografia, e ora 2008, § 8.1 con la nota 93.
119
DBSt 1995-96, p. 120, con bibliografia; per le continuazioni in territorio
romanzo cf. Wolf 1997, p. 102s. (con una carta della distribuzione lessicale in
Francia).
120
Rémy 2000, p. 918.
121
A DBSt 2002/2005b si aggiunga ora Garcia Quintela e DBSt 2008.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 173

e per la già ben nota


– Epona un confronto nei vari personali gallici con Epo-.

B) Orizzonte geografico dei teonimi


Ancora una volta, l’orizzonte geografico sicuro (a) è quello del-
l’Italia settentrionale. Vediamo infatti che il nome di Belenos, vene-
rato soprattutto ad Aquileia e documentato già per il V sec. dal per-
sonale teoforico datBellenei del corpus venetico122, appare conservato
nei NLL Blénio, Belegnano, Bellino, Beligna – attestati rispettivamen-
te in Veneto, Piemonte e Lombardia.
Toponimi come Arconate documentano invece solo la presenza
di un personale teoforico123, che nel caso in questione è evidente-
mente lo stesso tema in nasale Arcō, Arcon- documentato come teo-
nimo nella Penisola Iberica ed estratto dalla base ie. *p.ksko- ‘invo-
cazione’124, contenuta anche nel NL Arcobriga HIS.
Ci si può poi chiedere (b) se la Reitia venerata – anche da vari
Celti125 – in territorio venetico possa avere un’origine celtica126. L’in-
terpretazione più plausibile riconduce infatti tale divinità ad una
protoforma *reg-t-yā, il cui sviluppo fonetico VKt > Vit, contrario a
tutto quanto si conosce della lingua venetica127, è invece ben docu-
mentato – come risulta tra l’altro proprio dal nome ReitugenosPAN –
in varie zone del celtico, continentale oltreché insulare128.
Di forse non impossibile celticità (g) è anche il santuario della
dea Marica «in Küstennähe» a Minturno (provincia di Latina), del
VII secolo a.C.129 ; l’elemento onomastico coincide infatti con il per-

122
*Padova 25 : l’appositivo della «formula onomastica bimembre» viene in-
terpretato come derivato del gall. Bello- dal Prosdocimi, che però non ne spiega la
peculiare formazione di parola (i.a. 1985, p. 575s.).
123
Se però non si trovasse nessuna traccia del culto di GRANNOS, sarà da cor-
reggere quanto da me detto 1995-1996, p. 112, sul NL Grana in Piemonte.
124
DBSt 2000/2003, p. 62; il passaggio semantico a ‘dio’ trova confronti tanto
nel celtico stesso (Ucuetis) quanto nel germanico (got. guþ : ingl. god e affini).
125
Oltre ai Boi Lemetor Boios e Moldo Boiknos (Este 28 [con Boios come in-
dividuale con datLemetorei vhraterei secondo Lejeune 1974, p. 202] e 66) ricordere-
mo Voltiomnos Iuvants Ariuns e Vants Moldonkeo Karanmns (Este 25 e 24), non-
ché donne come Verkondarna e Katakna (Este 43 e 52).
126
Si confronterà quanto diceva lo stesso Prosdocimi nel 1967 (p. 157-161),
dato soprattutto che le «ragioni cronologiche» che lo inducevano allora a scarta-
re l’ipotesi di celticità – vale a dire il fatto che il culto di REITIA sia attestato già
per il V sec. – non costituiscono più un argomento a sfavore.
127
Ossia ven. hvagsto, vhagsto, segtio, ktulistoi etc., cf. Lejeune 1974 § 142s.
128
OPEL s.v. Si aggiungerà in margine che una parte del celta ispano cono-
sce una semplificazione *VKt > V:t (in Ambatos e nel cib. R.e.tu.Ke.n.o.s : DBSt
2002, p. 102 e 117) paragonabile a quella dei dialetti veneti, emiliano orientali e
romagnoli (Grzega 2001, p. 287).
129
DNP s.v.

.
174 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

sonale del boio Mariccus «adsertor Galliarum et deus»130 (dalla base


gall. maros < *mōro-s ‘grande’) e con il nome dei Marici, documenta-
ti nella zona di Pavia.

C) Caratteri specifici dei teonimi attestati in territorio italiano

Anche nel corpus teonimico si riscontra assai chiaramente l’iso-


glossa di innovazione (b) costituita dalla
– geminazione nei suffissi del tipo -ŏnno- (< ie. & celt. *-ŏno-),
dovuta come si è detto all’allungamento f o n e t i c o della sillaba to-
nica aperta cf. i già citati Bras(s)ennos, Dervonnae, Mertronnos, non-
ché il nome delle matronis Saluennis nelle Alpi Marittime131.

Non sappiamo invece se


– la forma con #m- del verbo *s-mer- ‘dispensare’ attestata pres-
so Milano in Herculi Mertronno 132, vs. i transalpini SMERTRIOS ← *s-
mer-tr- ‘dispensatore’ e RO-SMERTA, e
– l’italiano Bergimos rispetto al tipo BRIGANTIA
rappresentino anch’essi delle innovazioni o non piuttosto degli
arcaismi (a).

D) La stratificazione linguistica del territorio italiano come appare dai


teonimi

– L’arcaismo del corpus italiano traspare anche dalla frequenza


della forma originaria Belenos del nome del dio delle fonti; rara ne è
invece in Italia la variante Belinos con indebolimento *e > i in sillaba
atona per via dell’accento arcaico sulla sillaba radicale, variante che
si inserisce poi nel gruppo dei derivati con suffisso -íno- e il cui vo-
calismo derivazionale potrebbe essere stato anche influenzato dal ti-
po teonimico Belisama/BelisamarusF, originaria formazione di su-
perlativo da una radice etimologica differente133.
– La presenza di due diversi livelli di celticità potrebbe manife-
starsi anche nella coppia Marica vs. Bras(s)ennos, qualora semanti-
camente equivalenti134.

Tacito, Hist. II, 61, con riferimento al 69 d.C.; cf. DNP s.v.
130

Rémy 2000, p. 914. Sui Salues > Salui > Salluvii cf. ora DBSt 2006, p. 46.
131

132
CIL V, 5534 : cf. Duval 1953-54, p. 224.
133
< *bhel-isamā ‘la più forte’, translatio Celtica dell’epiteto di Minerva Victrix.
134
Trattati sopra risp. ai § III.b.g e III.a.g; si noti che in Bras(s)ennos anche
la semplificazione di *st è indice di modernità.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 175

IV. I NOMI DI PERSONA

A) Parametri di celticità linguistica


Per il loro aspetto fonetico è possibile classificare come celtici
(parametro a), tra gli altri, nomi di persona quali Litania ← Lita-
nus NAR&AQ, corrispondente ad airl. lethan, cimr. lydan etc. ‘ampio’ < ie.
*p/t-ano- (– isoglossa *#p- > Ø e – isoglossa liC < */C); Mantia con il
grado Ø della radice *men- ‘sporgere’ come nel cimr. mant ‘bocca,
labbra’ (– isoglossa an < *en < *;); ARGANTOCOMATERECVS/ArKato-
ko{k}materekos a Vercelli, in *-iko-s apparentemente derivato da un
composto trimembre *arg-;t-o- (– isoglossa an < *en < *;) + {ko(m)-
+mh1-ter-]; gli ultimi due elementi costituiscono un pendant celtico
del nomen agentis *{pro-+meh1-ter-}, anch’esso formato sulla radice
verbale ie. *mē- ‘misurare’ e contenuto nell’apers. framātar- ‘giver of
judicial decisions’135.
Di possibile provenienza italiana è anche il genSamorigos in alfa-
beto di Novara su una perla di vetro, formato sul già noto nomSamo-
rix ‘re della pace’ (– isoglossa i < *ē)136.
Caratteristica dei personali celtici è poi una formazione della
parola (parametro b) in cui spiccano i derivati
– in -uso- cf. Attusa, Attuso, Atusius;
– in -eto- cf. genAśkoneti e Aśkonetio, formati con sviluppo foneti-
co lepontico a partire dal celt. Adgonetvs 137, la cui base derivazionale,
documentata anche nel NP gall. Adgonna NAR, rappresenta uno dei
composti verbali con ie. *gwhon-o-s ‘Slayer’ come secondo mem-
bro138 ; lep. Kiketu (formato su Cingeto- ‘guerriero’), mentre il geniti-
vo di origine139 Segeuu su legenda monetale rappresenterà più pro-
babilmente il nome Segedu. Un iperderivato con il suffisso -eto- è an-
che il gall. Mogetius, nome teoforico basato sull’epiteto divino
MOGETIOS NOR&FR ‘potente’;
– con suffissi in velare cf. Bnake < *Bennákos a Vàdena nel IV /
III secolo a.C.140 e Silucius ← silo- ‘seme > discendenza’ (airl. síl ‘id.’)
in Piemonte e Lombardia.

135
Da cui il persiano med. e mod. framādār ‘visir’.
136
OPEL, p. 47. A sfavore della lettura **-ritos proposta dal Gambari 2001,
p. 35, parlano invece i seguenti argomenti linguistici : 1) la maggiore opacità; 2)
l’assenza di paralleli; 3) il tema in -o- invece che in **-u- come ci si aspetterebbe
tanto a partire dal lessema celt. ‘córso’ quanto dal celt. ‘guado’ (risp. < ie. *.tu- e <
ie. *p.tu-: NWÄI, p. 95 e 290).
137
Attestato nel Norico nonché, in qualità di Adgónnetus, nella Narbonense
(OPEL s.vv.).
138
Da aggiungere a Uhlich 2002, p. 417.
139
V. oltre al § V con le note 190s.
140
Markey 2000.

.
176 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

Esempi del lessico specificamente celtico che può essere contenuto


in nomi di persona (parametro g), sono
– il lessema nemeto- ‘luogo sacro; lucus’ nel personale monote-
matico141 *Nemet-yo-s, attestato come Nemetie in contesto etrusco a
Genova nel V sec. a.C.;
– l’elemento -bogios ‘che rompe (le schiere)’, cf. il verbo airl.
.
con boing ‘rompe’; si tratta, tra l’altro, dell’elemento che individua
come fratelli secondo l’uso indœuropeo arcaico, le due (e solo due!)
persone commemorate a Briona, vale a dire Anokombogios, che si
chiamò o aggiunse il nome Kuintos quando fu ambasciatore a Ro-
ma, e Sentubogios ‘colui che apre il cammino’. La rinterpretazione
della stele di S. Bernardino di Briona142 in cui al nome dei due fratel-
li defunti appartenenti alla famiglia dei discendenti di Dannotalo
(Dannotaliknoi), fa seguito l’indicazione dell’esecutore della stele un
Dannotalos identificato come Anarevišeos, è resa necessaria tanto
dalle nuove conoscenze riguardanti la morfosintassi gallica143 quan-
to dallo studio delle usanze onomastiche indœuropee e dalla tipolo-
gia del genere testuale;
– il tema verbale gall. lubie/o- ‘desiderare, amare’, come in Lu-
bius, Lubicius, Lubiamus, Lubama.

Infine, un pendant onomastico sicuramente celtico (parame-


tro d) si può incontrare i.a. per i personali
– Ategnatos ‘riconosciuto, illustre’ dell’iscrizione di Todi; si tratta
del NP airl. Aithghnath;
– Banona < *gw;H-onā ‘la donna divina’ : la cimr. Banon144 ;
– [Belatu]kadriakos ad Altino145 nel teonimo britannico Belatuka-
dros ‘forte in battaglia’;
– Cunopennos ‘cinocefalo’ nel NP airl. Conchenn, attestato più
anticamente in ogam come genCUNACENNI ;
– SeKezos, ‘potente’, su quattro ciotole da Como il NL SeKeiza
corrispondente alla legenda monetale celtiberica A.78146.
Esiste poi tutta una serie di testimonianze relativamente arcai-

141
Cf. i.a. airl. nemed gl. sacellum : NWÄI, p. 150, e De Simone 1980, p. 199s.
L’evidenza del lepontico e del celtiberico (v. oltre al § IV.c.b) fa apparire superata
l’interpretazione come «Kurzform» di De Simone, ibid. p. 200.
142
Presentata nel 1999 a Bonn come lezione inaugurale.
143
de Hoz 1995.
144
La stesssa base derivazionale è presente anche nel teonimo airl. Banba (<
*gw;(H)-w-yā, cf. DBSt [1997] in 2000/03, p. 42).
145
Zaccaria 2001-2002, p. 132.
146
La forma soggiacente *Segedya sarà sorta come forma aggettivale in -yā
da Ségeda HIS.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 177

che di nomi di persona basati su etnonimi celtici : nel III s. a.C. in-
contriamo in ambito etrusco Keltie (< *Kelt-yo-s ‘Il celta’) a Spina,
Eluveitie (< *(H)eluet-yo-s ‘L’elvetico’) a Mantova e il gentilizio Ruta-
nie (< *Rúten-yo-s ‘Il rutenico’) su un cippo a Bolsena, nonché Boios,
Boiknos e *Boialos in ambito venetico147.

B) Orizzonte geografico dei nomi di persona


Data la facilità con cui viaggiano i nomi di persona, non è prati-
camente possibile trarre nessuna conclusione dall’area di dispersio-
ne degli stessi. Desidero comunque far notare ancora una volta che
la lingua e l’onomastica personale celtica incontrate a Todi nel II s.
a.C. devono aver corrisposto a un gruppo sociale celtoparlante in si-
tu (a), essendo praticamente impossibile che una lapide di
125 × 60 × 20 cm. venisse trasportata casualmente.
Per il resto, la mobilità personale nell’Italia antica – studiata co-
me ricorderemo dal Campanile – rende possibile, anche se di scarsa
importanza, l’interpretazione celtica di nomi sparsi in territori tradi-
zionalmente non celtici (b), come nel caso del gostiqo attestato a
Ragusa (Hybla Heraea)148, nel quale è facile vedere un derivato in ve-
lare /gostiko/ o /gostiko[s/ dalla stessa base *ghosti-s ‘ospite’ conti-
nuata nel /-gozis/ di Prestino.

C) Caratteri specifici dei nomi di persona attestati in territorio italiano

Tra gli arcaismi (a) ricordiamo


– Cot(t)ius/a, che in gran parte dei personali italiani indica tutta-
via provenienza geografica, cf. la dinastia dei COZII. Non sappiamo
invece se l’<Esanekoti> della stele di Briona corrisponda realmente
all’indicazione di paternità dei due fratelli, vale a dire al gen. sing. di
un *Eks-ande-kottos, né se, in caso affermativo, l’aggettivo -cottos si-
gnifichi qui semplicemente ‘ricurvo’ o già ‘vecchio’ (Sembra infatti
più probabile che si tratti di un verbo plurale in posizione finale di
frase, riferito quindi ai due fratelli);

147
Tutti discussi da Vitali e Kaenel 2000; v. anche sopra al § II.d per Celuestra
e alla nota 125 per il secondo gruppo.
148
Schmoll 1958, p. 36, no 29 in alfabeto greco : «Steinfragment [...] Ein-
heimischer P(ersonen)N(ame)?». – Si ricordino i.a. la ricerca di mercenari tra le
tribù celtiche da parte di Dionisio di Siracusa all’inizio del IV sec. a.C. (cf. la bi-
bliografia citata da Maier 1996 [1997], p. 87) e i nuovi ritrovamenti archeologici
del V sec. a.C. (Rapin 2001). Cf. ora anche Cordano 2003, p. 43 e fig. 6 : «genitivo
[...] di un nome personale non greco, che è stato giustamente avvicinato al lat.
hostis».

.
178 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

– la preservazione del nome-radice *bh.ĝh-s ‘rocca’ nel cognomen


Brigovix ‘Burgkämpfer’;
– alcuni resti di suffissazione elativa in -(a)mo- : lep. Ufamo-149 ;
Vindamulate a Vàdena, che si interpreterà meglio come composto
attributivo del tipo mahadeva, ossia come ‘brillantissimo guerrie-
ro’150 ; Vesumus.

Numerose sono invece le isoglosse di innovazione (b), varie delle


quali sono state già osservate in concomitanza con le altre categorie
onomastiche
– la labializzazione o+Lab > u+Lab di tipo ligure (e celtiberico),
come nella base del Vultiauiobos di Prestino151;
– nd > nn, come nel Rinnius attestato in Piemonte (← *rindi- :
airl. 1rind ‘punta, apice’152) nonché nell’<Anarevišeos> di Briona
< *Andarewisseyos, genitivo di tema in -i- composizionale *ande-are-
wid-t-i-s ‘che ha in sé dei segni’ (la base derivazionale si confronterà
con il termine giuridico cimr. cyf-ar-wys ‘segno > pegno > ricompen-
sa, dono’153);
– l’assibilazione del nesso dyV – che si osserva in area circoscrit-
ta154 cf. i personali Uveza e Mezu sulle stele di Filetto e Zignago155, per
l’ultimo dei quali sono attestate più tardi anche varianti del tipo
gen
Medsilli, Messilla, Messilus, Messius, nonché il SeKezos < *Segedyos
del corpus lepontico visto sopra;
– una assibilazione del corrispondente nesso sordo tyV che sem-
bra accompagnarsi alla precedente quale variante seriore e probabil-
mente diatopica, cf. eventualmente Vols(s)o vs. il dat.pl{Vu}ltiauiobos
di Prestino e il nome di Medussa Cariassi 156, i.e. *Medutya figlia di
Karyatyos (cf. Medutius, Medutio e Meduti-ca in Hispania e risp. Ca-
riatus in Belgica). In questa stessa ottica si può poi arrivare a chie-
dersi se il lep. Reśu a Giubiasco rappresenti il gen. ablativale di un
*Retios e se ci sia una relazione tra il frequente Celsus e CeltiusHIS ;

V. in basso alla nota 151 e al § IV.d con la nota 171.


149

Diversamente Markey 2000, p. 39.


150

151
La fotografia del gradino inclusa nel recente studio di Markey e Mees
2003, in cui si legge chiaramente dat.plUvltiauioPos, con inversione grafica da cor-
reggere in {Vu}ltiauiobos, mi obbliga a ritrattare quanto detto nel 1990, dove mi
rifacevo a una lettura della Tibiletti Bruno.
152
Cf. anche Grzega 2001, p. 220, su un pendant continuato nella Cisalpina.
153
Cf. la bibliografia in Bromwich/Evans, 1992, p. 52s.
154
Ancora una volta si tratta di una isoglossa, lo sviluppo dyV > dz > z, già ri-
scontrata per il celtiberico (DBSt 1999/2001, p. 328-331).
155
Suffissati risp. in *-dya e *-dyō(n), cf. Prosdocimi 1984/87 p. 77s. Una in-
terpretazione leggermente differente ora in DBSt 2006, p. 47.
156
Dai materiali di Zaccaria al workshop F.E.R.C.AN. di Osnabrück (2002).

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 179

– l’anticipazione della palatalità, anch’essa osservabile solo in


area circoscritta, cf. il <Kosioiso> del VI s. a.C. a Castelletto Ticino,
analizzato dal Prosdocimi come /Gostioiso/ piuttosto che come
/Kossioiso/157. Uno sviluppo leggermente differente è quello che tra-
spare dal Koisis di Todi (dove la -i- che palatalizza è vocalica, anche
se l’esistenza del personale Coisa158 potrebbe far supporre che si trat-
ti di un *Kosyos italicizzato) nonché da Eluveitie (dove a palataliz-
zarsi è stata una vocale già palatale159);
– l’epentesi – in un contesto del tipo #VRVC/RV, parallela cioè a
quanto si osserva nel cib. gen.plTu.r.u.m.o.Ku.m riferito ai Turmogi160,
cf. lo stesso Eluveitie, NPP come il ligure Alebinna 161 e Argantocoma-
te Recus;
– la geminazione consonantica in seguito all’allungamento fone-
6 6
tico della sillaba tonica aperta VCxCxV < VCxV come in Nitiogenna162,
parallelo alla forma ogam INIGENA = filia; in Congonnus con il
gen
Congonni a Susa e il femCongonna, da un originario *kom+gwhon-o-s
‘absolute slayer’163 ; in Vassilla, sulla base derivazionale Vassa, il fem-
minile di vassos164. Lo stesso fenomeno si osserva poi a Brescia nel
personale di stock latino Quintallos;
– la specializzazione del suffisso ie. *-(a)lo-/ā con funzione pa-
tronimica in area lepontica, cf. la stele di Davesco, dedicata a TI-
TIOS figlio-di-BIVONTIOS (datPivotialui) e a SLANIA figlia-di-VERGOS
(datVerkalai). Il suffisso -alo- con funzione patronimica è presente
anche ad Oderzo, nel corpus venetico, dove una grammatica celtica
e con il genitivo di possesso pronominale in *-osyo conosciuto dal
corpus lepontico165 ingloba una onomastica chiaramente italica
Kaialoiso Pazros Pompetexuaios ‘[opera] del-figlio-di-Gaios’; Pa-

157
Cf. la discussione in Solinas 1993-94, p. 914s. – Si noti che in entrambi i
casi la regola del celtiberico, e di altre zone del celta ispano, con *VCyV > ViCV
vs. VCCyV preservato per via della consonante doppia (DBSt 1999/2001, p. 324-
328, e 2002, p. 98-102 e 116s.) spiega perfettamente l’apparente asimmetria della
forma lepontica.
158
Cf. Motta 2000, p. 211.
159
A differenza di quanto succede nella Penisola Iberica. Noterò comunque
che prima della convincente analisi di Vitali e Kaenel 2000 (v. sopra al § IV.a.d)
pensavo che l’idionimo continuasse un originario *pelu-weid-yo-s ‘*multi-sciente’
corrispondente all’idionimo cimr. Elwydd.
160
Cf. la discussione della bibliografia relativa al fenomeno in DBSt 1999/
2001, p. 321s.
161
Mercando/Paci 1998, no 90 con bibliografia.
162
Citato da Rémy 2000, p. 923. Sul determinante Nitio – v. sopra al § I.c.b;
obsoleto ora Maier 1997 [1998] su gall. *genā ‘ragazza’, cf. DBSt 2007 [2008].
163
Rémy 2000, p. 911, e OPEL s.v.; v. inoltre quanto detto sopra al § IV.a.b
con la nota 138.
164
Esatto corrispondente di cimr. gwas : airl. foss ‘servitore’ < *upo-sth2-o-s.
165
Della anticipazione di palatalità si è detto sopra.

.
180 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

tros166 il-Cinquelingue [qui giace]’. Si tratta cioè nel corpus venetico


di un caso perfettamente equivalente, anche se simmetricamente
speculare, a quello delle iscrizioni lusitane nell’ambito del corpus
in alfabeto latino della Penisola Iberica, nelle quali come sappiamo
una onomastica di matrice celtica si incontra inserita in una gram-
matica possibilmente di tipo italico e comunque sicuramente non
celtica167 ;
– la specializzazione del suffisso di appartenenza -iknā con fun-
zione gamonimica osservabile in area lepontica, come dimostra il
fatto che in tutto il corpus non si hanno esempi della corrisponden-
te forma maschile; cf. a Carcegna la lapide Metelvi Maešilalvi Ve-
nia Metelikna Ašmina Krasanikna ‘per Metelos, figlio-di-Messillos;
Venia, moglie-di-Metelos, [&] Asmina, moglie-di-Krasanos168, [la
posero]’;
– la monotematicità che prevale tra i personali lepontici, proba-
bilmente per effetto della moda etrusca169, cf. Viku a Sesto Calende e
a Chiusi, già nel VI sec. a.C., o l’arcaico datKailui del corpus venetico
friulano170 ;

D) La stratificazione linguistica del territorio italiano come appare dai


nomi di persona
– Lo strato più arcaico della celticità italiana presenta tuttora re-
sti dell’occlusiva labiale sorda in posizione intervocalica cf. l’Ufamo-
gozis di Prestino nel V sec. a.C.171 e il gen.plHelvonum della TaAV, men-
tre la *#p – è ormai completamente scomparsa nel più moderno Elu-
veitie di Mantova (vs. l’etnico Helvetii nella forma trádita da Cesare).
– Si osservano poi diversi livelli di continuazione del nesso ps,
conservato in Upsidius, Upsidia172 vs. il tipo ‘classico’ Uxesina e quin-
di – con ulteriori semplificazioni – Ussius e infine Usonius.

166
Non è necessario vedervi un più antico *Quadros; si noti comunque l’assi-
bilazione – di tipo celtico – della dentale davanti a r.
167
Non c’è quindi nessuna ragione di ricostruire ad hoc allomorfi supposta-
mente celtici di *d;ghwāt- con grado pieno e senza dentale, riduzioni di *kwet-
wores e labiovelari labializzate già per il celta del VII/ VI secolo a.C. come hanno
fatto di recente vari studiosi solo e unicamente per spiegare il testo di Oderzo.
168
Resta implicito il patronimico **Metelala ‘figlia-di-Metelo’. Si noti che
un’interpretazione in questo senso apporta al tempo stesso un ordine più logico
dei nomi delle due dedicanti.
169
Innovazione affermatasi anche tra i personali specificamente celtiberici :
DBSt 2000, p. 112s. con bibliografia.
170
Risp. Morandi 2000, p. 10, e Crevatin 1996, p. 23.
171
V. quanto detto sopra alla nota 151 e cf. Prosdocimi, i.a. 1985 p. 564s., ed
Eska 1998.
172
Che si incontra risuffissato in nasale nel cib. Usizu ‘Massimo’.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 181

– Abbiamo anche la conservazione della labiovelare sorda in


Atekua (DBSt 1990, p. 30s.)173, mentre la p da *{kw, kw} appare già nei
corrispondenti Atepa e *Atepos (documentato questo come genitivo
ablativale Atepu) del corpus lepontico; inoltre nel personale Vequa-
sius/a preservatosi in iscrizioni piemontesi174, mentre la sua base de-
rivazionale *wekwos ‘voce, parola; volto’ si realizza come vepos in
gallico. La labiovelare appare poi delabializzata nel ‘veggente’ Aki-
sios della stele di Vercelli (< *ad-kwis-yó-s).
– Esempi di conservazione si hanno anche per il nesso st, che
appare preservato nei Vilagostis e Vilagostius piemontesi175, mentre è
già semplificato nel pur antico -gozis di Prestino e finirà poi per dare
la -ss- di Segessa e genEluissonis.
– A differenza invece di quanto constatato sopra per gli etnici,
nel caso dei NPP la generalizzazione della nuovo morfema -un- può
essere più arcaica (Vlatunus) del tipo con tema in -on- (Vennonius/
a), laddove quest’ultimo sia dovuto a latinizzazione, come nel caso
di Vlato ‘Il sovrano’, nome probabilmente teoforico (cf. ora DBST
2007/c.s.). Una soluzione intermedia sembra essere quella di lep.
dat.pl
ariuonebos ‘ai Signori’, evidente determinatum dell’iscrizione –
sintatticamente SOV – di Prestino176 ;
– Con rispetto all’accento, l’epentesi in Eluveitie e sim. sembra
essere originata in un arcaico derivato proparossitono vs. la normale
parossitonia gallica, che, documentata già tra il IV e il III sec. a.C.
dal Bnáke sincopato di Vádena, traspare anche dal Matobógios assi-
milato di Cureggio177.

V. CONCLUSIONI

Si noterà innanzitutto che i tratti linguistici di innovazione finora


attribuiti al ligure onomastico risultano oggigiorno coincidere con
normali isoglosse presenti per lo meno in uno dei corpora linguistica-
mente celtici; è questo in particolare il caso della labializzazione di
o+Lab in u+Lab178, della anticipazione palatale, della palatalizzazione
del nesso yo in posizione atona, dei suffissi -asko-/ā e -inko-/ā179.

173
Il Tokua del IV / III sec. a Verona (Morandi 2000, p. 19) parrebbe invece
rappresentare /Tongwa/, vale a dire il femminile del NP Tongus che si documenta
fuori d’Italia (Delamarre, p. 298 con bibliografia).
174
Una volta anche nella variante ipercorretta Veiquasius.
175
Mercando/Paci 1998, p. 113.
176
Cf. la bibliografia citata in NWÄI, p. 349.
177
Per l’iscrizione cf. Motta 1995.
178
Che servirà anche a spiegare la u di Blustiemelo (no 3 e no 1 nel catalogo di
Lejeune 1972, p. 266).
179
Privi di fondamento sono i no 6 e 7 del catalogo di Lejeune 1972, p. 266; la
vecchia connessione di bormo- e derivati con l’ie. *gwher- ‘caldo’ (ibid. al no 9 e in

.
182 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

Anche il gruppo dei nomi riconoscibili come celtici tra quelli del-
la zona considerata ligure appare più numeroso, cf. pago Ambitrebio,
Bagienno, Medutio; saltum Canianum, Catucianum, Helvonum; fund
(um) Bivelium, Cumallianum, Maticianum, Nitielium, Roudelium
etc. nella TaAV180. In particolare, uno dei gruppi stanziatisi sulla co-
sta ligure risponde al nome celtico di ‘Picti’; si tratta degli Ingauni, il
cui etnonimo sussiste nel nome dell’odierna Albenga e – come abbia-
mo mostrato al § II.a.b – vuol dire proprio ‘Picti’ in celtico.
Si può poi constatare che dal complesso dei materiali onomasti-
ci a disposizione traspare una facies linguistica particolarmente ar-
caica, caratterizzata dalle isoglosse di conservazione presentate nei
rispettivi § (C) e (D) dei cap. I-IV. Si tratta di una facies che non solo
non comparte le innovazioni caratteristiche dell’area ligure, ma che
– come rivela il confronto con Hercynia o con Equos ed evtl. Qu-
tios 181 a Coligny – non è neppure specificamente italiana. Propongo
pertanto di distinguerla con il nome di ‘hercyno-sequano-ticinese’ o
più semplicemente di ‘sequano-ticinese’. Ricorderemo infatti che di
«Sequanian» – utilizzando un termine geografico motivato allo stes-
so tempo linguisticamente e archeologicamente – parlava già nel
1898 il Nicholson per indicare una fase assai arcaica del celta conti-
nentale182 ; e ugualmente duplice è la motivazione dell’aggiunta ‘tici-
nese’, dato che l’alta valle del Ticino corrisponde al territorio degli
insediamenti più antichi e che l’idronimo Ticinos – come abbiamo
visto al § I.D – rappresenta proprio una delle forme in cui una labio-
velare sorda si sottrasse per tempo a quella che in seguito sarebbe
stata una labializzazione generale183.
Chiameremo poi ‘liguri’ tanto il dialetto celtico con innovazioni

Pellegrini 1981, p. 38) invece che con l’ie. *bher- ‘ribollire’ (Prosdocimi 1985,
p. 568; v. anche sopra al § 1.a.a con la nota 11) ritorna a essere un’alternativa pos-
sibile per via del nuovo ciottolo di Briona (Rubat Borel 2005/2006).
180
Dalle note basi derivazionali celtiche ambi+treb-, badyo-, medu-t-, kanyo-,
katu-k- (cf. anche la base celt. katak- nel gentilizio etrusco Katacina a Orvieto,
agli inizi del VI s. a.C. [De Simone : i.a. 1982, p. 201]), (p)elu-, bivo- (< ie.
*gwiwo-), kámulo-, mati-k-, nityo-, roudo-.
181
La proposta di Nicholson 1898 (p. 12 : «is doubtless connected with Lat.
quatio and -cutio, Irish cáith ‘chaff’ [LEIA-C-23 ‘balle (des grains)’] and means
‘Threshing-month’») è tuttora più che valida : la aggiungeremo pertanto a Dela-
marre, p. 133s. nonché a RIG-III, p. 267 e 423, ricostruendo dalla radice verbale
*(s)kweh2t ‘durchschütteln’ (LIV, p. 510) un nom. sing. con grado zero *kūt-yo-s >
qutios/cutios; si noterà inoltre l’arcaismo costituito dal gen. sing. in *-yo di tipo
ablativale preservato nel qutio/cutio e in altri nomi di mesi dello stesso calenda-
rio.
182
Quella appunto che conosceva tanto la *p che le *kw e *kw indoeuropee e
che il Nicholson intuiva presente nel calendario di Coligny, di cui fu primo e bril-
lante commentatore.
183
Propria del celta continentale di tipo gallico.

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 183

proprie che traspare dal corpus onomastico della zona ligure, quanto
quegli elementi che, incapsulati non solo nelle stele della Lunigiana
del 500 a.C. ca., ma anche in altri documenti celtici arcaici, non con-
dividono però il fascio di isoglosse caratteristiche del lepontico vero e
proprio – né tantomeno del gallico –, mostrando invece assibilazione
del nesso dy+Voc, anticipazione della palatalità o/aCyV > o/aiCV o an-
che – come nel nome di Latumaros a Ornavasso – la labializzazione
vocalica di cui sopra. Si può così circoscrivere un dialetto sviluppato-
si in un secondo momento – e soprattutto in un territorio delimitato,
anche se più ampio della Liguria attuale – dalla primissima fase lin-
guistica celtica, qui battezzata ‘sequano-ticinese’, il quale intrattiene
con quella più o meno la stessa relazione che passa tra il dialetto della
regione celtiberica e il celta ispanico184. In vari casi abbiamo potuto
addirittura constatare che le isoglosse fonetiche che si conoscono dal
celtiberico (epentesi, labializzazione di o+Lab in u+Lab, assibilazio-
ne del nesso dy+Voc, anticipazione della palatalità o/aCyV > o/aiCV) si
trovano in nuce già in questo celta ligure185 di più ampia definizione;
ciò concorda con l’evidenza archeologica, dato che le ricerche più re-
centi indicano che proprio gli stimoli procedenti dai territori setten-
trionali dell’Italia antica furono tra i catalizzatori più importanti im-
plicati nella configurazione della cultura celtiberica186 ; nello stesso
senso si può inoltre interpretare la ripetizione, oltre che del suffisso
-asko-/ā, di alcuni elementi onomastici nei due territori187.
A differenza delle due prime fasi linguistiche riscontrate nella
celticità italiana, che ci appaiono pressoché esclusivamente fossiliz-
zate nell’onomastica, il lepontico delle iscrizioni, che Lejeune 1972,
p. 269, proponeva di chiamare «luganien», ci si rivela con un profilo
di innovazioni non tanto fonetiche (nd > n(n) e -ks > -s¥ , anch’esse pro-
prie in parte del celtiberico se non del celta ispano; dg > śg, st > z)
quanto soprattutto morfologiche. Sono queste ultime (l’acc. plur.
consonantico in -eś188 ; il nom. plur. tematico in -oi; il gen. sing. tema-
tico di origine pronominale e valore possessivo in -oiso189, che già dal

184
Sul celtiberico come dialetto centrale rispetto alle rimanenti varietà celti-
che individuabili nella Penisola Iberica cf. DBSt 2002.
185
Si potrà anche parlare di ‘celtoligure’, a condizione però di intenderlo co-
me semplice etichetta geografica, mentre la vecchia etichetta presuppone l’esi-
stenza di lingue ‘geneticamente pure’, laddove tutte le lingue che conosciamo si
sono invece innestate su uno strato linguistico differente.
186
Arenas-Esteban & DBSt 2003/c.s.
187
Alcune di tali ripetizioni sono evidenziate nel contributo di Motta a que-
sto stesso volume. Cf. ora anche DBSt 2005/2006, p. 50.
188
Rifatto cioè dal regolare *-aś (< celt. *-ans < ie. *-;-s) sul nom. plur. -es per
ragioni di economia linguistica, come spiegato da J. Eska nel 1998.
189
Normalmente in scritte che indicano la proprietà dell’oggetto (Solinas
1993-94, p. 916).

.
184 PATRIZIA DE BERNARDO STEMPEL

Fig. 1 – Origine e graduale sviluppo delle lingue celtiche (DBst 1999).

periodo paleolepontico affianca il genitivo/ablativo in *-ōd dell’in-


doeuropeo comune190, progressivamente confinato alle funzioni di
provenienza191 e avverbiale; il preterito in -ite; la specializzazione dei
suffissi -alo- e -ikna) a farlo apparire più moderno del celtiberico.

190
Riconosciuto nel corpus lepontico da J. de Hoz, viene spiegato da DBSt
2001/03 come isoglossa di conservazione dell’ie. più arcaico.
191
Parallelamente a quanto accade con airl. maccu e corcu, utilizzati nell’e-
spressione del propatronimico (DBSt 1991).

.
LA RICOSTRUZIONE DEL CELTICO D’ITALIA 185

Il quarto ed ultimo tipo di celticità presente su territorio italia-


no è poi costituito dal cosiddetto gallico che, inizialmente più con-
servatore del lepontico dal punto di vista fonetico (non partecipa in
linea di principio alla semplificazione dei nessi dg, nd192 e ks#), pre-
senta innovazioni morfologiche da quello non compartite (v. ora la
tabella contrastiva in DBSt 2005/2006, p. 41); è inoltre probabil-
mente solo con il gallico che si afferma l’accento sulla penultima
che sarà anche del britannico comune. Si tratta però di una lingua
di ampia estensione geografica193 e temporale, e pertanto con nume-
rose varianti diatopiche (tra cui p. es. quelle suffissali del tipo -él-
lo-/-íllo-, -énno-/-ónno- ripetutamente osservate in Italia), nonché
evidentemente diacroniche e probabilmente anche diastratiche, il
che dà ragione di quelli che a prima vista potrebbero sembrare af-
fioramenti discordanti nell’ambito dell’onomastica gallica – e non
solo di quella italiana.
Si può pertanto offrire a mo’ di riassunto la seguente versione
aggiornata del modello ‘evoluzionista’ da me presentato all’XI ICCS
(fig. 1).

Patrizia DE BERNARDO STEMPEL

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192
Forme galliche con assimilazione come Anokombogios a Briona (v.sopra
al § IV.a.g) e il genVini a Lamboglia (sec. II a.C., Morandi 2000, p. 13) saranno do-
vute al sostrato lepontico della zona, v. anche quanto si dice alla nota seguente.
193
In particolare, il fatto che «The large territorial extension can only be ex-
plained [...] by the fact that the indigenous peoples adapted themselves or were
absorbed» (Frey 1996 [1997], p. 65) dava evidentemente adito a svariati fenomeni
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JEAN HADAS-LEBEL

ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES
ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES
LIENS ENTRE LIEUX ET PERSONNES
DANS L’ONOMASTIQUE ÉTRUSQUE

W. Schulze, dans son ouvrage intitulé Zur Geschichte der latei-


nischen Eigennamen publié il y a tout juste un siècle1, fut l’un des
premiers à se pencher sur la question du lien entre anthroponymes
et toponymes. Il fut plus tard suivi par M. Pallottino 2, H. Rix 3,
A. J. Pfiffig 4, C. De Simone 5 et G. Colonna 6. Mais force est de
constater que cette question n’a toujours pas dévoilé tous ses secrets
et que sa complexité demeure aujourd’hui encore très grande.
L’onomastique étrusque comporte deux grands groupes d’an-
throponymes présentant des rapports avec des toponymes. Le plus
vaste des deux est celui qu’on pourrait appeler le groupe des «an-
throponymes toponymiques»; il comprend une quantité importante
de gentilices dérivés de toponymes majoritairement étrusques ou
italiques. L’autre groupe est certes plus restreint que le précédent,
mais il ne nous pose pas moins de problèmes; il se compose de gen-
tilices de type patronymique pour la plupart en -na, formellement
identiques ou quasi-identiques à des toponymes. La difficile ques-
tion est alors de savoir (1) si les toponymes viennent des gentilices
(auquel cas on serait en droit de parler à leur propos de «toponymes
anthroponymiques»), (2) si au contraire ce sont les gentilices qui
viennent des toponymes ou bien encore (3) s’il ne s’agit pas là plus
simplement d’une homonymie fortuite.
L’étude des liens entre lieux et personnes dans l’onomastique

1
Cf. Schulze 1904, p. 564 s.
2
Pallottino 1937, p. 341-358; cf. aussi, plus récemment, Pallottino 1984,
p. 401-405.
3
Rix 1963, surtout p. 230-236 et 306-312; et plus récemment Rix 1972,
p. 733-736.
4
Pfiffig 1969, p. 189-190.
5
De Simone 1975, surtout p. 145-149.
6
Colonna 1977, surtout p. 181-183.

.
196 JEAN HADAS-LEBEL

étrusque peut donner lieu à différentes analyses en fonction du


point de vue que l’on adopte. Ainsi, M. Pallottino et G. Colonna ont
choisi une approche de la question fondamentalement sociologique
et historique. Même s’il est bien évident que de telles considérations
ne sauraient être absentes de notre communication, l’approche qui
sera la nôtre ici sera avant tout linguistique. Notre but ici sera d’ana-
lyser chacun des deux groupes présentés plus haut, et de voir ce que
ces anthroponymes toponymiques ou toponymes anthropony-
miques ont à nous apprendre sur la langue étrusque elle-même, et
notamment sur ses suffixes ethniques.

I. La question des «anthroponymes toponymiques» en étrusque


Les anthroponymes étrusques susceptibles d’être dits «topony-
miques» peuvent être classés en deux grands groupes : les noms en
-te / -ue (cf. tableau 1) et ceux en -ane / -ine (cf. tableau 2). Dans les
deux cas, il s’agit de gentilices clairement bâtis sur des toponymes
étrusques ou italiques, à l’aide de terminaisons bien reconnaissables
que nous étudierons plus loin. En donnant à l’adjectif «topony-
mique» une acception un peu plus large, nous serions également
tenté d’inclure ici un troisième groupe de gentilices (cf. tableau 3). À
dire vrai, il serait plus juste de qualifier ces derniers d’anthropo-
nymes «ethniques» dans la mesure où ils rattachent l’individu non
pas tant à un lieu qu’à un peuple (grec, ombrien, gaulois etc.). Tou-
tefois, leur place dans l’onomastique étrusque est si étroitement as-
sociée à celles des deux autres familles de noms définies plus haut,
que nous avons finalement choisi de les intégrer dans notre étude.
Et c’est du reste par eux que nous commencerons.

Au nombre de onze (voire douze si l’on admet l’hypothèse de


P. Poccetti voyant dans feluskes une adaptation de l’ethnique Falis-
cus), ces anthroponymes ethniques possèdent des équivalents si
transparents dans les langues italiques que la thèse de l’emprunt est,
à nos yeux, la seule qui soit acceptable. Car aucun de ces anthropo-
nymes n’est à proprement parler étrusque : il ne s’agit que d’eth-
niques étrangers utilisés comme noms propres. La question est de
savoir si ces onze ou douze formes n’étaient en étrusque que des an-
throponymes ou s’ils servaient également d’ethniques. Dans l’état ac-
tuel de nos connaissances, la question est malheureusement sans ré-
ponse. Par exemple, y avait-il un nom proprement étrusque pour dé-
signer les Ombriens, ou bien faut-il croire que umre et sa variante
umrce, qui tous deux sont manifestement de souche italique, étaient
les noms officiels par lesquels les Étrusques désignaient leurs plus
proches voisins sabelliques? Pour notre part, nous pensons que cha-
cun de ces douze anthroponymes constitue un cas en soi. Il est ainsi

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 197

probable que certains de ces noms faisaient office de véritables ad-


jectifs ethniques étrusques. C’est peut-être vrai pour afrce, *kalapre,
cale, s¥icle, sapice, umre ou encore venete, mais ça l’est sûrement pour
creice. En effet, ce mot apparaît dans l’une des plus célèbres épi-
taphes étrusques, celle de Laris Pulenas (ET Ta 1.17 7), où le défunt
est présenté comme étant l’arrière-petit-fils d’un certain laris pule
creice, c’est-à-dire à n’en pas douter Laris Pule le Grec 8. Le cas de
lecusti/lecusta est triplement problématique : d’une part l’ethnonyme
italique dont ces deux noms viendraient (*Ligust(i)us) n’est pas at-
testé; d’autre part la forme féminine lecusta avec sa désinence ita-
lique -a n’a rien d’étrusque; enfin les deux individus désignés par ces
noms n’étaient pas de naissance libre mais des lautni, c’est-à-dire
des affranchis. Tout porte donc à croire que ces deux personnages
n’étaient pas d’origine étrusque, et l’on en viendrait presque à douter
que ce nom ait jamais été arboré par des Étrusques de souche, si il
n’existait un gentilice dérivé, lecstini, nous permettant de penser que
le mot appartenait à l’onomastique étrusque. Mais servait-il aussi
d’ethnique? Rien ne le prouve. Mérite enfin une mention parti-
culière la forme *turs¥ike, qui telle quelle n’est pas attestée, mais que
l’on peut déduire du gentilice dérivé turs¥ikina. Il va sans dire que
cette forme n’est pas l’autonyme des Étrusques, c’est-à-dire que ce
n’est pas le nom que les Étrusques se donnaient à eux-mêmes, lequel
était plutôt Rasenna (cf. étr. rasna) si l’on en croit l’historien grec
Denys d’Halicarnasse 9. En fait, il ne s’agit là que d’un hétéronyme,
c’est-à-dire du nom que leur donnaient leurs voisins italiques (et en
l’occurrence sans doute ombriens). Il est donc probable que
l’homme qui portait le gentilice turs¥ikina, ou du moins celui de ses
aïeux qui le premier le porta, avait longtemps vécu en Ombrie, où il
s’était fait appelé l’«Étrusque» (omb. tursco)10, avant de revenir dans
son pays; puis, de retour en Étrurie, il garda dans le radical de son
gentilice le nom qu’il avait reçu lors de son séjour à l’étranger.
En définitive, mis à part creice, il est impossible de savoir si les
douze anthroponymes cités plus haut servaient également d’eth-

7
Cette référence épigraphique et toutes celles qui suivront sont tirées du
corpus réalisé sous la direction de H. Rix, Etruskische Texte (titre abrégé en ET).
8
Cf. Heurgon 1961, p. 292.
9
Cf. Denys d’Halicarnasse, Antiquités I, 30, 3. D’après H. Rix, rasna a d’a-
bord signifié «peuple»; cf. Rix 1984. Néanmoins, rien ne permet de confirmer
avec certitude l’hypothèse d’H. Rix. Qui plus est, même si cette dernière était cor-
recte, on peut estimer que le mot rasna avait fini par désigner plus précisément le
peuple étrusque.
10
Cf. omb. turskum : T. Ig. I b 17; tuscom VI b 58; VII a 47; gén. sg. tuscer VI
b 54, 59; VII a 12; 48; dat. sg. tursce VII a 12. Cf. sur la question, l’article de De Si-
mone 1972, p. 153-181.

.
198 JEAN HADAS-LEBEL

niques en étrusque. Peut-être que de futures découvertes épigra-


phiques nous permettront de résoudre un jour ce problème.

Venons-en à présent aux deux principaux groupes d’anthropo-


nymes toponymiques de l’étrusque : les noms en -te / -ue et ceux en
-ane / -ine. En observant tous ces noms propres étrusques, on ne
peut qu’être frappé par leur ressemblance avec d’une part les eth-
niques, fréquents en latin et en ombrien en -ās, -ātis (cf. sentinate ∼
Sentinās), et d’autre part les dérivés toponymiques en -no-, si cou-
rants dans les langues italiques (cf. atrane ∼ Atrānus, osq. aadirans).
Il est bien évident que la ressemblance réelle entre les uns et les
autres n’est pas le résultat d’une communauté d’origine, l’étrusque
n’étant manifestement pas une langue i.-e., mais plutôt le fait d’em-
prunts réciproques. Une double question dès lors se pose : en pre-
mier lieu, à qui attribuer la paternité respective des suffixes -ās, -ātis
et -nus du latin? au groupe italique ou bien à l’étrusque? La seconde
question, qui se greffe à la première, est la suivante : s’il est clair que
les terminaisons -ās, -ātis et -nus fonctionnent en latin comme des
suffixes, peut-on dire la même chose des terminaisons -te / -ue et -ane
/ -ine de l’étrusque? La réponse à la seconde question apparaît, selon
nous, très nettement si l’on compare la liste des noms en -te / -ue (cf.
tableau 1) et celle des noms en -ane / -ine (cf. tableau 2). Car que
constate-t-on? Premièrement, que le tableau 2 est bien plus restreint
que le tableau 1; il ne compte que 29 noms contre 58 pour le tableau
1; les formes en -te / -ue sont donc beaucoup plus répandues dans l’o-
nomastique étrusque que les formes en -ane / -ine. Seconde re-
marque : 19 des 29 noms en -ane / -ine ne sont que les transpositions
étrusques d’ethniques latins ou sabelliques probables ou sûrs. Qui
plus est, 18 de ces 19 ethniques sont dérivés de toponymes non
étrusques (latins, campaniens, ombriens, sabins), ce qui ne fait que
confirmer pour eux la thèse de l’emprunt. Troisième remarque : sur
les 58 noms en -te / -ue, 14 sont tirés de toponymes étrusques, contre
un (voire deux) pour les gentilices en -ane / -ine : veiane (et peut-être
*aritine). La conclusion s’impose d’elle-même : le seul véritable suf-
fixe étrusque d’ethnique était -te / -ue11. Mieux encore – et nous ré-
pondrons ainsi partiellement à la question 1, posée plus haut, sur l’o-
rigine respective des deux suffixes latins – la grande diffusion du
suffixe -te / -ue en étrusque ainsi que le lien, fort justement souligné
par H. Rix, entre ce suffixe et le morphème de locatif -ti /-ui nous
permettent, sans grand risque d’erreur, d’aboutir à la conclusion que

11
H. Rix est parvenu à la même conclusion; voir Rix 1963, p. 310, et Rix
1972, p. 733 : «das dritte (s.e. Suffix) (= -te/ -ue) (s.e. dürfte) im Etruskischen zu-
hause sein»; cf. aussi Rix 1995, p. 85 s.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 199

ce suffixe est proprement étrusque; et donc, symétriquement, que le


suffixe latin -ās, -ātis est un emprunt à l’étrusque.

En revanche, pour ce qui est de la terminaison étrusque -ane /


-ine (et nous employons à dessein le terme vague de «terminaison»),
l’emprunt a très clairement eu lieu en sens inverse. De fait le carac-
tère i.-e. du suffixe italique d’ethnique -no- ne laisse aucune place au
doute; de plus, comme on l’a vu, la majorité des noms étrusques en
-ane / -ine ne sont que des ethniques italiques empruntés presque
tels quels et érigés au rang d’anthroponymes. Reste à savoir si ce que
nous avons prudemment appelé la terminaison -ane / -ine a pu à l’oc-
casion jouer le rôle de suffixe en étrusque.
Pour pouvoir qualifier une terminaison de suffixe, on doit d’a-
bord réussir à prouver qu’elle était productive. Or, s’agissant de -ane
/ -ine en étrusque, la chose n’est guère aisée. En effet, comme on l’a
vu, 19 des 29 noms en -ane / -ine ont des correspondants probables
ou sûrs dans les langues italiques; il s’agit donc d’emprunts globaux
(thème + suffixe). Quant aux neuf autres formes (arnzlane, astesine,
capatine, capine, carpiane, vaipane, munane, plaicane, tafane), elles
sont très obscures : rien ne dit qu’il s’agisse là de formations topony-
miques ni qu’on doive les tenir pour spécifiquement étrusques. La
capacité productive de la terminaison étrusque -ane / -ine – et par-
tant, sa nature suffixale – est donc très incertaine.
Mais peut-on au moins déterminer si ces anthroponymes
étrusques en -ane / -ine étaient aussi, comme leurs correspondants
italiques, des ethniques? La réponse malheureusement est encore
une fois négative, car nous ne connaissons aucune inscription où ces
mots figurent dans un contexte non onomastique. Toutefois, pour
notre part, nous doutons que ces noms propres aient également pu
servir d’ethniques en étrusque. L’existence à côté de formes pure-
ment étrusques comme cafate, latiue ou *veiaue (cf. tableau 1) de dou-
blets italiques manifestement empruntés (respectivement *capuane,
latine et veiane; cf. tableau 2) nous conforte dans cette opinion. En
effet, il nous paraît clair que les trois premières formes étaient les
noms que les Étrusques donnaient aux habitants de Capoue, du La-
tium ou de Véies, alors que les trois autres formes, même si elles
viennent d’ethniques italiques, n’étaient pas des ethniques en
étrusque. Elles avaient seulement valeur de noms propres. À titre de
comparaison, il y a en France un certain nombre de familles dont les
noms, d’origine allemande, se terminent par le suffixe d’ethnique -er
(Berliner, Frankfurter, Wiener etc.). Il ne faut pas pour autant en
conclure que le suffixe -er est productif en français, ni que les formes
Berliner, Frankfurter ou Wiener sont les ethniques français officiels
se rapportant aux villes de Berlin, Francfort ou Vienne.
S’il est donc impossible de se prononcer avec certitude sur le

.
200 JEAN HADAS-LEBEL

sort véritable que connut le suffixe italique -no- en étrusque, il est


clair en revanche que le morphème étrusque -te / -ue obtint un succès
important dans les langues italiques. En latin, ce morphème
étrusque prend la double forme -ās, -ātis et -es, -itis, mais c’est sur-
tout sous la première forme que le suffixe s’est montré productif. On
peut en effet parler de productivité à propos de ce suffixe, car il ap-
paraît non seulement dans des dérivés de toponymes étrusques
(comme Capenās ou Caeres), qui semblent n’être rien d’autre que les
calques d’ethniques étrusques correspondants (capenate,*xerite),
mais aussi dans toute une série d’ethniques spécifiquement italiques
bâtis sur des toponymes latins ou sabelliques (Arpinās, Mēvānās,
Sentinās), et même sur des thèmes adjectivaux (magnās, optimās,
summās) et pronominaux (nostrās, cuiās)12.
Arrivé à ce point, nous souhaiterions faire une remarque à pro-
pos des ethniques en -ās, -ātis, remarque dont les implications psy-
cholinguistiques ne sont pas dénuées d’intérêt. C’est un fait bien
connu que la grande majorité des ethniques latins, mais aussi om-
briens, pourvus du suffixe -ās, -ātis sont bâtis sur des noms de ville
dont le thème est en nasale (Arpinum, Mēvānia, Sentinum, Pitinum).
Or, nous nous demandons si cette prédilection pour les thèmes à na-
sale ne vient pas du sentiment qu’avaient les Latins et les Ombriens
qu’en étrusque, langue dont ils savaient peut-être plus ou moins
confusément que ce morphème était issu, les toponymes en -na, et
par conséquent les ethniques finissant en -nate, étaient nombreux.
Et s’ils accolaient le suffixe -ās, -ātis de préférence à des thèmes to-
ponymiques à nasale, c’est qu’ils voulaient de la sorte, plus ou moins
consciemment, recréer la terminaison si caractéristique des eth-
niques étrusques, -nate. Mieux encore, on peut se demander si le ā
généralisé du morphème -ās, -ātis n’a pas été, lui aussi, tiré des nom-
breux thèmes étrusques en -nate.
Il est encore un détail assez troublant que nous voudrions relever
avant de clore ce chapitre sur les anthroponymes toponymiques
étrusques en -te / -ue. Comme on vient de le voir, tout porte à croire
que c’est le suffixe étrusque -te / -ue qui est à l’origine du suffixe ita-
lique -ās, -ātis. Que des ethniques proprement étrusques en -te / -ue
puissent posséder des correspondants parfaits dans les langues ita-
liques n’a donc rien de surprenant. On parlera alors pour ces derniers
d’emprunts globaux à l’étrusque. Ainsi, le nom par lesquels les Ro-
mains désignaient leurs alliés étrusques les plus proches, les Cérites,
n’était selon toute vraisemblance qu’un calque de l’ethnique étrusque

12
Cf. Ernout 1953, p. 99, note 2; cf. aussi Leumann 1977, p. 98, § 106 et sur-
tout p. 345s, § 309.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 201

supposé, mais très probable, *xerite. Mais que dire lorsque la forme
étrusque est dérivée, cette fois, d’un toponyme italique et qu’elle pos-
sède un remarquable équivalent dans les langues italiques? Or c’est le
cas d’au moins six de nos ethniques en -te / -ue : atinate, mefanate, peti-
nate, sentinate, *sasnate et *felcinate, qui semblent procéder respec-
tivement de Atinās, Mevānās, Pitinās, Sentinās, Sassinās et Fulginās.
Ici, la priorité des formes italiques sur les formes étrusques nous pa-
raît indubitable, du fait de la présence du a devant le suffixe -te. Nor-
malement, en effet, l’étrusque, dans ses dérivés ethniques en -te / -ue,
se contente de coller directement le suffixe au thème du toponyme,
sans ajouter aucun morphème tampon (cf. velurite du toponyme veluri
‘Volterra’, manuva-te de manuva ‘Mantoue’ etc.). Si ce a peut se justi-
fier dans la formation de atinate, mefanate, *sasnate et *felcinate, le
¯
toponyme de départ (Atina, Mevānia, ¯
Sassina ¯
et Fulginia) ¯
reposant à
chaque fois sur un thème en -a, l’argument n’est pas valable pour les
deux autres noms, car le toponyme dont chacun est dérivé ne
comporte pas de -a, si du moins l’on en croit la forme latine. Peut-être
les formes ombriennes correspondant à lat. Sentinum et Pitinum
avaient-elle un thème en -a? La chose n’est du reste pas invraisem-
blable car, comme on le reverra, il n’est pas impossible que les six
villes, pour la plupart ombriennes, d’où ces ethniques ont été tirés,
aient été à l’origine des formations étrusques en -na. Néanmoins, et
jusqu’à preuve du contraire, mieux vaut considérer les noms petinate
et sentinate, mais aussi les quatre autres, comme des emprunts à
l’ombrien. On admirera, à cette occasion, l’étrange cheminement du
suffixe -te / -ue : parti d’Étrurie, il est allé à la conquête de l’Ombrie et
du Latium, avant de revenir en pays étrusque dans un petit nombre
d’anthroponymes ethniques, désormais augmenté de la voyelle a qu’il
avait acquise au cours de ses pérégrinations italiques.

II. La question des «toponymes anthroponymiques» de l’étrusque


L’étrusque, on le sait, possédait toute une série de gentilices for-
més au moyen du suffixe -na. Or il s’avère que ce suffixe, qui servait
surtout à fabriquer des dérivés d’appartenance, était aussi couram-
ment employé dans la formation de toponymes.
Dans le tableau 4, nous avons recensé pas moins de 33 topo-
nymes étrusques possibles en -na. Il faut toutefois admettre que la
plupart de ces formes sont purement conjecturales. Le seul topo-
nyme en -na qui soit effectivement attesté en étrusque est pupluna,
c’est-à-dire le nom étrusque de Populonia. Tous les autres peuvent se
déduire soit de locatifs (velznalui, tarxnalui), soit d’ethniques en -te /
-ue (atinate, *capenate etc.), soit d’ethniques en -x (velznax), soit de
transpositions latines fidèles dans lesquelles le suffixe -na était
conservé (Capena, Cortōna, Saena etc.), soit même de toponymes ac-

.
202 JEAN HADAS-LEBEL

tuels (Alfina, Cécina, Carpegna). Ont été inclus dans la liste dix-neuf
noms se rapportant à des sites situés en dehors de l’Étrurie propre.
Sept de ces sites sont campaniens (Atina, Celemna, Volturnum, Mar-
cina, Mefānus pagus, Urina et Flāvina), neuf appartiennent à la zone
ombro-picénienne (*Carpina < cf. mod. Carpegna, Cutina, *Helvi-
num, Mēvānia, Pitinum, Ricina, Sassina, Sentinum et Fulginia) et
trois sont en Padane (Mutina, Caesēna et Felsina). Étant donné les
liens très étroits que les Étrusques ont entretenus avec ces trois ré-
gions et les nombreuses colonies qu’ils y ont fondées, l’idée qu’au
moins certains de ces toponymes puissent être de souche étrusque
nous semble très tentante. Néanmoins, comme la question reste très
controversée, nous avons préféré mettre à l’écart de notre étude tous
ces toponymes allogènes, exceptés Felsina et Marcina dont l’étrus-
quité est hors de doute. Nous laisserons également de côté trois to-
ponymes hypothétiques dont on ignore jusqu’à l’emplacement et qui
ne disposent d’aucun équivalent latin connu (pelna, sauxna, felzum-
na). Au bout du compte restent quatorze toponymes – nous tenons à
le souligner – supposés car, encore une fois, aucun (mis à part pu-
pluna) n’est attesté en étrusque. Or ces quatorze noms de villes sup-
posés en -na, auxquels on rajoutera le nom étrusque de Volterra, vel-
uri, se trouvent avoir des sosies quasi parfaits dans la catégorie des
gentilices. Cette similitude est telle que certains savants ont été ten-
tés d’établir des passerelles entre les uns et les autres. La question
est de savoir s’il existe un lien entre ces toponymes et ces anthropo-
nymes, et si oui, lesquels sont issus des autres.
Une idée couramment admise veut que les deux formes soient
liées, et que ce soient les toponymes en -na qui découlent des anthro-
ponymes en -na13 ; d’où l’appellation de «toponymes anthropony-
miques» par laquelle nous avons choisi de les désigner. L’origine de la
coïncidence entre les deux formes serait à chercher dans la nature
grammaticale des gentilices en -na. Comme les gentilices latins, les
gentilices étrusques étaient d’abord des adjectifs patronymiques indi-
quant l’appartenance d’un fils à son père; plus tard, ils se figèrent et
devinrent héréditaires. Qui plus est, nul n’ignore que les gentilices la-
tins pouvaient au départ avoir un usage adjectival (comme dans les
groupes Curia Hostilia, via Flaminia...). Forts de ces exemples latins,
certains savants ont émis l’hypothèse selon laquelle les gentilices
étrusques auraient connu un destin similaire. Ainsi, d’après eux, le to-
ponyme Cécina proviendrait d’un groupe supposé du type *spur ceic-
na (c’est-à-dire grosso modo «urbs caecinia»); puis, par simplification
et abréviation, seul l’élément gentilice ceicna serait resté. En résumé,
les toponymes étrusques en -na seraient d’anciens adjectifs gentilices

13
Cf. notamment De Simone 1975, p. 147 s.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 203

exprimant à l’origine la dépendance, ou mieux, la subordination d’un


centre habité à une gens14.
La thèse que nous venons de présenter est séduisante; elle est
même acceptable, mais jusqu’à un certain point. Comme l’a très bien
fait remarquer G. Colonna15, le transfert d’un gentilice à un topo-
nyme ne se conçoit bien que dans certains contextes très particuliers,
à savoir dans le cas de petits habitats domaniaux ou de lieux-dits (op-
pida ou castella). Ainsi, il est fort possible que les noms Cécina ou Alfi-
na aient été donnés à des petites agglomérations rurales apparues sur
les domaines de riches gentes comme celui que la grande famille des
ceicna∼Caecinae devaient posséder à Volterra ou les alfna∼Alfinae,
dans la région de Volsinies. Il en va peut-être de même des autres sites
étrusques mineurs qu’étaient Artena, Capena et Surrina, qui ont – qui
sait? – été aménagés sur le territoire ou à l’instigation des familles ar-
tina, capina et s¥urna. À la limite, la thèse de la primauté des gentilices
sur les toponymes pourrait également s’appliquer aux colonies,
comme Felsina en Padane ou Marcina en Campanie, qui pourraient
bien tirer leurs noms des familles responsables de ces nouvelles fon-
dations. En revanche, nous partageons la même réticence que G. Co-
lonna à étendre cette explication aux grandes cités étrusques comme
Volsinies, Vetulonia, Volterra, Cortone, Populonia, Sienne et Tarqui-
nies. En effet, comment ces cités – crées pour la plupart à très haute
date, au début de l’âge de fer – ont-elles pu recevoir comme nom un
gentilice, alors que tout porte à croire que l’invention du gentilice
n’est pas antérieure au VIIIe siècle16 ? Et quand bien même les genti-
lices auraient déjà existé à cette époque reculée, il est difficile d’ad-
mettre qu’une famille ait pu être assez influente et puissante pour im-
poser son nom à une cité. Enfin, cette explication n’étant valable que
pour les noms en -na, elle ne saurait concerner veluri.
Faut-il alors au contraire faire venir les gentilices tarxna, s¥eina,
velzna etc. des noms de villes correspondants? Théoriquement, une
telle hypothèse n’est pas impossible. En France, par exemple, de
nombreuses personnes portent des noms de villes (Marseille, Besan-
çon...)17. Il est donc fort possible qu’au moins une partie des genti-
lices présentés dans le tableau 4 – et notamment veluri, le seul d’entre
eux qui ne contienne pas le suffixe -na – soient tirés des toponymes
correspondants. Néanmoins, il existe une interprétation, à nos yeux,
plus satisfaisante. Selon nous, la ressemblance entre ces toponymes-
ci et les gentilices correspondants doit être imputée à une homony-
mie ou à une paronymie. Il est un cas où la paronymie est évidente :

14
Cf. De Simone 1975, p. 147 s.
15
Cf. Colonna 1977, p. 182.
16
Cf. Colonna 1977, p. 182.
17
Cf. Dauzat 1945, p. 135 s.

.
204 JEAN HADAS-LEBEL

il s’agit du rapprochement qu’on pourrait être tenté de faire entre le


gentilice puplina et le nom de ville pupluna (= lat. Populōnia). On
notera, en effet, que les thèmes sur lesquels reposent les deux formes
ne sont pas tout à fait identiques : alors que le gentilice est dérivé du
prénom pupli(e)18, le toponyme vient selon toute vraisemblance du
nom puplu(n), qui est peut-être une variante du théonyme fufluns19.
Ainsi, le gentilice est un ancien patronyme en -na (litt. «le (fils) de
Publius») et le toponyme, un dérivé théophore en -na (litt. «la (ville)
de Puplu»).
De la même façon, est peut-être fortuite la ressemblance exis-
tant entre le gentilice tarxna et l’un des noms étrusques de Tarqui-
nies, *tarxna, toponyme supposé certes, mais que l’on peut aisément
reconstruire à partir du locatif tarxnalui, ainsi que de l’ethnique pro-
bable 20 tarxnte. En effet, le toponyme est à mettre en relation avec
*tarxu(n) 21, nom étrusque supposé du héros Tarchon (cf. lat. Tarchō
et grec Ta¥rxwn), figure mythique et fondateur éponyme de la ville de
Tarquinies 22. Quant au gentilice, il pourrait être un ancien patro-

18
La forme archaïque du prénom (puplie) n’est attestée qu’une fois, à Volsi-
nies (Vs 1.29 : VIe s.). La forme récente pupli connaît trois occurrences à Clusium
(Cl 1.2079, 2080 et 2344) – dont deux renvoient à la même personne, un lautni (Cl
1.2079 s) – et une dans une inscription bilingue de Pérouse (Pe 1.313). À noter
également à Clusium, à côté du prénom pupli(e), le Vornamengentilicium iden-
tique pupli (Cl 1.750, 2177-79 et peut-être 2296, avec i d’anaptyxe); cf. Watmough
1997, p. 92).
19
Sur les liens probables existant entre le toponyme et le théonyme, cf.
Walde-Hoffmann, LEW, II, p 340, M. Cristofani, LIMC III, 1, p. 531 et Grant
1986, p. 518. Sur l’origine controversée (mais sûrement ombrienne) du théo-
nyme, voir Meiser 1986, p. 215 s.; cf. aussi Rix 1998, p. 215; à noter que, pour
H. Rix, le toponyme pupluna n’est pas issu du théonyme fufluns mais d’un théo-
nyme italique *Poplōno-. Voir sur la question la bonne mise au point de Wat-
mough 1997, p. 95 s.
20
Le lien entre l’ethnique tarxnte et le toponyme *tarxna est problématique. En
effet, on attendrait comme ethnique tiré de *tarxna la forme *tarxnate. La dispari-
tion du a à l’intérieur de l’ethnique ne laisse pas de surprendre car, dans tous les
autres ethniques dérivés de toponymes en -na, le a du suffixe se conserve (cf. *cape-
nate, carpnate, venate, mefanate, petinate, s¥entinate etc.). Le seul autre exemple
d’ethnique dans lequel s’observe pareil phénomène est seiante, à condition qu’il s’a-
gisse bien d’un ethnique formé sur le nom étrusque supposé de Sienne, *sei(a)na.
21
Le nom étrusque de Tarchon, *tarxu(n), figure peut-être sur un miroir de
Tuscania (AT S.11) sous la forme tarxunus. Cette forme est d’ailleurs probléma-
tique. S’agit-il d’un génitif? d’un nominatif en -us comme fuflunus à côté de fu-
fluns? auquel cas il faudrait considérer que le nom étrusque de Tarchon était plu-
tôt *tarxun(u)s que *tarxu. Cf. sur la question Pallottino 1930, p. 49 s.; id., 1936,
p. 462.
22
Cf. Sur la tradition faisant de Tarchon le fondateur de Tarquinies, cf. Bri-
quel 1984, p. 225 s. Selon G. Colonna, le gentilice tarxna pourrait lui aussi venir
du nom étrusque de Tarchon, *tarxu : «Abbiamo motivo di ritenere che Tar-
chonte (tarxu) sia stato il capostipite e della città e della gente dei tarxna∼Tarqui-
tii.» (cf. Colonna 1977, p. 183).

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 205

nyme en -na, tiré du vieux prénom étrusque *tarxe, non attesté mais
que l’on peut reconstruire à partir de son féminin tarxa, dont on pos-
sède une unique occurrence à Vulci 23. Si cette hypothèse est cor-
recte, le gentilice devait donc être à l’origine *tarxe-na 24 et le topo-
nyme, *tarxu(n)-na 25. Puis, quand au Ve siècle est intervenue en
étrusque la syncope des voyelles en syllabe intérieure, les deux noms
se seraient trouvés confondus sous la forme tarxna. Ici, l’homonymie
entre le toponyme et l’anthroponyme (*tarxna ∼ tarxna) serait donc
le résultat d’une plus ancienne paronymie (*tarxuna ∼ *tarxena).
Pour Volsinies, la même explication semble pouvoir être avan-
cée : au gentilice velzina – dont le thème était en -i comme le prouve
une forme peut-être archaïsante de Pérouse (Pe 1.1017) – faisait pen-
dant un toponyme *velzuna, avec voyelle médiane u comme le sug-
gère la légende velzu qu’on peut lire sur une pièce retrouvée à Orvie-
to (NU N.7) 26. Puis, sous l’effet de la syncope, les deux noms auraient
fini par se confondre, donnant l’un et l’autre velzna.
À supposer que les noms étrusques de Vetulonia, Cortone et
Sienne aient aussi été des dérivés déterminatifs en -na – ce qui est
probable –, on ne peut exclure que la similitude qu’ils présentent
avec certains gentilices soit fortuite. Ainsi, pour Cortone, la ressem-
blance entre le gentilice kurtina et le toponyme supposé *curtuna est
paronymique; pour Vetulonia, on pourrait également parler de pa-

23
Cf. Vc 1.10 : eca suui tarxas levial... Notons qu’il existait également en
étrusque un prénom masc. tarxi attesté seulement à Pérouse, que ce soit sous sa
forme pleine (Pe 1.305sq, 1206sq) ou sous la forme abrégée tx : Pe 1.461 et 789.
Toutes les autres occurrences du nom – notamment les occurrences clusiniennes
– semblent indiquer que le prénom était aussi utilisé comme gentilice (Vor-
namengentilicium selon la théorie de H. Rix). Le prénom tarxi représente selon
toute vraisemblance la forme récente du nom tarxie gravé (au génitif, tarxies) sur
le miroir de Tuscania AT S.11. Il n’est d’ailleurs pas impossible que tarxie et *tarxe
ne soient que deux variantes graphiques du même prénom (voir note suivante).
24
Comme nous l’a très justement fait remarquer H. Rix, que nous remer-
cions, le prénom dont le gentilice patronymique tarxna est dérivé ne saurait être
tarxi(e). De fait, un gentilice tiré de tarxi(e) aurait donné étr. arc. *tarxiena > étr.
réc. *tarxina, avec un i long intérieur qui ne peut tomber (cf. étr. réc. puplina <
étr. arc. pupliana < puplie + -na). Mais le i de tarxie n’est peut-être qu’un artifice
graphique destiné à exprimer le caractère palatal du x étrusque. Auquel cas, tarxie
(> étr. réc. tarxi) ne serait qu’une variante du prénom *tarxe (fém. tarxa).
25
Si le gentilice cérite tarxna est très vraisemblablement une formation pa-
tronymique tirée du prénom supposé *tarxe, il n’en va pas de même du gentilice
étrusque des Tarquins tel qu’il apparaît du moins dans la tombe François de Vul-
ci, à savoir tarxunies (Vc 7.33). Cette forme a des chances d’être un dérivé en -ie
du nom étrusque de Tarquinies : *tarxuna-ie >tarxunie(s); auquel cas on serait en
droit de parler ici d’anthroponyme toponymique. Toutefois, la forme vulcienne
tarxunies n’est peut-être rien d’autre qu’une transcription étrusque du nom latin
Tarquinius.
26
Le toponyme velzu serait donc à *velz(u)na ce que *tarxu était à *tarx(u)na.

.
206 JEAN HADAS-LEBEL

ronymie ou d’homonymie à condition de poser d’une part un genti-


lice archaïque *vetlina (aboutissant en étrusque récent à vetlna) et
d’autre part un toponyme *vetluna ou *vatluna 27 ; pour Sienne enfin,
une explication semblable est envisageable à condition de poser un
gentilice archaïque du type *seiena 28 (> étr. réc. s¥eina) face à un to-
ponyme *seiana (> étr. réc. *sei(a)na), avec un a médian qu’il est
permis de déduire du gentilice ethnique s¥eiante. Mais nous sommes
là dans le monde de l’hypothèse.

Au terme de cette étude, plusieurs conclusions s’imposent. Pour


commencer, s’agissant des anthroponymes toponymiques étrusques,
nous pensons avoir démontré que si leur existence est indéniable,
leur nombre doit – au moins provisoirement – être revu à la baisse.
Au bout du compte, les seuls anthroponymes toponymiques sûrs et
véritables de l’étrusque sont les gentilices en -te / -u e. En effet, ils
sont les seuls à reposer sur des formations ethniques proprement
étrusques. Les noms en -ane / -ine, en revanche, ne peuvent guère re-
vendiquer une telle dénomination, dans la mesure où, s’il est vrai
qu’ils servaient d’anthroponymes en étrusque, il est impossible de
prouver qu’ils avaient aussi une valeur toponymique dans cette
même langue. Certes, les formes italiques dont la plupart de ces
noms étaient issus étaient des adjectifs ethniques dans leur langue
d’origine, mais force est de constater que le statut exact de leurs cor-
respondants étrusques demeure encore obscur. Il est probable que
ces anthroponymes n’étaient pas plus toponymiques en étrusque
que les noms de famille Berliner ou Wiener ne le sont en français.
On remarquera néanmoins que ces noms en -ane / -ine ont tous été
parfaitement intégrés dans le système morphologique et onomas-
tique étrusque, comme le prouvent à la fois la désinence masculine
-e et les désinences féminines -i, -ia ou -ei.
À côté des formes en -te / -u e, le seul nom étrusque qui pourrait à
la rigueur mériter l’appellation d’«anthroponyme toponymique» est
le gentilice creice, lequel cumulait en même temps une valeur d’eth-
nique (= «grec») et un emploi anthroponymique.
Qu’ils soient de vrais ou de faux anthroponymes toponymiques,
qu’ils soient en -te / -u e ou en -ane / -ine, tous ces noms illustrent en
tout cas à merveille la remarquable capacité intégrative des anciens
Toscans. Les étrangers arrivant dans une cité, qu’ils fussent

27
La forme *vatluna serait une variante en -na du toponyme vatlu(i) attesté
sur des pièces de monnaie (NU N.2 et 3). On notera au passage le parallélisme
saisissant entre les trois doublets toponymiques vatlu ∼ *vetluna, velzu ∼ *velz(u)
na et *tarxu ∼ *tarx(u)na.
28
Le thème s¥eie de *seiena est du reste attesté isolément en fonction de gen-
tilice à Volterra (cf. Vt 1.140).

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 207

étrusques ou non, avaient toujours la possibilité de se forger un nou-


veau nom. Les Étrusques se contentaient de transformer en gentilice
l’ethnique exprimant leur cité d’origine (curuute, tarxnte etc.), les
autres reprenaient, moyennant quelque modification morpholo-
gique, l’autonyme italique de leur nation (cf. lat. Latı̄nus > étr. la-
tine), soit même adoptaient l’hétéronyme étrusque correspondant
(cf. étr. latiue) 29.
En ce qui concerne les «toponymes anthroponymiques»
étrusques, il ne semble pas que leur existence doive être remise en
cause; toutefois seuls certains patelins comme Cécina ou certaines
colonies comme Felsina peuvent revendiquer ce nom, et non les
grandes cités comme Tarquinies ou Volsinies, car il est probable que
les noms étrusques de ces dernières aient préexisté aux gentilices
formellement identiques tarxna et velzna. Pour ces noms, l’hypothèse
d’une homonymie entre toponymes et gentilices mérite peut-être
d’être envisagée.

TABLEAU 1 Anthroponymes toponymiques sûrs ou possibles en -te /-ue

Gentilices Correspondants Origine


masc. féminins Diffusion Variantes Dérivés géographique

amriue(s¥a) amriui Cl amriti Ameria (Um)


(Cl 1.316)

as¥ate Ar, Pe *Assa?


atinate atinati (AT, Cl) ∼ C l , P e , Atina (Luc, Vol,
atinatia? (Pe) AT, AS Ven)∼Atinas

*aunate a u n a t i ( A S ) ∼ Cl, AS ?
aunt(a)nal (Cl) 30

*axrate axrati Pe Acerrae (Cm, Um)


kaviate(s) Vs 1.90 Gabii (La)

(à suivre)

29
Il semble cependant que les plus anciens anthroponymes toponymiques
(VIe siècle) aient été systématiquement pourvus du suffixe d’appartenance -na.
C’est le cas de silqetena, tarxvetena (tableau 1), ahvricina, kalaprena, tursikina (ta-
bleau 3). Nous tenons à remercier Enrico Benelli pour cette très judicieuse re-
marque dont il nous a fait part oralement. En étrusque plus récent, la nécessité
de recaractériser l’ethnique au moyen du suffixe -na (ou -ni) s’estompe mais ne
disparaît pas pour autant (cf. velxatini, xeritna, lecstini, umrana).
30
Pour aunati, cf. AS 1.98; pour aunt(a)nal, cf. Cl 1.844-45.

.
208 JEAN HADAS-LEBEL

Gentilices Correspondants Diffusion Variantes Dérivés Origine


masc. féminins géographique

*calite caliti Cl Cales (Cm, Um)


1.1441

caliaue(si) Ta 5.2 Cales (Cm, Um)?


Gallia?

*capenate capenati Pe 1.102 Capena (Etr) ∼


Capenas

carpnate carpnati Cl, Vs *Carpinia (Um)?


cf.Carpegna

cafate cafati (Pe, Vs, Pe, Cl, Vs cafateś Capua (Cm)?


Cl) ∼ cafatia (Pe) (Cl 1.614)

cisvite(sa) 31 gén. cisvitnal 32 Ta, Cl cisuita 33 ?


(Cl) (Pe 1.999)

cleuste cleusti (Vs) Vs, Po, Cl Clusium (Etr)

cluate(sa) 34
Ar 1.85 ?
cus¥iue(ś) cus¥iui Pe Cosa (Etr)
curuute(ś) Cl Cortona (Etr)
1.1976

*vatate gén. vatatial ?


*veiaue gén. veiauial Pe 1.77 Veii (Etr)
*velurite veluriti Vs, Cl Volterrae (Etr)
velxite velxiti Cl velcitial velxatini Vulci (Etr)
(Cl (Ar)
1.1651)
venate gén. venatnal Cl venau nal[ Oı̃na? (cf. Steph.
(Co 1.10) Byz.)

*verate verati Vc 1.21 ?

harpite harpiti Cl ?

*helvinate helvinati Pe *Helvinum? cf.


Helvillum (Um)

hurtate(s) Ta 6.16 Horta (Etr)

(à suivre)

Ta 1.221.
31

Cl 1.1656.
32

33
Peut-être s’agit-il d’une erreur pour cisuitia, féminin attendu de cisuite à
Pérouse.
34
Peut-être s’agit-il d’une faute d’orthographe pour clautesa.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 209

Gentilices Correspondants Diffusion Variantes Dérivés Origine


masc. féminins géographique

uupite(s) Cl ?
1.1851
latiue latiui (Cl, Pe) ∼ Cl, Pe, Ta lauite (Cl, Latium
latiuia (Cl) Vs, Pe)
latiteś (Cl)
lemnite(ś) Fe 7.2 Lemnos
macute(ś) macutia Cl Mago
(Hispania)??
manuvate manuvatnei (Cl) Cl, Pe Mantua (Etr)
masate(ś) Cl 1.1309 ?
mehnate(ś) mehnati Pe mef(a)na- cf. infra
te?

mefanate mefanatei (Co) Co, Cl mefnate- Mefanus pagus


(Vs 1.318) (Sam)?
mehna- Mevania (Um)? ∼
teś? Mevanas
nulaue nulaui Cr Nola (Cm)
paniaue paniaui Pe paniates *Pania? cf. mod.
(Vs 7.24) Pagna
*pelnate pelnati Cl 1.546 ?
perpraue perpraui Pe perprate ?
(Pe)
petinate petinati (Cl) Cl, Vs Pitinum (Um) ∼
Pitinas
*sasnate sasnati Pe1.954 Sassina (Um) ∼
Sassinas

seiate 35 Cl 1.29 ?
seiante seianti Cl Saena (Etr)?
senate senatia (Pe) Pe, Cl Sena (Um)?
sentinate sentinati Cl, Pe, AS Sentinum (Um) ∼
Sentinas

siate Pe 1.782 ?
rumate Cl, Co r u m au e s Roma (La)
(Cl 1.723)

(à suivre)

35
Peut-être s’agit-il d’une faute d’orthographe pour seiante.

.
210 JEAN HADAS-LEBEL

Gentilices Correspondants Diffusion Variantes Dérivés Origine


masc. féminins géographique

sauxnate Pe 1.126 Sauconna


sq (Gallia)?

*seitiue seitiui Ta, Cl, Vc seiuiti (Cl Setia (Cm)? 36


1.801)

*silqete La silqetenas Sulci (Sard) 37 ?


(La 2.3)

*starniue starniui Pe ?

*tarxvete Vs tarx vete- Tarquinii (Etr)


na (Vs
1.3)
tarxnte(ś) tarxntia (Cl, Pe) Vt, Cl, Pe tarcntias Tarquinii (Etr)
(Cl 1.467)

*treplate treplati Pe1.860 Trebula


(Cm, Sab, Sam)

*uriue uriunei Cl 1.2634 Uria (Cm)


sq

urinate urinati Cl,AS,Vt, Uria (Cm)?


Ta, Pe *Urina?

*xerite Cl xeritna Caere (Etr) ∼


Caerites

*felzumnate felzumnati Cl 1.1230 ?


*felcinate felcinatial (Pe) ∼ Pe, Cl felqunates Fulginia (Um) ∼
felcinatnal (Cl) (AH 2.2) Felignates

frentinate frentinati (Vs) Cl, Ar, Vs Ferentinum (Vol,


Etr) ∼ Ferentinas

N.B. 1 : Sont soulignés tous les anthroponymes qui ne sont attestés que sous forme de
Patronusgentilicia.
N.B. 2 : N’ont pas été pris en compte dans cette liste :
– les gentilices minate et ecnate, issus très probablement non d’un toponyme,
mais d’un prénom sabellique (respectivement osq. Minaz et *Ecnaz)
– les mots esati (Vc 0.55), canzate (Ta 3.9) et herati (Vs 0.34) dont la nature (nom
propre? autre?) est incertaine
N.B. 3 : Sont en grisé les anthroponymes dont l’origine est très incertaine ou in-
connue.

36
Cf. Rix 1995, p. 85.
37
Cf. Colonna, dans Gli Etruschi e Roma, Rome, 1981, p. 202 s.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 211

TABLEAU 2 – Anthroponymes toponymiques possibles ou sûrs en -ane / -ine

Gentilices Correspondants
masc. féminins Diffusion Variantes Dériv. Origine géographique

*aritine aritinial? 38 Arretium (Etr) ∼


Arretinus?

arnzlane(ś) Cl 1.1486 ?

astes¥ine Pe 1.929 ?

atrane atrani (Pe) / Pe, Cl, Vc, Cr *Atra ∼ Atranus 39/


atrania (Pe) osq. aadirans

camarine camarinei Cl Camarina (Si)?/


Cameria (La) ∼
Camerinus

campane campania (Pe) Cr, Pe Campanus

capatine Cl 1.1845 ?

cap(e)vane capevani Pe Capua (Cm) ∼


capvanial Capuanus

capine AS 1.5 ?

carpiane Cl 1.583 ?

curane curanei / curania Pe Cora (La) ∼ Coranus

vaipane(s) Ta 1.120 ?

veiane veiani (Vs, Cl, Pe, Cl, Vs, Fa Veii (Etr) ∼


Pe) / veiania (Cl) *Veianus 40 ?

velane velani / velanei Vt Velia (Luc) ∼


Velianus

lapicane(s) Cr 2.131 Labicum (La) ∼


Labicanus

(à suivre)

38
À vrai dire, le codex de la bibliothèque vaticane dans lequel l’inscription a
été recopiée présente la forme bien problématique aritin.ai et c’est A. Maggiani
qui corrige la lecture en aritinial; cf. Maggiani 1989, III, p. 1627. D. Steinbauer ré-
sout le problème différemment en lisant aritim.{ai} aritim étant selon lui le nom
étrusque de la cité d’Arretium; cf. Steinbauer 1998, p. 264.
39
Cf. Atrani (peuple d’Apulie), Pline NH III,52; cf. aussi l’actuel Atrano (situé
dans l’antique territoire des Marses) et Atrani (Amalfi).
40
Sur l’existence probable en latin d’une forme *Veiānus, parallèle aux
formes officielles comme Veiens et Veientanus, cf. Rix 1963, p. 308, note 14. Mais
il n’est pas non plus impossible que veiane soit la transposition d’une forme sa-
bellique (ombrienne? osque?) *veiano-.

.
212 JEAN HADAS-LEBEL

Gentilices Correspondants Diffusion Variantes Dériv. Origine géographique


masc. féminins

latine(s) Cm, Ve Latinus

laucane laucanei (AS) / Cl, Pe, AS lacane Lucanus


laucania (Cl) (Pe 1.19)

luncane Vs 6.19 *Longanus?

maricane maricani (Cl) Cl, Pe Maricae palus?


(La) ∼ *Maricanus

munane(ś) AS 1.50 ?

nurtine(s) Vs 1.281 Nursia (Sab)? /


*Nurtia? ∼
*Nurtinus?

patislane patislani Cl patizlane *Paticulum (Um)? ∼


(AH 1.76) omb. *patiçlanu?

plaicane Cl 1.1043 ?

*s¥apine sapini Cl 1.2498 Sabinus

s¥auturine sauturini Pe *Sauturia? 41

statlane statlani AT Statellae (Lig) ∼


*Statellanus

tafane Cl 1.2387 ? 42

ucrislane Cl Ocriculum (Um) ∼


omb. *ucriçlanu

uvilane uvilana Pe *Ovillae? ∼


*Ovillanus? 43

N.B. 1 : Sont soulignés tous les anthroponymes qui ne sont attestés que sous forme de
Patronusgentilicia.
N.B. 2 : N’ont pas été pris en compte dans ce tableau :
– le GE herine issu très vraisemblablement du prénom sabellique heírens.
– les formes de nature très obscure, à savoir avines (AV 2.6), meine (AT 1.101), pe-
tineś (Sp 2.80), piianes (Cm 2.52), renine (AS 1.320) et tenine (Pe 3.3).
N.B. 3 : Sont en grisé les anthroponymes dont on ne peut dire si ce sont de véritables
dérivés toponymiques en -ane/-ine.

Cf. Rix 1963, p. 309, note 21.


41

Certains ont cherché à rapprocher tafane de lat. vulg. *tafanus (> italien
42

tafano «taon»). Il s’agirait, dans ce cas, d’un sobriquet cognominal employé


comme gentilice; cf. Schulze 1904, p. 277 et Rix 1963, p. 309.
43
Cf. Rix 1963, p. 309.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 213

TABLEAU 3 – Autres anthroponymes toponymiques/ethniques

Gentilices Correspondants Diffusion Variantes Dérives Équivalents


masc. féminins latins
afrce gén. afrcnal Cl ahvricina(si) 44 Africus
*kalapre kalaprena(s) 45 Calaber
cale calia Cl, AT, Ta, Vt, fém. callia Gallus 46
creice craica (Vc) / Cl, Ta, Cr, Vc Graecus
creici(a)
(Cl,Cr,Vc)
venete veneti (Pe) Pe, AH Venetus
lecusti 47 lecusta 48 Pe lecs(u)tini *Ligust(i)us =
Ligustinus
s¥icle(ś) Pe Siculus
sapice gén. sapicnal Cl, Ta fém. safici *Sab/ficus
(Cl 1.554) (Ta 1.113)
*tursike tursikina Tu(r)scus
(Cl 2.3)
umrce(s) gén. umrcial AS Umbricus
umre(s) 49 umria (Cl) / Cl, AH umrana (Cl) Umber
umprea (Pe)
feluske(s) Vn 1.1 Faliscus?

TABLEAU 4 – Gentilices étrusques et toponymes étrusques,


attestés ou non, susceptibles de leur correspondre

Toponymes Équivalents
Gentilices Variantes du
masc. Féminins Diffusion étr. en -na toponyme latins
correspondants ou modernes

alf(i)na/i alfnei Cl, AS, Pe *alfna? mod. Alfina 50


artina artinai Cl, Cr *artina? Artena 51

(à suivre)

AT 3.2.
44

Vs 1.59.
45

46
Selon H. Rix, la forme cale, à Clusium, pourrait également procéder de lat.
calvus. Cf. Rix 1962, p. 29-45.
47
Pe 1.573 : lecusti . caspres . latni. Sur l’ethnique supposé *Ligustius, cf. Rix
1963, p. 312; Rix 1994, p. 100.
48
Pe 1.1094 : uana : lecusta : lautni(ua).
49
AH 1.74.
50
Cette ville est située dans la région de l’ancienne Volsinies. Voir ce que dit
à ce sujet De Simone 1970, p. 87, et De Simone 1975, p. 146.
51
Ville située entre Véies et Caeré; cf. Tite Live IV, 61 et Schulze 1904, p. 568.

.
214 JEAN HADAS-LEBEL

Gentilices Toponymes Variantes du Équivalents


Féminins Diffusion étr. en -na latins
masc. correspondants
toponyme ou modernes

atina atinei Cl, AS, Pe *atina? Atina (Cm)


(cf. ethn. atinate)

ceicna caecnei Vt, AS, Cl, Ta *ceicna? mod.


Cécina

ceis(i)na(ś) Fe, AT *ceisna? Caesena


(Pa) 52

capna capnei Cl, Pe, AT *cap(e)na? Capena


(cf. ethn. capenate)

*celmna celmnei Cl *celmna? Celemna


(Cm)

*carpna? mod.
(cf. ethn. carpnate) Carpegna
(Um)

kurtina(ś) Cl 2.4 *curtuna? curt(u) (NU N.1) Cortona


cf ethn. curuute

cutna(s) cutnei Cl, Ta, Vc *cutna? Cutina


(Vest)

velzina/ velznal/ Cl, Pe, Ta *velzna ? (cf. velznax velsu (NU N.6) / Volsinii
veltsna veltsnei et loc. velznalui) velzu (NU N.7)

veluri Vs 1.186 *veluri? Volterrae


(cf. ethn. velurite)

veluurna Pe, AV, Ar *veluurna? Volturnum


(Cm) 53

*vetlna vetlnei Pe, Cl *vetlna? vatl (NU N.2) / Vetulonii/


vatlui (NU N.3) Vetulonia

helvna(s) AV 2.11 *helvna? *Helvinum?


(cf. éthn. helvnate) (Um)

marcna/i marcnei AS, Cl, Pe, Vs *marcna? Marcina


(Cm) 54

*mehna? Mevania
(cf. ethn. mehnate) (Um)?

*mefana? Mefanus
(cf. ethn. mefanate) pagus?

(à suivre)

52
Cf. Colonna 1974, p. 19.
53
Cf. De Simone 1975, p. 144 s.
54
Cf. Strabon V, 251, Schulze 1904, p. 568 et De Simone 1975, p. 146.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 215

Gentilices Toponymes Variantes du


Équivalents
masc. Féminins Diffusion étr. en -na toponyme
latins
correspondants ou modernes

*mutaina mutainei AS 1.448 *mutaina? Mutina


*mutina? (Pa) 55
* pelna? –
(cf. ethn. pelnate)
petna petnei Cl, Fe *petina? Pitinum
(cf. ethn. petinate) (Um)
puplina puplinei Pe, Cl, AT pup/fluna Populonia
(NU N.15-30)
reicna? reicnei Cl / Cr *reicna? / *ricna? Ricina
riquna? (Pic)
*s¥asna? Sassina
(cf. ethn. s¥asnati) (Um)
s¥eina(ś) s¥einei Cl, AS *s¥ei(a)na? Saena
(cf. ethn. s¥eiante?)
s¥/sentina s¥/sentinei Cl, Ta, AT *s¥entina? Sentinum
(cf. ethn. s¥entinate) (Um)
s¥urna s¥urnei Pe *s¥urna (cf. ethn. Surrina
lat. Surinas)
*sauxna? –
(cf. ethn. sauxnate)
tarxna tarxnai Cr *tarxna? *tarxu? (cf. GE Tarquinii
(cf. loc. tarxnalu(i)) tarxvetena)
*urina? Urina (Cm)
(cf. ethn. urinate)
*felcina? Fulginia
(cf. ethn. felcinate) (Um)
*felzumna? (cf. –
ethn. felzumnate)
flaviena(s) Vs 1.55 *flavina? Flavina
(Cm) 56
felzna felznei Vs, AS, Cl *felzna? Felsina
(Pa)

N.B. : Sont en grisé les toponymes dont on n’a conservé aucune trace en étrusque, en
latin ou en italien, et ceux dont l’origine étrusque est controversée.

Jean HADAS-LEBEL

55
Sur l’origine très vraisemblablement étrusque de Mutina (Modène), cf.
Tite Live XXXIX, 55, et Schulze 1904, p. 569.
56
Cf. Silius Italicus, VIII, 490 et Schulze 1904, p. 568.

.
216 JEAN HADAS-LEBEL

ABRÉVIATIONS BIBLIOGRAPHIQUES

Briquel 1984 = D. Briquel, Les Pélasges en Italie, Recherches sur l’histoire de


la légende, Paris-Rome, 1984 (BEFAR, 252).
Colonna 1974 = G. Colonna, Ricerche sugli Etruschi e sugli Umbri a nord de-
gli Appennini, dans Studi Etruschi, 42, 1974, p. 3-24.
Colonna 1977 = G. Colonna, Nome gentilizio e società, dans Studi Etruschi,
45, 1977, p. 175-192.
Dauzat 1945 = A. Dauzat, Les noms de famille de France, Paris, 1945.
De Simone 1970 = C. De Simone, Die griechischen Entlehnungen im Etruskis-
chen, II, Wiesbaden, 1970.
De Simone 1972 = C. De Simone, Etrusco tursikina, dans Studi Etruschi 40,
1972, p. 153-181.
De Simone 1975 = C. De Simone, Il nome del Tevere, dans Studi Etruschi, 43,
1975, p. 121-157.
Ernout 1953 = A. Ernout, Morphologie historique du latin, Paris, 1953.
Grant 1986 = M. Grant, A Dictionary of Classical Places, New York, 1986.
Heurgon 1961 = J. Heurgon, La vie quotidienne des Étrusques, Paris, 1961.
Leumann 1977 = M. Leumann, Lateinische Laut- und Formenlehre, Munich,
1977.
Maggiani 1989 = A. Maggiani, Commento all’iscrizione, dans Atti del Secondo
Congresso internazionale etrusco, Rome, 1989, III, p. 1627-1631.
Meiser 1986 = G. Meiser, Lautgeschichte der umbrischen Sprache, Innsbruck,
1986.
Pallottino 1930 = M. Pallottino, Uno specchio di Tuscania e la leggenda etru-
sca di Tarchon, dans Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche della Reale Accademia Nazionale dei Lincei, ser. VI, vol. VI,
fasc. 3-4, 1930, p. 49-87; repris dans Saggi di antichità, II, Rome, 1979,
p. 679-707.
Pallottino 1936 = M. Pallottino, Sullo specchio tuscanese con la leggenda di
Tarchon, dans Studi Etruschi 10, 1936, p. 462-463; repris dans Saggi di
antichità, II, Rome, 1979, p. 708-709.
Pallottino 1937 = M. Pallottino, Nomi etruschi di città, Scritti in onore di Bar-
tolomeo Nogara raccolti in occasione del suo LXX anno, Città del Vatica-
no, 1937, p. 341-358; repris dans Saggi di antichità, II, Rome, 1979,
p. 710-726.
Pallottino 1984 = M. Pallottino, Oriundi forestieri nella onomastica e nella so-
cietà etrusca, dans Studi di antichità in onore di Guglielmo Maetzke, II,
Rome, 1984, p. 401-405.
Pfiffig 1969 = A. J. Pfiffig, Die etruskische Sprache, Graz, 1969.
Rix 1962 = H. Rix, Ein lokal begrenzter Lautwandel im Etruskischen, dans Die
Sprache, 8, 1962, p. 29-45.
Rix 1963 = H. Rix, Das etruskische Cognomen, Wiesbaden, 1963
Rix 1972 = H. Rix, Zur Ursprung des römisch-mittelitalischen Gentilnamen-
systems, dans ANRW I, 2, 1972, p. 700-758.
Rix 1984 = H. Rix, Etr. mex rasnal = lat. res publica, dans Studi di antichità
in onore di Guglielmo Maetzke, II, Rome, 1984, p. 455-468.
Rix 1991 = H. Rix (dir.), Etruskische Texte. Editio minor, Tübingen, 1991.

.
ANTHROPONYMES TOPONYMIQUES ET TOPONYMES ANTHROPONYMIQUES 217

Rix 1994 = H. Rix, Die Termini der Unfreiheit in den Sprachen Alt-Italiens,
Stuttgart, 1994.
Rix 1995 = H. Rix, Il latino e l’etrusco, dans Atti del convegno internazionale
Nomen Latinum, Latini e Romani prima di Annibale, Eutopia 4, 1, 1995,
p. 73-88.
Rix 1998 = H. Rix, Teonimi etruschi e teonimi italici, dans Annali della Fonda-
zione per il Museo ‘Claudio Faina’, 8, 1998, p. 207-229.
Schulze 1904 = W. Schulze, Zur Geschichte der lateinischen Eigennamen,
Göttingen, 1904 [1991].
Steinbauer 1998 = D. Steinbauer, Zur Grabinschrift der Larthi Cilnei aus Ari-
tim / Arretium / Arezzo, Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 121,
1998, p. 263-281.
Walde-Hofmann = A. Walde – J. B. Hofmann, Lateinisches etymologisches
Wörterbuch, Heidelberg, 1930-1955.
Watmough 1997 = M. Watmough, Studies in the Etruscan Loanwords in La-
tin, Florence, 1997 (Biblioteca di «Studi Etruschi», 33).

.
PAOLO POCCETTI

PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI :


COINCIDENZE DI TEONIMI E DI ANTROPONIMI
NELL’ITALIA ANTICA
UNA RIFLESSIONE SULLA CLASSE DEI ‘TEOFORICI’
A PARTIRE DA DUE ELEMENTI SPECIFICI

La teonimia costituisce uno degli ambiti più interessanti del-


l’onomastica delle diverse lingue dell’Italia antica sia per gli aspetti
strettamente linguistici sia sul versante dell’ideologia religiosa. I teo-
nimi delle culture indoeuropee della Penisola (ma – si può ora ag-
giungere – in parte, anche di quelle non indoeuropee) in ragione del-
la loro spiccata trasparenza linguistica, tanto in rapporto al lessico
quanto per analizzabilità della struttura morfologica, in misura as-
sai più forte rispetto al repertorio teonimico di altre culture (per
esempio quella greca), sono stati oggetto di attenzione già nel XIX
secolo nella cornice del metodo comparativo sia della linguistica sia
della storia delle religioni sia della mitologia. In particolare due figu-
re del calibro di Grassmann e Usener, che hanno largamente in-
fluenzato le generazioni successive, hanno manifestato specifico in-
teresse per i teonimi dell’Italia antica, da prospettive diverse, per l’u-
no la ricostruzione linguistico-culturale in seno alle lingue
indoeuropee, per l’altro la storia delle religioni.
Il primo, infatti, operando una distinzione tra innovazione e
conservazione nelle denominazioni divine, mirava alla ricostruzione
di un pantheon e di una mitologia indoeuropea, il secondo, proprio
sul repertorio dei nomi di divinità ‘minori’ del mondo italico aveva
costruito l’impalcatura della religione romana sorretta dal duplice
ordine classificatorio degli ‘Augenblicksgötter’ e dei ‘Sondergötter’.
La teoria useneriana trovava un punto di incontro con la prospettiva
indoeuropeistica di Grassmann nel fatto che sotto l’etichetta di ‘Au-
genblicksgötter’ e ‘Sondergötter’ ricadevano quei nomi di divinità
che si sottraevano tanto ad una dinamica interlinguistica (in termini
di prestito, come, per esempio, teonimi greci quali Apollo e Ercole
diffusi in quasi tutte le tradizioni linguistiche dell’Italia antica)
quanto ad un orizzonte comparativo-ricostruttivo per quanto ri-
guarda sia la forma sia le funzioni.
La lingua risulta, dunque, criterio fondamentale sia per la rico-

.
220 PAOLO POCCETTI

struzione di un sistema religioso sia per la mitologia comparata, in


quanto ciò che dà sostanza ad una divinità dell’‘atto’ (‘Augenblick-
sgott’) e ad una divinità speciale (‘Sondergott’) è proprio il relazio-
narsi del suo nome con la concretezza della realtà, della prassi e
della situazione specifica, manifestata dalla trasparenza lessicale in
termini sincronici1.
D’altra parte, anche coloro che hanno preso immediatamente le
distanze dalla teoria useneriana dei ‘Sondergötter’ si sono trovati
concordi sul fatto che essi proprio per tali caratteristiche rappresen-
tano un fenomeno saliente della religione romana, condivisa anche
dal mondo italico. È noto, infatti, che la critica di Wissowa alla teo-
ria dei ‘Sondergötter’ riguarda la loro condizione primitiva e il loro
statuto, cioè in che misura essi si collocassero ai margini del sistema
(come voleva Usener) oppure come elementi costitutivi del sistema
stesso (come obiettava Wissowa). Invece, tra i due grandi studiosi
della religione romana di fine XIX secolo si registra sostanziale con-
vergenza sul fatto che questi nomi di divinità rappresentano una
«hervorstechende Eigentümlichkeit der römischen Religion» (Use-
ner) 2 e un «eigentliche Kern und Mittelpunkt der altrömischen Reli-
gion» (Wissowa) 3.
L’alternativa nella considerazione dei cosiddetti ‘Sondergötter’
come categoria divina à sé stante oppure come sistema autonomo
poteva approdare a scarsi risultati se ristretta al solo ambito della
religione romana, tenuto conto del fatto che la conoscenza di molti
di questi teonimi è notoriamente legata al filtro operato dagli autori
cristiani che li citano in chiave polemica e spesso slegata dal loro
contesto originario. Non solo sono andati perduti i testi degli indigi-
tamenta pontificali che dovevano fornire l’indicazione primaria del-
la loro fruizione e della loro organizzazione sistemica 4, ma ci è perfi-
no preclusa la possibilità di avvalerci di prima mano di opere anti-
quarie quali le Antiquitates Rerum Divinarum di Varrone, i cui
frammenti, attraverso i quali molti di questi teonimi ci sono noti, so-
no stati trasmessi grazie alle citazioni degli stessi autori cristiani. Il
trattato varroniano avrebbe forse dato un contributo decisivo a scio-
gliere un altro dilemma che si è posto ai moderni relativamente al-
l’arcaicità o non arcaicità di queste figure divine. La valutazione di
questi nomi nella prospettiva, ora di fenomeni innovativi, ora di fe-
nomeni conservativi, si è inevitabilmente inserita nella questione
delle trasformazioni subite dalla religione romana, per quanto ri-

1
Su ciò cfr. Sassi 1982, p. 70 ss.
2
Cfr. Usener 1929, p. 76.
3
Cfr. Wissowa 1904, p. 304.
4
Sugli indigitamenta e sulla prospettiva useneriana dei ‘Sondergötter’ cfr.
ora Pierfigli 2004, p. 201 ss.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 221

guarda sia la loro effettiva incidenza nel sistema sia la cronologia


del loro svolgimento, dando luogo a due conclusioni opposte : l’una
che vi intravede relitti di entità antecedenti l’organizzazione dei culti
delle divinità maggiori (Usener, Wissowa, Latte), l’altra che tende a
considerarli come manifestazioni tipiche di qualsiasi religione poli-
teista (Otto, Brelich). D’altra parte, la maggior parte dei teonimi in
questione alimenta quella classe degli dei indigetes nei quali l’impal-
catura del manuale di Wissowa aveva identificato i caratteri origina-
li e più antichi della religiosità romana, contrapponendola alla defi-
nizione degli dei novensides, nei quali venivano individuati i culti di
nuova introduzione 5.
L’allargamento di prospettiva al mondo sabellico ed etrusco, svi-
luppatosi soprattutto nei decenni centrali del XX secolo, ha permes-
so di rintracciare fenomeni in larga parte fortemente convergenti –
almeno per quanto riguarda i riflessi indiretti dell’onomastica divina
– con le strutture più antiche della religione romana. Ha permesso,
cioè, di verificare una generale propensione per quella che è stata
chiamata «Atomisierung des Göttlichen» 6 come denominatore co-
mune ai diversi ambienti religiosi dell’Italia antica. Tale circostanza
ha dato luogo alla coesistenza di divinità maggiori, che hanno diffu-
sione più ampia, insieme con divinità minori a circolazione circo-
scritta ora a due o più regioni ora ad una sola regione ora perfino ad
un territorio molto ristretto, se non, talvolta, ad una singola località.
Inoltre, proprio l’analisi di testi epigrafici in osco e in umbro ha
consentito l’osservazione che molti di questi nomi si manifestano
come specificità locali, se non forse peculiarità di un solo santuario
o, perfino talvolta, di un solo testo. Ciò ha consentito di accertare
che essi non si collocano ai margini del sistema religioso (almeno
preso in determinati stadi sincronici), bensì si inseriscono in un
quadro cultuale più ampio collegato ad una o più divinità ‘maggiori’
a diffusione sovraregionale (come Giove, Cerere, Marte, Mefite). E
soprattutto – cosa ben più importante sul piano del sistema – ha
messo in evidenza il loro incardinamento e la loro organizzazione in
strutture gerarchiche, manifestato dalle strutture sintattiche in cui il
teonimo viene accompagnato da un determinante aggettivale o geni-
tivale del tipo Hercolo Iovio (Ercole ‘Giovio’), Fluusaí Kerríaí (Flora
‘Cereria’), Mamertei Mefitanoi (Marte ‘Mefitano’), Cerfo Martio, ecc.
Su tale aspetto peculiare, convergono le testimonianze di testi diver-
si per natura, contesti e vicende redazionali (quali le Tavole umbre
di Gubbio, il Bronzo di Agnone, il corpus documentario di Rossano

5
Cfr. Wissowa 1912, p. 18 ss.
6
La definizione è di Latte 1927, p. 257.

.
222 PAOLO POCCETTI

di Vaglio, dediche votive di altri santuari). Proprio l’uso sistematico


di tali sintagmi ci assicurano il carattere strutturale di questa ‘Vor-
stellung’ religiosa.
Ai dati forniti dalla documentazione sabellica, su cui avevano da
tempo richiamato l’attenzione Kerenyi, Altheim, Devoto, Latte 7, si
sono man mano aggiunti anche quelli offerti da altre tradizioni lin-
guistiche dell’Italia, come l’etrusco e il messapico (su cui ci soffer-
meremo più avanti), dati che ci inducono a pensare ad un sistema di
ampia convergenza culturale anche nell’ambito religioso con le rela-
tive ricadute linguistiche.
Entro questa cornice più generale si inserisce uno degli aspetti
più interessanti della teonimia dell’Italia antica, su cui si intende
qui soffermarsi, cioè le coincidenze formali e strutturali tra teonimi
e antroponimi. Tale caratteristica è condivisa non solo da quella ca-
tegoria che, solo per ragioni di comodità, continueremo a chiamare
qui ‘Sondergötter’, ma anche – ed è questo il fatto nuovo e saliente –
da divinità maggiori o da divinità che avevano un ruolo non secon-
dario.
L’intersezione e i mutui passaggi tra settori diversi dell’onoma-
stica (soprattutto i tre grandi ambiti, l’antroponimia, la teonimia e
la toponomastica) costituiscono fenomeni universali che, in quanto
tali, non necessitano di soverchia attenzione. Più in specifico i rap-
porti tra nomi divini e nomi personali sono un fenomeno diffuso
che procede in genere nella direzione dai primi verso i secondi, dan-
do luogo a quella categoria che viene chiamata ‘teoforici’. In tal sen-
so viene impiegato il termine teoforico nel trattato di Usener 8. L’an-
troponimia greca si avvale largamente di questa facoltà derivando
parecchi nomi personali da teonimi, che figurano o come elemento
di un composto (tipo Zhno¥dotov) o come base onomastica, marcata
da un morfo derivazionale (tipo Apollw ¥ niov). Ma anche i nomi
personali di area celtica e germanica offrono analoghi tipi di forma-
zione.
Ben difficile, tuttavia, è, nell’antroponimia greca, trovare il con-
trario, cioè un teonimo che coincide per forma o struttura con un
antroponimo. Un’eccezione (d’altra parte, non casuale se si riflette
alla sua figura semidivina nel mito greco) è rappresentata dal nome
di Ercole, che condivide lo stesso tipo di formazione dei nomi perso-
nali in -klh̃v (tipo Periklh̃v, Agauoklh̃v, Dioklh̃v). È bene ricorda-
re, tuttavia, che Hraklh̃v ‘colui che ha la fama di Era’ appare solo
come denominazione dell’eroe e mai come nome di persone, confer-

7
Cfr. Latte 1927, Altheim 1932, Kerenyi 1933, Devoto 1967.
8
Cfr. Usener 1929, p. 349 ss.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 223

mando, dunque, la generale tendenza del mondo greco a non so-


vrapporre nella stessa struttura formale la designazione di esseri
umani e quella di entità sovrumane.
Le culture dell’Italia antica offrono un quadro ben più comples-
so per quanto riguarda il rapporto tra antroponimi e teonimi. Pro-
prio la complessità di questo quadro sollecita una riconsiderazione
generale della nozione di (nome) ‘teoforo’ o ‘teoforico’. Se, infatti, si
consulta la sezione del vecchio repertorio di Schulze dedicata ai
Theophore Namen 9 si riceve immediatamente l’impressione che sotto
questa categoria sono ricuciti ed incrociati dati diversi sia di natura
linguistica sia di carattere fattuale, oltre che di diversa scansione
cronologica. È indubbio che nella classe dei ‘teofori’ rientrano i no-
mi personali che esprimono un rapporto formale di derivazione se-
condario rispetto ad un teonimo. Il carattere secondario di tali for-
mazioni ha nella lingua la sua prova più evidente consistente soprat-
tutto nella marca di derivazione morfologica. Spesso il dato
linguistico converge con la seriorità cronologica delle rispettive atte-
stazioni e con le contingenze storiche, talvolta ben individuabili, che
l’hanno motivato. È questo il caso, per esempio, dei cognomina deri-
vati da teonimi come Martialis, Apollinaris, Saturninus, la cui fre-
quenza aumenta in età imperiale soprattutto tra classi di rango di
più basso. Nomi di questo tipo permangono nell’onomastica cristia-
na ovviamente demotivandosi rispetto al teonimo pagano a seguito
del cambio di religione. Inoltre, il loro rango di uso nell’ambito dei
cognomina non ha alcuna relazione con la primitiva importanza o
diffusione nel culto religioso10. Sempre ad ambienti sociali bassi si
relazionano gentilizi tratti da teonimi quali Venerius, Minervius,
Dianius che fioriscono soprattutto nell’onomastica di schiavi affran-
cati.
A tal proposito non è poi inopportuno mettere in guardia dall’u-
so che disinvoltamente si è fatto in passato della categoria di ‘teofo-
ro’ per ricostruire la diffusione di un culto a partire dall’arealità di
un nome personale o, viceversa, della provenienza regionale di un
antroponimo collegato ad un teonimo. Per esempio, la distribuzione
areale di un gentilizio come Fer(r)onius e dei suoi riflessi toponoma-
stici moderni (Ferrogno, Ferrognano, ecc.) corrisponde assai poco al-
la diffusione del culto della divinità sabina Feronia 11.
Più complessa e accattivante è, invece, la valutazione di nomi
che affondano le loro radici in età ben più remote in cui la denomi-
nazione divina e quella umana sembrano fondersi. Il caso più inda-

9
Cfr. Schulze 1904, p. 467 ss.
10
Cfr. Kajanto 1965, p. 53.
11
Cfr. Aebischer 1934.

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224 PAOLO POCCETTI

gato – e anche, oggettivamente, più importante tanto per la diffusio-


ne del culto della divinità italica quanto per la fortuna dell’antropo-
nimo nell’onomastica latina e sabellica – è quello del rapporto tra il
nome di Marte e il prenome Marcus a cui risponde parallelamente la
relazione tra il corrispettivo teonimo osco Mamert- e il prenome Ma-
marc- > Mamerc-.
Ma oltre a questo nome, che deve la sua fortuna interlinguistica
forse anche alle ragioni ideologiche e religiose connesse alle radici
antichissime del culto di Marte nell’Italia antica, altre testimonianze
riannodano in un nesso spesso inestricabile la denominazione divi-
na con quella umana. È sufficiente accennare qui al fatto che alcuni
elementi onomastici che si presentano nel repertorio dell’antroponi-
mia osco-umbra e che si motivano spiccatamente in rapporto al les-
sico delle lingue sabelliche compaiono – pur attraverso filtri docu-
mentari diversi – nella denominazione di entità divine. Si tratta, per
esempio, dei tre radicali treb-, her-, ner- che ricorrono con diversa
arealità come nomi individuali (prenomi e/o gentilizi) e che si ripre-
sentano in teonimi, talvolta anche senza sensibili differenziazioni
morfologiche. Questo è il caso per esempio del teonimo delle Tavole
Iguvine Trebo- che ha un corrispettivo antroponimico nell’osco Tre-
bis (prenome) e Trebiis (gentilizio), del teonimo Her(i)e attestato da
fonti antiquarie nelle formule Here Martia e Herie Iunonis difficil-
mente dissociabile dal rapporto con il prenome e gentilizio osco
Her(e)i(i)s, ma anche di Nerio che figura nella designazione binomia
Nerio Martis, il cui primo membro ha riscontro nell’antroponimo
Ner di ambito umbro12.
Di fronte a casi di questo genere lo Schulze, seguendo le orme di
Usener, non esita ad incasellare gli antroponimi nella classe dei ‘teo-
fori’ in senso stretto, considerandoli, cioè, formazioni secondarie,
anche da un punto di vista morfologico che presuppongono come
antecedente la designazione teonimica. In concreto, egli analizza
prenomi oschi come Heris e Trebis alla stregua di nomi individuali
greci quali Apollw¥niov e Artemı¥siov rispetto ai nomi di Apollo e di
Artemide13. Lo stesso modello di analisi viene massicciamente esteso
dallo Schulze ad una folta serie di nomi personali, alcuni dei quali
hanno una diffusione più o meno spiccata in ambiente latino-italico,
come osco Mais (lat. Maius) connesso con il teonimo Maia, osco Sta-
tis (lat. Statius) connesso con il teonimo Stata, e perfino Manius col-
legato con Cerus Manus e Genita Mana 14. In pratica, dunque, lo
Schulze non fa altro che estendere a tutte le pieghe dell’onomastica

12
Cfr. Ve 236 = Rocca 1996, Ass.1.
13
Cfr. Schulze 1904, p. 469.
14
Cfr. Schulze 1904, p. 474.

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PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 225

divina del mondo italico quel rapporto rigido ed inderogabile che as-
sume sempre il teonimo come prioritario rispetto all’antroponimo.
È il procedimento soggiacente alla formazione di antroponimi ‘teo-
forici’ greci (tipo Apollw¥niov) e alla derivazione di gentilizi e di co-
gnomina plebei di età imperiale da nomi di divinità (tipo Venerius,
Martialis, ecc.).
Tale modello esplicativo lascia, tuttavia, insolute almeno due
questioni nodali. La prima riguarda il rapporto morfologico, che
non rende sempre evidente la derivazione di un antroponimo da un
teonimo attraverso una marca suffissale che esprime l’appartenenza
o la pertinenza; la seconda concerne, invece, la struttura sintattica
che compone la denominazione divina rappresentata da un sintag-
ma costituito da «determinato + determinante» consistente nel nu-
cleo nome+aggettivo o nome+genitivo.
Nel primo rango si iscrivono nomi divini che presentano una
piena coincidenza morfologica con designazioni personali inseren-
dosi perfettamente nelle due classi in cui si incardina il sistema desi-
gnativo personale comune alle diverse tradizioni linguistiche del-
l’Italia antica, cioè la classe dei prenomi e quella dei gentilizi. Ed è
appunto attraverso queste stesse tradizioni linguistiche che presen-
tano la formula binomia dell’onomastica personale che si possono
rintracciare designazioni divine che coincidono, ora nella struttura
morfologica, ora nella base onomastica, ora in entrambe, tanto con
prenomi quanto con gentilizi dei rispettivi repertori onomastici. Ac-
cenneremo ad alcuni dati già noti da tempo per entrare più nello
specifico di alcune acquisizioni più recenti.
In etrusco coincidenza formale tra teonimo e gentilizio è rap-
presentato dal caso ben noto di *Veluim(e)na /Veluum(e)na, forma in-
digena presupposta dal teonimo attestato in fonti latine ora Voltum-
na ora Vertumnus (quest’ultimo consacrato da Properzio alla cele-
brità letteraria). La totale coincidenza formale del teonimo di filtro
latino con i gentilizi etruschi, già da tempo segnalata15, viene messa
in evidenza non solo dall’elemento morfologico -m(e)na, noto for-
mante di gentilizi tipo Tetumina, Ritumena, Malamena, Taruumena
(arcaici) Restumnei, Felzumna (recenti)16, ma anche dalla condivi-
sione della stessa base individuabile nel gentilizio Veluina, Velunei e
nel soggiacente prenome *Velua/Velue restituito da Volta in un’iscri-
zione falisca17. A tale condizione di *Veluim(e)na/Veluum(e)na è stata
attribuita la possibile origine da un culto gentilizio come designa-

15
Cfr. Schulze 1904, p. 252.
16
Cfr. De Simone 1975, p. 139 ss.; Cristofani 1985, p. 77 ss.
17
CIL I2 364 : cfr. De Simone 1975; Cristofani 1985.

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226 PAOLO POCCETTI

zione ellittica a partire da una designazione bimembre del tipo


*Tinia Velu um(e)na18.
Tale spiegazione è in linea di principio possibile nel caso specifi-
co, anche se si impone qualche cautela nella sua generalizzazione. È
vero, infatti, che il secondo componente di numerose denominazio-
ni binomie di divinità etrusche condivide spesso la struttura morfo-
logica e/o la base onomastica di gentilizi, come si verifica, per esem-
pio, in determinanti marcati dalla terminazione -u, tipo Vecu (in La-
sa Vecuia, alla base del nome di Vegoia) o dalla ancor più comune
uscita -na (tipo Tina U variena; Lasa Axunana, ecc.)19.
Occorre tener presente, tuttavia, che anche una designazione
monomia o il primo elemento di una designazione bimembre, come
Zipna, Ualna, Tina 20, possono condividere la stessa struttura dei gen-
tilizi, senza necessariamente implicare l’origine da un culto gentili-
zio 21. Talvolta, inoltre, l’appositivo marcato dall’elemento morfologi-
co - na è riferibile non tanto ad un gentilizio quanto, invece, ad un
aggettivo ‘teonimico’ che definisce l’appartenenza del culto alla sfera
cultuale di altra divinità, come nel caso Tina Calusna, (cioè Tin ap-
partenente alla sfera di Calus) secondo una tipologia che trova altri
riscontri nella religione etrusca 22 in corrispondenza al ben noto mo-
dello della religione italica.
Appare comunque incontestabile l’esistenza in etrusco di culti
pertinentizzati in riferimento all’ambito di una gens. Così come si
verifica in area latina e sabellica in base ai dati che verranno esposti
più avanti.
Anche per quanto riguarda le coincidenze tra teonimi e preno-
mi l’etrusco offre alcuni interessanti esempi che permettono di indi-
viduare la comune afferenza al lessico. È questo il caso di Usel >
Usil da cui è derivato il gentilizio Uselna. Il prenome, che presenta
la veste formale di altri prenomi etruschi (tipo Venel > Vel), è legato
all’appellativo per ‘sole’, a cui si congiunge la tradizione circa il cul-
to solare della gens Aurelia 23. Un altro caso è quello di U esanu e (fem-
minile del maschile U esanu e), attestato a Chiusi nella formula arcai-
ca mi U esanu eia Tarx umenaia 24 e probabilmente anche a Caere (mi
U esa(n)u ei) 25. Tale prenome appare difficilmente dissociabile dal
nome etrusco dell’ ‘aurora’ alla base anche del teonimo U esan, che

18
Tale spiegazione è stata formulata da Cristofani 1985.
19
Per le attestazioni cfr. Cristofani 1985, p. 79 e De Simone 1997.
20
Cfr. Cristofani 1997, p. 211.
21
Cfr. Cristofani 1993, p. 11 ss.
22
Se ne vedano altri esempi in Maras 2001, p. 186 ss.
23
Su ciò, più diffusamente, cfr. De Simone 1965.
24
Rix ET Cl 2.8 : cfr. De Simone 1975, p. 138 ss.
25
Rix ET Cr 7.1.

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PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 227

compare in designazioni binomie (es. Uesan Tinś) 26. Non è certo ca-
suale la circostanza che le attestazioni del nome appaiono come de-
signazioni muliebri al cospetto del fatto che come designazione di
divinità corrisponde ad un’ipostasi femminile 27. Analogo fenomeno
compare – come si vedrà tra poco – anche per denominazioni in
ambiente italico.
L’impiego di un elemento del lessico sia come nome individuale
sia come nome divino non appartiene solo all’etrusco. Altre tradizio-
ni dell’Italia antica ci offrono altri esempi in tal senso, anche se il di-
fetto di attestazioni rende non sempre possibile verificare la con-
gruenza delle attestazioni all’interno di uno stesso ambiente lingui-
stico.
L’ambito italico ci offre l’esempio di Cupra che ha una sua speci-
fica arealità (Umbria e Piceno) come denominazione divina (con e
senza appellativo per ‘madre’ : Cubrar Matrer), intrattenendo un rap-
porto sincronico con l’aggettivo cupro- ‘buono’ attestato nel lessico
paleo-italico 28. Tuttavia, lo stesso nome (nelle diverse varianti anap-
tittiche Kypara, Kypyra) 29 compare in ambiente siculo sia in funzio-
ne di teonimo, in quanto appellazione locale della fonte Arethusa
(ipostatizzata in una ninfa) 30 sia come nome individuale femminile.
Di quest’ultimo impiego ci dà certezza – messe a parte le occorrenze
ove è meno certa l’identificazione del designatum 31 – la sua menzio-
ne in una laminetta di piombo in riferimento ad un gruppo di perso-
ne che hanno accumulato debiti, ove è fuori di ogni dubbio che si
tratti della designazione di una donna 32.
Nel caso di Cupra è da sottolineare la coincidenza nell’impiego
al femminile del nome sia come teonimo sia come antroponimo : è
sconosciuto, infatti, l’uso del corrispettivo al maschile sia tra i nomi
di persone sia tra quelli di divinità. Un ulteriore esempio si trova, co-
me si è già accennato prima, nel teonimo etrusco Uesan usato anche
come antroponimo femminile. La circostanza che risultano scono-

26
Cfr. De Simone 1997, p. 195.
27
Cfr. Cristofani 1997, p. 211.
28
Sulla questione e sul dossier documentario relativo alla divinità Cupra, cfr.
Calderini 2001.
29
Per altro compatibili entrambe con l’anaptissi di quota paleoitalica, essen-
do i due tipi registrati entrambi nelle iscrizioni sud-picene.
30
Per il dossier e la sua analisi cfr. Durante 1960 : Cfr., inoltre, Agostiniani
1985, p. 212 e Calderini 2001, p. 60 ss.
31
Come nell’iscrizione su peso da telaio da Terravecchia di Cuti (Dubois
1989, no 175b) e nel graffito su cratere da Morgantina (Antonaccio-Neils 1995), at-
testazioni nelle quali è possibile l’interpretazione tanto come antroponimo quan-
to come teonimo.
32
Cfr. Dubois 1989, no 177.

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228 PAOLO POCCETTI

sciuti prenomi maschili derivati dallo stesso elemento lessicale che


diviene teonimo non è certo frutto del caso, ma si iscrive nel noto fe-
nomeno di antropomorfizzazione, accertato in ambito italico 33 ed
etrusco 34, che si estrinseca, inevitabilmente, nella sessualizzazione
di un’entità divina (cioè l’incardinamento nell’opposizione uomo-
donna).
Pertanto, almeno nei casi specifici appena citati, appare più pro-
babile che il passaggio da unità lessicale ad elemento onomastico sia
avvenuto attraverso il teonimo, che ha fissato il suo impiego nella
‘femminilizzazione’ dell’ipostasi divina e che, di qui, sia, poi, passato
a designazioni di donne, ma non il contrario.
Invece, tale casistica non sembra estensibile ad un gruppo di
teonimi che presenta affinità formale con una base onomastica dif-
fusa in ambito italico. Un’iscrizione latina ci attesta la denominazio-
ne divina Numisius Martius. Il nome Numisius mostra piena coinci-
denza formale con il gentilizio Numisius, che condivide una base
onomastica e una struttura morfologica, (cioè Num( )sio-) diffuse
nell’antroponimia di area latina e sabellica (es. lat. Numasios, osco
Niumsis, ecc.). La diffusione interlinguistica tra latino e lingue sa-
belliche di tale elemento onomastico tra gli antroponimi e l’esempio
isolato come teonimo lascia pensare ad un percorso inverso al pre-
cedente, cioè dall’antroponimia verso la teonimia. In questa stessa
direzione intervengono altri fattori che complicano ulteriormente il
quadro testimoniale. Infatti, altre designazioni divine, che si inseri-
scono sempre nella sfera cultuale di Marte, come Numisius Martius,
non sono altro che variazioni morfologiche della stessa base onoma-
stica di Numisius e ne condividono l’impiego come antroponimi.
Da tempo ha attirato l’attenzione la forma Numiternus, che si at-
testa in una iscrizione latina da Atina nel sintagma Mars sive Numi-
ternus che esprime una singolare equivalenza designativa con il no-
me stesso di Marte 35. La considerazione degli ampi riflessi che Nu-
misius e Numiternus hanno nel repertorio antroponimico aveva
indotto lo Schulze ad identificarvi una sorta di ‘culti gentilizi’ (Fami-
liengötter) 36. Tuttavia, le due denominazioni (cioè Numisius Martius
e Mars sive Numiternus) non presentano la struttura costitutiva che
connota un culto gentilizio, cioè la presenza del gentilizio stesso o di
un suo derivato che sono impiegati come determinanti di un teoni-
mo, cioè in funzione di aggettivi che definiscono la sfera cultuale di
una divinità maggiore. Ulteriori esempi in tal senso sono quelli di
Lares Hostilii (in latino), di Mamertei Pettiannúı́ (in osco), di Uni

33
Cfr. Prosdocimi 1989, p. 497.
34
Cfr. Cristofani 1993; 1997; per l’ambito etrusco, cfr. anche Maras 2001.
35
CIL X 5046.
36
CIL XI 5740. Cfr. Schulze 1904, p. 200.

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PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 229

Ursmnei (in etrusco), di Totor Dazinnes (in messapico), nei quali l’e-
piclesi è rappresentata da un gentilizio (Hostilii, Ursmnei, Dazinnes)
o da un suo derivato (Pettiano- < Pettio- + -āno-). A duplice interpre-
tazione si presta, invece, la designazione etrusca binomia Selvans
Sanxuneta, nel cui secondo membro è stato identificato ora un deri-
vato da un gentilizio non attestato (Sanxuna+ta) 37, da omologarsi,
pertanto, al tipo osco Mamertei Pettiannúı́, latino Lares Hostilii, ecc.,
ora il derivato (sia pure non esente da qualche difficoltà morfologi-
ca) da un altro teonimo (equivalente all’umbro Sankio-) 38.
Le denominazioni Numisius Martius e Mars sive Numiternus ci
pongono, invece, di fronte a condizioni strutturali ben diverse. Nella
formula Numisius Martius si inverte il rapporto tra determinante e
determinato (l’antroponimo Numisius viene determinato dal teoni-
mo Mars), mentre nel caso di Mars sive Numiternus la struttura,
ispirandosi al principio di equivalenza, riproduce un modello
espressivo usato per indicare i soprannomi in ambito personale, do-
ve sive/seu viene impiegato in concorrenza con il più comune qui/
quae (et) 39. In termini più generali, la prima designazione risponde
al principio di una struttura sintagmatica, mentre la seconda è di
natura paradigmatica. Entrambe rispecchiano strutture formali del-
l’onomastica personale.
Il rapporto con la base onomastica a cui si rapportano tanto
Numisius quanto Numiternus chiama in causa un fenomeno analo-
go riscontrabile nella struttura di un teonimo attestato in un’iscri-
zione votiva osca da Rossano di Vaglio. La lettura del nome ne è
controversa : Nymyloi (Lejeune), Nymydo-, Nymcdo- (Del Tutto Pal-
ma) 40. Certo è che il teonimo, ripetuto due volte nella stessa dedica,
è accompagnato, in un caso, dall’epiclesi che lo collega al culto della
divinità del santuario, cioè Mefitis (Mefitanoi) e nell’altro, dall’epi-
clesi che lo collega al culto di Marte (Mamertioi). Non è forse casua-
le che un teonimo, così specifico e isolato nell’epigrafia religiosa
osca, si riferisca al culto di Marte a cui si raccordano le attestazioni
latine dei nomi tratti dalla stessa base onomastica di Numisius e di
Numiternus.
Merita rilevare che le tre alternative di lettura proposte (Numu-
lo-, Numudo-, Numpsdo-) convergono sulla condivisione sincronica
della stessa base onomastica di un antroponimo osco (Niumsis).
Inoltre, almeno due alternative di lettura consentono una sovrappo-
sizione con nomi individuali sporadicamente attestati. Si tratta di
Numulo- (lettura Lejeune), perfettamente sovrapponibile al nome

37
Cfr. De Simone 1997.
38
Cfr. Maras 2001, p. 197.
39
Cfr. Kajanto 1966, p. 6.
40
Rix ST Lu 28.

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230 PAOLO POCCETTI

individuale Nummelos attestato nell’iscrizione in greco sulle mura di


Serra di Vaglio (eßpıù th̃v Nymme¥loy aßrxh̃v) 41, con cui potrebbe conver-
gere anche l’ipotesi di lettura Numudo- dietro il presupposto di una
allofonia d/l (del tipo Diumpa- ∼ Lympha-). Il nome Nummelos a Ser-
ra di Vaglio si riferisce ad un magistrato locale nella cui aßrxh¥ va ri-
conosciuta la carica del meddix come mostra il parallelismo con
l’iscrizione su contesto omologo da Muro Lucano in osco (Maiv Ar-
riev soyPen meddiken) 42. Ma anche la lettura Numpsdo- non sarebbe
troppo lontana dalla serie onomastica di Niumsis < Num-sio- (Nym-
civ in grafia greca), qualora si riconducesse il prenome mamertino
Niymsdihiv a Nums(-)dio-, anziché a Num(-)sio- (in quest’ultimo ca-
so attribuendo al digrafo <sd> il valore di <z>).
La seconda questione, che è lasciata insoluta dalla prospettiva
praticata da Schulze della modellizzazione degli antroponimi sui
teonimi, riguarda, invece, la struttura sintattica che concorre alla
denominazione divina. A ben vedere, infatti, la specificità della ‘Got-
tesvorstellung’ del mondo italico e di quello etrusco è l’organizzazio-
ne in strutture gerarchiche che sono linguisticamente manifestate
mediante un oppositivo aggettivale o genitivale (tipo Herie Martia,
Nerio Martis). Sintagmi di questo tipo danno luogo a strutture bino-
mie che costituiscono di fatto la ‘formula onomastica’ dell’entità di-
vina. Questo dato strutturale – nel senso che trova nella struttura
sintattica la sua concretezza e completezza designativa – costituisce
un punto comune tra denominazioni di persone e di divinità. Del re-
sto, derivazioni aggettivali come Martius o Iovius condividono lo
stesso procedimento morfologico della formazione dei gentilizi, per
cui designazioni divine come Herie Martia, Numisius Martius, Trebo-
Iovio- sono strutturalmente analoghe alla canonica struttura bi-
membre dei nomi personali tipo Heris Dekkiis, Trebius Arruntius o
Publius Cornelius.
Analogamente, anche figure divine, collegate a tradizioni eziolo-
giche della storia o delle antichità romane, che avevano stimolato la
concezione useneriana degli ‘Augenblicksgötter’ come Aius Locu-
tius, Mamurius Veturius, Anna Perenna riproducono la canonica de-
signazione bimembre a base gentilizia, non solo per la condivisione
della stessa struttura morfologica, ma anche per coincidenze di basi
onomastiche. Procedimento simile si riscontra anche in denomina-
zioni divine etrusche tipo Kavu as Axuias, Lasa Axuna, Lasa Vecuia,
ove il secondo membro coincide di fatto con un gentilizio o ne è un
chiaro derivato 43.

41
Landi 1979, no 160; Lejeune 1968 p. 210 ss.
42
Rix ST Lu 4.
43
Cfr. De Simone 1997.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 231

Non si può, d’altra parte, esonerarsi dal ricordare che anche il


primo elemento dei teonimi latini bimembri appena citati trova pre-
cisi corrispettivi formali in antroponimi italici. Così, per esempio,
(nella designazione binomia Aius Locutius) l’elemento Aius, indi-
pendentemente dal suo rapporto sincronico con il verbo aio, ait
(< *h2eg-), evocato dalla relazione sintagmatica con Locutius e dalla
tradizione eziologica relativa al nome, risulta di fatto omofono al
gentilizio osco Ahies (latinizzato in Ahius). Analogamente per il teo-
nimo Veturius, il quale, quand’anche se ne presuma un’origine diver-
sa 44, è sincronicamente coincidente con il gentilizio Veturius / Vetu-
sius (da cui è, invece, difficilmente dissociabile, indipendentemente
dalla sua pertinenza linguistica al latino o all’etrusco, Vetusia della
coppa argentea di VII secolo a.C. da Praeneste) 45. Non di meno Ma-
murius, per quanto più problematico, condivide la base onomastica
con un prenome ben noto in ambito italico Mama, Mamos, dando
luogo a un perfetto parallelismo morfologico con il già citato caso di
Numisius, cioè Mama : Mam(-)sio- = Numa : Num(-)sio-. In pratica,
le due forme Mam(-)sio- e Num(-)sio-, chiamate a designare, con
strutture sintattiche diverse, entità divine risultano legate sia da
omogeneità morfologica sia dalla presenza di due distinte basi ono-
mastiche che sono ampiamente ricorrenti nelle denominazioni per-
sonali.
Allo stesso modo Anna (primo elemento della designazione bi-
nomia Anna Perenna) si inserisce nella serie antroponimica diffusa
soprattutto in area peligna (Anies, Anaes, ecc.) con esiti ben noti in
latino (Annius, Annaeus). Lo stesso può dirsi per Acca, primo ele-
mento di Acca Larentia, che trova riferimenti in nomi personali dif-
fusi sempre in area peligna (Acaes > Accaeus). Questo stesso nome
compare come tale (Akka) 46 anche in pesi fittili dello stesso ambien-
te siculo, dove si attesta, sullo stesso tipo di supporti, anche il nome
di Cupra. Tali stringenti omologie accentuano il parallelismo della
sorte dei nomi di Cupra e di Acca in ambiente siculo e delle rispetti-
ve relazioni con le culture italiche della Penisola. L’attestarsi dei due
nomi a marca zero (che ne opacizza la funzione sintattica) e la tipo-
logia del supporto rendono equipollenti le possibilità di una desi-
gnazione personale quanto di un nome divino 47, considerato che il
riferimento tanto ad una donna quanto ad una divinità femminile ri-
sulta perfettamente coerente con l’ambiente muliebre a cui si circo-
scrive l’uso dei pesi da telaio.

44
Su ciò cfr. De Simone 1999, p. 400.
45
Sulla quetione della pertinenza dell’iscrizione al latino o all’etrusco cfr.
Prosdocimi 1983, p. LIX e De Simone 1999, p. 390.
46
Cfr. Dubois 1989, no 175c.
47
Cfr, Agostiniani 1985, p. 212.

.
232 PAOLO POCCETTI

Non c’è, invece, bisogno di spendere troppe parole su Herie, Ne-


rio, Numisius che hanno precisi ed inequivocabili corrispettivi in
diffusi prenomi italici (osco Heris, Niumsis, umbro Ner).
L’assimilazione della struttura della designazione divina a quella
umana offre anche altre tipologie, di interpretazione più problemati-
ca, quali, per esempio, Titoi Mercui, in una dedica falisca 48, o Minerva
Matusia, in un’iscrizione latina da Sentinum 49. La prima formula rea-
lizza di fatto la piena coincidenza del primo elemento con un noto pre-
nome (Titus), circostanza che determina una condizione omologa a
Numisius Martius o a Numulo-/Numpsdo- Mamertio-. La seconda pre-
senta nel secondo elemento la sovrapposizione con un gentilizio (Ma-
tisius/ Matusius), circostanza che ha dato adito all’ipotesi di un culto
gentilizio 50. Non sono mancate, tuttavia, proposte alternative in dire-
zione del lessico. Per Tito- della dedica falisca è stata avanzata l’ipotesi
di un appellativo con valore di ‘genius’ con allusione fallica 51, mentre
in Matusia è stato identificato un derivato aggettivale da mātu-
< *mh2-tu- (cfr. osco Maatúís) 52. Comunque, nessuna delle due spiega-
zioni scalfisce i dati di fatto della coincidenza sincronica, in un caso,
con il prenome Titus (che peraltro potrebbe avere la stessa origine –
come è stato peraltro già suggerito 53 – dell’appellativo) e, nell’altro ca-
so, con il gentilizio Matisius, oltre che di una piena rispondenza di en-
trambe le formule con le strutture binomie delle designazioni umane.
Un ulteriore punto di contatto tra nomi divini bimembri e le de-
signazioni personali è il ricorso intenzionale alla produzione di ef-
fetti fonici tra i due membri della formula. Infatti, coppie di tradi-
zione romana come Mamurius Veturius, Anna Perenna, Mutunus
Tutunus sembrano essersi costituite in obbedienza a evidenti feno-
meni fonetici (assonanza interna, poliptoti). Fenomeni analoghi so-
no frequentemente riscontrabili anche nell’antroponimia nelle scelte
che regolano il rapporto tra nome individuale e il gentilizio, come,
per esempio, in osco Trebav Trebatiev; Venilei Viniciiu; Veneleis Vu-
lieis. Analogo fenomeno si ritrova anche in etrusco : un teonimo bi-
membre del tipo Lurs Lrtla 54 sembra rispecchiare gli stessi principi
di assonanza interna che si ritrovano anche nell’ambito dei nomi
personali del tipo Arau ia Arau enas 55, Laru Larcna 56.

48
Cfr. Giacomelli 1963, no 15.
49
CIL XI 5740.
50
Schulze 1904, p. 200.
51
La proposta, già formulata da Altheim, è stata ripresa in Prosdocimi 1989,
p. 530.
52
Cfr. De Simone 1999, p. 397.
53
Cfr. Peruzzi 1995, p. 84.
54
Cfr. De Simone 1997, p. 197.
55
Cfr. Rix ET Vs 1.88 (Volsinii : arcaico).
56
Cfr. Rix ET Cl 1 103; 1106 (Chiusi : recente).

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 233

In realtà si riproduce qui un fenomeno più generale ben noto


nell’antroponimia, ove, oltre a continuare nel prenome individuale il
prenome paterno o dell’avo o il nome della famiglia, si tende, non di
rado, ad armonizzare fonicamente i due elementi della denomina-
zione binomia. Questa propensione verso la ricorsività di lessemi o
di segmenti fonici nelle designazioni personali si verifica sia in am-
bienti ove vige l’uso del solo idionimo, ove tale criterio determina la
scelta del nome individuale rispetto al prenome paterno (es. gr. Ly-
ko¥frwn Lykoỹrgov germ. Herimot : Herirat) 57, sia in ambienti ove è
istituito il nome di famiglia (es. Castruccio Castracani, Castruccio
Castrucci, Benozzo Gozzoli, ecc.).
Infine, anche le strutture binomie, ove il secondo elemento è
rappresentato da un genitivo in funzione di ‘determinante’ (tipo He-
rie Iunonis, Nerio Martis), realizzano un perfetto parallelismo con la
formula pressoché universale della designazione personale median-
te patronimico : «X (figlio) di Y». Lasceremo qui da parte la vecchia
questione – in questa sede secondaria – se la nozione di filiazione
che viene talvolta esplicitata nelle designazioni divine (tipo Fortuna
Diovos filea dell’iscrizione prenestina) appartenga alla cultura reli-
giosa indigena oppure sia frutto dell’influenza delle genealogie divi-
ne del mondo greco. È appena il caso di ricordare che anche questa
struttura (determinato + determinante in genitivo) si presenta fre-
quentemente in designazioni divine etrusche, tipo U esan Tinś, Mariś
Hercles, Mariś Turns, Turmś Aitaś 58, circostanza che dimostra la pie-
na partecipazione della religione etrusca al sistema delle «sfere cul-
tuali divine» messe da tempo in evidenza come una delle peculiarità
salienti della «italische Gottesvorstellung» (Altheim, Latte, Keré-
nyi).
La casistica finora esaminata ci permette di cogliere significati-
ve e profonde omologie strutturali tra designazioni divine e onoma-
stica personale che coinvolgono trasversalmente diverse tradizioni
linguistiche e culturali della Penisola italiana in età antica. Queste
omologie riguardano, ora separatamente ora congiuntamente, mar-
che morfologiche, strutture sintattiche, motivazione rispetto al lessi-
co, effetti fonostilistici. Tutto ciò fa sì che non di rado sono solo i
contesti documentari, le tradizioni antiquarie e la conoscenza dei
contorni extralinguistici che ci permettono di distinguere il nome di
un’entità divina (es. Numisus Martius, Mamurius Veturius, Herie Iu-
nonis, ecc.) da una designazione personale.
Questo dato di fatto obbliga quanto meno ad una estrema caute-

57
Cfr. Lazzeroni 1985.
58
Cfr. De Simone 1997, p. 206; Maras 2001, p. 192 ss.

.
234 PAOLO POCCETTI

la nell’applicazione univoca ed unidirezionale della linea di spiega-


zione per cui le denominazioni umane sono sempre modellate su
quelle divine. Obbliga, conseguentemente, alla prudenza nella clas-
sificazione dei nomi nella casella dei ‘teoforici’ (in cui il ‘prius’ è
sempre il teonimo). Non si può, invece, mancare di sottolineare che
i fenomeni sopra illustrati accomunano, nelle loro linee generali e
strutturali, diversi ambiti religiosi dell’Italia antica e sono, pertanto,
imputabili ad un fattore di profonda convergenza culturale tra le di-
verse tradizioni linguistiche della Penisola (indoeuropee e non in-
doeuropee), che si aggiunge alla serie di convergenze linguistiche e
culturali già note. Di questo non può ovviamente non tener conto la
questione dei ‘Sondergötter’ – se si vuole continuare a chiamarli così
– della religione romana.

Lucetius
Tra le più recenti acquisizioni dell’epigrafia osca dal santuario
lucano di Rossano di Vaglio c’è un nome personale, LwPktihiv, geni-
tivo singolare in funzione di patronimico inserito in una formula
onomastica 59. Questa attestazione, oltre ad accrescere di un ulterio-
re elemento il repertorio antroponimico osco, assume un particolare
interesse per le questioni linguistiche e filologiche connesse al latino
Lucetius con cui il dato osco è perfettamente sovrapponibile. Infatti,
l’attestazione osca presuppone la caduta per sincope di una vocale
breve Louk(vŏc.)tio-, circostanza congruente con la quantità accer-
tata metricamente dall’attestazione virgiliana di Lucĕtius. Inoltre, la
probabilità che tale vocale sincopata fosse di timbro palatale e che,
pertanto, alla base del nome osco possa postularsi una forma equi-
valente a quella latina è resa elevata dal raffronto morfologico con
un altro nome di probabile ascendenza italica formato con lo stesso
procedimento derivativo da un’altra base verbale, quello di Ducetius
(< *Douketio-) capo della rivolta dei Siculi. Il parallelismo morfolo-
gico con Lucetius ha sostenuto l’analisi di Ducetius come nome ‘par-
lante’ nel senso, appunto di ‘condottiero’ (dalla radice *deuk-) 60. Del
valore di Lucetius come ‘portatore di luce’ per la trasparenza del rap-
porto sincronico con i derivati della radice *leuk- (lux, luceo, ecc.)
era ben consapevole la tradizione antica confluita nelle glosse che
accompagnano le occorrenze letterarie di questo nome in latino. Ta-
le valore ben si adatta come appellativo di Giove in quanto ribadisce
lo stretto rapporto con la luce implicato dalla radice indoeuropea
del nome stesso della divinità 61.

59
Cfr. Nava-Poccetti 2001. Rix ST Lu 64.
60
Cfr. Agostiniani 1988-1989, p. 192.
61
Si tratta della nota radice i.e. *dyeu- «luce celeste» su cui cfr. Seebold 1991.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 235

In realtà, le note dei glossatori a margine delle attestazioni lette-


rarie fanno concordemente riferimento all’impiego del nome come
attributo di Giove, alludendo anche al fatto che per ellissi l’epiteto
ne funga anche da designazione. Su questo concorda la tradizione
glossografica rappresentata da Festo, Gellio e Servio. Tuttavia tale
tradizione non presenta uniformità nelle informazioni sull’impiego
di Lucetius. Gellio, per esempio, ricorda la presenza del nome in un
frammento del Bellum Poenicum di Nevio [frg. 55 Mariotti], ma sen-
za fare alcun esplicito riferimento all’osco, a cui, invece, Servio asse-
gna il nome :
Gell., N.A. V 5,12 6 = Naev., Bell.Poen., frg. 55 Mariotti : idcirco
simili nomine Iovis Diovis dictus est et Lucetius, quod nos die et luce
quasi vita ipsa efficeret et iuvaret. Lucetium autem Iovem Cn. Naevius
in libris belli Poenici appellat.

Serv., Ad Aen. IX 567 : Lucetium solum hoc nomen est, quod dic-
tum a Virgilio in nullo alio reperitur auctore. Sane lingua Osca Luce-
tius est Iuppiter dictus a luce, quam praestare hominibus dicitur. Ipse
est nostra lingua Diespiter, id est diei pater : Horatius namque Diespiter
plerumque per purum.

Scarsamente significativa in tal senso è, invece, la glossa di Fe-


sto per la sua misera riduzione nell’epitome di Paolo :
Lucetium Iovem appellabant, quod eum lucis esse causam crede-
bant (P. Fest. 102 L.)

Il commento di Servio è doppiamente interessante sia in rappor-


to al testo di riferimento, giacché Lucetius nell’Eneide è impiegato
come antroponimo e non come teonimo designando un guerriero
rutulo ucciso da Ilioneo, sia per l’attribuzione all’osco del nome
glossato. Tale attribuzione è conseguenza dell’osservazione che que-
sto sarebbe l’unico nome virgiliano non attestato altrove (solum hoc
nomen est, quod dictum a Virgilio in nullo alio reperitur auctor). È
probabile che con tale precisazione Servio intendesse solo significa-
re che unicamente in Virgilio il nome si trova impiegato come antro-
ponimo : diversamente occorrerebbe presumere che egli ignorasse
quanto meno l’occorrenza presso Nevio citata da Gellio.
È dopo questa premessa che Servio introduce la notizia che sane
lingua Osca Lucetius est Iuppiter dictus a luce. Si riceve l’impressione
che il commentatore di Virgilio, non trovando conforto – come lui
stesso dichiara – per l’impiego di questo nome presso nessun altro
autore, non sia riuscito che ad esibirne la pertinenza all’osco, ma non
come nome personale, bensì in funzione di appellativo di Iuppiter.
Ma anche l’attribuzione di Lucetius all’osco fornisce qualche
motivo di sorpresa. Innanzitutto, questa è l’unica glossa serviana

.
236 PAOLO POCCETTI

esplicitamente attribuita alla «lingua osca». Servio fa riferimento al-


l’osco non per addurre l’uso del nome come antroponimo, in rispon-
denza all’impiego fatto nell’Eneide, bensì come teonimo. Il docu-
mento epigrafico da Rossano di Vaglio conferma l’attendibilità della
fonte di Servio, per quanto riguarda la presenza di tale nome in
osco. In questo modo consolida il quadro generale dell’alta conser-
vatività del repertorio dei prenomi dell’osco fino ad epoca avanzata,
considerato che l’attestazione epigrafica da Rossano di Vaglio si da-
ta al II secolo a.C. Tuttavia l’iscrizione osca ci mostra che tale ele-
mento onomastico era impiegato almeno fino al II secolo a.C. come
nome personale, mentre non se ne ha finora testimonianza come ap-
pellativo divino.
Comunque ciò che maggiormente sorprende è la circostanza
che Servio per addurre la funzione teonimica di Lucetius faccia rife-
rimento all’osco omettendo l’analogo impiego che nella letteratura
latina ne fa già Nevio. In altre parole colpisce il fatto che Servio ab-
bia attribuito all’osco la pertinenza linguistica del nome che poteva
giustificarsi agevolmente, per trasparenza lessicale, anche all’inter-
no della lingua latina, dove, peraltro, la prima attestazione letteraria
risale a Nevio. Inoltre l’antica lingua religiosa sembra offrire esempi
dell’uso di Lucetius come appellativo teonimico probabilmente per
la designazione della massima divinità, proprio quella il cui nome si
ispirava alla designazione della ‘luce celeste’. Depongono in tal senso
le menzioni relative alle sue occorrenze nell’antichissimo carmen Sa-
liare, dove il nome sembra assumere un impiego specifico e caratte-
rizzante per invocare Giove, sia attraverso l’allusione indiretta di
Macrobio sia riflessa dal celebre frammento, che contiene la forma
Leucesie non dissociabile da Lucetius :
Carmen Saliare frg.2 Morel : quome tonas, Leucesie, prae tet tre-
monti

Macr., Sat. I 15, 14 : cum Iovem accipiamus lucis auctorem, unde


et Lucetium Salii in carminibus canunt.
Rispetto a Lucetius la forma Leucesie, a parte la singolare con-
servazione del dittongo eu confluito in ou in epoca molto antica,
se non predocumentaria 62, presenta l’assibilazione (di tipo analogo
a Claudius > Clausus), che ha già da tempo indotto a pensare alla

62
Secondo la dottrina corrente, il dittongo eu originario sarebbe confluito in
ou condividendone le sorti «frühzeitig» secondo Pfister-Sommer 1977, p. 69;
«uritalisch» secondo Meiser 1998, 59. Diversamente, Campanile 1968, p. 128 ri-
tiene che il passaggio eu > ou sia «fenomeno assai tardo», ritrovandosi ancora in
iscrizioni latine di III sec. a.C. da Lavinio. In realtà, le forme che attestano eu so-
no accomunate dal fatto di appartenere a teonimi o comunque a testi di ambito
religioso che si caratterizzano per la conservazione di tratti arcaici o arcaizzanti.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 237

ricezione di una forma sabina o di tramite sabino 63. Il tratto mar-


catamente sabino di questa forma deve probabilmente la sua so-
pravvivenza al carattere conservativo del carmen del sacerdozio
dei Salii, la cui istituzione si fa risalire appunto al re sabino
Numa.
Lo stesso nome con analoga assibilazione del nesso -ti- si ritro-
va nell’etrusco arcaico, dove, però, è usato come nome personale e
non come teonimo. Infatti, iscrizioni etrusche arcaiche attestano
come nome individuale Lauxusies 64, che si spiega benissimo come
restituzione di Loucesios, a partire da una forma con dittongo ou e
dietro assibilazione di -ti- > -si-. Inoltre la forma etrusca mostra il
consueto indebolimento della vocale della sillaba mediana che pre-
lude alla sincope successivamente attestata dall’osco (LwPktihiv –
Louk(e)tio-).
Le testimonianze etrusche, dunque, garantiscono non solo l’esi-
stenza arcaica della forma assibilata, che sembra essere pervenuta
all’etrusco sempre da ambiente sabino 65, ma anche dell’uso di Louce-
tios > Loucesios come antroponimo, implicandone così una conti-
nuità di impiego come prenome individuale dalle fasi documentarie
alla fine dell’età repubblicana. Ma in età arcaica lo stesso nome è
impiegato come appellativo divino secondo quanto ci rivela la forma
Leucesie documentata nel Carmen Saliare. L’anomala presenza del
dittongo eu in Leucesie è probabilmente un iperarcaismo del lin-
guaggio religioso, dove, peraltro, si concentrano le rarissime soprav-
vivenze di eu in latino fino ad età avanzata (tipo Neuna). L’attestarsi
di Lauxusies in etrusco arcaico e (più tardi) di LwPktihiv in osco
convergono, invece, nell’esito di eu > ou almeno per quanto riguarda
l’impiego antroponimico di questo elemento onomastico. La forma
latina Lūcetius corrisponde alla norma del latino ‘urbano’ che ha
sancito la monottongazione in ū, ripristinando, altresì, il nesso ori-
ginario -tio-. Analoga reazione ‘urbana’ nei confronti di un tratto
sentito come marcato in senso di rusticitas si verifica nel nome del
sabino Clausus che diventa capostipite di quella che a Roma è la
gens Claudia o tutt’al più Clodia, secondo una nota tradizione raccol-
ta dallo stesso Servio :

63
Cfr. Pisani 1971, 37 : «Leucesie è, come vide il Cocchia in RIGI I, 2, p. 15,
forma sabina assibilata di Lucetius». Cfr. anche Bruno 1969, 71.
64
Cfr., per esempio, le attestazioni arcaiche da Volsinii mi Lauxusies Lati-
nies (Rix ET Vs 1.81) e da Volterra mi Lauxusies¥ kurtes¥ ma (Rix, ET Vt 1.71).
65
È, pertanto, da escludere che esistessero due forme con diverso suffisso
(rispettivamente -tio- e -sio-), l’una, Lucetius, pertinente all’osco, e, l’altra, Luce-
sius, pertinente al latino, come aveva postulato Von Grienberger 1910, p. 230. Se
così fosse, infatti, suscita stupore che di quest’ultima con l’esito del rotacismo
(> Lucerius) non vi sia alcuna traccia.

.
238 PAOLO POCCETTI

Serv., ad Aen. VII 706 : nam Clausus, Sabinorum dux, post exac-
tos reges, ut quidam dicunt, cum quinque milibus clientum et amico-
rum Romam venit, et susceptus habitandam partem urbis accepit : ex
quo Claudia et tribus est et familia nominata.

In definitiva, il quadro documentario finora noto su questo ele-


mento onomastico fa intravedere la sua diffusione interlinguistica
tra latino, lingue sabelliche e etrusco fin da epoca arcaica. La traspa-
renza etimologica del nome in chiave indoeuropea e la sua struttura
morfologica assicurano la natura di prestito in etrusco, dove è giun-
to per tramite sabino, di cui è indizio la tipica assibilazione -ti- > -si-.
Ci troviamo, dunque, di fronte ad una denominazione che, sia pure
entro un quadro etimologico e morfologico più latamente italico,
sembra riflettere nelle sue più antiche attestazioni una più mirata ir-
radiazione da ambiente sabino. Inoltre, la pertinenza sabellica del
nome si palesa anche per il parallelismo morfologico – già ricordato
– con un altro nome personale di probabile ascendenza italica, for-
mato con lo stesso procedimento derivativo da una base verbale,
quello di Ducetius, capo della rivolta dei Siculi 66. Anche nelle sue
pertinenze designative Ducetius è in parallelo a Lucetius per il suo
impiego nell’onomastica personale.
Il quadro documentario, sia pur ristretto, delle testimonianze
relative a Lucetius permette di scalare una cospicua serie di varianti
dialinguistiche e interlinguistiche, di cui sfuggono i precisi contorni
diasistemici (diacronia, diatopia, diafasia) :

Assibilazione Dittongo Dittongo Monottongazione Conservazione


-ti > -si- -ou- -eu- > -ū- della vocale in
sillaba mediana

Etr. Lauxusies + + – – –
Lat.arc. Leucesie + – + + +
Lat. Lūcetius – – – + +
Osco LwPktihiv – + – – –

Per l’intero arco diacronico della sua documentazione, il nome


si presenta in funzione sia di antroponimo, testimoniato epigrafica-
mente prima dall’etrusco e poi dall’osco, oltre che nell’impiego virgi-
liano, sia di teonimo, accertato dal Leucesie del Carmen Saliare e
dalle testimonianze letterarie ed antiquarie di Lucetius (Nevio, Fe-

66
Tale parallelismo è già stato rilevato da Sapienza 1918 e da Agostiniani
1989, p. 192.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 239

sto, Gellio). La presenza del tratto ‘sabino’, rappresentato dall’assibi-


lazione di -ti > -si-, tanto nella forma etrusca del prenome quanto in
quella teonimica del Carmen Saliare, invita alla conclusione che pro-
prio in ambiente sabino le due valenze designative coesistessero.
Inoltre, la duplice pertinenza del nome, cioè quella teonimica e
quella antroponimica, doveva appartenere alla cultura sabellica in
senso più lato e perpetuarsi fino ad epoca più recente in considera-
zione dell’attestazione letteraria (in Nevio) per l’una e del documen-
to epigrafico osco per l’altra. Pertanto la notizia di Servio che attri-
buisce all’osco l’uso di Lucetius come teonimo non si trova in con-
trasto con l’attestazione epigrafica come nome individuale a
Rossano di Vaglio poiché questa duplice valenza appartiene già alla
cultura sabina arcaica. Occorre, pertanto, desumere che la fonte di
Servio aveva contezza della pertinenza italica del nome, ma ne co-
nosceva solo l’uso come teonimo (forse influenzata dall’uso roma-
no?). Quello che appare certo è che, se Servio avesse trovato nelle
sue fonti il riferimento al nome come antroponimo, quale è attesta-
to epigraficamente in osco, non avrebbe mancato di darne notizia
tanto più in considerazione che nell’Eneide il nome figura proprio
in funzione di nome personale.
D’altro canto, la testimonianza osca, concordando con la docu-
mentazione etrusca nell’attestare il nome come antroponimo, con-
verge con l’uso che fa Virgilio di Lucetius come prenome individua-
le. L’impiego virgiliano di questo nome come antroponimo si iscrive,
dunque, in una consuetudine che il mondo italico, dalla Sabina alla
Lucania, ha conosciuto fin da epoca arcaica, indirettamente docu-
mentato dall’etrusco Lauxusies e dall’osco LwPktihiv. Ciò giunge a
ulteriore conferma dell’impiego tutt’altro che arbitrario che Virgilio
fa nell’Eneide del patrimonio onomastico dell’Italia antica. Le appa-
renti discrasie nell’impiego di nomi in riferimento ad ambiti desi-
gnativi o a pertinenze areali diversi da quelli noti attraverso altre
fonti o altre tradizioni possono essere talvolta effetto delle nostre ca-
renze di documentazione. In questo caso, infatti, se non disponessi-
mo delle testimonianze epigrafiche dell’etrusco e dell’osco, sulla
scorta delle fonti letterarie romane saremmo stati indotti a postulare
un adattamento del nome ad altra funzione designativa come Virgi-
lio ha fatto per altri casi analoghi nell’Eneide.
Inoltre, il commento di Servio al passo dell’Eneide che ricorda
Lucetius, (IX 567) ci appare come risultato dell’incrocio di fonti di-
verse : una che attribuiva su basi ben fondate la pertinenza linguisti-
ca all’osco, individuando, almeno sincronicamente, l’area sabellica
dove il nome era in uso in epoca tardo-repubblicana, e un’altra che,
invece, nel solco della tradizione romana, ne riconosceva l’esclusiva
valenza teonimica, ignorando o tacendo la funzione antroponimica
ancora vitale nel repertorio prenominale sabellico.

.
240 PAOLO POCCETTI

Messapico U aotor
Il corpus epigrafico messapico della Grotta della Poesia ha fatto
definitivamente acquisire il teonimo Taotor (e varianti), il cui ruolo
precipuo nel culto della grotta è messo in evidenza dalla sua ricorsi-
vità sia nelle iscrizioni messapiche sia in quelle latine presenti nello
stesso contesto. Il nome, sempre in funzione di designazione divina,
era già noto nell’epigrafia messapica. E la sua posizione di rilievo in
altri documenti religiosi di ambiente messapico mostra che la divi-
nità non era ristretta ad un culto particolare della Grotta della Poe-
sia, che ci riserva più grande dovizia di documentazione, ma appar-
teneva al pantheon comune dei Messapi.
Il teonimo, infatti, ha una posizione di rilievo su un’ara da Vale-
sio, dove compare insieme ad altre due divinità encoriche 67. Oltre
che da solo, il nome della divinità si trova accompagnato da due epi-
clesi, Caol(n)e, in un’epigrafe da Vaste 68, e andi/orah(h)a-, che è ri-
corrente nel culto della Grotta della Poesia 69. Quest’ultima epiclesi
viene trasposta in Andraios, Andreus, Andreios nelle dediche in lati-
no dalla stessa grotta, mentre il teonimo appare latinizzato nella for-
ma Tutor 70. Inoltre, il confronto con il formulario della stessa Grotta
ha permesso di accertare la sua presenza come destinatario di una
dedica nella lunga iscrizione da Carovigno 71 che si apre con l’invoca-
zione alle due massime divinità Zis Venas.
L’epigrafia della Grotta della Poesia accresce il numero della va-
rianti attraverso le quali il teonimo era già noto, varianti che rispon-
dono in parte a variazioni scrittorie, in parte a variazioni linguisti-
che. Per esempio, la Grotta di S. Maria di Agnano presso Ostuni mo-
stra l’incrocio di varie tradizioni grafiche e linguistiche nella
registrazione di un altro nome divino che era evidentemente la divi-
nità precipua del culto della grotta 72. Tale condizione documentaria,
apparentemente sorprendente nella registrazione di un teonimo, che
di solito tende ad essere conservativo almeno nella grafia, trova altri
confronti in ambiente messapico. Ciò mette in evidenza una specifi-
cità della cultura messapica relativamente all’epigrafia dei santuari,
nei quali sembra che l’offerta votiva fosse registrata non in ossequio

67
MLM 9 Bal.
68
MLM 22 Bas.
69
Su tale epiclesi, oltre all’interpretazioni proposte in De Simone 1988,
p. 360 ss., si veda anche la possibile spiegazione di Poetto 1997.
70
Cfr. Pagliara 1991.
71
MLM 3 Car.; De Simone 1991.
72
Sul corpus epigrafico proveniente da questa grotta ci siamo soffermati nel-
la comunicazione al convegno ‘Saturnia Tellus’ (Roma novembre 2004), i cui atti
sono in corso di stampa.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 241

ad una tradizione scrittoria locale, ma secondo la consuetudine di


ciascun offerente.
In ogni modo, riassumiamo qui le varianti con cui il teonimo si
presenta nell’epigrafia messapica.
Taotori (Valesio)
Cotori (Rugge)
Caotori (Vaste)
L’epigrafia della Grotta della Poesia aggiunge altre varianti oltre
a Taotori, già attestata a Valesio :
U aotora, U eotori, U otori, U autour, U oturi
Le grafie con il segno <u> sono imputabili alla varietà alfabetica
detta ‘apula’, segno evidente delle frequentazioni della grotta da par-
te di appartenenti a diverse aree alfabetiche dell’Apulia antica 73. Le
varianti nell’impiego del segno consonantico iniziale si iscrivono nel
fenomeno ben noto e più generale della concorrenza tra i segni <t>,
<u>, <c>, concorrenza che sottende la questione del loro valore fone-
tico e del loro statuto fonologico all’interno del diasistema messapi-
co 74.
Infine le varianti con dittongo <ao>, <au>, <eo>, a fianco delle
forme monottongate rappresentate dalla vocale <o>, ripropongono
la questione del trattamento dei dittonghi nel messapico, di cui, al-
meno per quanto riguarda <ou> ed <eu> questo nome porta il più al-
to carico testimoniale 75. La concentrazione delle forme monottonga-
te nella fase più tarda della documentazione messapica si lascia im-
putare ad una evoluzione diacronica del dittongo, ereditata dalle
restituzioni greche e latine del corrispondente gentilizio (Tutorius,
Toytw¥riov) 76.
Di particolare interesse sono le forme attestanti la grafia <eo>
che si caricano del più alto peso documentario in ordine alla presun-
ta conservazione del dittongo /eu/ in messapico (e, più in generale,
nelle diverse tradizioni indoeuropee d’Italia). La loro assenza nella
fase più arcaica giustifica l’opinione che non si tratti di un fatto di
conservazione, ma piuttosto o di un ripristino o di un influsso grafi-
co esterno 77. L’ipotesi, da tempo formulata 78, che il termine greco
ueo¥v possa aver condizionato le grafie con <eo> del nome messapico

73
Cfr. De Simone 1988.
74
In specifico proprio dalla registrazione del nome nell’epigrafia messapica
ha fornito un interessante dossier per la distribuzione e l’uso di questi segni : cfr.
De Simone 1971, p. 173 e Lejeune 1991, p. 213 ss.
75
Cfr. De Simone 1965, p. 21 ss.
76
Per le attestazioni cfr. De Simone 1965 p. 27 ss.
77
Così De Simone 1964, p. 32; De Simone 1972, p. 150 ss.
78
De Simone 1964, p. 32; De Simone 1972, p. 150 ss.

.
242 PAOLO POCCETTI

acquista più forza nell’impiego teonimico del nome, forse per ren-
derne immediatamente trasparente in un contesto bilingue la valen-
za designativa. Come si vedrà appresso, questo stesso artificio grafi-
co è applicato anche alla funzione antroponimica dello stesso nome,
perfino all’interno dello stesso contesto, come quello del luogo di
culto della Grotta della Poesia, circostanza che ne rivela – a livello di
coscienza linguistica – la consapevolezza dell’identità formale dei
due nomi.
Del teonimo è attestato un derivato aggettivale (Taotorres <
*Taotor-ya-s) nel sintagma tabaras Taotorres su una lastra sepolcrale
da Mesagne 79, che si riferisce alla designazione di una carica sacer-
dotale definita dal culto divino di pertinenza (come Tabara Dama-
tria, latino sacerdos cereria, peligno sacracrix Herentatia, ecc.) 80. In
questo caso, il parallelo testuale con le altre formule relative a sacer-
dotesse nell’Italia antica invita ad interpretare il derivato da Taotor
come aggettivo riferibile al teonimo (e non, invece, all’antroponi-
mo), in quanto indica il culto di pertinenza del sacerdozio 81, mentre
l’assenza del nome personale si giustifica nella cornice dell’anoni-
mato a cui si collega questo tipo di istituzione religiosa 82.
In funzione antroponimica lo stesso elemento onomastico, ac-
certato anche come teonimo, è ampiamente documentato in quasi
tutto il territorio messapico. È largamente diffuso come nome indi-
viduale, dal quale si sono generati i gentilizi U eotorras (Ceglie), gen.
Caotorrihi (Otranto) < *U eotor-ya-s < U eotor-yo-s e U eotoridda <
*U eotor-idyā- (Ceglie).
Nella funzione di nome personale la documentazione messapica
presenta un numero di varianti pressoché equivalente a quello del
teonimo che investono sia il grafo consonantico sia il vocalismo del-
la sillaba iniziale :
U eotor, U aotor (Grotta della Poesia), U otor (Ceglie), Caotor (Ale-
zio), Cotor (Lecce).
Anche nella distribuzione delle varianti scrittorie dell’antropo-
nimo vale quanto osservato a proposito di quelle del teonimo, an-
che nella combinazione tra grafo consonantico e grafi vocalici 83. In-
tervengono sicuramente fattori diacronici, per quanto riguarda l’e-

79
MLM 25 Me.
80
Su ciò cfr. De Simone 1984; per le formule corrispondenti e le relative isti-
tuzioni sacerdotali in altre culture dell’Italia antica, cfr. Poccetti 2000.
81
Cfr. Santoro 1989, p. 32. Diversamente De Simone 1984, p. 189.
82
De Simone 1984; Poccetti 2000, p. 105.
83
Per esempio nel particolare, rilevato da Lejeune 1991, p. 218, che l’ortogra-
fia con il segno ‘a tridente’, che appare quasi sempre distribuito davanti alla voca-
le /a/, si conserva per tradizione anche dopo che la mottongazione ao > o aveva
posto fine a ogni contatto tra la consonante medesima e la vocale /a/.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 243

voluzione del dittongo, ma anche variazioni di ordine diatopico,


segnalate dal fatto che alcune grafie hanno una distribuzione areale
circoscritta a siti specifici 84. L’epigrafia della Grotta della Poesia ci
assicura l’assoggettamento alle stesse varianti grafiche tanto del
teonimo quanto dell’antroponimo, rivelando, dunque, che, almeno
sul piano ‘sintopico’ e nei vari livelli sincronici, il teonimo veniva
omologato all’antroponimo condividendone anche il trattamento
grafico.
Come si è già accennato, dal nome individuale deriva il gentili-
zio messapico U eotorras che viene restituito da Tutorius in fonti lati-
ne e da Toytw¥riov in quelle greche 85. Di meno sicura attinenza con la
serie onomastica messapica sono, invece, Tutor e Tutoria, attestati
in funzione di cognomina 86. Tuttavia, la loro presenza in aree non
lontane dal territorio messapico (es. Canosa, Benevento) induce a
non escluderne una possibile relazione con la serie onomastica in
questione. Se così è, appare, invece, difficile decidere in che misura
nella loro utilizzazione come cognomina abbia esercitato peso mag-
giore la funzione originaria di antroponimo o quella di teonimo. In-
fatti, in iscrizioni latine Tutor non è mai attestato come prenome in-
dividuale, mentre appare nelle dediche latine della Grotta della Poe-
sia come trasposizione del nome della divinità oggetto del culto.
Di conseguenza, diventa probabile che i cognomina latini Tutor
e Tutoria, se hanno attinenza con l’onomastica messapica, siano
piuttosto teoforici, ispirati cioè al nome della divinità, e non tra-
sformazione del nome individuale, giacché nella latinizzazione del-
la formula onomastica l’uso del nome come prenome sembra esser-
si del tutto obliterato, mentre in fase di romanizzazione il culto in-
digeno sembra aver persistito per un certo periodo di tempo come
testimoniano le dediche latine e la trasposizione del nome divino in
Tutor.
D’altro canto, nella resa del teonimo messapico con Tutor nella
Grotta della Poesia, sarà facilmente scattata una reinterpretazione
semantica per associazione paronomastica al nomen actionis da
tueor, che ben si attaglia alla funzione ‘protettrice’ di una divinità.
In sostanza, dunque, per un latinofono la forma Tutor diventava un
‘nome parlante’, prestandosi, come tale, alla designazione di una di-
vinità (come appunto ‘colui che protegge’). È possibile, dunque, che
per questa via il nome sia riuscito ad inserirsi nel paradigma dei co-
gnomina derivati da nomina agentis (tipo Victor, Cunctator, Cursor,
ecc.) 87.

84
Si veda la classificazione fatta da Parlangeli 1960, p. 370 ss.
85
Per le attestazioni cfr. De Simone 1964, p. 28.
86
Per i riferimento cfr. De Simone 1964, p. 28.
87
Cfr. Kajanto 1965, p. 96.

.
244 PAOLO POCCETTI

D’altra parte, non si può neppure escludere del tutto che il nome
messapico abbia alla sua origine proprio una formazione di nomen
agentis dal corradicale di lat. tueor < *teuH-, sebbene questa radice
non sembri rappresentata in altre lingue fuori del latino 88. In tal ca-
so, la restituzione del teonimo U eotor (e varianti) con Tutor nelle de-
diche latine non sarebbe altro che la traduzione letterale del nome.
Su questo punto, però, si apre la questione della morfostruttura
del nome messapico che ha ovviamente ricadute dirette sulla sua eti-
mologia. Da tempo, infatti, per U eotor (e varianti) è stata proposta
una connessione della base onomastica con il termine indoeuropeo
teutā-, ricorrente in antroponimi di tradizioni diverse, come, per es.
in area balcanica antica, Teytı¥aplov, Teutimeitis, in ambiente galli-
co, Teutobuduus, Teutodivicus, ecc. 89.
Sotto tale profilo, U eotor (e varianti) non è isolato neppure al-
l’interno del repertorio antroponimico messapico, il quale alberga
altri nomi riconducibili alla stessa base onomastica teutā- 90, come
Teotinihi, Taotinahiaihi, Taoteuues, che sono, però, formati mediante
i più comuni suffissi derivazionali -ı̄no- e -yo-, rispettivamente da
*Teot-in-yas < *Teot-in-yo-s e da *Taotet-ya-s < *Taotet-yo-s. Ma an-
che la veste morfologica di U eotor non è isolata nell’onomastica
messapica, poiché si affianca a quella di altri nomi personali uscenti
in -or, attestati come prenomi o ricostruiti come idionimi soggiacen-
ti a gentilizi, tipo Otor, Artor, Idor. Queste formazioni, a loro volta,
condividono la stessa base onomastica di altri nomi marcati da altri
suffissi, mettendo, per esempio, in evidenza un rapporto morfologi-
co tra nomi personali come Otu es < *Ot-ya-s e Otor, Artas e Artor,
Idor e Iddes 91 (quest’ultimo attestato come teonimo) 92.
Pertanto anche la morfologia di U eotor può benissimo inserirsi
in questa serie e mettersi in relazione ad un nome a base teutā- spie-
gandosi – come è stato plausibilmente proposto – come Kurzname
oppure nel quadro di una diffusa allomorfia tra l’uscita -or e altre
marche morfologiche. Comunque, quanto preme qui rilevare è il fat-
to che il nome messapico, sia in funzione di antroponimo quanto in
quella di teonimo, condivide totalmente il trattamento dei nomi per-
sonali messapici lasciando intravedere, anche su questo versante,
quanto sia difficilmente dipanabile la matassa del prius designativo
tra uomini e divinità.
Inoltre, questa serie di dati relativi al nome messapico mette in
evidenza un singolare parallelismo con la condizione segnalata per

88
Cfr. LIV p. 581 s.v. *teuH-
89
Cfr. De Simone 1988, p. 379.
90
Cfr. De Simone 1964, p. 30.
91
Cfr. De Simone 1988, p. 357 e 378.
92
Cfr. Santoro 1989, p. 15.

.
PROBLEMI ANTICHI E DATI NUOVI 245

Lucetius (e sue varianti) in ambito sabellico. Ci pone, infatti, di


fronte ad un elemento onomastico che funge al tempo stesso da de-
signazione individuale (prenome) e da designazione divina in sin-
cronia e all’interno di una stessa comunità linguistica. Infine, come
nel caso di Lucetius, il nome messapico ha una trasparenza rispetto
al lessico, ovviamente divaricandosi per quanto attiene la veste
morfologica.

Paolo POCCETTI

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HEIKKI SOLIN

SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA *

Il cognome è la più recente delle componenti del nome romano.


La sua nascita costituisce un difficile e ancora poco chiaro proble-
ma, il che giustifica un esame dettagliato. Qui di seguito metterò
brevemente insieme quello che si sa in base alla documentazione
pervenuta fino a noi.
Non si può dire con sicurezza quando i cognomi siano entrati in
uso; fin dall’inizio del periodo repubblicano erano stati, secondo la
tradizione, durante secoli una caratteristica dell’aristocrazia roma-
na. La nostra fonte principale per i primi secoli della Repubblica
sono i nomi dei magistrati romani tramandati nei Fasti consolari e
trionfali epigrafici, negli storici romani e altre fonti letterarie1. Le

* Ringrazio sentitamente Paolo Poccetti e Gianluca Gregori che hanno rivi-


sto il mio italiano, e Olli Salomies che ha letto il dattiloscritto e fatto delle osser-
vazioni preziose.
1
Sono in sostanza i Fasti Capitolini, sui quali cf. la magistrale edizione di
A. Degrassi, Inscr. It. XIII 1, Roma 1947 (una editio minor dello stesso nel Corpus
Paravianum, Aug. Taurinorum 1954, con nuove importanti osservazioni); tra gli
storici antichi, in primo luogo Livio, Dionigi di Alicarnasso e Diodoro; si aggiun-
gano cronache tardoantiche e bizantine, il Cronografo dell’anno 354, i Fasti Ida-
ziani del V secolo (che attingono da un esemplare diverso riguardo al Cronogra-
fo), Cassiodoro (che attinge da Livio) e il Chronicon Paschale (che traduce in gre-
co da Idazio). L’interrelazione di questi testi non è del tutto chiara. Per quanto
riguarda le opere cronografiche, il Cronografo del 354 e Idazio non sembrano at-
tingere dalla stessa fonte. Tra gli storici, Livio e Dionigi attingono dalla stessa
fonte, mentre Diodoro sembra stare a parte. Il primo a studiare in modo appro-
fondito e analitico la questione delle fonti è stato C. Cichorius, De fastis consula-
ribus antiquissimis, Leipziger Studien zur classischen Philologie 9, 1887 (= Diss. Li-
psia 1886), p. 171-262, il quale divise le fonti esistenti in due recensioni, l’una rap-
presentante Idazio e il Chronicon Paschale nonché da certe parti di Livio e
Dionigi (l’autore originario di questa recensione sarebbe Licinio Macro), l’altra
Diodoro; da ambedue le recensioni un uomo dotto dell’età ciceroniana, che deve
essere stato Attico, compose una terza recensione, che fungeva da fonte ai Fasti
Capitolini e al Cronografo del 354. Questo quadro regge più o meno tuttora (cf. le
estese analisi del Mommsen, CIL I2 p. 81 sgg. o Degrassi, Inscr. It. XIII 1, p. 346
sg. e Fasti Capitolini, cit., p. 16 sg.), solo che il posto occupato da Attico come fon-
te diretta dei Fasti Capitolini non è del tutto chiaro. In generale sappiamo che, fin
dai primi tempi della repubblica, i nomi dei magistrati eponimi furono registrati
in un modo o nell’altro e che il pontefice massimo fino all’anno 125 a.C. circa
(quando il pontefice P. Mucio Scevola pubblicò gli annales maximi in 80

.
252 HEIKKI SOLIN

liste dei magistrati eponimi nei Fasti Capitolini registrano i cognomi


fin dall’inizio. Il primo caso, in cui è conservato nei Fasti consolari
Capitolini il cognome, spetta al console del 483 a.C., che si conserva
integralmente : [L. Valerius M. f. Volusi n.] Potitus. Ma senza dubbio
i cognomi stavano anche nella parte iniziale dei Fasti Capitolini con-
solari andata perduta; il nome del primo console suonava nei Fasti
indubbiamente L. Iunius M. f. – n. Brutus. Nei Fasti Trionfali i co-
gnomi sono conservati già per il console del 504 (la prima volta già
nel 509, la seconda nel 508, la terza nel 507) nella lista trionfale, sot-
to quell’anno, nella forma P. Valeriu[s Volusi f. – n.] Poplicol[a]; e
addirittura nel nome dei re venivano aggiunti i cognomi : tra 598 e
585 si legge nei Fasti Trionfali il nome di Tarquinio Prisco nella for-
ma L. Tarquinius Damarati f. Priscus; allo stesso modo il nome di
Tarquinio Superbo venne reso nella forma L. Tarquinius Prisci f. Da-
marati n. Superbus.
Non è il caso qui di discutere l’attendibilità delle fonti della sto-
ria romana arcaica in generale, e dell’annalistica in particolare. Ma
alla lista dei magistrati eponimi, vale a dire ai fasti consolari, si può
dare in linea di principio una certa plausibilità, anche per la parte
più antica; certo la credibilità della lista, soprattutto nelle sue parti
più antiche, è controversa e infestata da interpolazioni. Ma io credo
che debba essere accettata, nelle sue grandi linee, l’autenticità della
lista dei Fasti anche per il periodo più antico, eccettuati forse i primi
collegi 2. Certo non mancano tentativi, anche recentissimi, di negare,
con uno scetticismo radicale, ogni valore storico alla parte più anti-
ca dei fasti consolari 3 ; ma tali tentativi non tengono conto del-

libri, ma non continuò più l’opera) scriveva i nomi dei consoli sulle tavole dealba-
te. Per altri dettagli, cf. infra nel testo.
2
Cf., tra l’altro, Cichorius, De fastis, cit.; A. Degrassi, Fasti Capitolini, cit.,
p. 18-20, con altra bibliografia; vale la pena di ricordare in particolare le idee
molto originali di K. J. Beloch, Römische Geschichte, Lipsia, 1926 (anche se le
sue asserzioni sono spesso assai discutibili). Per i più recenti cf. per es. H. Bengt-
son, Römische Geschichte, Monaco, 1967, p. 42-46; A. Drummond, CAH VII 2,
1989, p. 173-177; J. Bleicken, Geschichte der römischen Republik, Monaco, 19883,
p. 109 (tutti e tre attribuiscono ai fasti nelle grandi linee un alto grado di attendi-
bilità, il primo più chiaramente dell’ultimo). Così anche E. Gabba, Considerazio-
ni sulla tradizione letteraria, citato nella nota 4. Ma non tutti si esprimono esplici-
tamente nei riguardi dei cognomi. Una storia degli studi offre R. T. Ridley, Fas-
tenkritik : A Stocktaking, in Athenaeum 58, 1980, p. 264-298.
3
Prescindendo da alcuni studi della prima metà del secolo scorso (per es.
E. Kornemann, Der Priestercodex in der Regia und die Entstehung der altrömis-
chen Pseudogeschichte, Tubinga, 1912 o A. Rosenberg, Einleitung und Quellen-
kunde zur römischen Geschichte, Berlino, 1921), o da tentativi, in sé e per sé note-
voli, di posticipare l’inizio della repubblica proposti da K. Hanell, Das altrö-
mische eponyme Amt, Lund, 1946, e R. Werner, Der Beginn der römischen
Republik. Historisch-chronologische Untersuchungen über die Anfangszeit der libe-
ra res publica, Monaco, 1963 (secondo il quale si dovrebbe porre l’inizio della re-

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 253

l’attendibilità principale della tradizione letteraria per quanto ri-


guarda la storia del periodo protorepubblicano 4, dei fatti che sono
avvenuti e che sono stati vissuti, e delle persone che hanno agito in
un quadro sociale e politico ristretto, dove la comune memoria sto-
rica, la reciproca conoscenza, lo stesso agire insieme rappresentava-
no un controllo, che doveva concedere poco spazio a immaginazioni
fantastiche.
Se i fasti sono comunemente ritenuti in linea di massima atten-
dibili, particolari difficoltà sono invece legate con i cognomi ascritti
ai consoli del V e IV secolo. In effetti, la maggioranza degli studiosi
afferma che i cognomi nella nomenclatura dei consoli e degli altri
magistrati dei primi due secoli siano aggiunte posteriori 5. Il numero
di coloro che hanno cercato di difendere l’autenticità dei cognomi
nella parte più antica dei fasti è ormai molto esiguo 6.

pubblica all’anno 472/470 circa), recentemente F. Mora, Fasti e schemi cronologi-


ci. La riorganizzazione annalistica del passato remoto romano, Stoccarda, 1999
(Historia Einzelschriften 125), è andato in questa direzione ad absurdum; egli at-
tribuisce ai due primi scrittori romani di storia (Fabio Pittore e Cincio Alimento)
due differenti sistemi cronologici per l’età protorepubblicana (che egli fa iniziare
dopo il 474 a.C.); tale raggruppamento comporta la conseguenza di postulare ri-
maneggiamenti, ricostruzioni, invenzioni della tradizione, e così l’esame dei fasti
conduce l’autore a immaginare una completa rielaborazione dei fasti stessi, il cui
valore documentario sarebbe quindi pressoché nullo almeno per il periodo ante-
riore al 367. Con tale imposizione dogmatica e meccanica il lavoro dell’autore è
costruito sulla sabbia, e quindi tanto più discutibile è il tentativo di agganciare al
suo progetto schematico lo svolgersi della storiografia romana. Cf., delle recen-
sioni, per es. A. Drummond, CR 53, 2003, p. 154-156; E. Gabba, Athenaeum 88,
2000, p. 664; inoltre Chr. Settpani, Continuité gentilice et continuité familiale dans
les familles sénatoriales romaines à l’époque impériale. Mythe et réalité, Oxford,
2000, p. 53-56.
4
Su ciò cf. l’importante contributo di E. Gabba, Considerazioni sulla tradi-
zione letteraria sulle origini della repubblica, in Les origines de la République ro-
maine (Entretiens sur l’Antiquité classique 13), Ginevra, 1967, p. 135-174.
5
Il primo a esprimere, in base ad un esame particolareggiato, chiaramente
questa opinione, sulle orme del suo maestro Mommsen, fu C. Cichorius, De fastis
consularibus antiquissimis, cit. nt. 1. Nella stessa direzione, tra molti altri, G. De
Sanctis, Storia dei Romani, I2, Firenze 1956, p. 6 (in modo attenuato; e a p. 239 sem-
brerebbe attribuire i cognomi a un’età più alta); A. Degrassi, Fasti Capitolini, cit.,
p. 18 sg., con letteratura anteriore; J. Reichmuth, Die lateinischen Gentilicia und ih-
re Beziehungen zu den römischen Individualnamen, Diss. Zurigo, 1956, p. 3 sg. Del-
l’età più recente per es. R. M. Ogilvie, in CAH VII 2, 1989, p. 14. 18; A. Drummond,
in CAH VII 2, 1989, p. 628. Ma ambedue si esprimono in maniera un po’ ambigua, e
non sembrano negare tutta l’esistenza dei cognomi nella nomenclatura dei magi-
strati del V e IV secolo. H. Bengtson, Römische Geschichte, Monaco, 1967, 44, il
quale altrimenti ritiene attendibile l’informazione offerta sia dai Fasti in generale
che dai nomi gentilizi dei magistrati, giudica tout court i cognomi dei magistrati
del V secolo come non storici. Cf. inoltre Wikander, Senator and Equites..., p. 84;
J. Rüpke, Fasti..., (vedi nota 25), p. 191 (senza prendere chiaramente posizione).
6
Così Beloch, Römische Geschichte, cit. p. 46-52, ma solo dal 486 in poi, pri-

.
254 HEIKKI SOLIN

Se questa fondamentale cognizione fosse corretta, quali conse-


guenze avrebbe per la storia dell’introduzione del cognome romano?
Se i fasti scritti o un simile indice dei nomi dei magistrati eponimi,
che senza dubbio fu tenuto fin dal periodo protorepubblicano, non
avessero compreso i cognomi dei magistrati, da dove i redattori o
eruditi posteriori li avrebbero presi, così come stanno nei Fasti Capi-
tolini? Se i cognomi dell’antica aristocrazia del V e del IV secolo so-
no stati aggiunti ai Fasti posticipatamente tramite interpolazione, il
problema scompare. Ma se questi cognomi – o almeno una parte di
essi – sono da ritenersi autentici, come si può spiegare la loro pre-
senza nei fasti a noi pervenuti se in origine mancavano negli indici
più antichi? È un problema a cui dobbiamo cercare di dare una ri-
sposta.
Ma prima dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alla reale
comparsa del cognome. I primi documenti autentici ci portano alla
seconda parte del IV secolo a.C. L’iscrizione più antica finora venuta
in luce, che ricorda un cognome, è sul sarcofago del pontefice mas-
simo P. Cornelius Scapula, ritrovato circa un mezzo secolo fa a Ro-
ma : CIL I2 2835 P. Cornelio(s) P. f. Scapola pont(i)fex max 7. Non
possiamo datare il suo pontificato con più precisione, poiché il per-
sonaggio non può essere identificato con certezza 8, ma considera-
zioni artistiche da una parte e prosopografiche dall’altra ci portano

ma la lista sarebbe interpolata (p. 12). Beloch si mostra quindi un po’ ambiguo.
Un altro sostenitore dell’età alta dei cognomi è I. Kajanto, On the chronology of
the cognomen in the Republican period, in L’onomastique latine, Paris 1977, p. 64
sg. (ricalca il ragionamento del Beloch). Ho toccato il problema molto breve-
mente e in modo preliminare in Ancient Onomastics : Perspectives and problems,
in A. Rizakis (a cura di), Roman Onomastics in the Greek East. Social and Politi-
cal Aspects. Proceedings of the International Colloquium organized by the Finnish
Institute and the Centre for Greek and Roman Antiquity, Athens 7-9 September
1993, Atene, 1996 (Meleth¥mata, 21), p. 6 sg.. Così sembra pensare anche
L. R. Ménager, Systèmes onomastiques, structures familiales et classes sociales
dans le monde gréco-romain, in SDHI 46, 1980, p. 182, ma il suo ragionamento
non mi è chiaro. Ora anche H. Etcheto, Cognomen et appartenance familiale dans
l’aristocratie médio-républicaine : à propos de l’identité du consul patricien de 328
av. J.-C., in Athenaeum 91, 2003, p. 445-468 (ho preso conoscenza di questo im-
portante articolo soltanto dopo aver finito la stesura del presente contributo; vi
riferisco di seguito per alcune questioni, soprattutto quando non si può essere
d’accordo con l’autore).
7
Ma in un coperchio di sarcofago ritrovato nello stesso posto si legge l’iscri-
zione, che sembra essere alquanto più antica, L. Cornelio(s) Cn. f. senza cognome
(CIL I2 2834). Ora : su Scapola Rieger, Tribus und Stadt, p. 516, 559-561.
8
Potrebbe trattarsi del console del 328, riportato da Livio con questo co-
gnome (gli studiosi ritengono il console di quell’anno di solito un Barbatus), o un
di un suo parente. Cf. H. Solin, Arctos 6, 1970, p. 110-112 = Analecta epigraphica,
Roma 1998, p. 8-10.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 255

alla seconda metà del IV secolo. Alquanto più recente è il sarcofago


più antico del sepolcro degli Scipioni : CIL I2 6. 7 : l’iscrizione prin-
cipale, scritta nel coperchio del sarcofago a lettere dipinte con color
rosso, suona [L. Corneli]o(s) Cn. f. Scipio, l’elogio in saturnio, scritto
a lettere incise sulla fronte del sarcofago, comincia [– – –] Cornelius
Lucius Scipio Barbatus Gnaivod patre prognatus. Il defunto era con-
sole nel 298, per cui sarà nato nel 340 circa. Senza dubbio Scipio era
già diventato un cognome ereditario nel ramo degli Scipioni, porta-
to dal console del 298, con tutta evidenza, fin dalla nascita. L’origine
di questo cognome è un po’ oscura (una storia raccontata da Macr.
Sat. 1, 6, 26 illustra l’origine di questo cognome). Secondo un’antica
tradizione, riportata appunto da Macrobio, il primo a portarlo sa-
rebbe stato il tribuno consolare nel 395, cosa che non è esclusa (an-
che i fasti lo registrano come il primo Scipione). Pare che Scipio fos-
se diventato ereditario al più tardi nel nome del dittatore 306, e cioè
per due motivi : porta nei Fasti Capitolini due cognomi, Scipio e
Barbatus, e viene riportato da Liv. 9, 44 con il primo cognome, men-
tre molti altri figurano nello stesso passo con il solo gentilizio. Pro-
babilmente Scipio è stato imposto la prima volta a un suo antenato,
o al tribuno consolare 395 o a un suo discendente, di cui conoscia-
mo il console e il capo della cavalleria, magister equitum dello stesso
anno 350. Quanto al console del 298, nella sua generazione dunque
Scipio ebbe già il posto di cognome ereditario, cosa che risulta an-
che dal fatto che portava il secondo cognome individuale, Barbatus,
ricordato nell’elogio inciso sul sarcofago un poco, o anche notevol-
mente, più tardi dell’iscrizione principale – ma la cosa non è molto
chiara 9. Barbatus era con grande probabilità il cognome individuale
già del dittatore del 306, ma il suo uso non si protrae oltre al console
del 298, in altre parole non diventa ereditario come alcuni altri nuo-
vi cognomi degli Scipioni. Avrà rispecchiato una peculiarità fisica
del primo membro del ramo provvisto di esso o una moda della fa-
miglia di portare la barba.
Dobbiamo fare a questo punto una digressione sullo Scapula del
sarcofago10. Nel suo articolo, poc’anzi ricordato11, l’Etcheto ha voluto
vedere in lui e nel console del 328, nel dittatore del 306 e nel pontefi-

9
Cf. per es. R. Wachter, Altlateinische Inschriften, Berna, 1987, p. 301 sgg., il
quale opta per la possibilità che tutte e due le iscrizioni siano state scritte
contemporaneamente; ma cf. H. Solin, Gnomon 67, 1995, p. 613.
10
Questo capoverso è stato aggiunto al presente contributo solo in una fase
secondaria, dopo la lettura dell’articolo di H. Etcheto (vedi la nota successiva).
Prego il lettore di notare che non ho modificato i dettagli del paragrafo prece-
dente.
11
H. Etcheto, Cognomen et appartenance familiale, cit. nt. 6, p. 447-454.

.
256 HEIKKI SOLIN

ce massimo tradito nel 304 un solo personaggio. Secondo l’Etcheto


il personaggio avrebbe portato, o successivamente o simultanea-
mente, i cognomi Scapula, Scipio e Barbatus; nelle fonti sarebbe sta-
to chiamato ora con il primo, ora con gli altri due (Scapula non
compare mai con gli altri due insieme)12. Ma il giudizio non è facile.
D’accordo, si capisce ancora che nelle fonti non contemporanee uno
stesso magistrato possa ricevere varie forme onomastiche, derivate
dalle confusioni evidenti nelle fonti stesse e notate alle volte anche
da scrittori come Livio. Ma mi sembra difficile ammettere che que-
sto personaggio abbia potuto portare i tre cognomi di Scapula, Sci-
pio e Barbatus, giacché il sarcofago del pontefice avrebbe dovuto ri-
cordarne i primi due (o almeno Scipio, se era già diventato eredita-
rio come sembra), così come si fa nell’elogio dell’epitafio del console
del 298. Etcheto pensa che in quel periodo Scipio avesse ancora un
carattere individuale e non fosse diventato cognome ereditario del
ramo degli Scipioni13. Ma se possiamo dare fede alla tradizione, Sci-
pio era già il cognome del tribuno militare nel 395, ed è attestato al-
tre due volte nelle generazioni anteriori al nostro personaggio : per
L. Cornelius Scipio, console nel 350, e P. Cornelius Scipio, capo del-
la cavalleria nello stesso anno (era stato edile curule già nel 366).
Anche se le nostre conoscenze di questo ramo fino alla metà del IV
secolo sono ancora lacunose, a mio vedere le tre attestazioni del co-
gnome Scipio permettono di concludere che esso fosse davvero di-
ventato ereditario fino alla seconda metà circa del IV secolo. Io pen-
serei quindi che P. Cornelius Scapula del sarcofago non avesse mai
portato il cognome Scipio, il quale se fosse già diventato ereditario,
avrebbe dovuto figurare sul sarcofago di Scapula. Per me la man-
canza di Scipio sul sarcofago rappresenta un difficoltà insormonta-
bile; conseguentemente Scapula deve aver appartenuto a un altro
ramo, probabilmente ancora privo di un cognome ereditario14 ; è del
resto possibile che egli sia il primo della sua famiglia a portare un

12
Già prima G. J. Szemler, The Priests of the Roman Republic. A Study of In-
teractions Between Priesthoods and Magistracies Bruxelles 1972 (Coll. Latomus
127), p. 205 e RE Suppl. XV, col. 372 aveva parlato di un P. Cornelius Scipio Sca-
pula, senza spiegarsi meglio e riferendosi a C. Bardt Die Priester der vier grossen
Collegien aus römisch-republikanischer Zeit, in Jahresbericht, K. Wilhelms-Gymna-
sium in Berlin XI, Berlino, 1871, il quale tuttavia non ha creato uno Scipio Scapu-
la. Szemler si rivela assai confuso; a p. 62 nt. 1, riferendosi a Bardt, dubita del-
l’identità del pontefice massimo del 304 con il console del 328, il quale invece sa-
rebbe un P. Cornelius Scipio Scapula!
13
Ma il ragionamento dell’Etcheto (p. 459) non è molto felice.
14
Etcheto ha senza dubbio ragione quando afferma che Scapula dovette es-
sere cognome individuale. Male H. I. Flower, Ancestor Masks and Aristocratic Po-
wer in Roman Culture, Oxford, 1996, p. 166, 176 lo ritiene il cognome ereditario.
(Anch’io ho parlato dei Cornelii Scapulae, per una mera svista, di cui mi ver-
gogno, in OCD p. 1024).

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 257

cognome, se quel L. Cornelio(s) Cn. f., il cui sarcofago venne ritro-


vato insieme con quello di Scapula15, era un suo parente, ad esempio
zio (cosa che beninteso resta incerta)16. – Un altro discorso è se è le-
cito identificare lo Scapula del sarcofago con qualcuno degli altri tre
chiamati in causa dall’Etcheto. Potrebbe in linea di massima essere
lo stesso personaggio del console del 328, dove la tradizione liviana
ricorda uno Scapula. Più problematici sono i casi del dittatore nel
306, ricordato da Livio come un P. Cornelius Scipio Barbatus, e del
pontefice massimo nel 304, tradito come un Cornelius Barbatus; es-
si non possono essere liquidati come confusione delle fonti – per for-
za devono appartenere al ramo degli Scipioni, anche se non va del
tutto respinta la possibilità che i potenti Scipioni avrebbero manipo-
lato i fasti facendo entrare furtivamente il cognome del proprio ra-
mo; ma ben due casi di tale manipolazione son troppi. Rimane tut-
tavia la difficoltà cui accenna l’Etcheto : per il dittatore del 306 e i
due pontefici massimi non si presentano altri consolari se non quel-
lo del 328, e di un consolare ci sarebbe bisogno, perché queste cari-
che di grande prestigio potevano essere rivestite soltanto da magi-
strati riguardevoli e prestigiosi, vale a dire ex-consoli. Ma la difficol-
tà non è insormontabile. D’accordo, tutti i pontefici massimi del III
e del II secolo a noi noti sono stati anche consoli (di solito ex-
consoli)17, ma la situazione sembra essere stata diversa nel IV secolo,
quando il ruolo di questo sacerdozio era ancora insignificante, ac-
crescendosi la sua importanza soltanto a partire dall’inizio del
III secolo18. Livio 25, 5, 4, parlando dell’elezione del pontefice massi-
mo nel 212, dice che «nel corso di 120 anni, non era stato eletto pon-
tefice massimo nessuno che non avesse rivestito una magistratura
curule, ad eccezione di P. Cornelius Calussa (circa 332(?))», ma ciò

15
Sulle circostanze del ritrovamento cf. G. Pisani Sartorio e S. Quilici Gigli,
Bull. com. 92, 1987-1988, p. 247 sgg.
16
Secondo Etcheto (p. 456) questo avrebbe posseduto un cognome sì, ma
che non sarebbe stato inciso nell’iscrizione, a causa della posizione ancora de-
bole del cognome nel nome romano. Anche così si potrebbe spiegare la mancan-
za del cognome, ma io m’inclinerei alla prima alternativa, espressa nel testo.
17
Cf. gli elenchi in C. Bardt, Die Priester der vier grossen Collegien, cit. nt. 12,
p. 3-8 e in Fr. Münzer, Römische Adelsparteien und Adelsfamilien, Stoccarda,
1920, p. 414; in generale G. J. Szemler, The Priests of the Roman Republic, cit. nt.
12, p. 64 sgg.; Id., RE Suppl. XV col. 342-392.
18
Nonostante un’opinione comune ancora all’inizio del ’900 secondo cui i
pontefici avessero a Roma nell’età proto- e medio repubblicana un potere molto
centrale. Cf. tuttavia, per es. G. De Sanctis, Storia dei Romani IV 2, 1, Firenze,
1957, p. 354 sgg.; J. Bleicken, Oberpontifex und Pontifikalkollegium. Eine Studie
zur römischen Sakralverfassung, in Hermes 85, 1957, p. 345-366 (contributo im-
portante in cui si demolisce l’opinione diffusa risalente al Mommsen sul grande
peso politico dei pontefici); G. Szemler, The Priests, cit. nt. 12, p. 62 sg.

.
258 HEIKKI SOLIN

non implica che i pontefici massimi della parte finale del IV secolo
dovessero essere necessariamente consolari. Potrebbe destare mera-
viglia avere due Cornelii pontefici massimi eletti più o meno conse-
cutivamente alla carica (e inoltre un poco prima, un terzo Cornelio,
il misterioso Calussa). Ma i Cornelii erano una prestigiosa gens pa-
trizia (e in quel periodo i pontefici dovevano essere patrizii), per cui
non sarebbe strano se fossero stati eletti entro c. 30 anni tre Cornelii
a questa carica priva di grande potere politico, ma tanto più riguar-
devole. Per quanto riguarda il dittatore, la maggior parte dei dittato-
ri conosciuti dal periodo medio repubblicano sono consolari (e se-
condo Livio 2, 18,5 uno dei requisiti per poter essere nominati ditta-
tori era la consolarità)19. Tirando le somme, se siamo autorizzati a
dare fede alla tradizione, e non dobbiamo ritenere confuse le forme
offerte dalle fonti, vedrei nello Scapula del sarcofago un pontefice
massimo diverso da quello del 304; quest’ultimo sarebbe invece
identico al console del 328 (anche se piacerebbe seguire la tradizio-
ne liviana) e al dittatore del 306 e avrebbe portato due cognomi,
quello ereditario Scipio e quello individuale Barbatus. Così avremmo
superato la difficoltà di trovare per la carica di dittatore un consola-
re. – Colpisce ancora la mancanza, nell’iscrizione di Scapula, di
qualsiasi altra menzione delle sue cariche, il che potrebbe dipendere
dal fatto che non avesse rivestito una magistratura così importante
che si fosse sentito il bisogno di scolpirne il ricordo nell’iscrizione.
Ma la sola menzione, sul sarcofago, del pontificato massimo può
spiegarsi con il suo alto prestigio e con la generale brevità e sobrietà
del testo epigrafico 20 ; si noti anche che il defunto poteva essere iden-
tificato come patrizio con il ricordo di questa sola carica. – Il risulta-
to di questa digressione si può sintetizzare come segue : non si trat-
ta, come pensa l’Etcheto, di confusioni nell’uso dei cognomi variabi-
li di un solo personaggio, bensì di qualche lieve errore nella
trasmissione nelle diverse fonti dei cognomi di un personaggio di
rango elevato da parte delle diverse fonti.

19
Cf. per es. Etcheto p. 449, con qualche riferimento bibliografico. Si può
aggiungere B. Bruno, Diz. epigr. II, p. 1759-1778 con buone osservazioni e l’elen-
co dei dittatori conosciuti.
20
Così pensano G. Pisani Sartorio e S. Quilici Gigli, Bull.com. 92, 1987-1988,
p. 260, e Etcheto p. 451. – Va qui notato ancora che un ulteriore argomento per
l’identità dello Scapula del sarcofago con gli altri tre di cui si serve l’Etcheto
(p. 452 sg.), e cioè la vicinanza del luogo di ritrovamento del sarcofago di Scapu-
la con il sepolcro degli Scipioni, non conta molto. Con 500 metri di distanza non
si tratta ancora di una vicinanza ’immediata’. Non dovrebbe destare alcuna mera-
viglia di trovare sepolcri di due rami corneliani in questa prediletta zona per se-
polture dell’aristocrazia romana. I due complessi di sepolture dimostrano solo
che c’erano nella zona possedimenti terrieri della gens Cornelia in generale, non
solo del ramo degli Scipioni.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 259

Ma torniamo all’ordine del giorno. I cognomi erano dunque co-


munemente in uso nelle famiglie patrizie almeno fin dalla seconda
metà del IV secolo 21. Ma essi rimasero per lungo tempo un elemento
meno ufficiale, usato piuttosto in ambito familiare e per questo an-
che conservato nella tradizione, ma poco in circolazione in docu-
menti ufficiali contemporanei come leggi e senatoconsulti, nei quali
sono omessi ancora nel II secolo a.C. I consoli dell’anno 186 sono ri-
cordati, nel senatoconsulto de Bacchanalibus, con i nomi Q. Marcius
L. f. e S. Postumius L. f., ma sappiamo da altre fonti che i loro nomi
completi erano Q. Marcius L. f. Philippus e Sp. Postumius L. f. Albi-
nus. Così pure i nomi dei testimoni : M. Claudi(us) M. f.,
L. Valeri(us) P. f., Q. Minuci(us) Q. f., per quanto abbiano portato il
cognome (Marcellus, Flaccus, Rufus). In queste categorie di docu-
menti il cognome cominciò ad apparire nell’età sillana e divenne re-
golare nell’età ciceroniana. In altri documenti ufficiali il cognome
veniva usato già prima. La legge Acilia de repetundis del 122 a.C. or-
dina al pretore di segnalare il cognome dei cavalieri eletti al tribuna-
le (beninteso ammesso che lo portassero) : quos legerit, eos patrem
tribus cognomenque indicet (CIL I2 583, 14). Ma la mancanza del co-
gnome per esempio nelle datazioni del II secolo a.C. non risulta solo
dal suo ancora fragile e inufficiale posto nel nome del console, ma
anche da una certa premura verso l’uniformità : poiché molti magi-
strati plebei non avevano il cognome, esso venne omesso anche nel
nome di coloro che lo possedevano, per dare uniformità alle liste
magistratuali. Lo si vede chiaramente più tardi : se il cognome man-
ca senza eccezione in un latercolo di legionari come CIL III 6627 =
ILS 2483 (Copto nella Tebaide in Egitto) dell’età augustea, ciò non
significa che fosse stato vietato ai legionari di portarlo, come si è
spesso supposto 22, bensì dipende dalla prassi epigrafica : poiché
molti dei soldati non avevano il cognome, lo si omise anche quando
il soldato lo aveva, per rendere uniforme le liste.
Ma ora siamo avanzati troppo cronologicamente parlando; tor-
niamo, dunque, alla Roma proto- e medio repubblicana. La prima
questione che dobbiamo afferrare riguarda l’interrelazione dell’uso
effettivo dei cognomi nelle famiglie patrizie del V e IV secolo e del
loro inserimento nei fasti relativi a quei secoli. L’uso del cognome è
dunque confermato almeno per la seconda metà del IV secolo dai

21
Cf. tuttavia il suddetto L. Cornelio(s) Cn. f., ricordato senza cognome nel
suo epitaffio CIL I2 2834, ritrovato insieme con il sarcofago di Scapula e alcuni
decenni più antico (di solito viene datato alla metà circa del IV secolo).
22
Mommsen ad CIL III 6627; B. Galsterer-Kröll, Die Graffiti auf der römis-
chen Gefässkeramik aus Haltern (Bodenaltertümer Westfalens 20), Münster, 1983,
p. 21.

.
260 HEIKKI SOLIN

sarcofagi della gens Cornelia, e non è escluso che con futuri ritrova-
menti si possa ancora retrodatare la documentazione contempora-
nea. Ma nei Fasti Capitolini il cognome compare fin dall’inizio, e
quasi senza eccezione.
Per molte ragioni sembra poco probabile che tutti i cognomi as-
segnati ai magistrati dei primi tempi della repubblica possano esse-
re autentici. Senz’altro parecchi – o almeno alcuni – di essi sono ag-
giunte posteriori, invenzioni degli annalisti o della tradizione fami-
liare; si consideri che qualsiasi cittadino romano poteva avere
accesso alle tabulae dealbatae dei pontefici esposte al pubblico e così
raccogliere notizie riguardanti la propria gens. Ma non tutti i cogno-
mi atttestati per il V e IV secolo possono essere liquidati in questo
modo. Su ciò torneremo più avanti. Del resto, anche la presenza dei
patronimici nei fasti più antichi può ritenersi qualche volta interpo-
lazione del redattore, perché gli intervalli cronologici tra le cariche
del padre e del figlio sono qualche volta o più lunghi o più brevi ri-
spetto all’intervallo medio tra due generazioni dell’età tardorepub-
blicana. 23 Invece l’inserimento degli avonimici nelle parti antiche dei
fasti è certamente opera dei redattori posteriori 24.
L’idea che le originali liste dei magistrati non avrebbero conte-
nuto dei cognomi deriva da molti fattori. Si è fatto ricorso alle con-
dizioni semplici del V secolo, il che non permetterebbe l’introduzio-
ne, almeno non in maniera rilevante, dei cognomi; ma questo non è
argomento convincente. Convince di più l’accenno al fatto che in al-
tri documenti quali leggi e senatoconsulti i nomi dei consoli e di al-
tri magistrati vengono resi ancora nel II secolo senza cognomi e avo-
nimici che invece appaiono sempre nei Fasti Capitolini; negli indici
più antichi sarebbero stati ammessi solo il prenome, gentilizio e pa-
tronimico (ma la presenza nei fasti dei patronimici pone, come ab-
biamo visto, qualche problema). Ma ciò è una sbagliata proiezione
di un usus a documenti di tutt’altro genere. Nelle leggi e nei senato-
consulti bastava mettere solo il patronimico, perché i consoli e i te-
stimoni erano di solito facilmente riconoscibili ai fini della prova
dell’autenticazione del documento, mentre i fasti non sono solo liste
di magistrati eponimi fatti per scopi pratici, ma hanno piuttosto as-
sunto il carattere di cronache; nelle categorie storiografiche i fasti
costituiscono la forma della memoria collettiva, non un mezzo prati-
co per datazioni, bensì tavola onoraria 25. Questo carattere dei fasti

23
Cf. Cichorius, De fastis consularibus, cit. p. 237-240, il quale tuttavia esa-
gera quando vuole attribuire tutti i patronimici ai redattori posteriori. Cf. invece
Beloch, Römische Geschichte, cit., p. 52-61.
24
Questo per molte ragioni. Cf. per es. Beloch, Römische Geschichte, cit.,
p. 60.
25
Questa categoria storiografica è stata bene elaborata da J. Rüpke, Ges-

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 261

deve risalire al periodo repubblicano; emerge dalle constatazioni di


Cicerone (Sest. 33; Pis. 30); anche nei fasti aggiunti al calendario di
M. Fulvio Nobiliore (Macr. Sat. 1, 12, 16) sembra essere stato eviden-
te questo processo verso il genere cronacale. Ammesso questo, non
dovrebbe essere difficile postulare per i fasti a cavallo del IV e III se-
colo (cioè quando ha operato Cn. Flavio) una forma più completa
per i nomi dei grandi Romani del passato rispetto alla prassi nelle
leggi e altri editti. Non pesa neanche molto se gli annalisti hanno
omesso di solito i cognomi 26 : dipende dalle fonti utilizzate e da scel-
te personali di vario genere, tanto più che si trovano intessuti in con-
testi di altri scrittori. Anche Livio varia senza scrupoli nell’uso dei
cognomi. Naturalmente non sapremo mai quando esattamente i co-
gnomi siano entrati a far parte dei nomi dei magistrati nei fasti e
quali cognomi possano essere ritenuti autentici e non interpolati,
ma come vedremo tra poco deve trattarsi di una prassi abbastanza
antica; se sia stato Gneo Flavio ad aggiungerli, al quale ho già accen-
nato e come si è qualche volta pensato 27, rimane questione aperta.
Importante è anche notare una tendenza verso l’uniformità (di cui
supra) : se alcuni dei magistrati ricordati in una legge o senatocon-
sulto o simili non avevano un cognome, per l’uniformità lo si omise
anche nel nome degli altri. Ora si potrebbe obiettare che proprio nei
Fasti Capitolini regna l’uniformità, ma in senso opposto : i cognomi
sono praticamente sempre presenti nei nomi dei magistrati durante
tutto il periodo protorepubblicano, cioè in un tempo in cui non ci si
aspetterebbe ancora di trovare tale omogeneità nell’uso del cogno-
me 28. Si potrebbe quindi pensare che i cognomi siano stati introdotti

chichtsschreibung in Listenform : Beamtenlisten unter römischen Kalendern, in


Philologus 141, 1997, p. 65-85; cf. Id., Fasti. Quellen oder Produkte römischer Ges-
chichtsschreibung?, in Klio 77, 1995, p. 184-202.
26
Questo argomento è tuttavia decisivo per Cichorius, De fastis consularibus,
cit., p. 182-187.
27
A questa possibilità accenna A. Alföldi, Les cognomina des magistrats de la
République romaine, in Mélanges d’archéologie et d’histoire offerts à A. Piganiol,
Parigi, 1966, p. 721 (ma la sua affermazione, che questa idea sia già stata espressa
da Fr. Cornelius e A. Degrassi, non è corretta). Beloch, Römische Geschichte, cit.,
p. 48 pensa invece alla fine del III secolo.
28
Dal periodo anteriore al 300 si conoscono solo tre casi della mancanza del
cognome nei Fasti Capitolini : Sex. Quinctilius Sex. f. P. n. nel 453, C. Maenius
P. f. P. n. nel 338 e K. Duilius nel 336 (questo non conservato). Il caso successivo
ammonta al 260 con C. Duilius M. f. M. n. (la gens Duilia resta, come da aspettar-
si, priva del cognome fino alla sua estinzione dopo il III secolo). Se al nome del
tribuno militare nel 399 C. Duilius viene associato, nei Fasti Capitolini, il cogno-
me Longus, ciò sembra certamente un’interpolazione. Meno sicura l’integrazione,
nei Fasti Capitolini, dello stesso cognome per il decemviro nel 450, proposta dal
Borghesi in base a quello del tribuno militare.

.
262 HEIKKI SOLIN

dai redattori di quegli indici dei magistrati che fungevano da fonte


dei Fasti Capitolini, per rendere uniformi le liste, in base alla tradi-
zione familiare, annalistica e di altro genere. E in effetti questo reg-
ge in molti casi (certamente c’erano famiglie nel primo periodo re-
pubblicano, in particolare plebee, che non potevano portare cogno-
mi, in analogia con parecchie famiglie plebee del periodo
repubblicano più tardo come Antonii, Duilii, Flaminii, Marii, Mem-
mii, Mummii e altri), ma non in tutti. Tuttavia con l’ipotesi del-
l’impegno per ottenere l’uniformità delle liste non si spiega la pre-
senza nei Fasti Capitolini di quei cognomi dell’aristocrazia che non
appaiono più dopo il V secolo (su ciò torneremo tra poco). D’accor-
do, cognomi attestati con certezza nel nome dei magistrati diciamo
della seconda metà del IV e del III secolo, potevano essere trasferiti
dai redattori dei fasti al nome dei membri più antichi della stessa
gens (o tali remoti antenati si potevano addirittura inventare). Al no-
me del console nel 496 A. Postumius Albus quest’ultimo elemento
può essere stato aggiunto più tardi in base ai Postumii Albi(ni) cer-
tamente storici (anche se non è di per sé necessario ammetterlo). E
non mancano altri esempi. Tuttavia si tratta di una prassi cui ricor-
rere con una certa cautela. I cognomi nel V secolo possono in princi-
pio essere aggiunti sulla base dei nomi di omonimi dell’età repubbli-
cana più recente, ma non devono necessariamente esserlo; sappia-
mo da tempi posteriori che il nome completo di un grande romano
poteva apparire più tardi nell’onomastica dell’età imperiale, senza
che ci fosse un legame diretto tra i due omonimi 29. Tirando le som-
me, si può concludere che l’uso dei cognomi in una famiglia, all’in-
terno della famiglia, e la loro presenza nei Fasti Capitolini sono due
cose diverse che non si escludono a vicenda. Purtroppo non sappia-
mo praticamente niente dell’uso familiare dei cognomi nel periodo
repubblicano fino alla metà del IV secolo circa. Ma se si può dimo-
strare che alcuni dei cognomi dell’aristocrazia del V e IV secolo tra-
diti nei Fasti Capitolini sono autentici, allora devono esere stati nel-
l’uso quotidiano della comunicazione orale nella famiglia e anche –
in parte forse soprattutto – al di fuori della famiglia ristretta. Su ciò
torniamo ancora più tardi. D’altra parte i sarcofagi della gens Corne-

29
Su ciò cf., in via preliminare, H. Solin, Un aspetto dell’onomastica plebea e
municipale. La ripresa di nomi illustri da parte di comuni cittadini, in G. Angeli
Bertinelli e A. Donati (a cura di), Varia epigraphica. Atti del colloquio inter-
nazionale di epigrafia, Bertinoro, 8-10 giugno 2000, Faenza, 2001 (Epigrafia e Anti-
chità 17), 411-427. Un bell’esempio nell’onomastica aristocratica della ripresa di
vecchi cognomi orgogliosi, dopo un lungo iato, nell’età imperiale costituisce la fi-
danzata di Claudio Medullina Camilli f. (CIL X 6561), su cui cf. M. Kajava, Arctos
20, 1986, p. 59-71.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 263

lia dimostrano che il cognome poteva essere in uso effettivo nelle fa-
miglie aristocratiche già nella seconda metà del IV secolo, e quello
di P. Cornelius Scapula fa vedere l’importanza di questi casi, in
quanto sembra confermare la tradizione annalistica relativa al co-
gnome del console corneliano del 328 (nei Fasti Capitolini quest’an-
no non è conservato).
Al lettore sarà diventato chiaro che personalmente non posso
condividere completamente il giudizio negativo riguardo all’autenti-
cità dei cognomi traditi per i magistrati del V e IV secolo 30. Si può
falsificare per vanità aristocratica qualche albero genealogico, ma
non si falsificano decine se non centinaia di nomi, gentilizi e cogno-
mi, di magistrati. Come ho già sottolineato, una parte dei cognomi
traditi per il V e IV secolo rappresenta aggiunte posteriori (e quelli
dei primi anni della repubblica saranno per lo più interpolazioni).
Visto il carattere facoltativo del cognome nella nomenclatura il suo
affermarsi nell’uso romano deve essere stato un processo piuttosto
lungo, e non si creda che in tutte le famiglie patrizie dell’età protore-
pubblicana il cognome sia diventato un elemento per così dire stabi-

30
Argomenti per l’autenticità di una buona parte dei cognomi della media
repubblica e anche di alcuni della parte più antica dei fasti sono molti. È mia in-
tenzione di trattare la questione nel libro dedicato all’onomastica senatoria, da
tempo in preparazione. Qui solo un paio di osservazioni oltre a quelle che figura-
no altrove in questo saggio : 1) L’inclusione di cognomi nei fasti si spiega con il
bisogno di escludere il sospetto sull’identità delle persone portanti lo stesso genti-
lizio, e questo bisogno non nacque soltanto verso la fine del IV secolo con la pre-
sunta redazione dei Fasti di Gneo Flavio, bensì molto prima; già il patriziato più
antico ha posseduto dei cognomi e li ha anche fatti mettere nei fasti più antichi
(bene su questo punto Beloch, Römische Geschichte, cit., p. 46 contro Momm-
sen). Del resto il giudizio del Mommsen è stato spesso frainteso su questo punto :
per es. in RF I, p. 48 non dice affatto che i cognomi del patriziato sarebbero delle
falsificazioni (così hanno capito le parole del Mommsen molti studiosi, per es.
A. Alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor, 1964, p. 82 sg.), egli parla solo
della «Schriftmässigkeit der Cognomina, die wenigstens bis in das fünfte Jh.
Roms zurückreicht». – 2) Il fatto che in Diodoro manchino spesso i cognomi dei
magistrati, non può essere usato come argomento per la supposizione che egli
avrebbe utilizzato una buona fonte antica, in cui i cognomi non erano segnalati,
come spesso affermato. G. Perl, Kritische Untersuchungen zu Diodors römischer
Jahreszählung, Berlino, 1957, ha dimostrato che i cognomi dei magistrati sono
sempre da postulare nella fonte di Diodoro (che era una lista di eponimi, la quale
dunque registrava i cognomi ed era scritta in latino); ma nella lunga serie dei tri-
buni consolari i cognomi furono omessi a causa dell’alto numero dei nomi e in
conseguenza anche i collegi consolari precedenti e successivi venivano da Diodo-
ro offerti senza cognomi. Perciò non si può tirare con A. Alföldi, Römische Früh-
geschichte, Heidelberg, 1976, p. 109 sg. la conclusione che Diodoro avrebbe chia-
mato in causa, per i tribuni consolari, un’altra, antica fonte. In ogni caso, l’usus
diodoriano non dice niente della mancanza del cognome nella nomenclatura dei
magistrati della prima età repubblicana.

.
264 HEIKKI SOLIN

le, né nell’uso interno della famiglia, né nella comunicazione orale,


né nell’uso pubblico scritto. I primi tipi di cognomi, come vedremo,
erano derivati da indicazioni di domicilio oppure nomignoli, so-
prannomi imposti in base a qualche peculiarità fisica o mentale.
Questi non furono all’inizio percepiti come un’autentica parte della
nomenclatura; solo gradualmente hanno attraversato una specie di
codificazione, hanno assunto il carattere di un nome vero e proprio,
e così gli annalisti o membri posteriori della stessa gens potevano in-
trodurli nei fasti anteriori. Ma accanto a tali casi, in cui il carattere
di un cognome vero e proprio si cristallizza solo più tardi, ce n’erano
altri che sembrano rappresentare cognomi per così dire autentici.
C’era anche, nelle grandi gentes, un bisogno di distinguere i membri
della stessa gens l’uno dall’altro, e siccome il numero dei prenomi in
uso nella nobiltà repubblicana divenne sempre minore 31, si fece ri-
corso a un nuovo elemento, utilizzando le indicazioni di domicilio o
i soprannomi e trasformandoli nomi veri e propri, vale a dire una
terza componente del nome romano, chiamato poi cognomen.
Cominciamo con casi che rappresentano cognomi non autenti-
ci, entrati nelle liste consolari furtivamente mediante interpolazio-
ne. Così si possono spiegare parecchi casi di cognomi doppi, giacché
il moltiplicarsi dei cognomi è estraneo alle condizioni semplici del V
secolo e comincia ad essere frequente soltanto nel periodo tardore-
pubblicano. In questo senso vanno intesi molti casi, in cui i cognomi
supplementari in realtà non sono altro se non tentativi di designare
il domicilio, come per esempio quelli di Inregillensis (?) e Inregillen-
sis Sabinus (la forma del primo cognome varia nei Fasti Capitolini e
nelle fonti letterarie) 32, cognomi aggiunti di vari consoli nella fami-
glia dei Claudii Crassi nella prima metà del V secolo, con due ritar-
datari nelle liste consolari intorno alla metà del IV secolo; dopo il
dittatore nel 337 non è più attestato, probabilmente suo figlio era il
grande Ap. Claudius Caecus 33. Ma Inregillensis non è soltanto inter-

31
O. Salomies, Die römischen Vornamen. Studien zur römischen Namenge-
bung, Helsinki, 1987, 19-60 ha raccolto in tutto 31 nomi attestati con certezza
come prenomi della nobiltà repubblicana. E anche di questi, alcuni sono attestati
solo raramente, cadendo con l’andar del tempo più e più in disuso.
32
In enciclopedie e manuali prosopografici si sceglie di solito la forma Inre-
gillensis, mentre Degrassi nella sua edizione in Inscr. It. XIII tende a scrivere Inri-
gillensis, quando il cognome (o almeno non la vocale della sua seconda sillaba)
non è conservato nella lapide; e in effetti nell’unico passo in cui questo cognome
è conservato, sotto 450 nell’elenco dei decemviri consulari imperio legibus scri-
bundis, è scritto Inrigill(ensis).
33
Sono il console del 495, il cui nome si crede suonasse nei Fasti Capitolini
(dove non è conservato) nella forma Ap. Claudius M. f. – n. Crassus(?) Inregillen-
sis (o Inrigillensis) Sabinus (il secondo cognome è tramandato solo nel Cronogra-

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 265

polazione, ma probabilmente anche una forma falsa : il cognome


dovrebbe derivare dall’origine – reale o fittizia – dei Claudii dal pae-
se nei Sabini 34, il cui vero nome era Regillum (Dion. Hal. 5, 40, 3.
Ap. Reg. 12; ex Regillis Suet. Tib. 1, 1), e non Inregillum come si legge
in Liv. 2, 16, 4 35 Il terzo cognome Sabinus sarà senz’altro un’interpo-
lazione dovuta al desiderio di mettere ancora più chiaramente in ri-
lievo l’origine della famiglia. Interessante – e anche unico nell’età re-
pubblicana – è il caso di Augurinus : i primi cinque auguri plebei
eletti per la prima volta secondo il regolamento della lex Ogulnia nel
300 a.C. erano P. Aelius Paetus, C. Genucius, C. Marcius Rutilus,
M. Minucius Faesus e T. Publilius (Liv. 10, 9, 2). Ora, il cognome
Augurinus è tramandato solo nella gens Genucia e nella gens Minu-
cia, per cui si può pensare che i due auguri C. Genucius (RE 3) e

fo dell’anno 354 come l’unico nome nella forma Inregiliensis; e il terzo cognome
Sabinus nei Fasti Idaziani e nel Chronicon Paschale come nome unico, nonché in
Dion. Hal. 6, 23 come unico cognome dopo ¶Appiov Klay¥diov); suo omonimo,
console nel 471 e 451, i cui nomi sono stati tramandati grosso modo in maniera
uguale (solo che il suo nome intero è conservato sotto 451 nei Fasti Capitolini, i
cognomi nella forma Crass. Inr[-]gill. Sabin. e che sotto 451 mancano le testimo-
nianze delle fonti letterarie); nello stesso modo viene trattato anche il nome del
console nel 460, solo che ha il prenome Gaius. Del IV secolo il console del 349
porta nei Fasti Capitolini due cognomi nella forma [Crass. I]nrigil[lens.], nel Cro-
nografo del 354, nei Fasti Idaziani, nel Chronicon Paschale e in Livio solo Cras-
sus, mentre in Cassiodoro compare solo con prenome e gentilizio; lo stesso viene
ricordato come dittatore nel 362 nei Fasti Capitolini con i due cognomi nella for-
ma [Cr]assus Inregillensis. E infine il cognome del dittatore nella guerra contro i
Sidicini nel 337 appare nella tradizione manoscritta di Liv. 8, 15, 5 in varie
forme : Inregillensis (adottata dagli editori), Regillensis, Regiliensis).
34
L’antenato dei Claudii, il sabino Att(i)us Clausus, migrò secondo la tradi-
zione a Roma nel 504. Sulla sua persona e sui suoi nomi da ultimo cf. B. J. Kava-
nagh, AHB 4, 1990, p. 129-132; su Clausus, che indubbiamente rappresenta un
elemento sabino, A. M. Keaney, Three Sabine nomina : Clausus, Consus, *Fisus,
Glotta 69, 1991, p. 202-214. – A. W. J. Holleman, The first Claudian at Rome, in
Historia 35, 1986, p. 377 sg. ritiene i Claudii una gens etrusca, ma il suo ragiona-
mento è debole.
35
La tradizione manoscritta è confusa (i codici dei Simmachi hanno avuto
cnregillo o simili), Inregillo è emendazione del Weissenborn, e così stava probabil-
mente nel testo di Livio. Ma il toponimo Inregillum potrebbe essere nato da una
sbagliata identificazione dei due cognomi di un Claudius da parte di uno studio-
so, dovuta forse a un malinteso di sciogliere CRASSIN zREGILL con Crass. Inre-
gill. nei fasti del 451 e 450 (Livio ha quindi usato questa fonte non molto antica).
Questa idea risale al Mommsen, CIL I2 p. 32 su 392 a.u.c., idea geniale, anche se il
cognome Crassinus è altrimenti ignoto nell’onomastica senatoria (e anche per il
resto rarissimo), ma cf., dell’età protorepubblicana, per es. Mamercus > Mamerci-
nus. E poi cognomi molto brevi non venivano abbreviati. In ogni caso un toponi-
mo Inregillum e un etnico Inregillensis sarebbero quanto mai sorprendenti e mol-
to poco plausibili. Troppo fiducioso H. Gähwiler, Das lateinische Suffix -ensis,
Diss. Zurigo 1962, p. 27.

.
266 HEIKKI SOLIN

M. Minucius Faesus (RE 42) abbiano trasmesso Augurinus ai loro


posteri (nel nome di loro non è attestato), e infatti compare come
cognome di due monetali che forse erano fratelli 36, C. Minucius Au-
gurinus (135 a.C. : Crawford, RRC p. 273 n. 242) e Ti. Minucius Au-
gurinus (134 a.C. : Crawford, RRC p. 275 n. 243); nelle loro monete
è rappresentato l’augure del 300, per cui è chiaro che loro hanno
avuto il cognome in ricordo dell’augurato di Faesus 37. Ma Augurinus
compare anche nell’onomastica di altri Genucii e Minucii più anti-
chi, addirittura patrizii, ricordati nei fasti tra 451-396 e 497-305 ri-
spettivamente 38. Ora è impossibile che un Genucio o un Minucio
avrebbe potuto portare Augurinus prima del 300, per cui tutte le at-
testazioni di questo cognome tramandate nei Fasti per il V e IV seco-
lo devono per forza essere interpolazioni 39. In altri casi la presenza
di cognomi doppi nei Fasti Capitolini può spiegarsi ipotizzando che
il compilatore dei Fasti combinasse due cognomi che aveva trovato
in due fonti divergenti di liste consolari; così la sequenza P. Volum-
nius M. f. M. n. Amintin(us) Gallus nel nome del console del 461, fu
combinata da Amentinus nella versione seguita da Diodoro (e il Cro-
nografo del 354) e Gallus nella versione di Idazio e del Chronicon Pa-
schale (Livio ricorda il console senza cognomi) 40. Di questi, Aminti-
nus potrebbe essere autentico (era nato dall’indicazione del domici-
lio) 41, ma certo non Gallus : è escluso che in quel periodo i Romani
potessero aver avuto con i Galli rapporti tali da causare l’adozione del

36
Anche C. Minucius Augurinus, tribuno della plebe nel 184, forse loro
padre o nonno, portava lo stesso cognome.
37
Per i discendenti dell’augure C. Genucius il cognome non è attestato, forse
perché la famiglia si è estinta presto.
38
Cn. Genucius Augurinus, tribuno militare nel 399 (Augurinus compare nei
Fasti Capitolini e nel Cronografo del 354); M. Genucius Augurinus, console nel
445 (l’anno manca nei Fasti Capitolini; Augurinus compare solo nel Cronografo
del 354); T. Genucius Augurinus, console nel 451 (Augurinus compare nei Fasti
Capitolini e nel Cronografo del 354); M. Minucius Augurinus, console nel 497 e
491 (i due anni mancano nei Fasti Capitolini; Augurinus compare nel Cronografo
del 354, nei Fasti Idaziani e nel Chronicon Paschale); P. Minucius Augurinus,
console nel 492 (parimenti); Ti. Minucius Augurinus, console nel 305 (Augurinus
integrato nei Fasti Capitolini; compare nel Cronografo del 354). Per quanto ri-
guarda gli storiografi romani, Augurinus manca sempre per es. in Livio.
39
Per primo notato da Th. Mommsen nel suo classico saggio Die römischen
Eigennamen der republikanischen und augusteischen Zeit, in Römische Forschun-
gen, I, Berlino, 1864, p. 65-68 (d’ora in poi abbreviato come RF).
40
Questa possibilità è stata considerata da C. Cichorius, De fastis consulari-
bus, cit. p. 229-232, e Fr. Cornelius, Untersuchungen zur frühen römischen Ges-
chichte, Monaco, 1940, p. 9-11.
41
Ma W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlino, 1904
(d’ora in poi abbreviato ZGLE), p. 259 ritiene Amintinus etrusco. Cf. anche
H. Rix, Das etruskische Cognomen, Wiesbaden 1963, p. 176.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 267

cognome Gallus nell’onomastica romana (inoltre i Volumnii erano


una gens etrusca), e neanche la derivazione da gallus sembra molto
plausibile, benché nomi di animali non siano ignoti nell’onomastica
senatoria dell’età repubblicana, come dimostra per esempio Lupus.
Anche molti cognomi unici sono aggiunte posteriori, entrate
nelle liste da parte dell’annalistica o della tradizione familiare. Già il
cognome del fondatore della repubblica ne offre un esempio chiaro.
Prescindendo dalla storicità della sua persona molto discussa, non
sappiamo neppure con certezza come e quando Brutus sia stato as-
sociato al nome del primo console. Ci sono due strade opposte per
spiegare lo stato delle cose. Il cognome potrebbe essere invenzione
della tradizione annalistica soltanto in un momento successivo, in
base alla leggenda che egli, per salvare la pelle, aveva fatto finta di
essere brutus. Ma anche se così fosse, non sapremmo con certezza
quando fosse introdotto questo cognome che compare più tardi, dal-
la fine del III secolo in poi 42, come cognome ereditario del ramo dei
Iunii Bruti che, diversamente dal primo console, erano plebei 43. In
tal caso essi avrebbero adottato Brutus dalla tradizione annalistica,
anche se i dettagli del momento e del modo della ripresa di questo
cognome, praticamente non usato al di fuori della gens Iunia, reste-
rebbero oscuri. Ma di solito l’introduzione del cognome viene spie-
gata in maniera opposta : era il cognome Brutus a dare la spinta alla
leggenda della pazzia di Bruto 44. Ma chi avrebbe in tal caso il prima-
to sul cognome, il fondatore della repubblica o i Iunii Bruti plebei?
Si potrebbe cercare il punto di partenza nei Iunii plebei che avevano
adottato, entro la seconda parte del IV secolo, Brutus come cogno-
me, presto diventato ereditario. Questo cognome è formato dall’ag-
gettivo dialettale brutus che di origine aveva il significato di ‘pesante’
(Paul. Fest. p. 31 brutum antiqui gravem dicebant; cf. anche il preno-
me osco Brutulus : Liv. 8, 39, 12 Brutulus Papius), e sarebbe origina-

42
A parte sta un peculiare sosia plebeo del primo console L. Iunius Brutus,
tribuno della plebe nel 493 (RE 47), introdotto ed elaborato da Dion. Hal. 6, 70, 1.
43
L’origine dei Iunii Bruti dal fondatore della repubblica, propagata soprat-
tutto dagli assassini di Cesare Marco e Decimo Bruto (Cic. Att. 13, 40, 1), era mol-
to discussa già nell’antichità, come emerge da Plut. Brut. 1, 6-8. Marco divenne
del resto tramite adozione patrizio prendendo il nome Q. Caepio Brutus (su ciò
da ultimo R. Syme, JRS 34, 1944, p. 101 sg. = Roman Papers I 167 sg. e Historia 7,
1958, p. 176 = Roman Papers I p. 365).
44
In effetti, questa è la spiegazione corrente a partire da B. G. Niebuhr, Rö-
mische Geschichte I, Berlino, 1811, p. 541; così, tra gli altri, Th. Mommsen, Rö-
mische Geschichte, I, Berlino, 1854, p. 246; De Sanctis, Storia dei Romani, cit. I2,
p. 402; W. Schur, RE Suppl. V, 1931, col. 369; Alföldi, Early Rome, cit., p. 83; Id.,
Les cognomina, cit. p. 721; K.-W. Welwei, Lucius Iunius Brutus – ein fiktiver Re-
volutionsheld, in J. Hölkeskamp und E. Stein-Hölkeskamp (a cura di), Von Ro-
mulus zu Augustus. Grosse Gestalten der römischen Republik, Monaco, 2000,
p. 50 sg.

.
268 HEIKKI SOLIN

riamente stato un soprannome, caratteristico dei cognomi dell’età


repubblicana. I Iunii Bruti plebei che erano una gens influente alla
fine del IV secolo – penso per esempio al potente C. Iunius Brutus
Bubulcus, console nel 317, 313 e 311 e dittatore nel 312 – avrebbero
fatto costruire un albero genealogico, mettendo alla sua testa Lucio
Bruto come fittizio capostipite patrizio; e nel II secolo Lucio Accio,
il cui protettore era D. Iunius Brutus Callaicus, esaltava nella trage-
dia Brutus (p. 236-239 Dangel) con elementi della storia di Bruto e
Lucrezia la tradizione familiare dei Iunii Bruti; e un poco più tardi
Posidonio sottolineava allo stesso modo la discendenza dei Iunii
Bruti plebei dal primo console (F 256 Edelstein – Kidd = 129 Theiler
da Plut. Brut. 1, 7). Brutus, diventato in un ramo plebeo della gens
Iunia un cognome ereditario, forse senza connotazione peggiorati-
va, avrebbe dunque dato la spinta a legare i Bruti contemporanei
con la gloriosa storia dell’inizio della repubblica. Questa spiegazione
si presta bene, indipendentemente dal giudizio sulla storicità della
persona di Lucio Bruto, se vi si vede anche un briciolo di verità o se
si ritiene l’intera storia di Lucio Bruto costruzione realizzata ad ope-
ra dei Bruti plebei 45. – Un caso analogo, in cui dunque il cognome dà
l’avvio a una leggenda, potrebbe scorgersi nel cognome Caecus del
censore Appio Claudio, anche se secondo gli antichi egli avrebbe
avuto il cognome per la sua cecità (Plut. Pyrrh. 19; Liv. 9, 29,11,
ecc.) 46. La decisione non è facile. In favore dell’opinione corrente po-
trebbe militare il fatto che Frontino aq. 5,1 lo chiama «censore Ap-
pio Claudio Crasso poi soprannominato Cieco»; egli avrebbe dun-
que in origine portato il cognome tradizionale di un ramo dei Clau-
dii, cioè Crassus, che sarebbe stato sostituito con Caecus in base alla

In ogni caso mi sembra che Brutus sia fin dalle sue prime attestazioni
45

(console nel 325) cognome autentico, imposto originariamente a un gentile dei


Iunii che forse era più grasso del solito. Alföldi, Early Rome, cit. p. 83 spiega l’in-
troduzione di Brutus in un modo inutilmente complicato : questo cognome sa-
rebbe stato inserito nei Fasti furtivamente verso la fine del IV secolo, e i Iunii
Bruti avrebbero cercato di diminuire il suo carattere derisorio inventando la sto-
ria di Lucio Bruto.
46
Cf. ThlL Onom. II, col. 18, 17-33. Il parere degli antichi è condiviso dalla
maggioranza degli studiosi moderni, da ultimo, a mo’ d’esempio uno storico :
B. Linke, Appius Claudius Caecus – ein Leben in Zeiten des Umbruchs, in Von Ro-
mulus zu Augustus. Grosse Gestalten der römischen Republik, Monaco, 2000,
p. 69; un linguista : H. Rix, Das etruskische Cognomen, Wiesbaden, 1963, p. 227
(e l’etr. ceice sarebbe prestito dal latino). Anche I. Kajanto, The Latin Cognomina,
Helsinki, 1965, p. 238, deriva Caecus dall’aggettivo caecus citando un paio di altre
attestazioni, che restano tuttavia molto incerte. Ed Etcheto, Cognomen et apparte-
nanca familiale, cit. nt. 6, p. 460 sg. difende energicamente questa asserzione. –
Un elenco di varie forme del nome del censore in R. A. Bauman, ZSS 108, 1991,
p. 3 sg., ma senza prendere posizione (in genere si tratta di un contributo assai
deludente).

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 269

sua infermità della vecchiaia; ciò troverebbe ulteriore conferma nel


fatto che Caecus non compare più tardi nella famiglia (ma neanche
Crassus compare più!) 47. Ma è possibile che Frontino si sia confuso
in qualche modo, trasmettendo il cognome del padre del censore al
figlio, giacché sarebbe peculiare che solo Frontino avrebbe conser-
vato il ricordo del cambiamento del cognome nel nome del censore.
L’imposizione di Caecus sarebbe avvenuta nel quadro generale del-
l’evoluzione del cognome nel IV secolo, quando in luogo di vecchi
cognomi tradizionali entrano nuovi cognomi personali 48 ; di questo
appunto il cambiamento da Crassus a Caecus sarebbe un esempio. E
poi non si capisce come mai il censore avrebbe deposto il cognome
tradizionale Crassus in favore di uno che aveva una chiara connota-
zione peggiorativa (sarebbe quindi, secondo il ragionamento rappre-
sentato dall’Alföldi, stato imposto dalla plebe?). Io penso che Caecus
era il suo cognome originario che avrebbe dato l’origine alla storia
della sua cecità 49. Sul cognome cf. Caecina, Caecius, ecc.; Caecus sa-
rebbe dunque di origine etrusca. Un fatto tuttavia potrebbe far pen-
sare che Caecus era, dopo tutto, stato imposto al censore per la in-
fermità, e quindi non compare più nell’onomastica della sua discen-
denza. Ma si può confrontare un altro caso : il cognome di suo figlio
Ap. Claudius Russus, console nel 268, non compare più dopo di lui.
Ora Russus possiede una connotazione negativa (cf. infra p. 35), e
per questo motivo forse non fu imposto più nella sua famiglia; era
dunque un cognome strettamente individuale. Per quanto riguarda
Caecus, esso poteva facilmente essere interpretato già dai parenti
contemporanei del censore in senso negativo e perciò si evitava di
darlo ai suoi discendenti.
Si è quindi visto che una parte dei cognomi attestati per i magi-
strati del periodo protorepubblicano può rappresentare tradizione
sana. Prescindo qui dalla discussione del difficile problema in meri-
to al rapporto tra patrizi e plebei, ma che il sommo magistrato re-
pubblicano, il consolato (come si suole chiamarlo), fosse stato per
lungo tempo monopolio del patriziato, come afferma la tradizione
letteraria, è tuttora controverso 50 ; non è neanche qui il caso di discu-
tere il problema se i cognomi delle più antiche famiglie plebee siano
tutti da considerare interpolazioni 51. Concentriamoci sulla questione

47
Questo viene sottolineato da Etcheto.
48
Questo aspetto è stato bene elaborato da Etcheto, solo che lui arriva, in
questo particolare caso, a un risultato opposto.
49
Così anche Beloch, Römische Geschichte, cit., p. 49.
50
Sui plebei in generale da ultimo J. von Ungern-Sternberg, KlP 9, 2000,
col. 1124-1127 (nella sua bibliografia aggiungi R. E. Mitchell, Patricians and Ple-
beians. The origin of the Roman State, Ithaca-London, 1990, un libro peraltro as-
sai discusso).
51
Beloch, Römische Geschichte, cit., p. 50 voleva impugnare i cognomi delle

.
270 HEIKKI SOLIN

dell’attendibilità dei cognomi nel patriziato nel V e IV secolo. Ci so-


no alcuni argomenti che militano in favore dell’età abbastanza re-
mota dell’introduzione dei cognomi in famiglie patrizie. La redazio-
ne originale dei Fasti consolari potrebbe risalire alla fine del III se-
colo a.C., se la si connette con l’inizio dell’annalistica romana 52, o
anche alla fine del IV secolo se è stato Gneo Flavio ad introdurli nel
calendario – ma sappiamo troppo poco della sua opera sotto questo
aspetto 53. Ma non sappiamo quando i cognomi siano apparsi la pri-
ma volta nella lista dei magistrati, e quando abbiano cominciato ad
essere inclusi in maniera più sistematica, se nell’eventuale redazione
dei Fasti ad opera di Gneo Flavio o, in alternativa, dei più antichi
annalisti, o ancora più tardi 54. Ma quale che sia la verità, sembra
escluso che ci sia stato, verso la fine del IV o nel III secolo, a Roma
un erudito che avrebbe potuto inventare tutti questi cognomi, molti
dei quali erano o sconosciuti o molto rari in tempi posteriori, per es.
Ahala con Axilla dei Servilii, Ambustus dei Fabii, Caeliomontanus,
Cicurinus, Fusus, Lanatus, Pulvillus, Rocus, Structus, Tricipitinus,
Tricostus, Tubertus, Vibulanus, Vicellinus 55, tutti attestati per il pe-

famiglie con gentilizi plebei che sarebbero senza eccezione interpolati. Ma egli
stesso deve ammettere (p. 51) che i cognomi traditi per i tribuni militari plebei
degli anni 400, 399 e 396 possono essere autentici. – Un caso sicuro di un co-
gnome interpolato in una gens plebea è Longus, aggiunto nei Fasti Capitolini al
nome di C. Duilius K. f. K. n., tribuno militare nel 399 (Longus viene inoltre inte-
grato negli stessi Fasti Capitolini nel nome del decemviro 450 K. Duilius, ma cf.
supra nt. 28). Che Longus sia interpolato, risulta già dal fatto che i Duilii erano
una gens priva dei cognomi.
52
Questa datazione è propugnata da Beloch, Römische Geschichte, cit., p. 48
(ma a p. 46 si esprime in modo un po’ ambiguo).
53
Quel poco che si sa della produzione di Gneo Flavio è stato ultimamente
analizzato da J. G. Wolf, Die literarische Überlieferung der Publikation der Fasten
und Legisaktionen durch Gnaeus Flavius, in Nachrichten Akad. Göttingen, Philol.-
hist. Klasse 1980, 2, p. 9-29, il quale tuttavia non tocca la questione del carattere
dei suoi fasti, che non risulta dalle testimonianze pervenute fino a noi, ma non è
escluso che egli abbia elencato, accanto al calendario, anche nomi dei consoli.
Mommsen, Römische Chronologie, Berlino, 18592, p. 208-211 mette la prima reda-
zione dei fasti alla fine, se non alla metà del IV secolo. A Gneo Flavio come il pri-
mo redattore dei Fasti consolari pensano anche per es. De Sanctis, Storia dei Ro-
mani I2, cit. p. 3 sg.; Alföldi, Early Rome and the Latins, cit., p. 167, 217; Id., Les
cognomina, cit., p. 721; Id., Römische Frühgeschichte. Kritik und Forschung seit
1964, Heidelberg, 1976, p. 101; K. Hanell, Probleme der römischen Fasti, in Les ori-
gines de la République romaine, 1967, cit., p. 188; L. Loreto, La censura di Appio
Claudio, l’edilità di Cn. Flavio e la razionalizzazione delle strutture interne dello sta-
to romano, in A & R n.s. 36, 1991, p. 199.
54
Ai Fasti di Gneo Flavio pensa, come abbiamo visto, Alföldi, Les cognomi-
na, cit., p. 721 sg; alla fine del III secolo Beloch, Römische Geschichte, cit., p. 48 e
Kajanto, On the Chronology of the Cognomen, cit., p. 65. Una datazione tardore-
pubblicana viene propugnata da Cichorius, De fastis consularibus, cit., p. 258 e
passim.
55
Ma la forma di questo nome, attestato solo come cognome del console del

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 271

riodo prima del 460. Diversamente va giudicato il tipo Vulso 56, atte-
stato sì solo nella gens Manlia a partire dal 474, ma poiché l’uso del
cognome si protrae fino al console del 178, è possibile che i redattori
dei fasti l’abbiano aggiunto al nome dei Manlii del V secolo in base
al cognome del console del 178, naturalmente autentico. Ma questi
cognomi come vanno giudicati nel quadro generale dell’onomastica
aristocratica del V e IV secolo? Come si sa, la storia della prima me-
tà del V secolo contiene materiale leggendario, comprese le interpo-
lazioni dei fasti. Già per questo ci si potrebbe chiedere come stia la
situazione riguardo all’attendibilità dei nomi, in questo specifico ca-
so dei cognomi dei magistrati, se la critica tende a ritenere le notizie
tramandate sulla loro vita una mescolanza di tratti leggendari e sto-
rici. Prendiamo come esempio P. Valerius Poplicola e M. Horatius
Pulvillus, tramandati come consoli negli stessi anni 509 e 508. An-
che se la cronologia tradizionale della repubblica è, a mio parere, in
sostanza sana, gli ultimi anni del VI secolo e i primi del V sono tutta-

502, del 493 e del 485 Sp. Cassius, non è certa; Degrassi integra nell’edizione dei
fasti, in cui non è conservato in alcun luogo, sempre Vicellinus, mentre per es.
Münzer, RE III, col. 1749, n. 9 esita fra Vecellinus e Vicellinus (così anche Degras-
si, Inscr. It. XIII 1, p. 536 nel commento dei Fasti trionfali su 502; ma nell’edi-
zione scrive constantemente Vic-); Broughton, MRR I, p. 8 e W. Eder, KlP 2, col.
1011 da parte loro preferiscono la forma Vecellinus (ma in KlP 12, 2, col. 182 si
scrive Vicellinus!). Ma negli autori antichi il cognome riceve tutt’altre forme, Ve-
cellinus o Vicellinus non essendo tradite da nessuna parte. Non ho fatto ricerche
per chiarire da dove provengano queste due forme preferite (ma il primo a vedere
che le forme tradite nelle fonti letterarie sono corrotte, sembra essere stato
Mommsen, RF I p. 107, 82. II p. 153, 2). A mio parere la forma originaria del co-
gnome non può essere stabilita con definitiva certezza, anche perché la sua deri-
vazione non è certa. Kajanto, The Latin Cognomina, cit., p. 163 lo fa derivare dal
gentilizio Vicellius. Ma se la forma del suo nome rappresenta una tradizione anti-
ca (come sembra essere il caso della sua persona), non lo deriverei in prima is-
tanza da un gentilizio, poiché cognomi derivati da gentilizi vengono in uso note-
volmente più tardi (fatta eccezione di Aquilinus, cognome di T. Herminius o Her-
menius, console nel 506, un caso problematico [a causa dell’origine etrusca
potrebbe avere qualche rapporto con gli Aquillii etruschi, sui quali vedi nt. 99], i
primi cognomi derivati da gentilizi con il suffisso -inus sono Caesoninus e Spuri-
nus nel II secolo). Perché non potrebbe celarsi dietro questo cognome un toponi-
mo non attestato? Questo è anche il parere di J. Reichmuth, Die lateinischen Gen-
tilicia, cit., p. 51. Ma quale toponimo? L’unico punto di riferimento anche un po’
plausibile sarebbe il monte Vecilius, attestato solo in Liv. 3, 50, 1, che dovrebbe
essere, giudicando dal contesto di Livio, una sommità del monte Algidus, odierno
Artemisio a nord di Velletri (cf. R. M. Ogilvie, A Commentary on Livy. Books 1-5,
Oxford, 1965, p. 489 il quale tuttavia dubita dell’attribuzione alla zona di Algidus,
perché il gentilizio Vecilius sarebbe etrusco!). Se questo accostamento coglie nel
segno, allora la forma giusta suonerebbe più o meno Vecellinus o Vecil(l)inus.
56
Non importa per il nostro argomento se di origine etrusca o no (manca in
Latin Cognomina del Kajanto). Un Volso in Sil. It. 10, 142, ma si tratta di una per-
sona fittizia. Cf. inoltre de Volsonibus nei Fasti trionfali del 294 invece di de Vulsi-
niensibus nei Fasti trionfali del 280 e del 264.

.
272 HEIKKI SOLIN

via suscettibili di interpolazioni. E infatti i due consolati comuni di


Poplicola e Pulvillus ricordano in modo sospetto il famoso consolato
valerio-oraziano del 449, e ne costituiranno un doppione 57. Ma que-
sto non toglie il problema della nascita di Pulvillus, non attestato
più, dopo il tribuno militare del 386. Diverso il caso di Poplicola :
poiché il nome si conosce in altre genti dell’età repubblicana in cir-
costanze certamente autentiche, non sappiamo se era mai stato in
uso nella gens Valeria durante il periodo protorepubblicano. Il co-
gnome venne attaccato al nome del grande condottiere dalla tradi-
zione storiografica non so quando, ed è ben possibile che tutti i Va-
lerii Poplicolae repubblicani abbiano avuto il loro cognome pià tardi
attaccato al loro nome in base al modello del console del 509; ma è
altrettanto possibile che un Valerio del V o IV secolo abbia avuto il
suo cognome già durante la sua vita 58. Molto dipende dall’interpreta-
zione di Poplicola, di cui ci occuperemo più avanti.
Ma torniamo su questi nomi che scompaiono presto dall’ono-
mastica romana. Come già detto, non sembra possibile che un eru-
dito o redattore di fasti del IV o III secolo avesse potuto inventarli
tutti. Per forza devono essere sia genuini che originari, conservati
negli archivi delle case nobili, negli elogi delle famiglie, nelle memo-
rie di vario genere e anche per mezzo di tradizione orale 59. E ora esa-
miniamo, con alcuni esempi, se taluni di questi nomi possano dav-
vero rivelarsi campioni genuini del V o IV secolo. Cominciamo con
Ahala / Axilla, attestati per parecchi membri della gens Servilia. Aha-
la compare nella tradizione la prima volta nel nome del console del
478 C. Servilius Structus Ahala (RE 87) 60, come tradito nei Fasti Ca-
pitolini 61, per poi apparire altre cinque volte nel V e IV secolo; l’ulti-
mo a portarlo era Q. Servilius Ahala, console negli anni 365, 362 e
nel 342, dittatore nel 360 e capo della cavalleria nel 351. Axilla da
parte sua è nei Fasti Capitolini cognome del tribuno militare (419-

57
Ma Münzer, RE VIII, 1913, col. 2404 n. 15 sembra ritenere attendibili i loro
consolati.
58
Secondo F. Cornelius, Untersuchungen zur frühen römischen Geschichte,
cit. nt. 40, p. 123 sarebbe stato dato per la prima volta al console del 460 come co-
gnomen ex virtute, e posticipatamente al console del 509.
59
Su quest’ultimo aspetto J. von Ungern-Sternberg, Überlegungen zur frühen
römischen Überlieferung im Lichte der Oral-Tradition-Forschung, in J. von Un-
gern-Sternberg e H. Reinau (a cura di), Vergangenheit in mündlicher Überliefe-
rung, Stoccarda, 1988 (Colloquium Rauricum 1), p. 237-265; U. W. Scholz, WJA
24, 2000, p. 145.
60
Invece il console nel 476 porta nei Fasti Capitolini il solo cognome Struc-
tus (la fine della riga è conservata).
61
Degrassi, Inscr. It. XIII 1, p. 356 omette per mera svista Ahala, che sta nella
lapide; Münzer in RE da parte sua, oltre a omettere anch’egli Ahala, scambia i
prenomi C. e Sp. tra i consoli del 478 e 476; anche qui si tratterà di una mera
svista.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 273

417) e del capo della cavalleria nel 418 62, ma probabilmente lo stesso,
una persona energica del tempo, è il console del 427, il cui nome,
Livio (4, 30, 12) rende nella forma C. Servilius Ahala (il suo anno
manca nei Fasti Capitolini; ma poiché è chiamato dal Cronografo
del 354 Structus, Degrassi lo ritiene un Servilius Structus Ahala) 63.
Ora io vorrei spiegare lo stato delle cose in modo diverso da quanto
è accaduto finora. Prendo le mosse dall’osservazione che Axilla sia
una forma secondaria e invenzione dell’annalistica, mentre Ahala
rappresenterebbe una tradizione sana (questa grafia si trova, oltre
che nei Fasti Capitolini, nelle monete di Marco Bruto del 54 a.C.,
sotto la testa di C. Servilius Ahala, capo della cavalleria nel 439 :
Crawford, RRC p. 455 n. 433) 64 ; così potrebbe essere chiamato uno
dei Servilii Ahalae del IV secolo. Ahala è un nome che non si conosce
nell’onomastica romana dopo il suddetto Q. Servilius Ahala, console
la prima volta nel 365. Queste due forme vengono di solito ritenute
varianti dello stesso nome 65. Ahala, viene considerato in base a Cic.
or. 153 (quo enim vester 66 Axilla Ala factus est nisi fuga litterae vastio-
ris?) più recente 67 ; ma dal punto di vista della storia della lingua l’os-
servazione è senza valore. Sembra che si tratti di due nomi diversi e
che quindi Ahala e Axilla vadano tenuti distinti. Quest’ultimo è for-
mato da axilla ‘ascella’. È vero che in Ahala è stata vista una grafia
con h intervocalica di ala 68, di cui axilla è diminutivo. Ciò non è
escluso, ma può trattarsi anche di un vecchio nome forse con una
grafia di apparenza dialettale (cf. il prenome umbro Ahal Vetter 230
= Rix Um 16). Si potrebbe vedere la storia del cognome serviliano in
questo modo : Ahala era un antico cognome della gens Servilia, men-

62
Il cronografo del 354 ha invece Structus. Cf. ancora Liv. 4, 45, 5 C. Servi-
lium Prisci filium nella lista dei tribuni militari; e 4, 46, 10-12 Q. Servilius Priscus
... magistro equitum creato, a quo ipse tribuno militum dictator erat dictus, filio –
ut tradidere quidam; nam alii Ahalam Servilium magistrum equitum eo anno
fuisse scribunt –. Münzer (vedi la nota seguente) ha cercato di chiarire le varie
forme del nome del tribuno e del console del 427 che lui – a ragione – ritiene una
stessa persona pensando che la giusta forma del suo nome nella tradizione fosse
C. Servilius Axilla (naturalmente ritiene tutti i cognomi interpolazioni).
63
Cf. Fr. Münzer, RE II A, col. 1773-1775 n. 37 il quale ha visto che console e
tribuno sono lo stesso personaggio influente. D’accordo Broughton, MRR I, p. 66,
71-73.
64
Sulle monete M. Gutgesell, Die Münzpropaganda des Brutus im Jahre 54
v.Chr., in Numismatisches Nachrichtenblatt 46, 1997, p. 223-228.
65
Con la lodevole eccezione dei commentatori dell’Orator ciceroniano quali
Sandys e Kroll.
66
Vester perché la madre di Bruto, Servilia contava nei suoi antenati il capo
della cavalleria del 439 C. Servilius Ahala.
67
Così Fr. Münzer, RE II A, 1923, col. 1768.
68
Leumann, Lateinische Laut- und Formenlehre, Monaco, 19772, p. 174.

.
274 HEIKKI SOLIN

tre Axilla sarebbe invenzione dell’annalistica nella storia tramandata


da Cincio Alimento (F 6 P = 8 Chassignet) e Calpurnio Pisone (F 24
P = 26 Chassignet), conservata in Dion. Hal. 12, 4, 2-5, secondo cui
C. Servilius avrebbe ucciso Sp. Maelius con un pugnale che portava
sotto l’ascella e sarebbe perciò stato soprannominato Ahala : eßk toy¥-
toy thùn eßpwnymı¥an toùn ¶Alan ayßt√ teuh̃nai le¥goysin, o™ti toù jı¥fov e¶xwn
yßpoù ma¥lhv h®luen eßpıù toùn a¶ndra. a¶lav gaùr kaloỹsi Rwmaı̃oi taùv ma¥-
lav 69 ; d’altra parte si è voluto interpretare questo racconto come un
mito eziologico destinato a spiegare il cognome 70, ma in tal caso gli
annalisti avrebbero dovuto intendere questo senso del cognome. Ti-
rando le somme, mi sembra difficile credere che l’annalistica abbia
potuto inventare Ahala, se è lecito vedervi un nome diverso da Axilla.
E poi Pulvillus, caso complicatissimo. Prescindendo dalla stori-
cità di M. Horatius Pulvillus, console nel 509 e nel 507, di cui supra,
anche gli altri due Pulvilli ricordati dalla tradizione pongono proble-
mi. I nomi del console nel 477 e nel 457 (probabilmente lo stesso at-
testato come augure nel 453), a cominciare dal prenome, sono dati
nelle fonti con grande confusione (vedi RE 13). Il tribuno militare
del 386 L. Horatius Pulvillus, ricordato soltanto da Liv. 6, 6, 3 (ma
mancante in Diodoro) 71, da parte sua è personaggio sospetto (cf. RE
14). Il cognome Pulvillus, ricordato la prima volta da Cic. dom. 139
(la tradizione manoscritta non pone problemi), è enigmatico. Il so-
stantivo pulvillus, diminutivo di pulvinus, significa ‘cuscino, guan-
cialetto’, ma è oscuro come da esso sarebbe derivato il cognome 72.
Un nomignolo o soprannome, imposto a un Horatius per un motivo
che ci sfugge? Dunque un soprannome caratteristico dell’onomasti-
ca aristocratica? O deformazione di un altro cognome di origine
oscura? In ogni caso mi sembra difficile ammettere che la tradizio-
ne annalistica lo abbia inventato in base al significato di pulvillus.
Diversamente va giudicato Ambustus, attestato nella gens Fabia
dal 406 al 315 (RE 39-48). Questo cognome attribuito ai Fabii più re-
centi deve essere autentico, imposto in base a un’ustione o qualcosa
di simile 73 ; può essere aggiunto più tardi al nome del tribuno milita-
re del 406, ma in linea di massima potrebbe essere autentico anche
in questo caso.

69
Si suole scrivere nelle edizioni, enciclopedie e dizionari ¶Alan, ma non sa-
rebbe preferibile accentuare ¶Alan, o piuttosto lasciar perdere l’accento?
70
Così G. De Sanctis, Storia dei Romani, II2, Firenze, 1960, p. 14 sg.
71
Senza cognome ancora 6, 6, 14. 9, 6.
72
Alföldi, Les cognomina, cit., p. 718 lo spiega come «oreiller, qualification
pour efféminé», ma nei racconti traditi degli Horatii Pulvilli non c’è niente di ef-
feminato.
73
Cf. Fr. Münzer, RE VI, 1909, col. 1750.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 275

Ancora un tipo diverso è rappresentato da Rocus, noto soltanto


dal nome del console del 455 T. Romilius Rocus Vaticanus. Sembre-
rebbe essere un antico nome individuale di etimologia ignota (di ori-
gine etrusca, per la sua provenienza dall’agro Vaticano?) e la base del
gentilizio Rocius, attestato fin dal II secolo a.C. (CIL I2 257 da Prae-
neste, 1147 da Roma; dell’anno 47 a.C. CIL I2 777 da Pompei 74). Se
così è, la storicità di Rocus (questa forma è conservata solo nei Fasti
Capitolini; le fonti letterarie hanno Rog-) aumenta di plausibilità.
Ora vorrei passare a fare qualche osservazione sull’insieme del
repertorio dei cognomi dell’aristocrazia repubblicana. Sono in pri-
mo luogo due i filoni che vorrei seguire : cercare eventuali modelli
per l’uso romano ed i primi tipi di cognomi romani dal punto di vi-
sta semasiologico.
Per quanto riguarda eventuali modelli per l’introduzione del co-
gnome a Roma, l’unica lingua che qui verrebbe in questione, sareb-
be l’etrusco; nelle altre lingue italiche o il cognome non viene affatto
usato (l’umbro), o occupa un posto molto marginale (il falisco, il pe-
ligno, l’osco). Anche l’etrusco conosce il cognome che per di più ha
la stessa funzione doppia che nel latino, quella di cognome di fami-
glia e di cognome individuale. Ma il cognome romano può essere
stato introdotto sulla base dell’etrusco o no? Questa è una difficile
domanda a cui non è facile dare risposta definitiva. I primi cognomi
etruschi si trovano nelle iscrizioni orvietane del VI/V secolo, ma la
penuria di epigrafi tra la metà del V e la fine del IV secolo ci impedi-
sce di avere un quadro dettagliato dello sviluppo di questo usus. Poi
all’inizio del III secolo il sistema classico con il cognome si affermò
in tutta la sua molteplicità e abbondanza 75. Questa evoluzione sem-
bra essersi svolta più o meno contemporaneamente a Roma e nell’E-
truria, senza un primato dell’una o dell’altra 76. Se gli Etruschi hanno
attinto dagli Italici il sistema del nome gentilizio, d’altra parte gli
Etruschi hanno sviluppato fortemente questo sistema che ben si ad-
diceva ai loro ordinamenti aristocratici 77. Ma il cognome sarà entra-

74
Di lettura non del tutto certa; è tramandato RO.IVS che può essere inte-
grato in vari modi : Rogius, Ronius, anche Roius.
75
Cf. H. Rix, Etruskische Personennamen, in Namenforschung. Ein interna-
tionales Handbuch zur Onomastik, 1, Berlino-New York, 1995, p. 722. Rix non
prende chiaramente posizione sull’interrelazione del cognome etrusco e romano.
Invece ne tratta nella sua monografia Das etruskische Cognomen, Wiesbaden,
1963, p. 379-383.
76
Questo è il risultato delle analisi condotte da H. Rix nella sua monografia
ricordata nella nota precedente.
77
Il primato degli Italici sugli Etruschi nell’introduzione del sistema gentili-
zio dovrebbe essere ormai, passati i tempi schulzeiani, opinio communis; cf. da
ultimo H. Rix, Römische Personennamen, in Namenforschung. Ein internationales
Handbuch zur Onomastik, 1, Berlino-New York 1995, p. 728.

.
276 HEIKKI SOLIN

to in uso indipendentemente in tutte e due le aree linguistiche. Per


tirare le somme, l’introduzione del cognome a Roma sembra essere
un’evoluzione interna dell’onomastica romana.
Ma quali erano i primi tipi di cognome romano? Io prenderei le
mosse dalle designazioni del domicilio. Guardiamo prima i più anti-
chi esempi come L. Tarquinius Collatinus 78, console nel 509 e ricor-
dato nel suo consolato da Livio proprio con il nome completo, Me-
dullinus dei numerosi Furii, la serie dei quali comincia con il conso-
le nel 474 L. Furius Medullinus (il cognome è nel Cronografo del
354) e finisce con L. Furius Sp. f. L. nepos Medullinus (così nei Fa-
sti Capitolini), censore nel 363, Camerinus degli altrettanto numero-
si Sulpicii (tramadato a partire dal console nel 500 Ser. Sulpicius
Camerinus Cornutus fino al console nel 345 Ser. Sulpicius Cameri-
nus Rufus, con il tardo Q. Sulpicius Camerinus, console nel 9 d.C. e
suo figlio omonimo, suffetto nel 46 d.C.), o ancora Capitolinus di
due genti patrizie e addirittura una plebea (su cui rimandiamo più
avanti). Questi tre cognomi sono stati derivati da nomi di quartieri
di Roma o di località situate immediatamente nei dintorni. Prescin-
dendo dalla storicità della persona di Tarquinius Collatinus, almeno
la tradizione annalistica sembra avergli attribuito il cognome come
indizio della sua origine da Collatia, una colonia latina di Alba Lon-
ga identificata con Lunghezza sulla sponda sinistra dell’Aniene, do-
ve Lucrezia, moglie di Collatino, fu stuprata da Tarquinio Superbo.
Più importanti gli altri due casi, derivati dal nome di Medullia, una
città dei Prisci Latini, a nord dell’Aniene, e di Cameria, città latina di
ubicazione ignota, distrutta secondo la tradizione nel 502 dal conso-
le Opiter Verginius Tricostus. Sembra che i primi Furii o Sulpicii
provvisti di questi cognomi siano stati originari di queste città; poi,
più tardi i due cognomi divennero ereditari nelle famiglie e così per-
sero la funzione d’indicare l’origine, per diventare una specie di no-
me supplementare, vale a dire un cognome ai suoi esordi.
Non è sempre facile dedurre dalla tradizione se un nome geo-
grafico riportato nei fasti dopo le altre componenti del nome sia
davvero un cognome o se si tratti ancora di un’autentica designazio-
ne di domicilio, più tardi interpretata come cognome, o addirittura
di un’interpolazione annalistica. Questo vale soprattutto per i co-
gnomi doppi. Un nome come Regillensis per i Postumii Albi(ni), di
cui gli esempi più antichi sembrano tuttavia interpolazioni, potreb-
be accennare all’origine da un distretto del territorio romano, anche
se secondo la tradizione e il parere comune Regillensis sarebbe stato

78
Secondo la tradizione, era figlio o nipote di Egerius figlio di Arruns, per cui
nell’edizione dei Fasti Capitolini si suole integrare sotto 509 [L. Tarquinius Egerii
f. Collatinus].

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 277

dato al primo Postumio provvisto di questo cognome, il console del


496 A. Postumius Albus, per la sua vittoria nella battaglia al lacus
Regillus 79. Ma Regillensis come cognomen ex virtute potrebbe deriva-
re dall’attività dei potenti Postumii dell’età posteriore alla fine del IV
secolo per rendere gloriosa la loro storia più antica (l’ultimo esem-
pio di Regillensis tradito nei fasti è per il censore del 366), reinter-
pretando l’indicazione di domicilio come cognomen ex virtute. Di In-
regillensis abbiamo già detto. Un chiaro esempio dell’aggiunta della
designazione di domicilio sembra costituire Vaticanus, il secondo
cognome di T. Romilius Rocus, console nel 455. Poiché Rocus sem-
bra rappresentare, per il suo carattere unico, tradizione sana, Vati-
canus originariamente altro non è che l’indicazione dell’origine 80,
più tardi poi interpretata come secondo cognome (i Fasti Capitolini
non ricordano mai il domicilio dei magistrati, per cui il loro redatto-
re deve aver preso Vaticanus come un secondo cognome).
Torniamo a casi più sicuri. Mugillanus della gens Papiria (atte-
stato tra il 444 e il 385) divenne, dopo la distruzione di Mugilla, con
il trasferimento a Roma di un ramo dei Papirii ereditario in questo
ramo. Forse nella stessa direzione si potrebbe spiegare il caso di M’.
Tullius Tolerinus (se si tratta di una persona storica), console nel
500, cui forse è stato attaccato il cognome in base all’eventuale origi-
ne da Tolerium che non compare più nella tradizione dopo la sua
presa da parte di Coriolano (Plut. Cor. 28, 5) e di cui non conoscia-
mo l’ubicazione (ma deve essere una volta esistita, cf. l’etnico Tole-
rienses). Probabile è anche l’interpretazione di Vibulanus dei Fabii
(tra il 485 e il 421), indipendentemente dalla storicità della tragica fi-
ne dei Fabii Vibulani, come tratto dal nome di una località altrimen-
ti del tutto sconosciuta 81. Così ancora Tricipitinus dei Lucretii (atte-

79
Così per es. RE XXII, col. 892; KlP 10, p. 830; I. Kajanto, The Latin Cogno-
mina, cit., p. 183. Ma A. Postumius Albus, che come dittatore comandò i Romani
al Regillo e che quindi avrebbe avuto Regillensis in memoria della vittoria, può
essere inventato, come pure la leggendaria battaglia. Anche la formazione sa-
rebbe, dal punto di vista morfologico, unica tra i cognomina ex virtute, che del
resto venivano in uso molto più tardi (vedi le brevi osservazioni di H. Solin, Epi-
grafia e ordine senatorio, I, Roma 1982 (ma 1984) p. 426 sg.). Perciò vedrei con
Mommsen, RF II p. 291 in Regillensis piuttosto un cognome indicante l’origine
(ma non da confondere con quello dei Claudii, su cui vedi supra). I Postumii
Albi(ni) erano più tardi, una famiglia potente e si sono dati la pena – lo sappiamo
– di ricostruzioni posteriori per aumentare la gloria della famiglia, per cui hanno
potuto favorire l’inclusione di un loro antenato tra grandi generali del passato,
secondo un procedimento riferito sopra nel testo.
80
Certamente il carattere cognominale di Vaticanus deve essere posteriore,
anche perché non c’era alcun bisogno di imporre a Romilius due cognomi per
distiguerlo da altri omonimi che non esistono.
81
Cf. anche Vicellinus o simili, ricordato sopra nt. 55.

.
278 HEIKKI SOLIN

stato tra 509 e 393) come cognome tratto dall’indicazione del domi-
cilio; il nome sarebbe derivato da un toponimo *Tricipitium, non
attestato, ma formato come Septimontium 82. Cn. Marcius Coriola-
nus va ricordato solo di passaggio 83. I cognomi derivati dai nomi di
quartieri di Roma sono molto comuni; uno dei molti è il popolare
Capitolinus, spesso attestato durante il V e IV secolo nella gens Man-
lia e nella gens Quinctia 84, addirittura come cognome del tribuno
militare plebeo nel 400 e nel 396 P. Maelius Sp. f. Capitolinus, che
avrà avuto il suo cognome in base alla casa della famiglia alle pendi-
ci del Campidoglio 85. Interessante è il caso dei Manlii Capitolini. Si è
pensato che secondo Livio 6, 17, 5 (seguito da Plut. Cam. 36, 2) 86 il
console del 392 avrebbe avuto il cognome Capitolinus a causa del
suo ruolo nella difesa del Campidoglio 87. Tuttavia non è certo che Li-
vio abbia inteso così 88. Inoltre Capitolinus è attestato nella gens
Manlia fin dal 434, per cui sarà preferibile derivare il cognome dalla
residenza della famiglia o sul Campidoglio o alle sue pendici. Quel
che colpisce nelle abitudini onomastiche dei discendenti del console
del 392 è che, come conseguenza della condanna del console, un ac-

82
Cf. J. Reichmuth, Die lateinischen Gentilicia, cit., p. 51. Ivi anche ulteriori
esempi di questo usus.
83
La persona sembra leggendaria. Se dietro la figura ci fosse anche un bri-
ciolo di verità, allora Coriolanus dovrebbe essere un cognome geografico indi-
cante l’origine dalla parte meridionale del Lazio antico; non cercherei la città di
Corioli nell’area volsca come si fa spesso, perché i Marcii erano certamente una
famiglia latina, non volsca.
84
Capitolinus è stato cognome popolare in tutti i tempi. Ma una parte delle
attestazioni nell’età imperiale è stata associata con Capito (a causa delle mancate
attestazioni di un derivato regolare *Capitoninus); cf. M. Niedermann, Notes sur
le cognomen latin, in Mélanges de philologie, de littérature et d’histoire anciennes
offerts à A. Ernout, Parigi, 1940, p. 267-276. Il suddetto Capitoninus non sembra
attestato da nessuna parte, ma si trova la forma feminina Kapitwnı̃na CIL XIII
10024, 555 e il derivato Capitonianus (vedi Kajanto, Latin Cognomina, cit., p. 235,
dove aggiungi I.Ephesos 929 e I. Pisid. Cen. [IK 57] 34-41) con il femminile Ka-
pitwnianh¥ : Anat.Stud. 12, 1962, p. 206 n. 208 da Corycus.
85
Così Fr. Münzer, RE XIV, col. 244 n. 4.
86
Vir. ill. 24, 8 va spiegato diversamente; cf. nt. 89.
87
Cf. Etcheto p. 459, nt. 44.
88
Il passo liviano suona quem (cioè Manlio) prope caelestem, cognomine certe
Capitolino Iovi parem fecerint, «E colui che avevano reso quasi divino, pari a
Giove almeno nel cognome di Capitolino». Ora è importante tener presente che
Livio conosceva benissimo il cognome Capitolinus già molto prima del console
del 392 (dice 4, 42, 2 del tribuno militare del 422 creati sunt L. Manlius Capitoli-
nus), per cui si deve intendere cognomine – parem quale apposizione di quem cae-
lestem : avevano reso Manlio quasi divino, Manlio che era pari a Giove nel co-
gnome di Capitolino. Del resto la congettura Capitolini per Capitolino della tradi-
zione manoscritta, introdotta dal Madvig e accolta recentemente da Oakley, non è
necessaria, anzi meglio dimenticare, in quanto offusca il vero senso di Capitolino.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 279

cordo della gens Manlia stabilì, nel 385 che nessun Manlio doveva
più assumere il prenome Marcus (un accordo che rimase valido per
tutta l’antichità) 89, e il cognome Capitolinus cadde gradualmente in
disuso; l’ultimo Manlio a portarlo era Cn. Manlius Capitolinus Im-
periossus, console nel 359 e nel 357, censore nel 351 e capo della ca-
valleria nel 345. Ma non si deve vedere niente di drammatico nell’ab-
bandono di Capitolinus e connetterlo con la condanna del console
del 392 e con la rinuncia dei Manlii alla residenza sul Campidoglio 90.
Piuttosto si tratta di un usuale fenomeno dei cambiamenti di cogno-
mi in una gens – anche la gens Quinctia ha abbandonato presto Ca-
pitolinus; il primo a portarlo era, secondo la tradizione, il console
nel 471, e l’ultimo il dittatore nel 331. A causa delle nostre esigue co-
noscenze delle famiglie aristocratiche nel V e IV secolo è molto diffi-
cile afferrare gli ultimi movimenti della scomparsa di certi cognomi
e della loro sostituzione con altri (ma è notevole che il fratello mino-
re del console del 359 e del 357 non portava più il cognome Capitoli-
nus, si chiamava Imperiossus Torquatus, avendo avuto quest’ultimo
dal monile strappato al nemico (chi sa se Capitolinus fu deposto per
evitare una seguenza di ben tre cognomi). Tuttavia si può notare che
sono proprio i cognomi geografici che possono cadere in disuso (ma
ciò non avviene sempre!), quando non viene più percepito il rappor-
to diretto con la località in questione. Un altro esempio della scom-
parsa di un cognome geografico è il suddetto Mugillanus dei Papirii,
che non compare più con certezza dopo il tribuno militare nel 380 91.
– Invece nel caso di Sp. Tarpeius Montanus Capitolinus, console nel
454, si tratta chiaramente di un’interpolazione, da ricondurre al
monte Tarpeio.

89
Cic. Phil. 1, 32; Liv. 6, 20, 14; Dio 7 frg. 26, 1 (probabilmente da Livio);
Paul. Fest. p. 112, 135 Lindsay; anche Quint. inst. 3, 7, 20; Plut. Aet. Rom. 91;
inoltre Vir. ill. 24, 8 contiene un accenno allo stesso decreto (nel testo è entrata
una confusione, quando l’autore dice gentilitas eius Manli cognomen eiuravit, ne-
quis postea Capitolinus vocaretur). Cf. H. Solin, Namensgebung und Politik. Zur
Namenswechslung und besonderen Vornamen römischer Senatoren, in Tyche 10,
1995, p. 186-188.
90
A questa possibilità accenna Etcheto, Cognomen et appartenance familiale,
cit., p. 459.
91
A mio parere, non c’à alcuna necessità di pensare che il famoso L. Papirius
Cursor, console ben cinque volte tra 326 e 313, sarebbe stato in origine un Mugil-
lanus e avrebbe avuto il nuovo cognome Cursor in base alle sue eccezionali quali-
tà fisiche, come affermano Münzer, RE XVIII, col. 1040 sg. n. 52; col. 1069 n. 67
ed Etcheto p. 461 sg. Cursor può benissimo essere stato suo cognome originario,
perché è attestato già per L. Papirius Cursor, tribuno militare nel 387 e 385 e cen-
sore nel 393 e che inoltre non poteva essere padre del famoso console, il che di-
mostra che Cursor si era imposto in questo ramo. Secondo Etcheto, Cursor sa-
rebbe stato attribuito al censore del 390 furtivamente dai suoi posteriori, ma non
vedo perché i Papirii avrebbero, proprio in questo caso, inventato un precursore
come titolare di questo cognome; meglio ritenere anche questo Cursor autentico.

.
280 HEIKKI SOLIN

Un altro esempio è Esquilinus, cognome dei Minucii (due con-


soli nel V secolo), dei Sergii (un Xvir legibus scribendis nel 450) e
dei Verginii (due magistrati nel V secolo) 92 patrizii, elemento che
compare anche nel nome del tribuno militare del 400 e del 396 P. Li-
cinius Calvus Esquilinus il quale era plebeo (quindi un esatto pen-
dant al caso di P. Maelius Capitolinus).
Finisco con un caso intricato. Fidenas è attestato nella gens
Sergia (console nel 437 [di nuovo nel 429; tribuno militare nel
433, nel 424, nel 418], tribuni militari nel 404 [di nuovo nel 402],
nel 397, nel 387 [di nuovo nel 380]) e Servilia (dittatore nel 435,
tribuni militari nel 402 [ripetutamente parecchie volte], nel 382 [di
nuovo nel 378, nel 369]). Ma come spiegare l’adozione del cogno-
me? O le due gentes erano davvero originarie di Fidenae 93, o ave-
vano qualche rapporto speciale con la città latina 94. Q. Servilius
Priscus prese, secondo Livio, Fidenae durante la sua prima ditta-
tura nel 435 e avrebbe per questo avuto Fidenas come cognomen
ex virtute (Liv. 4, 17, 8 a bello credo quod deinde gessit appella-
tum) 95, una cosa di cui dubiterei, perché non si può mettere in
questione una presa vera e propria di Fidenae da parte del dittato-
re, e perché i cognomina ex virtute vennero in uso molto più tardi.
Probabilmente la sua famiglia era originaria di Fidenae, ed era la
tradizione annalistica ad attribuirgli Fidenas in base alla sua pre-
sunta presa della città.
Ma come comportarsi davanti a cognomi formati da nomi di
popoli che abitavano nelle vicinanze di Roma e anche più lonta-
no? Intendo nomi del tipo Auruncus, Sabinus, Siculus, Tuscus,
Volscus. Alcune attestazioni di essi sono certamente interpolazio-
ni, specialmente se appaiono in cognomi doppi. Così Sabinus nel
nome dei Claudii Crassi (Inregillenses) fu aggiunto più tardi in ba-
se all’origine dalla Sabina dei Claudii (anche Inregillensis è sospet-
to; vedi supra). Più attendibili sembrano i casi di Auruncus, co-
gnome di Post. Cominius, console nel 501 e nel 493 96, e Siculus,

92
Anche Caeliomontanus, cognome di parecchi Verginii nel V e uno nel IV
secolo, si spiega come cognome derivato dal domicilio. Nella gens Verginia vige-
va dunque un’abitudine di imporre cognomi di questo genere per distinguere i
membri della gens gli uni dagli altri.
93
Così Ogilvie, A commentary on Livy, Books 1-5, cit., p. 560.
94
Così Fr. Münzer, RE II A, col. 1789 sg.
95
Cf. inoltre 4, 21, 9. – D’accordo con Livio Mommsen, RF II, p. 239; Reich-
muth, Die lateinischen Gentilicia, cit., p. 55; Kajanto, Latin Cognomina, cit.,
p. 181.
96
Se Post. Cominius Auruncus è un personaggio storico, il suo cognome può
essere spiegato nel quadro generale di quello che possiamo supporre dell’ono-
mastica senatoria della prima età repubblicana. Prima dobbiamo tener presente
che Cominio era un patrizio e non plebeo come spesso supposto (così per es. Be-

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 281

cognome dei Cloelii, attestato tra il console del 498 e il rex sacro-
rum entrato in carica nel 180 (Liv. 40, 42, 8-10; Val. Max. 1, 1, 4 lo
ricorda come flamen), anche se non del tutto privi di problemi.
Per quanto riguarda Siculus, si è pensato che potrebbe essere sta-
to assunto da un ramo dei Cloelii che esercitava nel III secolo il
commercio con la Sicilia e che sarebbe stato posticipatamente ag-
giunto nei fasti al nome di Cloelii più antichi, un’asserzione di per
sé possibile, anche se non molto plausibile 97. Forse – anche se ciò
rimane ipotetico – il cognome Siculus dei Cloelii si potrebbe spie-
gare con il fatto che una volta avrebbero vissuto dei Siculi nel La-
zio, per cui i Cloelii avrebbero assunto il cognome prima che i Ro-
mani fossero entrati in rapporti con la Sicilia 98. Interessante e si-
gnificativo è Tuscus, che può essere attribuito, come sembra, al

loch, Römische Geschichte, cit. p. 50), ma cf. per es. Münzer, RE 10, e le buone
osservazioni di P.- Ch. Ranouil, Recherches sur le patriciat (509-366 avant J.-C.),
Parigi, 1975, p. 83 sg. sulla presenza nella gens Cominia sia di patrizii che di ple-
bei. Poi va osservato che l’origine dei Cominii romani potrebbe essere cercata nel
Lazio meridionale o nella Campania. Pontius (prenome del noto protagonista
Pontius Cominius degli avvenimenti nel 387 a.C.) è di origine osca (nonostante il
fatto che la storia di Pontius Cominius è leggendaria, un uomo così denominato
deve essere una volta esistito), e anche Cominius è ben diffuso nell’area osca, at-
testato addirittura in testi osci (Vetter 195c). Così si può pensare che i Cominii ro-
mani davvero provenissero dal Lazio meridionale, ed il cognome Auruncus sa-
rebbe un ricordo di questa origine (nella stessa direzione R. M. Ogilvie, A Com-
mentary on Livy, cit., p. 732 e Ranouil, o. c., p. 83). L’area aurunca, benché poi
occupata dai Volsci, conserva molti ricordi romani, come un’iscrizione recente-
mente ritrovata nell’ambito del santuario della dea Marica alle foci del Garigliano
(sito della futura colonia di Minturnae), una scodella d’impasto della fine del VI o
dell’inizio del V secolo, con due scritte, una in osco, l’altra in latino (AE 1998,
348).
97
Prima si dovrebbe dimostrare l’interesse di un membro ignoto della fami-
glia sul commercio siciliano nel III secolo. Poi i Cloelii non erano verso la fine del
del III secolo una famiglia così importante e potente da poter convincere il redat-
tore dei fasti ad aggiungere Siculus nelle liste magistratuali. E non si capisce per-
ché la famiglia dei Cloelii che sembra essere stimata già nel V secolo, avrebbe
cercato di aumentare la fama della propria gens con un accenno a rapporti mer-
cantili con la Sicilia nel III secolo. Cichorius, De fastis consularibus, cit., p. 221 fa
risalire la fortuna di Siculus da quel Cloelius eletto rex sacrorum nel 180, pensan-
do quindi che fosse aggiunto al nome di tutti i Cloelii Siculi anteriori a quello del
rex sacrorum.
98
A questo ha accennato Beloch, Römische Geschichte, cit. p. 50. Questa ipo-
tesi è completamente ignorata (forse perché il personaggio manca negli indici?).
In favore dell’ipotesi del Beloch potrebbe militare che i Cloelii erano originari
della parte meridionale del Lazio antico (erano sempre annoverati tra le famiglie
albane). Ora fra i 30 populi Albenses vengono ricordati i Sicani (Plin. nat. 3, 69),
ma Siculus è forma più antica di Sicanus. Se davvero nel Lazio abitava una volta
una comunità di nome Sicani, l’accostamento del cognome dei Cloelii ad esso
non incontra difficoltà insormontabili.

.
282 HEIKKI SOLIN

console del 487 C. Aquillius 99, ritenuto spesso dalla critica interpo-
lato100. Ora Aquil(l)ius sembra di origine etrusca, da ricondurre ad
Acvilnas, attestato tre volte in vasi databili alla prima metà del VI
secolo, ritrovati a Veio e nel territorio di Vulci101. Se è lecito ipotiz-
zare un influente personaggio chiamato Avile Acvilnas, il quale eb-
be legami con Veio e Vulci, è quanto mai seducente connetterlo
con il console del 487; Tuscus sarebbe quindi un chiaro segno del-
l’origine etrusca della famiglia romanizzata. Il cognome di per sé
sarà un’aggiunta della tradizione annalista, ma in ogni caso il ri-
cordo dell’origine etrusca è dovuto restare vivo nella famiglia. Pur-
troppo conosciamo la storia repubblicana degli Aquillii assai male,
per cui non è possibile fare delle ipotesi circa la sopravvivenza di
Tuscus nella gens Aquillia. Ma è impossibile supporre che Tuscus
possa essere rimasto vivo nel ricordo della famiglia? Da dove
gli annalisti avrebbero potuto tirare fuori il cognome del console
del 487 che, alla luce della documentazione epigrafica etrusca,
può benissimo essere sia un magistrato autentico che oriundo
dell’Etruria?
È ovvio che, fintantoché il cognome era un elemento ancora ra-
ro del nome romano, l’indicazione dell’origine della persona poteva
assumere solo gradualmente una funzione di cognome, nel quadro
della fondamentale regola della funzione di nome proprio, quella
identificatoria; ciò era attuale soprattutto in grandi genti, in cui i
prenomi non erano sufficienti a soddisfare le richieste di distinguere
tra i vari membri della stessa famiglia e anche dello stesso ramo di
una gens. Credo che qui, nelle indicazioni dell’origine, sia da vedere
una importante premessa all’evoluzione dell’uso del cognome a Ro-
ma. E dal fatto che molte di queste vecchie indicazioni dell’origine si
usano in più generazioni, si vede che hanno assunto la funzione di
un vero nome proprio diventando cognomi ereditari; così un Papi-
rius Mugillanus del IV secolo non si sentì più oriundo di Mugilla,
ma Mugillanus era diventato una parte del suo nome, vale a dire suo
cognome. Ma per quanto riguarda le prime attestazioni in una fami-
glia di tali cognomi, un rapporto con l’origine da tale località di chi

99
I cognomi dei consoli del 487 sono noti soltanto dai tardi cronografi (so-
no Sabinus e Tuscus), per cui non si sa quale spetta a C. Aquillius, ma proprio la
probabile origine etrusca degli Aquillii fa pensare che Tuscus appartenesse a
C. Aquillius, e Sabinus all’altro console T. Sicinius. Cf. su ciò Broughton, MRR I
p. 19 sg. e l’importante studio di C. Ampolo, Gli Aquilii del V secolo a.C. e il proble-
ma dei fasti consolari più antichi, in PP 39, 1975, p. 410-416.
100
Così Mommsen, RF I 107-111. E non mancano altri (enumerati in Ampolo,
PP p. 410).
101
Veio : ET Ve 3.7; Vulci : ET Vc. 3.4; 3.5.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 283

lo porta è chiaro. Poi più tardi, nel periodo tardorepubblicano e nel-


l’età imperiale, i cognomi derivati dai toponimi, hanno per la mag-
gior parte perduto, nell’onomastica senatoria, un qualsiasi rapporto
con la località dal cui nome è derivato il cognome102, con poche ecce-
zioni : se per esempio un homo novus oriundo di una città italiana o
provinciale veniva eletto al senato e non aveva un cognome, poteva
semplicemente assumere un cognome in base al suo domicilio, o gli
fu imposto tale cognome da parte di altri. Q. Valerius Soranus, tribu-
no della plebe nel 82 a.C.(?), è senza dubbio oriundo di Sora103.
Se quello che ho detto sopra coglie nel segno, allora il nome ro-
mano ha avuto già nel V secolo un elemento che può essere chiama-
to cognome. Non tutti i cognomi tramandati nelle varie fonti sono
autentici, e nei fasti Capitolini è contenuto senza dubbio un certo
numero di interpolazioni, ma restano tuttavia numerosi casi di co-
gnomi tramandati e spiegabili in maniera attendibile. I primi cogno-
mi autentici, nel senso che appaiono in documenti contemporanei,
risalgono alla seconda metà del IV secolo, Scapula di un Cornelio,
quasi certamente cognome individuale (è l’unico Cornelio attestato
con questo cognome)104, Scipio e Barbatus, i due cognomi del conso-
le del 298, dei quali almeno il primo deve risalire a un momento no-
tevolmente anteriore al consolato, probabilmente alla sua nascita
circa nel 330. Poiché forse egli era il capostipite del ramo degli Sci-
pioni – cosa non da escludersi – è notevole la presenza di due cogno-
mi, il che dovrebbe significare che Scipio gli era stato imposto già al-
la nascita.
Ma quali altre categorie di cognomi accanto a quelli geografici
possono essere ritenuti autentici nei primi, diciamo, 150 anni del-
l’età repubblicana? In gran parte, a partire dallo stesso Brutus, sem-
brano essere dei nomignoli o soprannomi105, tratti da peculiarità fisi-
che o mentali. Ma non possono competere con i nomi geografici per
quanto riguarda l’età e l’attendibilità. I primi cognomi di questo ti-

102
Su ciò cf. H. Solin, Zur Tragfähigkeit der Onomastik in der Prosopographie,
in Prosopographie und Sozialgeschichte. Studien zur Methodik und Erkenntnismö-
glichkeit der kaiserzeitlichen Prosopographie, Kolloquium Köln 24.- 26. November
1991, Colonia-Vienna-Weimar, 1993, p. 1-33.
103
Cf. per es. L. R. Taylor, Voting Districts of the Roman Republic, Rome
1960, p. 261; Solin, Zur Tragfähigkeit, cit. p. 5.
104
Non è certo se il console del 328 sia un Cornelius Scapula; se lo è, può es-
sere identico al pontefice massimo del sarcofago. Il capo della cavalleria del 362
non può essere un Cornelius Scapula, come spesso supposto (così ancora, dopo
Degrassi, Broughton, MRR III 70), giacché il cognome va letto Scaevola, cf.
R. T. Ridley, ZPE 116, 1997, p. 157-160. Era quindi un Mucius.
105
Nell’italiano non c’è un termine preciso per questo genere di nomi, ted.
Spitznamen, ingl. nicknames, fr. sobriquets.

.
284 HEIKKI SOLIN

po, Brutus e Poplicola, sono aggiunte posteriori. Del primo abbiamo


già detto. Per quanto riguarda Poplicola, anch’esso già trattato so-
pra, va ancora tenuto presente che 1) il console negli anni 509-507 e
nel 504 sembra una persona storica (lo dimostra il Lapis Satricanus
CIL I2 2832a, se di lui si tratta), anche se la persona nella tradizione
annalistica ha dei tratti leggendari; 2) il cognome Poplicola deve es-
sere molto più recente, attribuito al grande condottiero non sappia-
mo quando (si noti che manca nel Lapis Satricanus); forse il primo
Valerio, che può essere certamente autenticato come un Poplicola, è
L. Gellius Poplicola, console nel 36 a.C., un Valerio di nascita, fratel-
lo di M. Valerius Messalla Corvinus (console nel 31 a.C.) e figlio
adottivo di L. Gellius, console nel 73; se questa ipotesi proposta dal
Badian è giusta106, ciò offrirebbe un argomento in favore dell’alta
età, nella gens Valeria, del cognome Poplicola, il quale non compare
nei fasti dopo il console del 352; allo stesso tempo offre un caso inte-
ressante della rinascita, dopo una lunga pausa, di un cognome ari-
stocratico una volta caratteristico a una gens. E nell’età imperiale
Poplicola rimase in uso nella gens Valeria, come dimostrano alcuni
senatori dell’età imperiale che hanno ripreso questa sequenza (PIR
V 121. RE VIII A, col. 41 n. 197), che poi compare ancora nel Basso
Impero (un consularis Campaniae nella seconda metà del IV secolo :
CIL IX 1591); notevole pure la presenza di Valerii Poplicolae in una
importante famiglia municipale a Brescia nel II secolo d.C. (CIL V
4484-4486 = Inscr. It. X 5, 275-277)107. Ma Poplicola quando è stato
la prima volta usato nella gens Valeria? L’incertezza dell’etimologia
del nome certo non contribuisce a stabilire il tempo della sua intro-
duzione nell’onomastica dei Valerii108. Ma se ha qualcosa a che fare

E. Badian, The Clever and the Wise. Two Roman Cognomina in Context, in
106

Vir bonus, discendi peritus. Studies in celebration of O. Skutsch’s Eightieth birth-


day, Londra, 1988 (BICS Suppl., 51), p. 8 nt. 11.
107
Cf. G. L. Gregori, Brescia romana, I, Roma, 1990, p. 189, 191; II, Roma
1999, p. 99 sgg. e passim.
108
Poplicola è stato spiegato in modi diversi, ma una definitiva spiegazione
si fa ancora aspettare (l’antica etimologia popolare, relativa al primo Poplicola,
in Liv. 3, 18, 6 populi colendi non può essere corretta). Cf. Ogilvie, A Com-
mentary on Livy, cit., p. 253; H. Volkmann, RE VIII A, col. 180. Da ultimo
A. Mastrocinque, ParPass. 39, 1984, p. 219 spiega il nome come «abitatore del
suolo pubblico». Di altri tentativi di spiegare il nome vale la pena di ricordare :
Fr. Skutsch, Kleine Schriften, Lipsia, 1914, p. 173 sg. (verrebbe da pōpulus, piop-
po); F. Cornelius, Untersuchungen, cit. p. 123 (sarebbe ‘Volksbauer’, agricoltore
popolare); A. Grenier, Étude sur la formation et l’emploi des composés nominaux
du latin, Parigi, 1962, p. 116 (‘Pubbliuccio’, o altra simile deformazione del pre-
nome Publius); A. Alföldi, Les cognomina, cit., p. 721 (‘ginocchietto’, diminutivo
di poples; impossibile dal punto di vista grammaticale, perché popli- non può es-
sere derivato da poples -itis). Va da sé che nessuna di queste spiegazioni soddis-
fa troppo.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 285

con populus, allora potrebbe essere indizio di tendenze liberali della


famiglia (e si potrebbero confrontare precedenti greci come Dhmo¥fi-
lov), tuttavia neppure questo ci dà una data più esatta per l’introdu-
zione del nome.
Cognomi formati da aggettivi provvisti di peculiarità fisiche si
trovano fin dai primi tempi dell’età repubblicana. Così nomi tratti
dalle designazioni di colori. Rufus è tramandato già per i Larcii
(consoli nel 506, nel 501 e nel 490), ma solo in fonti tarde e con la
variante Flavus. Il primo caso, che sembra più attendibile, spetta
al console del 489 P. Pinarius Mamercinus Rufus (la stessa seguen-
za si ripete nel nome del console del 472), ma trattandosi di un se-
condo cognome potrebbe essere anche un’aggiunta posteriore (an-
che il derivato Rufinus è di remota età, la tradizione conosce un
dittatore P. Cornelius Rufinus nel 333). Rutilus è attestato durante
il V e IV secolo parecchie volte nelle gentes dei Cornelii, Marcii,
Nautii e Verginii; in buona parte la tradizione sembra sana. Inte-
ressante è Russus, cognome di Ap. Claudius, console nel 268, cer-
tamente autentico109, e non solo perché ci troviamo già nel III se-
colo, ma anche per il fatto che non compare nell’onomastica roma-
na, dopo il console, da nessuna parte, finché ne è stata trovata,
pochi anni fa, a Messene in Grecia una nuova attestazione (la
mancanza di ulteriori attestazioni può derivare dalla connotazione
negativa insita in russus)110. Altri nomi tratti da colori sono il sud-
detto Flavus del console nel 393 e tribuno militare quattro volte
tra il 391 e il 381 (RE 20; sembra trattarsi dello stesso), il cui nome
completo sarà stato o L. Lucretius Tricipitinus Flavus o L. Lucre-
tius Flavus Tricipitinus. L’attestazione successiva, C. Decimius Fla-
vus, pretore urbano nel 184, sarà senza dubbio autentica (invece
l’omonimo tribuno militare, ricordato nel 209 da Liv. 27, 14, 8, è
inventato)111. Albus e Albinus sono attestati nella gens Postumia a
partire dal console 496, A. Postumius Albus Regillensis, durante
tutto il periodo repubblicano. Helva era in uso come cognome nel-
la gens Aebutia, attestata a partire dal 499 (T. Aebutius Helva con-
sole) alcune volte nel V secolo, con un ritardatario nel II secolo.
L’etimologia di Helva non è del tutto certa, ma sembra trattarsi di
un nome latino (con buona pace di Schulze), nato da un’ellissi hel-
va sc. coma112. – Altri cognomi tratti da peculiarità fisiche sono per

109
Münzer, RE III, col. 2862 n. 317 lo chiama ancora Rufus, ma Russus è
confermato dal frammento dei Fasti Capitolini ignoto al Münzer.
110
Sul cognome e sui motivi della sua rarità H. Solin, Arctos 35, 2001,
p. 217 sg.
111
Cf. Münzer, RE IV col. 2274 n. 8.
112
Così Reichmuth, Die lat. Gentilicia, cit., p. 67 e H. Rix, Das etruskische Co-

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286 HEIKKI SOLIN

esempio Calvus per i Licinii (il primo cognome del tribuno milita-
re del 400 P. Licinius Calvus Esquilinus potrebbe in linea di massi-
ma essere autentico) o Crassus dei Claudii, Papirii e Veturii; non
vedo una ragione di ritenerli tutti interpolati. Invece Longus per i
Duilii è certamente aggiunta posteriore (sul console del 500 M’.
Tullius Longus non oserei esprimermi). Un tipico soprannome è
Barbatus per i Quinctii (consoli 471, 421), Horatii (console 449, tri-
buno militare 425) e Cornelii Scipiones (dittatore nel 306, console
nel 298; invece il console nel 328 non sembra sia stato un Bar-
batus).
Cognomi formati da qualità mentali non erano molto comuni, e,
come Brutus, molti sono da ritenere interpolazioni. Difficile giudica-
re l’autenticità di un nome come Imperiossus della gens Manlia, at-
testato tre volte nel IV secolo. Su Cicurinus dei Veturii (attestato tra
494 e 368) cf. Varro ne ling. 7, 91 cicur ingenium optineo mansue-
tum : a quo Veturii quoque nobiles cognominati Cicurini; vista la
mancanza del cognome al di fuori dei Veturii e la testimonianza di
Varrone, sembrerebbe trattarsi di un cognome autentico. Diventano
un po più comuni nel III e II secolo113.
Alcuni cognomi attestati durante i primi due secoli della repub-
blica sembrano rappresentare vecchi nomi individuali, spesso privi
di un «significato» trasparente per i contemporanei, alcuni dei qua-
li prenomi in uso nelle famiglie aristocratiche fin dall’inizio della
repubblica114. Dei prenomi romani usati come cognomi è interes-
sante Mamercus115, vecchio prenome nella gens Aemilia (così si
chiamava il capostipite leggendario degli Aemilii, il figlio di Numa),
attestato come cognome di L. Aemilius Mam. f. (console tre volte
tra il 484 e il 473) e di Ti. Aimilius L. f. Mam. n. (console nel 470 e
nel 467)116 ; da notare che il prenome del padre del primo ha assun-
to funzione cognominale nella nomenclatura del figlio e nipote. Si
aggiunga il derivato Mamercinus, attestato più volte nella gens Ae-

gnomen, Wiesbaden, 1963, p. 250. Schulze, ZGLE p. 357. 417. 421 ritiene il nome
etrusco.
113
Oscuro rimane un tribuno militare nel 394, riportato da Diod. 14, 97, 1
nella forma Ka¥tlov Oyßh̃rov.
114
Cf. le liste di cognomi tratti da prenomi in Kajanto, Latin Cognomina, cit.,
p. 172-178 (da espungere l’apocrifo Paulus Sextus, che Kajanto cita a p. 174 : un
tale tribuno militare non è mai esistito). Ma non tutti sono attestati come preno-
mi; tuttavia in ogni caso sono vecchi nomi individuali, non sempre latini, bensì
osci.
115
Cf. O. Salomies, Die römischen Vornamen. Studien zur römischen Namen-
gebung, Helsinki, 1987, p. 34 sg. Mamercus in sé e per sé è di origine osca, ma è
diventato presto romano.
116
Meno sicuro un dikta¥twr Ga¥iov Ma¥merkov nel 463 (Lyd. de mag. 1, 38).

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 287

milia tra il 438 ed il 339 e inoltre tre volte nella gens Pinaria, che
anch’essa riconduceva la sua origine a Numa, nel V secolo. I Pinarii
erano una antica gens che sembra abbia avuto qualche importanza
già nella più antica storia repubblicana117, per poi decadere e spari-
re118 ; non è questo un segno dell’autenticità anche del loro cogno-
me? Altro vecchio prenome romano che appare come cognome ari-
stocratico, è Proculus119, attestato come cognome di due Plautii, pa-
dre e figlio120, consoli nel 358 e nel 328. Autentici prenomi oschi
sono rappresentati da Papus121, attestato come cognome nella gens
Aemilia a partire dal 321, e Pacilus, da accostare ai prenomi osci
quali Paccius e Paculus122, attestato come cognome nella gens Furia
due volte nel V secolo (inoltre per il console del 251). Altri casi di
vecchi nomi individuali : Cossus, Fusus, Iulus, Rocus (vedi supra),
Volusus123. Sembrano cognomi autentici; da dove per esempio i
Cornelii o i redattori dei fasti avrebbero introdotto Cossus, più tar-
di usato come prenome di Cossus Cornelius Lentulus, console nel-
l’anno 1 a.C.? Fusus, cognome dei Furii nel V e IV secolo, è altri-
menti sconosciuto, ma non è molto plausibile che i Furii o gli eru-
diti del IV/III secolo l’abbiano inventato in base al gentilizio (nota
pure la mancata effettuazione del rotacismo).
Un gruppo a sé formano i cognomi grecanici attestati nella no-
biltà plebea a partire dall’anno 400 con il tribuno militare L. Publi-
lius L. f. Voler. n. Volscus Philo, nel cui nome Philo deve essere
un’interpolazione. Lo stesso dicasi per il nome del tribuno militare
del 399, Volero Publilius P. f. Voler. n. Philo : ritengo escluso che
egli abbia potuto portare questo cognome. Ma dell’autenticità dello
stesso cognome di Q. Publilius, console nel 339, 327, 320 e 315 non
si può dubitare (più tardi Philo non è più attestato nella famiglia).

117
Sulla storia di questa gens cf. R. E. A. Palmer, Historia 14, 1965, p. 293-
308; Gabba, Considerazioni sulla tradizione letteraria, cit., p. 159 sg.
118
L’ultimo Pinario patrizio del periodo repubblicano è L. Pinarius Natta, ca-
po della cavalleria nel 363; probabilmente lo stesso era pretore nel 349. I Pinarii
Nattae più recenti non sembrano suoi discendenti (sono due monetali verso la
metà del II secolo [Crawford, RRC I 246 n. 200 e 252 n. 208] e un pontefice verso
la metà del I secolo). Ancor meno legati da una parentela sono un cliente di Seia-
no (PIR P2 410) e alcuni cavalieri (PME P 32-35).
119
Cf. Salomies, Vornamen, cit., p. 44 sg.
120
Il nome del figlio è attestato variamente, e piuttosto è preferibile risalire
alle fonti dipendenti dai Fasti Capitolini (in cui manca questo consolato) che
danno qui C. Plautius Decianus. Cf. Broughton, MRR I p. 145.
121
Cf. Salomies, Vornamen, cit., p. 85.
122
Ibid., cit., p. 83 sg.
123
Enumerati da Kajanto, Latin Cognomina, cit., p. 178 nel novero dei cogno-
mi derivati da prenomi (anche se questi non sono attestati nel latino come preno-
mi).

.
288 HEIKKI SOLIN

Non dubiterei neanche del nome di P. Sempronius Sophus, console


nel 304, e di suo figlio omonimo, console nel 268. Nel III secolo al-
tri cognomi grecanici sono attestati, ma non è il caso di trattarli in
questa sede124.
Ometto qui altri casi interessanti. Per concludere possiamo de-
durre dall’analisi della documentazione venuta fino a noi che il co-
gnome ha occupato un posto nella nomenclatura dell’aristocrazia
fin dai primi tempi del periodo repubblicano. Molto resta incerto,
ma c’erano nel periodo protorepubblicano certamente famiglie di
indubbia storicità che si sono servite dei cognomi. L’introduzione
del cognome sembra un’evoluzione romana interna. I primi tipi
sembrano essere designazioni del domicilio o di origine, nonché
nomi tratti da peculiarità fisiche, senza dimenticare antichi nomi
individuali la cui etimologia resta spesso oscura. Sono entrati in
uso come designazioni complementari della persona, anche per di-
stinguerla da altri che portavano lo stesso prenome e gentilizio.
Sono tutti stati all’inizio denominazioni individuali, ma molti di
essi sono diventati presto ereditari. Si può tuttavia notare il feno-
meno dell’impegno di introdurre di tempo in tempo nuovi cogno-
mi che, o furono aggiunti accanto ai cognomi già in uso nella fa-
miglia o li sostituivano. Ma chi li dava questi nuovi cognomi? Per
quanto riguarda cognomi geografici, erano gli stessi che li portava-
no ad aggiungerli al loro nome (nelle condizioni semplici della pri-
ma parte del V secolo non penserei tanto all’influenza dei funzio-
nari, per esempio nella redazione delle liste di censimento); con
l’andar del tempo tali designazioni hanno cominciato a farsi senti-
re come parte del nome stesso – erano anche tra l’altro un mezzo
comodo per distinguere tra omonimi della stessa gens. I cognomi
tratti da peculiarità fisiche possono in parte essere stati dati da al-
tri, ma non tutti vanno ritenuti nomi peggiorativi dati dalla plebe
romana, come alle volte supposto125 ; certamente anch’essi poteva-
no essere introdotti nell’interno delle famiglie. Anzi, l’idea propa-
gata in particolare dall’Alföldi, che la maggior parte dei cognomi
dell’aristocrazia sarebbero dati dalla plebe, è certamente esagerata.
Senza dubbio molti cognomi sono stati introdotti consapevolmente

124
Cf., in via preliminare, le mie osservazioni in Beiträge zur Kenntnis der
griechischen Personennamen, cit., I, p. 87-91; alla bibliografia ivi ricordata ag-
giungi Beloch, Römische Geschichte, cit., p. 51 (ma lui ritiene plausibile Philo nel
nome dei tribuni militari 400 e 399, cosa su cui non si può essere d’accordo);
P. Boyancé, REL 34, 1956 (1957), p. 112 sg.
125
Come vuole A. Alföldi, in Les cognomina, cit., che analizza diffusamente
questa categoria di cognomi. Inoltre il suo contributo contiene una quantità di
interpretazioni erronee.

.
SULLA NASCITA DEL COGNOME A ROMA 289

dai familiari stessi, per mettere in risalto nella competizione socio-


politica tra diversi rami della nobiltà, le qualità mentali e fisiche
del personaggio e per ancorarlo così nell’ambito socio-culturale cui
apparteneva.

Heikki SOLIN

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FILIPPO MOTTA

TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA


NELL’ITALIA ANTICA

Il plurale della parola iniziale del titolo di questa comunicazio-


ne può essere inteso in due modi, uno riduttivo e uno più ampio. Se
per studio onomastico si intende, infatti, l’analisi atomistica dei no-
mi propri uno per uno, le tipologie che ne risultano sono quelle re-
lative innanzitutto alla distinzione fra nomi monotematici, ipocori-
stici e composti; in secondo luogo al riconoscimento, all’inventario
e all’analisi degli elementi costitutivi (basi lessicali e affissi). È stato,
questo, il tipo di approccio fino a non troppi anni fa più praticato
per lo studio dell’onomastica delle società indoeuropee antiche1,
spesso finalizzato alla ricostruzione dell’universo ideologico che le
aveva caratterizzate e – soprattutto quando si aveva a che fare con
lingue di frammentaria attestazione e documentate in misura larga-
mente predominante dall’onomastica o addirittura solo per tale via
– alla restituzione di un patrimonio lessicale e morfologico altri-
menti perduto; neppure lo studio dell’onomastica celtica continen-
tale è sfuggito, almeno fino a tempi relativamente recenti 2, a tale re-
strizione 3, come testimoniano, del resto, quelli che tuttora restano i
due fondamentali lavori sull’onomastica gallica e per i quali dobbia-
mo essere grati rispettivamente a Schmidt 4 e a Evans 5. Se invece,
come oggi comunemente si pratica, l’onomastica è vista, oltre e an-
cor prima che come riflesso di un sistema ideologico (semantica dei
lessemi costituenti i nomi propri) e serbatoio di vocaboli e di strut-
ture grammaticali della langue cui anche l’onomastica attinge per le

1
Con la parziale ma vistosa eccezione dei sistemi centro-italico e venetico,
grazie soprattutto ai lavori di Bonfante, Pulgram, Peruzzi, Rix, Prosdocimi e Le-
jeune : v. i riferimenti in Prosdocimi 1989, p. 53 s.
2
I punti di svolta, fra loro indipendenti, si sono avuti da una parte con l’ac-
quisizione dei documenti celtiberici di Botorrita (v. oltre) e, dall’altra, con i lavori
di Prosdocimi sulla formula binomia nella Cisalpina : v. oltre per i riferimenti bi-
bliografici.
3
Cfr., tuttavia, Untermann 1959, p. 87-91 (anche se in taluni punti superato,
soprattutto in virtù dell’incremento della documentazione che da allora si è regi-
strato).
4
Cfr. Schmidt 1957.
5
Cfr. Ellis Evans 1967.

.
296 FILIPPO MOTTA

proprie necessità (tecniche di composizione e di derivazione dei no-


mi propri), come sistema più o meno complesso di identificazione
degli individui all’interno di una data comunità, finalizzato a deter-
minate esigenze pratiche (ad es. sancire la successione genealogica
di una stirpe di signori, regolare e rendere certe le procedure di for-
mazione, conservazione e trasmissione della proprietà privata,
ecc.), allora, preliminare o quanto meno complementare all’analisi
dei singoli nomi propri dovrà essere l’inventario delle diverse possi-
bilità identificative presenti in quella comunità e delle effettive loro
realizzazioni, possibilmente con il riconoscimento delle condizioni
pragmatico-situazionali e delle diverse esigenze che a queste ultime
presiedono. Io cercherò qui, dopo aver richiamato alcune questioni
preliminari, di fornire essenziali informazioni su alcuni dei fatti
che, su entrambi i versanti, mi paiono più rilevanti per lo studioso
dell’antroponimia della celticità italiana (e del Canton Ticino, ov-
viamente, che di questa fa parte integrante), non tanto per comuni-
care ai celtisti qualcosa di nuovo (che non c’è), quanto per risponde-
re al desiderio di Paolo Poccetti e degli organizzatori del nostro con-
vegno di vederne scaturire il quadro più completo possibile
dell’onomastica dell’Italia antica; se, poi, le rapide osservazioni che
mi accingo a esporre saranno in grado di sollecitare gli specialisti di
onomastica di altre regioni a suggerirmi interpretazioni tratte dalla
loro esperienza o nuove piste di ricerca, avrò un motivo in più per
ringraziare Paolo e gli amici dell’École française de Rome per aver-
mi invitato a partecipare.
Dico subito che fra gli argomenti che tratterò non rientra quello
dell’ideologia e della cultura materiale che le basi lessicali a fonda-
mento dei nomi propri oggetto di questo intervento lasciano intrave-
dere e, se mi capiterà di far riferimento al «significato» di questo o
quell’antroponimo, ciò sarà solo in relazione a problematiche di al-
tro tipo; tale restrizione è solo in parte dettata da ragioni di tempo,
perché anch’io penso che la «semantica» dei singoli nomi non costi-
tuisca il tratto saliente dell’onomastica di un determinato territorio,
la quale va studiata iuxta propria principia, secondo, cioè, il parame-
tro della funzione primaria dei nomi propri : identificazione e non
«significazione», la quale è pertinente solo al momento della crea-
zione di un nome, per perdere pressoché tutta la sua rilevanza una
volta che questo sia entrato nel sistema onomastico, dove viene ri-
prodotto (integro o variamente manipolato) e trasmesso in virtù di
altre esigenze (moda, ripetizione di un nome già presente nella linea
genealogica, omaggio alla memoria di un congiunto, ecc.). Vi è poi,
a mettere in guardia dal ragionare troppo sui significati dei nomi
propri di tradizioni celtiche continentali, la loro condizione di lin-
gue di frammentaria attestazione, che assegna all’etimologia un ruo-
lo preponderante (se non esclusivo) in ogni agnizione, con tutti i ri-

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 297

schi del caso. Ma si tratta di questioni troppo note perché ci sia biso-
gno di giustificare ulteriormente il fatto che non si troveranno, là
dove si elencheranno le basi lessicali eruibili dai nomi propri del no-
stro corpus, i relativi «significati», magari ordinati, secondo quanto
era prassi corrente fino a non troppi anni fa, per campi semantici di-
screti (nomi tratti dall’ambito della guerra, della religione, delle qua-
lità fisiche, ecc.) : chi fosse ancora interessato a simili categorizza-
zioni può comunque consultare le due opere di Schmidt ed Evans
appena citate, pienamente utilizzabili, come vedremo, anche per il
celtico d’Italia. Piuttosto, occorre ricordare che quando si parla di
celtico d’Italia, anche nel caso dell’onomastica personale così come
in quello del lessico, non si deve perdere di vista la diversa qualità
delle attestazioni disponibili che si distinguono in due tipi qualitati-
vamente diversi : le attestazioni dirette, cioè i nomi di persona con-
servati nelle iscrizioni redatte in lingua celtica 6 e quelli tramandati
da epigrafi in altre lingue come l’etrusco, il venetico e soprattutto il
latino. Completamente diverso sarebbe il discorso sulle testimonian-
ze toponomastiche per le quali, se si esclude il caso del toponimo
conservato nell’etnico ariuonepos (= Ariuonebos, dat. pl.) dell’iscri-
zione di Prestino (65) e identificabile con il medievale e odierno Ai-
runo del comasco 7, il primo tipo è praticamente inesistente, mentre
una notevole quantità di toponimi celtici non solo è tramandata dal-
le iscrizioni latine, dagli autori classici e soprattutto dalle carte me-
dievali, ma si mantiene ben riconoscibile fino ai giorni nostri 8.
Il fatto che gran parte dei nomi di persona celtici (e non solo in
Italia) sia in iscrizioni latine implica poi problemi di altra natura. Da
una parte, infatti, come è facile intuire, ciò induce ad una particolare
attenzione nella questione dell’attribuzione linguistica del materiale
lessicale impiegato giacché vi è sempre il rischio di attribuire al celti-
co quelli che possono essere altrettanto bene materiali latini o per pu-
ra omofonia o in ragione della comune matrice indoeuropea : basta
scorrere le già citate raccolte di Schmidt ed Evans per incontare fre-
quentissimi casi di doppia possibilità. Dall’altra, però, bisogna anche
essere pronti a riconoscere i casi di mutua influenza e di rafforzamen-
to : per quanto riguarda più specificamente la documentazione italia-
na mi limito a ricordare, a proposito dei lessemi impiegati, il filone
rappresentato da metelui (dat.), metelikna, del vaso di Carcegna (122),

6
Il riferimento numerico alle iscrizioni nel presente lavoro è, salvo indica-
zioni diverse, quello ricavato da Solinas 1994, p. 311-408.
7
Cfr. Motta 1983, p. 66.
8
Per la toponomastica italiana di origine celtica e per la relativa bibliografia
cfr. Pellegrini 1981, p. 35-69; De Bernardo Stempel 1995-1996, p. 109-136; De Ber-
nardo Stempel 2000, p. 83-112.

.
298 FILIPPO MOTTA

Metela (cogn.; CIL V 7850), ecc., mentre, per quanto attiene alle for-
mule, credo non sarà un caso, ad esempio, se, delle due possibili con-
figurazioni del secondo elemento della formula binomia nelle epigrafi
in lingua celtica (appositivo o genitivo del nome del padre), nelle iscri-
zioni latine della Cisalpina è presente esclusivamente la seconda : da
ciò non è da trarre altra conclusione che non sia quella della prevedi-
bile e naturale selezione della variante che coincideva con l’uso latino
per l’indicazione della filiazione e alla quale bastò premettere f(ilius)
per renderla latina a tutti gli effetti 9.
Problematiche ancora diverse, che qui non possono essere af-
frontate, presenta l’onomastica celtica documentata da iscrizioni in
altre lingue e/o alfabeti preromani dell’Italia antica (etrusco e veneti-
co), a cominciare dalla non necessaria equazione alfabeto non celtico
= lingua non celtica, là dove l’epigrafe si riduca a elementi onomasti-
ci privi di morfologia caratterizzante o comunque controversi10. Sa-
rà chiaro, pertanto, perché in questo intervento mi limiterò agli
esempi di fonti dirette (iscrizioni in lingua celtica in alfabeto di Lu-
gano).
La seconda questione è più grave e riguarda l’articolazione
stessa del celtico d’Italia, con il conseguente chiarimento termino-
logico. Fino a pochi anni fa, sulla scorta della netta separazione fra
leponzio e gallico d’Italia imposta dall’autorità del Lejeune11, era
normale affrontare ogni problema della celticità italiana da questo
punto di vista e identificare preliminarmente con l’una o l’altra tra-
dizione ognuno dei dati (fonologico, morfologico, lessicale e, ap-
punto, onomastico) che di volta in volta venivano in discussione.
Ora la prospettiva è oggettivamente mutata grazie alle buone argo-
mentazioni di Eska contro una separazione così netta e in favore,
al contrario, di una visione che considera il leponzio come una va-
riante arcaica e periferica del gallico12. È pur vero che, come Eska
non manca di rilevare13, si registrano differenze fra i sistemi ono-
mastici di leponzio e gallico sia per quanto riguarda l’assenza nel
primo di nomi che ricorrono nel secondo e viceversa, sia per quan-

V. oltre per alcuni esempi.


9

Mi limito qui a fornire alcune indicazioni bibliografiche circa l’onomastica


10

celtica nelle iscrizioni etrusche e venetiche : Schmidt 1966, p. 97-103, Campanile


1970, p. 41-52; Prosdocimi 1984, p. 423-442 (con appendice di G. B. Pellegrini al-
le p. 443-445); Prosdocimi 1986, p. 84-89; Prosdocimi 1987, p. 574-579; Prosdoci-
mi 1990-1991, p. 419-444 (in coll. con A. Marinetti); Prosdocimi 1991, p. 54-58;
Prosdocimi 1992, p. 470-471; De Simone 1978, p. 370-395; De Simone 1980,
p. 198-202; Agostiniani 1995-1996, p. 11-12; Eska-Wallace 1999, p. 122-136.
11
Cfr. Lejeune 1971.
12
Cfr. Eska 1998, p. 1-11 (estratto).
13
Eska 1998, p. 7.

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 299

to attiene alla formante di appositivo-patronimico14 -alo-, tipica del


leponzio e sconosciuta al gallico; tuttavia, all’opportuna precisazio-
ne metodologica dello stesso Eska («But naming patterns are a re-
gional matter, and in as large a geographical area as the Gaulish
dialect continuum must have encompassed, from Asia Minor to the
low countries, considerable variation in naming practices can hard-
ly be considered as surprising.»)15 si dovrebbe aggiungere anche
quella, altrettanto ovvia, sul carattere frammentario della docu-
mentazione che deve disporci ad ammettere che un antroponimo
oggi assente in leponzio o in gallico possa domani essere restituito
da un nuovo documento; del resto, come vedremo, almeno un no-
me leponzio che non trovava paralleli all’interno del celtico ha oggi
un immediato confronto nell’onomastica celtiberica. Infine, per
quanto riguarda -alo- del leponzio non si possono ignorare le solide
argomentazioni di Prosdocimi contro la dottrina corrente della
provenienza dall’etrusco o dal retico16 e al contrario, in favore di
un’analisi come sviluppo di -lo- celtico e indoeuropeo e variante di
-ilo-, anch’esso in leponzio (ma ben noto pure in gallico); il tutto,
all’interno di una teoria più generale che nega la loro funzione
esclusiva di formanti di patronimici17 e sulla quale dovrò tornare :
qui basterà aver segnalato che anche a proposito di -alo- esistono
buone ragioni per ridurre ulteriormente le differenze fra gallico e
leponzio. Personalmente e contro quanto ho sostenuto in anni pas-
sati (in autorevole compagnia a dire il vero, come quella, ad esem-
pio, di K. H. Schmidt, Meid, Lambert e De Hoz) io sono sempre
più convinto, per ragioni che ora non posso esporre ma che ho
esplicitato in più recenti lavori, della giustezza di questa posizione
di rifiuto a considerare gallico e leponzio unità discrete e penso di
aver fornito anche un ulteriore elemento in tal senso riducendo ad
uno solo quelli che venivano tradizionalmente considerati due di-
stinti verbi di dedica presenti nelle due tradizioni18 : se anche in
questa occasione mi capiterà di adoperare la terminologia d’uso sa-
rà in omaggio alla comodità di un’etichettatura che continua ad as-
solvere bene all’esigenza di identificare gruppi di documenti diversi
per ragioni che ormai sono quasi esclusivamente extralinguistiche.

14
V. oltre per la tesi di Prosdocimi sulla non meccanica identificazione fra le
due funzioni.
15
Eska 1998, p. 7.
16
Anche rimanendo fedeli alla vulgata, comunque, non si farebbe che rico-
noscere una di quelle variazioni del leponzio di cui parla Eska dovute alla sua lo-
calizzazione; del resto neppure il Lejeune inseriva, se non erro, quello di -alo- fra
gli argomenti in favore dell’autonomia dialettale del leponzio rispetto al gallico.
17
Cfr. Prosdocimi 1991 a, p. 163-176.
18
Cfr. Motta 2003, p. 127-134.

.
300 FILIPPO MOTTA

È fatto ben noto che l’identificazione personale fra i Celti antichi,


quale si ricava dalle iscrizioni in lingue encorie, vede distinguersi net-
tamente l’area celtiberica dalle altre, cioè a dire le varie manifestazio-
ni del gallico (della Narbonense in caratteri greci, del resto della
Transalpina in caratteri latini, della Cisalpina in alfabeto di Lugano,
cui anche per tale verso è assimilabile il leponzio). Mentre, infatti, in
tutte queste regioni epigrafiche l’individuazione personale è ottenuta
– non diversamente, del resto, dalle altre aree indoeuropee antiche
con esclusione, ovviamente, di quella centro-italica – a mezzo del no-
me singolo (formula monomia) cui può facoltativamente aggiungersi
un secondo nome (formula binomia), per lo più ad indicare la filia-
zione19, l’epigrafia celtiberica attesta copiosamente una articolazione
dell’identificazione onomastica radicalmente diversa perché vi com-
pare una formula più ampia costituita dal nome individuale (NI), più
un elemento in -ko- al genitivo plurale funzionalizzato ad esprimere
l’appartenenza all’organizzazione sovrafamiliare che gli storici chia-
mano gentilitas 20 (G), più la menzione patronimica espressa con il ge-
nitivo (GP), eventualmente accompagnato da ke(ntis) «figlio» (F).
Spesso la formula si limita a due membri, (NI + G) e non infrequente
e certamente determinata da particolari esigenze pragmatico-istitu-
zionali è la menzione del luogo di origine (O) :
lubos kounesikum melmunos (MLH K.1.1);
NI G GP
abulu ubokum (MLH K.1.1);
NI G
tirtanos abulokum letontunos ke belikios (MLH K.16.1);
NI G GP F O
lubos aliƒokum aualo ke kontebiaƒ belaiskaƒ (MLH K.0.3);
NI G GP F O O

Questi sono i tipi di individuazione personale che si trovano


nelle tesserae hospitalitatis, in alcune epigrafi funerarie e soprattut-
to nei due bronzi celtiberici di Botorrita, convenzionalmente chia-
mati Botorrita I e Botorrita III, oltre che nella Tabula Contrebiensis
latina di identica provenienza : uno di questi (Botorrita III), è anzi
costituito quasi esclusivamente da una lista di decine e decine di
formule onomastiche 21 che si addensano, soprattutto, intorno al ti-

19
Credo sia inutile fornire molte indicazioni bibliografiche per una questio-
ne così nota come il sistema indoeuropeo di identificazione personale tramite
l’onomastica : si vedano, comunque, Rix 1972, p. 710-713; Villar 1997, p. 181-184;
Schmitt 1991, p. 9-51 e i lavori raccolti in Schmitt 2000.
20
Cfr. Albertos Firmat 1975; Gonzalez Rodriguez 1986.
21
Ciò, se da un lato ha rappresentato certamente una delusione giacché è
immediatamente sfumata la speranza di accrescere significativamente le nostre
conoscenze sul lessico celtiberico grazie ad un documento così ampio, dall’altro

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 301

po NI+G+GP 22 e a quello privo della menzione patronimica che, an-


zi, è il più rappresentato, mentre il suo rapporto funzionale-istitu-
zionale con l’altro, sia all’interno di questo bronzo 23 che più in ge-
nerale, è ancora da determinare. Non sarà un caso, comunque, che
la formula ampia e un’organizzazione sovrafamiliare compaiano là
dove, caso unico nella celticità antica 24, compaiono i documenti
pubblici e una realtà urbana di grande importanza politica e ammi-
nistrativa come Botorrita-Contrebia 25 : ma non è di questo, ovvia-
mente, che oggi debbo parlare.
Nella Transalpina, come ho detto, compare solo la formula mo-
nomia o quella binomia costituita dal nome individuale più genitivo
del nome del padre o appositivo patronimico e le due possibilità si
ripartiscono, almeno come tendenza e secondo quanto è lecito
aspettarsi, a seconda delle tipologie dei documenti 26 : la prima è ca-
ratteristica dei marchi di proprietà, delle firme di artigiani o di lapi-
cidi, mentre quella a due membri compare di preferenza nei monu-
menti più importanti quali le lapidi sepolcrali e le dediche, anche se
non mancano vistosi fenomeni di deroga 27, i quali, al di là delle sin-
gole e anche molto diverse spiegazioni che certamente si possono
immaginare per ognuno di essi, debbono essere tutti ricondotti alla
comune precondizione dell’assenza di una qualunque forma di isti-
tuzionalità nella formula onomastica celtica.
In implicito e parziale dissenso con Aldo Prosdocimi (come ve-
dremo più oltre) debbo affermare che la documentazione celtica d’I-
talia non presenta differenze strutturali rispetto a questa articolazio-
ne generale : anche qui, infatti, si conoscono esclusivamente a) indi-
viduazioni personali tramite il nome singolo e b) formule binomie
(di entrambe le tipologie sopra menzionate, qui b1 e b2). Ecco alcu-
ni esempi tratti dalle epigrafi più sicure :

costituisce un punto fermo sulla natura (pubblica) dell’iscrizione, così come l’u-
nico dato veramente certo a proposito del primo bronzo, indipendentemente dal-
la sua traduzione, ne fu fin dall’inizio la natura di documento pubblico proprio in
virtù della presenza a mo’ di firma di quattordici formule onomastiche a tre (idio-
nimo, plurale in -ko-, patronimico) o quattro elementi (questi più la menzione del
luogo di provenienza del personaggio), precedute da una a due membri (idioni-
mo più appositivo plurale).
22
Nettamente prevalente in Botorrita I (v. n. precedente).
23
Su questo documento e su tutte le problematiche (anche sul versante ono-
mastico-formulare) che offre cfr. Beltrán-De Hoz-Untermann 1996.
24
Con la parziale eccezione di Vercelli, dove sembrerebbe avere certamente
carattere pubblico l’iscrizione di Akisios argantokomaterekos (v. oltre).
25
Sul ruolo politico-amministrativo di Botorrita-Contrebia quale emerge dal-
la documentazione epigrafica cfr. Villar-Jordán Cólera 2001, p. 151-153.
26
Cfr. Motta 1992, p. 703-724.
27
Cfr. Motta 1992, p. 707-708.

.
302 FILIPPO MOTTA

a) atepu (7); atilonei (12); anteśilu (25); ateratos (26); aruki


(43,44); uitilios (52); kirati (56); atieki (57); alios (60); plioiso
(80,96); ritukalos (97); setupk (100; RIG *E-6); eripoxios (112; RIG
E-3); xosioiso (113bis); latumarui, sapsutai (128).
b1) ualaunal raneni (19); alkouinos aśkoneti (21); atekua aśouni
(126);
b2); slaniai uerkalai; tisiui piuotialui (3); piounei tekialui (26bis);
teromui kualui (29); tunal koimila (125); minuku komoneos (22); ko-
moneos uarsileos (23); sola nimonikna (123); namu esopnio(s) (127);
koisis trutiknos; ateknati trutikni (142; RIG *E-5).
Il tipo b1, come già accennato, è naturalmente conservato nell’e-
pigrafia latina della Cisalpina, per la quale riporto solo alcuni esem-
pi tratti da Untermann 28 :
Comagus Demincavi f., Mogtio Lutonis f., Eburius Exorati f., Rufus
Brigovicis f., Tresus Endubronis f., Bitio Cariassis; di formule siffatte si
parlerà, ad un altro proposito, anche alla fine di questo intervento.
Gli esempi riportati in a) sono relativi all’instrumentum, mentre
le formule binomie in b1 e b2 ricorrono nei documenti di maggiore
importanza come le dediche funerarie, incluse quelle della ben nota
classe pala leponzia; ma, come per il resto della documentazione
epigrafica celtica antica, anche in quella d’Italia esistono frequenti
deroghe dalla prassi comune : esopnos kepi (110; RIG E-4) e oletu
amaśilu (131) sono, infatti, formule binomie su due fittili rispettiva-
mente da Garlasco e Ornavasso, mentre il ben noto vaso funerario di
Carcegna (122) ne attesta ben tre, identificanti il dedicatario e le due
dedicanti : metelui maeśilalui uenia metelikna aśmina krasanikna.
Il caso contrario si rileva nell’iscrizione di Vergiate (119), che pu-
re, fra quelle della classe pala, è la più discorsiva (pelkui pruiam teu
karite iśos karite palam 29 e «solenne» anche dal punto di vista monu-
mentale e del «contorno», ma nell’identificazione di dedicatario e de-
dicante si limita ai rispettivi nomi singoli, pelkui e teu. Allo stesso mo-
do, è abbastanza singolare che il cospicuo personaggio protagonista
di un’istituzione così importante come la delimitazione di un «campo
in comune agli dei e agli uomini» ricordata nella digrafa-bilingue di
Vercelli (141; RIG *E-2) sia menzionato con il nome singolo (akisios),
anche se si potrebbe pensare che questo più il nome di funzione che
l’accompagna (arkatokomaterekos = argantocomaterecus) fossero più
che sufficienti ai fini dell’identificazione : ma ciò non sarebbe che

Cfr. Untermann 1959, p. 93 s.


28

«Per Belgos Deone fece la pruia (e) lo stesso fece la pala»; l’iscrizione, co-
29

me noto, menziona due momenti distinti del rito funebre; per la descrizione, il
commento linguistico e la bibliografia precedente su questa epigrafe cfr. Motta
2000, p. 196-197.

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 303

una conferma di quanto sto per dire e motivare con ulteriori argo-
menti circa la mancanza di ogni fissazione istituzionale e, al contra-
rio, l’assoluta facoltatività della formula binomia fra i Celti antichi,
compresi quelli d’Italia. Il fatto è che mentre le deroghe del primo ti-
po (formula binomia su oggetto) sono da ascrivere a comportamenti
individuali e vicende di natura psicologica per noi certamente irrecu-
perabili, la mancanza della formula ampia nei documenti importanti
può avere una spiegazione esclusivamente istituzionale, ma con il se-
gno «meno» davanti, vale a dire nella non istituzionalità della formu-
la stessa. Che la formula bimembre – come in tutto il celtico antico
(celtiberico escluso), del resto – sia sempre rimasta una possibilità
identificativa senza mai giungere a necessità e pratica istituzionale è
del resto provato dalla variabilità sintattico-formale del secondo ele-
mento che, come abbiamo visto, può essere tanto un appositivo allo
stesso caso del nome individuale quanto un nome al genitivo ed en-
trambi vengono generalmente intesi come indicanti la filiazione : di-
scuterò brevemente più avanti la tesi di Prosdocimi che nega una per-
tinenza primaria in tal senso per l’appositivo (anche se concretamen-
te questo può realizzarsi come patronimico), ma qui debbo
esprimere il mio dissenso rispetto ad un’altra ipotesi – invero non rac-
colta, mi pare, dagli studiosi – che le iscrizioni leponzie del tipo b1
commemorino persone non libere, di cui viene ricordato, oltre al no-
me individuale, quello del proprietario al genitivo 30 ; non v’è nessuna
ragione, infatti, né onomastica 31 né di altra natura che sorregga tale
ipotesi, mentre l’iscrizione di Briona (140; RIG E-1), che certamente
menziona personaggi della stessa estrazione sociale, mostra – a meno
che non si voglia reintrodurre qui una nuova, forzosa distinzione fra
gallico e leponzio –, come b1 e b2 siano esattamente isofunzionali; è
noto, infatti, che là si tratta di una dedica funeraria di due gruppi di
fratelli ad un personaggio (menzionato con ogni probabilità nella
perduta porzione iniziale dell’epigrafe). Ognuno dei due gruppi, ri-
spettivamente di tre (kuitos lekatos 32, anokopokios, setupokios) e due
(anareuiśeos, tanotalos) individui, è preceduto dalla menzione del pa-
dre, una volta espressa con il plurale dell’aggettivo patronimico (ta-
notaliknoi) e la seconda con il genitivo del suo nome (esanekoti) : ri-
spettivamente, quindi, b2 e b1; la ragione pragmatica della scelta di

30
Cfr. Untermann 1995, p. 737.
31
I nomi di quei presupposti schiavi non lasciano trasparire una diversità so-
ciale rispetto a tutti gli altri del corpus; uno, anzi (alkouinos = Alkowindos) è ad-
dirittura del tipo «solenne» caratteristico (o almeno originario) delle classi celti-
che più elevate.
32
Per il chiarimento definitivo delle ragioni storico-culturali per cui l’espo-
nente di una cospicua famiglia gallica porta un nome (Quintus) ed un titolo (lega-
tus) romani si veda Campanile 1981, p. 31-34. Da non prendere neppure in consi-
derazione Meißner 2004, p. 97-104.

.
304 FILIPPO MOTTA

identificare una sola volta la filiazione per ogni gruppo è da vedere,


ovviamente, nell’esigenza di economizzare lo spazio sulla pietra, ma
è altrettanto evidente che, dal punto di vista funzionale, siamo qui in
presenza della precondizione per il passaggio dal patronimico al no-
me di famiglia, tipologicamente parallelo a quello che porta alla na-
scita dei cognomi moderni 33.
Ma per tornare a quella mancata istituzionalità della formula bi-
membre, ulteriore elemento di prova in tal senso è, ovviamente, an-
che la varietà delle formanti utilizzate per l’appositivo (-alo-/-ilo-,
-io/-eo, -ikno-) 34.
Fin qui ho parlato di ciò che mi sembra più assodato e che corri-
sponde essenzialmente a quanto codificato nei Lepontica lejeuniani
sul sistema di identificazione personale tramite l’onomastica nel cel-
tico d’Italia. C’è da segnalare, tuttavia, soprattutto per l’importanza
delle due teorie cui ha dato luogo, la perplessità nella quale era ri-
masto il Lejeune a proposito di oletu amaśilu di Ornavasso (131) e
uvamokozis plialeuu della famosa iscrizione di Prestino (65), dove
il secondo elemento delle due formule non si lascia immediatamen-
te spiegare come appositivo patronimico perché formato con -u
(<*-ōn) cui sembra mancare tale funzione : «Demeure inexpliquée la
juxtaposition de deux noms ... faut-il penser qu’en lépontique ce suf-
fixe évoluait vers une valeur patronimique?» 35. Movendo da tale
anomalia e da una pretesa sproporzione statistica a favore dei temi
in nasale 36 se si dovesse continuare a spiegare come nominativi la
totalità dei nomi in –u del corpus, il De Hoz ha compiuto un riesame
di tutta la documentazione leponzia per giungere alla proposta di in-
terpretare una gran parte dei nomi in -u non più come nominativi
bensì come genitivi tematici da *-ōd di ablativo (lo stesso che spie-
gherebbe la terminazione -o del genitivo tematico celtiberico), ripor-
tando dunque quei due casi alla ben nota struttura nome individuale
più genitivo patronimico e aprendo la strada alla possibilità di inter-
pretazione come genitivi anche di altri nomi in -u del corpus, com-
presi, almeno in via teorica, anche molti di quelli che compaiono co-
me elementi unici delle iscrizioni su instrumentum e che sarebbero,
dunque, genitivi di possesso perfettamente allineabili ai più imme-
diatamente perspicui atieki (56), kirati (57) e aruki (43) 37. Un altro
argomento invocato era la morfologia «decisamente sorprendente»
di amaśilu e del nome singolo anteśilu (25) che si configurerebbero

Cfr. Schmitt 1991, p. 29.


33

Si noterà ancora che due di queste (-alo- e -ikna-) ricorrono contempora-


34

neamente nel vaso di Carcegna (v. sopra).


35
Così Lejeune 1971, p. 53.
36
Argomento validamente contestato, peraltro, da Eska 1995, p. 34-35.
37
Cfr. De Hoz 1990, p. 315-329.

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 305

come ampliamenti in nasale di forme già suffissate in -ilo- 38 : ma il


dativo atilonei (12) di Giubiasco smentisce, come già notato da Es-
ka 39, tale aprioristica esclusione, mentre in corpora celtici ben più
ampi di quello leponzio non mancano esempi (anche onomastici) di
cumulo di suffissi 40. Lo studioso spagnolo, a ulteriore supporto della
sua proposta, adduceva anche – attribuendovi, tuttavia, minor valo-
re – altri argomenti quali la formula aśkonetio(s) pianu (120) di Bri-
sino, dove, tuttavia, potrebbe anche vedersi un’inversione nell’ordine
dei membri rispetto alla sequenza usuale 41, il che la renderebbe in
tutto parallela a namu esopnio(s) di Levo (127). Sarebbe strano che
fosse accusato di preconcetta ostilità nei confronti della ingegnosa
ipotesi di De Hoz proprio chi ha addotto un nuovo dato in eventuale
suo appoggio, senza nascondersi, tuttavia che neppure questo è diri-
mente 42 ; e voglio anche scongiurare l’eventuale arruolamento d’uffi-
cio fra coloro che la rigettano a motivo del fatto che questa implica
la coesistenza di tre genitivi tematici in leponzio (-osjo, -ı̄ e -u) 43,
giacché, sul piano metodologico, una volta accertata l’esistenza di
-osjo ed -ı̄ in leponzio, «proprio l’esistenza di più di un morfema per
la stessa (o prossima o interferente) funzione ammette piuttosto che
escluda una forma in più» 44, mentre, come pure è stato opportuna-
mente notato, 45 sul piano fattuale il polimorfismo delle uscite di ge-
nitivo singolare tematico è un tratto comune ad altre lingue indoeu-
ropee. La mia riluttanza ad aderire senza riserve alla proposta di De
Hoz si motiva, piuttosto, con il disagio determinato dal trovarsi in
presenza di una costellazione di esempi, per nessuno dei quali l’in-
terpretazione avanzata si impone come l’unica possibile, e questa è
la situazione che conosce bene chi ha dimestichezza con le lingue di
frammentaria attestazione : eliminati gli argomenti oggettivamente
più deboli o addirittura inconsistenti (percentuale «troppo alta» dei
nomi in -u nel corpus 46, morfologia «sovraccarica» di amaśilu e ante-
śilu) e i casi che possono ben essere spiegati in altro modo (inversio-

38
De Hoz 1990, p. 321-322.
39
Cfr. Eska 1995, p. 35.
40
Cfr. de Bernardo Stempel 1999, p. 478-485 (in partic. p. 480 per l’onoma-
stica).
41
Come è probabile sia da vedere in [--]to[--]iknos matopokios di Cureggio
(123) : cfr. Motta 1995, p. 133; possibili esempi di inversione si hanno anche in
metelaios lados (RIG *G-112) e in vechtinios alebinos (RIG G 501 [= Lejeune 1988,
p. 81-83]) di due iscrizioni in alfabeto greco della Narbonense, se non vanno inse-
riti nella serie di cui sto per parlare (v. qui di seguito e n. 49).
42
Cfr. Motta 2000, p. 208.
43
Così, ad esempio, Eska-Wallace 2001, p. 90.
44
Così Prosdocimi 1991 a, p. 157.
45
Cfr. de Bernardo Stempel 2003, p. 44-45.
46
Cfr. n. 36.

.
306 FILIPPO MOTTA

ne dei membri in aśkonetio(s) pianu), tutto l’onere della prova, mi


pare, è affidato alle due formule oletu amaśilu di Ornavasso e uva-
mokozis plialeu u di Prestino. Ora, anche senza tener conto di alcuni
dubbi residui sul loro effettivo status di formule onomastiche bi-
membri 47, quella di De Hoz resta una possibile spiegazione, certa-
mente «forte» per l’implicazione linguistica che comporta (recupero
di una nuova uscita di genitivo), ma ancora priva della dimostrazio-
ne definitiva; d’altro lato, forse, la presenza di due nomi allo stesso
caso, con il secondo dei quali privo di particolari marche derivative
– ciò che per il Lejeune era un’anomalia cui bisognava trovare una
spiegazione, eventualmente ipotizzando l’evoluzione di -u a forman-
te di patronimico 48 – potrebbe essere invece la spiegazione stessa del-
le due formule e che a Ornavasso e Prestino ci si trovi dinanzi a un
personaggio individuato da un nome doppio del tipo dei nostri Aldo
Luigi e Raffaele Carlo, tanto per citare quelli di due cari amici. Nel
resto della documentazione epigrafica celtica antica non mancano,
peraltro, casi sospettati, anche se con gradi diversi di probabilità, di
rientrare in tale categoria 49, la cui banalità, tuttavia, non dovrebbe
richiedere troppi argomenti d’appoggio per essere inscritta –al limi-
te anche in ragione di un solo esempio, il che non è – in una casisti-
ca di strutture formulari già caratterizzata, come abbiamo visto, dal-
la più ampia varietà formale : ma su questo tornerò dopo aver ri-
chiamato la ben nota teoria del Prosdocimi sulla formula
onomastica binomia in venetico e leponzio, la quale – se l’ho ben ca-
pita – presenta un oggettivo punto di contatto operativo con quanto

47
Non è stato ancora definitivamente escluso, infatti, anche per la tipologia
e la solennità del documento che richiama quello dell’ arkatokomaterekos di Ver-
celli, che in plialeu u debba vedersi non un nome proprio ma un titolo (in piena
simmetria, appunto, con akisios arkatokomaterekos) anche se oggi disponiamo di
migliori confronti onomastici : cfr. Motta 2000, p. 198. Quanto a oletu e amaśilu
il De Hoz stesso (De Hoz 1990, p. 320), ricordava che vi è stato chi li riteneva, per
motivi paleografici, i nomi di due distinti personaggi, graffiti sul vaso in momenti
diversi (cfr. Tibiletti Bruno 1966, p. 13-14; Tibiletti Bruno 1981, p. 179).
48
V. sopra e n. 35.
49
Nella Transalpina si confrontino licnos contextos (RIG L-10) e sacer peroco
(RIG *L-7); più problematici, da questo punto di vista, sono, ovviamente, i già ci-
tati metelaios lados e vechtinios alebinos dove potremmo essere in presenza, visto
che -io- serve a formare anche i patronimici, del fenomeno dell’inversione dei
membri della formula (cfr. n. 41). Un esempio di nome doppio potrebbe conser-
vare anche la sequenza Bregissa Branderix del piombo di Les-Mas Marcou (RIG II
*L-93), la quale non necessariamente si riferisce a due individui giacché, come è
noto, nell’onomastica gallica sono diffusi tanto nomi maschili in -ā (cfr. Lambert
1994, p. 54) quanto nomi di donna in -rix, con tale elemento, cioè, ormai ridotto a
mèra formante onomastica senza più valenza semantica né di genere (cfr. Bolelli
– Campanile 1972, p. 127-129.

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 307

ho appena sostenuto. Aldo denuncia da tempo quello che a suo mo-


do di vedere è un presupposto errato di tutti i lavori che si sono oc-
cupati del secondo elemento della formula e che ha portato a rispo-
ste altrettanto errate (o non necessarie) per le sue pretese anomalie :
L’interpretazione di tutto quanto concerne la formula binomia
nella Cisalpina – dalla ricezione/creazione del modulo al suo essere e
perpetuarsi nel tempo – è sempre stata viziata da un presupposto : l’i-
dentificazione del secondo elemento come patronimico e non, neu-
tralmente, come appositivo; certo il grosso degli appositivi può essere
formato da patronimici, ma questa, almeno all’origine, non è la perti-
nenza primaria : la pertinenza primaria era l’appositivo come secon-
do elemento, possibilmente ma non necessariamente fornito di morfe-
ma derivativo così da calcare l’appositivo etrusco, normalmente in
-na, con -na formante di aggettivo con funzione all’ingrosso corri-
spondente a -io- di una lingua indoeuropea come il venetico...
(...) L’acquisizione della formula binomia nel Veneto non rispon-
de ad esigenze strutturali – emergere della gens – come quelle che
hanno determinato il modulo etrusco, poiché mancano qui le corri-
spondenti condizioni socioculturali; l’acquisizione è pertanto per fun-
zionalità culturale (sbrigativamente : «moda»), non strutturale. La
mancanza di strutture corrispondenti determina anche l’indirizzarsi
verso il patronimico dell’appositivo...
(...) Questa impostazione della questione individuata nel veneti-
co offre chiavi interpretative per gli appositivi in leponzio, in primis
per la varietà formale degli appositivi, quindi per appositivi senza
marca formale di derivativo da nome (come nell’ipotesi patronimi-
co)...
(...) La formula binomia è stata introdotta quando è stata impor-
tata la scrittura : questione più sottile è se il rapporto sia di semplice
concomitanza all’interno del movimento e contatto culturale globale
o vi sia un maggior grado di connessione; un nesso di causalità totale
è escluso, ma un coefficiente nell’uso della formula onomastica è a
priori verosimile qui come altrove; la scrittura comporta se non cata-
sto e censimento, almeno l’ufficialità delle dediche, da cui una sele-
zione e/o tendenza alla fissazione della formula stessa 50.
Con più diretto riferimento alla pretesa anomalia costituita da
uvamokozis plialeu u di Prestino sono le seguenti affermazioni :
Quando arriva la formula binomia dall’Etruria, verisimilmente
in epoca coeva all’introduzione dell’alfabeto, si deve trovare in loco
un mezzo per fornire il secondo termine (gentilizio nel modello) : un
modo ovvio era il patronimico, ma non era il solo, ed era possibile
una via diversa, per esempio una cognominazione...
(...) Plialeuu < -ō(n) può appartenere a una prima fase in cui il
gentilizio della formula di base poteva essere reso da una cognomina-

50
Così Prosdocimi 1991 a, p. 162-163; per gli stessi concetti cfr. anche Pro-
sdocimi 1990-1991, p. 408-410 e Prosdocimi 1992, p. 458-463.

.
308 FILIPPO MOTTA

zione e non da un patronimico (con marca derivativa che lo segnalas-


se come tale) 51.

Quello su cui non posso essere d’accordo è la spiegazione della


formula binomia in leponzio come prodotto d’importazione : ciò
che può forse andar bene per il venetico (sul quale, comunque, non
mi pronuncio) non è, infatti, di alcuna necessità per una tradizione
celtica antica che, se pure non la vogliamo ancora considerare – co-
me vuole Eska – una manifestazione arcaica e periferica del gallico,
di fatto, sotto l’aspetto che qui interessa, non si discosta dalle strate-
gie identificative del gallico cis – e transalpino : la formula binomia,
insomma, è pienamente celtica (e indoeuropea) senza bisogno di ri-
correre a modelli esterni. L’introduzione della scrittura – non diver-
samente, del resto, da quanto è avvenuto per il gallico sia in caratteri
greci che latini – ha solo creato le condizioni materiali per la manife-
stazione di una realtà preesistente e ne ha rafforzato le occasioni e le
necessità di impiego (e in ciò ha ragione Prosdocimi), senza, tutta-
via, determinarne una definitiva e univoca fissazione in termini for-
mali.
Io non credo, comunque, che eliminare l’importazione dall’e-
sterno della formula binomia mini né la sostanza della teoria di Pro-
sdocimi (la formula binomia prima ancora di essere costituita da
elementi specifici è appunto formula binomia) né alcune sue impli-
cazioni quale, ad esempio, la cancellazione dei pretesi «etruschi-
smi» o «retismi» in -al, «ritematizzati» in -alo- dal leponzio, che di
questo sono invece, come ho già accennato riferendomi ancora alla
teoria prosdocimiana, parte integrante fin dalle ascendenze indoeu-
ropee 52. Quell’impostazione fondamentale – la quale, ripeto, convin-
ce anche senza pensare a dipendenze esterne al celtico e alla cogno-
minazione (allo stesso tempo non necessaria e troppo impegnativa
sul piano istituzionale) – risolve anche problemi come quelli visti so-
pra a proposito di oletu amaśilu e uvamokozis plialeuu. Il punto di
partenza per la soluzione, però, non è il calco di un modello ma la
varietà stessa delle possibilità di identificazione di un individuo che
si ricava dalla casistica formulare; detto in altri termini : la spiega-
zione della varietà di strategie identificative di un individuo non è da
cercare fuori (adattamento incoerente, ora via patronimico, ora tra-
mite cognominazione o altro di un modello) del dato oggettivo, ma
coincide con il fenomeno stesso della grande varietà formale, ivi
comprese le «anomalie». E tale varietà, come abbiamo visto, era già
presente in tutto il celtico ancor prima di ogni suo contatto con altre

Prosdocimi 1986 a, p. 239.


51

Per i dettagli di morfologia storica nel rapporto fra -al, -alo- e -ilo- secondo
52

Prosdocimi cfr. ancora Prosdocimi 1990-1991, p. 163-170.

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 309

culture, il quale contatto (nella fattispecie l’adozione e la pratica del-


la scrittura) ha solo fatto in modo che quella emergesse. Una confer-
ma indiretta di tale notevolissima libertà continuano a fornire, mol-
to dopo e in area insulare, anche le iscrizioni ogamiche le quali pre-
sentano una casistica ancora più ampia di possibilità identificative :
a) solo idionimo; b) idionimo più specificazione del nome del padre
introdotta da MAQI «figlio»; c) idionimo più specificazione del no-
me del nonno, introdotta da AVI «grandson»; d) idionimo più speci-
ficazione del nome dello zio, introdotta da NIOTTA «nephew»; e)
idionimo più indicazione della stirpe 53, introdotta da MUCOI; e non
basta giacché si danno frequenti casi in cui anche due o più di tali
specificazioni possono ricorrere nella stessa iscrizione e senza alcun
criterio implicazionale : in pratica sono attestate tutte le combina-
zioni possibili 54.
Prosdocimi ha quindi ragione quando dice che la formula bino-
mia, prima ancora di essere costituita da certi elementi è innanzitut-
to una formula binomia : partendo di qui, nella mia prospettiva (che
ha al centro la libertà della realizzazione della formula) in teoria po-
trebbe rientrare anche l’eventualità che accanto ai modi già accertati
di indicare il patronimico (genitivo, forme in -io-/-eo-, -lo-, -ikno-)
esista anche quella dell’occasionale impiego di -u per tale funzione 55
o – il che non è evidentemente lo stesso – del nome del padre privo
di marche identificative specifiche. Ma se il patronimico è solo una
delle possibili procedure, ancorché maggioritaria, per costruire una
formula binomia, non v’è bisogno di spiegare col patronimico ogni
secondo elemento della formula stessa, anche quando questo sia pri-
vo (come è nel caso dei nomi in -u<-ōn) di morfemi tipici della deri-
vazione di appositivi da idionimi. Evidente e poco costoso corollario
è che uno degli altri modi per creare una formula binomia per l’indi-
viduazione di qualcuno può essere proprio quello della coppia di
idionimi, senza che il secondo di questi, pertanto, abbia particolari
marche formali perché senza riferimento alcuno (o, almeno, senza
riferimento esplicito o trasparente) a qualcun altro : uvamokozis e
oletu potrebbero, insomma, non essere, nella formula, necessaria-
mente in relazione «genealogico-grammaticale» con qualche altro
personaggio indirettamente menzionato da plialeuu e amaśilu 56. La

53
Qui è da vedere un’analogia (tipologica certamente, forse anche storico-
istituzionale) con i nomi plurali in -ko- del celtiberico.
54
Cfr. Mc Manus 1991, p. 51-52; Ziegler 1994, p. 27-29. Ricordo che le for-
mule ogamiche sono sempre al gen. sing., sottintendendo una voce come «tom-
ba», «pietra di ...».
55
O dell’inizio di tale slittamento, secondo quanto si chiedeva il Lejeune (v.
sopra e n. 35).
56
Che, poi, uno dei due nomi delle due formule ripeta (per motivi affettivi, di
prestigio o altro) quello di qualche consanguineo o antenato (così come il tanota-

.
310 FILIPPO MOTTA

«libertà» su cui tanto ho insistito non si realizzerebbe, dunque, solo


con la variazione delle marche formali per gli appositivi o con la
doppia possibilità di configurazione grammaticale per il secondo
elemento (appositivo concordato o genitivo) ma anche, appunto,
con la coppia di nomi.

Questo discorso sulle formule ha preso più tempo del previsto e


non posso più dedicare lo spazio che avevo previsto all’analisi dei
costituenti lessicali e dei processi formativi dei singoli nomi. Del re-
sto, neppure in questo settore la documentazione del celtico d’Italia
si discosta significativamente da quella transalpina. Ho già accenna-
to all’inizio al valore relativo di certe differenze fra leponzio e gallico
e alla necessità di ridimensionarle, come, ad esempio, è opportuno
fare, seguendo Prosdocimi, per la pretesa peculiarità di -alo- lepon-
zio. Per quanto riguarda, poi, la non esatta corrispondenza dei ri-
spettivi patrimoni onomastici, bisogna ribadire ancora una volta che
questa può essere dovuta al carattere limitato della documentazione
e che talvolta ciò che ieri in leponzio appariva non gallico o non cel-
tico viene ricollocato nella celticità grazie all’incremento delle testi-
monianze. Mi limito ad un solo esempio : il nome di donna *Slaniā,
attestato al dat. (slaniai) in una delle tre iscrizioni di Davesco (3), ve-
niva considerato «obscur» e senza corrispondenti fuori dal leponzio
dal Lejeune 57, mentre oggi ha un esatto corrispondente in una nuova
tessera celtiberica 58 : perché, dunque, escludere a priori che anche
dall’incremento della documentazione sia leponzia che gallica 59,
possano venire dati che riducano le innegabili (e comunque spiega-
bili) differenze fra i due patrimoni onomastici? Nel complesso – le-
ponzio «tradizionale» e cosiddetto gallico cisalpino –, il celtico d’Ita-
lia non si discosta dall’insieme della documentazione onomastica
gallica e celtica antica : basta, infatti, un rinvio alle due opere classi-
che di Schmidt e Evans per trovare gli stessi tratti fondamentali. Si
hanno :
1) nomi composti : uvamokozis, esanekoti (gen.), tanotalos, ana-

los di Briona ha lo stesso nome di colui che probabilmente era suo zio) è, ov-
viamente, un altro discorso : quello che conta, nella prospettiva in cui mi trovo
ora, è che ciò non traspare, comunque, dalla formula (anche se, verisimilmente
era a conoscenza dei destinatari del monumento).
57
Cfr. Lejeune 1971, p. 65 n. 222.
58
Cfr. Villar 1999, p. 531-537. Altri confronti onomastici fra nomi leponzi
privi finora di riscontri nel celtico e quelli celtiberici sembrano potersi ricavare
da Botorrita III, ma sono più problematici ed è quindi prematuro parlarne.
59
Soprattutto questa (e in modo particolare per quanto riguarda l’epigrafia
in alfabeto latino su instrumentum) è in rapido e vistoso accrescimento, come si
può ben vedere dall’ultimo volume del Recueil des Inscriptions Gauloises (RIG II,
2) del 2002.

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 311

reuiśeos, ateratos, esopnos, setupokios, matopokios, alkouinos, eripo-


xios, ritukalos, latumarui (dat.), ateporix 60, ecc.
2) ipocoristici (con o senza suffisso) : atepu, kasikos, namu,
piuonei (dat.), uenia, teu, kualui (appos. in -alo- al dat.), uerkalai (ap-
pos. al dat.), ecc.
3) nomi monotematici come alios, kepi (gen.), koisis, oletu, pel-
kui (dat.), akisios, sapsutai (dat.), trutiknos (appos. in -ikno-), tekia-
lui (appos. in -alo- al dat.), teromui (dat.), rikanas (gen. femm.) 61,
ecc.

L’esemplificazione qui fornita ripete, in sostanza, quella del Le-


jeune 62, cui i ritrovamenti successivi (alcuni dei quali inseriti qui) ai
Lepontica non hanno portato significative variazioni. Piuttosto, è da
richiamare la difficoltà di una distinzione netta fra ipocoristici e no-
mi monotematici fin dall’origine e non solo per la ragione già addot-
ta dallo stesso Lejeune che la scrittura nord-etrusca impedisce di ri-
levare uno dei tratti più tipici degli ipocoristici, e cioè la geminazio-
ne consonantica nel suffisso 63. Il fatto è che, come ben noto, esistono
(non solo in celtico) nomi monomembri privi di suffisso sul cui sta-
tuto non possiamo essere certi 64 e anche la nostra pur ridotta docu-
mentazione ne offre un chiaro esempio con alios, nome proprio da
numerale (cfr. gall. allos di La Graufesenque, ant. irl. aile «secondo»
[<*aljos]), ed esponente, quindi, di una categoria lessicale general-
mente ritenuta particolarmente produttiva di nomi monotematici in
celtico 65 ; tuttavia, se accanto a Cinto(s), Cintu («Primo») del gallico,
esistono anche Cintugnatos, Cintugenus, ecc. 66, nulla impedisce di
pensare che accanto a alios sia esistito anche un *Aliognatos, *Alio-
genos o simili.
Alla lista per categorie fornita dal Lejeune potrebbero esser
mosse altre obiezioni di dettaglio, relative soprattutto all’interpreta-
zione di questo o quel nome : ad esempio, per uerkalai si potrebbe
pensare anche a segmentazioni alternative 67 mentre è ormai assoda-
to che atekua di Levo è la variante femminile e arcaica (con conser-
vazione della labiovelare) di atepu 68 e, quindi, accanto a questo va ri-

60
Iscrizione in alfabeto latino di S. Maria di Zevio (VR) : cfr. Solinas 2002,
p. 288.
61
V. oltre e n. 77.
62
Cfr. Lejeune 1971, p. 54-65; cfr. anche Schmidt 1995, p. 769.
63
Cfr. Lejeune 1971, p. 61.
64
Cfr. Schmidt 1957, p. 40; D. Ellis Evans, 1967, p. 297.
65
Cfr. Schmidt 1957, Ellis Evans 1967.
66
Cfr. Ellis Evans 1967, p. 179-180.
67
Cfr. Motta 2000, p. 201.
68
Un fatto che non poteva rientrare nella rigida partizione dialettale lejeu-
niana (cfr. Lejeune 1971, p. 79-80) che considerava il leponzio un dialetto celtico

.
312 FILIPPO MOTTA

portato. Ma si tratta di questioni non rilevanti per il nostro discorso


né tali da modificare il quadro statistico-tipologico fornito dal Le-
jeune (40% fra nomi composti e ipocoristici) 69 che coincide con
quello del gallico transalpino, come lo stesso Lejeune non mancava
di rilevare 70 riferendosi anche al campione statistico fornito dal
Weisgerber a proposito delle iscrizioni latine dei Treveri 71; a questa –
ricordava ancora Lejeune – lo Schmidt aveva affiancato la statistica
tratta dal De bello gallico 72, dove, avendo Cesare occasione di men-
zionare pressoché esclusivamente personaggi di rango elevato, i no-
mi composti, tipici di quegli strati sociali, sono ovviamente in pro-
porzione assai maggiore. Ma invano si cercherebbe nella documen-
tazione celtica d’Italia conferma di una tendenza al ripartirsi dei
nomi composti e dei monotematici rispettivamente fra le classi alte
e i ceti meno elevati. Da un lato, infatti, la tipologia dei documenti
del celtico d’Italia ben si adatta a diversi strati sociali, mentre pare
che tanto i nomi composti che quelli ipocoristici e monotematici
siano ripartiti in modo sostanzialmente egualitario nelle diverse
classi di documenti, come testimoniano, ad esempio casi come quel-
lo degli «altisonanti» latumarui e eripoxios, ecc. su fittili e di akisios
di Vercelli che, al contrario, porta un nome «semplice» pur essendo
un personaggio certamente importante, mentre setupokios ricorre
tanto sulla pietra di Briona che su un modesto fittile di Milano (100).
Impossibile, insomma, date anche le nostre scarse conoscenze sulla
struttura sociale delle comunità celtiche d’Italia prima della roma-
nizzazione, trarre qualsiasi tipo di conclusione di tipo sociologico
dalla documentazione onomastica in nostro possesso.
Anche per quanto riguarda gli appellativi da cui sono tratti i no-
mi, così come per gli elementi affissali, la celticità d’Italia si allinea a
quella transalpina e celtica in generale :
*bogio-, *kalo-, *talo-, *obno-, *setu-, *matu-, *maro-, *lato-
*alko-, *epo-, *druto-, *windo-, *ritu-, *cassi-, *-rix, ecc.;
-io-/-eo-, -ilo-, -ko-, -ōn, -ato-, -it(t)o-/-et(t)o-, ate-, ads-, kom-,
eks-, ande-, eri-, ecc. 73

univocamente labializzante : cfr. Motta 2000, p. 191, 210 (con ulteriore bibliogra-
fia sulla questione).
69
Da tener presente, tuttavia, la riserva appena avanzata sulla possibile natu-
ra di ipocoristici di nomi comunemente ritenuti monotematici fin dall’origine.
70
Cfr. Lejeune 1971, p. 54.
71
Cfr. Weisgerber 1935, p. 314-315 (e in Weisgerber 1969, p. 119-120).
72
Cfr. Schmidt 1957, p. 41-42.
73
Sul fatto che alcuni di questi siano funzionalizzati a creare anche nomi da
nomi (patronimici o altro) in formule bimembri è già stato detto; esclusivamente
in tale funzione, sembra essere attestato -ikno-, così come, mi pare, si ricava dal-
l’insieme della documentazione gallica, se si esclude il Ruficna del Larzac (RIG
L-98 : cfr. anche p. 394).

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 313

Può apparire sorprendente la relativa scarsità di nomi formati


con *-rix, l’elemento «icona» dell’onomastica celtica antica : a parte
il già citato ateporix 74 si hanno, infatti, solo pochi e dubbi esempi co-
me ośoris di Casate (58), rik (abbreviazione?) in area bresciana (38,
41) e rikoi (pl.?) di una serie monetale 75 ; ma ciò può essere dovuto a
casualità documentale 76. Comunque, quello che ci manca sul piano
della «quantità» lo recuperiamo su quello della «qualità» : a quanto
mi consta, infatti, solo il celtico d’Italia conserva un esempio inequi-
voco di nome monotematico femminile ricavato da tale lessema, con
il rikanas (gen.) di una pàtera proveniente dalla necropoli di Oleggio
(NO; I sec. a.C.), il quale, ben lungi da rappresentare, come qualcu-
no aveva ingenuamente pensato, l’appellativo «regina» e implicare
improbabili «regalità» celtiche nella zona, è, molto più modesta-
mente, l’esatto parallelo del nostro Regina 77.

Prima di concludere voglio accennare ad un fatto che oggettiva-


mente si situa a cavallo dei due piani che fino ad ora ho tenuto di-
stinti : formula onomastica e singoli nomi. Anni fa Romano Lazze-
roni fece vedere come il frequente uso osco di dare al figlio un nome
che : a) ripete quello del padre o b) ne costituisce la variante suffis-
sale o, più semplicemente, c) allittera con quello, altro non è che l’at-
tualizzarsi in un sistema caratterizzato dal nome monotematico di
un uso indoeuropeo ben conservato dall’onomastica indiana, greca e
germanica dove, accanto a queste tre possibilità esiste, grazie alla
predominanza dei nomi bitematici, anche quella della ripetizione di
uno dei due membri del composto onomastico 78. È probabile che ta-
le uso, non generalizzato ma di frequenza comunque significativa, si
spieghi con la volontà di conservare in qualche modo memoria del-
l’appartenenza ad una determinata linea genealogica 79 secondo una
strategia diversa da quelle che portano ai «propatronimici» indiani,
greci e germanici 80 e, in ambiente italico, al gentilizio. Ma è altret-
tanto probabile che siano state all’opera anche motivazioni di natu-
ra «poetica», tanto più se nella casistica delle varianti rientrano, co-
me rientrano, anche le allitterazioni; in ogni caso il risultato è quello
di una struttura poetica e allora non è fuor di luogo inscrivere la
pratica in oggetto fra le caratteristiche poetiche, appunto, di tanta

74
V. sopra e n. 60.
75
Cfr. Lejeune 1971, p. 127.
76
Del resto, ateporix è venuto alla luce solo in tempi recenti (cfr. ancora
n. 60).
77
Cfr. Motta 1992 a, p. 316-317.
78
Cfr. Lazzeroni 1985, p. 225-232.
79
Lazzeroni 1985, p. 231; cfr. anche Prosdocimi 1989, p. 58 (con ulteriori ri-
ferimenti bibliografici); Schmitt 1991, p. 37.
80
Cfr. Schmitt 1991, p. 20-21.

.
314 FILIPPO MOTTA

Namengebung greca, indiana e germanica, secondo quanto, rifacen-


dosi ai lavori di illustri germanisti, ricordava già il Wackernagel a
proposito del nome bitematico indoeuropeo, vero e proprio «kleines
Gedicht nach Inhalt und Klang» 81. Ora, anche il mondo celtico cono-
sce abbondantemente quest’uso di nomi integralmente o parzial-
mente ripetuti o allitteranti, costituendone ulteriore conferma per
l’eredità indoeuropea : basterà una pur rapida scorsa delle genealo-
gie irlandesi 82 o alle formule ogamiche 83 per accertarsene. Per quan-
to riguarda il celtico continentale occorrerebbe una ricerca sistema-
tica e specifica, ma già da alcuni saggi a campione si configura una
situazione analoga : ripetizioni di elementi onomastici, variazioni di
suffisso e allitterazioni si trovano, infatti, nelle formule onomastiche
delle iscrizioni galliche in scrittura greca come Kongennolitanos
Karthilitanios (RIG G-1), Ekkaios Eskingomarios (G-107a), Kintuma
Kassikea (G-211) e in quelle in epigrafi latine 84, fra le quali per ora mi
limito a riportare esempi tratti dal rifacimento relativo alla Francia
del tredicesimo volume del CIL 85, scegliendo, inoltre, quelli perti-
nenti a personaggi caratterizzati da onomastica gallica 86 : Nertomari
Namantobogi f. (ILTG 335), Bellianus Boudilli f. (375) e quello, parti-
colarmente significativo, testimoniato da una genealogia di Saverne
(Bas-Rhin) che fra i suoi esponenti annovera Caratacus e Caranto-
dius, figli e nipoti rispettivamente di Carantus e Cantognatus (441) 87.
Tale pratica è testimoniata anche dal celtico d’Italia, a ulteriore
testimonianza del suo allineamento alla tradizione transalpina e cel-
tica in generale : si vedano, infatti, nelle iscrizioni in lingua celtica,
casi come metelui maeśilalui, alkouinos aśkoneti, atekua aśouni
mentre quello di anokopokios e setupokios di Briona è diverso solo
perché si tratta di fratelli, uniti tuttavia dalla ripetizione dello stesso
elemento onomastico *bogio-. Né mancano esempi nelle iscrizioni

Cfr. Wackernagel 1943, p. 16 (visto in Wackernagel 1953, p. 201).


81

Cfr. O’Brien 1962.


82

83
Un apposito paragrafo a tale fenomenologia nelle iscrizioni ogamiche vie-
ne dedicato da Mc Manus 1991, p. 112-113.
84
Non risultano, almeno da una rapida scorsa dei relativi volumi del RIG (II,
1 e II, 2) casi analoghi in iscrizioni in lingua gallica e caratteri latini ma ciò può
essere dovuto banalmente al tipo di documentazione che, essendo costituita in
parte larghissimamente maggioritaria da instrumentum, solo sporadicamente
presenta individuazioni tramite formula bimembre; un’allitterazione in una cop-
pia di nomi per lo stesso individuo presenta, forse, la sequenza Bregissa Branderix
(cfr. n. 49).
85
Cfr. Wuilleumieur 1963 (ILTG).
86
Ma gli esempi sono frequenti anche nelle iscrizioni con onomastica latina
o più o meno romanizzata.
87
La genealogia completa si ricava dal confronto fra le iscrizioni 441 delle
ILTG e 11652, 11654, 11669 di CIL XIII, provenienti dalla stessa località.

.
TIPOLOGIE DELL’ONOMASTICA PERSONALE CELTICA 315

latine della Cisalpina, che ricavo ancora una volta da Untermann 88 :


Senecio Secconis f. (CIL V 5552), Brocchilo Brocchi f. (5535), Moge-
tius Moccilonis f. (6042), Kassimarus Kafati f. (6118).

Filippo MOTTA

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88
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EMMANUEL DUPRAZ

HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES


DU SYSTÈME GENTILICE EN PAYS NORD-OSQUE *

Le pays nord-osque est celui des Vestins, des Péligniens et des


Marrucins, trois peuples montagnards des Abruzzes. À l’époque ré-
publicaine, ces trois peuples écrivaient un dialecte osque, appelé
nord-osque1, qui a progressivement été remplacé par le latin; l’ins-
cription nord-osque la plus récente connue paraît être d’époque au-
gustéenne 2. Les trois peuples ont été soumis par Rome à l’issue de la
Seconde Guerre Samnite, vers 293 avant notre ère 3 : les Vestins Cis-
montani, c’est-à-dire les plus proches de Rome, ceux qui demeu-
raient en deça du Gran Sasso d’Italia, ont été admis aussitôt dans la
ciuitas sine suffragio, puis dans la ciuitas optimo iure; au contraire,

* Les inscriptions osques sont citées d’après le corpus de Vetter (1953), avec
la mention Ve suivie du numéro dans ce corpus, d’après celui de Poccetti (1979),
avec la mention Po suivie du numéro dans celui-ci, d’après celui de Buonocore
(1987) avec la mention SI 1987 suivie du numéro dans celui-ci et d’après celui de
Rix (2002) avec la mention Ri suivie de la référence dans celui-ci. Les inscriptions
latines sont citées d’après le Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), Berlin-New
York, 1863 –, avec la mention du tome et du numéro dans le tome, d’après l’Année
epigraphique (AE), avec la mention de l’année et du numéro dans le volume de
l’année. Les inscriptions en alphabet latin sont transcrites en italique, les inscrip-
tions en alphabet indigène sont transcrites en caractères gras et la nature de l’al-
phabet est précisée. Enfin, lorsque nous mentionnons non pas un anthroponyme
mais le personnage qui porte ce nom, nous transcrivons celui-ci en caractères
droits, ni italiques ni gras.
Pour ne pas alourdir la présentation, lorsque nous citons une inscription en
notes, nous renvoyons à un seul de ces corpus, même lorsque l’inscription figure
dans plusieurs d’entre eux.
Je remercie vivement les professeurs Olli Salomies, Anna Marinetti et Hel-
mut Rix pour leurs observations critiques.
1
En ce sens Rix 2002, p. 7, qui conclut à la nature principalement osque du
dialecte nord-osque, avec un adstrat sud-picénien. La question de l’éventuelle pa-
renté linguistique entre le nord-osque et le sud-picénien, en sus de la parenté avec
les autres dialectes osques, est un problème que nous n’envisageons pas ici.
2
Pour cette dédicace officielle d’un temple d’Apollon, de Peltuinum en pays
vestin, cf. Sommella 1995, p. 284.
3
Sur les vicissitudes de l’Histoire institutionnelle des peuples de langue
nord-osque, cf. La Regina 1968, p. 369-371, p. 430-432, pour les Vestins, Van
Wonterghem 1984, p. 23-31, pour les Péligniens, et Cianfarani 1956, p. 319, pour
les Marrucins.

.
320 EMMANUEL DUPRAZ

les Vestins Transmontani, entre le Gran Sasso et la mer Adriatique,


les Marrucins, plus à l’est sur la côte, et les Péligniens au sud des
Marrucins, sont restés des socii de Rome jusqu’à la fin de la Guerre
Sociale en 88 avant notre ère : ensuite, ils sont admis à leur tour
dans la ciuitas optimo iure. Les Vestins Cismontani sont répartis de-
puis la conquête en deux préfectures, Aveia et Peltuinum, les autres
peuples nord-osque sont répartis après la Guerre Sociale en muni-
cipes, Pinna et Angulum pour les Vestins Transmontani, Teate pour
les Marrucins, Corfinium et Sulmo, puis Superaequum institué à l’é-
poque augustéenne, pour les Péligniens.

C’est dans ce double contexte de transition de l’osque au latin et


d’entrée progressive dans la cité de Rome que nous souhaitons étu-
dier les modalités de l’adoption du système gentilice. Les peuples
d’Italie sont progressivement passés au cours du premier millénaire
d’un système de désignation où chaque individu ingénu porte un
nom unique éventuellement précisé par un patronyme, c’est-à-dire
par la mention du nom unique du père, à un autre système de dé-
signation où chaque individu ingénu porte un prénom et un genti-
lice, le prénom étant une caractéristique individuelle et le gentilice
un nom hérité porté par tous les descendants d’un même père 4. Dans
l’ancien système, le système patronymique, le patronyme est expri-
mé selon les langues par un adjectif dérivé du nom unique du père
ou par le génitif de celui-ci. Dans le nouveau système, les prénoms
sont d’anciens noms uniques, les gentilices sont des adjectifs dérivés
devenus héréditaires, qui sont au départ des patronymes adjectivaux
dérivés du nom unique d’un père. À date plus récente, un troisième
élément apparaît dans le nouveau système, le cognomen, surnom in-
dividuel.
La transition de l’un à l’autre système a lieu à une date variable
selon les peuples 5. Rien ne manifeste directement, pour un anthro-
ponyme donné qui comporte un nom et un adjectif, si cet adjectif est
un patronyme ou un gentilice, puisque la forme est identique : pour
savoir si un anthroponyme ressortit à un système gentilice ou patro-
nymique, il faut disposer d’anthroponymes répartis sur plusieurs gé-
nérations, qui permettent de vérifier si les adjectifs sont héréditaires
ou non, s’il s’agit déjà de gentilices ou encore de patronymes. Toute-
fois, dans un système gentilice, on peut trouver aussi un patronyme,
une mention du prénom du père, en sus du gentilice héréditaire :
l’association de trois formes, prénom, gentilice, patronyme, est donc
une marque d’un système gentilice. De même, l’abréviation du pre-

Au sujet de cette transition en général, cf. Rix 1972, p. 740-757.


4

Pour l’étude de cette transition, nous renvoyons en particulier aux prin-


5

cipes posés par Rix 2000, p. 107-112.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 321

mier élément montre que celui-ci fait partie d’un système soumis à
des règles et à des conventions propres. Cette abréviation le dis-
tingue donc du second élément et montre que les deux sont d’une
nature différente, c’est-à-dire qu’il ne s’agit plus de deux noms
uniques, celui du personnage et de son père, mais bien d’un prénom
et d’un gentilice. Les abréviations sont donc la marque d’un système
gentilice. D’autre part, si l’on dispose de grands échantillons de po-
pulation, on peut étudier le nombre des prénoms attestés et le
comparer à celui des adjectifs : si le système onomastique est genti-
lice, le nombre des prénoms est faible, car ces anciens noms indivi-
duels se réduisent rapidement à un petit groupe conventionnel. La
raison en est qu’ils ne sont plus aussi nécessaires, puisque peu de
prénoms suffisent à distinguer tous les membres d’une même fa-
mille, laquelle se distingue désormais des autres par le gentilice. Au
contraire, dans un système patronymique, les noms uniques sont es-
sentiellement aussi nombreux que les patronymes, puisque ceux-ci
sont aussi des noms uniques, ceux de la génération précédente.
Michel Lejeune a étudié l’origine du système gentilice dans
l’osque du Samnium, de la Campanie et de la Lucanie 6. Il montre,
par l’examen des inscriptions les plus archaïques de Campanie 7, da-
tées du IVe siècle avant notre ère, que le système patronymique sur-
vit encore à cette date : un personnage et son père ont des désigna-
tions qui comportent un nom suivi d’un adjectif en *-iīo- et celui-ci
n’est pas identique dans les deux cas. Au contraire, l’adjectif lié au
nom du fils est un dérivé du nom du père, c’est-à-dire que ces ad-
jectifs en *-iīo- sont des patronymes. D’autre part, Michel Lejeune
fait observer que les prénoms osques connus sont très nombreux,
puisque chaque nouvelle inscription en livre d’inconnus : on peut en
déduire que le système gentilice est d’une introduction récente en
osque à l’époque tardo-républicaine dont sont datées les inscrip-
tions.
Nous souhaitons étudier quand et dans quelles conditions le sys-
tème gentilice s’est mis en place en nord-osque. Nous croyons que,
comme dans les autres dialectes osques, ce système s’y est mis en
place à une date tardive. Nous proposons d’examiner d’une part les
procédés linguistiques qui ont permis la mise en place de ce sys-
tème, d’autre part les modalités sociales et culturelles de la mise en
place de ce système, à savoir le rôle joué par la domination romaine.
Pour cela, nous allons prendre en compte les anthroponymes nord-
osques les plus anciens qui soient connus : il s’agit de plusieurs

Cf. Lejeune 1976, p. 35 et 36.


6

Il s’agit de l’inscription Ve 101, dont le texte, en alphabet étrusque, est vi-


7

nucs veneliis peraciam tetet venilei viniciiu. L’un des personnages se nomme,
au nominatif, vinucs veneliis, l’autre, au datif, venilei viniciiu.

.
322 EMMANUEL DUPRAZ

formes des IIIe et IIe siècles avant notre ère livrées par la tradition lit-
téraire et par l’épigraphie tant nord-osque que latine. Nous pren-
drons aussi en compte les nombreux anthroponymes attestés par l’é-
pigraphie osque et latine pour le Ier siècle avant notre ère. En cela,
nous n’examinerons pas la spécificité des anthroponymes des es-
claves et des affranchis, mais seulement les éléments qui sont
communs entre eux et les ingénus, puisque c’est le système gentilice,
celui de l’onomastique ingénue au premier chef, que nous cherchons
à élucider.

Le cas des Vestins Cismontani tout d’abord est aisé à examiner.


Les anthroponymes les plus anciens qui soient connus sont des
formes épigraphiques. La plus ancienne, qui remonte à la première
moitié du IIIe siècle avant notre ère 8, est T Veti sur une dédicace
nord-osque à Hercule, à Navelli (CIL I2 394 = Ve 220 = Ri MV 5) 9.
Ensuite, une inscription nord-osque de la seconde moitié du IIIe
siècle avant notre ère ou de la première moitié du IIe, la commémo-
ration de travaux publics entrepris par trois édiles, retrouvée à San
Benedetto in Perillis (CIL I2 3268 = Po 207 = Ri MV 2), fournit les
trois anthroponymes
Ob. Ebdies. L. Ma [
Sa. Pedlies. V. Ria [
Ou. Fadatruni [ | ] ares
Enfin, le sanctuaire d’Hercule de Navelli a également livré un
fragment d’inscription latine (CIL I2 3266) du IIe siècle avant notre
ère10, qui commémore la construction d’un temple de type hellénis-
tique dans ce sanctuaire et fournit l’anthroponyme L. Pontediu [.
Tous ces anthroponymes ressortissent à un système gentilice : le
premier élément, un prénom, est régulièrement abrégé, représenté
par une ou deux lettres, c’est-à-dire nettement distinct dans son sta-
tut du second, qui est donc un gentilice. Un troisième élément est
nettement attesté dans l’inscription de San Benedetto in Perillis :
c’est un deuxième prénom abrégé, celui du père au génitif, c’est-à-
dire un patronyme. Les gentilices sont des adjectifs dérivés au
moyen d’un suffixe que nous notons *-īo-, dont les origines sont di-
verses11 et qui est susceptible d’évolutions divergentes en nord-osque

8
Pour les inscriptions nord-osques, nous suivons en général les datations
proposées par Rix 2002.
9
Nous remercions ici Yann Leclerc d’avoir bien voulu procéder à une auto-
psie de cette inscription, qui permet de corriger la leçon courante pour la forme
Veti : celle-ci donne un -o- pointé à la fin du mot, c’est-à-dire une lettre incertaine.
Le trait qui est à la base de cette leçon paraît en fait être accidentel.
10
Nous suivons ici la datation proposée par La Regina 1968, p. 404 et 405.
11
A ce sujet, cf. Meiser 1986, p. 63 et 64.

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HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 323

et en latin. En nord-osque12, ce suffixe présente deux variantes syn-


chroniques *-īo- et *-iīo-. Ces variantes, après syncope de la voyelle
thématique en syllabe finale, passent respectivement au nominatif
singulier à -i-s et à -ie-s avec dissimilation des deux [i]. D’autre part,
-s final n’est pas toujours noté en nord-osque. En latin, le suffixe *-ī
o- subit la fermeture d’*-o- en syllabe finale fermée et passe à -iu- au
nominatif masculin singulier.

Tous ces éléments ont des parallèles qui permettent de retracer


les processus et les influences qui sont à l’origine de ce système gen-
tilice. Ainsi, le suffixe *-īo- est celui qui forme la grande majorité des
gentilices en osque en général comme en latin; dans ces deux
langues il était auparavant un suffixe d’adjectifs patronymiques13. Il
était initialement sans doute, chez les Vestins Cismontani comme
chez leurs deux voisins, un suffixe d’adjectifs patronymiques, et sa
présence comme suffixe de gentilices à date historique manifeste
que chez les Vestins Cismontani comme en osque en général et en
latin, ce sont des adjectifs patronymiques qui ont pris secondaire-
ment la fonction de gentilices, et non des génitifs de noms uniques
en fonction de patronymes qui ont formé la base des gentilices. Ce
suffixe *-īo- demeure très majoritaire chez les Vestins Cismontani
encore au Ier siècle avant notre ère14.
Par ailleurs, la notation du patronyme après le gentilice et sans
mention explicite de la filiation, dans les inscriptions nord-osque du
pays des Vestins Cismontani non seulement aux IIIe et IIe siècles
avant notre ère, mais aussi au Ier15, est commune au nord-osque et à
l’osque en général, et ceux-ci s’opposent tous deux au latin sur ce
point, puisque celui-ci note filius après le génitif du prénom du père.

12
Sur l’évolution et la diversité du suffixe que nous notons *-īo- en osque en
général, cf. Lejeune 1976, p. 72-82, et Meiser 1986, p. 62-66.
13
Cf. à ce sujet Rix 1972, p. 718-720, p. 724 et 725.
14
Les inscriptions qui présentent des formules onomastiques non fragmen-
taires chez les Vestins Cismontani entre le début du Ier siècle avant notre ère et la
fin de la République sont les inscriptions CIL I2 756, 1803 à 1813, 3267, AE 1992
no 350 et 351. Au total, elles attestent trente-deux formules onomastiques d’é-
poque républicaine pour les Vestins Cismontani. – Plusieurs de ces inscriptions
attestent un autre suffixe de gentilice, *-ēno- : il s’agit des inscriptions CIL I2 756,
1804, 1809, 1813 et 3267. Ce suffixe, attesté par ailleurs en ombrien et dans les
inscriptions latines du Picenum et de la Sabine, est un ancien suffixe d’adjectifs
patronymiques : cf. Rix 1972, p. 727 et 728. Sa présence comme suffixe de genti-
lices chez les Vestins Cismontani confirme le passage d’un système d’adjectifs pa-
tronymiques à un système de gentilices.
15
La seule inscription nord-osque du pays des Vestins Cismontani, datée du
Ier siècle avant notre ère, qui livre une formule onomastique, est l’inscription AE
1992 no 350 = Ri MV 12.

.
324 EMMANUEL DUPRAZ

Sur ce point, le nord-osque emprunte davantage à l’osque en général


qu’au latin.
En revanche, l’abréviation systématique des prénoms, tant en
nord-osque qu’en latin, montre que le système gentilice est bien éta-
bli. Or non seulement les inscriptions les plus anciennes, mais
toutes les inscriptions républicaines du pays des Vestins Cismontani
sauf une manifestent des prénoms systématiquement abrégés en
une ou deux lettres16 : contrairement à l’absence de mention expli-
cite de la filiation, cette abréviation systématique, ce caractère réglé
du système des prénoms, pour leur part, sont étrangers à l’osque en
général : en osque en général, les prénoms sont souvent soit déve-
loppés en entier, soit réduits à trois ou quatre lettres, mais rarement
abrégés à une ou deux lettres17.
L’ensemble de ces éléments peuvent, croyons-nous, être reliés
au contexte juridique : les Vestins Cismontani sont citoyens romains
depuis les débuts du IIIe siècle avant notre ère, c’est-à-dire qu’ils sont
inscrits sur les tables du cens à Rome. Pour cela, un prénom et un
gentilice, un système précis et réglé leur sont indispensables. Nous
émettons l’hypothèse que c’est sous la pression de cette nécessité ju-
ridique imposée par l’autorité romaine que le système gentilice, à
partir d’adjectifs patronymiques déjà constitués, s’est généralisé dès
le IIIe siècle avant notre ère chez les Vestins Cismontani. Ce serait
également sous cette pression que l’abréviation des prénoms est de-
venue systématique, que les prénoms sont rentrés, plus rapidement
qu’en osque en général, dans un système conventionnel et fixé où
chacun avait son abréviation18. Au contraire, d’autres échanges
culturels ont poussé, comme l’osque en général, à refuser la mention
explicite de la filiation.
Pour vérifier que c’est bien ce facteur juridique qui a poussé à la
généralisation du système gentilice, et non pas seulement une ten-
dance spontanée sur le modèle de l’osque en général, nous allons

La seule inscription républicaine du pays des Vestins Cismontani, soit


16

nord-osque soit latine, à présenter un prénom qui excède deux lettres est l’ins-
cription CIL I2 3267, une table de pierre qui mentionne un Sal. Caesienus [. Cette
forme de prénom, qui comprend trois lettres, peut elle-même être mise en rela-
tion avec les abréviations latines Sex ou Tib, elle ne contrevient donc pas véri-
tablement au caractère systématique et réglé des abréviations.
17
Nous renvoyons sur ce point aux relevés établis et aux conclusions tirées
par Lejeune 1976, p. 85-98 : M. Lejeune considère que les prénoms ne sauraient
être systématiquement abrégés à cause de leur nombre. Or ce nombre s’explique
précisément par l’adoption récente du système gentilice en osque à l’époque des
inscriptions.
18
De cepoint de vue, la forme Sal citée à la note 15 peut témoigner de l’adap-
tation à un système réglé d’abréviations d’un prénom en lui-même typiquement
nord-osque.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 325

examiner les données fournies par les autres peuples nord-osques,


les Vestins Transmontani, les Péligniens et les Marrucins, et cher-
cher à montrer que ces peuples qui sont restés simples socii de
Rome jusqu’en 88 avant notre ère ont généralisé plus tardivement le
système gentilice au détriment du système patronymique.

Chez les Vestins Transmontani, les Péligniens et les Marrucins,


ce sont les sources littéraires et elles seules qui indiquent quelques
anthroponymes antérieurs à l’extrême fin du IIe siècle avant notre
ère. Le plus ancien est Vibius Accaeus : il s’agit du commandant
d’une cohors Paeligna qui se signale par un exploit héroïque en 212
avant notre ère, contre un camp carthaginois près de Bénévent (Tite-
Live, Ab Vrbe condita, livre XXV, chapitre XIV, paragraphes 4 à 6 et
paragraphe 13, Valère-Maxime, Faits et dits mémorables, livre III,
chapitre 2, anecdote 20)19. Toujours pendant la Seconde Guerre Pu-
nique, Silius Italicus présente une famille marrucine (Guerre Pu-
nique, chant XVII, vers 451 à 471) 20. L’épisode se déroule en 202
avant notre ère, lors de la bataille de Zama : Herius, de Teate, futur
centre du municipe marrucin, est tué en combat singulier par Han-
nibal, et son frère Pleminius, qui tente de le venger, subit le même
sort. Ces deux anthroponymes marrucins sont selon nous très pro-
bablement historiques : Herius est le prénom d’Herius Asinius,
commandant marrucin de la Guerre Sociale en 90 avant notre ère, et
c’est aussi le prénom qu’Asinius Pollion, consul en 40 avant notre
ère, petit-fils d’Herius Asinius, a donné à l’un de ses fils 21. Le succès
de ce prénom dans ce qui est au Ier siècle avant notre ère la gens Asi-
nia doit renvoyer à la gloire du héros marrucin de la bataille de Za-
ma 22. Enfin, à la bataille de Pydna en 168 avant notre ère, le

19
La forme varie légèrement selon les leçons des manuscrits : chez Valère-
Maxime, tous les manuscrits donnent Vibius Accaeus, chez Tite-Live, où l’anthro-
ponyme figure deux fois, à la première occurrence, les manuscrits livrent Vibius
Acaus ou Vibius Acceus, à la seconde, Vibius Accaeus ou Vibius Acceus. Dans la
mesure où Acceus est une lectio facilior avec notation -e- pour -ae- et où Acaus
sans géminée est nécessairement une forme fautive, la bonne leçon est certaine-
ment Vibius Accaeus.
20
Une famille pélignienne apparaît en 216 avant notre ère lors de la bataille de
Cannes (Silius Italicus, La Guerre Punique, chant IX, vers 67 à 175) : elle se
compose d’un père Satricus, d’une mère Acca, et de deux fils Solimus et Mancinus.
L’épisode, qui voit le père prendre les armes d’un de ses fils morts et être tué par
l’autre, est légendaire. Mais le nom de la mère, Acca, qui est une forme bien attes-
tée au Ier siècle avant notre ère et qui s’apparente à la forme Accaeus attestée pour
212 avant notre ère, n’est sans doute pas imaginaire : à ce propos, cf. p. 332-334.
21
À ce sujet, cf. André 1949, p. 9.
22
Sur l’existence bien attestée du système gentilice chez les Marrucins au Ier
siècle avant notre ère, cf. p. 337. Sur la nature du lien entre Herius et les Asinii,
cf. notre analyse de la transition entre système patronymique et système gentilice
chez les Vestins Transmontani, les Péligniens et les Marrucins, p. 337.

.
326 EMMANUEL DUPRAZ

commandant des Péligniens s’appelle Saluius en latin, Sa¥loyiov en


grec (Frontin, Stratagèmes, livre II, chapitre VIII, paragraphe 5, Plu-
tarque, Vie de Paul-Emile, chapitre XX, paragraphe 1) : lui aussi est
mentionné à l’occasion d’un tentative héroïque du contingent pé-
lignien, qui, en l’espèce, se brise contre la phalange macédonienne.
La mention de ce personnage chez un auteur latin garantit que l’an-
throponyme est transmis fidèlement; le seul témoignage de Plu-
tarque pourrait renvoyer à la tendance des historiens grecs à se limi-
ter au prénom des personnages italiens.
Nous croyons donc que les sources littéraires livrent quatre an-
throponymes des IIIe et IIe siècles avant notre ère pour les pays des
Vestins Transmontani, des Péligniens et des Marrucins
Vibius Accaeus, anthroponyme pélignien, en 212 avant notre ère,
Herius et Pleminius, anthroponymes marrucins, en 202,
Saluius, anthroponyme pélignien, en 168.
Deux de ces anthroponymes sont nettement des noms uniques :
Herius et Pleminius sont deux frères, c’est-à-dire que les formes ci-
tées par Silius Italicus ne sont pas des gentilices que les deux frères
devraient partager, et Herius porte un nom qui est attesté à date plus
récente comme un prénom, c’est-à-dire qu’il ne s’agit pas d’un éven-
tuel cognomen. Dans ces conditions, Saluius, qui compose à lui seul
la formule onomastique du personnage et qui est lui aussi attesté à
date plus récente comme prénom 23, doit lui aussi être un nom
unique. Aussi nous semble-t-il qu’encore dans la première moitié du
IIe siècle avant notre ère, chez les Péligniens, les Marrucins et sans
doute les Vestins Transmontani qui ne sont pas attestés, le système
patronymique est encore en vigueur pour les anthroponymes :
chaque individu porte un nom unique, sans adjectif héréditaire pour
marquer la famille.
Ce nom unique peut ou non être précisé si besoin en est par la
mention du prénom du père. C’est ainsi que nous interprétons la
forme la plus ancienne, Vibius Accaeus : Accaeus, puisqu’il ne s’agit
pas d’un gentilice chez les Péligniens à cette date, doit être un ad-
jectif patronymique, qui précise que le père de Vibius, héros pé-
lignien, avait pour nom unique Acca 24.

Le système patronymique, selon nous, est encore en vigueur


chez les Péligniens, les Marrucins et sans doute les Vestins Trans-
montani dans la première moitié du IIe siècle avant notre ère. Toute-
fois, les anthroponymes qui nous paraissent attester ce fait sont peu

23
Ainsi, chez les Péligniens à l’époque républicaine, dans les inscriptions Po
210, CIL I2 1773, 2486, 3214, 3, 3221, et 3252a.
24
Sur ce nom unique, cf. notre étude p. 332 à 337.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 327

nombreux et leur transmission par des sources exclusivement litté-


raires n’est pas nécessairement fidèle. Il faut donc considérer les hy-
pothèses précédentes comme incertaines.
En revanche, peut-être se trouve-t-il encore des traces plus sûres
de ce système patronymique ancien dans les inscriptions républi-
caines, soit nord-osques soit latines, qui mentionnent des formules
onomastiques. Ces inscriptions sont plus récentes : elles sont attes-
tées à partir de la fin du IIe siècle avant notre ère et surtout du début
du Ier. Dans celles-ci, le système gentilice paraît au contraire généra-
lisé. On trouve des formules onomastiques au moins doubles 25. Le
premier élément est un prénom puisque, pour les hommes du
moins 26, il est très souvent abrégé en une ou deux lettres 27. Le se-
cond, à la suite du prénom, doit être un gentilice : il est le plus
souvent formé à partir des suffixes *-īo- et *-idio- 28 et de leurs issues

25
Des formules onomastiques complètes figurent sur les inscriptions sui-
vantes, datées de la toute fin du IIe siècle avant notre ère ou du Ier, CIL I2 796, 1773
à 1775, 1777 à 1785, 1787 à 1792, 1796 à 1801, 2233, 2486, 2544, 3211, 3213a, 3214
à 3223, 3224/5, 3226, 3228, 3230 à 3252, 3252a, 3253 à 3256, 3269 à 3271, Ve 202,
212, 213, 216, Po 210, 212, 215, AE 1984 no 309 à 313, 316, 324, AE 1988 no 427,
433, 438, AE 1989 no 251 à 253, 257, AE 1990 no 231, 234, 240, AE 1995 no 399 à
402, 404, 406 à 408, SI 1987 no 32, 65, 70, 73, 75, 77. Au total, ces inscriptions at-
testent cent-quatre-vingt-deux formules onomastiques d’époque républicaine
chez les Péligniens, les Marrucins et les Vestins Transmontani.
26
Une originalité de l’onomastique des Péligniens, des Marrucins et des Ves-
tins Transmontani – chez lesquels la situation est cette fois bien documentée – est
la manifestation fréquente d’un prénom dans les formules onomastiques fémi-
nines. Ces prénoms sont rarement abrégés. Cf. à ce sujet Poccetti 1982a, p. 330-
334.
27
Quelques prénoms sont abrégés en trois lettres, Sex (CIL I2 796 et 3255) –
mais il s’agit là d’une abréviation latine – Her (AE 1990 no 234), Min (CIL I2 3249),
Pac (CIL I2 3240, AE 1984 no 309 et 310), Pet (CIL I2 3233) et Pom (CIL I2 3259).
Ces abréviations, qui paraissent elles aussi régulières – l’exemple de Pac montre
qu’il s’agit bien d’une abréviation conventionnelle, la longueur limitée à trois
lettres de tous ces prénoms est certainement issue elle aussi d’une règle – ne
contreviennent pas au principe d’une liste désormais conventionnelle et fixée de
prénoms pourvus d’une abréviation. Un seul prénom masculin est donné dans
son intégralité : il s’agit de la formule onomastique Paci Decries (CIL I2 3219), de
Sulmo. L’absence de notation de l’-s à la fin du prénom n’est pas nécessairement
une abréviation, mais plutôt une convention graphique relative à cette consonne
en position finale. Précisément cette inscription, où le -d- est tracé vers la gauche
au rebours de toutes les autres lettres, a chance de dater plutôt de la fin du IIe
siècle avant notre ère que du Ier : elle livre donc une formule onomastique plus
ancienne que les autres que fournit l’épigraphie, cette formule peut dater d’un
temps où le système des prénoms n’est pas encore aussi codifié qu’il doit le deve-
nir.
28
L’inscription CIL I2 3270, de Pinna chez les Vestins Transmontani, atteste
un ethnique, et non un ancien patronyme, en fonction de gentilice, Q. Cosanus. Il
s’agit là d’un procédé sporadique de constitution de gentilices, connu tant en la-
tin qu’en osque parallèlement à l’emploi d’anciens adjectifs patronymiques : cf. à

.
328 EMMANUEL DUPRAZ

respectives en nord-osque et en latin 29. Par ailleurs, à la suite du gen-


tilice, figure souvent la filiation, l’indication du prénom du père, sui-
vie ou non de l’explicitation de la fonction de celui-ci par filius, ainsi
éventuellement qu’un cognomen.
Tous ces éléments, semblables à ceux que manifeste le pays des
Vestins Cismontani dès le IIIe siècle avant notre ère, sont caractéris-
tiques d’un système désormais bien réglé où les anciens adjectifs pa-
tronymiques sont désormais de véritables gentilices : les suffixes
*-idio- et *-īo-, sont caractéristiques d’anciens patronymes 30. Le nou-
veau système est plus réglé que le système osque puisque les pré-
noms y sont souvent abrégés, il témoigne donc de l’influence du sys-
tème latin. En revanche, si le suffixe *-īo-, commun avec l’osque en
général et avec le latin, n’est pas significatif, l’autre suffixe *-idio-,
qui ne se retrouve qu’en osque et en ombrien, montre que les patro-
nymes transformés en gentilices sous l’influence romaine avaient été
constitués dans un milieu en contact linguistique avec l’osque en gé-
néral, voire avec l’ombrien, plus qu’avec le latin. D’autre part, l’ab-
sence sur une partie des inscriptions nord-osques de la mention fi-
lius montre une influence de l’osque en général, comme chez les
Vestins Cismontani, dans le système gentilice qui se constitue.
Ainsi, la documentation épigraphique fournit chez les Péli-
gniens, les Marrucins et les Vestins Transmontani, à une date plus
tardive, des données qui paraissent voisines de celles du pays des
Vestins Cismontani, système local d’adjectifs patronymiques, in-
fluence romaine dans le passage au système gentilice, présence d’un
élément osque dans celui-ci avec l’absence fréquente de filiation ex-
plicite dans les inscriptions nord-osques. Cependant, si l’on admet
que le système patronymique a laissé des traces chez les trois
groupes de socii jusque dans la première moitié du Ie siècle avant
notre ère, plusieurs anomalies qui caractérisent les Péligniens, les
Marrucins et les Vestins Transmontani par rapport aux Vestins Cis-
montani deviennent significatives. Tout d’abord, l’influence latine
que manifeste la fixation du système des prénoms masculins n’a

ce sujet Rix 1972, p. 733-737. Par ailleurs, le suffixe *-ēno- est sporadiquement at-
testé : il fournit le gentilice Saluidienus, attesté à Corfinium par l’inscription SI
1987 no 77, lequel comporte une double suffixation, en *-idi-ēno-. Ce suffixe
commun avec l’ombrien ne contredit pas les conclusions auxquelles nous abou-
tissons selon lesquelles ce sont des adjectifs patronymiques locaux qui ont été
transformés en gentilices sous l’influence romaine. Cf. à ce sujet note 13. En
outre quelques anomalies font l’objet d’une étude dans la suite de l’exposé : cf.
p. 329 à 337.
29
Le suffixe *-idio- se comporte phonétiquement comme le suffixe *-īo- : à
ce sujet, cf. les remarques qui ont été faites pour les Vestins Cismontani, p. 323.
30
A ce sujet, cf. p. 323, pour le suffixe *-īo-, et Rix 1972, p. 723 et p. 725-727,
pour le suffixe *-idio-.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 329

pourtant pas empêché l’apparition de prénoms féminins, contraire-


ment à ce que manifeste l’épigraphie romaine 31 : le passage du nom
unique suivi éventuellement d’un patronyme à un prénom suivi d’un
gentilice a eu lieu aussi pour les femmes.
Par ailleurs d’autres éléments anomaux figurent encore dans ce
système gentilice au dernier siècle de la République, en nord-osque
comme en latin. Ainsi, l’épigraphie atteste quatre formules onomas-
tiques féminines dans lesquelles le gentilice paraît ne pas comporter
de suffixe : ce serait un gentilice à dérivation zéro. Il s’agit de
Vib. Ptruna (CIL I2 3246 = Ve 215q = Ri Pg 52), à Raiano près de Corfi-
nium,
]Pompona [ (CIL I2 3248), à Corfinium,
Licina Saluta (CIL I2 3257 = Po 205 = Ri MV 7), à Torre dei Passeri
chez les Vestins Transmontani,
Vara Sonti (CIL I2 3260 = Po 204 = RI MV 6), à Teate 32.

Les deux inscriptions de Licina Saluta et de Vara Sonti sont en


nord-osque; les deux autres, des épitaphes limitées au nom de la dé-
funte, ne relèvent guère d’une langue en particulier. Dans la pre-
mière inscription, Ptruna note [Petruna], avec notation syllabique,
c’est-à-dire que p- note une syllabe 33. Vibia est un prénom attesté par
ailleurs en pays nord-osque 34, et Ptruna se présente en position de
gentilice. La seconde inscription est fragmentaire : cependant la res-
titution Pompona[ea n’est pas certaine, dans le contexte des trois
autres gentilices que nous examinons ici; ce même contexte rend
probable un gentilice féminin. Dans la troisième inscription, Saluta,
prénom féminin par ailleurs bien attesté en pays de langue nord-
osque 35, est employé comme cognomen, et Licina est en fonction de
gentilice. Cette interprétation est permise par la formule onomas-
tique Aufidia Minata sur l’inscription CIL I2 3262 de Teate. Dans
celle-ci, Aufidia est un gentilice courant et Minata, en position de co-
gnomen, le correspondant féminin latinisé du prénom masculin d’é-
tymon *Minatos, attesté en osque en général et en particulier en
nord-osque dans l’inscription CIL I2 3249 de Raiano près de Corfi-
nium 36. Ainsi, les prénoms féminins ont pu être présentés épigra-

31
L’extrême rareté des anthroponymes féminins en osque en général em-
pêche de mesurer la singularité du nord-osque dans ce domaine : cf. Lejeune
1976, p. 57-59.
32
Il ne nous semble pas que le dessin sur lequel s’appuie l’édition de cette
inscription montre nettement un apex sur le premier -a- de Vara, contrairement à
la proposition du CIL I2 3260. Pour ce dessin, cf. La Regina 1965-1966, p. 179.
33
Pour une discussion complète de ce phénomène, cf. Vine 1993, p. 323-344.
34
Dans les inscriptions CIL I2 1790, 1791, 3234.
35
Dans les inscriptions CIL I2 1779, 1788, 3215, 3222, 3223, 3226, 3243.
36
La forme est Min. Rufries. Ou. l..

.
330 EMMANUEL DUPRAZ

phiquement comme des cognomina, sans doute pour se conformer


dans un deuxième temps au modèle latin qui ne prévoit pas de pré-
noms féminins, et Licina paraît fonctionner comme Aufidia. Dans la
quatrième inscription, Vara est qualifié par un génitif latin Sonti, qui
est un patronyme 37 : à cette date, l’inscription datant du Ier siècle
avant notre ère, Vara même n’est pas un nom unique, mais un genti-
lice pour une femme désignée à la latine sans prénom.
Diverses tentatives ont été faites pour lire *[Petrunia] dans la pre-
mière inscription et *[Licinia] dans la troisième, avec une ligature
entre -n- et un hypothétique -i- 38. Pour celle-ci, Attilio Degrassi, dans
la notice de l’inscription CIL I2 3257, observe que «hasta dextra litterae
N non nisi paululo altior est sinistra; ceterum quod ad altitudinem litte-
rarum attinet titulus non constanter sculptus est». Il nous semble que
le même scepticisme est nécessaire dans le cas de la forme Ptruna où
la seule étrangeté est l’absence de parallélisme exact entre les deux
hastes extrêmes de l’-n- : ceci ne suffit pas à supposer une ligature 39.
Ainsi, quatre formes féminines, faisant fonction de gentilice,
comportent une dérivation zéro, une absence de suffixe. Les corres-
pondants suffixés en *-īo- de ces formes féminines sont attestés dans
deux des quatre cas : la forme V. Peumpuni. A. est connue à Secinaro,
près de Superaequum (CIL I2 3256 = Po 217 = Ri Pg 26), il s’agit d’une
graphie difficile à interpréter, correspondant à un étymon *Pompō-
nios; la forme Petroni, sans notation de l’-s final, est connue à Tocco
da Casauria (CIL I2 3259 = Po 206 = Ri MV 3). Ces deux gentilices sont
des dérivés en *-īo-. Ainsi, au moins pour des femmes, une forme non
suffixée, c’est-à-dire un simple nom unique, peut-être employée
comme gentilice à l’instar d’un adjectif dérivé en *-īo-. À l’époque ré-
publicaine, la transition du système patronymique vers le système
gentilice s’est donc faite dans une confusion suffisante pour entraîner
des erreurs d’analyse lorsque le nouveau système était mis en œuvre :
on a pu penser qu’un deuxième nom unique, héréditaire, venait
compléter le premier, alors que dans la majorité des cas, on em-
ployait correctement un adjectif dérivé du type des anciens patro-
nymes 40.

Cf. à ce sujet La Regina 1965-1966, p. 175.


37

Cf. en particulier Lejeune 1975, note 2.


38

39
Encore moins est-il possible de supposer que la consonne simple, nasale
ou liquide, note une palatalisée, l’issue du traitement d’un groupe *-nj- ou *-rj- :
un tel groupe est noté par une géminée en sus du maintien de la lettre -i-, ainsi,
pour prendre un cas où la consonne géminée est une sonante, dans la forme Au-
filli avec un -s final non noté de l’inscription AE 1984 no 310, trouvée dans le voisi-
nage de Corfinium : la forme sans notation de la palatalisation, Aufilius, est éga-
lement attestée en pays nord-osque à l’époque républicaine, dans l’inscription AE
1995 no 407, de Corfinium.
40
Des phénomènes voisins sont observés par Rix 1972, p. 739, pour

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 331

Pour élucider l’origine exacte de la confusion à l’origine des gen-


tilices au moins féminins à suffixe zéro, il est nécessaire d’examiner
une deuxième série d’anomalies. Chez les Péligniens, les Marrucins
et les Vestins Transmontani sont connus des séries de gentilices déri-
vés d’une même base onomatopéique, qui présentent des suffixa-
tions diverses. Pour nous limiter aux formes sûres et attestées à date
républicaine, ces gentilices se trouvent dans les formules onomas-
tiques 41

Saluta. Acca. L (CIL I2 1779 = Ve 215f = Ri Pg 32), de Corfinium,


] Accaes. L. Post (Po 212 = Ri Pg 36), de Sulmo,
As. Acaes. L. L. (CIL I2 3228 = Po 209 = Ri Pg 50)
L. Accauo. L. L. Protogene (CIL I2 3217), de Fonte d’Amore près de
Sulmo, au datif,
L. Accau [ (CIL I2 1778), de Corfinium,
C. Accaus et son père ou son patron, au génitif, Acai. P. (SI 1987 no 29
= AE 1988 no 427), de Vittorito près de Corfinium,
C. Accaus. C. f. Cimber et son épouse 42 Acca (CIL I2 3258), des envi-
rons de Pescosanconesco chez les Vestins Transmontani,
T. Ammaus. P. f. Nerua (CIL I2 1797), de Secinaro près de Super-
aequum,
C. Anaes (CIL I2 3230 = Ve 214 = Ri Pg 10), de Corfinium,
Brata. Ania (CIL I2 3213a = Ri Pg 15), de Sulmo,
Vib. Ania. Mar (CIL I2 3234 = Ve 215e = Ri Pg 33), de Corfinium,
V. Aniaes. V. Calauan (CIL I2 3231 = Ve 215h = Ri Pg 38), de Raiano
près de Corfinium,
C. Anniaes. C. Char (CIL I2 3232 = Ve 215i = Ri Pg 39), de Corfinium
] Aniaua. T. [ (Po 215 = Ri Pg 30), de Bugnara près de Sulmo,
L. Anies. Pet. Graex (CIL I2 3233 = Po 208 = Ri Pg 40), de Vittorito près
de Corfinium,
T. Annius T. f. Rufus et son frère L. Annius. T. f. Gritto (CIL I2 1794),
de Prezza près de Corfinium,
Sa. Aties [ (Po 210 = Ri Pg 35), d’Introdacqua près de Sulmo,
L. Attio. L. f. Raponi (CIL I2 1802), de Torre de Passeri chez les Vestins
Transmontani, au datif.

l’étrusque : «Im Etruskischen sind seit Beginn der Überlieferung in steigendem


Ausmaß Individualnamen ohne zusätzliche äußere Kennzeichnung als Gentilna-
men verwendet worden». Rix 1972, p. 749 et 750, en conclut que le système genti-
lice est en étrusque un emprunt à une langue étrangère, car «Die Etrusker hätten
dann bei der Entlehnung des Systems dessen funktionelle Seite über die etymolo-
gische gestellt, indem sie als Gentilnamen nicht nur Patronymika, sondern von
Anfang auch andere Wörter und Namen verwendeten, die für die Angabe der Fa-
milienzugehörigkeit das gleiche leisteten».
41
Toutes les formes qui figurent dans le présente tableau sont au nominatif,
sauf mention contraire.
42
Le terme d’uxor est mentionné par l’inscription elle-même.

.
332 EMMANUEL DUPRAZ

À ces formes épigraphiques il faut ajouter Vibius Accaeus,


commandant pélignien en 212 avant notre ère, où Accaeus est selon
nous un patronyme 43, et Gaius Attius Paelignus, notable de Sulmo
partisan de Pompée en 49 avant notre ère (César, Guerre Civile, livre
I, chapitre 18, paragraphes 1, 3 et 4, Cicéron, Ad Atticum, livre VIII,
lettre 4, paragraphe 3), connus par des sources littéraires.

Les neuf premiers gentilices, ainsi que le patronyme Accaeus, se


rattachent tous à une base *Acca-, le suivant, à une base *Amma-,
les neuf suivants, à une base *Anna-, et les deux derniers à une base
*Atta-, et toutes ces bases sont de la même structure phonétique :
c’est ce que nous allons tenter de montrer, en recherchant aussi l’ori-
gine des variantes suffixales nombreuses que présentent ces anthro-
ponymes.
Pour la base *Acca-, constituée de la voyelle [a], d’une consonne
géminée et d’une deuxième voyelle [a], les formes nord-osques sont
Accaes et Acaes, c’est-à-dire deux variantes avec ou sans notation de
la géminée 44. La forme que prend le suffixe *-īo- après voyelle, en
osque en général, est variable 45 ; cependant la graphie -aes corres-
pond sans doute à -aís de l’osque en général 46, c’est-à-dire au traite-
ment phonétique d’un groupe plus ancien *-aīo- en syllabe finale.
Les formes nord-osques sont donc bien des dérivés avec le suffixe
*-īo- d’une base *Acca-, qui, étant un ancien nom unique, était mas-
culine et ressortissait au paradigme masculin de la déclinaison al-
phathématique osque 47 : la graphie note [Accaés], avec syncope de la
voyelle thématique finale, mais cette forme tend à se prononcer
[Accaīs] avec réunion des deux voyelles en une seule diphtongue 48.
Les correspondants latins épigraphiques de ce gentilice pré-
sentent synchroniquement une dérivation en *-ūo- ou une dériva-
tion à suffixe zéro, les formes sont ambiguës puisque le nominatif
est Accaus, le datif Accauo : il peut a priori s’agir dans le second cas

43
Au sujet de ce personnage, cf. p. 325. – Peut-être faut-il ajouter encore le
nom unique Acca d’un Pélignienne en 202 avant notre ère, selon Silius Italicus, si
le personnage est historique : à ce sujet cf. note 20.
44
La graphie du nord-osque ne note pas toujours les géminées, ainsi dans la
forme coisatens (Ve 216), de Molina près de Superaequum, parfait en *-ātt- pour
lequel les correspondants osques en général attestent une géminée.
45
Cf. à ce sujet Lejeune 1976, p. 79 à 82.
46
De même qu’aetatu (Ve 213) et aetate (Ve 214), à Corfinium, correspondent
à aítateis (Ve 123) en osque en général.
47
Ce paradigme a été analysé à propos d’un prénom Maras par Lejeune
1975.
48
Un pareil flottement est brièvement analysé par Lejeune 1976, p. 81 : la
lettre -i- en osque en général, dans les suffixes de gentilice, lorsqu’elle est précé-
dée d’une voyelle, tend à s’écrire -í- comme un second élément de diphtongue, ce
qui renvoie certainement à une confusion phonétique.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 333

de la notation graphique d’un son de transition, avec dérivation à


suffixe zéro, ou bien, dans le premier, de l’absence de notation d’un
graphème -u- pour éviter sa répétition, avec dérivation en *-ūo-. Le
parallèle avec les formes osques montre, selon nous, qu’il s’agit au
moins originellement d’une dérivation zéro. En effet les formes
osques ne manifestent pas trace de suffixe en *-ūo-. Celui-ci, s’il
existe, est donc exclusivement latin, ce qui nous paraît exclu : il
n’existe pas de suffixe *-ūo- en latin pour des gentilices 49. Ainsi,
quelle qu’en soit l’explication linguistique 50, le gentilice, en latin, ne
présente pas de suffixe *-īo-, ni aucun autre suffixe de dérivation, si-
non la flexion thématique elle-même. Ce gentilice latin est donc ano-
mal dans le système des gentilices latins au même degré que Ptruna,
Pompona, Licina, Vara. Inversement, la forme littéraire d’adjectif pa-
tronymique Accaeus est le correspondant latin d’Accaes compris se-
lon son étymologie, avec application en latin comme en nord-osque
du suffixe *-īo- sur la base alphathématique, et diphtongaison du
groupe [-aī-], où pour des raisons morphologiques de respect du suf-
fixe la semi-voyelle ne disparaît pas entre voyelles.

49
Autre analyse de -uo- chez van Wonterghem 1975, p. 13-15, qui songe à un
suffixe illyrien *-aūo-. Une telle analyse suppose que parmi les gentes nord-
osques, certains membres ont choisi de se rattacher par la morphologie de leur
gentilice à des origines illyriennes, et d’autres non, puisqu’au moins dans le cas
des Accaui et des Annii, la plupart des formes attestées, voire la totalité, pro-
viennent d’une seule et même gens – à ce sujet, cf. p. 337. Ceci nous paraît très
peu probable : l’archéologie, non plus que l’épigraphie ni les sources littéraires, à
l’exception d’un mythe de fondation attesté par Festus (De Verborum significatu,
page 248 de l’édition de Lindsay), ne montrent aucun lien direct entre le pays
nord-osque et l’Illyrie; d’autre part de telles variantes doivent bien plus ressortir à
une difficulté linguistique qu’à un choix politique, puisqu’elles n’apparaissent
qu’en latin.
50
L’explication linguistique de l’apparition de ces formes à dérivation zéro
doit tenir compte du fait qu’elles sont exclusivement latines. Selon nous, il se
peut que le nominatif latin Accaus corresponde en synchronie, dans la
conscience linguistique des locuteurs bilingues, au nominatif osque Accaes où -e-
est analysé comme une voyelle désinentielle, contractée avec l’[a], et non comme
la marque d’un ancien suffixe en [ī]. En effet, Accaes peut-être interprété sur le
modèle des nombreux patronymes puis gentilices où le nominatif singulier est en
-ie- et non en -i- en nord-osque : cette double désinence au nominatif singulier
des gentilices est l’effet de l’opposition entre la variante *-iīo- et la variante *-īo-
respectivement du suffixe *-īo-, mais l’origine de cette opposition n’est plus sen-
sible synchroniquement en osque en général, les deux désinences se présentent
comme des variantes libres, surtout après voyelle, et la désinence -ie- paraît
comporter une voyelle désinentielle qui est absente de sa variante -i-, d’où des ré-
fections : à ce sujet, cf. Lejeune 1976, p. 79-82. Ainsi, sur le modèle de l’opposi-
tion entre variantes libres -ie- et -i-, l’-e- d’Accaes est compris comme une voyelle
désinentielle : la forme paraît dénuée de suffixe de dérivation, elle paraît une va-
riante libre de la forme de base *Accas, perçue comme thématique elle aussi
comme les gentilices en -is.
-ies : -is = Accaes : *Accas.

.
334 EMMANUEL DUPRAZ

Au féminin, la forme Acca, qui est bel et bien un gentilice 51, pré-
sente nettement, elle aussi, une dérivation zéro, sur le modèle du
masculin. Au masculin, en latin, la flexion thématique est appliquée
directement à la base *Acca-, sans suffixe de gentilice. Au féminin, le
gentilice une fois considéré comme dépourvu de suffixe, la flexion
alphathématique est appliquée directement. Or la base patrony-
mique *Acca- est elle-même alphathématique : au féminin, on se li-
mite à décliner cette base sur la flexion alphathématique féminine et
non plus masculine.
La base *Amma-, constituée elle aussi de la voyelle [a], d’une
consonne géminée, et d’une deuxième voyelle [a], est attestée par
une seule forme, latine 52. Cette forme aussi, Ammaus, note certaine-
ment une dérivation zéro, au moins en synchronie, sur la base *Am-
ma-, avec flexion thématique pour marque de genre. *Amma- doit
être la base d’un nom unique masculin alphathématique comme
*Acca-.
La base *Anna- pour sa part, elle encore constituée d’une
consonne géminée précédée et suivie de la voyelle [a], fournit des
formes de gentilice diverses et significatives : ici les formes nord-
osques varient, Anies, Aniaes et Anniaes. Les deux dernières sont des
variantes graphiques, selon que la géminée est notée ou non. La pre-
mière des trois formes présente le suffixe *-īo-, appliqué à une base
qui ne fait pas montre d’un ancien [a] final : en revanche, les deux
autres présentent à la fois le suffixe *-īo- sur base sans [a] final et le
graphème -ae- qui note l’application du suffixe *-īo- à la même base
avec [a] final. Il s’agit donc de formes refaites, recaractérisées, qui
comportent deux fois le suffixe caractéristique des adjectifs patrony-
miques puis des gentilices : elles concilient à la fois une dérivation
en *-īo- sur la base élidée *Ann- et cette même dérivation en *-io- sur
la base non élidée *Anna-. Encore une fois, la forme de base est donc
certainement un nom unique masculin alphathématique de base
*Anna-. La forme latine Annius est la transposition de la forme déri-
vée nord-osque en *-īo- sur la base élidée.
La forme féminine Ania correspond elle aussi à cette dérivation
sur base élidée, sans notation de la géminée; quant à la forme
Aniaua, elle est le féminin d’une forme à double dérivation, recarac-

51
Dans l’inscription CIL I2 1779, Acca figure après le prénom féminin Saluta
– au sujet de ce prénom, cf. p. 329 et note 35 – et avant l’initiale du prénom du
père au génitif; dans l’inscription CIL I2 3258, Acca est l’épouse d’un affranchi Ac-
caus, c’est-à-dire qu’elle est l’affranchie du même patron et que son nom est la
forme féminine du gentilice de celui-ci.
52
Cette forme a l’utilité d’attester le type des gentilices sur base à consonne
géminée précédée et suivie d’une voyelle [a] sur le territoire du futur municipe de
Superaequum : celui-ci ne se distingue pas sur ce point du reste du pays pé-
lignien. Cf. un autre point de vue chez Poccetti 1982b, p. 26.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 335

térisée : elle comporte le suffixe *-īo- sur base élidée, mais elle
comporte aussi ce qui se présente synchroniquement comme un suf-
fixe *-ūo- Ceci s’explique par comparaison avec un masculin latin
qui serait *Annaus, c’est-à-dire une forme à dérivation zéro et
flexion thématique sur la base *Anna-. Dans cette forme masculine
le son de transition [ū] est réinterprété comme un phonème et
comme la marque d’un suffixe *-ūo-. Ainsi, ce qui est originellement
une dérivation zéro prend la forme synchronique d’un suffixe ano-
mal en latin pour former un gentilice, d’où *Annaua. D’autre part ce
suffixe anomal est appliqué comme une recaractérisation, dans la
forme Ania-ua, laquelle comporte déjà le suffixe *-īo-.
Nous rangeons les formes Aties, Attio et Attius, les unes notant la
consonne géminée, l’autre non, dans la même catégorie. Toutes
deux sont des dérivations régulières, au moyen du suffixe *-īo-,
d’une base qui se présente synchroniquement comme Att-. Pourtant
la base était sans doute *Atta- initialement, puisqu’il doit s’agir du
nom unique masculin Atta connu comme le prénom d’Atta Clausus,
Sabin installé à Rome qui fonda la gens Claudia à la fin du VIe siècle
avant notre ère 53. Ce personnage prit à Rome le nom d’Appius Clau-
dius : il adapta le nom Atta sous la forme latine la plus proche, la-
quelle coïncide presque avec un dérivé en *-īo- sur la base élidée
*Att-, au point d’articulation de l’occlusive géminée près. De même,
les gentilices Aties et Attio doivent être des dérivés en *-īo- d’un nom
unique masculin alphathématique de base *Atta-.
L’ensemble de ces formes permet donc de poser l’existence en
nord-osque, et principalement en pays pélignien, d’une série de
noms uniques masculins alphathématiques constitués de manière
onomatopéique : ils comportent la voyelle [a], une consonne gémi-
née, et la voyelle alphathématique. Les formes attestées de manière
certaine ou très probable sont *Acca-, *Amma-, *Anna- et *Atta-. En
nord-osque comme en latin, lorsqu’il s’agit de former des gentilices à
partir de ces noms uniques, le suffixe *-īo- est mis en œuvre, soit sur
la base élidée, soit sur la base alphathématique elle-même. Toutefois
des réfections et métanalyses, quelle qu’en soit l’origine linguistique,
ont lieu : soit le gentilice est recaractérisé, soit au contraire il est re-
fait sous la forme d’un gentilice à dérivation zéro. Apparaissent
donc, tant en osque qu’en latin, des formes à double suffixe, des

53
Ce personnage est connu par des sources littéraires, qui, exceptionnelle-
ment, sont attentives aux différences dialectales entre peuples de l’Italie centro-
méridionale, au point de citer à la fois la forme sabine et la forme latine de son
nom (Tite-Live, Ab Vrbe Condita, livre II, chapitre XVI, paragraphe 3, cite la
forme sabine Attius Clausus et la forme latine Appius Claudius; Suétone, Vie de
Tibère, chapitre I, cite la forme Atta Claudio, sans précision, à l’ablatif).

.
336 EMMANUEL DUPRAZ

formes à suffixe zéro, et des formes régulières où le suffixe *-īo- est


appliqué soit à une base élidée, soit à la base alphathématique elle-
même. Dans cette situation particulièrement complexe, les bases pa-
tronymiques onomatopéiques peuvent donner quatre formes de gen-
tilice différentes 54.
C’est probablement sur le modèle fourni par les bases onomato-
péiques qu’apparaît la possibilité de fabriquer des gentilices à déri-
vation zéro, illustrée par les formes Ptruna, Pompona, Licina et Va-
ra : selon nous, il est possible d’expliquer ainsi pourquoi ces quatre
formes sont féminines. En effet, dans les bases onomatopéiques,
c’est au féminin que la possibilité de constituer des gentilices à déri-
vation zéro est la plus nette. Au masculin, les gentilices à dérivation
zéro fabriqués sur base onomatopéique ont la déclinaison théma-
tique sur base en [a], ce qui les expose à être réinterprétés comme
pourvus d’un suffixe [ūo], le son de transition entre les deux voyelles
pouvant être interprété comme un phonème. Ces formes étymolo-
giquement à suffixe zéro, en synchronie, peuvent être interprétées
comme des formes dérivées. Au féminin, une telle possibilité n’existe
pas, le féminin à dérivation zéro se confond avec la forme alphathé-
matique originelle et ne peut être réinterprété comme une forme
suffixée. Ainsi, le genre féminin des formes Ptruna, Pompona, Licina
et Vara n’est pas fortuit, mais phonétiquement conditionné par la
structure des bases onomatopéiques en [a] final sur le modèle des-
quelles ces formes sont formées.

54
En sud-picénien, dialecte documenté en pays nord-osque à l’époque ar-
chaïque, des formes correspondantes apparaissent. Le sud-picénien est attesté
chez les Vestins Cismontani par l’inscription du Guerrier de Capestrano, Ri Sp
AQ 2, chez les Péligiens par les inscriptions de Casteldieri, Ri Sp AQ 1 et 3, et chez
les Marrucins ou les Vestins Transmontani probablement par l’inscription
conservée à Chieti Ri Sp CH 2. À cette liste, peut-être faut-il ajouter une inscrip-
tion des environs de Sulmo : cf. Marinetti 1985, p. 261-264. Ce dialecte attesté
dans la future aire nord-osque présente des bases onomatopéiques constituées
d’un [a] puis d’une consonne géminée puis de la voyelle alphathématique, déri-
vées au moyen du suffixe *-īo- : ainsi peuvent éventuellement être interprétées les
formes alies ou apies, sur l’inscription Ri Sp TE 2, anaiùm, sur l’inscription Ri
Sp AP 1, aniom sur l’inscription Ri Sp CH 2, probablement originaire du pays
nord-osque, apaes, sur l’inscription Ri Sp MC 1, apais, sur l’inscription Ri Sp MC
2, apaiùs, sur l’inscription Ri Sp AP 2, apies ou apiese, sur l’inscription Ri Sp TE
4, toutes en alphabet sud-picénien. Ces formes paraissent attester pour l’époque
archaïque l’existence des bases onomatopéiques des époques plus récentes, en
l’occurrence *Alla-, *Anna-, *Appa-; celles-ci paraissent dès l’époque archaïque
susceptibles d’une dérivation au moyen du suffixe *-īo- soit sur base élidée, soit
sur base pourvue de sa voyelle alphathématique. Toutefois, l’emploi de ces
formes est incertain et n’est pas nécessairement onomastique. – Toutes les ins-
criptions sud-picéniennes pour lesquelles nous renvoyons au corpus de Rix 2002
figurent également dans le corpus de Marinetti 1985, sous la même référence
moins la mention Sp.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 337

Les formes onomatopéiques diverses que nous avons tenté d’a-


nalyser sont d’autant plus significatives d’un point de vue historique
qu’elles appartiennent souvent, sur deux des quatre bases au moins,
à des membres d’une même famille. La gens Accaua est la plus no-
table des familles de Corfinium, de nombreux affranchis s’y rat-
tachent, les Accaui sont des propriétaires de vignobles qui s’étendent
jusque dans le pays des Vestins Transmontani 55. L’unité de la gens
Annia est moins facile à établir, mais au moins les trois tombes à
chambre de la grande nécropole de Corfinium dont les épitaphes ont
livré les noms C. Anaes, Vib. Ania. Mar, et C. Anniaes. C. Char
doivent appartenir à la même famille.
Quoi qu’il en soit, les éléments que nous avons tenter d’analyser
nous paraissent montrer que le système gentilice chez les Péligniens,
les Marrucins et les Vestins Transmontani, est un emprunt récent au
système latin à la date où nous le saisissons, c’est-à-dire pour l’essen-
tiel au Ier siècle avant notre ère, après la Guerre Sociale 56. C’est parce
qu’il s’agit d’un système d’emprunt, dont les principes morpholo-
giques ne sont pas nets, que les gentilices du type d’Accaes ont donné
naissance à une série productive, tant en nord-osque qu’en latin, de
gentilices à dérivation zéro d’une part, de gentilices recaractérisés
d’autre part : les causes linguistiques, quelles qu’elles soient, n’ont
pu exercer de tels effets que dans un système qui était morpholo-
giquement immotivé, contrairement sans doute à l’ancien système
patronymique. Le système gentilice s’est mis en place dans la confu-
sion, sous une influence diffuse de l’onomastique romaine, d’une
manière très différente de ce qu’attestent les données des Vestins
Cismontani, inscrits très tôt dans le cadre fixe des tables du cens. Le

55
A propos des activités de la gens Accaua, cf. van Wonterghem 1975, p. 12-21.
56
Il semble que lors de l’adoption du système gentilice, c’est parfois le patro-
nyme d’un ancêtre prestigieux qui a été adopté pour gentilice et non celui du père
proprement dit. Ainsi le gentilice Accauus doit selon nous renvoyer à l’un des per-
sonnages du IIIe siècle avant notre ère qui portait ce nom unique, soit le père de
Vibius Accaeus, soit Acca, la Pélignienne mentionnée par Silius Italicus pour 202
avant notre ère, si ce personnage est historique : cf. p. 325 et note 20 respective-
ment pour ces personnages. Il est étrange qu’Acca, nom unique féminin, soit le
seul des quatre anthroponymes mentionnés par Silius Italicus à être attesté par
ailleurs en pays pélignien à l’époque républicaine. Peut-être le personnage est–il
historique, mais s’agissait-il d’un homme, non d’une femme, dont le nom, thème
alphathématique masculin, mal interprété par la suite, aurait été dans un
deuxième temps compris comme celui d’une femme et inclus dans le mythe cité
par Silius Italicus. Le personnage masculin originel était peut-être le père de Vi-
bius Accaeus.
Le cas de la gens Asinia montre, nous semble-t-il, qu’un héros prestigieux an-
cien n’est pas toujours le personnage dont le patronyme est repris comme genti-
lice : cette gens descend peut-être d’Herius, héros de la bataille de Zama, mais le
nom unique de celui-ci est repris comme prénom de famille dans la gens Asinia,
et non comme gentilice. À ce sujet, cf. p. 325.

.
338 EMMANUEL DUPRAZ

lien chronologique entre la mise en place de ce système et la munici-


palisation, c’est-à-dire l’entrée dans la cité de Rome et dans les tables
du cens, est difficile à établir : certes, après 88 avant notre ère, les
Péligniens, les Marrucins et les Vestins Transmontani sont citoyens
romains optimo iure, mais l’entrée en vigueur effective de ce statut a
pu être plus tardive. La nécessité de prendre officiellement un genti-
lice a dû ajouter encore à une confusion déjà antérieure, les plus an-
ciens gentilices attestés chez les Péligniens, les Marrucins et les Ves-
tins Transmontani paraissant plus anciens que 90 avant notre ère.
Au contraire, les Vestins Cismontani, qui ont pu passer par de pa-
reilles hésitations au début du IIIe siècle, n’en livrent pas trace à date
historique. Ainsi, chez les Vestins Transmontani, les Marrucins et
surtout les Péligniens qui fournissent le plus grand nombre des don-
nées, se manifeste, en même temps que le maintien de la langue na-
tionale, l’adoption confuse de la culture romaine à l’époque de la
municipalisation et déjà avant celle-ci, qui s’exerce sans plan d’en-
semble ni modèle précis, mais non sans entraîner de profondes
transformations.

Emmanuel DUPRAZ

ABRÉVIATIONS BIBLIOGRAPHIQUES

André 1949 = J. André, La vie et l’œuvre d’Asinius Pollion, Paris, 1949.


Buonocore 1987 = M. Buonocore, Corfinium, in Supplementa italica, Rome,
1987, p. 95-222.
Cianfarani 1956 = V. Cianfarani, Touta Marouca, in Studi in onore di Aristide
Calderini e Roberto Paribeni, t. III, Milan, 1956, p. 311-327.
La Regina 1965-1966 = A. La Regina, Sacracrix herentatia = C.I.L. IX 3032, in
Atti della accademia pontaniana, nouvelle série, 1965-1966, vol. XV,
p. 173 à 179.
La Regina 1968 = A. La Regina, Ricerche sugli insediamenti vestini, in Atti
della Accademia nazionale dei lincei – memorie – classe di scienze morali,
storiche e filologiche, VIIIe série, vol. XIII, 1968, p. 360-446.
Lejeune 1975 = M. Lejeune, Le Prénom Maras et la première déclinaison
osque, in Revue de Philologie, t. XLIX, fasc. 2, 1975, p. 181 à 190.
Lejeune 1976 = M. Lejeune, L’anthroponymie osque, Paris, 1976.
Marinetti 1985 = A. Marinetti, Le iscrizioni sudpicene, t. I, Testi, Florence,
1985.
Meiser 1986 = G. Meiser, Lautgeschichte der umbrischen Sprache, Innsbruck,
1986.
Poccetti 1979 = P. Poccetti, Nuovi documenti italici a complemento del Ma-
nuale di E. Vetter, Pise, 1979.

.
HYPOTHÈSES SUR LES ORIGINES 339

Poccetti 1982 a = P. Poccetti, Bemerkungen zu den paelignischen Personenna-


men, in Beiträge zur Namenforschung, vol. 17, 1982, p. 329-342.
Poccetti 1982 b = P. Poccetti, L’area superequana nel quadro della docu-
mentazione dialettale peligna, Castelvecchio Subequo, 1982.
Rix 1972 = H. Rix, Zum Ursprung des römisch-mittelitalischen Gentilnamen-
systems, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, Ière partie, Von
den Anfängen Roms bis zum Ausgang der Republik, vol. II, Berlin-New
York, 1972, p. 700-758.
Rix 2000 = H. Rix, Wie weit können wir Livius trauen? Römische Früh-
geschichte, Annalenkritik und Sprachwissenschaft, in Dialog Schule und
Wissenchaft – Klassische Sprachen und Literaturen, t. XXXIV, 2000,
p. 106-125.
Rix 2002 = H. Rix, Sabellische Texte, Heidelberg, 2002.
Sommella 1995 = P. Sommella, Il culto di Apollo a Peltuinum città dei Vesti-
ni, in Mélanges Raymond Chevallier, vol. 2, t. 2, Tours, 1995, p. 279-291.
Vetter 1953 = E. Vetter, Handbuch der italischen Dialekte, t. I, Heidelberg,
1953.
Van Wonterghem 1975 = F. Van Wonterghem, Antiche genti peligne, Sulmo-
na, 1975.
Van Wonterghem 1984 = F. Van Wonterghem, Superaequum, Corfinium,
Sulmo, in Forma Italiae, regio IV, vol. I, Florence, 1984.
Vine 1993 = B. Vine, Studies in archaic latin inscriptions, Innsbruck, 1993.

.
FABRICE POLI

L’ANTHROPONYMIE OSQUE
DONNÉES QUANTITATIVES ET QUALITATIVES
POSTÉRIEURES À L’OUVRAGE DE MICHEL LEJEUNE (1976)

Introduction
Les années qui viennent de s’écouler ont vu la publication de
deux importantes monographies consacrées aux études italiques,
l’une ayant trait au lexique1 et l’autre à l’épigraphie 2. En ce qui
concerne l’anthroponymie, V. Slunečko a présenté une importante
contribution 3, mais qui ne se veut pas une étude systématique mais
un catalogue de tous les anthroponymes italiques. Pour la langue
osque en particulier, l’unique étude existante demeure donc celle du
regretté Michel Lejeune 4. Presque trente ans après sa parution, il
nous a paru intéressant de dresser un bilan de nos acquisitions et de
se demander si ces dernières sont de nature à confirmer ou à infir-
mer les schémas dessinés par M. Lejeune. Pour chacune des catégo-
ries considérées, nous sommes parti des données de M. Lejeune que
nous avons comparées avec nos acquis épigraphiques des trente der-
nières années. Certaines des données statistiques du manuel de
M. Lejeune – au demeurant peu nombreuses – ont été corrigées par
nous en fonction de nouvelles données disponibles sur les inscrip-
tions traitées par lui (corrections de lecture notamment).
Notre étude se voulant à la fois quantitative et qualitative, nous
proposons tout d’abord trois tableaux qui permettent de présenter
les données chiffrées des deux répertoires, celui dont disposait Mi-
chel Lejeune, à l’époque où il rédigea sa synthèse, et celui qui re-
groupe les inscriptions mises à jour après cette date.
L’on signalera, pour clore ces préliminaires, qu’afin de ne pas

1
J. Untermann, Wörterbuch des Oskisch-Umbrischen, Heidelberg, 2000.
2
H. Rix, Sabellische Texte. Die Texte des Oskischen, Umbrischen und Süd-
pikenischen, Heidelberg, 2002.
3
V. Slunečko, Beiträge zur altitalischen Onomastik, dans Listy Filologické,
CXV, 1992, p. 36-109.
4
M. Lejeune, L’anthroponymie osque, Paris, 1976.

.
342 FABRICE POLI

alourdir nos considérations par des références infinies, nous nous


sommes contenté d’illustrer à l’aide d’exemples – non exhaustifs – les
seuls faits postérieurs à la synthèse de M. Lejeune. Pour son propre
corpus, nous renvoyons tout naturellement à son ouvrage, dont nous
donnons les références des paragraphes.

PREMIÈRE SECTION : LES DONNÉES DU MANUEL


DE M. LEJEUNE
A. HOMMES À DEUX NOMS OU PLUS : 226

1. Magistrats locaux : 66
1.1. Campanie : 29
1.2. Samnium : 18
1.3. Frentans : 2
1.4. Lucanie : 8
1.5. Messine : 2
1.6. Monnaies de provenance incertaine : 7

2. Magistrats fédéraux : 3
Monnaies de la guerre Sociale : 3

3. Officiers pompéiens : 5
Inscriptions eítuns : 5

4. Possesseurs capouans de iúvilas : 14


iúvilas anciennes et récentes : 14

5. Tuiliers et potiers : 37
5.1. Campanie : 24
5.2. Samnium : 3
5.3. Lucanie : 2
5.4. Messine : 1

6. Personnages des defixiones : 31

7. Autres hommes : 77
7.1. Campanie : 35
7.2. Samnium : 17
7.3. Frentans : 3
7.4. Lucanie : 7
7.5. Bruttium : 3
7.6. Messine : 2
7.7. Origine méridionale imprécise : 10

.
L’ANTHROPONYMIE OSQUE 343

B. FEMMES : 5

1. De condition libre : 4
1.1. Campanie : 3
1.2. Samnium : 1

2. De condition servile : 1
Samnium : 1

C. HOMMES A NOM UNIQUE : 29

1. Campanie : 21
2. Bruttium : 7
3. Lucanie : 1

DEUXIÈME SECTION – LES DONNÉES POSTÉRIEURES


À M. LEJEUNE

A. HOMMES À DEUX NOMS OU PLUS : 240

1. Magistrats locaux : 46
1.1. Campanie : 7
1.2. Samnium : 37
1.3. Lucanie : 2

2. Tuiliers et potiers : 138


2.1. Campanie : 30
2.2. Samnium : 89
2.3. Frentans : 2
2.4. Lucanie : 3
2.5. Bruttium : 5
2.6. Daunie : 3
2.7. France : 3
2.8. Sicile (non mamertine) : 2
2.9. Origine méridionale imprécise : 1

3. Personnages des defixiones : 40

4. Autres hommes : 16

4.1. Campanie : 4
4.2. Samnium : 5
4.3. Lucanie : 7

.
344 FABRICE POLI

B. FEMMES : 5

1. Campanie : 1
2. Lucanie : 3
3. Daunie : 1

C. HOMMES À NOM UNIQUE :5

1. Campanie : 4
2. Samnium : 1

COMPARAISON CHIFFRÉE DES DEUX RÉPERTOIRES

Lejeune Après-Lejeune

Hommes à deux noms ou plus 86.9% 96%


Femmes 1.9% 2%
Hommes à nom unique 11.1% 2%
Prénoms 30.9% 27.7%
Gentilices 64.1% 70.7%
Cognomina 5% 1.5%

La comparaison des deux répertoires, telle que schématisée


dans le tableau synoptique ci-dessus, met en lumière un remar-
quable parallélisme : les deux ensembles se superposent en effet
presque parfaitement. Cette égalité rend l’étude qualitative d’autant
plus intéressante, parce que, attendu qu’elle se fonde sur deux cor-
pus numériquement égaux, les divergences – s’il y en a – n’en seront
que plus pertinentes et visibles.

1. STRUCTURE DE LA FORMULE ANTHROPONYMIQUE

1.1. Le noyau fondamental : prénom + gentilice

Données connues de Lejeune (§ 31-38) 5


Cette structure est celle qui est portée par 226 hommes libres, ce
qui présente 88.6% de la documentation. Les exceptions à cette règle
sont au nombre de 29, représentant donc 11.3% et se distribuent
dans les catégories suivantes :

5
Les paragraphes renvoient au manuel de M. Lejeune cité note 4. Cette
mention ne sera pas rappelée par la suite.

.
L’ANTHROPONYMIE OSQUE 345

– Documents anciens remontant à un usage pré-gentilice : Lucanie : 1


Campanie : 6
– Estampilles de tuiliers (en vertu d’une coutume locale) : Bruttium : 7
– Désignation d’une famille dans son ensemble : Campanie : 5
– Individus de nationalité étrangère : Campanie : 10

Données postérieures à Lejeune


Cette structure est portée par 169 hommes libres, représentant
89.9% des nouvelles données épigraphiques osques. Les désigna-
tions par nom unique sont au nombre de 19, ce qui représente
10.1%. La répartition numérique demeure la même et la distribution
qualitative est également proche des données connues de Lejeune.
Les hommes faisant exception se répartissent ainsi :
– Estampilles de tuiliers (en vertu d’une coutume locale) : Bruttium : 8 6
– Autres tuiliers ou potiers : 25 7
– Individu de condition servile : Samnium : 1 8

1.2. Le patronyme
Données connues de Lejeune (§ 39-49)
Dans le corpus commenté par M. Lejeune, 98 hommes sur 226
portent un patronyme, soit 43.3% des individus. Ces 98 cas, re-
présentant un peu moins de la moitié donc, appellent les remarques
suivantes.

Position du patronyme
La formule anthroponymie trimembre, qui est majoritaire, pré-
sente le schéma suivant :
prénom + gentilice + patronyme : 94 ex. soit 96%

L’autre formule, réduite à la portion congrue, est de la forme :


prénom + patronyme + gentilice : 4 ex. soit 4%

Ce dernier formulaire, que l’on appelle communément de type


ombrien, alors qu’il n’entretient aucun lien de contiguïté historique
avec l’ombrien, est plutôt un phénomène osque méridional localisé
en Lucanie et dans le Bruttium.

6
Cf. notamment Rix, 2002, n. tLu 7 et 8.
7
Cf. notamment Rix, 2002, n. Hi 7 et 8.
8
Cf. Rix, 2002, n. tSa 44.

.
346 FABRICE POLI

Expression ou non expression du patronyme


Magistrats locaux, fédéraux et officiers pompéiens : l’expression
du patronyme est obligatoire pour un personnage officiel dans le
cadre d’un texte officiel. Il est le plus souvent omis au cas où le ma-
gistrat est seulement cité comme éponyme dans des inscriptions pri-
vées.

Possesseurs capouans de iúvilas : sur les inscriptions du Fondo


Paturelli de Capoue, un seul individu présente un patronyme.

Tuiliers et potiers : à l’exception d’une seule tuile provenant de


Pompéi, la mention du patronyme est absente des usages commer-
ciaux ou l’exiguïté du support interdit sa présence.

Personnages des défixions et autres hommes : ce sont des indivi-


dus dont nous ne savons rien sur le statut social. Sur les individus
réunis dans cette catégorie, 34 ont un patronyme, soit 31.5%. Dans
la mesure où ce ne sont pas des personnages officiels, cela tend à
prouver que la référence patronymique n’est pas fondamentale en
osque. Certains individus sont peut-être des magistrats agissant à
titre privé.

Prénom du père = prénom du fils?


Dans le corpus de M. Lejeune, à savoir 81 hommes pourvus d’un
patronyme qui est lisible et entier, l’on remarque que :
– 34 hommes portent le même prénom que leur père, soit 42%
– 47 hommes ont un prénom différent de celui de leur père, soit
58%.
Il ne s’agit pas d’une distribution aléatoire mais d’un choix déli-
béré. Pour un père, donner son prénom à l’un de ses fils, c’était ins-
taurer à l’intérieur de la gens, manifestée par l’hérédité légale du
gentilice, une continuité de branche, grâce à la transmission volon-
taire du prénom. L’usage devait donc être de donner au fils aîné le
prénom du père. C’était sans doute une pratique courante dans la
très grande majorité des familles.

Données postérieures à Lejeune


Il est exprimé 39 fois sur 169 nouvelles désignations. Donc
23.07% des ingénus ont un patronyme. La baisse par rapport à la ra-
tio observée chez Lejeune (43.4%) n’a pas de signification parti-
culière et est simplement due aux découvertes archéologiques.

.
L’ANTHROPONYMIE OSQUE 347

Position du patronyme
Dans 95% des cas, le schéma observé est prénom + gentilice +
patronyme (37 exemples) 9, contre 5% pour le schéma prénom + pa-
tronyme + gentilice (2 exemples). Ces deux derniers cas sont situés
en Lucanie et dans le Bruttium et s’expliquent de la même façon que
chez M. Lejeune 10.

Expression ou non expression du patronyme


Magistrats locaux ou fédéraux : dans nos nouveaux exemples le
patronyme est quasi systématique 11. L’on n’observe en effet que de
rares exceptions 12.

Tuiliers et potiers : là aussi le patronyme est rarissime 13. Une


abréviation trilitère (prénom + gentilice + patronyme) étant ambi-
guë, la priorité est donnée, compte tenu du champ restreint, au pré-
nom et au gentilice de l’artisan 14.

Personnages des défixions et autres hommes : le patronyme est


presque toujours cité afin que la malédiction soit pleinement effi-
ciente et touche la personne concernée 15. En ce qui concerne les
personnages extérieurs aux défixions, le patronyme est parfois ci-
té 16.

Prénom du père = prénom du fils?


Sur nos 39 exemples, 31 hommes (soit 83.7%) ne portent pas le
même prénom que leur père 17, contre 6 hommes (soit 16.2%) qui
portent le même prénom 18. Il ne s’agit pas à notre avis d’un renverse-
ment de tendance par rapport aux données de M. Lejeune, mais
simplement du hasard des découvertes des inscriptions. Il faut noter
enfin que pour la première fois nous acquérons la double référence
patronymique, «fils de et petit-fils de» 19.

9
Cf. notamment Rix, 2002, n. Cm 47.
10
Cf. notamment Rix, 2002, n. Lu 41.
11
Cf. notamment Rix, 2002, n. Cm 2.
12
Cf. notamment Rix, 2002, n. Lu 4.
13
Cf. notamment Rix, 2002, n. tPo 9.
14
Cf. notamment Rix, 2002, n. tPo 2, 7, 8.
15
Cf. notamment Rix, 2002, n. Lu 47.
16
Cf. notamment Rix, 2002, n. Lu 54-56.
17
Cf. notamment Rix, 2002, n. Cm 48.
18
Cf. notamment Rix, 2002, n. Cm 47.
19
Cf. Rix, 2002, n. tSa 21.

.
348 FABRICE POLI

1.3. Le cognomen
Données connues de Lejeune (§ 50-56)
Sur les 226 individus mâles étudiés dans l’Anthroponymie
osque, 13 seulement portent un cognomen. Cela ne représente que
5.7% des hommes libres, ce qui fait peu. En ce qui concerne la
place du patronyme, nous avons 12 fois : PR + GE + PA + CO,
contre une seule fois PR + GE + CO. Cela prouve que le port d’un
cognomen s’accompagne toujours de celle d’un patronyme, l’unique
exception pouvant être un lapsus. Les cognomina se rangent en
deux catégories : ce sont soit des ethniques, dérivés en *–no d’une
base toponymique, soit des termes du lexique (célèbre, flasque, es-
tropié, etc.). En somme, le port d’un cognomen semble en osque
être un phénomène sporadique, dont nous ne possédons pas
d’exemples archaïques, les plus anciennes attestations remontant
en effet à la fin du IIIe ou au début du IIe siècle av. J.-C. Le patro-
nyme est porté aussi bien par des personnages publics que par des
personnes privées, et même, ce qui est exceptionnel, par un artisan.
Nous avons des attestations de cognomina surtout dans le Sam-
nium et dans une moindre mesure en Campanie. C’est là la seule
tendance qui se dessine. Mais le dossier est dans l’ensemble trop
maigre pour établir des tendances.

Données postérieures à Lejeune


Sur nos 169 formules anthroponymiques, il n’y a que de très
rares exemples de cognomina, qui représentent environ 0.5% des oc-
currences. Il y a là un véritable effondrement des nouvelles attesta-
tions qui est sans doute dû à la brièveté des inscriptions acquises et
au hasard des découvertes 20. Cela confirme cependant la rareté de
l’emploi d’un cognomen dans le système anthroponymique des
peuples oscophones.

1.4. Les désignations féminines

Données connues de Lejeune (§ 57-59)


Au moment de la rédaction de son ouvrage, M. Lejeune dispo-
sait de 5 désignations féminines certaines. On ne retient donc pas les
désignations douteuses. Si l’on se souvient que nous avons 226
hommes de condition libre et 29 hommes à nom unique (souvent de

20
Cf. notamment Rix, 2002, n. tCm 7.

.
L’ANTHROPONYMIE OSQUE 349

condition servile), la quote-part des femmes représente 1.9%, ce qui


est insignifiant. C’est donc un dossier quasi inexistant.

1.4.1. Les femmes de condition libre.


Pour les 4 exemples, les faits sont les suivants :
– désignation par un unique anthroponyme : 2
– désignation par prénom + gentilice : 2

Deux de ces femmes portent aussi un patronyme : une femme à


nom unique et une autre dont la formule anthroponymique est bi-
membre. Des deux formules à deux noms, la première est obscure. La
deuxième femme à deux anthroponymes ainsi que les deux autres
femmes à nom unique portent un gentilice masculin féminisé.

1.4.2. Une esclave


L’unique femme de condition servile connue de M. Lejeune est
désignée par prénom + génitif du gentilice de son propriétaire.

Données postérieures à Lejeune


Alors que nos nouvelles acquisitions nous font connaître 188
hommes (169 à noms multiples et 19 à nom unique), nous enregis-
trons 5 nouvelles désignations féminines, ce qui représente 2.6%.
Le dossier est donc toujours aussi maigre et de ce fait difficile à cer-
ner. Les faits sont les suivants : femme à nom unique (1 exemple) et
femmes à deux noms (4 exemples). A la différence des exemples de
M. Lejeune, les prénoms sont ici clairement identifiables. Les nou-
velles données proviennent de Lucanie et concernent des épouses
de meddix (portant le titre féminisé de leur mari, medekan, acc.
sing.) visées avec leurs époux par une malédiction. L’on serait tenté
d’en déduire que les femmes de l’aristocratie portaient deux
noms 21.

1.5. Les hommes à nom unique

Données connues de Lejeune (§ 20)


Comme nous l’avons dit précédemment, les hommes à nom
unique sont au nombre de 29, représentant 11.3% de l’effectif traité

21
Cf. Rix, 2002, n. Lu 46.

.
350 FABRICE POLI

par Lejeune. Il s’agit notamment, soit d’individus de condition ser-


vile, soit de tuiliers méridionaux (caractérisés par l’usage du seul
gentilice au génitif singulier), soit enfin d’inscriptions relevant d’un
usage antérieur à la constitution du système bimembre prénom +
gentilice. On constate donc qu’il s’agit soit de cas très limités (per-
sonnes ne faisant pas partie du corps social ou usages commerciaux
locaux), soit d’un usage périmé.

Données postérieures à Lejeune


Sur 169 hommes, 19 portent un nom unique, soit 10.1% du to-
tal 22. Le pourcentage ne change pas par rapport à la période pré-
cédente. L’on observe donc une grande stabilité dans la répartition
entre les deux ensembles. En outre, les données sont également les
mêmes : l’on retrouve notamment des inscriptions antérieures au
système prénom + gentilice 23, des potiers de l’Italie du Sud 24 et des
désignations d’esclaves 25.

2. FORME DE LA FORMULE ANTHROPONYMIQUE

Les éléments constitutifs de la formule anthroponymique (pré-


nom, gentilice, patronyme et cognomen) peuvent connaître soit une
graphie pleine, soit une graphie défective. La graphie défective se
subdivise elle-même en deux sous catégories : la graphie défective
drastique se réduit à l’initiale de l’élément anthroponymique et la
graphie défective non drastique où ne manque que la désinence ca-
suelle.
Données connues de Lejeune (§ 60-65)

2.1. Le prénom et le patronyme


L’on observe pour le prénom et le patronyme à la fois des gra-
phies pleines et des graphies défectives drastiques. De grandes ten-
dances se dessinent : 62% de graphie défective drastique et 38% de
graphie drastique. Ces données appellent les remarques suivantes :
– Le domaine méridional abrège moins : 72% de graphie pleine.
– Le prénom est plus souvent en graphie pleine que lorsqu’il oc-
cupe la fonction de patronyme.

22
Cf. notamment Rix, 2002, n. Cm 29-31.
23
Cf. notamment Rix, 2002, n. Ps 8, 9, 10.
24
Cf. notamment Rix, 2002, n. tLu 2, 7 et 8.
25
Cf. notamment Rix, 2002, n. tSa 44.

.
L’ANTHROPONYMIE OSQUE 351

– La nature de l’inscription présente aussi de l’importance : les


inscriptions à champ limité présentent toujours une graphie défec-
tive (une seule exception); les défixions ont toujours la graphie
pleine et ce par souci d’efficacité, pour que la malédiction ne se
perde pas «en route», en raison d’une «adresse» insuffisante. Les
inscriptions officielles en alphabet national présentent, à de rares
exceptions près, la graphie défective drastique, tandis que celles en
alphabet grec, la graphie pleine, avec là encore de rares exceptions.
Cette dernière tendance est naturellement conforme à ce qui a été
dit ci-dessus.

2.2. Le gentilice
Le gentilice est généralement écrit in extenso, ce qui est normal
car il constitue l’élément central pour l’identification de l’individu.
Cependant, sur un certain nombre de supports à champ réduit,
(tuiles, briques, monnaie), le gentilice est abrégé. Peu importe alors
que le gentilice ne soit ni lisible, ni restituable; ce qui compte en ef-
fet, ce n’est pas le gentilice en lui-même, mais la marque comme
telle. Il s’agit d’une règle générale qui admet toutefois quelques
contre-exemples, ce qui montre qu’elle n’était pas une règle intou-
chable. Cependant certaines exceptions sont en revanche systéma-
tiques :
– Les inscriptions osco-grecques à champ limité préfèrent géné-
ralement la graphie in extenso. Comme nous l’avons vu en effet pré-
cédemment, le domaine osco-grec abrège peu.
– Les monnaies de la guerre Sociale présentent la graphie in ex-
tenso car le gentilice contient un message politique fort.

2.3. Le cognomen
Les cognomina sont parfois écrits en graphie défective néces-
sairement non drastique compte tenu de leur nature même. D’une
façon générale, les ethniques en *–no ne sont pas soumis aux abré-
viations, à part une exception.
Données postérieures à Lejeune

2.4. Le prénom et le patronyme

Dans le corpus postérieur à M. Lejeune, l’on relève 119 graphies


défectives (représentant 70.4% du total), contre 50 graphies pleines
(soit 29.6%). Les tendances qui s’étaient dessinées pour les données
de Lejeune, s’observent ici aussi avec une concordance presque par-
faite :

.
352 FABRICE POLI

– Le domaine méridional abrège moins; nous avons relevé


80.6% de graphies pleines (25 graphies pleines, contre 6 graphies dé-
fectives) 26.
– En revanche, nous n’avons pas noté, dans nos nouvelles acqui-
sitions, que le prénom était plus souvent en graphie pleine lorsqu’il
occupait la fonction de patronyme. Les deux semblent, au contraire,
réduits au même type d’abréviation 27.
– Enfin, et comme précédemment, c’est avant tout la nature de
l’inscription, et partant, la dimension du champ épigraphique, qui
détermine le type de la graphie. Là encore, nos conclusions sont ri-
goureusement identiques à celles de M. Lejeune 28.

2.5. Le gentilice
Là encore, le parallélisme avec le corpus de M. Lejeune est stric-
tement le même; en raison de sa position cardinale, au sein de la for-
mule anthroponymique, le gentilice est généralement écrit en entier,
au détriment du prénom et du patronyme, plus accessoires, sauf sur
les supports à champ réduit 29.

2.6. Le cognomen
Là encore, les conclusions sont les mêmes : compte tenu de leur
nature intrinsèque, les rares cognomina que nous avons acquis sont
en graphie défective non drastique, ou en graphie pleine 30.

Conclusion générale
L’examen rapide des données onomastiques postérieures à l’ou-
vrage de Michel Lejeune a montré, de façon indiscutable, toute la
validité et la pertinence des schémas dressés par le savant français.
Non seulement, et c’est là pur hasard, le dossier a, d’un point de vue
numérique, crû dans les mêmes proportions, mais encore, son évo-
lution qualitative est quasi inchangée. Cette permanence permet de
valider les schémas anthroponymiques, si magistralement ressusci-
tés par le maître, d’une population qui représenta naguère le tiers de
la péninsule italienne.

Fabrice POLI

26
Cf. notamment Rix, 2002, n. tLu 1, 7, 8.
27
Cf. notamment Rix, 2002, n. Sa 23 et 24.
28
Cf. notamment Rix, 2002, n. Sa 24, par opposition à tSa 39.
29
Cf. notamment Rix, 2002, n. Si 11, par opposition à tPo 2.
30
Cf. notamment note 19.

.
L’ANTHROPONYMIE OSQUE 353

ABRÉVIATIONS BIBLIOGRAPHIQUES

Lejeune 1676 = M. Lejeune, L’anthroponymie osque, Paris, 1976.


Poccetti 1979 = P. Poccetti, Nuovi documenti italici a complemento del ma-
nuale di E. Vetter, Pise, 1979.
Rix 2002 = H. Rix, Sabellische Texte. Die Texte des Oskischen, Umbrischen
und Südpikenischen, Heidelberg, 2002.
Vetter 1953 = E. Vetter, Handbuch der italischen Dialekte, Heidelberg, 1953.

.
ANNA MARINETTI

TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE
E FORMULA ONOMASTICA IN VENETICO

Nell’ambito degli studi sul Veneto antico, gli aspetti linguistici


e culturali correlati all’onomastica sono stati oggetto di ampi inte-
ressi, forse anche in ragione dello status documentale della lingua
venetica; la documentazione del venetico riposa com’è noto su un
corpus epigrafico di notevole consistenza, che è in continuo incre-
mento : ad oggi possediamo oltre quattrocento iscrizioni, compren-
dendovi quelle di transizione venetico-latine. La natura sostanzial-
mente formulare delle iscrizioni – tranne alcune eccezioni, rilevanti
ma isolate – fa sì che una gran parte delle forme documentate sia-
no costituite da attestazioni di forme onomastiche, e pertanto che
all’onomastica stessa sia stata attribuita negli studi una posizione
privilegiata. Sull’onomastica venetica c’è una vasta bibliografia; qui
mi limito a ricordare solo alcune tappe principali degli studi degli
ultimi decenni : gli studi di Lejeune della metà degli anni ’501; la
monografia di Untermann del 19612, centrata sulle modalità della
Namengebung nel venetico e sulla relazione dell’onomastica veneti-
ca con l’onomastica latina nelle aree corrispondenti; l’analisi detta-
gliata delle forme onomastiche condotte da Prosdocimi nel secondo
volume della Lingua venetica del 1967 3 ; il lavoro di Lejeune sulla
transizione dell’onomastica dalla fase venetica alla fase latina, te-
stata sulle iscrizione di Este 4 ; infine la messa a punto di Prosdoci-
mi del 1988 5, ove l’attenzione è soprattutto rivolta alla struttura del-
la formula onomastica.
I lavori citati sono, come si vede, diversamente orientati; in ogni
caso è comune a tutti la prevalente attenzione rivolta alle forme e al-
le strutture, nella prospettiva della funzione svolta – nella lingua e
nei rapporti sociali – dall’onomastica stessa. Particolare cautela è in-

1
M. Lejeune, Structure de l’anthroponymie vénète, in Word XI, 1955, p. 24-44.
2
J. Untermann, Die venetischen Personennamen, Wiesbaden, 1961.
3
G. B. Pellegrini – A. L. Prosdocimi, La lingua venetica I-II, Padova-Firenze
1967; vol. II di A. L. Prosdocimi.
4
M. Lejeune, Ateste à l’heure de la romanisation, Firenze, 1978.
5
A. L. Prosdocimi in G. Fogolari – A. L. Prosdocimi, I Veneti antichi. Lingua
e cultura, Padova, 1988.

.
358 ANNA MARINETTI

vece posta nello studio della sostanza, dei contenuti veicolati dai no-
mi propri. Come ricorda Prosdocimi 6 «I nomi propri hanno una fun-
zione identificativa e non semantica; pertanto va studiato il sistema
in cui assolvono questa funzione che è, di per sé, sola pertinente.
Tuttavia dalla constatazione che spesso sono costituiti da elementi
semantici del sistema linguistico cui appartengono vi è sempre la
tentazione di farne una ‘etimologia’ : il che, per lingue attestate
esclusivamente o prevalentemente dall’onomastica, invita all’utiliz-
zazione dei nomi propri per delineare i tratti della lingua stessa.
Sebbene ciò sia pericoloso, in quanto non corrispondente alla loro
natura intrinseca, non si può, in base agli abusi che sono stati com-
messi o che si possono commettere, rinunciare a questa fonte di dati
con una condanna totale». L’utilizzo del dato onomastico ai fini del-
la restituzione della lingua richiede quindi un attento vaglio : un
esempio ne è – per citare un caso – il meccanismo morfologico della
derivazione dei nomi propri all’interno della formula onomastica,
che segue una via diversa rispetto alla derivazione ‘normale’.
Il caveat di carattere generale è ben presente, e tuttavia ciò non
deve impedire di associare due considerazioni che emergono dalla
documentazione venetica, e che – apparentemente indipendenti –
potebbero invece rivelarsi collegate. La prima è l’esistenza di una
onomastica lessicalmente motivata, quasi ‘trasparente’, con riferi-
mento a basi lessicali non banali, ma pregnanti in senso sociale (per
tutti richiamo il caso dei nomi composti con secondo membro in
-genes, di cui si parlerà avanti) : qui l’eventualità di un gradiente di
funzionalizzazione della motivazione stessa dovrebbe essere presa
in considerazione; fino ad ora, una reazione agli eccessi di etimolo-
gismo sui nomi propri, e soprattutto le carenze nelle conoscenze del-
lo sfondo storico-istituzionale, hanno consigliato prudenza, e di fat-
to hanno confinato (quasi) tutte le forme ‘motivate’ nei limiti di una
attribuzione di pura funzione onomastica; altrimenti detto, queste
sono state ampiamente analizzate quanto a valore lessicale delle ba-
si, ma ci si è astenuti per principio dall’attribuire a tali forme una
valenza diversa da quella strettamente onomastica, e quindi non si è
di norma approfondita la questione di una eventuale funzione con-
nessa alla base lessicale. La seconda considerazione è che nei testi
venetici non è frequente, anzi è relativamente rara, la presenza di
terminologia di carattere istituzionale : con ‘istituzionale’ intendo
qui, in senso ampio, la sezione del lessico riferita alla sfera delle re-
lazioni sociali, quindi non solo i termini attinenti alle istituzioni
pubbliche quali magistrature, cariche civili e religiose, etc., ma an-

6
Veneti antichi, cit., p. 367.

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 359

che quanto riguarda le relazioni di parentela o, più in generale, i


rapporti istituzionalizzati – cioè socialmente definiti e riconosciuti –
che intercorrono tra i membri di una società. Forse proprio per sup-
plire quanto ci appare come una carente esplicitazione di termini
istituzionali, si sono operate frequentemente – in misura stretta-
mente connessa all’analisi dei testi su base formulare – attribuzioni
di riferimenti squisitamente istituzionali, pur come detto in una si-
tuazione di scarsa conoscenza (per non dire ignoranza) dei modi di
organizzazione della realtà sociale significata; per esemplificare : è
corrente l’uso di termini quali patronimico, gamonimico, status ser-
vile, o simili; in assenza di dati espliciti sugli specifici istituti, si pro-
cede per analogia od omologazione con situazioni culturali meglio
conosciute (Etruria, Roma, Italia antica). Il confronto è non solo le-
cito, ma doveroso e necessario, per ‘simulare’ un quadro istituziona-
le altrimenti difficilmente ricavabile per questo orizzonte culturale :
ma rimane una approssimazione, per cui occorre cautela nell’appli-
care ut sic, quasi si trattasse di automatismi, le categorie relative 7.
Associando i due aspetti, da una parte la presenza, all’interno di for-
mule onomastiche, di elementi lessicalmente altamente motivati, e
dall’altra la scarsità di termini istituzionali, è da chiedersi se – senza
nulla togliere al necessario rigore nell’approccio a realtà come quella
del Veneto 8 ancora poco definite dal punto di vista istituzionale –
non si possa contemplare la possibilità che termini già classificati
come antroponimi si rivelino piuttosto nomi di funzioni, o meglio
forme con statuto onomastico particolare, quali designazioni di sta-
tus e non semplicemente di individuo; per intenderci, il tipo semi-
onomastico noto nella tradizione di Roma in cui è riconoscibile una

7
Ho cercato di sottolineare questo aspetto in occasione della proposta di ri-
conoscere nel Veneto antico un gruppo sociale connotato dall’attributo di ekupe-
ta- ‘signore del cavallo’, per il quale appare quasi inevitabile l’identificazione con
la classe sociale degli equites, secondo quanto ci è noto da Roma; l’omologazione
dei due casi è certamente attraente, e forse anche corretta, ma deve essere verifi-
cata nella fenomenologia in cui compare, e non da ritenersi automatica, dal mo-
mento che i presupposti e l’applicazione nel Veneto sono diversi da quanto ac-
cade per l’istituto romano : cfr. A. Marinetti, Il ‘signore del cavallo’ e i riflessi isti-
tuzionali dei dati di lingua. Venetico ekupetaris, in Produzioni merci e commerci in
Altino preromana e romana (Atti del Convegno,Venezia, 12-14 dicembre 2001),
Roma, 2003, p. 143-160.
8
L’insistenza su questo punto non deve essere fraintesa : negli anni più re-
centi si è assistito ad un incremento davvero notevole nella conoscenza del mon-
do dei Veneti antichi, nei suoi aspetti materiali e nelle derivanti implicazioni di
carattere sociale, economico, ideologico; ciò non è solo la conseguenza di nuove
scoperte, che pure si susseguono, ma l’esito di una rinnovata e raffinata metodo-
logia di ricerca da parte degli studiosi, in primo luogo archeologi e protostorici,
che lavorano in questo settore. Ciò nonostante, è indubbio che le fonti sono
comunque limitate, e il tipo di dati a disposizione non è – e forse non sarà mai –
tale da attingervi in termini specifici i quadro della strutturazione della società.

.
360 ANNA MARINETTI

designazione di carica : Ferter (Resius), Atta (Clausus), Poplios (Vale-


sios), etc. 9. A partire da questa ipotesi di lavoro, dovrebbe essere rivi-
sta e verificata, in termini sistematici, l’intera documentazione del-
l’onomastica venetica (formule e contenuti), integrando quando pos-
sibile i dati testuali dell’iscrizioni con le informazioni provenienti
dal contesto extralinguistico delle iscrizioni, per un recupero e insie-
me un accertamento della loro potenziale significatività. Data l’am-
piezza del programma, in questa sede posso offrire solo un’esempli-
ficazione di quanto intendo, in un caso probabilmente limite – e
quindi da considerarsi fuori dalla norma – ma che, proprio per l’evi-
denza di anomalie sul piano dell’onomastica, ha riproposto ragioni
per questo tipo di riflessione.
Prima di entrare nel caso specifico, un breve richiamo su alcuni
caratteri generali della formula onomastica venetica10 ; nella sua for-
ma più frequente, questa si presenta secondo una struttura binomia,
costituita di un nome individuale e di un appositivo morfologica-
mente marcato mediante il suffisso -io- o -ko-11; accanto a questa
realizzazione ‘standard’ della formula si manifestano formule alter-
native, in varia tipologia : formule monomie; formule binomie sen-
za marca morfologica nell’appositivo o – viceversa – con marca nel
nome individuale, o in entrambi; formule trinomie; formule com-
plesse con designazioni comuni a più individui, etc. Si è a lungo di-
scusso12 se il sistema binomio di tipo centro-italico e venetico doves-
se essere considerato una eredità dell’indeuropeo, ove è pure presen-
te la resa formale del patronimico con -io-; tuttavia vi è un aspetto
fondamentale che – pur in presenza degli stessi mezzi di resa morfo-
logica – marca la differenza tra il tipo indeuropeo e il tipo centro-
italico, ed è la valenza istituzionale della formula onomastica, fissa-
ta secondo precisi schemi formulari : il processo è stato riconosciu-

9
Su ciò rimando, in questi stessi Atti, al contributo di A. L. Prosdocimi, No-
te sull’onomastica di Roma e dell’Italia antica; cfr. anche A. Marinetti, Atta/us :
Appius; lat. atta, sabino *appa e sudpiceno apaio-. Sabini a Roma e ‘Safini’ nelle
iscrizioni sudpicene, in Res Publica Litterarum V 1, 1982, p. 169-181.
10
Per una trattazione esaustiva dell’argomento rimando ai lavori citati sopra
nelle note iniziali.
11
La distribuzione tra i suffissi -io- e -ko- appare di massima correlata
all’arealità : -io- al sud, -ko- al nord del Veneto.
12
Sulla questione della formula onomastica in Italia (etrusco, italico-latino,
Italia del Nord), tra eredità indeuropea ed innovazione ‘italiana’ rimando ai lavo-
ri di A. L. Prosdocimi; in particolare Appunti per una teoria del nome proprio, in
Problemi di onomastica semitica meridionale, a cura di A. Avanzini, Pisa 1989,
p. 15-70; Filoni indeuropei in Italia. Riflessioni e appunti, in L’Italia e il Mediterra-
neo antico, Atti del Convegno SIG (Fisciano-Amalfi-Raito 4-6 novembre 1993),
vol. II, Pisa 1995, spec. p. 112-118; per il venetico, Veneti Antichi, cit.

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 361

to nell’emersione del gentilizio13 a partire da istanze maturate nel


mondo etrusco; in questo senso, la formula onomastica bimembre,
indipendentemente dai mezzi formali di realizzazione, che nel caso
delle lingue indeuropee d’Italia sono certamente rintracciabili nel-
l’asse ereditario, va vista come una innovazione culturale emersa in
territorio italiano. Nel Veneto la formula onomastica bimembre ar-
riva come un portato della cultura etrusca, prima sede di elaborazio-
ne della formula stessa, e ciò verosimilmente in concomitanza con
l’introduzione della scrittura, dunque attorno alla metà del VI seco-
lo14. All’omogeneità strutturale della formula onomastica che irradia
nelle diverse culture (Etruria, Roma arcaica, mondo italico, Italia
del nord) non corrispondono tuttavia i medesimi contenuti, in
quanto questi sono direttamente correlati alle strutture socioistitu-
zionali di ciascuna cultura; la designazione del gentilizio in etrusco
corrisponde ad una strutturazione della società etrusca di tipo genti-
lizio, che non pare di potersi riconoscere nel Veneto, almeno non
negli stessi termini; l’appositivo della formula standard venetica (in
-io-/-ko-) risulta infatti più spesso funzionalizzato come patronimico
che non come gentilizio, cioè come indicatore di una continuità fa-
miliare, anche se di ciò sono attestati esempi; ugualmente in relazio-
ne alla specificità di alcune posizioni sociali vanno probabilmente
interpretate le formule apparentemente ‘anomale’, cioè non stan-
dard, tutt’altro che rare. Diciture come ‘gentilizio’, ‘patronimico’ o –
nel caso delle formule femminili con l’appositivo in -na – ‘gamonimi-
co’ riferite al venetico non vanno interpretate come riflesso di cate-
gorie sociali note; più spesso anzi sono proprio i dati linguistici ed
onomastici gli indicatori più significativi di ‘posizionamenti’ del-
l’individuo all’interno della società; questo potrebbe essere – se l’in-
terpretazione è corretta – il caso di cui tratto in dettaglio.

L’iscrizione in questione proviene da Isola Vicentina, località


sulle pendici collinari a una quindicina di chilometri a nord-ovest di
Vicenza15. Il supporto è una lastra di pietra basaltica, di forma irre-
golare; è stata rinvenuta del tutto fuori contesto, e quindi senza pos-

13
H. Rix, Zum Ursprung der römisch-mittelitalischen Gentilnamensystem, in
Aufstieg und Niedergang der römischen Welt I, 2, Berlino, 1972, p. 700-758.
14
La più antica iscrizione venetica è datata approssimativamente attorno al-
la metà del VI sec. a. Cr. sulla base della cronologia del supporto, una coppa
bronzea ispirata nella foggia ai kantharoi prodotti in Etruria tra fine VII e prima
metà del VI secolo : cfr. D. Locatelli – A. Marinetti, La «coppa» dello scolo di Loz-
zo, in Este preromana : una città e i suoi santuari, Treviso, 2002, p. 281-282.
15
Edizione e commento dell’iscrizione in A. Marinetti, Venetico 1976-1996.
Acquisizioni e prospettive, in Protostoria e storia del Venetorum angulus, Atti del
Convegno di Studi Etruschi ed italici (Portogruaro-Altino-Este-Adria, 16-19 ottobre
1996), Firenze, 1999, p. 391-436.

.
362 ANNA MARINETTI

sibilità di cronologia contestuale fondata sull’archeologia; i dati pa-


leografici non sono significativi al proposito, a parte l’ovvio post
quem del VI secolo per la presenza nella grafia della puntuazione;
un dato cronologico potrebbe venire da fenomeni di carattere lingui-
stico, specificamente dalla fonetica (se ne tratterà avanti a proposito
della sequenza meufasto); se questi si possono attribuire a seriorità
cronologica rispetto ad altri testi venetici, e non solo a varietà areale
o a idioletto dell’estensore del testo, dovremmo propendere per una
datazione decisamente tarda; ma, anche in questo caso, non si può
precisare in termini assoluti.
La divisione della scriptio continua non pone in questa iscrizio-
ne particolari problemi, tranne che per la sequenza finale. Il rico-
noscimento di basi (lessicali ed onomastiche) già note nel corpus
venetico, e delle uscite morfologiche, associato alle regole di divi-
sione connesse alla puntuazione sillabica, consentono una segmen-
tazione quasi del tutto certa, tranne che per il problema posto dalla
sequenza finale me.u.vhasto, teoricamente segmentabile in più mo-
di, e ciò malgrado il riconoscimento di un sintagma e di forme les-
sicali già noti. L’iscrizione pur nella sua apparente ‘leggibilità’ pre-
senta tuttavia, come si vedrà, complicazioni di ordine sintattico e
testuale.
Riporto l’iscrizione secondo la prassi instaurata nell’edizione
della Lingua Venetica, con la doppia trascrizione diplomatica ed in-
terpretativa :
iat.s.vene.t.k/e.n.s.o.st.s.ke.e.no/xenes.laions./me.u.vhasto
iats venetkens osts ke enogenes laions meu fasto
Precondizione all’interpretazione di qualsiasi testo è un’ipotesi
sulla destinazione e funzione dell’oggetto e della iscrizione apposta-
vi; a maggior ragione questa presupposizione di significatività divie-
ne un preliminare rilevante, in alcuni lati una vera e propria precon-
dizione, ove il testo, come nel nostro caso, scarti dalla occorrenza
strettamente formulare; come si è già detto, l’iscrizione di cui trat-
tiamo è fuori contesto, e il tipo di supporto (oggetto iscritto) permet-
te solo presunzioni generiche, in base soprattutto alle possibili mo-
dalità di collocazione della stele (positura orizzontale a terra o collo-
cazione verticale). Le modalità di collocazione della stele sono
compatibili sia con un’ipotesi funeraria ‘stretta’, sia con una funzio-
ne di indicazione/delimitazione di spazio di varia natura (sacro?
pubblico?).
Il testo presenta alcune evidenze o direzioni interpretative, ma
insieme pone problemi. Le evidenze riguardano il riconoscimento di
una serie di forme onomastiche al nominativo singolare (Iats, Venet-
kens, Osts, Enogenes, Laions), e di una congiunzione ke ‘et’; le dire-
zioni, da verificare, consistono nella possibilità di sovrapporre o

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 363

conciliare la sequenza finale meufasto (con le opportune divisioni)


ad un *mego fagsto ‘me fecit’, attestato come forma sintattica nel ti-
po mego donasto, e nelle componenti lessicali in mego ‘me’, fagsto ‘fe-
cit’, quindi accettabile come contenuto (‘me fecit’) in riferimento al
contesto.
I problemi riguardano diversi aspetti; selezioniamo qui prima-
riamente quanto attiene più da vicino all’aspetto interpretativo. La
struttura sintattica manifestata dalle forme non è normale come for-
mulario dal punto di vista statistico ed è francamente anomala al-
l’interno, almeno se si segue la via interpretativa più ovvia; la frase
ha un verbo ed un oggetto – nella sequenza meufasto, che riprende-
remo – e un corrispondente soggetto, ma
1) data la congiunzione ke ‘et’ tra due segmenti onomastici ci do-
vrebbero essere (almeno?) due personaggi come soggetto;
2) meufasto, quale che sia la la spiegazione di meu e fasto, si pro-
pone come ‘me fecit’, quindi una 3o singolare non in accordo con la
premessa 1, che richiederebbe un accordo di plurale.
Partiamo da qui. Nel venetico ‘normale’, ossia in base al veneti-
co noto, per una terza persona singolare ci attenderemmo mego fag-
sto : cfr.mego nel formulario votivo di Este, e fagsto nel formulario
votivo di Padova (LV *Pa 15, 16); rispetto a mego fagsto, avremmo
qui due casi di caduta di g (notato x), e la chiusura di -o [ō] > -u : ciò
si potrebbe attribuire – data la marginalità della provenienza del-
l’iscrizione rispetto al mondo venetico proprio – a prossimità con
ambiente alloveneto, ad esempio celtico o celtizzante16. Una divisio-
ne alternativa me ufasto non è inverosimile : me come accusativo del
pronome personale è il precedente logico di mego17 ; un ufasto sareb-
be da intendere come forma verbale con un preverbo u- + fasto; la
preposizione (quindi potenziale preverbo) u è attestata a Lagole (u
teuta[m], u donom).
Ometto qui la questione della scomparsa di g, normalmente gra-
ficizzato x davanti s, e dello stesso fenomeno in contesto intervocali-
co se, come è ragionevole, meu corrisponde a mego del formulario;
lascio anche da parte le condizioni per cui un -o, allora presumibil-
mente [ō], diventa -u; tutto ciò è di grande rilevanza per la morfono-
logia del venetico e, di riflesso, anche per il celtico e/o la celticità en-
tro il venetico, ma ciò si lascia da parte tranne in quanto ha qui
qualche attinenza : la possibilità di -o > -u e quindi pariteticità con u

16
Cf. ora P. Solinas, Sul celtico d’Italia : le forme in -u del leponzio, in Atti Ist.
Veneto, CLXIII, 2004-2005, p. 559-601.
17
Certamente se mego è rifacimento venetico sulla base di ego, ma anche nel-
l’ipotesi di una allotropia originaria del pronome : cfr. F. Bader, BSL 1982,
p. 134-135.

.
364 ANNA MARINETTI

primario; -g > -∅- intervocalico e anche in -Vgst-; quindi meu = me-


go, fasto = fagsto; ciò ha riflessi anche per la forma laions allora con-
corrente con un *laiuns, quindi potenzialmente da *laivons con -vo-
= -vu- > ∅o- (v. avanti).
Ritorniamo a fasto, che, con ke, è il fulcro dell’interpretazione.
Data la presunzione di soggetto al plurale (ipotesi 1) si deve
contemplare la possibilità di un plurale; il plurale del preterito è
considerato attestato in donasan18, con *-;t > *-ant > *-an non me-
diale; una forma donasa è presente in un’altra iscrizione atestina19
con soggetto verisimilmente plurale, forse come nel nostro caso
con un ke coordinante due formule antroponimiche : poiché ke in
rapporto al formulario antroponimico è l’inquirendum della nostra
iscrizione, un donasa della nuova iscrizione da Este va per ora
messo da parte (ma v. avanti); in ogni caso, porterebbe a un plura-
le e, se al singolare, non comporterebbe l’inverso, cioè la possibili-
tà di uno -sto plurale : la possibilità o impossibilità di ciò è il cen-
tro dell’argomentare 20. Per completezza, si deve assumere l’even-
tualità che in *Es 120 donasan non sia un plurale, ma un
singolare : anche in questo caso, non riporterebbe uno -sto al plu-
rale, ma è un aspetto che va considerato in vista di una possibile
interpretazione di Enogenes nel testo vicentino, in Pa 3 bis e nella
stessa *Es 120. Di ciò alla fine.
In fasto, a differenza che per le altre formule, una 3o singolare è
l’evidenza : fagsto < *fak-s-to perché una riduzione di un *fagsanto
da un possibile plurale *fak-s-;to è impensabile, e un passaggio di-
retto fak-s-;to a fak-s∅to è solo astrattamente possibile ma altamen-
te improbabile. Si deve pertanto partire da una 3o singolare del ver-
bo e di conseguenza interpretare quanto precede, che è composto di
due sequenze onomastiche congiunte da ke; vi sono due eventualità,
delle quali una è, a sua volta, articolata in due possibili alternative :
1) i personaggi sono due, ma l’accordo di fasto < *fagsto è con il
secondo; di qui l’alternativa :

18
Nell’iscrizione da Este (*Es 120) citata sopra in testo come la più antica del
corpus venetico; edita da A. L. Prosdocimi, Una iscrizione inedita dal territorio
atestino. Nuovi aspetti epigrafici linguistici culturali dell’area paleoveneta, in Atti
Ist.Veneto CXXXVII, 1968-69, p. 123-183; cfr. anche Veneti Antichi, cit., p. 282-
284; Locatelli-Marinetti cit. a nota 14.
19
A. Marinetti, L’iscrizione votiva, in Este preromana : una città e i suoi san-
tuari, Treviso Canova, 2002, p. 180-184.
20
Una ulteriore attestazione di donasan con soggetto plurale è probabil-
mente da riconoscere in un’iscrizione – ai limiti della leggibilità – graffita su una
laminetta da Este; A. Marinetti, Sulla presenza di ‘frateres’ (?) nel santuario pa-
leoveneto di Reitia a Este : rilettura dell’iscrizione, in Studi in ricordo di Fulvioma-
rio Broilo, Padova, 2007, p. 437-450.

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 365

a) Il primo personaggio è designato mediante un nominativo as-


soluto, e il secondo personaggio è colui che ha fatto (curato, vel
sim.) il monumento; il primo, per esclusione, è il destinatario del
monumento, evidentemente una sepoltura o una realtà a sepoltura
assimilabile (cenotafio) 21 :
iats venetkens osts, ke enogenes laions meu fasto
‘Iats Venetkens Osts, e (anche/inoltre) Enogenes Laions mi fece’
È una soluzione accettabile, ma ci sono anche delle difficoltà,
peraltro non insuperabili.
b) Un soggetto plurale costituito di due personaggi, ove l’accor-
do di singolare è con il secondo. Astrattamente possibile, questa
ipotesi è da scartare per ragioni pragmatiche e sintattiche : nell’e-
ventualità ke coordinerebbe i due attori, che pertanto compirebbe-
ro entrambi l’azione e ciò, a priori, deve essere segnalato nella plu-
ralità del verbo. Oltre a questo, vi è un’ulteriore ragione di negativi-
tà : i due attori compirebbero l’azione senza che risulti tra loro
alcun collegamento, né onomastico né esplicitato in una qualche
giunzione di carica o fuzione : perché e in che termini agirebbero
congiuntamente?
2) fasto seleziona un soggetto sintatticamente singolare, quindi
pragmaticamente un unico attore; per questa ipotesi ke ‘et’ seleziona
alla base le eventualità per una designazione onomastica, già di per
sé da spiegare quale a cinque termini; poniamo gli estremi :
– Cinque termini puramente onomastici per una formula ono-
mastica venetica (cfr. quanto detto sopra) sono a priori improbabili,
salvo che alcuni di essi siano non eramente onomastici, ma indichi-
no uno status tipo filius etc.; anche così sono troppi : nella formula
‘standard’ a due termini (nome individuale + appositivo) avremmo
una eccedenza di tre forme, e in una già ‘anomala’ a tre (nome indi-
viduale + due appositivi) una eccedenza di due.
– Su cinque forme, quattro hanno la possibilità di essere apposi-
tivo in -io- +-s > *is > -∅s (a Vicenza); iats come primo della serie è
funzionalmente un nome individuale ma come morfologia può esse-
re sia in -io- sia in -i- primario, sia in -∅- vocale, cioè in consonante;
questo può essere rilevante per la sua struttura come base onomasti-
ca, ma non o meno per la sua funzione. Di converso, enogenes non
ha la morfologia di appositivo, ma, nella sequenza, dovrebbe esserlo

21
Una curatela di cenotafio è stata riconosciuta nel testo dell’iscrizione da
Cartura (*Es 122) : A. L. Prosdocimi, Venetico VI. Una nuova iscrizione da Cartu-
ra (Padova), in Arch.Glott.It. LVII, 1972, p. 97-134; cfr. Veneti Antichi, cit., p. 249-
253.

.
366 ANNA MARINETTI

salvo non essere altra ‘cosa’ : a ciò è da aggiungere che l’etimologia


insita in -genes non ne fa un appositivo nel senso normale del termi-
ne e che, sempre nel caso di formula per un solo personaggio, do-
vrebbe essere significativa la posizione dopo ke ‘et’.
– La presenza di ke entro l’onomastica come ‘et’ congiunge : ma
si congiunge qualcosa che è distinto e/o già separato; se è la designa-
zione di un solo personaggio, ke ‘et’ in quanto congiunge indica a
priori che si tratta di diversità di status – due – compresenti; se è co-
sì, probabilisticamente, ciascuno dei due segmenti dovrebbe avere
un indicatore di status, come lessico (tipo filius, libertus) o come
morfologia (tipo Aemilianus, Octavianus per una provenienza, in
un’altra gens – Cornelia, Iulia – dalla gens Aemilia o Octavia).
– Di conseguenza, vi dovrebbe essere almeno un nome indivi-
duale, almeno un appositivo proprio, al massimo due appositivi,
quindi per esclusione vi dovrebbero essere almeno due indicatori di
status, uno dei quali, per indicazioni congiunte, enogenes; altri ele-
menti della formula passibili di identificazione di status sono venet-
kens e osts, per le motivazioni che si addurranno avanti, dopo una
riproposizione di quanto visto in termini di formula.
Prima di entrare a considerare le basi lessicali sottese alle forme
enogenes, venetkens, osts, prospettiamo le diverse possibilità astrat-
tamente rispondenti a questa ultima interpretazione :
1) tre termini di lessico paritetici – venetkens, osts, enogenes – ri-
feriti a Iats Laions : quale sarebbe la ratio della collocazione all’in-
terno della (supposta) formula onomastica? e soprattutto perché ke
coordinante in quella posizione? In tutti i casi, una formula onoma-
stica *Iats Laions sarebbe interrotta dall’inserzione di altri termini, e
ciò con una evidente anomalia sintattica, con implicazioni prag-
matiche come minimo da giustificare.
Se invece si attribuisse anche a laions uno statuto onomastico
particolare, si otterrebbe una attribuzione complessa ma simmetri-
ca, vale a dire
2) un nome individuale, con quattro attributi di lessico ripartiti
in due coppie coordinate da ke;

iats

venetkens osts ke enogenes laions

A loro volta le due coppie lessicali (venetkens osts ed enogenes


laions) andrebbero messe in relazione tra loro, e i rapporti interni
tra i quattro membri potrebbero essere di due tipi, cioè venetkens
paritetico ad enogenes; osts paritetico a laions, cioè

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 367

(2a) venetkens osts


↓ ↓
enogenes laions

ed in questo caso ke coordinerebbe due coppie simmetriche; oppure,


preferibile sulla base della morfologia delle finali : uscita -ns comu-
ne a due forme, venetkens paritetico a laions, ed osts paritetico ad
enogenes, cioè
(2b) venetkens osts

enogenes laions

con ke coordinante due coppie disposte per chiasmo.

Fin qui l’interpretazione in termini di possibile struttura della


‘formula’; proponiamo ora una analisi dei singoli termini, lasciando
impregiudicata la loro posizione tra lessico e onomastica o, più pre-
cisamente, lasciando imprecisato il loro status lessicale con la cer-
tezza che entrano comunque nella formula onomastica, così come
sono elementi della formula onomastica a Roma le specificazioni
f(ilius), n(epos) etc. Ci teniamo a sottolineare che questa è sì un’ana-
lisi anche o precipuamente etimologica, se si vuole vecchia maniera,
ma che il senso vuol distinguersi dalla vecchia maniera perché dice
di meno e insieme di più, o meglio dice le cose in forma diversa.
Iats si affianca a Iants attestato nella stessa Vicenza, e presuppo-
ne una ‘base’ ia- al pari di ka- per Kata-, Kanta, Kantes, Katusiaios
(Vi 2), va- per Vanta, Vantes, Vantaveio- etc.; ogni speculazione sulla
significatività di tali basi rispetto alla funzionalità onomastica è fat-
tibile, fondata ma decettiva 22. Per Laions non ci sono immediate evi-
denze (anche se anticipiamo che, al termine di questo iter interpre-
tativo, potremo forse recuperare un indizio a favore di una attribu-
zione), ma va posta la questione del rapporto con le altre forme
venetiche dalla base laivo-, (dativi) Laivnai (Is 1,2) e Laivonioi (ciot-
tolone da Padova) 23 ; come problema fonetico, il confronto propone

22
Una attribuzione tra venetico e celtico – già ipotizzata – avrebbe le stesse
caratteristiche.
23
È forse da tener conto che in entrambi i casi – sia per laivnai che per laivo-
nioi – la qualificazione di tipo esclusivamente onomastico non è del tutto sconta-
ta. Per laivnai, pur senza voler richiamare la questione ormai superata della iden-
tificazione come teonimo (cfr. LV II p. 127 sg.), vi è comunque una anomalia nel-
la sequenza onomastica, che inverte la posizione dell’appositivo facendolo
precedere al nome individuale (laivnai vrotai); laivonioi compare nella formula
horaioi laivonioi, in cui il primo nome non ha forma primaria, ma risulta a sua
volta un derivato in -io- da una base hora, che indubbiamente richiama collega-
menti che vanno oltre l’onomastica. Su entrambe le forme A. Marinetti –

.
368 ANNA MARINETTI

un esito laio(n)- dove, rispetto a laivo-, -v- (foneticamente [w]) passa


a -∅- non in assoluto, ma in posizione davanti a -ōn- < -on-, quindi
con [ō] realizzato come [o] chiuso prossimo a u (v. qui per meu e so-
pra) : laions < *laivon- [laiwon-] indicherebbe -vo- come [wo]/[u].
Enogenes è forma composta con un primo elemento, eno-, prepo-
sizionale (cfr. il parallelo eno-kleves) 24, corrispondente al latino en-
(eni-), approssimativamente ‘in, dentro’; il secondo elemento è deriva-
to dalla radice *genH- del ‘generare’ : il composto eno-genes ha un pre-
ciso parallelo nel nome antico irlandese per ‘figlia’, ingen, ogamico
inigena < *eni-gena 25. Il quadro attuale mostra con la forza delle atte-
stazioni che *enigena innova sul termine ereditario tipo greco uy-
ga¥thr : il gallico aveva (Larzac) dux tir, il celtiberico (3o piombo di Bo-
torrita) tuater; inoltre il celtiberico ha per ‘figlio’ il termine kentis, gra-
fia per genti- : questo può avere riflesso sull’interpretazione delle
forme venetiche in gent- ma, ai nostri fini, mostra che un’area del-
l’indeuropeo occidentale attingeva a lessemi derivati da *genH1- per il
termine ‘figlio’; in ciò la quasi sovrapposizione di enogenes con *enige-
na è ulteriormente significativa per delimitare eventualmente il senso
di enogenes come ‘figlio’ quale ‘discendenza in ...’ : *enigena è per ‘fi-
glia’ e quindi con uno status sociale potenzialmente dissimmetrico da
‘figlio’; di conseguenza, se il parallelo è valido, un enogenes potrebbe o
dovrebbe significare, almeno come genesi, uno status particolare.
C’è dunque anche per il nostro termine la presunzione di funzio-
nalità nel lessico parentale delle relazioni sociali, piuttosto che come
pura designazione onomastica.
Enogenes occorre anche nella già citata iscrizione su coppa
bronzea (*Es 120), in una formula onomastica di problematica defi-
nizione, che riconsideriamo avanti; inoltre è attestato al dativo (eno-
genei) in una stele da Padova (Pa 3 bis) : anche in quest’ultimo caso
la formula ‘onomastica’ è anomala quanto a struttura : apparente-
mente a tre membri, tuttavia con l’inserzione, all’interno, del nomi-
nativo eppetaris, pragmaticamente ‘monumento funebre’ 26, che spez-
za la sequenza onomastica al dativo : enogenei enetioi eppetaris alba-
renioi. Oltre a questa anomalia, Pa 3 bis associa enogenei alla forma

A. L. Prosdocimi, Nuovi ciottoloni venetici iscritti da Padova paleoveneta, in Studi


di archeologia della X Regio in ricordo di Michele Tombolani a cura di B. M. Scar-
fì, Roma 1994, p. 171-194.
24
Sul valore del composto eno-kleves, ove eno- è riferito alla base -kleves,
nome indeuropeo della ‘gloria’, cfr. A. L. Prosdocimi – A. Mancini, Venetico VII-
VIII, in Arch.Veneto CV, 1975, p. 5-68.
25
Sulla questione P. Solinas, Sul nome indeuropeo della ‘figlia’ : nuove aper-
ture. I termini della prossima revisione, in Quaderni Patavini di Linguistica 18,
2002, p. 127-136.
26
Su eppetaris e forme collegate v. da ultimo Marinetti, Il ‘signore del cavallo’,
cit. a nota 7.

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 369

enetioi : un eneto- potrebbe essere solo “stranamente assonante” 27


con la forma greca corrispondente all’etnico veneto-, ma la concor-
renza delle forme enogenes e veneto- nell’iscrizione di Isola Vicenti-
na, e di enogenes ed eneto- in Pa 3 bis sembra troppo precisa per
pensare ad una pura coincidenza; in ogni caso, è un fatto che va ap-
profondito 28.
Venetkens ha, almeno apparentemente, una evidenza nel primo
membro, che ‘assuona’ coll’etnico veneto-; il secondo membro ha
confronti in venetico (-keni[? in Vantkeni[, Es 57) e in celtiberico
(kenis, termine di parentela entro la formula onomastica) 29. Trala-
sciamo qui l’analisi formale di venetkens, perché quanto qui interes-
sa è la istituzionalità di venet- < *venetı̆- : anche se deriva dall’etnico,
non è l’etnico proprio ma un suo derivato; in correlazione con -kens
che segue, qualifica il termine come istituzionale, prima e indipen-
dentemente dalla funzionalità di venetkens nella formula. Nel celti-
berico keni- è nome di parentela entro la formula onomastica, ma
realizzato in termini di lessico (v.sopra); è discussa la pertinenza se-
mantica 30, ma la funzione istituzionale entro familia e/o parentela, e
la morfologia in -i- sono assicurati. Il valore di Venet(i)ken(i)s do-
vrebbe quindi essere ‘appartenente al Veneti(o)-’ 31 : resta da determi-
nare il senso giuridico di ‘appartenenza’ in sé e in rapporto al senso
istituzionale di Veneti(o)-.
Osts è da *osti-, continuatore di ie. (occidentale) *ghosti- ‘stra-
niero’. L’ipotesi formale è permessa dal fatto che in venetico c’è ho-
stihavos con *gh- > h- e che hV- passa a ∅V- in fase precoce 32. Una
conferma viene ora dall’aspetto semantico-istituzionale di *ghosti- e
della terminologia da esso derivata, in particolare dall’onomastica;
ciò è dovuto alle revisioni in ambito latino 33 e alle acquisizioni in
ambito celtico 34 dove, nel celtico d’Italia, è attestato il continuatore

27
LV I, p. 339.
28
Sull’etnico dei Veneti v. A. L. Prosdocimi, Veneti, Eneti, Euganei, Ateste : i
nomi, in Este preromana : una città e i suoi santuari, Treviso Canova, 2002, p. 45-
76.
29
C. Jordan Cólera, Introducción al celtibérico, Saragozza, 1998, p. 110, 167-
168.
30
Cfr. Jordan Cólera, Introducción al celtibérico, cit.
31
Su veneti-/vineti- quale termine istituzionale nel quadro dell’indeuropeo
cfr. Prosdocimi, Veneti, Eneti, cit.
32
Come è stato mostrato da M. Lejeune congiuntamente su base fonetica e
morfologica (per tutti cfr. MLV, p. 149-151); una conferma dovrebbe essere *Es
121 He[--]torei continuato poi da Egetorei.
33
A. L. Prosdocimi, Curia, Quirites e il ‘sistema di Quirinus’ (Populus Qui-
rites Quiritium II), in Ostraka V, 1996, p. 243-319; cfr. anche il contributo di Pro-
sdocimi, Note sull’onomastica di Roma e dell’Italia antica, in questi stessi Atti.
34
P. Solinas, Annotazioni sulla forma *ghosti- nel celtico d’Italia, in Studi ...
Broilo, cit., p. 549-568.

.
370 ANNA MARINETTI

di *ghosti- ‘straniero’, sia nel leponzio di VI-V a.Cr. uvamokozis (Pre-


stino) e di VI a.Cr. xosio-, sia in tarda onomastica da area cenomane
con gosio- : tutto con *gh- > g- (variamente ortografato) e -st- > [ts]
(variamente ortografato in sé o negli esiti) tipico del celtico. Qui mi
attengo al venetico salvo una premessa dal latino (cfr. i lavori citati a
nota 33) : hospet- < *ghosti-pet- è il ‘signore dell’ospite’; Hostius non
è ‘quello dello straniero’ generico, ma ‘quello che ha la manus sullo
straniero’ perché è di rango; così il nome individuale, poi prenome,
socialmente motivato. Lo stesso è da presupporre per Ostio- < *ho-
sti-jo- da *ghosti-jo- nel venetico; non è un astratto parallelo confor-
tato solo dalla riconosciuta affinità linguistica del venetico con il la-
tino fino a livello della istituzionalità anche riflessa nella semantica
del lessico comune : c’è anche una riprova interna al venetico resti-
tuendo ad hostihavos di Pa 7 la sua pregnanza istituzionale. Nell’i-
scrizione su ciottolone patavino, hostihavos, è ritenuto nome indivi-
duale al nominativo con appositivo, toupeio 35 ; vi è l’eventualità che
non sia una formula onomastica propria ma una designazione di in-
dividuo diversamente significata. In ogni caso hostihavos è evidente
come composto, e basi relative, e come tale è già stato etimologizza-
to 36 come ‘colui che invoca il nemico’, il che non ha molto significa-
to; pienamente significativo è invece se si pone, come si deve, *gho-
sti- ‘straniero-ospite’, perchè in questo senso hostihavos significhe-
rebbe ‘colui che parla (o ‘risponde’) per l’ospite’; un osts può essere
sia un *hosti- ‘hostis’, sia un hostio- ‘(colui) dell’hostis’.
Da quanto detto viene a delinearsi una ipotesi di interpretazione
dell’intero testo dell’iscrizione di Isola Vicentina, in una prospettiva
di designazioni ‘onomastiche’ con termini di lessico costitutivi della
formula, che hanno significazioni finalizzate a definire rapporti isti-
tuzionali : la correlazione delle coppie ‘venetkens ↔ osts’ ∼ ‘enogenes
↔ laions’ – ove ke coordina e nello stesso tempo contrappone le du-
plici componenti – può essere letta in chiave di posizione sociale di
un individuo (iats) rispetto alla comunità, a un ‘dentro’ (eno-genes =
all’interno del gene/os) e un ‘fuori’ (osts come ‘straniero’); e come
qualificazione etnica (veneto-), evidentemente in una situazione di
contatto etnico, personale (cioè inerente al solo individuo in questio-
ne) o proprio della realtà locale, verosimile data la marginalità del-
l’area del Vicentino – da cui proviene l’iscrizione – relativamente al
mondo venetico 37. Per reificare come esempio (ma con la cautela

35
Con nominativo in -io(n) invece che -io + -s : Untermann, Die venetischen
Personennamen, cit.
36
Da V. Pisani; cfr. Prosdocimi, LV II s.v. hostihavos, p. 103-104.
37
Mi riferisco qui ad una marginalità areale, che non vuol dire necessaria-
mente marginalità culturale, quanto piuttosto maggiore probabilità di contatti e
interferenze con realtà etniche e linguistiche diverse dal venetico.

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 371

che è necessaria in vista di diverse possibilità alternative) : uno Iats,


‘veneto’ (venetkens) in quanto pur partito dalla condizione di ‘stra-
niero’ (osts), ormai inserito nella comunità veneta, ma e ‘insieme’
(ke) ‘nato, originario’ (enogenes) di una comunità non veneta 38. Al
proposito, senza voler forzare l’interpretazione in questo senso per il
rischio di un clamoroso abbaglio, si potrebbe richiamare per la base
di laions (/laivonio- : v.sopra) la menzione nelle fonti 39 del popolo
dei Laevi (Ligures) fondatori e abitatori di Ticinum (Pavia); l’attribu-
zione ‘ligure’ della tradizione configurerebbe una qualificazione di
celticità non fuori luogo per presenze nell’area in questione. Il tutto
resta ancora nell’ambito di ipotesi di lavoro, da vagliare con atten-
zione per le conseguenze di portata storica che deriverebbero, sul
piano istituzionale, dal ritrovare termini espliciti e ‘ufficiali’ relativi
a forme di inserimento di alloveneti nella società veneta.
La possibile attribuzione di valore ‘istituzionale’ ad osts ed eno-
genes dovrà portare a rivedere gli altri contesti di occorrenza delle
stesse forme, ma anche le formazioni a queste parallele per struttura
(morfologia), e quelle lessicalmente correlate per pertinenza a campi
semantici prossimi (strutture sociali, parentela, istituzioni in genere).

Un secondo esempio di possibile pertinenza istituzionale di for-


me già riconosciute come onomastiche è il caso di enogenes, sopra
già accennato. La possibilità aperta dalla interpretazione proposta
per l’iscrizione di Isola Vicentina porta, come visto, a riconsiderarne
le altre occorrenze; e inoltre, oltre alla forma in questione, dovrebbe
portare a rivedere quanto è collegato alla formante -genes, e di con-
seguenza ad altre forme correlate a questa base. Si riapre inoltre la
questione delle formule onomastiche ‘anomale’ (monomie, trinomie,
etc.). Di tutto ciò propongo qui solo un breve cenno, collegato speci-
ficamente alla forma enogenes.
L’iscrizione *Es 120 suona :
alkomnomeulonśikosenoxenesvilkenishorvionuetonasan
Alkomno metlon Śikos Enogenes Vilkenis horvionte donasan
Nell’editio princeps (cfr. nota 13), Aldo Prosdocimi proponeva
una interpretazione (poi in parte modificata, ma non per quanto qui
interessa), il cui punto centrale era il riconoscimento di donasan co-
me 3o plurale di preterito attivo < *dona-s-;t; su questo plurale rico-

38
Richiamo qui, come possibile parallelo, il processo di integrazione di uno
straniero nella comunità veneta, ricostruito in primis attraverso i caratteri delle
formule onomastiche dello stesso e dei suoi discendenti : è il caso del Celta Tival-
Bellen- capostipite della famiglia degli Andeti : cfr. Prosdocimi, Veneti Antichi,
cit., spec. p. 376-381.
39
Livio V, 35,2; Polibio II, 17,4; Plinio n.h. III 124.

.
372 ANNA MARINETTI

nosceva (almeno) tre formule onomastiche monomie, Śikos, Enoge-


nes e Vilkenis. M. Lejeune 40, rifiutando la formula monomia, ricono-
sceva in Śikos ed Enogenes due membri della stessa famiglia-gens
(due fratelli?), con l’appositivo Vilkenis in accordo di singolare con il
secondo elemento, e il verbo al plurale. J. Untermann 41 proponeva
una coppia con formula binomia, Alkomno Metlonśikos, Enogenes
Vilkenis con verbo al plurale. La ratio interpretativa è evidente : il
verbo alla 3o plurale, preterito attivo, è il punto fisso che comanda il
resto, perché si presenta come evidenza; il resto ha interpretazioni
varie perchè non ha una propria evidenza, più ancora è problemati-
co precisamente nella sezione onomastica cui attribuire il soggetto,
mentre più verosimile appare il riconoscimento in metlon del nome
dell’oggetto, e in horvionte di un duale morfologico. Le interpreta-
zioni finora date partono dal dato assodato di donasan come plura-
le, tuttavia le interpretazioni principali divergono nella restituzione
onomastica, e ciascuna di esse presenta almeno una difficoltà; si po-
trebbe esperire, in via di principio, l’inverso, e cioè porre in dubbio
che donasan sia una 3o plurale e prospettare – escludendo un duale –
una 3o singolare. La trafila per giustificare un -s-an di 3o singolare di
preterito è complessa ma non impossibile; ad esempio, mediante
una estensione della 1o singolare *-s-: >* -s-an + -t; l’esito dovuto al-
la caduta di -t (-s-an∅) avrebbe poi portato a una rideterminazione
della 3o plurale con la desinenza -to del medio, da cui il tipo dona-s-
to. Secondo questa trafila si porrebbe l’eventualità astratta di una
formula unica a 3 elementi con enogenes termine di lessico tipo ‘ge-
nitus, gnatus’, quindi ‘Śikos gnatus Vilkenios’. Ciò implicherebbe di
necessità rimettere in discussione le altre due occorrenze dello stes-
so verbo, già interpretate come 3o plurale, per testare l’ipotesi di una
3o singolare; non è qui la sede per riprendere la questione, ma è suf-
ficiente dire che le altre attestazioni non portano una definitiva con-
ferma o smentita alla questione ‘singolare o plurale’. Vi sono tuttavia
elementi che rendono di fatto improponibile l’ipotesi di -s-a(n) come
3o singolare : secondo l’ipotesi fatta sopra -s-a(n) ∼ -s-to alternereb-
bero come varietà diacroniche, la prima più antica, la seconda più
recente. La cronologia di almeno due delle attestazioni di donasa(n)
è in effetti alta (metà-fine VI secolo; la terza non è databile ma certa-
mente più tarda), ma a fronte di queste vi è ora un’iscrizione (inedi-
ta) da Altino di fine VI secolo che ha già donasto. Il tutto riporta
quindi alla proposta iniziale per *Es 120 di un soggetto plurale, an-

40
M. Lejeune, Une antiquissima Vénète : le bronze votif de Lozzo Atestino, in
Rev.Ét.Lat. XLIX, 1972, p. 78-102; cfr. anche MLV nr. 123, p. 245-246.
41
J. Untermann, Die venetische Sprache. Bericht und Besinnung, in Glotta
LVIII, 1980, p. 281-317, spec. 297-300.

.
TERMINOLOGIA ISTITUZIONALE 373

che se non scioglie del tutto le riserve su un possibile valore ‘di lin-
gua’ (e non puramente onomastico) per Enogenes.
A partire dalla riconsiderazione di una forma come eno-genes <
*genes/os 42 in termini di funzione, saranno tra l’altro da riprendere
tutte le forme venetiche con formanti dalla stessa base *genes/os
(Voltigenes, [A]tgene- etc.), assieme alle questioni connesse e in qual-
che modo già presenti e anche lungamente discusse, ma ora riporta-
te all’attenzione. Una di queste è lo status della formante -gno-, cor-
radicale di -genes : è ormai solo un generico suffisso di derivazione,
esito di un processo di grammaticalizzazione (in seguito a ‘degrado’
morfonologico, e desemantizzazione) o è ancora in valore proprio
legato alla radice *genH1-? Oppure, giunta comunque a quota di suf-
fisso morfologico, conserva ancora una semantica specifica di ‘rela-
zione con’ in un valore ben preciso, ad esempio di appartenenza ad
un gruppo familiare o simili? In questo quadro va anche inserita la
posizione del suffisso -kno-, la sua possibile genesi celtica e l’even-
tuale allotropia con venetico -gno-; correlata a questo, e richiamata
proprio dalla iscrizione sopra discussa, vi è la funzione e la forma di
-ken- in venetkens, rispetto a -gen- e rispetto alle forme in -kno-.
Se vi è una possibile isofunzionalità delle forme in -ken- e -gno-,
e il rapporto tra -gen- e -gno- non è limitato alla originaria corradica-
lità, ma continua come semantica e posizione istituzionale (ossia è
ancora trasparente l’originario riferimento all’ambito del ‘*genos’,
compreso e usato come tale), anche venetkens andrà ripreso nei ter-
mini formali e sostanziali della composizione, oltre che nel valore di
‘etnico’.
Date le premesse, si è giunti ad una conclusione provvisoria o,
meglio, attendista. Ci sono motivazioni per andare oltre le analisi
del passato ma non ci sono ancora gli elementi per un nuovo qua-
dro, e, per assenza di conoscenza storico-istituzionale diretta, non ci
saranno forse mai, se non in termini parziali e probabilistici. Tutta-
via ci sono sollecitazioni a rivedere in quest’ottica, senza eccessi ma
senza sottovalutazione, l’intero corpus venetico alla ricerca di even-
tuali analoghi riferimenti, forse latenti e comunque fino ad ora livel-
lati all’insegna di una generalizzata attribuzione onomastica, e di
una certa tolleranza, prudenziale ma forse eccessiva, per i compor-
tamenti anomali riscontrati in molte ‘formule onomastiche’ (formu-
le ‘monomie’, ‘trinomie’, etc.) rispetto al tipo standard. Che nelle
iscrizioni venetiche vi sia presenza di termini istituzionali relativi a
rapporti sociali è già stato proposto – e talvolta provato – in diverse

42
Non tocco qui la questione morfologica delle forme in -es tra formanti
(presumibili) in -ies e flessione in -e-. Così pure non mi addentro – salvo un gene-
rico richiamo genetico ed un possibile inquadramento nella morfologizzazione –
nel rapporto tra *genH1- e -gno-, *ken- e -kno-.

.
374 ANNA MARINETTI

occasioni : per fare qualche esempio tra i più complessi, i casi di ves-
ketei, tideimes, vinetikaris, etc.; 43 fino ad ora, tuttavia, la scarsità se
non totale assenza di fonti storiche ha consentito un ridottissimo
spazio di manovra in questo campo, e consigliato un atteggiamento
generale di prudenza. Lo stesso incremento del corpus in questi ulti-
mi anni, e la ‘qualità’ delle nuove iscrizioni, cui si è si è sopra fatto
cenno, richiedono però una revisione del problema, che sia attenta a
non travalicare – per l’attrazione esercitata dall’etimologismo – i li-
miti della significatività storica, ma dove comunque non si abbiano
preclusioni precostituite verso una possibile valorizzazione dei dati
di lingua.

Anna MARINETTI

43
Rimando per la problematica generale e le questioni specifiche inerenti ai
singoli termini ai cenni presenti in Prosdocimi, VA passim, con i relativi i riferi-
menti bibliografici.

.
CLARA BERRENDONNER

SE FAIRE UN NOM
L’ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ
ET SES EFFETS ONOMASTIQUES EN ÉTRURIE

Si, comparativement aux autres systèmes onomastiques de l’Ita-


lie antique, le système étrusque présente une spécificité, c’est par
l’existence d’une catégorie de gentilices morphostructurellement
identiques à des noms individuels1. H. Rix a proposé de voir dans
ces nomina la transcription onomastique d’un processus d’acquisi-
tion de la citoyenneté. Cette hypothèse repose sur l’observation des
épitaphes clusiennes du lautni, c’est-à-dire de l’affranchi 2, tif ile (Cl
1.1645) et de son fils arnu tif ile palpe (Cl 1.2513) 3. Leur exemple
montre qu’en Étrurie, avant la Guerre Sociale, l’affranchi gardait
son nom personnel, donc n’était pas citoyen. À la génération sui-
vante, le fils prenait pour gentilice l’ancien nom individuel de son
père, en même temps qu’il entrait dans le corps civique. Toutefois, il
faut, selon H. Rix, exclure que la majorité des individus pourvus
d’un gentilice en forme de nom individuel soient des descendants de
lautni, car l’onomastique des deux groupes ne coïncide pas 4. L’iden-
tification, sur le plan social, des porteurs de gentilices identiques à
des noms personnels repose donc sur trois données : la datation des
occurrences de ces nomina, en grande majorité hellénistiques; le ca-

1
Rix 1972, p. 737, souligne que l’absence, parmi cette catégorie de gentilices,
de formes en -ie construites sur des noms individuels en -e démontre clairement
que les noms gentilices sont formés par transposition directe des noms indivi-
duels. Plus généralement, l’étrusque se caractérise, comparativement au latin par
exemple, par la variété des possibilités offertes pour la formation des gentilices. À
côté des formations patronymiques en -na ou -ra, on trouve des ethniques, à la
désinence typiquement en -ate/-au e ou -ite/-iu e, et des noms individuels employés
comme nomina (Rix 1977, p. 66-67).
2
L’équivalence entre lautni et libertus a été posée pour la première fois, à
partir des inscriptions bilingues, par G. Gamurrini, Scavi di Chiusi, dans Bull.,
1874, p. 17.
3
Rix 1963, p. 352.
4
Rix 1963, p. 349, 351, 364 et 375; Rix 1994, p. 99-100 : les gentilices iden-
tiques à des noms individuels correspondent à des prénoms archaïques, sud-
étrusques ou italiques; les lautni portent surtout des noms grecs et des diminutifs
de prénoms étrusques.

.
376 CLARA BERRENDONNER

ractère plutôt modeste des monuments funéraires sur lesquels ils


apparaissent 5 ; la confrontation des données épigraphiques et des
sources textuelles. Ces dernières évoqueraient l’existence de dépen-
dants 6 qui, à la faveur de soulèvements comme celui qui toucha Vol-
sinies entre 280 et 265 av. J.-C., auraient obtenu la liberté per-
sonnelle puis la citoyenneté. Les gentilices formellement identiques
à des noms personnels – H. Rix les désigne par le terme de Vor-
namengentilizia – seraient donc la trace d’un processus d’intégration
civique et de mobilité sociale verticale qui concerna l’ensemble d’un
groupe social 7. Les exemples antérieurs à l’époque hellénistique
doivent quant à eux faire référence à une situation historique dif-
férente, puisqu’ils ne concernent qu’une minorité d’individus, que
ces personnages n’avaient pas le même type de noms que les por-
teurs de Vornamengentilizia, et que contrairement à ces derniers, ils
paraissent avoir été parfaitement insérés dans le tissu social 8. Il faut,
par conséquent, préférer, pour l’époque archaïque, le terme d’Indivi-
dualnamengentile à celui de Vornamengentile. À l’époque, on aurait
affaire à des cas ponctuels de mobilité sociale horizontale 9.
E. Benelli a pour sa part récemment proposé une lecture dif-
férente des Vornamengentilizia, en soulignant leur incompatibilité
avec les prénoms civiques usités dans les communautés étrusques10.
Dans la mesure où les Vornamengentilizia correspondent souvent à
des prénoms archaïques ou rares, il faudrait supposer que leur em-
ploi comme gentilice conduisit à ce qu’ils ne fussent plus utilisés
comme prénoms. Il s’ensuit que le processus de formation des Vor-
namengentilizia doit être antérieur à la norme exigeant qu’un ci-

Rix 1963, p. 343.


5

DH, 9, 5, 4, les désigne par le terme de pénestes.


6

7
Les pénestes émancipés auraient pris comme gentilice leur ancien nom
personnel et comme surnom le gentilice de leur ancien patron : Rix 1963, p. 376-
378.
8
Rix 1963, p. 343; Rix 1972, p. 737; Rix 1977, p. 67 : les gentilices iden-
tiques à des noms individuels constituent 10% au plus du corpus étrusque ar-
chaïque; à l’opposé, on possède 1000 attestations de Vornamengentilizia environ,
qui correspondent à 20% des gentilices de l’Étrurie septentrionale hellénistique.
Par ailleurs, l’onomastique des porteurs d’Individualnamengentilizia est générale-
ment similaire à des prénoms étrusques et à des noms grecs, tandis que les por-
teurs de Vornamengentilizia sont le plus souvent dotés de noms italiques (De Si-
mone 1981, p. 91-92). Enfin, tandis que les sépultures des porteurs d’Individual-
namengentilizia ne se distinguent en rien, à Orvieto, de celles des porteurs de
gentilices patronymiques (Cristofani 1974, p. 315), les nécropoles de Chiusi hellé-
nistique semblent montrer une nette séparation des deux groupes (Rix 1977,
p. 68-73; contra, Benelli 1998, p. 248 notamment).
9
Sur les différents types de mobilité sociale, Ampolo 1976-1977, p. 333.
10
Benelli 1998, p. 249-250.

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 377

toyen choisisse son prénom dans un corpus restreint, pratique que


l’on observe déjà dans la nécropole archaïque de Crocifisso del Tu-
fo11. En bref, les Vornamengentilizia permettraient de suivre un pro-
cessus de formation des gentilices parallèle à celui des gentilices pa-
tronymiques, et sans doute caractéristique de la région de Chiusi et
Pérouse12. On ne pourrait plus, dès lors, opposer Individualnamen-
gentilizia et Vornamengentilizia, ni leur attribuer de signification so-
ciale ou juridique particulière.
Est-il, dès lors, encore possible de faire des gentilices tradi-
tionnellement rangés dans les catégories de Vornamen- et d’Indivi-
dualnamengentilizia les témoignages onomastiques de processus
d’intégration civique? Répondre à cette question revient en pratique
à déterminer s’il faut, comme H. Rix, voir dans la diffusion des gen-
tilices identiques à des noms personnels un phénomène précisément
daté des IIIe-IIe siècles av. J.-C., ou bien s’il est préférable, avec
E. Benelli, de considérer leur multiplication à l’époque hellénistique
comme un effet d’optique : la proportion de porteurs de Vornamen-
gentilizia dans la société correspondrait exactement à la proportion
des gentilices identiques à des noms personnels dans le stock ono-
mastique étrusque. Pour trancher, on s’est d’abord intéressé à la dis-
tribution, dans l’espace et dans le temps, des gentilices morphos-
tructurellement semblables à des noms individuels; on a ensuite ten-
té une étude plus proprement onomastique des Individual- et
Vornamengentilizia.

Vornamengentilizia et Individualnamengentilizia : caractéristiques


du corpus, distribution chronologique et géographique de la docu-
mentation

A priori, les gentilices semblables à des noms personnels


peuvent être :
– identiques à un prénom utilisé dans une langue de l’Italie anti-
que à système onomastique bimembre. On a distingué, dans ce cas,
prénoms étrusques (catégorie A) et prénoms italiques (catégorie B).
Lorsqu’un prénom italique était également employé par les popula-
tions étrusques, on a considéré que l’origine italique était première.

11
Cristofani 1987, p. 116.
12
Cf. Maggiani 1999, p. 55 : une des possibilités offertes aux VIIe-VIe siècles
pour la formation des gentilices est l’utilisation d’un nom individuel avec une
marque de génitif. Reste à expliquer pourquoi la zone de l’Etrurie interne conti-
guë à l’Ombrie développa des coutumes onomastiques différentes de celles du
reste de l’Italie.

.
378 CLARA BERRENDONNER

La catégorie A se décompose en gentilices identiques à :


1. des prénoms civiques étrusques attestés comme tels à l’é-
poque archaïque uniquement : cupe, vete, laru, lic(i)ne, peu e, pupae,
usele.
2. des prénoms civiques étrusques utilisés comme tels à l’époque
hellénistique uniquement : cure, vipe, herme, lauxume, rave, seu re,
sure, tarx i.
3. des prénoms étrusques utilisés aussi bien à l’époque ar-
chaïque qu’à l’époque hellénistique : avile/aule, ane, u ucer, velu ur, vel
x aie, velx e, venu, vetu, lar(i)ce, leu aie/leu e, pesna, s enti.

La catégorie B réunit les gentilices identiques à des prénoms :


1. Ombriens : ancar, vuisi/vuvzie.
2. Latins ou osques : anei, ani(e), anx e, ate, atei, ati(e), cae, cai,
cavie, ceis u, cvinte, cneve, u epri, hustle, laucie/luvcie, mani, marce,
nums i(e), petru, pumpu, pupli, salie, salvi, sertur, s etume, s ervi, spu-
ri, tite, uhtave.
3. Osques : cluate, cumni, ecnate, heirie, herine, veti, vetie, vipi,
marie, maie/meie, minate, minie, nuis, paci, sepie, ruvfe, statie, steni,
trepi, uvie, uf ale.
4. Falisques : afle, ceisi, velu ie, pule, ranazu, una.
– Par ailleurs, les gentilices morphostructurellement identiques
à des noms personnels peuvent également être similaires à un nom
individuel attesté dans une des langues de l’Italie antique. On a dis-
tingué dans ce cas :
Une catégorie C, regroupant les gentilices identiques aux noms
personnels attestés dans les langues à système onomastique mono-
membre (en pratique, langue celtique, vénète, grec).
– 1. noms celtiques : ax u, himiu?
– 2. noms grecs : antru[...], anf are, apluni, artile, atunes, hercle,
herclite, hipucrate, *metus, perzile, pelie, puce, tantle, tif ile, tipe, uf le,
urste, urfe.
– 3. noms vénètes? : creice.
– 4. autres : iucurte.
Une catégorie D, composée des gentilices identiques aux noms
individuels attestés en étrusque. L’identification de ces derniers sou-
lève des difficultés spécifiques. Rentrent en théorie dans cette caté-
gorie tous les éléments onomastiques qui soit apparaissent de ma-
nière isolée, soit sont associés à un gentilice au génitif susceptible de
désigner un maître. Or, bien souvent, les noms uniques apparaissent
sur de l’instrumentum : lorsque l’élément onomastique est sem-
blable à un prénom civique, au diminutif d’un prénom ou à un genti-

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 379

lice, faut-il conclure que l’on a affaire à un non-libre ou tout simple-


ment à une formule onomastique bi- ou tri-membre abrégée? Lors-
qu’en revanche l’élément onomastique est accompagné d’un
gentilice au génitif, se posent le problème des formules onomas-
tiques féminines et celui des usages locaux en matière de formu-
laire. Un gentilice au génitif, associé à un nom féminin, peut a priori
aussi bien désigner un époux qu’un patron. Par ailleurs, à Volsinies
par exemple, on a fréquemment association d’un prénom masculin
au cas 0 et d’un gentilice au génitif. On a en définitive comptabilisé
dans la catégorie D uniquement les éléments onomastiques qui ne
pouvaient être confondus avec ceux des catégories A, B et C, lorsque
l’éditeur de l’incription les interprétait bien comme un nom indivi-
duel :
arntle, arnziu, arnti, arntu, calisu, capiu, cencu, veiza, velu, venzile,
u ans i, pau anu, papa, rafi/ruvfie, sveitu, suplu, teta, tete, tetie, tlapu,
tusnu, ursme, hulu/fulu
En revanche, on a pris le parti d’éliminer de la liste des Vor-
namengentilizia et Individualnamengentilizia tous les éléments ono-
mastiques qui n’étaient pas strictement semblables à des noms indi-
viduels. Il n’est ainsi pas sûr que l’on puisse systématiquement
considérer comme interchangeables les formes pérugines petru et
petruni. H. Rix a posé l’équivalence entre les deux éléments sur la
base de leur utilisation parallèle comme cognomina associés au gen-
tilice tite13. Toutefois, petruni peut également être la transposition
étrusque du gentilice latin Petronius. De la même manière, un genti-
lice masculin en –i construit sur un prénom étrusque en –e témoigne
peut-être de l’adjonction d’une désinence de type italique à un Vor-
namengentile, donc d’une évolution de la forme linguistique.

En définitive, le nombre des individus qui portaient un gentilice


strictement identique à un nom individuel s’élève à 2174, sur une po-
pulation épigraphiquement documentée d’environ 8000 personnes14.
La répartition géographique des nomina similaires à des noms indi-
viduels montre, comme le soulignait H. Rix, une concentration des
attestations dans la partie septentrionale de l’Etrurie. Tandis que
l’Etrurie méridionale, les régions côtières et la cité de Volsinies ras-
semblent environ 7% des occurrences, le Nord de l’Etrurie regroupe
à lui seul 93% d’entre elles. Par ailleurs, chronologiquement, le phé-
nomène des gentilices identiques à des noms individuels est typique-

13
Rix 1963, p. 161.
14
On s’est efforcé de comptabiliser tous les individus dotés d’un gentilice li-
sible, en tenant compte des relations de parenté. On parvient à un chiffre compris
entre 7885 et 8265 personnes.

.
380 CLARA BERRENDONNER

ment hellénistique : si 1% des attestations remontent à l’époque ar-


chaïque, plus de 98%15 sont datées des IIIe-Ier siècles av. J.-C.
L’accroissement spectaculaire du nombre des gentilices iden-
tiques à des noms personnels entre les époques archaïque et hellé-
nistique coïncide-t-il, comme le suggère H. Rix, avec leur évolution
onomastique? Si l’on croise les critères géographique et chrono-
logique

VIIe-VIe Ve-IVe IIIe IIe-Ier Hellénistique total

Étrurie côtière 21 9 10 14 102 156


et centro-méridionale

Étrurie du Nord 3 5 38 213 1759 2018

total 24 14 48 227 1861 2174

on observe que les gentilices semblables à des noms personnels


sont répartis jusqu’au IVe siècle essentiellement en Etrurie méridio-
nale, puis par la suite en Etrurie septentrionale, ce qui recoupe la
distinction établie par H. Rix entre Individualnamengentilizia ar-
chaïques et Vornamengentilizia hellénistiques. Toutefois, l’évolution
générale de la documentation épigraphique en langue étrusque

VIIe-VIe Ve-IVe hellénistique non datées total

Étrurie côtière 641 631 1576 124 2974


et centro-méridionale

Étrurie du Nord 84 93 5077 9 5263


monde étrusque 725 724 6655 133 8327

suit exactement le même mouvement16 : du même coup, si, à l’é-


poque archaïque, 88% des attestations de gentilices identiques à des
noms individuels sont concentrées dans la moitié Sud de l’Etrurie,
c’est peut-être tout simplement parce que 88% des inscriptions
étrusques connues pour cette période proviennent des régions méri-
dionales. La même remarque est valable pour l’époque hellénistique.

15
La répartition entre le IIIe siècle d’une part, les IIe et Ier siècles de l’autre,
s’effectue plutôt en faveur de la seconde période, pour laquelle on dispose de
quatre fois plus d’attestations.
16
Les chiffres du tableau ont été obtenus par comptage à partir des Etrus-
kische Texte. Le CIE, pour sa part, recense plus de 11000 inscriptions étrusques,
mais intègre les simples signes alphabétiques parmi elles.

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 381

Dès lors, peut-on encore fonder une classification des gentilices


identiques à des noms personnels en Individualnamengentilizia d’un
côté, Vornamengentilizia de l’autre, à partir de leur répartition géo-
graphique et chronologique? Sur le plan onomastique, les gentilices
rangés par H. Rix dans la catégorie des Individualnamengentilizia
correspondent, en gros, à nos catégories A, C et D, ses Vornamengen-
tilizia à notre catégorie B17 :

VIIe-VIe Ve-IVe hellénistique

Étrurie côtière Individualnamengen- 11 2 48


et centro-méridionale tilizia

Vornamengentilizia 10 7 78

Étrurie septentrionale Individualnamengen- 2 3 528


tilizia

Vornamengentilizia 1 2 1482

À l’époque archaïque, 90% des Individualnamengentilizia aussi


bien que des Vornamengentilizia sont concentrés en Etrurie méridio-
nale, tandis qu’à l’époque hellénistique entre 90 et 95% des oc-
currences, pour les deux groupes, se trouvent en Etrurie du Nord. Il
semble par conséquent qu’on ne puisse opposer catégoriquement In-
dividualnamengentilizia et Vornamengentilizia : les deux types de
noms se répartissent exactement de la même manière sur toute la
période. La seule différence perceptible entre eux est qu’à partir de
la fin de l’époque classique, les seconds sont deux à trois fois plus
fréquents que les premiers. C’est donc à la multiplication des Vor-
namengentilizia d’origine italique qu’il faut rapporter l’augmentation
générale des Vornamengentilizia à l’époque hellénistique.

E. Benelli repousse très haut dans le temps le processus de for-


mation des Vornamengentilizia à partir de deux arguments, les pa-
rentés onomastiques entre Vornamengentilizia et prénoms étrusques
archaïques ou rares d’une part, et l’existence d’un rapport propor-
tionnel entre poids des Vornamengentilizia dans le corpus des genti-
lices étrusques, et poids des porteurs de Vornamengentilizia dans la
population, d’autre part. De fait, les prénoms utilisés comme base
pour la formation des Individual- ou Vornamengentilizia étaient peu
fréquents. À l’exception d’aule et de seu re, les éléments onomas-
tiques qui peuvent apparaître à la fois comme prénoms et comme

17
Rix 1977, p. 67; De Simone 1981, p. 91-92.

.
382 CLARA BERRENDONNER

gentilices ne sont jamais utilisés plus d’une dizaine de fois comme


prénoms. Lorsque l’on attribuait un prénom à un fils de citoyen, on
s’efforçait donc bien d’éviter les possibles confusions avec un Vor-
namengentile. Toutefois, seul un quart des gentilices identiques à des
prénoms étrusques correspond à des prénoms exclusivement utilisés
à l’époque archaïque. L’homonymie avec un prénom employé dans
la cité était possible dans la majorité des cas18. Il n’est donc pas cer-
tain qu’il faille rapporter l’incompatibilité entre gentilices identiques
à des noms personnels et prénoms courants au moment de la forma-
tion des Individual- ou Vornamengentilizia : cette particularité pour-
rait simplement traduire une tendance de l’onomastique à distin-
guer les éléments qui composent les formules de désignation. En
outre, la confrontation entre Vornamengentilizia et prénoms
étrusques n’est peut-être pas la plus parlante, puisque plus de 70%
des porteurs de gentilices semblables à des noms individuels ar-
borent des noms italiques. Surtout, la proportion des porteurs de
Vornamengentilizia dans la population étrusque n’est en rien
constante. À l’époque archaïque, moins de 10% des individus connus
dans la région sont dotés d’un gentilice en forme de nom individuel,
tandis qu’ils sont plus de 30% à l’époque hellénistique. Ceci semble
marquer que la composition de la société étrusque fut modifiée à un
moment donné, et donc qu’il faut bien attribuer une signification so-
ciale au phénomène onomastique des Vornamengentilizia.

Lautni et porteurs de Vornamengentilizia : deux réalités distinctes?

Que représenta donc, pour la société étrusque, l’apparition mas-


sive des porteurs de gentilices identiques à des noms personnels? La
réponse apportée par H. Rix consiste à la fois à utiliser le modèle
des inscriptions de lautni pour saisir la genèse des Vornamengentili-
zia et à placer une césure radicale entre l’onomastique des premiers
et des seconds. Il établit ainsi, dans un premier temps, que les por-
teurs de Vornamengentilizia sont des dépendants émancipés, et,
dans un second temps, qu’ils n’étaient pas, avant leur manumission,
des esclaves.
Le repérage des inscriptions de lautni19 repose sur la présence de
l’appellatif qui, la plupart du temps, n’est pas abrégé. Lorsque c’est le

18
De plus, lorsque le prénom qui sert de base au gentilice est inconnu sur
place (leu e à Véies; ane, velx e et rave à Tarquinia; vipe sur l’ager Hortanus; cure à
Volterra; vetu, leu e, pesna et s ure à Arezzo; leu e à Cortone), on est le plus souvent
dans le cadre d’une communauté à faible corpus épigraphique, pour laquelle on
n’a pas forcément une connaissance complète du stock onomastique.
19
Rix 1994, p. 100-106.

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 383

cas, il est assez rare que l’on puisse confondre l’abréviation, indiquée
l ou lt, avec un prénom (Cl 1.777, on aurait là une dépendante au lieu
d’une affranchie; Cl 1.2679, idem; Cl 1.1766). Les inscriptions de
lautni se répartissent en deux groupes, suivant que ces affranchis
possèdent une formule onomastique unique ou une formule ono-
mastique bimembre :

Groupe des lautni à formule onomastique unique :


– prénom civique masculin, attesté dans la cité : aule (Cl 1.1144,
1.2678, Pe 1.419), arnu ou laru (AS 1.270), arnu (Cl 1.526, 1.2671), vel
(Cl 1.2337, Pe 1.65), laru (Cl 1.317, 1.1404/1.1405, 1.1519, 1.1579,
1.2184, Pe 1.417), larce (Cl 1.426, Pe 1.1121), laris (Pe 1.5), lax u (Pe
1.747, 1.1220)
– prénom civique masculin, non attesté dans la cité : velu ur (Pe
1.980), leu e (Cl 1.71, 1.2614), licni (Cl 1.2206, sans doute à l’origine
gentilice latin)
– prénom féminin attesté dans la cité : u ana (Cl 1.384, 1.1459,
1.1575, 1.1997, Pe 1.1251), velia (Cl 1.1565, 1.2338, 1.2575), laru i (Cl
1.2063, 1.2086, 1.2137/1.2138, Pe 1.327), laru ia (Cl 1.857, Pe 1.844),
ramu a (Cl 1.599, 1.1148), s eu ria (Cl 1.1651)
– prénom féminin non attesté dans la cité : aula (Cl 1.2035), vela
(Cl 1.2681), leu i (Cl 1.2026), leu ia (Cl 1.1255), peu ia (Cl 1.1615)
– diminutif d’un prénom étrusque : arnziu (Cl 1.2655, Pe 1.414),
arnti (Cl 1.659, Pe 1.977), arntile (Cl 1.1332), auliu (Cl 1.1446), capiu
(Cl 1.199), veiza (Cl 1.2676), velicu (Cl 1.1280, 1.1863), velu (Pe 1.482),
venzile (Cl 1.1146), venziu (Cl 1.2125), u anicu (Cl 1.22/1.23, 1.562), lar-
za (Cl 1.1646), larziu (Cl 1.717, Pe 1.477), laru iza (Cl 1.2485)
– évolution d’un prénom étrusque archaïque : u ans i (Cl 1.882/
1.883, Cl 1.491, AS 1.187)
– gentilice étrusque : tretnei (Cl 1.1149)
– nom individuel étrusque : hatru (Cl 1.777)
– cognomen : papa (Cl 1.2108), tlapu (Pe 1.305)
– noms grecs : apluni (Cl 1.26, 1.920/1.921, Pe 1.922), atale (Cl
1.2259), atiuce (Cl 1.1568), atunes (Pe 1.979), carpe (Cl 1.2523), certu
(Cl 1.254), clepatra (Cl 1.344/1.345), evantra (Cl 1.24/1.25, 1.1880), eris
(Cl 1.2258), zerapiu (Cl 1.374), herclite (Cl 1.873), licantre (Cl 1.823),
nicipur (Cl 1.2014), nus (Pe 1.1075), tama (Cl 1.1644), tinus i (Cl
1.1563/1.1564, 1.2404/1.2405), tif ile (Cl 1.1645), truf un (REE, 56, 82,
Vc), f ers e (Cl 1.2406), f ila (Cl 1.768), f ilunice (Cl 1.1145), f ilutis (Cl
1.2371/1.2372)
– prénom italique : cae (Cl 1.1530, 1.2677), cai (Pe 1.948), vipi (Cl
1.436), pupli (Cl 1.2080)
– diminutif d’un prénom italique : u epriu (Pe 1.1000)
– gentilice italique : rusci (Cl 1.1438/1.1439)

.
384 CLARA BERRENDONNER

– nom individuel italique : nepur (Cl 1.1018, 1.2587)


– nom celtique : muceti (Vt 1.45)
– ethnique latin : lecusti (Pe 1.573)
– ? : calis u (Cl 1.1437), u esia (Cl 1.1276), haspa (Cl 1.1508), mazuti
(Vt 4.6), scarpini (Pe 1.706), sleparis? (Cl 1.2577/1.2578, 1.1179), suca
(Cl 1.18), urnas is (Pe 1.198), ursme (Cl 1.621), 8 attestations illisibles
(Cl 1.380, 1.1164, 1.2270, 1.2365, 1.2679, Pe 1.767, 1.991, Co 1.26)

Groupe des lautni à formule onomastique bimembre :


Le nom individuel originel est devenu prénom :
– prénom étrusque : ane (Cl 1.1834), arnu ou laru (Pe 1.211, avec
reprise du gentilice du patron), arnu (Pe 1.131, avec reprise du genti-
lice du patron), vel (Cl 1.1995/1.1996, 1.2358?, avec reprise du genti-
lice du patron), velia (Cl 1.713, avec reprise du gentilice du patron),
uana (Cl 1.1150, Pe 1.1094, avec reprise du gentilice du patron), has-
tia (REE, 60, 14, Chiusi, avec reprise du gentilice du patron), laru (Cl
1.860, avec reprise du gentilice du patron), leu e (REE, 64, 110, Chiusi,
le prénom n’est pas attesté dans la cité, avec reprise du gentilice du
patron), fastia (Pe 1.681, avec reprise du gentilice du patron)
– diminutif d’un prénom étrusque : laru icu (Cl 1.2451), laru iza
(Pe 1.925)
– prénom ou nom individuel italique : pupli (Cl 1.2079), raufe
(Pe 1.606), tite (Po 4.4)
– nom celtique : autu (Pe 1.1062)

Le nom individuel originel est devenu gentilice :


– prénom étrusque : larce (Cl 1.686)
– diminutif d’un prénom étrusque : aulu (Cl 1.1316)
– nom individuel ou cognomen étrusque : veru (Cl 1.1666), suplu
(Cl 1.2384), tusnu (Cl 1.2563), fulu (Cl 1.198)
– prénom italique : lauci (Cl 1.1904), pumpuni (Cl 1.2175), salie
(Cl 1.2355), tite (Cl 1.2476)
– nom grec : eucle (Cl 1.219), taure (Cl 1.429)
– nom vénète : creice (Pe 1.889)
–? : zupre (Cl 1.1766)

Cl 1.1967 est si mutilé qu’on ne peut établir si la formule ono-


mastique du lautni comportait un seul ou deux éléments.

Les lautni à formule onomastique unique peuvent soit simple-


ment accoler à leur nom l’appellatif indiquant leur statut, soit faire
en outre mention de leur patron, évoqué au génitif, par un gentilice,
un cognomen, ou l’association d’un prénom et d’un gentilice = caté-
gories Rix 1994 III, IAab, IB, IC, IAbb). En revanche, lorsque la for-

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 385

mule onomastique du lautni comporte un prénom et un gentilice,


plusieurs cas de figure se présentent :
– Le patron est mentionné au génitif (par un gentilice, un co-
gnomen, l’association d’un gentilice et d’un cognomen ou l’associa-
tion d’un prénom et d’un gentilice = catégories Rix 1994 IIB a et b) :
dans ce cas le prénom du lautni est un prénom civique courant et
son gentilice diffère systématiquement de celui de son patron. Par
conséquent, le gentilice du lautni doit dans ce cas correspondre à
son ancien nom individuel 20.
– Le patron est mentionné par un prénom abrégé. On a ici un
formulaire similaire à celui des inscriptions de liberti romains, et le
lautni a repris le gentilice de son patron. Une seule inscription, et
encore de lecture incertaine, se rattache à cette catégorie, Cl 1.2358.
– Il n’y a plus mention du patron (catégories Rix 1994 IIA a et b).
Le prénom du lautni est alors soit un nom individuel, soit un pré-
nom civique. Lorsque le prénom de l’affranchi correspond à un nom
personnel, on supposera que le lautni a pris pour prénom son ancien
nom individuel, et donc que son gentilice coïncide avec celui de son
patron. Lorsque le prénom appartient au stock des praenomina ci-
viques, la situation est plus complexe. La bilingue Pe 1.211 suggère
que dans ce cas également, le gentilice était emprunté au patron. Le
prénom civique peut alors soit correspondre au nom personnel ori-
ginel du lautni – on retombe alors sur le cas de figure précédent; soit
avoir été extrait du corpus des prénoms civiques, la formule ono-
mastique ayant alors gommé toute trace d’onomastique servile.
H. Rix rapporte à la Guerre Sociale le passage, dans l’onomas-
tique des lautni, d’une désignation unique à une formule bimembre.
L’alignement du statut juridique des affranchis étrusques sur le mo-
dèle romain aurait entraîné une adaptation des formules onomas-
tiques. Toutefois, il n’est pas exclu que certaines cités étrusques
aient anticipé ce mouvement. À Chiusi, il semblerait ainsi qu’un
lautni (Cl 1.2384) ait été doté d’un prénom et d’un gentilice dès le
dernier quart du IIe siècle 21.

La répartition géographique et chronologique des inscriptions


de lautni ne diffère en rien de celle des Vornamen- ou Individual-
namengentilizia. La plus ancienne occurrence d’un lautni pourrait
être REE, 56, 82, entre la fin du IVe et le IIIe siècle 22, et les rares ins-

20
Une seule exception est envisageable, Cl 1.1150, qui pourrait avoir repris le
nomen de son patron.
21
L’urne est datée par l’éditeur sur la base de l’olpè qui constituait le mobilier
funéraire.
22
Benelli 1989-1990, p. 364, no 82. Le contexte archéologique de l’inscription

.
386 CLARA BERRENDONNER

criptions datables remontent apparemment au IIe siècle 23. Par ail-


leurs, les lautni connus sont presque exclusivement concentrés à
Chiusi et Pérouse. On a vu cependant que ces faits n’étaient pas par-
ticulièrement parlants. En revanche, il est significatif qu’on ne pos-
sède que 158 mentions de lautni 24. La disproportion numérique
entre cette catégorie et celle des Vornamen- et Individualnamengenti-
lizia, quatorze fois plus nombreux, incite a priori à les séparer nette-
ment.
Qui plus est, les éléments onomastiques caractéristiques des
lautni semblent très différents des noms individuels qui servent de
base aux Vornamen- et Individualnamengentilizia. Globalement, les
types de noms individuels les plus courants chez les lautni sont les
noms d’origine grecque (25% des cas) et les prénoms étrusques (un
quart du corpus également). Si l’on considère toutefois le nombre
des occurrences, les noms identiques à des prénoms étrusques do-
minent très nettement 25. Dans la société étrusque du IIe siècle, on dé-
signait donc le plus souvent les esclaves par le biais d’un prénom ci-
vique. En revanche, les noms d’origine italique n’ont chez les lautni
qu’une importance minime : ils représentent environ 10% aussi bien
du nombre de noms que du nombre d’attestations. Cet argument
semble justifier la pertinence de l’opposition établie entre noms in-
dividuels utilisés pour former Individual – et Vornamengentilizia
d’un côté, et noms individuels des lautni de l’autre. Qui plus est,
quand on compare les gentilices des catégories A, B et C 26 aux noms
individuels portés par les lautni, on constate qu’un Individualnamen
– et Vornamengentile sur cinq seulement apparaît également comme
nom de lautni.

n’est pas très clair : E. Benelli appuie sa chronologie sur la typologie de l’arula, et
suppose que l’objet fut réutilisé dans la villa de la fin du IIe siècle où il fut
retrouvé.
23
En général, le contexte archéologique des inscriptions de lautni, sans
doute parce qu’il était modeste, n’a pas été relevé. Cl 1.1276 et 1.1459 sont datées
par leurs éditeurs de la fin du IIe ou du début du Ier siècle av. J.-C.; Cl 1.22/1.23,
1.24/1.25, 1.317, 1.436, 1.562, 1.1646, 1.2184, 1.2671, gravés sur des ollae ou des
tuiles, remontent vraisemblablement aux IIe-Ier siècles. À Pérouse, Pe 1.65 (tombe
rafi) est du IIe ou du Ier siècle et Pe 1.5 et 1.1000 sont postérieures à 200 av. J.-C.
24
On a compté comme une unité les groupes d’inscriptions qui faisaient ré-
férence au même individu, par exemple sous la forme d’une tuile et d’une urne fu-
néraires.
25
Les prénoms étrusques correspondent ainsi à 37% des éléments onomas-
tiques portés par les lautni, les noms grecs à 18%.
26
On a exclu la catégorie D, puisque dans son cas la relation entre porteurs
de Vornamengentilizia et lautni était assurée (les individus à nom unique sont très
vraisemblablement des esclaves; une fois émancipé ils deviennent, logiquement,
des affranchis). De fait, les deux tiers des gentilices de la catégorie D sont égale-
ment des noms de lautni.

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 387

H. Rix en déduit que lautni et porteurs de Vornamengentilizia


correspondent à deux réalités distinctes. Dans la mesure où les attes-
tations de lautni apparaissent plus tardives que celles des porteurs
de Vornamengentilizia, il faut supposer une succession chronolo-
gique entre les deux catégories. Par conséquent, puisque les lautni
sont des esclaves affranchis, les Vornamengentilizia feraient, eux, ré-
férence au système traditionnel de la servitus étrusque. Or, l’idée que
les rapports de dépendance, en Etrurie, différaient des réalités ro-
maines contemporaines, repose sur un dossier composé d’une di-
zaine de références littéraires 27, dont E. Benelli a montré récem-
ment 28 qu’elles pouvaient parfaitement être interprétées dans un
contexte juridique romain. S’il faut renoncer à l’idée que les struc-
tures de dépendance étrusques présentaient une spécificité, com-
ment expliquer le phénomène onomastique des Vornamengentilizia?
La confrontation avec les inscriptions de lautni suggère quelques
pistes. Les points de convergence entre gentilices identiques à des
noms individuels et noms de lautni concernent, certes, seulement un
quart des gentilices du groupe A, mais ce sont les plus courants. En
nombre d’occurrences, la moitié des nomina semblables à un pré-
nom étrusque pourrait avoir trouvé son origine dans un nom de
lautni. Les éléments onomastiques communs sont moindres pour les
noms italiques, puisqu’ils ne concernent qu’un Vornamengentile du
groupe B sur sept, mais il s’agit aussi des gentilices les plus fré-
quents, tels cai, vipi ou tite, qui à eux seuls, représentent 53% des at-
testations de leur groupe. Du même coup, il semble difficile d’ex-
clure l’éventualité que certains porteurs de Vornamengentilizia d’ori-
gine italique aient été des descendants de lautni. La documentation
des nécropoles rurales de Chiusi fournit d’ailleurs au moins un
exemple de liens généalogiques entre personnages appartenant aux
deux catégories, avec, à Badia S. Cristoforo, Cl 1.435, uana vipinei
pumpusa, probable fille de 1.436, vipi al(..) l(autni). Faire de tous les
porteurs de Vornamengentilizia des descendants de lautni soulève
cependant une difficulté considérable. On ne peut en effet établir
une corrélation constante, dans les catégories onomastiques A, B et
C, entre nombre des lautni et nombre des porteurs de Vornamengen-
tilizia. Or, rien ne justifie a priori que 12 lautni à noms italiques aient
eu une postérité de l’ordre de 1600 personnes, et que 58 lautni dotés

27
DH, 9, 5, 4; Liv., 9, 36; Diod., 5, 40, 3; Prophétie de Végoia (Lachmann 1848,
p. 350-351); Virg., Première Eglogue. Sur les possibles révoltes de dépendants
étrusques entre 302 et 265, Liv., 10, 3, 2, pour Arezzo; Val. Max., 9, 1 ext. 2; Flor.,
1, 16; Oros., 4, 5, 3-5; Iordan., 162; Jean d’Antioche, FHG, IV, 557, frg. 50; Zonar.,
8, 7; De Vir. Ill., 36, pour Volsinies.
28
Benelli 1996, p. 335-344.

.
388 CLARA BERRENDONNER

de prénoms étrusques n’aient «produit» que 300 porteurs de Vor-


namengentilizia. Un seul facteur permettrait de résoudre l’aporie,
l’antériorité de l’émancipation des lautni porteurs de noms latins ou
osques. Multipliés sur un plus grand nombre de générations, les Vor-
namengentilizia d’origine italique seraient, exponentiellement, deve-
nus plus nombreux. Dans ce cas, on supposera simplement que les
différences onomastiques entre lautni et porteurs de Vornamengenti-
lizia reflètent l’évolution chronologique des modes de désignation
des dépendants en Etrurie. On aurait, dans les premiers temps de
l’époque hellénistique, donné à ces derniers des noms italiques, puis
des noms plutôt grecs ou étrusques.

Conclusion
En définitive, l’idée qu’Individualnamen – et Vornamengentilizia
renvoient bien à des processus d’acquisition de la citoyenneté paraît
confirmée. Si la formation d’un gentilice par reprise pure et simple
d’un nom individuel semble avoir été une ressource offerte par l’o-
nomastique étrusque dès une époque très haute, c’est à un moment
précis de l’histoire de l’Étrurie que les Vornamengentilizia occupent
une place de premier plan dans l’onomastique locale. Il n’est pas sûr
que ce phénomène marque l’émancipation collective de dépendants
de type pénestes ou hilotes – ces derniers, d’ailleurs, porteraient-ils
en Italie un nom unique 29 ? Les parentés perceptibles entre Vor-
namengentilizia et noms de lautni, doublées du fait que les porteurs
de Vornamengentilizia représentent 30% environ de la population
étrusque hellénistique, forment un ensemble cohérent. La diffusion
des Vornamengentilizia traduirait l’augmentation du nombre d’es-
claves dans la société étrusque, non l’introduction de l’esclavage en
Étrurie ou un changement dans la nature des structures de dépen-
dance. Donner une signification sociale aux gentilices étrusques
identiques à des noms individuels permet du même coup d’expliquer
certaines anomalies relevées dans les formules onomastiques des
porteurs de Vornamengentilizia. Il n’y a pratiquement que chez eux
qu’un individu peut porter un patronyme identique à son gentilice 30 ;

29
Les dépendants différents des esclaves présentent, dans le monde grec, la
caractéristique de descendre de populations soumises par les armes à un mo-
ment donné. À l’origine, ils avaient donc des noms qui ne se distinguaient pas de
ceux de citoyens. Ducat 1990, estime ainsi que les noms des dépendants spar-
tiates ne devaient pas être différents de ceux des Homoioi. Dans la péninsule ita-
lienne, le statut le plus proche de celui des paysans dépendants serait celui des
nexi, qui portaient apparemment praenomen et nomen.
30
Cl 1.1234; 1.1338-1.1341; 1.1642; 1.1830-1.1831. Une variante de ce phéno-
mène pourrait être l’adoption, pour le premier citoyen de la famille, d’un prénom
dérivé du gentilice : Pe 1.148, 1.416, Ta 1.237, Vs 1.231.

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 389

il n’y a quasiment qu’eux qui abrègent voire omettent leur gentilice


s’ils possèdent également un cognomen; ils sont les seuls, tels laris
pulenas, descendant à la quatrième génération d’un larce pule (Ta
1.17), à modifier leur gentilice en lui adjoignant le suffixe caractéris-
tique des nomina étrusques, comme pour normaliser un nom qui ré-
vélait l’origine obscure de son titulaire 31.

Clara BERRENDONNER

ABRÉVIATIONS BIBLIOGRAPHIQUES

Ampolo 1976-1977 = C. Ampolo, Demarato. Osservazioni sulla mobilità so-


ciale arcaica, dans DArch, 9-10, 1976-1977, p. 333-345.
Benelli 1989-1990 = E. Benelli, Rivista di epigrafia etrusca, dans SE, 56, 1989-
1990, p. 364-366, no 82.
Benelli 1996 = E. Benelli, Sui cosiddetti penesti etruschi, dans PP, 51, 1996,
p. 335-344.
Benelli 1998 = E. Benelli, Le iscrizioni funerarie chiusine di età ellenistica,
dans SE, 64, 1998, p. 225-263.
Cristofani 1974 = M. Cristofani, Diffusione dell’alfabeto e onomastica arcaica
nell’Etruria interna settentrionale, dans Aspetti e problemi dell’Etruria in-
terna, Florence, 1974, p. 307-324.
Cristofani 1987 = M. Cristofani, Saggi di storia etrusca arcaica, Rome, 1987.
De Simone 1981 = C. De Simone, Fremde Gentilnamen in Etrurien in archais-
cher Zeit, dans Die Aufnahme fremder Kultureinflüsse in Etrurien und
das Problem des Retardierens in der etruskischen Kunst, Mannheim,
1981.
Ducat 1990 = J. Ducat, Les hilotes, Paris, 1990.
Gamurrini 1874 = G. Gamurrini, Scavi di Chiusi, dans Bull., 1874, p. 10-17.
Lachmann 1848 = C. Lachmann, Schriften der römischen Feldmesser, I, Ber-
lin, 1848.
Maggiani 1999 = A. Maggiani, Nuovi etnici e toponimi etruschi, dans In-
contro di studi in memoria di M. Pallottino, Pise-Rome, 1999, p. 47-61.
Rix 1963 = H. Rix, Das etruskische Cognomen, Wiesbaden, 1963.

31
Un processus identique peut être suivi en AS 1.267-1.271. La tendance des
Vornamengentilizia à se doter de désinences italiques, notamment au féminin, va
dans le même sens. On ne peut a priori déterminer, à Chiusi, si une s eu rnei vient
d’une famille s eu re ou s eu rni, d’une lignée de citoyens récents ou d’une lignée an-
cienne.

.
390 CLARA BERRENDONNER

Rix 1972 = H. Rix, Zur Ursprung des römisch-mittelitalischen Gentilnamen-


systems, dans ANRW, I/2, Berlin-New York, 1972, p. 700-758.
Rix 1977 = H. Rix, L’apporto dell’onomastica personale alla conoscenza della
storia sociale dans M. Cristofani, M. Martelli (dir.), Caratteri dell’ellenis-
mo nelle urne etrusche, Florence, 1977, p. 64-73.
Rix 1994 = H. Rix, Die Termini der Unfreiheit in der Sprachen Alt-Italiens,
Stuttgart, 1994.

.
ANNEXE

GENTILICES ÉTRUSQUES MORPHOSTRUCTURELLEMENT


IDENTIQUES À DES NOMS INDIVIDUELS

Les références se rapportent aux Etruskische Texte. Le 1 des inscriptions fu-


néraires a été omis pour rendre la lecture des tableaux plus aisée.

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

type A
A1
cupe PR Cm 2.13, 2.60 Cl 1543
vete PR Cm 2.3, Cl 6.1 (6 ) e
Ta 207
AS 191, 295 = 296 (3e), 297 (3e), 298 (2)
(3e), 299 (3e), 300 (3e), 301 (3e), 302 (3e),
303 (3e), 304 (3e), 305 (3e), 306 (3e), 307
(2) (3e), 308 (3e), 309 (3e), 310 (3e), 311
(2) (3e), 446
Cl 313, 378, 622, 1315, 1670, 1671, 1672,
1673, 1674, 1675, 1676, 1715 (2), 1901,
1979, 2362
Pe 34, 390, 391, 433?, 566, 1040, 1041,
1043
Vt 118 (2e 1⁄2 1er)
Fs 6 (5e)
laru PR Vc 2.15 (6e) AT 103
AS 219 (3e-2e), 221 (3e-2e)
Cl 1864
lic(i)ne PR Cr 3.13, 3.18; le laut- Ta 222
ni Cl 1.2206-1.2207 se
nomme licni
peu e PR Vs 1.167 (5 e ), NI
lautniu a Cl 1615
Cl 2047, 2457
pupae PR Cr 2.34-2.35 (6e) AS 43 = 44 (1e 1⁄2 2e), 99 = 106, 271
Cl 786, 2031, 2176
us ele NI Cr 3.1, PR Vs 1.98, Cr 2.64 (6e)
1.108, 1.160
A2
(à suivre)

.
392 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

cure PR AS 1.219 AS 380 (2)


Cl 830, 1726?
Pe 352 = 353
Vt 4 (80-60), 24 (2e moitié 3e), 4.1 (1er)
vipe PR Ta 1.92, Vs 1.133, Ta 93 (4e-3e)
1.231, 1.233 AT 28 (2e-1er), 74
AH 8
herme PR AS 1.69, 1.77, Pe Cl 130/131/132? (fin 3e-2e), 467, 1810,
1.594 1811/1812, 1813?, 1814?, 2519, 2.35
Pe 21, 176, 741 (180-90), 782 (2e), 1052,
1084, 1265
laux ume PR Co 2.2, AS 1.212 Cl 1908
rave PR Cl 1.390 Ta 177
seu re PR, NI lautniua Po 4.4, AT 196?
Cl 1.1651 AV 1? (1er)
Cl 252, 352, 821, 2197 = 2198, 2199,
2212, 2213, 2214, 2215, 2216, 2300
s ure PR AS 1.204 Ar 24
tarx i PR Pe 1.306 Pe 218
A3
avile/aule PR Ve 3.11 Cr 2.38 (7e)
AS 473
Cl 497, 719, 720, 1300, 1301, 1302, 1303,
1304, 1305, 1363, 1554, 1701/1702/1703,
1827 = 1828, 2087, 2502
Pe 650
ane PR Ve 3.39?, AS 5.1, NI Ta 71 (3e), 150 (2e)
lautni Cl 1.1834 AS 129, 217/218, 258, 396, 2.9
Cl REE 61, 1 (2e), Cl 411, 497, 537, 538,
568, 571, 587, 715, 718, 824, 889, 903,
904, 1211, 1212, 1213, 1214, 1215, 1216,
1217, 1218, 1219, 1220, 1221, 1222,
1223/1224, 1225, 1226, 1227, 1513,
2334, 2616
Ar 77/78, 79
Pe REE 55, 80
u ucer PR Cl 6.7 Cl 1845
velu ur NI lautni Pe 1.980, G Cl 839, 893, 1490, 1520, 1608, 1609,
lautniu a Cl REE 60, 14 1610, 1611?, 1673, 2052
Pe 81 = 82 = 83, 1020
velx a(i)e PR Cm 2.38, 2.50, REE Cl 455, 912, 1639, 1640
65-68, 84; Vs 1.14, 1.24 Co 2.1 (archaïque)
(à suivre)

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 393

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

velx e PR Ar 1.9 AT 156


Cl 216, 832, 908/909/910/911, 1641,
1642, 1643, 1645, 1646, 1647, 1648,
2163/2164 = 2165, 2417
venu PR Sp 2.56, REE 65-68, Cl REE 60, 11 (2e), Cl 1731
127
vetu / veu u NI Ad 2.2, PR Vs 1.128, Vs 105 (6e), 6.5 (1e moitié 2e)
AS 5.1, Cl 1.417? AS 447, 468
Cl 141, 699 = 700, 701, 749, 771, 772,
833, 1131 = 1132, 1161, 1211, 1692,
1693, 1694, 1695, 1696, 1697, 1699,
1700, 1701/1702/1703, 1704, 1705, 2368
Ar 82
lar(i)ce PR Cm 2.7, Cr 2.2, Ta, Cr 2.90 (6e)
AT, AS, Cl, Vt, Po, Ar, Vs 145 (6e)
Cr; NI lautni Cl 1.426; G Cl REE 59, 24, Cl 163, 194, 212, 213,
lautni Cl 1.686 214, 312, 358, 427, 428, 695, 696, 697,
699, 700, 701, 704, 705, 706, 707, 726,
1311, 1316, 1841, 1855, 1856, 1857/
1858, 1861, 2121, 2437
leu aie / leu e PR leu ae/leu e (Cr 2.61, 6e ; Ve 3.44 (fin 7e)
Vs 1.142, 6e ; Ta 1.107); Ta 77, 154 = 155, 256
NI lautni Cl 1.71, Co 32
1.1255, 1.2026, 1.2614 Ar 15
AS 270
Cl 519, 623 = 625, 782, 853, 1463, 1915,
1916, 1917, 1918, 1919, 1920, 1921,
1931, 1936, 2687
Pe 136, 540 = 541, 542, 546, 595, 796,
806 = 807, 824 = 825, 856, 876 (début 2e),
968, 1095, 1096, 1097, 1105 = 1106
pesna PR Ve 3.2, 7e ; AH 1.10; Ar 7
Vs 1.225 ; AV 1.4 ; Vc Cl 289, 409, 1045, 2071 (2e moitié 3e),
7.28, 4 e ; Ru 5.1 ; AS 2072, 2073, 2074/2075, 2076, 2077
1.200; Cl 1.396, 1.398
s enti PR Ta 1.199, 6e ; Cl 2.11 Vs 261?
Pe 713, 825, 870, 872, 873

type B
B1
ancar PR ombr. Um 2.6-2.7, AH 77?
PR Cl 1.1108
(à suivre)

.
394 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

vuisi/vuv- PR ombr. Vois. Vs 177, 298


zie AS 81 = 83, 321 = 322 = 323 = 324, 487
Cl 423, 811, 938 (2e), 1569, 1592, 1597,
1711, 1751, 1752, 1753, 1754/1755,
1756, 1757, 1758, 1759
Pe 349 = 350, 643, 777, 1067, 1068, 1069,
1070, 1071, 1072, 1073, 1074, 1136
Co 24

B2

anei PR Annius Ar 5, 26 = 27 = 28 = 29 = 30
AS 151, 282, 312 (3e), 456
Pe 1, 5, 109, 110, 160-161-162-163
(2e-1er), 276, 328, 360 = 361, 408, 455,
463-464 (2e), 511, 519, 520, (521, 522,
523, 524), 694, 780, 847, 908, 909, 910,
911, 912, 913, 914, 915, 994, 995 = 996,
1009

ani(e) idem AH 12
Vc 74
Cl 243/244, 245, 246, 275, 1228, 1229,
1230, 1231, 1232, 1233, 1234, 1857/1858
AS 153, 244
Pe 14, 358 = 359 (3e ), 482, 525, 526,
527, 528, 845, 918, 919, 920, 937, 1129,
1240

anxe PR Ancus Cr 3.16 (début 6e)


Vs 91 (6e)

ate PR Attus Vs 44 (6e)


Vt 2.13
Cl 414, 415, 1293, 2393

atei PR Attius Pe 500, 585/586, 890, 930

ati(e) PR Attius Cr 79? (6e), 5.4


Ta 66, 151 = 152 = 156 (2e), REE 63, 17
(4e), REE 63, 42
Vc 80
AS 203
Cl 1294
Vt 49-50-51-54 (1e moitié 1er)

(à suivre)

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 395

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

cai PR Gaius Vc REE 58, 26-28 (5e)


Vt 16 (fin 2e-début 1er), 54 (1e moitié 1er),
94, 95, 150
Pe REE 60, 39 (2e moitié 2e-début 1er), Pe
9, 10, 19, 24, 28, 33, 47 = 48 = 49 = 50 = 51
(2e-1er), 93 = 94, 118, 136, 185 = 186 = 187
(2e-1er), 215-216 (3e), 217, 223, 233-234-
235-250 (2e-début 1er), 277, 298 (2e-1er),
2 9 9 - 3 0 0 - 3 0 1 - 3 0 2 - 3 0 3 ( 2 ) ( 2e - 1er ) ,
314 = 315, 329, 338, 362 = 363 (3e -2e ),
392, 402, 427- 428 = 429?-430 = 431, 437,
467, 468, 474, 509, 537 = 538 = 539, 540,
560, 575, 597, 621, 632, 658 (2e-1er), 685,
750, 752, 757 (fin 2e-début 1er), 784?-
785-786-787-788-789 ?-790-791, 868,
871, 872, 874, 883-884?-885?-886?-887?-
888 ?-889 ?-890-891-892-893 ? (2e -1er ),
942, 943, 944, 945, 946, 947, 948, 949,
950, 952, 954, 955, 956, 957 = 958, 974,
1012, 1016?, 1018, 1114, 1246, 2.5 + 52
cai cutu (3e-1er)
Co 6, 15, 17 (4e)
cae idem, PR à Cl Ta 2.30 (2e moitié 4e)
AT 62, 63 (2e-1er), 143, 166 (fin 4e-début 3e)
AH 47, 54, 78
Vc 16, 2.35-2.36 (5e)
Po 2
Ar 1, 22, 47, 48, 61 = 62, 90, 2.2
AS 46, 53, 93, 124, 172, 203, 210, 215,
221 (3e-2e), 274, 295/296 = 297 (3e), 330,
360 = 361, 381, 382, 383/384, 413, 421,
433 = 434, 477, 478, 5.1
Cl REE 56, 47, REE 60, 29 (2e moitié 2e),
REE 60, 38 (fin 3e-2e), REE 64, 111 (2e),
REE 64, 120, REE 65-68, 104 (2e), 114
(2e), Cl 9?, 10, 14, 15-16, 27, 52, 114, 118
(2e), 140, 169, 192, 222 (2e), 229, 232,
236 = 237, 270/271 = 272, 287, 308 = 309-
310/311-312, 315, 372 (1er quart 2e), 498,
510 = 511/512, 532, 558-559, 562,
570 = 572 (2e), 578, 635/636, 641, 669-
670, 688 = 689, 690, 719, 802, 815, 840,
841, 842, 895, 897/898, 973, 1035, 1050,
1055/1056, 1059, 1068, 1069, 1075,
1152/1153-1154/1155, 1181 = 1182, 1196,
(à suivre)

.
396 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

cae idem, PR à Cl 1198, 1201, 1271, 1335, 1336, 1337, 1338,


1339, 1340, 1341, 1342, 1343, 1344, 1345,
1346, 1347, 1348, 1349, 1350, 1351, 1352,
1353, 1354, 1355, 1356, 1357, 1358, 1359,
1360, 1361, 1362, 1363, 1364, 1365, 1366,
1367, 1368, 1369/1370, 1371, 1372, 1373,
1374, 1375, 1376/1377, 1378, 1379, 1380,
1381, 1382, 1383, 1384, 1385, 1386, 1387,
1388, 1389, 1390, 1391, 1392, 1393,
1394?, 1395, 1396, 1397, 1398, 1399,
1400, 1401, 1402 (2), 1403, 1404/1405,
1406, 1407 (2), 1408, 1409, 1410, 1411,
1412, 1413, 1414, 1415, 1416, 1417, 1425,
1443, 1450 = 1451,1469, 1534, 1562,
1590, 1652, 1784, 1806, 1912, 1975, 1983,
1998, 2011/2012, 2013, 2055, 2157, 2161,
2167, 2185, 2186/2187, 2269, 2285, 2391,
2394, 2471, 2553, 2605, 8.1 (3e), tombe de
Pienza
cavie idem, PR Cr 2.74 (6e), Vt 124
Vs 1.99
ce(i)s u PR Kaeso AT 46, 197-198 (3e-2e)
AS 272, 273

cvinte PR Quintus Cl 1206, 1496, 1497

cneve PR Cnaeus, PR Cm 2.49, Vt 102


2.61, 5e ; Pe 1.1092 Cl REE 59, 32 (1er), 238 = 239
Pe 1002, 1003, 1004, 1005
u epri(e) P R T i b e r i u s , P R P e ? REE 59, 26 (4e-3e)
1.306, 1.1147, 1.1220 Pe 865, 875 = 880, 1086
Cl 1840

hustle PR Hostilus Cl 1047/1048


lauci(e)/ PR Lucius, PR Cr 2.139 Ta 75 (3e-2e), 149, 7.31
luvcie AT 102
Vs 26 (6e)
Po 1 (4e-3e)
Vt 96 (125-75), 140 (1er)
Pe 1093
Fs 7.1 = 7.2

mani PR Manius AT 36, 80


Pe 558, 740 (180-90), 812
(à suivre)

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 397

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

marce PR Marcus Cr 3.25


AH 22
AS 207, 262
Cl 1692 = 1693 = 1694 = 1704, 1937, 1939,
1940, 1941
Pe 55 = 56 = 57 = 73 (2e-1er), 1080?
Vt 130

nums i(e) PR Numerius Ta REE 64, 26 (début 3e)


Cl 753, 969, 1102/1103, 1596, 2025,
2026, 2027, 2028
Pe 197 = 198

petru PR Petro AT 84
AH 3, 5, 44
AV 10
Vt 134
Co 5 (2e), Tab. Co. (3e-2e)
AS 49, 177-178-179-180-181-182-183,
201, 276, 277, 278, 279, 280, 281, 283,
284, 286, 369 = 370, 431 = 432, 464
Cl REE 59, 40, REE 59, 41, REE 64, 8
(2e), REE 64, 23 (1e moitié 2e), Cl 12, 83
(fin 4e-milieu 2e), 277, 472 (fin 3e-milieu
2e), 490, 491, 499, 672, 681 = 682, 689,
727, 876, 884, 885, 886, 887, 936/937
(2e), 962, 963, 970/971, 1142, 1143, 1224,
1360, 1406, 1636, 1695, 1796/
1797 = 1798, 1908, 2006 = 2007, 2087,
2088, 2089, 2090, 2091, 2092, 2093,
2094/2095, 2096, 2097, 2098/2099, 2100,
2101, 2102, 2103, 2104, 2105, 2107,
2110, 2111, 2549
Pe 34, 90 (2e-1er), 231 (150-100), 250
(200-100), 546-547, 581/582-583/584-
585/586, 589, 602/603, 681, 725 = 726
(2e-1er), 856, 875-876-877-878-879-880?-
881?-882 (début 2e), 885 = 886 (2e-1er),
1019, 1084, 1092, 1140, 1141, 1142,
1143, 1144, 1258
petruni fém : Pe 20, 347, 699, 904, 1074,
1148, 1149

(à suivre)

.
398 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

pumpu PR Po(m)po Ta 186 (2e) = 191, 7.82-7.83-7.84 (1e moi-


tié 2e)
Vs 2.38
AS 258, 354, 425
Cl REE 64, 6 (1er ?), Cl 1 (2e), 218, 227/
228 (2), 434 = 435, 647, 804, 812, 813,
814, 815, 943/944, 945, 967, 1096 = 1097,
1156 = 1157-1158, 1160-1161-1162,
1425 = 1426, 1444, 1666, 1718,
1799 = 1800, 1918, 1965, 2159, 2163/
2164, 2165, 2166, 2167, 2168, 2169,
2170, 2171, 2172, 2173, 2445
Pe 260-261-262-263-264-265-266-266-
267-268-269 (2) (2e-1er), 339-341-342-
343-344-345-346-347, 697, 874, 953,
1051, 1161, 1162, 2.7
fém pumpuni Pe : 157, 270, 632, 801,
1183
Co 16, Tab. Co. (3e-2e)
Ar 34 = 35, 38

pupli PR Publius, NI lautni Cl Cl 750, 2177, 2178, 2179, 2296


1.2079/2080, PR Cl
1.2344

salie PR Salvius, G lautniu a AS 370, 371 = 372


Cl 1.2355, PR Cl 1.1461 Cl REE 61, 12 (2e), Cl 144, 619/620, 840,
1272, 1477, 1594, 1824, 1933 = 1934,
2343, 2344, 2345, 2347, 2348, 2349,
2350, 2351, 2352, 2353, 2355, 2356, 2357
+ 1643, 2346?

salvi P R S a l v i u s , P R P e AH 6, 2.1 (milieu 7e)


1.1209 Pe 2, 103 = 104 = 105-106, 173-174 = 175
(2e-1er), 199, 316-317, 402, 844, 926, 957,
958, 985, 1206/1207, 1208, 1210
sertur PR ou NI Pe 1.634, Vs Cl 383
1.149; PR Sertor Pe 7 = 8, 189 = 190 (2e-1er), 521 = 522, 802,
902 = 903, 1215

s etume PR Septimius AT 144 (milieu 3e-milieu 2e)


Cl 52, 892, 1373, 2178 = 2179, 2280
Pe 304 (2e-1er), 557, 697
s ervi PR Servius Pe 1190, 1191
spuri PR Spurius Pe 399, 400, 401
(à suivre)

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 399

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

tite PR Titus, G lautni(u a) Ta 30, 242


Cl 1.713, 1.1150, 1.2476 AT 137
AH 67, 3.3 (4e-3e)
Vt 106 (1er quart 1er), 153, 154 (6e), 155,
156, 8.1 (4e-3e)
AS 50, 51, 52, 64 = 88, 65, 195, 330,
340 = 341 (3e), 364/365 = 366, 407, 454,
503, 504
Cl REE 59, 17 = 35, REE 60, 37 (1e moitié
2e), REE 64, 9, Cl 45, 94, 126 (2e), 147 (3e),
177 (2e), 187, 224/225-226, 257, 288-289,
340, 379, 384, 399, 451-452-454, 483/484-
485/486, 514, 582, 596, 607, 628, 640,
711/712, 722, 787, 805, 821, 833, 869,
873, 879, 899, 914-915, 951 (2e), 1001,
1024-1025-1026, 1087, 1131/1132-1133/
1134-1135, 1137, 1153, 1170/1171, 1222,
1310, 1353, 1440, 1566, 1640, 1661, 1670,
1788, 1881, 1882, 1904, 1945, 1971, 1992,
2059, 2065, 2123/2124, 2129, 2320, 2424,
2425, 2426, 2427, 2428, 2429, 2430, 2431,
2432, 2433, 2434 (2e), 2435, 2436, 2437,
2438/2439, 2440, 2441, 2442, 2443, 2444,
2445, 2446, 2447, 2448, 2449, 2450, 2451,
2452, 2453, 2454, 2455, 2459, 2463, 2464,
2465, 2466, 2467, 2468, 2469, 2470, 2471,
2472, 2473, 2474, 2475, 2477, 2478, 2479,
2480, 2481, 2482, 2483, 2484, 2486, 2488,
2492, 2493, 2494, 2495, 2496, 2498, 2499
(2e), 2500, 2501, 2502, 2503, 2504, 2505,
2506, 2525 = 2526, 2550, 2606, 2609,
2610, 2611, 2637 = 2638
Pe 14, 23, 61/62 = 63 = 75-64 (2e-1er), 108,
121 = 122, 152, 164 (2e-1er), 281, 284, 393,
403-404-405/406-407-408-409-410-411-
412-413 (2e-1er), 465-466-467-469-471-
473, 507, 515 = ?559, 580 (2e-1er), 592,
593, 673, 734-735-738-739-740-741-743
(180-90), 771, 783-784, 836 = 837, 859,
914, 1057 = 1058, 1156, 1158,
1190 = 1191, 1227, 1229, 1230, 1231,
1232, 1233, 1234, 1235, 1236, 1237, 1239,
1240, 1241, 1242, 1243, 1244, 1245, 1246,
1247, 1248, 1249, 1250, 2.6, 5.3
Co 34
Ar 61, 62, 63, 65, 68, 69
(à suivre)

.
400 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

uhtave PR Octavus AS 7.2 (fin 4e-3e)


Pe 114, 115 = 116, 638, 639, 756, 817,
1264, 1267
B3
cluate PR Kluvaz Ar 85
cumni P R K u m n i s , P R C l Cl 925 = 926 (fin 2e-1er), 1192, 1482, 1531,
1.1848/1849 1532, 1533, 1534, 1535, 1536, 1537,
1538, 1539, 1540, 1541, 1542 (2?), 1728,
1783, 2165, 2312/2313 = 2314 = 2315
Pe 135, 675
ecnate PR* Egnaz PR Vs 1.299 Ta 95, REE 63, 13 (4e)
(6e) Vs 170
heirie Ta 118
AT 56, 2.31
AH 58
herine PR Heirens AV 3, 19
AS 6, 464
Cl REE 64, 13 (2e), Cl 71 (2e), 243/244?,
457, 868?, 1063?, 1067?, 1094, 1522?,
1738, 1778?, 1796/1797, 1799, 1801?,
1802?, 1803, 1804?, 1805?, 1806, 1807/
1808, 1902?, 2326?, 2351?, 2597?
Pe 87 = 88 (2 e -1 er ) ?, 233 (200-100) ?,
265 = 266 (2e-1er)?, 673?, 1082?, 1083?,
1207?
Ar 22, 31
veti(e) PR Vettius; Liv. 4, 28, 3 Vc 2.51 (?)
Ta 255
AS 141, 213
Cl REE 64, 13 (2e), Cl 22/23, 313?, 622?,
871/872, 1159, 1674?, 1675?, 1676, 1678,
1679, 1680, 1681, 1682, 1683, 1715?,
2466
Pe 109-111-112-113-114-115-116-117,
219-220-221-222, 343, 385-386-387-388-
389, 395-396-397, 398 = 399, 438-439-
441-442-443-444-445-446-447-448-449-
450-452, 523 = 524, 536, 629, 661 = 662/
663 = 664 (2e-1er), 906, 1044, 1045, 1046,
1091, 1118
Co 21, 22, Co REE 60, 68 (fin 3e-début
2 e)
(à suivre)

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 401

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

vipi PR Vibis; NI lautni Cl Ta 215


1.436 AH 9?, 33, 59?, 72
Vs 299 (6e)
Vt 50? (1e moitié 1er), 93?, 119?
AS 163 = 168, 173, 199 = 200, 272, 280,
2 9 9 ( 3e ) , 3 3 4 = 3 3 5 ( 3e ) , 3 6 3 ,
400 = 401 = 402, 410, 448, 486, 488
Cl REE 59, 37, REE 64, 113, Cl 54, 153,
215-216, 247, 250, 269 (milieu 2e), 367,
379, 400, 402-403, 435, 513 = 514?, 515,
516, 571-573 (2e), 576/577, 579, 588-589,
600, 610, 623/624, 626/627 = ?628, 639,
777, 827 (150), 839, 882/883, 954, 1101,
1136, 1139, 1142, 1177, 1217, 1242,
1355, 1441, 1476, 1553, 1599/1600,
1649, 1683, 1708, 1709, 1710, 1711,
1713, 1714, 1715, 1717, 1718, 1719,
1720, 1721, 1723, 1724, 1725, 1727,
1728, 1729, 1730, 1731, 1732, 1733,
1734, 1735, 1736, 1737, 1738, 1739,
1741, 1742, 1743, 1744, 1745, 1746,
1807-1808, 1820, 2090, 2112, 2199,
2277, 2278, 2460, 2476, 2514
Pe 31 = 32, 69-70 = 74 (2e-1er), 84 = 85-86
(2e-1er), 100 = 101 = 102, 119-120-121-122-
123-124-125-126-127-128-129-130?, 153,
154-155?-156, 175 (2e-1er), 196 (2e-1er),
199, 222, 318-319-320/321-322, 331-332-
333-334-335?- 337, 418, 456 (2e), 484?-
485-486?-487-488?, 491-492/493-494/
495-496-497-498-499-500 ?-501/502-
503-505-506-507, 543, 562/563-564?-
565-566, 592 = 593, 600, 639, 650, 668
(2e-1er), 670 = 671, 684, 738 (180-90), 755
(1e moitié 1er), 759-760-761-762, 774, 800,
835, 1049, 1050, 1051, 1052, 1053, 1054,
1055, 1056, 1057, 1058?, 1059, 1060,
1061, 1148, 1172, 1208
Co 23, Tab. Co (3e-2e)
Ar REE 55, 103
Fs 6 (5e)
marie PR Marius; Liv., 23, 35, Cl 560, 1958, 1959, 2370
15 Pe 1259
maie PR Mais Vc 2.9 (7e)
(à suivre)

.
402 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

minate PR Minaz AS 427


Cl 187, 1975, 1976, 1977, 2568
Pe 1122
minie AS 103
Cl 1978, 1979, 1980, 1981
nuis PR Novius Vt 2.12
Cl 2022
paci PR Pak(...) Lejeune, 91; Cr 14, 21 (début 2e ?)
Liv. 13, 2, 2 Vt 5 (80-60), 132
Cl 2030
s epie PR Sepis Cl 381, 675, 2273, 2274
ruvfe NI lautni Pe 1.606 AT 107 = 108 = 111 = 114
AH 4
Cl 1303, 2297, 2298, 2299, 2300
Vt 4.6?
statie PR Statis Ta 241
AT 50
AV 2.20
Cl 547/548, 1180, 1853, 2380, 2674
steni PR Stenius, Liv., 23, 8, 1 Cl 253, 286, 470/471, 2627
trepi PR Trebis Ta 214
Vt 157
Cl REE 59, 38, Cl 34, 1403, 1497, 1519,
2551, 2552, 2553, 2554
uvie PR* Ovius Vs 6.10 = 6.11 = 6.28 (2e)
Cl REE 64, 7, Cl 552, 581, 611
Pe 1262, 1263
uf ale PR Upfals Cl 766, 795 = 796, 887, 2643
B4
afle fal. Aufilo (Ve/278b), PR Pe 209, 456 ?-457 ?-458 ?-459 ?-460 ?-
Pe 1.1068? 461?-462?-463?-464? (2e), 547, 611 (2e),
780
ceisi fal. Caisio Ta 116 (3e)
AT 67 (2)
AH 46
Pe 76 (2e-1er), 324-325-326-327, 505, 990
Cl 1726
velu ie fal. Voltio Cr 2.15 (milieu 7e)
Cl 803, 1270, 1607
(à suivre)

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 403

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

pule Fal. Pola (Ve 322 g) Ta 17 (200)


AS 135
Cl 1645
ranazu Fal? (CIE 8415, 7e), PR Cr 133 (4e)
Cl 1.199 AV 15
Vt 142 = 143, 146
Cl 2288, 2289

una NI Ta 2.4, AT 2.14, Po Vs 155 (6e)


2.6, Li 2.3? Vc 45

type C

C1

ax u NI Acco, Billy p. 1 Cr REE 57, 44 (milieu 7e)


Vc 2.5 (7e)
AS 193
Cl 248, 1319, 1320, 1654, 2009, 2010
Pe 15 (2e-1er), 165, 292/293-294-295-296
(2e-1er), 611, 617, 680, 783, 1232
Vt REE 59, 15 (fin 6e)
Ar REE 55, 104 (fin 2e-1er)
Fs 2.4 (2e)

himiu? NI celte? AV 0.22 (milieu 4e)

C2
antru[...] NI grec Po 3
Cl 1238
anf are NI grec AS 437-438-439-440
apluni NI lautni Cl 1.26, 1.920/ Cl 1247, 2207, 2641
1.921, Pe 1.922 = NI grec Pe 923
Apollonios

artile NI ES V 127 AH 1

atunes NI lautni Pe 1.979 Pe 655 = 656, 1180

hercle NI grec Vs 130, 275


herclite NI grec; NI lautni Cl Cl 835/836/837
1.873
hipucrate NI grec Ta 6.1 (2e moitié 7e)
*metus NI grec Cl 1626

(à suivre)

.
404 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

perzile Cl 671
pelie NI grec Peleus AT 45
puce Cl 687, 1456, 2145
tantle NI grec Tantalos Pe 689/690/691, 692, 693, 1059
tipe NI paphlagonien Ti- Ve REE 65-68, 71 (7e)
beios
tif ile NI grec Diphilos, NI Ta 3.5 (3e-2e)
lautni Cl 1.1645 Cl 2511, 2512, 2513
uple NI grec Ta 180 (3e-2e)
Cl 766, 795 = 796, 887, 2643
urste NI grec Orestes Ar 7.1
Cl 646
urfe NI grec Orpheus Cl 766
C3
creice NI vénète Graiko?; G Cr 149
lautni Pe 1.889 Ta 217
Vc 5, Vc 2.33 = 2.34 (5e)
Cl 352, 567, 793, 794, 1302, 1510/1511,
1512, 1513, 1514, 1515, 1669, 1686, 1744
C4
iucurte NI Jugurtha? Cl 1854

D
arntle lautni Cl 1.1332 AS 63, 162 = 172, 192, 220 (3e-2e), 225-
226-227-228-229, 469, 470
Cl 1256/1257
arnziu lautni Pe 1.414 Pe 416
arnti lautni Pe 1.977, Cl 1.659 Co 3.3 = 3.4 (3e-2e)
Cl 1255
Pe 435, 972
arntu Pe 1.197-1.198 Cl 425
calis u lautni Cl 1.1437 Cl 1438/1439
capiu lautni Cl 1.199 Cl 1453
cencu/cin- Fa 2.4 (6e) Cl 102/103 (début 2e) = 1491, 724, 1490?,
cu 1492?, 2037, 2061
Pe 53 = 54, 748

(à suivre)

.
ACQUISITION DE LA CITOYENNETÉ ET SES EFFETS ONOMASTIQUES 405

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

veiza lautni Cl 1.2676 Cl 718, 1280 = 1281, 1401, 1590, 1591,


1592, 1593, 1594, 1595, 1596
velu lautni Pe 1.482 AH 7?
Vt 113 (début 1er), 1.114 (milieu 1er)
Cl 27, 90 (200-150), 98/99 (150), 104 (3e),
105 (400-350), 108 (400-350), 109, 110/
111, 113, 160, 176 (début 2e), 565, 697,
698, 1344 = 1345, 1485, 1654, 1655
Co 18
venzile lautni Cl 1.1146, 1.2366 AS 270
Cl 356, 1148, 1674, 2687
u ansi lautni Cl 1.491, 1.882- AS 126, 167, 165 = 133
1.883; NI Cl 1.1768? Cl 459, 993/994, 1001, 1043, 1049, 1240,
1423 = 1424, 1829, 1830/1831, 1832,
1833, 2481 (2e)
pau anu Vs 6.3 AV 6.8 (3e-2e)

papa Cr 2.70, 6e ; lautni Cl 525?, 2031?, 2032?, 2034?, 2.31?


Cl 1.2108

rafi lautni Pe 1.606 Pe 46-47-48-49-50-52-53-54-55-56-57-58-


59-60-61-62-63/64-65-66-67-
68,69-70-71-72-73-74-75 (2e -1er ), 678,
815, 816, 817, 818, 819, 820, 821, 822,
823, 824, 825, 826, 827, 828, 829, 986
sveitu Po 2.16; Sp 2.73; Cr 175
Vs 1.301 Ta 80 (3e)
AT 205
Vs 310, 3.7
Vt 125, 139 (début 1er), 144
AS 68 = 94, 417 = 418 = 419 = 422 (3e), 471

suplu Ru 2.7; lautni Ru 2.25


Cl 1.1967?, 1.2384 Po 4.4 (2, 2e)
Vt 145
Cl 2382/2383

teta Cr 2.48, 6e AT 193


Vs 129, 216
Cl 43, 441, 789, 790, 791, 797, 798, 799,
800, 2391, 2394
Pe 8.1
tete Vn 2.9/2.10 Cl 2392, 2393
(à suivre)

.
406 CLARA BERRENDONNER

Attestations Occurrences comme gentilice


Gentilice
comme nom individuel avec leur datation lorsque c’est possible

tetie NI Ta 7.16, 6e Ta 177


Vc 6
AS 216, 306 (3e), 383/384, 500
Cl 442, 444
Pe 476, 678, 701, 937, 1055, 1225, 1226,
1227
tlapu lautni Pe 1.305 Cl 493, 2514
Pe 16, 17, 18
tusnu lautni Cl 1.2563 Ta 209
AH 36, 68
Vs 2.56
AS 223-224 (3e-2e), 505, 2.6 (1e moitié 3e)
Vt 40 (début 1er)
Pe 1260
ursme lautni Cl 1.621 Ta 7.88
hulu / fulu Vc 2.19 (6 ); lautni Cl Cr 2.68 (2e moitié 6e)
e

1.198 Ru 2.12 (3e)


Vt 94, 168 (1er), 2.21 = 2.22 (début 2e)
Co 2
Cl 2674
Pe 1274?

.
FRÉDÉRIQUE BIVILLE

MANIFESTATIONS DU BILINGUISME GRÉCO-LATIN


DANS L’ONOMASTIQUE DE L’ITALIE ANTIQUE

Envisagée dans le cadre du bilinguisme gréco-latin, l’onomas-


tique de l’Italie antique donne lieu à un abondant matériel et à une
riche problématique. Le nom propre, en effet, est inscrit dans l’His-
toire, il appartient à une civilisation donnée et à la langue dans la-
quelle elle s’exprime. Il n’a donc pas son équivalent dans les autres
langues, et doit nécessairement être emprunté et transposé. À la dif-
férence du nom commun auquel, dans le pire des cas, peut toujours
venir se substituer une périphrase, l’emprunt d’un nom propre
étranger résulte toujours d’une nécessité, et le seul choix que l’on
puisse avoir est de lui conserver sa forme primitive, alloglotte, ou de
l’adapter aux structures de la langue emprunteuse.

Onomastique, histoire et culture. Les contacts gréco-latins à la lumière


des noms propres

Données historiques
Dans une perspective interlinguistique, le nom propre est par
ailleurs lourd de signification et d’informations. C’est lui qui, en tout
premier lieu, nous renseigne sur les peuples en contact, Grecs :
Graeci (Graeculi) = ™Ellhnev (dénomination dissymétrique), Ro-
mains : Romani = Rwmaı̃oi (avec substitution de suffixe), Italici,
Orientaux hellénisés : Phœnices, Syri, Aegypti, Asiatici..., et sur les
langues parlées : Graece = eΩllhnistı¥ latine = rΩwmaistı¥. Les topo-
nymes permettent de suivre les étapes de la colonisation grecque en
Occident, en particulier dans la Magna Graecia : Cumae, Syracusae,
Sybaris, Neapolis, Ancona, et la progression de l’expansion romaine
en Orient : Laudicea, Pergama, Alexandria..., avec l’important mou-
vement d’immigration gréco-orientale qu’elle a entraîné : Syrus in
Tiberim defluxit Orontes (Iuu. 3,62), «l’Oronte syrien s’est déversé
dans le Tibre». Sous chaque anthroponyme emprunté au grec se
cachent des figures historiques ou légendaires, plus ou moins cé-
lèbres, qui ont fait l’histoire des relations entre les mondes grec et
romain : Alexander, Pyrrhus, Phalaris, Ptolemaeus, Attalus..., à

.
410 FRÉDÉRIQUE BIVILLE

commencer par le troyen Énée (Aeneas), ancêtre de la nation ro-


maine, et le corinthien Demaratus, initiateur de la dynastie des Tar-
quins.

Données culturelles
C’est aussi par les noms propres que se révèlent la diffusion des
cultes (Hercules, Apollo, Pollux), de la culture (Homerus, Aratea,
Apelles, Archimedes), ainsi que la circulation des produits matériels :
Attalica, tissus brochés, lodices, étoffes de Laodicée, cauneae, figues
de Caunos. Et c’est encore le nom propre qui révèle les situations de
bilinguisme : Graecolatini (Égérie 47,4), bilingues gréco-latins, et
d’acculturation : graecari, «vivre à la grecque», Semigraeci (Varr., RR
2,1,2), «demi-grecs» (Romains hellénisés), T. Pomponius, chevalier
romain surnommé Atticus, en raison de son long séjour à Athènes et
de son hellénisation1. Cette acculturation va, pour les Romains, jus-
qu’à l’intégration d’anthroponymes grecs dans leur système onomas-
tique – noms serviles, tels Liuius Andronicus, le premier auteur latin,
M. Pomponius Dionysius, affranchi de Cicéron et d’Atticus (Cic., Att.
4,15,1), les nombreux Hermes, Eros, Alexander 2, – ou cognomina
d’hommes libres, comme P. Volumnius Eutrapelus, contemporain
de Cicéron, ainsi surnommé pour son esprit.

Polyphonie
Ce bilinguisme gréco-latin débouche donc sur une polyphonie
onomastique riche en doublets, comme pour ces noms de cités d’Ita-
lie centrale et méridionale : Dikaia¥rxeia (-ı¥a) > Dic(a)earchia = Pu-
teoli > Potio¥loi, Buxentum (-i, n.) = Pyjoỹv (-oỹntov, f.) > Pyxus
(-untis, f.), ainsi qu’en variantes, qui révèlent des voies et des dates
de pénétration successives : si Vlixes, face à Odyssey¥v et à Odyssea <
Odysseı¥a, et le doublet Aesculapius / Asclepius sont le reflet de va-
riantes grecques dialectales (Od- /Ol-, -ey¥ v/ -hv, Aıß sklapio¥ v
/Asklhpio¥v) 3, des couples tels que Pyrrhus / Burrus (< Py¥rrov) et
Catamitus / Ganymedes (< Ganymh¥dhv) 4 sont là pour rappeler que le
bilinguisme gréco-latin s’inscrit, plus largement, dans une situation
de plurilinguisme, en Italie même et dans l’ensemble du monde mé-
diterranéen.

1
Biville 2002, p. 84-91.
2
Solin 1971 et Solin 2003.
3
Cfr. respectivement Biville 1990, p. 73-75, et Biville 1995, p. 323.
4
Biville 1990, p. 237-238 et p. 217-218.

.
MANIFESTATIONS DU BILINGUISME GRÉCO-LATIN DANS L’ONOMASTIQUE 411

Bilinguisme gréco-latin et plurilinguisme antique

Une dualité qui s’inscrit dans une pluralité


Le nom d’Hercule, Hercules, possède des correspondants en
étrusque, en osque, et en vestinien : Hraklh̃v > lat. Hercules / hercle,
étr. Herec(e)le, osq. Herekleís, vest. Herclo 5. Celui d’Apollon, gr.
Apo¥llwn (-wnov) > Apollo (-inis) offre en latin archaïque une va-
riante Apello à vocalisme e, qui se retrouve en osque : dor. Ape¥llwn
> lat. arch. Apellinem, osque Apelluneis, Appelloynhi 6. La ville de Ta-
rente, latin Tarentum (-i, n.) = grec Ta¥rav (-antov, m.) > latin Taras,
-antis, présente une réalisation messapienne daranuoa 7. Les lexico-
graphes anciens nous disent que le nom de la ville de Brundisium =
grec Brente¥sion est dérivé du nom messapien de la tête de cerf, grec
Bre¥ntion = latin brunda 8. En dehors de l’Italie, bien des noms
propres remontent à un original sémitique : libyque pour le nom du
peuple numide : Numidae = Noma¥dev, punique pour la ville de Car-
thage : qart hadašt, «Ville neuve» > Carthago = Karxadw¥n 9, égyptien
pour celle de ˙ Canope : Canopus /-bus = Ka¥nwpov /-bov, syrien pour
l’anthroponyme Malchio : sém. MLK (= ky¥riov, rex) > Malxı¥wn >
Malchio.

Des ambiguïtés interprétatives


Nous nous trouvons donc souvent confrontés à des ambiguïtés
d’interprétation pour déterminer l’origine exacte d’un nom propre
et sa filiation. Différentes hypothèses se présentent à nous : em-
prunt du latin au grec, ou du grec au latin, ou encore, aller-retour
entre les deux langues; emprunts parallèles du latin et du grec à
une troisième langue (qu’il n’est pas toujours facile d’identifier);
ou encore, langue intermédiaire entre le latin et le grec10. Si l’on
arrive assez bien à démêler la situation pour ce qui est, par
exemple, du double jeu d’ethniques Veneti / Heneti = Oyßenetoı¥ /
Enetoı¥ (latin Veneti > Oyßenetoı¥, désigne les Vénètes de Vénétie et
d’Armorique, grec Enetoı¥ > Heneti, les Hénètes d’Asie-Mineure)11,
on ne peut être aussi affirmatif en ce qui concerne des couples
tels que Agrigentum = Akra¥gav (-antov) > Acragas (-antis) ou Pro-

5
Biville 1990, p. 324-327.
6
Biville 1995, p. 202-203.
7
Biville 1990, p. 239-240.
8
Biville 1990, p. 242.
9
Biville 1995, p. 67-68 et p. 500; Biville 1990, p. 351.
10
Sur cette pluralité d’interprétations possibles, qui concerne tout autant le
lexique des noms communs, cfr. Biville 1992, p. 227-240.
11
Biville 1990, p. 81-82.

.
412 FRÉDÉRIQUE BIVILLE

serpina = Perseφo¥nh (> Persephone)12. S’agit-il d’emprunts, défor-


més, du latin au grec, ou d’emprunts parallèles à une langue anté-
rieure? Il arrive aussi que l’on soit amené à postuler l’existence
d’une langue intermédiaire et par conséquent, l’action d’un double
bilinguisme successif, étrusco-grec, puis étrusco-latin par exemple,
dans le cas d’Alixentros et de Catamitus : Ale¥ jandrov > étr.
Alexs(a)ntre > lat. Alixentros, face au réemprunt Alexander; Ga-
nymh¥dhv > étr. Catmite –> lat. Catamitus, supplanté par le réem-
prunt Ganymedes13. On a également évoqué la possibilité d’une
médiation osque pour Aiax (Aiacis) = Aı¶av (Aı¶antov), sabine pour
Ue¥tiv > lat. arch. T(h)elis, lat. class. Thetis14.
Une autre forme d’ambiguïté résulte aussi des latitudes offertes,
dans l’Antiquité, en matière d’alphabet. Il n’y a pas de coïncidence
systématique entre langue et alphabet. La nette prépondérance de
l’alphabet grec le rend apte à transcrire les différentes langues de
l’Italie primitive et, à l’époque impériale, il n’est pas rare de trouver
du latin translittéré en grec, et du grec translittéré en latin. On peut
ainsi lire, sur les murs de Pompéi, le nom Satrio Valenti écrit en ca-
ractères grecs : CATRIO OYALENTI (CIL 4, 2993, p) et, plus troublant,
la séquence : DIONYCIOC OPTO TE (CIL 4, 3885, g), «(moi) Dionysios,
je souhaite que tu...», où le nom propre, en grec, précède l’énoncé
latin opto te15. La graphie témoigne aussi parfois d’intéressants «al-
lers-retours» (ou chassés-croisés) entre les deux langues, ainsi dans
l’emploi des signes isofonctionnels F et PH (transcription du grec
φ) : une graphie latine telle que Phidelis, avec ph, peut être inter-
prétée comme fautive, et comprise comme une graphie inverse;
mais il peut aussi s’agir de la retranscription du grec Fidhliv, avec
φ-, lui-même transcrit du latin Fidelis avec f-, tout comme on voit
fréquemment Rufus revenir en latin avec ph, Ruphus, en étant re-
transcrit du grec Roỹφov16. Au nom grec des îles Baléares, Gymnh¥siai
(nh̃soi), s’est substitué le nom latin Baleares > grec Baliareı̃v; mais le
latin Baleares a été interprété comme un dérivé du grec ba¥llw, «lan-
cer», en raison de la réputation des frondeurs baléares (Liv., Perioch.
60; Serv., G. 1,309), et par ailleurs il a été, en grec, recaractérisé par
le suffixe -ı¥dev : Baliar-ı¥dev.

12
Biville 1990, p. 243-244 et p. 143-144.
13
Biville 1990, p. 217-218.
14
Biville 1990, p. 94-96 et p. 359; Biville 1995, p. 399.
15
Biville 2000 . Cf. aussi Purnelle 1999, p. 825-834.
16
Sur ces questions, cf. Purnelle 1995, p. 203 et 330.

.
MANIFESTATIONS DU BILINGUISME GRÉCO-LATIN DANS L’ONOMASTIQUE 413

Intégration et systèmes socio-linguistiques

Le choix de la langue : un révélateur socio-culturel


La coexistence d’emploi des deux langues donne donc lieu à des
confusions de code, mais aussi à des choix linguistiques, laissés au
gré des locuteurs. Ces choix sont particulièrement riches d’implica-
tions socio-linguistiques et socio-culturelles. Un philhellène tel que
Cicéron n’hésite pas, dans sa correspondance, à recourir au grec,
surtout lorsqu’il s’adresse à Atticus. Il termine l’une de ses lettres
(Cic., Att. 2,9,4) par une formule de salutation mixte, typique du
«code-switching» : Terentia tibi salutem, «Terentia te salue», en la-
tin, puis continuant en grec : kaı¥ Kike¥rwn oΩ mikroùv aßspa¥zetai Tı¥ton
toùn Auhnaı̃on, «et Cicéron le jeune (son fils, encore enfant) salue Ti-
tus l’Athénien». Le même Cicéron se fait par contre reprendre par
Atticus pour avoir utilisé, lui, un Romain, le nom du Pirée sous sa
forme grecque, Piraeea = Peira(i)e¥a, et non latine (Cic., Att. 7, 3,
10) : Venio ad ‘Piraeea’, in quo magis reprehendendus sum quod homo
Romanus ‘Piraeea’ scripserim, non ‘Piraeum’ (sic enim omnes nostri
locuti sunt) quam quod addiderim ‘in’, «J’en arrive à la forme
Piraeea, pour laquelle je suis bien plus coupable, moi un Romain,
d’avoir écrit Piraeea au lieu de Piraeum, comme disent tous les
Romains, que d’avoir ajouté la préposition in».
Les locuteurs latins peuvent donc se trouver confrontés à une
dualité de dénomination, latine ou grecque, ainsi pour le nom des
Muses : Camenae / Musae, pour celui des Étrusques : Tusci / Tyrrhe-
ni < Tyrrhnoı¥, ou pour le nom du Tibre, Tiberis (-is), qui présente
une variante littéraire Thybris (-idis) empruntée au grec Uy¥briv, et
qui donne lieu à un dérivé hybride à suffixe et à désinence (en e
bref) grecs, Tiber-ı̄n-ı̆děs (Ov., F. 2,597), «nymphes du Tibre». C’est
aussi le cas des théonymes, qui témoignent d’un syncrétisme entre
les religions grecque et romaine : Mercurius / Hermes, Triuia / He-
cate, Dis / Pluton, etc. Il convient donc, pour chaque situation d’in-
terlocution, de justifier le choix de la dénomination et de la langue.
À l’appellation latine usuelle et générique Graeci pour désigner les
Grecs, se substituent en poésie, outre Achiui, adapté du grec
Axaioı¥17 les variantes hellénisantes Grai et Achaei, et à partir du
1er s. a.C., le dérivé latin Graec-uli s’oppose, dans la langue cou-
rante, à Graeci, pour désigner les «faux Grecs», immigrés des an-
ciens royaumes hellénistiques, ou Romains hellénisés. En anthro-
ponymie, l’existence d’un double nom, grec et latin, peut être l’in-
dice d’une double personnalité, ainsi de l’impératrice Messaline
(Messalina), qui se prostituait la nuit sous le nom grec évocateur de

17
Cf. Biville 1990, p. 85.

.
414 FRÉDÉRIQUE BIVILLE

Lycisca, «la louve» : prostitit ... titulum mentita Lyciscae (Iuu. 6,


123). Le choix peut aussi se faire entre les deux formes d’un même
nom grec emprunté, la forme hellénisante, souvent savante, et la
forme latinisée, qui relève de la langue courante : Massalı¥a > Mas-
salia / Massilia, Kata¥nh > Catane / Catana, Catina. Les habitants de
la ville de Gela (Ge¥la > Gela) peuvent être dénommés par Geloi
(Virg.), emprunté au grec Gelw̃ov, ou par les dérivés latins Gel-
enses (Cic.) et Gel-ani (Pline)18.

Fidélité à l’original et intégration

Les noms propres ne sont en fait guère différents, sur ce point,


des noms communs. Ils oscillent entre deux tendances : la ten-
dance intégrationniste, qui consiste à s’approprier linguistiquement
le nom propre, et par ailleurs, le souci de rester au plus près de l’o-
riginal – surtout pour les anthroponymes, où le respect du nom
propre s’identifie au respect de la personne. Mais ce souci de fidéli-
té peut se heurter à des difficultés de reproduction (de prononcia-
tion en particulier), et de communication. Quintilien évoque l’inca-
pacité des Grecs à reproduire le f latin tant que leur φ ne s’est pas
spirantisé, ce qui leur fait prononcer Hundanius au lieu de Funda-
nius19. Il évoque aussi le cas d’un témoin latin incapable de re-
connaître un certain Amphion lorsqu’on prononce son nom à la
grecque, mais qui voit très bien de qui il s’agit une fois qu’on a sup-
primé l’aspiration, abrégé le i en hiatus, et déplacé l’accent 20. Cette
double tendance se retrouve en morphologie, dans la flexion nomi-
nale, où l’on peut opter pour la forme latinisée Hector, Hectōrem,
avec o long, sur le modèle de praetor, praetōrem, ou conserver la
flexion grecque Hectŏra, avec o bref 21. Les noms du type Dido
peuvent de même conserver la flexion grecque Dido, Didus (-w ¥,
-oỹv), ou se décliner, d’après leur finale de nominatif en -o, selon le
type latin en -o, -onis : Didonem 22.

Cf. Bonnet 2001, p. 27-38.


18

Quint., I.O. 1,4,14 : Graeci aspirare F solent, ut pro Fundanio, Cicero testem
19

qui primam eius litteram dicere non possit irridet.


20
Quint., I.O. 12,10,57 : qui cum interrogasset rusticum testem an Amphio-
nem nosset, negante eo, detraxit aspirationem breuiauitque secundam eius nominis
syllabam, et eum sic optime norat.
21
Varr. L.L. 10,70 : omnes... dicebant ut ‘quaestorem, praetorem’, sic ‘Hecto-
rem, Nestorem’. Itaque Ennius ait ‘Hectoris...’. Attius hoc in tragœdiis largius a
prisca consuetudine mouere cœpit et ad formas graecas uerborum magis reuocare :
... ‘Hectora’. Cf. Biville 1995, p. 236-239.
22
Biville 1995, p. 249-250.

.
MANIFESTATIONS DU BILINGUISME GRÉCO-LATIN DANS L’ONOMASTIQUE 415

Échelle d’intégration
On peut ainsi, comme pour les noms communs, proposer une
échelle d’intégration des noms propres dans la langue emprun-
teuse 23. Le degré le plus bas est constitué par la translittération, qui
consiste en un simple transfert d’alphabet, signe par signe (Italia >
Italı¥a, Niger > Nı¥ger) et qui, dans sa forme la plus dure, peut s’ac-
compagner d’une invariabilité casuelle : Dayı¥d > Dauid. La transcrip-
tion (adaptation) se fait par l’application de règles de correspon-
dances phono-graphématiques et morpho-phonologiques entre les
deux langues, règles qui constituent un diasystème gréco-latin. Une
finale grecque masculine en -av est ainsi intégrée en latin sous la
forme -a, et inversement : Nikı¥av > Nicia, Agrippa > Agrı¥ppav; au
grec -ov correspond le latin -us : Niko¥laov > Nicolaus, Lucius > Loy¥-
kiov, etc. 24
L’intégration phonétique se fait par l’application de règles phono-
logiques et phonétiques, comme nous l’avons vu pour Amp(h)io(n), la
plus significative de ces règles étant l’apophonie qui, en latin, en-
traîne la fermeture des voyelles brèves en syllabe intérieure, créant
ainsi des différenciations à l’intérieur d’une même famille lexicale :
Sikelı¥a /-elo¥v > Sicilia / Siculus, et la généralisation d’une voyelle de
composition de timbre i : Arxe¥laov > Archilaus. Un emprunt inté-
gré est aussi un emprunt qui, une fois entré dans la langue, continue
à évoluer phonétiquement, et dont on peut suivre l’histoire. Le nom
de Pollux en fournit un exemple privilégié, puisqu’entre le 6e s. a.C.
et l’apparition des premiers textes littéraires latins en 300 a.C., nous
pouvons suivre les différentes étapes qui, de la Grèce à Rome, en
passant par l’Étrurie, conduisent du théonyme grec Polydey¥khv à
l’interjection latine pol : Polydey¥khv > *Poldeukes [cf. étr. Pultuce] >
Podlouquei (Lavinium, env. 500 a.C.), Polo(u)ces (Préneste), Polluces
(Plt.), Pollux, pol 25.
L’intégration morphologique opère, avant tout, par transposi-
tion de finales flexionnelles (désinences et suffixes prédésinentiels).
Parallèlement aux translittérations latines Anchises, Anchisen..., du
grec Agxı¥shv, -oy, existe une flexion latine Anchisa, -am..., selon un
système d’équivalence reconnu entre le grec -hv (-av), -oy et le latin
-a, -ae. Un degré d’intégration plus poussé peut entraîner une reca-
ractérisation suffixale, par substitution ou adjonction, au profit d’un
suffixe particulièrement représentatif, ainsi des ethniques latins en
-iensis : Ro¥dov –> Ro¥d-iov, «de Rhodes» > Rhodus, Rhod-ius, par
emprunt, dérivé latin Rhod-iensis, ou du micro-système lexical

23
Biville 1989, p. 29-40.
24
Biville 1995, p. 224-251.
25
Biville 1995, p. 149-152.

.
416 FRÉDÉRIQUE BIVILLE

constitué par les noms de divinités féminines en -ōna : Latw ¥ > Lat-
ona (cf. Bell-ona, Ep-ona) 26.
Deux processus d’intégration, bien représentés pour les noms
communs, le calque et la traduction, sont exceptionnels pour les
noms propres. C’est sur le principe du calque morpho-sémantique
qu’a été créé en latin le nom de la divinité infernale Dis, dérivé de
diues, «riche», comme l’a été, en grec, le théonyme Ploy¥t-wn à partir
de ploỹtov, «riche» : diues, di(ui)tis –> Dis, Ditis. Le procédé de la
traduction est également exceptionnel. Il ne concerne que les noms
propres motivés, qui ont conservé un lien avec le lexique, par leur
origine nominale ou adjectivale : cognomina pour les anthropo-
nymes, lieux-dits pour les toponymes, titulature impériale : P. Clo-
dius Pulcher (cognomen héréditaire) > Klw¥diov ... oΩ Poỹlxer (trans-
cription), Klw¥dion toùn Kalo¥n (traduction) 27 ; Cn. Pompeius Magnus
(cognomen personnel) > (Gn.) Pomph¥iov Ma¥gnov (transcription), Me¥-
gav (traduction) 28 ; Augustus (titre impérial) > Ay¶goystov / Sebasto¥v
(passim) 29.
Le transfert d’un nom propre d’une langue à l’autre obéit donc à
des règles de transcodage précises, mais ces règles connaissent des
variantes, dont le signifié est à chercher, en diachronie, dans l’évolu-
tion de la langue ou, synchroniquement, d’un point de vue socio-
linguistique, dans les différences de niveau de langue parlée ou de
genre littéraire. Ces règles connaissent aussi des écarts, qui peuvent
être dus à des graphies phonétiques ou fautives, ainsi de Iosimus
pour Zosimus, caractéristique de l’anthroponymie épigraphique du
latin impérial, ou, plus déformé encore, Zonesa pour Dionysia 30.

Entre grec et latin

L’onomastique grecque remotivée par les Latins


Une autre manière de s’approprier le nom propre étranger
consiste à le remotiver, dans le cadre de démarches étymologiques
ou étiologiques, ou de jeux linguistiques 31. Dans le catalogue des
sites grecs de Sicile qu’il dresse au chant III de l’Énéide (v. 653 et
sq.), Virgile accompagne systématiquement les toponymes grecs
d’adjectifs latins caractérisants : Plemurium undosum (693), «le cap
de Plémyre, battu par les flots» (plhmyrı¥v = unda), arduus ... Acragas

26
Kircher-Durand 1979, p. 157-166.
27
Appien, Sic. fr. 7, et G.C. 2,14,52. Cf. Famerie 1998, p. 150-151.
28
Famerie 1998, p. 151, n. 393.
29
Sur la «traductibilité» des noms propres, cf. Biville 2003.
30
Biville 1990, p. 132 et 277-278.
31
Biville 1998a, p. 145-160, et Biville 2000, p. 91-107.

.
MANIFESTATIONS DU BILINGUISME GRÉCO-LATIN DANS L’ONOMASTIQUE 417

(703), «Agrigente escarpée» (a¶krov = arduus), etc. Il se montre en ce-


la fidèle à la tradition épique des épithètes «de nature», mais en
même temps, il explicite l’étymologie du mot grec et le recharge de
sens. Ovide (Met. 3,617) procède de même, mais par antiphrase,
quand il qualifie le fleuve Melanthus (me¥lav, «noir») de flauus,
«blond». Chez Martial (3,78), Palinure devient celui qui urine une
seconde fois (Palinurus = pa¥lin oyßreı̃n, meiere iterum), et Euclide
(Euclides < Eyß-kleı¥dhv), celui qui a une belle clé (kleı¥v, kleido¥v), à
défaut d’avoir une belle réputation (kle¥ov).

L’onomastique latine remotivée par le grec


Inversement, l’onomastique latine a pu être remotivée par le
grec, y compris dans ce qu’elle a de plus symbolique, de plus re-
présentatif de l’identité romaine. La tradition culturelle gréco-latine
a fait de l’Italie la «terre des veaux» : *italus, la base de dérivation
d’Ital-ia, a été interprété comme représentant le grec *(F)ıßtalo¥v, cor-
respondant du latin uitulus, «veau» 32. Elle a aussi interprété le nom
de Rome, Roma, comme le symbole de la force, rΩw ¥ mh. L’étiologie re-
ligieuse a vu dans le nom de la famille des Pinarii, desservants du
culte d’Hercule à l’Ara Maxima, ceux qui sont restés sur leur faim
(peina¥w) pour être arrivés trop tard au sacrifice (Liu. 1,7,12). Ovide
(F. 2, 599-616) a imaginé l’histoire de la nymphe Lala > Lara, «la ba-
varde» (la¥lov), pour trouver au nom des Lares une justification et
une étymologie que ne lui apportait pas la langue latine. Et l’empe-
reur Vespasien n’a pas hésité à déformer en Flaurus le nom du
consulaire Florus, pour le traiter d’idiot (φlaỹrov) et se venger ainsi
de son insolence (Suét., Vesp. 22,3). Il s’agit là de manipulations lin-
guistiques, certes littéraires et intellectuelles, mais qui sont révéla-
trices d’une familiarité avec la langue grecque, et qui traduisent le
souci des Latins de donner un sens aux noms propres en leur attri-
buant une étymologie.

Une onomastique grecque à référent romain


Plus significative encore est la création d’une onomastique
grecque à référent romain, comme le montrent les données tant his-
toriques que littéraires. Les ambassadeurs des pays grecs atten-
daient à Rome d’être reçus par le sénat dans un bâtiment nommé
Graecostasis (Varr., L.L. 5,155). Entre autres appellations détour-
nées, Cicéron désigne Pompée par ille noster Sampsiceramus (Cic.,
Att. 2,14,1), du nom du dynaste oriental qu’il a vaincu. L’empereur
Auguste appelait Apragopolis, «la ville de l’oisiveté», une île voisine

32
Biville 1990, p. 83. Gély 1993.

.
418 FRÉDÉRIQUE BIVILLE

de Capri où se retiraient les membres de sa cour (Suét., Aug. 98,6).


Les Romains donnaient à leurs esclaves des cognomina hellénisants
emblématiques tels que Psecas, pour une femme de chambre, Cinna-
mus, pour un coiffeur, Philematium, pour une jolie fillette; des ac-
teurs prenaient le nom de Paris, des gladiateurs celui d’Hermes. Ces
usages sont à mettre en relation avec les noms propres «parlants» de
la comédie, de la satire, et de l’épigramme : Gelasimus (Plt., St.),
le bouffon qui fait rire, Misargyrides (Plt., Most.), l’usurier qui mé-
prise l’argent (désignation par antiphrase). Toute cette onomastique
grecque à référent romain prouve, s’il en était besoin, qu’on ne sau-
rait systématiquement assimiler l’origine linguistique du nom
propre à la nationalité de celui qui le porte. En créant Taratalla à
partir d’une segmentation arbitraire d’un vers de l’Iliade (1,465 : mı¥s-
tyllo¥n t a¶ra ta¶lla kaıù...), Martial se moque de la mode qui consiste
à donner des noms grecs culturels à son personnel servile 33. Inverse-
ment, et historiquement cette fois, le port d’un nom romain (trans-
crit en grec) par un hellénophone, ne va pas nécessairement de pair
avec une origine romaine, mais révèle un processus de romanisa-
tion : Tı¥tov ™Ellhn w ¶ n, «Titus, un Grec», Droy¥silla oy¶sh Ioydaı¥a,
«Drusilla, une juive» 34.

Une onomastique gréco-latine


Un diasystème et un sous-système onomastique
Plus intéressante encore est l’existence d’une onomastique que
l’on peut qualifier de «gréco-latine», qui se manifeste sous différents
aspects. Tout d’abord, par l’existence d’un diasystème onomastique
gréco-latin, constitué de règles de transcodage, déjà évoquées. On
peut y ajouter, plus spécifiquement, l’émergence, à l’époque impé-
riale, de suffixes d’intégration flexionnelle, en particulier en -n- et en
-t- dans l’anthroponymie féminine : Elpı¥v, -idov –> Helpis, Helpinis,
Kypa¥rh –> Cypare, Cyparenis 35.
Cette onomastique «gréco-latine» se caractérise encore par
l’existence d’un sous-système onomastique alloglotte à l’intérieur de
chacune des deux langues. Les contacts gréco-latins ont ainsi fait
entrer en latin des formations inconnues telles que des anthropo-
nymes grecs féminins en -o (Aphro) et en -ium (Erotium), des mas-
culins en -as, des patronymiques en -ides / -ida, des ethniques en

33
Mart. 1,50,2 : Si tibi ‘Mistyllos’ cocus, Aemiliane, uocatur,/ dicatur quare
non ‘Taratalla’ mihi?, «si tu appelles ton cuisinier ‘Mistyllos’, Aemilianus, pour-
quoi n’appellerais-je pas le mien ‘Taratalla’?».
34
N.T., Ga. 2,3 et Ac. 24,24. Cf. Leclercq 1997, p. 295 et 298.
35
Leumann 1977, p. 459-460; Biville 2002a, p. 373-374; Adams 2003, p. 486-
491.

.
MANIFESTATIONS DU BILINGUISME GRÉCO-LATIN DANS L’ONOMASTIQUE 419

-oy¥ntioi > -untii, formés sur les noms de cités en -oỹv, -oỹntov : ainsi
de la série Opus / Opuntii, Sipus / Sipuntii dont s’autorise Cicéron
(Att. 6,2,3) pour évoquer les Phliuntii, habitants de Phlius, sans
prendre garde au fait que, dans ce cas précis, la règle de dérivation
ne s’applique pas, et qu’on dit en grec Phliasii (Flia¥sioi) et non
*Fli-oy¥ntioi. Le grec a aussi fait entrer dans l’onomastique latine
des processus néologiques que n’exploitait pas – ou très peu – le la-
tin, comme la composition, qui est à l’origine de la riche série des
noms de villes en -polis (type Neapolis), ou la dérivation hypocoris-
tique par troncation : Menedorus / Menas, Aphrodite / Aphro 36.

Des phénomènes d’hybridation


Les interférences entre les systèmes linguistiques grec et latin
sont surtout à l’origine de différentes formes d’hybridation, qui se ma-
nifestent par des adaptations hybrides, de transcription : Xrusanuus
(= Chrysanthus) 37 ou de flexion : Appii Forum > Appı¥oy φo¥ron 38 ; par
des noms de formation hybride, dans leur ¯ flexion (notha uerba) : Bac-
chides, -das (nominatif et accusatif pluriels à voyelle brève), leur
composition : Pompeio-polis, ou leur dérivation : Romul-ides, «les
descendants de Romulus», à suffixe patronymique, pour désigner les
Romains; Sestius –> shsti-wde¥steron (Cic., Att. 7,17,2), «plus ses-
tien». Les allers-retours lexicaux entre les deux langues aboutissent à
des formes dont on ne sait plus dire si elles sont grecques ou latines :
Eyßtyxı¥a > Eutychia, variante vulgaire Eutucia > Eyßtoykeı¥a, retrans-
cription grecque de l’emprunt latin 39 ; Siluanus > Siloyano¥v –> Sil-ãv >
Silas, retour du nom au latin, après troncation en grec 40.
Le processus d’hybridation va jusqu’à atteindre les unités infé-
rieures au mot, pour se manifester dans les morphèmes suffixaux et
désinentiels. Tout comme il a recaractérisé en -arius le suffixe grec
d’agent -isth¥v, ce qui a abouti à un suffixe complexe bilingue -ist-
arius (petaur-istes / petaur-istarius), le latin s’est constitué à partir du
suffixe grec -ı¥thv, par adjonction du suffixe latin caractérisant -anus,
un suffixe hybride -it-ani, utilisé au départ pour désigner les habi-
tants de cités grecques : Neapol-itani. L’anthroponymie féminine
s’est dotée d’une désinence de génitif -aes, d’origine discutée, mais
qui peut provenir de l’agglutination de la désinence latine -ae et de la
désinence grecque -hv : Antiochus Liuiaes ser(uus), (CIL 4,3123),
«Antiochus, esclave de Livia» 41.

36
Biville 1989a, p. 15-22.
37
Purnelle 1995, p. 453-455.
38
N.T., Ac. 28,15 (Leclercq 1997, p. 298).
39
Purnelle 1995, p. 125 n. 79 et p. 186 n. 16.
40
N.T., Ac. 15,22. 16,25 (Leclercq 1997, p. 298).
41
Cf. en dernier lieu Adams 2003, p. 479 s.

.
420 FRÉDÉRIQUE BIVILLE

Si le processus d’hybridation a pu ainsi pénétrer dans les pro-


fondeurs de la langue, c’est qu’il avait déjà envahi le formulaire ono-
mastique, en mêlant noms grecs (ou gréco-orientaux) et noms latins
(C. Pompeius Trimalchio), formes grecques et formes latines : DM
Caesenniae Galenes (Ostie), flexion grecque et flexion latine, en par-
ticulier dans l’usage du génitif masculin thématique de filiation en
-oy sur base latine : Maxuma Seiu (= Seı¥oy = Sei, Naples), Spo¥riov
Stertı¥niov Sporı¥oy Rwmaı̃ov (Délos), «Stertinius, fils de Spurius, ro-
main» 42.

Les noms propres dans la langue


Les noms propres sont donc tout aussi – voire plus – que les
noms communs, riches d’enseignements sur l’histoire des contacts
historiques et linguistiques entre les peuples de l’Italie antique et du
monde romain, ne serait-ce que par la masse lexicale qu’ils repré-
sentent, et l’apport massif d’informations qui en résulte. Loin d’être
des éléments figés, alloglottes, étrangers au système de la langue em-
prunteuse, ils s’intègrent – à des degrés divers selon la classe à la-
quelle ils appartiennent et leur degré de notoriété – dans les struc-
tures de la langue d’accueil, et ils sont ensuite susceptibles d’évoluer
et de générer des dérivés. La stabilité de leur référent n’est pas un
obstacle à l’évolution de leur signifiant. Ils témoignent de l’évolution
des deux langues en contact, et parfois même avant les noms
communs, ainsi de l’itacisme : Chiteris = Kyuhrı¥v, Miro = Myrw ¥ (ins-
criptions républicaines) 43, et de la spirantisation des occlusives aspi-
rées grecques : Heliofo = Hlioφw̃n, Orfeus = Orφey¥v (inscriptions de
88 et 59 a.C.) 44. Même s’ils comportent leurs propres structures lin-
guistiques et, en particulier, leurs suffixes spécifiques (anthropony-
miques, ethniques, toponymiques...), ils ne forment pas un système
clos, en marge de la langue, et ils entretiennent de constantes rela-
tions avec le lexique commun, qu’ils viennent enrichir et compléter,
par transferts métaphoriques et métonymiques, par exemple : Men-
tor, «un mentor», à savoir (un vase ciselé par) Mentor. Pera est attes-
té comme cognomen en 266 a.C. : D. Iunius Pera, alors que l’appel-
latif, pera «sacoche» n’apparaît pas avant Martial (André 1969). Le
port d’Ancône, latin Ancon / Ancona, témoigne d’une acception du
mot aßgkw ¥ n, «anse», qui n’apparaît pas en grec. Envisagés dans la
perspective du bilinguisme, les noms propres, déjà riches d’informa-
tions en eux-mêmes, ont encore beaucoup à nous apprendre sur

42
Cf. Leiwo 1995 et Adams 2002a.
43
Biville 1995, p. 293.
44
Biville 1990, p. 191. Cf. aussi, pour la spirantisation que suggère la mise en
relation : Chloris eram, quae Flora uocor (Ov., F. 5,194), Biville 1998a, p. 146-147.

.
MANIFESTATIONS DU BILINGUISME GRÉCO-LATIN DANS L’ONOMASTIQUE 421

l’histoire des langues et des civilisations qu’ils contribuent à péren-


niser, et il importe de poursuivre de manière systématique les re-
cherches linguistiques et socio-historiques qui ont déjà été menées
avec profit sur des corpus spécifiques.

Frédérique BIVILLE

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422 FRÉDÉRIQUE BIVILLE

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.
.
MARIA LETIZIA LAZZARINI

INTERAZIONI ONOMASTICHE NEL BRUZIO IONICO

Il panorama linguistico e onomastico del Bruzio è fra i più com-


plessi e interessanti della penisola, come è stato più volte messo in
luce dagli studi di Paolo Poccetti, al quale si deve anche la pubblica-
zione di materiali inediti, nonché una proficua revisione di materiali
più o meno recentemente editi1. Pur se con manifestazioni diverse e
in misura diversa, si nota in questa regione, a partire dall’età arcaica
con i testi di Tortora 2, Castelluccio 3, Stalettì 4, riferibili piuttosto alla
civiltà degli Enotri, ma soprattutto con la grande quantità di docu-
menti che si concentrano tra IV e III secolo a.C., con l’avvento delle
popolazioni osche, e, successivamente, con il processo di romaniz-
zazione, una serie di fenomeni interattivi, che rispecchiano, a diver-
si livelli, questo sovrapporsi di culture e di lingue. È della fase bret-
tia di questo territorio che vorrei occuparmi in questa sede, per la
quale, già attraverso la documentazione nota, abbiamo potuto con-
statare, pur nell’uso costante dell’alfabeto greco normalizzato, varie
gradualità nella lingua. Alludo, ad esempio, alla diversità della decli-
nazione di alcuni nomi osci, che talora sono trattati con le desinenze
italiche, talaltra con una declinazione perfettamente greca, come nel
caso dei bolli su laterizi di Tiriolo e Hipponion, recanti l’iscrizione
Trebı¥oy Perkennı¥oy 5, o degli oscilla fittili provenienti dalla prima
delle due località, su cui si legge Pakı¥oy Kalonı¥oy 6. O, ancora, come

1
Una sintesi critica degli aspetti etnico-culturali e linguistico-epigrafici di
questa popolazione è contenuta nel saggio Lingua e cultura dei Brettii, in P. Poc-
cetti (a cura di), Per un’identità culturale dei Brettii, Napoli, 1988, p. 1-158. Altri
contributi verranno citati successivamente.
2
M. L. Lazzarini – P. Poccetti, L’iscrizione paleoitalica di Tortora, in Il mon-
do enotrio tra VI e V sec. a.C., II, Napoli, 2001 (= Quaderni di Ostraka I, 2), p. 10-
212.
3
A. de Franciscis – O. Parlangeli, Gli Italici del Bruzio nei documenti epigrafi-
ci, Napoli 1960, p. 27 e 43-48, n. 10; H. Rix, Sabellische Texte, Heidelberg, 2002,
p. 71 (Ps 1).
4
de Franciscis – Parlangeli, Italici del Bruzio, p. 29 e 53-57, n. 15; Rix, Sabel-
lische Texte, p. 71 (Ps 2).
5
IG XIV 2402, 3 a e 3 b; P. Orsi, in Not. Scavi, 1921, p. 484 (SEG I 420). Cfr.
F. Costabile, Istituzioni e forme costituzionali nelle città del Bruzio in età romana,
Napoli, 1984, p. 94.
6
S. Ferri, in Not. Scavi, 1927, p. 344-345, fig. 7 (SEG IV 76).

.
426 MARIA LETIZIA LAZZARINI

avviene, ad esempio, nella defixio della tomba monumentale di Laos 7


o in quella, probabilmente pure di Laos, del Museo di Napoli 8, si no-
ta la presenza sistematica, dovuta certamente ad influsso greco, del
ny finale negli accusativi 9, e, talora, l’ampliamento nella desinenza
greca –on (Ocion, Sabidion10, ecc.) e, parallelamente, nel nominativo,
l’uscita in – ov (Nymciov, Miniov, Aselliov, Fariov11, ecc.).
In questo panorama e alla luce di questi problemi mi sembra
particolarmente interessante, soprattutto per quanto attiene al trat-
tamento dei nomi, ciò che emerge dalla lettura di un nuovo docu-
mento12 restituito dal territorio dell’antica Petelia, odierna Strongoli,
centro del Bruzio ionico circa 30 km a nord di Crotone. Per una mi-
gliore comprensione del documento e delle sue implicazioni, accen-
no brevemente alla storia del sito. Identificata con certezza attraver-
so la documentazione epigrafica e numismatica, Petelia figura nella
tradizione mitica fra le fondazioni di Filottete. In età storica gravita
nell’orbita del territorio crotoniate e nel IV secolo a.C. viene occupa-
ta dapprima da popolazioni lucane e poi brettie. Particolare risalto
assumono presso le fonti letterarie la sua amicizia con Roma, inizia-
ta dopo la guerra tarentina e la fedeltà di cui dette prova durante le
guerre puniche, che le costò nel 216/15 l’assedio e l’espugnazione da
parte di Annibale. Riottenuta l’indipendenza al termine della secon-
da guerra punica, divenne infine municipio dopo la guerra sociale.
Venendo al nuovo documento (fig. 1), si tratta di una defixio in-
cisa su una lamina plumbea, recuperata in una delle zone di necro-
poli del centro antico. La lamina, che al momento del rinvenimento
era arrotolata, ha rivelato, dopo la sua apertura, un’iscrizione in let-
tere greche, disposta su quattro colonne separate tra loro da una li-
nea verticale. Dalla forma delle lettere (sigma ancora piuttosto aper-
to, presenza dell’aspirazione in forma di mezza acca, ecc.) si ricava
una datazione alla parte finale del IV secolo a.C. Il testo è di difficile
lettura e presenta ancora molte incertezze. È certo che le ultime due

7
L’editio princeps si deve a G. Pugliese Carratelli, in E. Greco e P. G. Guzzo
(a cura di), Laos II. La tomba a camera di Marcellina, Taranto, 1992, p. 17-19. Per
alcune revisioni al testo cfr. P. Poccetti, Rilettura e riflessioni dopo un dibattito, in
Atti della giornata di discussione su «La tabella di Laos» (Napoli, 24 febbraio
1993), in AION (Ling.) 15, 1993, p. 151-190.
8
P. Poccetti, Due tabellae defixionis osco-greche, in Epigraphai, Miscellanea
epigrafica in onore di Lidio Gasperini, II, Tivoli, 2000, p. 745-771.
9
Cfr. A. C. Cassio, in Atti della giornata di discussione su «La tabella di
Laos» cit. a nota 7, p. 115.
10
Laos A, linn. 4 e 6.
11
Mus. NA B, linn. 1-4.
12
Il testo è stato da me presentato ed illustrato nel corso di una giornata di
studi dedicata a «Metallo e scrittura. Sinergia di due poteri», svoltasi a Roma il 9
maggio 2002, i cui atti sono ora editi nella rivista Mediterraneo antico, 7, 2004,
p. 593-770 (cf. p. 673-680).

.
INTERAZIONI ONOMASTICHE NEL BRUZIO IONICO 427

Fig. 1 – Petelia. Difixio su lamina plumbea.

.
428 MARIA LETIZIA LAZZARINI

righe della quarta colonna sono in lingua greca e presentano una co-
mune formula deprecatoria :
de¥keo, hermã xuw¥nie (sic!), taỹta kai ka¥ueke ayßteı̃
“accogli, o Hermes sotterraneo, tutto ciò e tienilo qui sotto”
In tale formula, accanto a qualche incertezza grafica (xuw ¥ nie per
xuo¥nie), si notano alcune forme proprie del dialetto dorico, quali de¥-
keo per de¥xoy, il vocativo hermã, ayßteı̃ per ayßtoỹ.
La parte rimanente del testo è in osco, come si deduce dall’ono-
mastica e dalla frase che precede immediatamente quella greca, di
cui potrebbe essere un parziale calco : vi si distinguono infatti le pa-
role sollom, che sembra corrispondere al latino omnium (cfr. sul-
lum e sullus in una defixio di Cuma13) e hsoy, una forma ablativa del
dimostrativo che potrebbe equivalere al greco ayßteı̃ (= qui)14.
Poiché, come ho detto, molti punti del testo rimangono oscuri e
necessitano di ulteriore approfondimento, mi limito in questa sede,
dato anche il tema di questo incontro, a presentare alcuni nomi che
qui ricorrono, nella speranza che altri studiosi con maggiore compe-
tenza della mia in questo campo, possano apportare miglioramenti,
chiarimenti e approfondimenti alla mia lettura.
Quasi tutti i nomi sono bimembri. Alcuni si presentano al caso
nominativo, altri al genitivo. Ciò è peraltro abbastanza anomalo in
una defixio, dove i nomi sono o al nominativo oppure in accusativo.
Ciò che caratterizza la nostra defixio è inoltre una diversità di tratta-
mento nella declinazione dei nomi, alcuni flessi secondo il sistema
osco, altri secondo quello greco (con le desinenze del dialetto dorico)
e ciò è un evidente segno di forte interazione reciproca fra i due ethne.
Il testo si è conservato quasi integro, con qualche piccola lacu-
na al suo interno. Nella prima colonna alla lin. 1 si può riconoscere
la parola Statio, riconducibile al gentilizio osco Statiev, attestato
altrove nelle forme Staatiis/Statiis/Staties15 e più volte ricorrente in
questo testo. Nella lin. 2 mi sembra invece assolutamente certa la
presenza del prenome osco PakPiv, attestato in un’iscrizione lu-
cana dal genitivo PakPhiv16 e rapportabile al latino *Paquius/

13
E. Vetter, Handbuch der italischen Dialekte, I, Heidelberg 1953, 5 C11 (sul-
lus) e 12 (sullum); cfr. J. Untermann, Wörterbuch des Oskisch-Umbrischen, Hei-
delberg, 2000 (= Handbuch der italischen Dialekte, III), p. 714.
14
Vedi, ad es., il termine esuf (= qui) che ricorre in Tab. Iguv. II A, lin. 40 :
cfr. Untermann, Wörterbuch, p. 236.
15
M. Lejeune, L’anthroponymie osque, Paris 1976, p. 111.
16
Lejeune, Anthroponymie, p. 92; H. Rix, Sabellische Texte, p. 130 (Lu 40). La
forma PakPih<i>v è stata riconosciuta in un’iscrizione su mattone dall’area di Ci-
rò da P. Poccetti, Nuovi documenti italici, Pisa 1979, 187. Resta tuttavia possibile
per questo nome anche la lettura Paktihv, preferita sia da de Franciscis – Parlan-
geli (Italici del Bruzio, p. 23-24 e 36-43, n. 2) che da Rix (Sabellische Texte, p. 128,

.
INTERAZIONI ONOMASTICHE NEL BRUZIO IONICO 429

Pacuvius17. Il nome è declinato alla greca ed è al caso genitivo


(PakPiw).
Alle linn. 3-4 compaiono due nomi, ambedue bimembri e al no-
minativo, che hanno quale comune gentilizio, appunto, Statiev. Il
primo Statiev ha come prenome Pakol, che può essere messo in re-
lazione con il prenome Paakul, ricorrente in un’iscrizione di Nola18.
Il secondo è contraddistinto dal prenome Mara(v), tra i più diffusi
nell’onomastica osca19.
Il gentilizio Statiev compare anche nelle prime due righe della
seconda colonna, preceduto nella prima riga dal prenome Gnay(v),
riconducibile a cnaivs/gnaivs 20. Tale prenome compare, nella forma
Gnai, anche nella già citata defixio del Museo di Napoli probabil-
mente proveniente da Laos e recentemente edita da P. Poccetti 21. Per
quanto concerne la forma Gnay(v), ricorrente nel nostro testo, essa si
giustifica con la caduta della i davanti alla u vocalizzata
(Gnaius>Gnaus) 22. Nella seconda linea è preceduto invece dal preno-
me Fibi(v), attestato in ambito sannita e campano 23.
Segue poi una serie di nomi al genitivo. Alla lin. 3 si legge
Emaytw Statiw. Di questi il primo membro è un antroponimo greco,
Emayto¥v, attestato in Campania in iscrizioni vascolari del IV secolo
a.C., insieme al femminile Emay¥ta 24. Il secondo è, ancora una volta,
il gentilizio osco Statiev, questa volta declinato, però, alla greca, Se-
gue un’altra coppia di nomi al genitivo, sempre con declinazione
greca, Minado Kaidikw. Il primo è certamente la forma ampliata del
prenome Minav, che ricorre nelle iscrizioni latine come Minatus e
nelle iscrizioni greche come Minatov 25. Il secondo elemento Kaidikw
richiama il gentilizio Kaidikiv, che ricorre alla lin. 6 di questa stessa
colonna, preceduto dal prenome Minav. Tale gentilizio è attestato

Lu 23), in quanto la quarta lettera del nome stesso è costituita da un tau e un di-
gamma sovrapposti.
17
O. Salomies, Die römischen Vornamen. Studien zur römischen Namenge-
bung, Helsinki, 1987, p. 83.
18
Vetter, Handbuch, 116; Lejeune, Anthroponymie, p. 92, nr. 32. Da notare
che il personaggio ha come patronimico Marai.
19
M. Lejeune, Anthroponymie, p. 89; cfr P. Poccetti, Nochmals zum oskis-
chen Namen Maras, in Beitr. Zur Namenforsch., 20, 1985, p. 238.
20
Lejeune, Anthroponymie, p. 87; H. Rix, Sabellische Texte, p. 139.
21
Per il prenome in questione cfr. Poccetti, Due tabellae defixionis, p. 758.
22
Cfr. la parallela forma latina di prenome Naus, individuata da H. Solin in
una defixio di Altino (H. Solin, Analecta epigraphica XVII, in Arctos 8, 1974,
p. 154; Salomies, Die römischen Vornamen, p. 29).
23
Lejeune, Anthroponymie, p. 94.
24
P. M. Fraser – E. Matthews, A Lexicon of Greek Personal Names, III A, Ox-
ford, 1997, s.vv. Emay¥ta e Emayto¥v.
25
Cfr. Lejeune, Anthroponymie, p. 84, nr. 100 e Salomies, Die römischen Vor-
namen, p. 79.

.
430 MARIA LETIZIA LAZZARINI

nella forma Caedcies in un’iscrizione del Museo di Bari 26 e in una de-


fixio osco-latina da Cuma come Caedicius 27. Esiste tuttavia anche
l’antroponimo latino Caedicus, attestato nell’Eneide, ove viene utiliz-
zato per designare un etrusco e un personaggio di non specificata
origine, legato al tiburtino Remulo da vincoli di ospitalità 28.
Nella terza colonna, alla lin. 1, abbiamo, sempre al nominativo, il
nome APev Aydaiv. Del prenome non ho trovato riscontri. Il gentilizio
invece conosce sicure attestazioni nell’Avdiis di Pompei e nell’APdeiev
di Rossano di Vaglio 29 ed ha la sua continuazione nel gentilizio latino
Audius/Audeius 30. Segue, alla lin 2, il nome al genitivo NoPio Alafiw.
Fra le più note attestazioni di questo prenome basta ricordare il
No¥yiov, eponimo, a Petelia stessa, attestato tra II e I secolo a.C. da va-
ri bolli su laterizio 31, e da altri esempi centro-italici 32. Il gentilizio ri-
corre nell’accusativo Alafiom in una defixio di Tiriolo 33 e trova conti-
nuità nel latino Alfius. Ancora, alla lin. 4, abbiamo la coppia onoma-
stica Minakov Kafiriw, palesemente al genitivo e con declinazione
greca. Va indubbiamente notato il prenome, per il quale occorre ipo-
tizzare un nominativo Mı¥naj, che trova riscontro nel femminile Mı¥-
nassa, attestato in un’iscrizione illirica 34. Nuovo è invece, per l’ono-
mastica osco-brettia il gentilizio Kafiriov, per il quale si può postula-
re, come mi è stato suggerito da H. Rix nel corso della discussione, un
accostamento al latino Cafrius. Ci troveremmo di fronte ad un feno-
meno di anaptissi, analogo a quello attestato per Alafiv/Alfius.
Di particolare interesse è la coppia onomastica Bantinw
Kwssanw, nel genitivo della declinazione greca. Il primo nome si
può infatti mettere in rapporto con il toponimo Bantia, località si-
tuata al confine tra Apulia e Lucania, ed anche con il prenome Ban-
tis (lat. Bantius), verosimilmente riconducibile alla stessa origine 35.
Il secondo, anch’esso, come il precedente, una forma aggettivale, ri-
chiama il toponimo Ko¥ssa menzionato da Stefano di Bisanzio.
Ko¥ssa viene definita po¥liv Oıßnw¥trwn eßn t√ mesogeı¥w ∞ in base a una

Poccetti, Nuovi documenti italici, 202 b 2.


26

Vetter, Handbuch, 7. Per il gentilizio latino Caedicius cfr. W. Schulze, Zur


27

Geschichte lateinischer Eigennamen, 2. ed., Zurigo-Hildesheim, 1991, p. 518 e 522.


28
Verg., Aen., IX 361 e X 747.
29
Lejeune, Anthroponymie, p. 108.
30
Schulze, Eigennamen, p. 130.
31
L’elenco più completo degli esemplari finora noti si trova in F. Costabile,
Dalle poleis ai municipia nel Bruzio Romano, in S. Settis (a cura di), Storia della
Calabria antica, II, Roma 1994, nota bibliografica a p. 463.
32
Poccetti, Nuovi documenti, 36.
33
Ibid., 190 con altri riferimenti.
34
Fraser- Matthews, Lexicon, III A, s.v.
35
Lejeune, Anthroponymie, nr. 227 e p. 67; Salomies, Vornamen, p. 69.

.
INTERAZIONI ONOMASTICHE NEL BRUZIO IONICO 431

notizia attinta alla Periegesis di Ecateo di Mileto, e ne viene menzio-


nato anche l’etnico, appunto Kossanoı¥.
Passando alla quarta colonna, all’inizio della lin. 1 si legge, la let-
tera P, che ritengo debba essere intesa come un caso di prenome
espresso con la sola inziale, di cui non mancano esempi 36. Segue il gen-
tilizio APeliov, al nominativo, declinato alla greca. Tale gentilizio è fa-
cilmente confrontabile con il latino Avelius, attestato a Corfinium 37.
Rimangono dunque da chiarire molti elementi : fra questi il rap-
porto tra nomi al nominativo e nomi al genitivo, ferma restando la
costante che questi ultimi seguono tutti la declinazione greca. Ciò
nonostante il nuovo documento rimane di grande interesse, innanzi-
tutto per la ricchezza e la novità dell’onomastica. Notevole è anche il
suo valore storico, da un lato perché mostra la stretta compenetra-
zione tra elemento brettio ed elemento greco a Petelia, dall’altro per-
ché la presenza di alcuni nomi nella nostra defixio conferma in qual-
che modo la situazione delineata dalle fonti letterarie. L’esempio più
evidente è costituito dal gentilizio Kaidikiv. I Caedicii costituiscono
infatti, nel I-II secolo d.C. una delle famiglie più eminenti di Petelia,
come è attestato da alcune iscrizioni latine 38. Ciò indica una conti-
nuità onomastica dall’età brezia all’età romana, che non è riscontra-
bile per gli altri centri della Crotoniatide, a cominciare da Crotone
stessa, che subì nel 194 a.C., dopo la seconda guerra punica, la dedu-
zione di una colonia romana. Grazie alla sua fidelitas a Roma e ai sa-
crifici subiti per mantenerla, Petelia patì, è vero, l’espugnazione da
parte di Annibale, ma fu, evidentemente, esente da successivi radica-
li ripopolamenti da parte dei Romani.

Maria Letizia LAZZARINI

APPENDICE

ELENCO DEI NOMI ESAMINATI

.......... Statio Minado Kaidikw


PakPiw .......... Minav Kaidikiv
Pakol Statiev APev Aydaiv
Mara(v) Statiev NoPio Alafiw
Gnay(v) Statiev Minakov Kafiriw
Pibi(v) Statiev Bantinw Kwssanw
Emaytw Statiw P( ) APeliov

36
Lejeune, Anthroponymie, p. 91.
37
CIL IX 3171; cfr. Schulze, Eigennamen, p. 27 nota 4.
38
Dessau, ILS, 6471 (I sec. d.C.); CIL I2 3164 (II sec. d.C).

.
JÜRGEN UNTERMANN

LA LATINIZZAZIONE DI TOPONIMI INDIGENI


NELL’ITALIA ANTICA

Noi, come membri della classe colta europea, naturalmente, te-


niamo alla pronuncia corretta dei toponimi se parliamo di città di
paesi di lingua straniera. In generale, riusciamo in modo elegante se
si tratta di lingue che abbiamo appreso a scuola o di lingue che sono
rappresentate per mezzo di una ortografia abbastanza trasparente.
Ma, riguardo a me stesso, ammetto che non mi piace molto muover-
mi in paesi come Polonia, Ungheria o Galles dove costantemente
corro il rischio di rendermi ridicolo per la riproduzione sbagliata dei
toponimi che si trovano sulle carte o sugli indicatori stradali.
Però, bisogna solo andar dietro di una o due generazioni per
trovarsi in una epoca in cui, senz’altro, era accettabile pronunciare i
toponimi stranieri alla lettera (cioè come noi Tedeschi pronunciamo
le rispettive lettere), e, per qualche nome di grandi città, questa li-
bertà vale fino ad oggi; infatti, chiamiamo le grandi capitali europee
London, Pariss, Madrit e non, come sarebbe corretto, Landen, Parí,
Ma?rí?. E, nei secoli anteriori, mai c’è stata una restrizione nell’a-
dattare nomi stranieri alla propria lingua : gli esempi più tipici si
trovano nell’interrelazione millenaria fra l’Italia ed i paesi germano-
foni del centro Europa. Noi chiamiamo le grandi città italiane Mai-
land, Venedig, Turin, Rom, Neapel, Tarent, benché non ci farebbe la
minima difficoltà articolare i nomi originali – Milano, Venezia, Tori-
no, Roma, Napoli, Taranto. Questo, però, non è un vizio tipicamente
tedesco : ancor di più gli Italiani hanno appianato tutte le difficoltà
fonetiche della toponimia tedesca chiamando le nostre città Franco-
forte, Magonza, Amburgo, Colonia. Francoforte può considerarsi qua-
si come caso prototipico perché alla forma tedesca, con le sue due
vocali, si aggiungono due vocali in più ed il risultato è un nome
composto da due parole ben familiari, – franco «libero» e forte «vi-
goroso».
Anche i Romani, nel corso della loro espansione egemonica, si
sono dovuti confrontare con popoli che parlavano lingue differenti
dal latino, e, benché non fossero obbligati ad apprendere quelle lin-
gue, dovevano comunque prendere atto dei nomi delle città, dei fiu-

.
434 JÜRGEN UNTERMANN

mi, dei monti, con i quali vennero in contatto durante le loro spedi-
zioni pacifiche o militari, e di cui la forma fonetica e morfologica
poteva essere ben diversa da quella del latino.
Per rendere visibile il problema metodologico che si trova al
centro del mio contributo, mi sembra opportuno cominciare con un
breve commento su Carthago e Sagunto che, benché fossero due to-
ponimi esterni all’Italia, erano generalmente conosciuti e ricorrenti
fra i Romani dell’epoca in questione.
Nei testi latini, l’unica incertezza nell’ortografia di Carthago si
riferisce all’uso della h dopo la t, che viene omessa in alcuni testi de-
gli ultimi secoli a.C. Tutto il resto della parola rimane fisso e stan-
dardizzato fino alla fine dell’antichità. D’altra parte, nella lingua gre-
ca, con la stessa regolarità, si usa la forma Karxhdw ¥ n, coincidente
con quella latina soltanto per le prime tre lettere e per la classe fles-
sionale. Le parti intermedie sono totalmente incomparabili l’una
con l’altra e non si conoscono regole fonetiche che possano trasfor-
mare il greco -xhd- nel latino -thag- o viceversa. Ma è ancor peggio
per noi quando vediamo che la forma originale è attestata e che am-
bedue le forme, la latina e la greca, si sono allontanate da quella car-
taginese più o meno in uguale misura e che è Qarthadašt o Qarth
adašat, analizzabile in componenti ben conosciuti˙ : qart “città”, ˙
hadaš “nuovo” e la t come morfema del genere femminile. Non vo-
˙
glio soffermarmi qui sui dettagli dei possibili processi di trasforma-
zione. Ciò che m’importa qui ricordare è il fatto che, partendo dalle
versioni greche e latine, non potremo mai arrivare al nome indigeno
con il quale gli abitanti punici avevano denominato la loro città.
Allo stesso modo, anche nel secondo caso, quello di Sagunto, so-
no incompatibili le tradizioni onomastiche trasmesse nella letteratu-
ra delle due lingue classiche. Tutte le fonti latine mostrano la forma
ben conosciuta Saguntum, con l’aggettivo Saguntinus, che appare,
in forma di genitivo plurale Saguntinu(m), anche sulle monete bilin-
gui coniate durante gli ultimi 150 anni prima della nascita di Cristo
che, inoltre, mostrano anche la parola arse che, apparentemente, è
un secondo nome della città scritto in lettere iberiche. Tra gli autori
greci soltanto due, Strabone e Tolomeo, usano la denominazione ro-
mana, Sa¥goynton. Tutti gli altri, fra questi i più antichi come Polibio
e Diodoro Siculo, conoscono la stessa città esclusivamente per il no-
me Za¥kanua e chiamano i loro abitanti Zakanuaı̃oi. Dobbiamo a Tito
Livio una spiegazione parziale, ma tuttora abbastanza oscura di
questa pluralità di nomi. Dando la notizia che i Cartaginesi si erano
messi ad assediare la città, Livio ricorda il mito della fondazione,
per cui i Saguntini dimostravano il loro legame con il mondo greco-
romano : oriundi a Zacyntho insula dicuntur mixtique etiam ab Ar-
dea Rutulorum quidam generis. Il loro nome Za¥kanua giustifica la
pretesa origine greca e il nome arse, trasmesso tramite le lettere ibe-

.
LA LATINIZZAZIONE DI TOPONIMI INDIGENI NELL’ITALIA ANTICA 435

riche sulle monete, deve obbligare i Romani a venire in aiuto dei di-
scendenti di Ardea, città nel Lazio loro vicina. Beninteso, si tratta di
uno degli innumerevoli miti con cui coloro che abitavano quella par-
te occidentale del mondo antico cercavano di liberarsi del carattere
barbaro che connotava tutti coloro che non parlavano né greco né
latino. È proprio per questa ragione che c’è una tradizione che ricor-
da Ulisse come eroe-fondatore di Lisbona in Portogallo (l’antica Oli-
sippo), Ercole per la città Alesia nella Gallia Centrale, Antenore per i
Patavini nel Veneto e così via.
Ritorniamo a Sagunto. Il mito della sua origine, benché tra-
smesso da un autore romano, non rispetta la forma latina del topo-
nimo, ma soltanto quelle greche ed iberiche e ciò favorisce l’ipotesi
che Zaka¥nua sia più vicino alla forma originale che Saguntum, ma,
d’altra parte, né zeta né theta trovano una corrispondenza nel siste-
ma fonologico iberico e si devono, chiaramente, alla etimologia mi-
ticizzante, cioè al nome greco dell’isola Za¥kynuov. D’altra parte, que-
sto nome non spiega né la vocale della seconda sillaba né la classe
flessionale di Za¥kanua e, forse, non è troppo arrischiato concludere
che il toponimo iberico originale contenesse le consonanti s, k o g, n
e t, la vocale a nella seconda e terza sillaba e che le forme classiche
fossero state influenzate rispettivamente dal nome dell’isola Za¥ky-
nuov e dal tipo di toponimi latinizzati Sipontum, Metapontum, Hy-
druntum, ricorrenti nell’Italia meridionale.
In ambedue i casi, ugualmente come in quello di Carthago-
Karxhdw¥n, risultano parole perfettamente maneggevoli nei rispettivi
sistemi flessionali greci e latini e, con questa osservazione, siamo già
arrivati al punto di partenza del nostro tema centrale : la latinizza-
zione dei toponimi nell’ambito della Italia antica.
Anche qui, il primo passo e procedimento, quasi obbligatorio,
nell’adattamento di nomi stranieri è la loro integrazione nella fles-
sione di una determinata lingua e, nel nostro caso specifico, del lati-
no. Talvolta i Romani integrano i toponimi senza modificarne la so-
stanza : scrivono Allifae e non *Allifas, come deve essere stata la for-
ma osca al nominativo plurale, declinano Neapolis, genitivo
Neapolis, Panormus, genitivo Panormi, in luogo di Nea¥poliv, Neapo¥-
lewv e Pa¥normov, Pano¥rmoy. A questo proposito, è da notare la va-
riazione strana, e poco comprensibile, con la quale i Romani hanno
trattato alcuni nomi greci in -nt-. In alcuni casi trasformano Ta¥rav,
Ta¥rantov in Tarentum, Tarenti, ¶Akragav, Akra¥gantov in Agrigen-
tum, Ydroỹv, Ydroỹntov in Hydruntum, mentre in altri mantengo-
no il tipo della flessione originaria come in quello di Selinus, Seli-
nuntis per Selinoỹv, Selinoỹntov. Ci si aspetterebbe, al massimo,
una latinizzazione in *Tarens, *Tarentis, *Acrigens, *Acrigentis (dove,
tra l’altro, la g in luogo di c può essere dovuta ad una etimologia po-
polare in cui si ricorda il sostantivo latino ager).

.
436 JÜRGEN UNTERMANN

Come è noto, le differenze fra l’etrusco ed il latino sono molto


più forti e su di esse ritornerò pronto poi in modo più esteso. Per
ora, vorrei soltanto ricordare, tramite pochi esempi, la diversità ve-
ramente caotica che mostrano i suffissi e le desinenze latine che so-
stituiscono quelli etruschi :
curu u – Cortona : etr.-u > lat. -ōna
vetalu – Vetulonia : etr.-u > lat. -ōnia
velsu – Volsinii : etr.-u > lat. -inio-
clevsi – Clusium : etr.-i > lat. -io-
velau ri – Volaterrae : etr.-i > lat. -ae.
Si vede, dunque, che nell’integrazione morfologica dei nomi
etruschi, i Romani sono sempre ricorsi ai modelli individuali della
formazione di toponimi nella loro lingua e non so se esistono già
tentativi di spiegare ed organizzare questo fenomeno.
Allo stesso modo, mi pare degno d’attenzione e di commento l’u-
so frequente di toponimi in forma plurale. Al di fuori dell’Italia si
trovano nella Grecia antica – Auh̃nai, Delfoı¥, Uh̃bai, Pa¥trai – inclu-
dendo anche la Magna Grecia – Uoy¥rioi, Lokroı¥, Syra¥koysai. Nell’I-
talia non-greca ci sono alcuni nella zona di lingua messapica, Lu-
piae, Rudiae e pochi altri. Mancano totalmente nel Bruzio, nella Lu-
cania, nel Piceno, e nella Italia settentrionale, salvo due nomi gallici
in Lombardia, Vercellae e Cuttiae, e i due esempi del toponimo etru-
sco Acerrae – presso Cremona e presso Modena – omofono con l’A-
cerrae nelle vicinanze di Napoli. D’altra parte abbondano in tutta la
regione etrusca fra l’Appennino e la Campania, comprese le zone
adiacenti dell’Umbria e del Sannio. Nella tradizione letteraria ed
epigrafica latina tutti questi toponimi mostrano desinenze latine e si
declinano esclusivamente secondo le regole della grammatica latina.
Non è attestato che un solo testimone nelle iscrizioni osco-umbre :
la leggenda monetaria tiiatium (nFr 3a), genitivo plurale del nome
della città dei Marrucini, che, stranamente, appare nelle fonti latine
al singolare Teate.
C’è, invece, un esempio chiarissimo nel quale l’introduzione del
plurale avviene nel corso della latinizzazione : il nome della città
greca Ky¥mh, sempre trasmesso al singolare, che nelle fonti romane
viene usato esclusivamente al plurale Cumae.
Quale è il criterio per la scelta del numero plurale in tanti casi?
E perchè tale fenomeno si riscontra solo con la restrizione geografi-
ca appena menzionata? Non mi convince l’opinione di Wilhelm
Schulze1 secondo cui lo studioso vuol vedere in tutti questi nomi il
plurale di nomi gentilizi; ciò si può ammettere, forse, per Tarquinii,
Pompeii e pochi altri casi, ma certamente non per Cumae, Pisae, Sta-

1
W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlin 1904, p. 564 sg.

.
LA LATINIZZAZIONE DI TOPONIMI INDIGENI NELL’ITALIA ANTICA 437

biae, Carsioli o Volci, ed è notevole che il nome della città Tarquinii,


plurale in latino, appaia nelle fonti greche al singolare, ad esempio,
Tarkynı¥a presso Strabone, o Tarxw¥nion presso Stefano di Bizanzio.
Solo pochissimi nomi, apparentemente identici ad appellativi,
ammettono il tentativo di una motivazione semantica, come ad
esempio Acerrae e Puteoli, che potrebbero denominare la pluralità
rispettivamente di altari d’incenso o piccoli pozzi, o Trebiae con il si-
gnificato “molti (almeno più di uno) complessi di case”. Forse, non è
casuale che ambedue, fino ad oggi, abbiano conservato la forma di
plurale, Pozzuoli e Trevi, cosa che, evidentemente, non è nella nor-
ma. In molti altri casi, infatti, ad un nome antico al plurale corri-
sponde una forma attuale al singolare :
Pisae – Pisa
Pistoriae – Pistoia
Volaterrae – Volterra
Volsinii – Bolsena
Fulginiae – Foligno.

Ma ci sono anche eccezioni non spiegabili, come Velitrae – Velle-


tri, e non mancano esempi come Reate – Rieti, Sutrium – Sutri, Tibur
– Tivoli, dove il nome antico al singolare mostra oggi la desinenza al
plurale, benché nella sintassi venga trattato, indubbiamente, come
toponimo al singolare.
È ovvio, e già si è detto in occasione di Carthago e Saguntum,
che il processo di latinizzazione di un nome intero non si può rico-
noscere se non troviamo documentata la sua forme originaria nel-
l’ambito della sua lingua primitiva. Tali testimonianze, però, non so-
no frequenti nell’Italia antica.
Non c’è nessuna attestazione nella zona d’insediamenti gallici
nel nord della Penisola e non troviamo neanche toponimi indigeni
nelle iscrizioni paleovenete. Tutt’al più potremmo addurre il nome
di Vicenza ed il titolo, del resto enigmatico, vinetikaris sulla pietra
ovale *Es 122, ritrovata qualche anno fa ad Este. Se vineto- o vineti-
è la forma paleoveneta dell’etnonimo, risulta che il latino Venetus è
la forma latinizzata e, in questo caso, conosciamo il motivo per cui
i Veneti, che secondo la mitografia greca e romana non erano una
etnia autoctona dell’Italia, ma emigranti dell’Asia Minore, discen-
denti degli ûEnetoi di Paflagonia, ebbero il desiderio di aumentare
il loro prestigio per mezzo di una origine non-barbarica, approfit-
tando della pretesa omofonia con un popolo eroico famoso dall’I-
liade di Omero.
Il nome odierno della città di Vicenza ci offre l’occasione di se-
guire gli ultimi passi della latinizzazione, benché non conosciamo il
suo punto di partenza. Già il primo testimone, dell’anno 135 a.C., dà
il nome in contesto latino e ampliato da un suffisso latino : i Veiceti-

.
438 JÜRGEN UNTERMANN

ni della pietra di confine CIL I2 636, derivato da un toponimo Vı̄cetia


(Strabone : Oyßike¥tia), che già può aver passato la prima fase della
sua latinizzazione. Ma questo processo continua nell’epoca tardo-
antica : Giustino e l’Itinerario di Antonino chiamano la città Vicen-
tia (che corrisponde al nome attuale), mentre l’Itinerario Burgalese
e Paolo Diacono la fanno ancor più latina chiamandola Vincentia, in
conformità con i toponimi latini del tipo Florentia, Placentia e così
via.
Nemmeno molto spesso si offre la possibilità di confrontare no-
mi indigeni dell’ambito osco-umbro con le forme usate dai Romani.
Già abbiamo visto che, in generale, i Romani non hanno modificato
essenzialmente i toponimi dei dialetti italici, all’infuori, come già si
è detto, delle desinenze flessionali. Ad esempio, quasi sempre man-
tengono la consonante f nell’interno della parola, come in Furfo,
Corfinium, Aufidus, Allifae eccetera. L’unico caso, chiaramente diffe-
rente, è quello di Stabiae nel golfo di Napoli, dove un’iscrizione pom-
peiana (Po 1) ha conservato l’aggettivo stafianam, derivato dal topo-
nimo *Stafias o *Stafiú.
Sono distinte le condizioni storiche che si riferiscono al latino
Sabini al confronto con il sudpiceno safinús (TE 5), ed al latino Ti-
ber, Tiberinus al confronto con Tifernum nell’Umbria : ambedue i
nomi appartengono al fondo più antico della toponimia latina ed
italica e, perciò, certamente non si tratta di un caso di latinizzazione
ma dell’evoluzione diversa delle mediae aspiratae nelle due lingue in
questione.
Il problema inverso è, invece, costituito dai toponimi con la la-
biovelare qu nel territorio degli Italici, ove si presenta la labiale p in
luogo della labiovelare qu. Si tratta dell’unico caso che viene sempre
considerato come corrispondenza diretta fra testimoni oschi e lati-
ni : akudunniad su una moneta ben conosciuta dei Sanniti (nSa 6)
e la versione latina Aquilonia, trasmessa per due città della stessa zo-
na. In più, c’è il nome di Aquinum nella regione limitrofa fra Volsci e
Sanniti. La soluzione, a mio parere convincente, la dobbiamo a Ger-
hard Meiser 2 che assume una derivazione dall’aggettivo indeuropeo
*h2 eku- > *aku- “aguzzo” con cambio secondario della u vocalica in
u consonante davanti ai suffissi -edōn- o -ilōn- o -ı̄no-. La latinizza-
zione, dunque, si riferisce solo all’ortografia delle lettere qu appog-
giata, senz’altro, dalla somiglianza con le parole latine per uccello e
per il vento del nord, aquila ed aquilo.
È da aggiungere la differenza dei suffissi dei toponimi oschi bú-
vaianud (Sa 7) e *púmpaius, documentato in modo indiretto per

2
G. Meiser, Lautgeschichte der umbrischen Sprache, Innsbruck 1986, p. 191 sg.

.
LA LATINIZZAZIONE DI TOPONIMI INDIGENI NELL’ITALIA ANTICA 439

l’aggettivo púmpaiians su alcune iscrizioni pompeiane (Po 1, 3, 12).


In luogo di *Bovaeanum, i Romani hanno preferito Bovianum, forse
perché non conoscevano molti esempi di una tale sequenza di suffis-
si. Riguardo all’altro caso, mi permetto, ancora una volta, una breve
digressione al paleo-ispanico : il geografo greco Strabone racconta
che la città Pompaelo, oggi Pamplona in Navarra, abbia ricevuto il
suo nome in onore del gran generale romano Pompeius, e che il suo
significato corrisponda a Pomphio¥poliv nella lingua greca. Sappia-
mo che nelle lingue indigene di quella regione illu significa “città”e
ciò ci fa ipotizzare di ricostruire *Pompaillu come forma iberica o
vasconica, più tardi latinizzata in Pompaelo, genitivo Pompaelōnis.
Si vede, dunque, che non è derivata dall’antroponimo latino Pom-
peius, ma dalla sua variante osca *Pompaio-, con la stessa differenza
che si osserva fra osco púmpaiians e latino Pompeianus. Evidente-
mente, nell’esercito romano c’erano soldati d’origine osca che pro-
nunciavano il nome gentilizio del loro capo romano come il corri-
spettivo gentilizio della loro lingua.
Il capitolo più difficile della latinizzazione di toponimi, senza
dubbio, è quello del trattamento dei nomi etruschi. Mi pare che, in
generale, tuttavia, non siamo capaci di immaginare concretamente
il modo in cui i Romani e gli Etruschi praticassero il loro contatto
personale nel settore linguistico : negli elenchi di antroponimi corri-
spondenti alle pagine 343-381 dell’opera classica di Schulze e, cosa
ancor più impressionante, nell’articolo di Rix dell’anno 1956 sulle bi-
lingui etrusco-latine sorprende l’enorme ampiezza all’interno della
quale nomi delle due lingue potevano essere accettati come corri-
spondenti l’uno dell’altro, e lo stesso si osserva nella toponimia, dove
troviamo “equazioni” (fra virgolette!) come
velauri – Volaterrae
velzu, velzna(l) – Volsinii
tarxna(l) – Tarquinii
vetalu – Vetulonia
clevsi – Clusium
pupluna, fufluna – Populonia

Non si osservano delle regolarità nella trasposizione di nomi


etruschi in nomi latini, salvo che, nei primi due esempi, si ripete la
sostituzione della sillaba vel- per vol- in conformità con la ben cono-
sciuta regola della fonetica latina. Piuttosto, vediamo una certa in-
clinazione all’etimologia popolare, ricorrendo a parole latine come
nei casi di Vetulonia, Clusium e Populonia e forse nella seconda
componente del nome di Volaterrae. Il toponimo e nome gentilizio
Tarquinii presuppone una forma etrusca con la vocale u tra la x e la
n, che appare nella forma greca già menzionata Tarkynı¥a, e offre per
la qu latina una spiegazione analoga a quella della Aquilonia osca.

.
440 JÜRGEN UNTERMANN

Diamo, infine, un breve sguardo all’interrelazione tra nomi gre-


cizzati e nomi latinizzati. Il caso più spettacolare è il nome della
stessa penisola per cui i Romani sembrano avere totalmente dimen-
ticato la forma originaria, usando esclusivamente la forma Italia
adattata al sistema fonetico greco, mentre gli Oschi l’hanno conser-
vata come dimostra la leggenda monetale viteliú (nPg 1, 3, 4, 7) alla
quale corrisponderebbe, in latino, *Vitilia accanto a vitulus come Si-
cilia accanto a Siculus. Senza dubbio, si deve all’influsso della termi-
nologia ellenistica sui Romani dell’epoca repubblicana, ma, confes-
so, che non capisco il motivo per cui quella forma italica sia potuta
scomparire in modo tanto radicale nella tradizione latina tanto più
che, per le altre unità etniche dell’Italia centrale, i Romani usano
sempre le loro proprie denominazioni e non quelle greche, – Umbri e
non Ombrikoı¥, Osci e non Opikoı¥, Samnites e non Saynı̃tev, Tusci o
Etrusci e non Tyrshnoı¥ e così via.
Talvolta, gli autori antichi ci fanno sapere, che, accanto ad alcu-
ni nomi italici, per la stessa località erano in uso dei nomi greci e, ad
esempio, Plinio nel terzo libro della sua Naturalis Historia menziona
anche forme greche indipendenti da quelle italiche :
Antipolis quod nunc Ianiculum in parte Romae (69),
oppidum Paestum Graecis Posidonia appellatum (71),

ossia forme più o meno somiglianti, come :


Tiberis antea Thybris appellatum (53),
oppidum Elea quae nunc Velia (71),
Hippo quod nunc Vibonem Valentiam appellamus (73).

È notorio il complesso d’inferiorità che induceva i Romani a


credere che i nomi greci fossero sempre i più antichi, benché, in tut-
ti e tre gli esempi riportati, si verifica il contrario.
Thybris, in alcuni testi anche Uy¥mbriv, è, probabilmente, la gre-
cizzazione della forma etrusca U epri, che, evidentemente, era ap-
prezzata dai poeti Romani come variante arcaica del nome : Virgilio
la preferisce costantemente, tranne che nel sintagma fluvius Tiberi-
nus (Aen. 7,30), Ovidio usa tanto Thybris quanto Tiberis.
La caduta della n iniziale in Vibo – Hippo -Ippw ¥ nion, senza dub-
bio, è dovuta all’adattamento alla fonetica greca, rinforzato dall’eti-
mologia popolare che lo pone in relazione con i greco ı™ppov “caval-
lo”.
Allo stesso modo, la v di Velia non può essere il digamma greco.
Infatti, la città fu fondata all’incirca nel 540 a.C. come colonia del
Focei, parlanti un dialetto ionico in cui il digamma è sparito già nel-
l’epoca dei più antichi documenti epigrafici. Senza dubbio, si tratta
di un toponimo di origine italica *Veleia (forse imparentato con Ve-

.
LA LATINIZZAZIONE DI TOPONIMI INDIGENI NELL’ITALIA ANTICA 441

lia e Velabrum, località presso Roma, con i gentilizi Velius e Velleius


e con il toponimo volsco Velitrae), ereditato dai Focei e grecizzato in
Ele¥a.
Mi sia permesso riassumere, molto succintamente, ciò che a me
importava esprimere nel mio contributo. È un fatto del tutto natura-
le e inevitabile, che i toponimi, quando sono usati dai parlanti di
una lingua che non sia quella che ha creato il nome in questione,
siano modificati per mezzo di adattamenti grammaticali o sottomes-
si ad etimologie popolari e che, per conseguenza, finiscano con il
perdere gli elementi della lingua originale. Come non si può descri-
vere la lingua fenicia basandosi sul nome Carthago e nemmeno la
lingua iberica per mezzo di Saguntum o Za¥kanua; così né Volaterrae
né Tarquinii sono parole etrusche e né Allifae né Pompeii sono testi-
monianze della flessione nominale osca. Nel processo della latiniz-
zazione (e naturalmente processi analoghi ci sono in tutte le lingue)
il nome in questione abbandona il lessico ed il sistema fonologico e
morfologico della lingua d’origine e passa a quelli della lingua lati-
na, benché possa conservare alcuni, o perfino molti, elementi della
sua forma primitiva. Sono questi elementi che, malgrado tutto, per-
mettono di andare alla ricerca di fenomeni indigeni trasmessi nei to-
ponimi che ci sono stati conservati nelle fonti latine, purché, però, si
sia sempre consapevoli delle condizioni in cui sono arrivati alla no-
stra conoscenza.

Jürgen UNTERMANN

.
.
STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

DES ITALIENS À CARTHAGE?


RÉFLEXIONS À PARTIR DE QUELQUES
INSCRIPTIONS PUNIQUES DE CARTHAGE*

Lorsque les ambassadeurs carthaginois envoyés à Utique auprès


des consuls L. Marcius Censorinus et M’. Manilius rentrèrent dans
leur cité, en 149, ils annoncèrent à leurs concitoyens que Carthage,
sur ordre de Rome, devait être rasée, et que ses habitants seraient
obligés de fonder une nouvelle ville à l’intérieur des terres. La colère
des Carthaginois à cette nouvelle fit plusieurs victimes : les ambas-
sadeurs furent massacrés par la foule, ainsi que plusieurs membres
du conseil; mais avec eux périrent également des Italiens qui se
trouvaient à Carthage1.
Depuis le VIe siècle av. J.-C., au moins, les Carthaginois ont des
relations étroites avec les populations italiennes, et notamment les
Étrusques 2. Pour les dates les plus hautes, les traces de ces liens sont
bien connues, à défaut de pouvoir être correctement interprétées :
dans les tombes de Carthage, la céramique étrusco-corinthienne est
représentée depuis le milieu du VIIe siècle av. J.-C., et quelques ob-
jets puniques ont été retrouvés en Étrurie 3 ; Polybe rapporte qu’un
premier traité fut signé entre Rome et Carthage en 509/508 4 ; au dé-
but du Ve siècle les lamelles d’or de Pyrgi, écrites en étrusque et en

* Nous remercions Mme Françoise Briquel-Chatonnet et M. Dominique Bri-


quel, ainsi que Mlle Annliese Nef pour la relecture et pour l’intérêt porté à ce travail.
1
Plb. 36.7.5; Ap. Pun. 92.
2
Sur les liens entre Carthaginois et Étrusques on consultera entre autres
Ét. Colozier, Les Étrusques et Carthage, dans MEFRA, 45, 1953, p. 63-98; M. Pal-
lottino, Les relations entre les Étrusques et Carthage du VIIe au IIIe siècle av. J.-
C. Nouvelles données et essai de périodisation, dans CT, 44, 1963, p. 23-28 = Saggi
di antichità, I, Rome, 1979, p. 371-377; J. Ferron, Les relations de Carthage avec
l’Étrurie, dans Latomus, 25, 1966, p. 689-709.
3
J. Mc Intosch Turfa, Evidence for Etruscan-Punic Relations, dans AJA, 81,
1977, p. 368-374; F. W. von Hase, Il bucchero etrusco a Cartagine, dans Produ-
zione artigianale ed esportazione nel mondo antico, il bucchero etrusco, Milan,
1993, p. 187-194.
4
L’historicité de ce traité ne fait plus aujourd’hui aucun doute; seule la
date exacte de sa rédaction est encore l’objet de débats. Sur les traités entre Rome
et Carthage, cf. B. Scardigli, I trattati romano-cartaginesi, Pise, 1991.

.
444 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

phénicien chypriote, célèbrent un don fait par le zilau de Caere, The-


farie Velianas, à Uni-Astarté, en remerciement de l’aide apportée par
la déesse 5 ; une plaquette d’ivoire de Carthage, sans doute du
VIe siècle, comporte une inscription en étrusque permettant de l’i-
dentifier comme une tessère d’hospitalité 6. Ces relations semblent
s’interrompre durant le Ve siècle, pour reprendre dans la seconde
moitié du IVe siècle, comme l’atteste l’existence de sarcophages ju-
meaux, représentant un prêtre ou un haut dignitaire punique, à Car-
thage et à Tarquinia 7. Les textes littéraires documentent également
la présence de mercenaires italiens dans les armées de Carthage, no-
tamment durant les combats menés en Sicile, que ce soit contre les
tyrans de l’île, ou contre les Romains durant la première guerre pu-
nique. Mais tous ces témoignages offrent seulement l’image d’é-
changes commerciaux ou d’une présence temporaire. L’anecdote ci-
tée en introduction touche un domaine différent : celui de l’installa-
tion à Carthage d’étrangers venant d’Italie.
Qui étaient ces Italiens, dont ni le métier, ni l’origine ne sont
précisés dans les notices des historiens grecs? Les auteurs antiques
ne nous renseignement quasiment pas sur ce point. Toutefois il est
d’autres traces de leur résidence à Carthage : leur nom sur les ins-
criptions retrouvées dans la cité. Ces noms ont déjà été relevés, mais
leur possible origine n’a fait l’objet d’aucune étude systématique. Tel
est par conséquent l’objectif que nous nous sommes fixé : tenter de
retracer le chemin suivi par les Italiens de Carthage et en proposer
une explication.

Les sources épigraphiques


La première difficulté rencontrée dans l’étude des inscriptions de
Carthage est leur chronologie incertaine. Aucune en effet ne
comporte de date. En outre, lorsqu’elles ont été répertoriées dans le
Corpus des Inscriptions Sémitiques, elles ne sont pas mises en relation

5
Sur le site de Pyrgi, la synthèse la plus récente est Pyrgi, Il santuario etrusco
e l’Antiquarium, Rome, 1990; sur les inscriptions punique et étrusque, une étude
comparée des textes est faite par M. Cristofani, Sulla dedica di Pyrgi, dans Alle so-
glie della classicità : il Mediterraneo tra tradizione e innovazione. Studi in onore di
Sabatino Moscati, III, 1996, p. 1117-1126.
6
Les études sur cette plaquette ont conduit à deux traditions, selon que les
travaux ont été effectués par des spécialistes du monde punique ou du monde
étrusque. Les explications des étruscologues nous semblent préférables, quant à
la destination de l’objet. Cf. notamment G. Messineo, Tesserae hospitales?, dans
Xenia, 5, 1983, p. 3-4.
7
Dans ce cas encore les interprétations sont difficiles : il est impossible de
déterminer avec certitude où les sarcophages ont été sculptés et ce que signifie la
présence d’un sarcophage de type punique dans une tombe étrusque.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 445

avec le contexte archéologique, principalement en raison des boule-


versements stratigraphiques entraînés par la fondation de la colonie
augustéenne 8. La plupart des inscriptions qui nous intéressent pro-
viennent d’une aire bien précise, celle du tophet. Nous reviendrons
plus tard sur la signification religieuse de cette provenance. Cette lo-
calisation permet une datation approximative des inscriptions
puisque les fouilles américaines sur le tophet ont permis d’établir que
les cippes commençaient à être inscrits à partir des IVe-IIIe siècles
av. J.-C 9. Le terminus ante quem de ces inscriptions nous est plus sim-
plement donné par l’histoire de la cité, détruite en 146. Les inscrip-
tions ayant une autre provenance (inscription funéraire ou titulus)
sont plus difficilement datables. Un autre critère pour déterminer des
dates approximatives est la paléographie. Il n’existe pas à ce jour d’é-
tude exhaustive des écritures du tophet (travail de toute façon limité
par le manque de contexte archéologique); néanmoins J. B. Peckham
propose des tableaux évolutifs que nous pouvons utiliser10.
Outre les incertitudes chronologiques, le travail que nous nous
proposons de mener est rendu plus difficile par des incertitudes
concernant la restitution des noms, puisque le punique est trans-
crit par une écriture consonantique dans laquelle les matres lectio-
nis ne commencent à apparaître qu’à la fin du IIIe siècle. Face à
un nom n’appartenant pas à l’onomastique phénicienne tradition-
nelle, il existe plusieurs possibilités de transcription, car le rôle
économique de Carthage et sa situation en Afrique impliquent la
présence dans la cité de populations diverses : grecques, ita-
liennes, mais aussi libyques ou berbères. Aussi nous sommes-nous
appuyés pour cette étude sur les développements proposés pour
les noms italiens et grecs d’autres zones géographiques : la Sicile
et la Sardaigne11, la Tripolitaine12, deux régions d’Afrique13 et Pal-

8
Il suffit pour s’en convaincre de mesurer le déplacement des cippes les
plus tardifs, cf. H. Benichou-Safar, Les stèles dites «de Sainte-Marie» à Carthage,
dans Studia Phoenicia, 10, 1989, p. 353-364.
9
D’après S. Lancel, Carthage, Paris, 1992, p. 264-267.
10
J. B. Peckham, The Development of the late Phoenician Scripts, 1968, Cam-
bridge, p. 178-187.
11
M. G. Amadasi Guzzo, Le Iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in Oc-
cidente, Rome, 1967 (Studi Semitici 28) et Iscrizioni fenicie e puniche in Italia,
Rome, 1990.
12
M. G. Amadasi Guzzo, G. Levi della Vida, Iscrizioni puniche della Tripolita-
nia (1927-1967), Roma, 1987.
13
Pour Cirta, A. Berthier, A. Charlier, Le sanctuaire punique d’El-Hofra à
Constantine, Paris, 1955; pour Mididi, M. Ghaki, Textes libyques et puniques de la
haute vallée de l’oued el Htab, dans Reppal, 1, p. 168-178, A. Ferjaoui, Dédicaces
néo-puniques d’édifices funéraires, dans Reppal, 9, p. 63-72, J.-G. Février, Une cor-
poration de l’encens à Althiburos, dans Semitica, 4, 1951-52, p. 19-24, et M. Szny-
cer, Les inscriptions néopuniques de Mididi, dans Semitica, 36, 1986, p. 5-24.

.
446 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

myre14. Ces données couvrent un champ chronologique très large,


et parfois très éloigné de celui de notre étude, en raison de la forte
proportion d’inscriptions néo-puniques. Néanmoins, en l’absence
d’inscriptions assurées comme contemporaines de celles que nous
étudions, ces quelques points de repère, fortement convergents,
nous sont d’une aide certaine pour la vocalisation des noms ita-
liens dans les inscriptions de Carthage. À ces informations tirées
de listes onomastiques nous avons ajouté celles fournies par
F. Benz pour la restitution des noms grecs15 et celles que K. Jonge-
ling a déduites des inscriptions néo-puniques16.

Tripoli- Italie El- Mididi Palmyre (Ier-IIIe) Benz (noms Jongeling


taine Hofra grecs)

fin de mot ’ -us -us -us / -ov -e -us


H -e / -us -us
WS -us / -ov
Y -ius -ius -ius -ius
-Y’ -ius
YS -ix -ius -ius -hv
N -on
S -us -ov -a -us / -ov / -ev -ov -us / -is
‘ -a -a / -us -o
Ø -us? -on
milieu de mot ’ e/o/u i/o voyelle de début a e/ o/ u/ a 17
(voy. latine) H u e e/ u/ a 18
W u u u au u/ o
Y i/e i i diphtongue / ı̄ diphtongue /y/ / i / e
‘ a a/e a a a a
‘W au aw
‘Y ai / ae ae ai /ay/

(à suivre)

14
J. K. Stark, Personal Names in Palmyrene Inscriptions, Oxford, 1971, ap-
pendices 3 et 4 p. 131-141. Les inscriptions de Palmyre sont en araméen, mais
comme l’écriture est également consonantique, les problématiques de restitution
sont semblables.
15
F. Benz, Personal Names in the Phoenician and Punic Inscriptions, Rome,
1972.
16
K. Jongeling, Names in Neo-Punic Inscriptions, Groningue, 1985, p. 98-
108.
17
Selon M. G. Amadasi Guzzo (Aleph mater lectionis en punique, dans Actes
du IIIe Congrès international des études phéniciennes et puniques, Tunis, 11-16 nov.
1991, Tunis, 1995, p. 71-76), le aleph en position finale comme à l’intérieur du mot
est un indicateur de voyelle, déjà dans l’écriture phénicienne. Dans le système voca-
lique lié à l’onomastique latine, donc en néopunique, la lettre aurait essentiellement
gardé les valeurs de /e/, /u/ et /o/, sans que l’on puisse éliminer pour autant le son /a/.
18
Dans son article Survival of Punic (dans Studia Phoenicia, X, Punic Wars,
Louvain, 1989, p. 365-373), K. Jongeling précise que le hé indique simplement la
présence d’une voyelle à l’intérieur du mot, ou en position extérieure.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 447

Tripoli- Italie El- Benz (noms Jongeling


Hofra Mididi Palmyre (I -III )
er e
taine grecs)

(cons. latine) T t t/t t


K̇ c
KS x x
P p/f p / f / ph
Q c c c c
T t t

Les principales constantes concernent la terminaison des noms


latins en -us et -ius, marqués en punique respectivement par aleph et
yod. Ces deux lettres étaient d’ailleurs déjà utilisées dans les noms
propres hypocoristiques phéniciens dès le deuxième millénaire19. En
ce qui concerne les fins de noms, la graphie -WS pour indiquer une
terminaison latine en -us est rare (on ne la trouve qu’à Palmyre, c’est-
à-dire dans un contexte linguistique fortement influencé par le grec).
En Tripolitaine, et de façon générale en néo-punique, les inscriptions
montrent que le aleph peut désigner aussi bien /e/ et /o/ que /u/, cette
dernière vocalisation pouvant être marquée également par le hé et le
wav. Aussi est-il logique que aleph, en terminaison, puisse renvoyer
au -us latin, d’autant plus qu’à l’époque où ont été rédigées ces ins-
criptions le -s final du nominatif latin ne se prononçait plus (cf. infra).
L’utilisation de matres lectionis en milieu de nom, telle que nous
la présentons dans ce tableau, est exceptionnelle dans la liste des
inscriptions prises en compte dans notre étude. Cela s’explique par
le fait que les matres lectionis sont d’un usage tardif, et par
conséquent apparaissent davantage dans les inscriptions néo-pu-
niques. Les variantes dans les retranscriptions viennent aussi bien
des évolutions phonétiques des noms italiens et latins que des va-
riantes phonétiques du punique, qu’elles soient géographiques 20 ou
chronologiques. En effet il convient de garder à l’esprit deux faits es-
sentiels : les Puniques transcrivent dans leur écriture les noms tels
qu’ils les entendent, c’est-à-dire que selon la provenance des indivi-
dus concernés, l’accent, la prononciation de certains sons, les finales
ne sont pas les mêmes, et surtout diffèrent de ce à quoi le latin clas-
sique nous a habitués; en outre, selon Tite-Live, les Puniques pro-
nonçaient très mal le latin 21. Par conséquent on ne s’étonnera pas de

19
M. G. Amadasi Guzzo, op.cit n. 17, p. 72; F. Benz, op. cit. n. 15, p. 240-
242. La lettre aleph sert également à indiquer plusieurs terminaisons liées à la
grammaire (le -e du participe présent des verbes à 3e du radical faible; le -o de la
3e pers. fém. de l’accompli, le -u de la 3e pers. pl.).
20
Sur la diversité des parlers phéniciens et puniques, cf. G. Garbini, I dialetti
del fenicio, dans Il semitico nordoccidentale. Studi di storia linguistica, Rome,
1988, p. 51-68.
21
Liv. 22.13.6 : Hannibal décide de prendre la cité de Casinum, et ordonne à

.
448 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

certaines transformations dues à la fois à une prononciation ita-


lienne spécifique, à des formes italiennes non-latines et à la pronon-
ciation punique de ces noms d’étrangers résidant à Carthage.

Pour la vocalisation des noms retenus, nous utiliserons donc les


critères de transcription suivants :
– en finale, le aleph renvoie à -us, le yod à -ius ou à une autre
diphtongue (-io par exemple);
– au sein du mot, étant donné la rareté des matres lectionis, le yod
doit indiquer soit une voyelle longue, soit une diphtongue, mais en au-
cun cas une voyelle courte qui n’aurait pas de raison d’être soulignée;
– nous prenons le parti de ne pas différencier le kaph et le
qoph 22, tout en notant que dans les inscriptions de Tripolitaine et
d’Italie utilisées pour dresser le tableau ci-dessus, le kaph apparaît
très peu, le plus souvent pour rendre le son /x/, par le groupement
KS. De même pour le thet et le tav d’après les inscriptions de Mididi.
La liste des inscriptions choisies pour cette étude reprend celle
proposée par A. Ferjaoui dans son travail sur l’Orient phénicien et
Carthage 23, complétée par un relevé effectué dans le répertoire ono-
mastique de F. Benz, soit dans sa liste des noms latins, soit parmi les
noms dont l’origine est présentée comme inconnue. Le procédé tradi-
tionnel de recherche de noms latins à partir du punique part du prin-
cipe que ces noms doivent se retrouver dans les listes onomastiques
élaborées à partir des inscriptions latines de la province d’Afrique 24.

son guide de l’y conduire. Mais le guide comprend Casilinum au lieu de Casinum,
ce qui permet à Tite-Live de pointer la mauvaise prononciation latine du général
carthaginois. (Sed Punicum abhorrens ab Latinorum nominum pronuntiatione os,
Casilinum pro Casino dux ut acciperet fecit, que l’on peut traduire par : «Mais la
prononciation punique, incompatible avec celle des noms latins, fit que le guide
comprit Casilinum à la place de Casinum.»). Il est toutefois possible que tout ce
récit ait été inventé à seule fin d’introduire les conséquences de cette erreur, c’est-
à-dire la colère d’Hannibal et les destructions qu’elle engendra.
22
La version la plus ancienne du monologue d’Hannon, dans le Poenulus de
Plaute, transcrit indifféremment le kaph et le qoph par c (M. G. Amadasi Guzzo,
Sur la prononciation spirante de K en phénicien, dans Punica, Libyca, Ptolemaica,
Festschrift für Werner Huß, Louvain, 2001 (OLA 104), p. 13-20, plus spécialement
p. 19-20). Pour le punique tardif, M. G. Amadasi Guzzo remarque que : «En ce
qui concerne les occlusives sourdes k et t, ainsi que les emphatiques q et t, les
transcriptions sont également ambiguës.» (M. G. Amadasi Guzzo, Quelques˙ spé-
cificités phonologiques du punique tardif et la question de leur chronologie, dans
S. Lancel (éd.), Numismatique, langues, écritures et arts du livre, spécificité des
arts figurés. Actes du VIIe Colloque international sur l’histoire et l’archéologie de
l’Afrique du Nord, (Nice, 21-31 oct. 1996), Paris, 1999, p. 183-191.
23
A. Ferjaoui, Recherches sur les relations entre l’Orient phénicien et Carthage,
Fribourg, 1993, p. 324-325.
24
Listes de l’index du CIL VIII et de la revue Karthago (Karthago, 11, 1961-

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 449

Cette méthode a été employée par les auteurs du Corpus Inscriptio-


num Semiticarum. Or c’est prendre le problème à l’envers, nous
semble-t-il : un nom d’origine phénicienne, qui ne serait pas identifié
par d’autres inscriptions, et par conséquent serait classé sous l’intitulé
«origine incertaine», peut avoir été transcrit en latin après la
conquête, mais ce même nom relevé dans des inscriptions latines plus
tardives n’est évidemment pas d’origine romaine. Par conséquent il
vaut mieux essayer de retrouver la présence des noms de la Carthage
punique dans la Péninsule italienne, et si possible à des dates hautes
(IVe-IIe siècles). C’est pourquoi à côté des propositions du Corpus fi-
gurent d’autres développements. Nous avons exclu de notre étude
trois noms ordinairement désignés comme d’origine italienne,
puisque les divers développements possibles à partir du punique ne
rencontraient aucun parallèle dans l’onomastique italienne 25.

Certains noms reviennent dans plusieurs inscriptions distinctes;


nous avons alors choisi de présenter ces inscriptions ensemble. Les
autres sont classés d’après leur ordre d’apparition dans le CIS.

1) MTLY
a) CIS 1273
Inscription du tophet avec la formule de dédicace habituelle. La
fin de l’inscription manque.
Datation : IIIe siècle?
LRBT LTNT PN B‘L WL
’DN LB‘L HMN ’Š NDR
˙

1962, p. 169-208, sous la direction de H.-G. Pflaum); en ce qui concerne Car-


thage-même, il existe désormais un Index général des Inscriptions Latines
Païennes de Carthage, publié par L. Ladjimi Sebai (Tunis, 2002).
25
Il s’agit de BYBL’, SKYN’ (CIS 1315) et MRKSY’ (CIS 4934). Le premier est
développé en Bibulus dans le CIS, Byblius par F. Benz. G. Halff propose curieuse-
ment un datif, Bubali. Pour notre part, la présence du yod en deuxième position
nous ferait plutôt restituer une voyelle longue ou une diphtongue. Par conséquent,
sans exclure Bibulus, nous optons plutôt pour un nom du type Baebulus, Baeblus.
Le deuxième nom offre de nombreuses possibilités de transcription. Le CIS,
comme F. Benz, le développent en Socinus. Si la finale semble bien être en -us, le
yod, comme dans le nom précédent, peut renvoyer à une diphtongue. On donnera
donc à titre d’hypothèse : Socaenus, Socienus, Socinus (avec i long), Sicaenus. En-
fin pour le troisième le CIS propose la lecture Marcosius; F. Benz pense plutôt à un
nom berbère, MRKSN; G. Halff admet un nom latin en -ius, non précisé. Il est vrai
que la finale est un hapax; étant donné les règles définies, on penserait à une diph-
tongue suivie par une terminaison en -us. Le groupe KS pourrait renvoyer à un son
semblable au x latin, ce qui donnerait un nom comme Marxius, Merxius. On peut
également proposer Mercasius. Toutefois pour aucun de ces développements nous
n’avons trouvé de correspondant dans l’onomastique italienne.

.
450 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

MTLY BN ŠMŠŠLK BN [...

Traduction : À la dame Tanit face de Baal et au seigneur Baal Ha-


mon, ce qu’a voué MTLY fils de Shamashshilek, fils de...

b) CIS 3934
Inscription trouvée près de Dermech, «dans des fosses remplies
d’objets venant des temples» dit le CIS. La formule de dédicace in-
cite à la replacer dans le cadre du tophet. Sous l’inscription, dont le
début manque, ont été représentés deux caducées de part et d’autre
du signe de la main ouverte.
Datation : IIIe siècle?

LRB[T LTNT PN B‘L WL]


’DN LB‘L HMN ’Š NDR
’DNB‘L BN˙ ‘ZRB‘L BN M
TLY BN MTN

Traduction : À la dame Tanit face de Baal et au seigneur Baal Ha-


mon, ce qu’a voué Adonibaal fils d’Azorbaal, fils de MTLY, fils de Mutun.

c) CIS 5251
Inscription du tophet. Le texte est écrit très haut sur la pierre,
mais aucun motif n’est représenté dessous. La partie gauche
manque.
Datation : IVe-IIIe siècles.

...]’ŠMN BN
BDS ?]D BN MTLY
˙
Traduction : ... ]eshmun, fils de []d, fils de MTLY.

La retranscription la plus simple de ce nom serait Metel(l)ius;


néanmoins il est inconnu dans l’onomastique de l’Africa romaine,
c’est pourquoi les auteurs du CIS ont également proposé Matelio, Ma-
tellio (CIS 1273 et 3934) et Matellaeus (CIS 5251). A. Ferjaoui transcrit
Metellus, tandis que G. Halff 26 voit dans ce nom un hypocoristique
formé à partir de MT, homme. F. Benz ne traite pas de ce nom.
En suivant les règles énoncées plus haut, nous conserverons ce-
pendant ici la transcription Metel(l)ius, et les variantes vocaliques
possibles : Metilius, Mitilius, Matelius, Mutilius.

26
G. Halff, L’onomastique punique de Carthage, dans Karthago, 12, 1963-64,
p. 61-146.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 451

2) MTL’
a) CIS 3141
Inscription du tophet. Le texte est inscrit sur un cippe surmonté
du signe de la main. Sous le texte, deux signes de Tanit aux mains
levées encadrent un caducée. Sur la photographie du CIS, on dis-
tingue un autre dessin, entre le caducée et le signe de Tanit de
droite, mais il est difficilement interprétable. On pourrait éventuel-
lement y voir une équerre et un outil de construction, sans certitude.
Datation : IIIe-IIe siècles.
LRBT LTNT PN B‘L
WL’DN LB‘L HMN
˙ MT
’Š NDR ŠSP BN
˙
L’ BN ‘ZRB‘L
Traduction : À la dame Tanit face de Baal et au seigneur Baal Ha-
mon, ce qu’a voué ŠSP fils de MTL’ fils d’Azorbaal.
˙
b) CIS 4878
Cippe cassé en provenance du tophet ne comportant aucune
iconographie.
Datation : IVe-IIIe siècles?
[LRBT LTNT PN
B‘L WL’DN LB]
‘L HMN [’Š ND]
˙
R B‘LH N’ B[N]
˙ BH
MTL’ HT
˙ ˙
Traduction : [À la dame Tanit face de Baal et au seigneur Baal]
Hamon, ce qu’a voué Baalhanno, fils de MTL’ le boucher.
Le CIS donne comme transcription Metellus ou Metelus, A. Fer-
jaoui ignore ce nom, G. Halff l’interprète comme un hypocoristique
formé à partir de MT, et F. Benz propose soit Metellus, soit l’abrévia-
tion de MTN’LM, don de Dieu.
Selon nous, le nom présent dans ces deux inscriptions doit pou-
voir être développé en Metel(l)us, Metilus, Mutilus 27.

27
Dans les inscriptions néopuniques d’El-Hofra, on trouve le nom propre
MTLL, développé par A. Berthier et R. Charlier en Metellus (El Hofra, no 269,
néopunique). Le personnage ainsi nommé est l’arrière-grand-père du dédicant, ce
qui paraît étrange aux auteurs, étant donné que les noms de ses descendants sont
punique et berbères; ce cas se produit néanmoins dans nos inscriptions de Car-
thage. Un nom latin précédant des noms berbères dans une généalogie ne peut
paraître étrange que lorsqu’on se situe dans la perspective d’une romanisation,
perspective qui est celle de A. Berthier et R. Charlier. Cependant il est tout à fait
possible de penser au contraire à l’intégration d’un élément étranger, en l’oc-

.
452 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

3) KSY

a) CIS 2022
Stèle du tophet ornée d’une série d’oves au-dessus de l’inscrip-
tion. La pierre étant perdue, le CIS ne fournit qu’un dessin de l’ins-
cription, dont la lecture ne peut par conséquent être corrigée.
Datation :?
[L]RBT LTNT PN
B‘L WL’DN LB‘
L HMN ’Š NDR
˙ RY BN HMLK
[M]S
BN ˙ŠRDNY BN
˙ KS
Y

Traduction : À la dame Tanit face de Baal et au seigneur Baal Ha-


mon, ce qu’a voué l’Egyptien (?), fils de HMLK, fils du Sarde, fils de KSY.
˙
Le CIS propose pour KSY un ethnique, formé à partir d’un nom
d’île en Méditerranée occidentale ou de lieu en Égypte, sans doute à
partir de la restitution du nom du dédicant et de l’autre ethnique
présent dans la filiation, à savoir ŠRDNY, le Sarde. Cela n’implique
pas forcément que la famille soit d’une origine non-punique; il peut
s’agir d’un Punique de Sardaigne venu s’installer à Carthage. L’ac-
cumulation d’ethniques reste néanmoins étonnante.

b) CIS 3983
Inscription du tophet. Sur un cippe à fronton, l’inscription est
placée au-dessus d’un croissant posé sur un cercle.
Datation : IIIe siècle?
LRBT LTNT PN B
‘L WL’DN LB‘
L HMN ’Š ND
˙ BN K
R ’RŠ
SY BN PDY

Traduction : A la dame Tanit face de Baal et au seigneur Baal Ha-


mon, ce qu’a voué Arish fils de KSY fils de PDY.

currence latin, dans un milieu punique ou berbère. Les deux auteurs proposent
de lire non pas BN MTLL, mais BT MTLL, «la maison de Metellus»; la mauvaise
qualité de la photographie présentée en annexe (planche XXII) ne permet pas de
juger de la pertinence de cette correction. Le redoublement de la dernière lettre,
pour rendre un redoublement latin, paraît étrange. Par ailleurs, il n’existe dans
les inscriptions du site aucun autre nom latin se terminant par -us permettant de
déterminer si le développement de la finale est correct ou non.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 453

Les deux noms sont développés sous une forme latine dans le
CIS. Pourtant PDY se retrouve 33 fois dans l’épigraphie punique; ce
nom dériverait d’une racine sémitique signifiant «délivrer». L’ori-
gine de KSY pourrait également être sémitique; il s’agirait alors soit
d’un ethnique, soit d’un dérivé du verbe KSY, couvrir, soit d’un nom
berbère comme KS (RIL 501-659). Ces incertitudes nous poussent à
conserver l’idée qu’il s’agit d’un nom italien. Il paraît vraisemblable
que ce nom dérive de Cesius, Cosius, Caesus, Casius ...

4) Noms à une seule occurrence


CIS 5273
Inscription du tophet. Aucune iconographie.
Datation : IVe-IIIe siècles?
...ML]QRT BT ‘B[D]
’SMN BN Q
TY
Traduction : ...mil]qart fille d’Abdeshmun fils de QTY.

Le nom Qata est communément proposé (CIS et A. Ferjaoui,


d’après CIL VIII Qata 16 085, Cata 7279, Cato 27 478, Cota 17 569).
De même chez F. Benz, Qata ou Cata.
Pourtant la finale nous incite à chercher dans une autre direc-
tion. En effet, elle semble plutôt désigner un nom en -ius, soit Ca-
tius, ou Cotius, voire Citius.

CIS 5984
Inscription funéraire.
Datation : IIIe-IIe siècle?
QBR BDMLQRT BN ’STNY
S BN ’KYS BN PQY HNSK
traduction : Tombeau de Bodmilqart fils de ’STNYS fils de ’KYS
fils de PQY le fondeur.

Aucun de ces trois noms n’est d’origine phénicienne. Selon


Ph. Berger 28, les noms seraient d’origine grecque en raison de leur
terminaison en -YS (c’est également l’hypothèse présentée par les au-
teurs du CIS). Cependant seul un nom livré par le recueil onomastique
de F. Benz a une terminaison en -YS, et renvoie à un nom grec en -hv;
dans les autres inscriptions puniques, cette terminaison renvoie au

28
CRAI, 1908 p. 50 = RES, 887.

.
454 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

-ius des noms latins. La proposition de Ph. Berger peut aisément être
étayée par des faits phonétiques connus : vers le IIIe siècle, les finales
latines en -m et -s ont tendance à s’amuir, laissant la place à un souffle
sourd /h/, qui lui-même disparaît à tel point que le -s final n’est plus
noté dans les inscriptions des IIIe et IIe siècles 29. C’est seulement suite
à une réaction sénatoriale au cours du IIe siècle av. J.-C. que les
consonnes finales furent imposées dans la graphie, à défaut de l’être
dans la prononciation 30. Cette disparition sonore pourrait expliquer
l’absence de samek comme marque des noms latins. Le grec, en re-
vanche, n’a jamais perdu la sifflante finale 31. Cependant, dans les do-
maines linguistiques italiens autres que le latin, nous n’avons pas d’in-
dication sur une possible disparition du -s final. Par conséquent, on
ne saurait affirmer qu’un nom en YS est d’origine grecque.
Pour ce qui est du premier nom, ’STNYS, le CIS propose Ista-
nius d’après une inscription de Béotie (IG 7.4151, dont l’origine est
donnée de façon erronée dans le CIS comme étant Lilybée). Selon
F. Benz, il s’agirait plutôt du nom ’STN avec une terminaison latine.
La finale nous semble être en -ius. La présence du aleph en début de
nom s’expliquerait par une difficulté des Puniques à prononcer deux
consonnes à l’initiale; on retrouve ce phénomène dans une inscrip-
tion de S. Nicolo Gerrei 32, une trilingue latin-grec-punique, qui
comporte le nom Cléon. Celui-ci est orthographié en punique
’KLYN. Il existe également à Maktar un ’ST‘BRY, transcrit en Stabe-
rius 33. C’est pourquoi nous proposons pour ce nom St(h)enius.
Le deuxième nom d’origine étrangère commence également par
un aleph, mais la situation n’est pas semblable au nom précédent,
puisque suit un son consonantique simple, indiqué par le kaph pu-
nique. En début de nom latin, le aleph est très rare; on ne le trouve
que dans les inscriptions de Palmyre pour désigner n’importe quelle
voyelle initiale. En revanche, dans les noms grecs, il renvoie souvent
au a (alors que pour les noms latins en inscriptions néo-puniques, le
a initial est rendu par un ayn). On aurait donc ici soit un nom grec
commençant par un a (Agkaiov pour F. Benz), soit un nom latin
comme Iccius, Occius, ou, plus vraisemblablement, Accius avec une
prononciation grecque.

29
P. Monteil, Éléments de phonétique et de morphologie du latin, Paris, 1974,
p. 60; J.-H. Michel, L’ordre sénatorial et la formation du latin classique, dans Lato-
mus, 55/2, 1996, p. 281-294, spécialement p. 281.
30
J.-H. Michel, ibid., p. 283-285.
31
M. Lejeune, Phonétique historique du mycénien et du grec ancien, Paris,
1972, p. 271, § 306.
32
M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni fenicie e puniche in Italia, Rome, 1990,
n. 15.
33
Dans l’index de K. Jongeling, Names in Neo-Punic Inscriptions, Groningue,
1985, sous la référence Maktar 48.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 455

Le dernier nom est plus facile à développer. A. Ferjaoui donne la


transcription Paqius, alors que le CIS, auquel renvoie F. Benz, propose
l’hypothèse d’un nom latin, sans précision. Plus simplement, et en uti-
lisant l’équivalence qoph / c, nous proposons Pac(c)ius, ou Pacuius.

CIS 6005-6006
Inscription funéraire écrite au charbon sur deux vases d’une
même tombe.
Datation : IVe siècle
QBR BD‘STRT W’RY
La lecture pose problème : soit l’on admet que le dernier groupe
de lettres forme un seul nom, soit le wav doit être compris comme
une conjonction de coordination. Dans le premier cas, l’individu
porterait deux noms, ce qui n’existe pas par ailleurs dans les inscrip-
tions du tophet et les funéraires de Carthage; dans le second, deux
hommes auraient été mis dans le tombeau 34, ce qui constituerait là
encore un phénomène isolé.
Traductions : Tombeau de Bodashtart W’RY ou Tombeau de Bo-
dashtart et Ary.

Si l’on garde l’option d’un surnom (ce qui apparaît dans les tex-
tes grecs à propos de notables carthaginois 35), la seconde lettre, un
aleph en milieu de mot, doit être développée non en /a/, comme le
proposent le CIS, F. Benz et A. Ferjaoui, mais en /e/, /i/, /o/ ou /u/.
Nous adopterons donc les transcriptions Ver(r)ius et Vir(r)ius.

CIS 6025 bis


Inscription peinte sur vase. Indique sans doute le possesseur de
l’objet.
Datation :?
LK(P?)‘RYH BN ‘BDLM MLGPRT

34
Cette hypothèse est celle de Ph. Berger, RES, 517, avec une lecture ARH.
35
On connaît par la littérature plusieurs cas de surnoms. Le plus célèbre est
celui des Barcides, mais on rencontre également chez Polybe un Hannibal le
Rhodien (Plb. 1.46.4), et selon Appien les chefs politiques de Carthage dans son
dernier demi-siècle d’existence se nommaient Hannon le Grand, Hannibal l’É-
tourneau ou Hamilcar le Samnite (Ap. Pun. 68.305). Ces surnoms se rapportent
soit à des qualités, soit à des ethniques dont on serait bien en peine de dire s’ils
désignent une origine réelle ou s’ils font référence à des victoires militaires ou à
des ennemis vaincus, d’après les hypothèses de W. Huß, qu’aucune preuve épi-
graphique ne vient étayer (Die toponymen und ethnonymen Beinamen von Kartha-
gern, dans Alle soglie della classicità. Il Mediterraneo tra tradizione e innovazione,
Studi in onore di Sabatino Moscati, Pise-Rome, 1996, p. 231-235).

.
456 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

L’inscription comporte deux difficultés de lecture. La seconde


lettre ne se lit pas correctement : on peut hésiter entre un kaph et un
pé. Les six dernières lettres forment un groupe non identifié.
Traduction : Pour K‘RYH (P‘RYH) fils d’Abdelim MLGPRT.

De la première difficulté de lecture naît un problème de restitu-


tion quant à la première lettre du nom. En outre, la fin du mot ne res-
semble pas aux terminaisons habituelles des noms puniques ou étran-
gers. On peut néanmoins le rapprocher d’une inscription néo-punique
de Sardaigne (Bitia), de la deuxième moitié du IIe siècle apr. J.-C. ou
du début du IIIe, dont les noms latins se terminant en -us sont tous
transcrits avec un hé final. M. G. Amadasi Guzzo interprète le fait
comme un renvoi au vocatif qui serait d’usage dans la langue parlée 36.
Il s’agit peut-être ici du même phénomène. On trouve également dans
les inscriptions de Tripolitaine le groupe YH pour transcrire le son ‘iu’
initial de Iulius 37. Il est donc possible qu’ici il s’agisse simplement
d’une finale en -ius. Le CIS propose Carius/Parius, étant donné les pro-
blèmes de lecture de la première lettre. C’est la transcription que nous
adoptons également, en tenant compte de l’équivalence ayn / a en mi-
lieu de mot qui se retrouve dans tous les groupes d’inscriptions prises
comme références.
Comme le nom Parius est inconnu de l’onomastique italienne,
seul Caris/Carius est pris en compte dans l’étude qui suit.

Éléments de confrontation
Les noms obtenus par le développement des inscriptions de Car-
thage ont des équivalents en latin, mais dans la très grande majorité
des cas avec des gentilices d’époque impériale. En revanche, pour l’é-
poque contemporaine de nos inscriptions puniques (IVe-IIe s. av. J.-
C.), ils possèdent principalement des correspondants dans les for-
mules onomastiques dont témoignent les inscriptions non latines : en
étrusque, dans les langues italiques (osque, pélignien, etc...) et cel-
tique 38.

36
M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni fenicie e puniche in Italia, Rome, 1990,
p. 82.
37
M. G. Amadasi Guzzo, Iscrizioni puniche della Tripolitania, n. 22; en re-
vanche, une inscription de Mididi offre l’orthographe YWLY‘ pour Iulia (M. Szny-
cer, Les inscriptions néopuniques de Mididi, dans Semitica, 36, 1986, n. 4).
38
Les inscriptions latines sont citées d’après le CIL ou l’Année épigraphique.
Les inscriptions préromaines, outre les grands recueils comme le CIE ou le TLE et
le récent corpus réuni par H. Rix (H. Rix, Sabellische Texte. Die Texte des Oskischen,
Umbrischen und Südpikenischen, Heidelberg, 2002), sont prises dans différents ou-
vrages : REI (Rivista di Epigrafia Italica, dans les Studi Etruschi) ou encore E. Vet-
ter, Handbuch der italischen Dialekte, Heidelberg, 1953 (abréviation Ve.), V. Pisani,
Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Turin, 1964 (Pi.), R.S. Conway, The Italic

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 457

– Accius : la forme Accius peut-être rapprochée de trois formes


étrusques : Akiu, nom individuel connu à Bologne, à Marzabotto et
à San Romano, Acei, gentilice connu à Pérouse et à Adria, et Axui,
gentilice attesté à Populonia, Monterongriffoli et Chiusi.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ET Fe 2.9 Bologne vase V -IV s.


e e
Akiu(s) étrusque
REE 1993, 6 Marzabotto écuelle maison VIe s. ...zś étrusque
de l’insula 2, Akiu[...
regio IV
ET Li 1.7 San dalle couverture Akiu étrusque
Romano d’une tombe
de la localité
Pianellone
ET Pe 1.142 Pérouse urne 2e moitié Uana Acei étrusque
de travertin Ier s.
ET Pe 1.143 Pérouse urne réc. [V](e)l Acei, étrusque
fils de Lartu
ET Pe 1.140 Pérouse urne réc. La(ru) étrusque
Velxei, fils
d’une Acei
ET Ad 2.43 Adria vase habitat réc. Akei étrusque
du Giardino
Pubblico
ET Po 2.38 Populonia vase Podere début Axui étrusque
il Casone IIe s.
ET AS 1.193 M o n t e r o n - olla réc. [U]a(na) étrusque
griffoli Axui
ET Cl 1.248 Chiusi tuile tombe réc. Lar(ui) Axui étrusque
de Predio
Nardi-Dei
ET Cl 1.2010 Chiusi tuile réc. Larui Axui étrusque

On trouve également dans le monde grec des formes proches,


comme Axaiiv et Axaiov, en Sicile (à Syracuse) par exemple, mais
également en Crète, à Athènes, etc... Le nom apparaît plus tardive-
ment en latin, sous la forme Accius. La plus ancienne attestation

Dialects, Cambridge, 1897 (Co.), G. Giacomelli, La lingua falisca, Florence, 1963


(LF), P. Poccetti, Nuovi documenti italici a complemento del Manuale di E. Vetter,
Pise, 1979 (Pocc.); V. Solinas, Il celtico in Italia, dans SE, LX, 1995, p. 311-408. Pour
les inscriptions étrusques, les références sont celles de l’ouvrage d’H. Rix (dir.),
Etruskische Texte. Editio minor, Tübingen, 1991. Pour l’onomastique, on se reporte-
ra à H. Rix, Das etruskische Cognomen. Untersuchungen zu System, Morphologie
und Verwendung der Personennamen auf dem jüngeren Inschriften Nordetruriens,
Wiesbaden, 1963; R. Hirata, L’onomastica falisca e i suoi rapporti con la latina e l’e-
trusca, Florence, 1967; M. Lejeune, L’anthroponymie osque, Paris, 1976.

.
458 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

concerne le poète et grammairien L. Accius, né à Pisaurum vers 170


et mort en 86. Les autres attestations sont d’époque impériale.
– Caesius : la forme Caesius a des correspondants dans plusieurs
langues d’Italie. Pour le latin, la forme peut être rapprochée du pré-
nom Kaeso, porté par les membres de deux gentes patriciennes, les
Fabii et les Quinctii, mais également au sein de gentes plébéiennes,
comme les Duilii et les Acilii 39. Le gentilice Caesius n’apparaît qu’à la
fin de la République 40.
Dans la zone falisque, aux IVe-IIIe siècles, on rencontre le pré-
nom Caisio(s), avec des occurrences à Civita Castellana, mais égale-
ment sur le site de Falerii Noui, à Corchiano et Caprarola. Il s’agit
dans ce cas toujours d’un prénom, orthographié, dans les inscrip-
tions les plus anciennes, avec la diphtongue, Caisio, et Cesio dans les
inscriptions les plus récentes. La seule attestation d’un emploi
comme gentilice correspond à la mention en langue falisque d’un in-
dividu d’origine étrusque, Lartio Cesies.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

Ve. 251 Civita coupe tombe de la nécro- IV -


e
Caisio falisque
Castellana pole de Celle IIIe s.
Ve. 278 Civita paroi tombe des Aracii Caisio falisque
Castellana de tombe à Valsiarosa Tirio
Ve. 317 Faleri mosaïque mention IIIe- Ce(sio) falisque
de deux préteurs Ier s. Tertine
Ve. 348 Corchiano tasse nécropole Fere, fils falisque
du Vallone de Cesi

(à suivre)

On trouve ainsi un Kaeso Fabius, consul en 484, 481 et 479 et proconsul en


39

477 lors du massacre des Fabii sur le Crémère, un autre Kaeso Fabius, frère du
consul de 310, et qui se propose de traverser la forêt ciminienne en éclaireur lors
de la guerre contre les Étrusques (Liv. 9.36), un Kaeso Quinctius, fils du dictateur
Cincinnatus (De uir. ill. 17. 1), un K. Duillius Longus parmi les décemvirs en 450-
449, etc... Une inscription du IIIe s. av. J.-C., provenant du Tibre, mentionne un
L. Albanius fils de Kaeso (CIL I, 2, 26).
40
En latin, le gentilice Caesius n’apparaît qu’à la fin de la République :
M. Caesius, préteur en 75, Titus Caesius (AE 1994, 375 a), Lucius Caesius affran-
chi de Lucius (AE 1994, 587), Sextus Caesius Propertianus, fils de Sextus (AE 1892,
3), ou encore le M. Caesius Blandus dont on connaît la maison à Pompéi, etc.,
même si on trouve Caesus encore à cette époque, comme prénom (AE 1994, 441
b), dans les régions où il était employé comme tel à l’époque préromaine. On pos-
sède notamment une inscription mentionnant la réparation d’un mur du sanc-
tuaire d’Angitia, chez les Marses (CIL IX, 3885), par deux quinq(uennales) dont
un Sex. Paccius Ka[es. f.]. On peut rapprocher ce prénom de celui du fameux Ca-
so Cantovios de l’inscription du lac Fucin (CIL I, 2, 5). Le nom se trouve égale-
ment, mais plus rarement, sous la forme Ceisius, comme dans une inscription de
Préneste (Co. 297) mentionnant une Ceisia Loucilia.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 459

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

Ve. 334 Corchiano tuile tombe P o p l i a C a l i - falisque


de Sant’Antonio tenes, épouse
de Lartio Cesies
CIE 8360 Caprarola tuile tombe Cesio falisque
Folcus(i)o

En Étrurie, le vocable apparaît comme prénom, puis comme


gentilice, à une date assez haute. À la racine ceis- ou kais- peuvent
être ajoutés différents suffixes : -e, -i, -u. On trouve notamment le
gentilice Ceisu, à Tuscania et à Monteromano, tandis qu’un genti-
lice, Ceise ou Ceisi est forgé à partir de la même racine, et se ren-
contre à Pérouse, San Quirico d’Orcia, Sovana, Corchiano, Tusca-
nia, Musarna et Tarquinia. Ceisi semble être une forme propre à la
région de Pérouse (5 occurrences), tandis que Ceise est la forme mé-
ridionale (Corchiano, Musarna, Sovana).

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ET AT 1.46 Tuscania sarcophage nécropole réc. Seura Ceisui étrusque


de Cipollara
ET AT 1.197 M o n t e r o - sarcophage funéraire IIIe-Ier s. Seure Ceisu étrusque
mano de tuf
ET Pe 1.324 Pérouse couvercle nécropole réc. Petnei, épouse étrusque
de travertin de Palazzone d’un Ceisi
ET Pe 1.325 Pérouse couvercle id. réc. Ar(nu) Ceisi, fils étrusque
de travertin d’une Petnei
ET Pe 1.326 Pérouse urne de tra- id. réc. Arnu Ceisi, fils étrusque
vertin d’Arnu
ET Pe 1.327 Pérouse couvercle id. réc. L a r u i L u t n i , étrusque
de travertin épouse d’un Cei-
si
ET Pe 1.505 Pérouse couvercle id. réc. A u ( l e ) V i ( p i ) étrusque
de travertin Vercna, fils
d’une Ceisi
ET Fa 1.3 Corchiano tuile funéraire réc. Laru Ceise, fils étrusque
de Vel
ET AT 1.67 Tuscania sarcophage réc. Larui Ceisi étrusque
ET AT 1.145 Musarna fronton de réc. Arnu Ceise étrusque
tombe
ET Ta 1.116 Tarquinia c o u v e r c l e tombe IIIe s. Uana Ceisi étrusque
d e s a r c o - de Monterozzi
phage
ET AS 1.272 San Quiri- urne de tuf réc. Aule Ceisu Fulu, étrusque
co d’Orcia fils de Vipi
ET AV 1.13 Sovana fronton de IIIe s. Vel Ceise étrusque
tombe

.
460 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

La forme Cais- se rencontre à date assez haute pour former des


prénoms, comme le Kaisie de Volsinies à la fin VIIe-début VIe siècles
(ET Vs 2.1). Le gentilice dérivé, Caises ou Caisies, apparaît plus ré-
cemment, à Orte et à Suessula. D’ailleurs, le titulaire de l’inscription
de Suessula (ET Cm 2.49), Cnaive Caisies, est, en réalité, un Campa-
nien, comme le montre son prénom, équivalent osque du latin
Cnaeus.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ET AH 1.80 Orte tuile funéraire récente Vel Caises étrusque

ET Cr 2.130 Cerveteri vase marque IV s.


e
Caisia étrusque
de propriété

ET Cr 3.14 Cerveteri vase offrande fin VIIe-début Kaisie étrusque


votive VIe s. Uannursianna

ET Cm 2.54 Suessula vase marque début Ve s. Caisies étrusque


de propriété

ET Cm 2.49 Suessula vase début Ve s. Cnaive Caisies étrusque

ET Vs 2.1 Volsinies vase fin VIIe-début Kaisie étrusque


VIe s.

Pour l’osque, il n’y a pas d’attestation directe, à part le gentilice


Kaisillis, dans une inscription de Capoue (ST Cp 25), dont la forma-
tion *kais- + -il(l)is rappelle le prénom Cesilia qui apparaît dans les
inscriptions falisques. Cependant, on connaît indirectement le pré-
nom osque *Kaisis grâce à une inscription d’Entella (SEG XXX, 117,
2-118, 2), dans laquelle un des archontes des Campaniens installés
dans la ville est un Ley¥kiov fils de Kaı¥siov.
En outre, le développement à partir du punique autorise égale-
ment un rapprochement avec l’anthroponymie celtique, et notam-
ment les formes Koisis / Koiśa, qui sont connues comme idionymes
dans deux inscriptions gauloises tardives, à Todi dans la seconde
moitié du IIe siècle av. J.-C. et à Giubiasco, dans le Canton Tessin en
Suisse, au Ier siècle av. J.-C.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

Solinas 15 Giubiasco vase I s. av. J.-C.


er
Koiśa celtique
(Suisse)

Solinas 142 Todi stèle 150-100 Coisis Druti f. = celtique


Koisis, fils de Truti

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 461

– Carius : la forme Carius renvoie au prénom osque Karis 41. Le


terme Brit a été le plus souvent interprété comme une indication de
l’ethnique, Brit(tis) (“le Bruttien”) 42.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ST Cm 21 Cumes stèle nécropole de 2 moitié II -I s. Karis Brit(is)


e e er
osque
de tuf fondo Correale av. J.-C.

– Catius / Cottius : le gentilice Catius est fréquent en latin, le


plus illustre membre de la gens Catia étant le poète Ti. Catius As-
conius Silius Italicus. La forme Cottius est connue en osque, comme
gentilice d’une famille bruttienne, attestée également à l’époque ro-
maine, à Vibo Valentia (CIL, X, 70). Un membre de la gens est en
outre mentionné parmi les negotiatores de Délos.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ST tLu 3 Vibo Valentia timbre sur tuile Kotteihiv osque


ST tLu 4 Vibo Valentia timbre sur tuile Kottei(hiv) osque
ST tLu 5 Vibo Valentia timbre sur tuile Kotti(hiv) osque

La racine *cat- / *cot- est également présente dans l’onomas-


tique et dans la toponymie celtiques, l’exemple le plus célèbre étant
le roi Cottius, dont le royaume entre dans l’orbite de Rome à l’é-
poque de César, avant de former, sous Auguste, la province des
Alpes Cottiae 43.

– Metellus / Matilius / Metilius / Mutilius : l’origine latine du nom


Metilius est sûre, puisque Denys d’Halicarnasse mentionne les Meti-
lii parmi les familles albaines intégrées au Sénat à l’époque de Tullus
Hostilius 44. Il existe aussi une branche plébéienne, puisque les
uniques magistrats que la famille a fournis, sous la République, sont
des tribuns de la plèbe (le premier en 416). Enfin, une inscription de
Préneste (Ve. 504) mentionne des magistrats (magistere[...) de la fa-
mille des Metilii (metilio[...) dans une dédicace à Apollon. À l’époque

41
La même racine sert peut-être à forger le gentilice Karinaś, connu par une
inscription de Bologne (ET Fe. 1.1) sur une stèle des VIe-Ve siècles.
42
P. Poccetti, Un Brettio a Cuma (nota a VE 112), dans PP, CCXIV, 1984,
p. 43-47.
43
Le regnum Cottii est mentionné dans les inscriptions CIL VI, 92 et V, 7231
(sur l’arc de Suse).
44
D.H. 3.29.7.

.
462 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

impériale, le gentilice Metilius semble être particulièrement concen-


tré en Lombardie, Piémont et Ligurie 45.
La forme Metellus, avec gémination du l, est immédiatement as-
sociée au cognomen de la gens Caecilia, qui apparaît dès le IIIe siècle
av. J.-C., avec L. Caecilius Metellus Denter, consul en 284. Les Caecilii
Metelli exercent les principales charges jusqu’à la fin de la Répu-
blique, avec, entre autres, 12 consuls, 2 dictateurs, 3 censeurs, 2
grands pontifes. Dans les inscriptions postérieures, Metellus appa-
raît toujours comme gentilice ou comme cognomen. On possède uni-
quement deux inscriptions de Cisalpine où Metellus est utilisé
comme prénom et on peut supposer qu’il s’agit d’une survivance de
l’idionyme celtique Metelos 46.
La forme Matilius est très rare. On ne la rencontre que dans trois
inscriptions de Préneste, dont deux inscriptions du IIe s. av. J.-C.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

V . 437, 1
e
Préneste cippe II s.
e
C(aius) Matilius, latin
fils de C(aius)
Ve. 437, 2 Préneste cippe IIe s. C(aius) Matilius, latin
fils de M(arcus)
Ve. 437, 3 Préneste cippe Matilia Minor latin

On obtient également des rapprochements avec le gentilice


étrusque Meteli, qui sous ses formes masculine et féminine porte éga-
lement la terminaison -i, assez fréquent en Étrurie septentrionale, du
IIIe au Ier siècle av. J.-C., à Pérouse, à Volterra, à Cortone, avec notam-
ment la célèbre statue de l’Arringatore représentant un Aule Meteli. Il
s’agit toujours d’un gentilice. Nous pouvons noter une variation régio-
nale entre la forme syncopée au Sud et la forme normale au Nord 47.

45
Le gentilice Metilius (L. Metilius (CIL V, 6116), et C. Metilius Secundus
(CIL V, 5767) à Milan, P. Metilius Secundus à Bornago (NO) (CIL, V, 6503),
C. Metilius Marcellinus à Tortona (CIL V, 7375), P. Metilius Tertullinus à Albenga
(CIL V, 7782)) se retrouve dans le Nord-Ouest de l’Italie (Lombardie, Piémont, Li-
gurie), tandis que Metelius est beaucoup plus rare, cf. L. Metelius Quartius à Ver-
ceil (CIL V, 6663). Un fundus Metilianus est même mentionné dans la table de Ve-
leia (CIL XI, 1147). On le retrouve aussi très fréquemment en Afrique et à Rome.
46
CIL V, 443 (Metellus Laepocus) et CIL V, 5043 (de Trente, Tullia fille de Me-
tellus).
47
Dans le cas de l’inscription ET Ta 1.16, la lecture est assez difficile et la re-
production donnée dans le CIE (5427) ne donne à lire que me[tli]al[c]. La pré-
sence de ce gentilice dans une autre inscription de Tarquinia (ET Ta 1.167) per-
met de supposer une restitution d’autant plus tentante que ce sarcophage pro-
vient de la tombe des Partunu, dans laquelle a été découvert le fameux
“sarcophage du prêtre”, indice de relations (même si l’on ne comprend pas forcé-
ment bien dans quel sens) entre les Tarquiniens et les Carthaginois.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 463

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ET Pérouse urne réc. Larce, étrusque


Pe 1.1121 affranchi
d’un Meteli

ET Cortone statue de Valle fin IIe-début Aule Meteli étrusque


Pe 3.3 bronze di Sanguineto Ier s. av. J.-C.

ET Pérouse couvercle nécropole réc. Larui Meteli étrusque


Pe 1.288 de de Palazzone
sarcophage

ET Pérouse couvercle nécropole réc. Larui étrusque


Pe 1.157 de de Casaglia Pumpuni, fille
sarcophage d’une Meteli

ET Pérouse couvercle id. réc. Vel Rafe, étrusque


Pe 1.167 de fils
sarcophage d’une Meteli

ET Pérouse couvercle réc. Laru Petrus, étrusque


Pe 1.877 de fils
sarcophage d’une Meteli

ET Pérouse couvercle réc. ]ciantes, étrusque


Pe 1.997 de fils
sarcophage d’une Meteli
ET Volterra lamelle réc. ?, fils étrusque
Vt 4.4 de plomb de Vel et
d’une Meteli

ET Tarquinia paroi tombe IIIe-Ier s. Arnui(a) étrusque


Ta 1.167 des Spitu av. J.-C. Metli, épouse
de Laru Spitu

ET Tarquinia sarcophage tombe IIIe s. av. J.-C. Laru, fils étrusque


Ta 1.16 de tuf des Partunu de Laru
et d’une
Tanxvil Metli
ET Montero- cippe réc. Metli étrusque
AT 1.203 mano de tuf

La même base est utilisée comme nom individuel, Metelos, dans


une inscription celtique sur un vase découvert à Carcegna (NO), qui
mentionne Metelos Maesilalos (donc fils de *Maesilos) et sa fille Ue-
nia Metelikna.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

Pi . 122 Carcegna vase a trottola funéraire? Metelos Maesilalos, celtique


père de Uenia
Metelikna

En osque, on rencontre également le prénom *Mitilis, qui appa-


raît le plus souvent sous la forme d’abréviation : mit., mt., et dans un

.
464 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

seul cas sous la forme d’un cognomen (ST tSa 20). Le prénom se ren-
contre pour deux familles samnites importantes, les Staii et les Papii,
et notamment pour des magistrats samnites, portant le titre de med-
díss túvtíks.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ST tSa 1 Campochiaro, timbre sanctuaire II s.


e
G(avis) Paap(is), fils osque
Boiano de Mit(ilis)

ST tSa 6 Campochiaro, timbre sanctuaire IIe s. Mit(ilis) Paa(pis), fils de L. osque


Boiano

ST tSa 20 Campochiaro, timbre sanctuaire IIe s. L. Sta(is) Mit(ilis), fils d’Ú. osque
Boiano

ST tSa 21 Campochiaro timbre sanctuaire IIe s. S(te)n(is) Sta(is), fils osque


de Mit(i)l(is)

ST tSa 31 Campochiaro timbre sanctuaire IIe s. Sta(...), fils de Mit(ilis) osque

ST tSa32 Samnium pierre Mit(i)l(is) Metiis, fils osque


de M(ara)h(iis)

Enfin, la racine Mutil- existe comme gentilice en latin (à Pré-


neste 48), en étrusque, où elle apparaît dans un nom individuel dès
la fin du VIe siècle sur un vase d’Eboli, et en osque. Elle sert égale-
ment pour former le cognomen Mutilis, porté par C. Papius Muti-
lus, chef des insurgés de la guerre sociale, qui est bien connu par
les sources littéraires 49 et par les légendes monétaires sur les mon-
naies des insurgés 50, datant toutes de 90-88 av. J.-C. Cette forme,
qui a été rapprochée de divers toponymes formés sur une racine

Le gentilice Mutilius apparaît sur deux cippes de Préneste, qui men-


48

tionnent un M(arcus) Mutilius(s), fils de Q(uintus) (CIL, I, 120 = XIV, 3171-2) et


un Q. Mutilius (CIL, I, 121 = XIV, 3173). cf. A. Franchi De Bellis, I cippi prenestini,
Urbino, 1997.
49
D.S. 37.2.6 qui l’appelle Ga¥ ı̈ov Apw¥ niov Mo¥ tylov; Ap. BC. 1.40.181;
1.41.185; Oros. 5.18.10.
50
ST nPg 2 : g. mutíl / safinim; ST nPg 3 : g. paapii. g. / mutíl víteliú; ST nPg
5 : g. paapi. g. / mutíl; ST nPg 6a : g. paapi. g. / mutíl. embratur; ST nPg 6b : g. paa-
pi / mutíl. embratur. Sur la base de ces légendes monétaires et des timbres de
Boiano et Campochiaro, A. La Regina (A. La Regina, C. PAPIVS C.F. MVTILVS
IMP., dans S. Capini, A. Di Niro (dir.), Samnium. Archeologia del Molise, Rome,
1991, p. 149-152) propose une reconstitution de la généalogie de la gens Papia, en
identifiant en premier lieu le G. Paapis, fils de Mit. de Boiano (ST tSa 1) comme
le père de l’imperator des insurgés.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 465

*mut-, qui signifierait “hauteur” 51, est connue en Italie et en


Afrique à l’époque impériale 52.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

REE 64, 100 Eboli coupe v. 500 Mutilate étrusque


de bucchero
ET Sp 2.69 Spina vase habitat (Valle IVe-IIIe s. Mutalu étrusque
Mezzano)
ST Cm 14 Cumes lamelle defixio 4e quart IVe Luvkis osque
de plomb Mutillis
ST Cm 14 Cumes lamelle defixio 4e quart IVe Uppis osque
de plomb Mutillis

Pour cette forme donc, on peut hésiter entre une provenance la-
tine (Metilius, Matelius), étrusque (Meteli, Mutilate, Mutalu), celtique
(Metelos) ou osque (Mutillis, Mitilis). Dans tous les cas, la prove-
nance d’Italie est assurée.

– Pacius / Paquius / Pacuvius : la racine *pak- est à l’origine de la


formation de plusieurs noms osques, notamment Pakis, équivalent
du latin Paccius, et Pacuis, rendu en latin par Paquius ou Pacuuius.
Le prénom Pakis est très fréquent dans le domaine osque. On le
trouve sous sa forme développée, ou sous forme d’abrévations : Pk,
Pa, Pak. L’aire de diffusion comprend la Campanie et le Samnium.
Les sources littéraires mentionnent également, sous la forme latine
Paccius, certains personnages oscophones, et nous retrouvons par
exemple un Paccius en 209, parmi les plénipotentiaires envoyés par
les Bruttiens aux Romains pour négocier leur reddition 53. Sur cette
même racine sont formés les prénoms Paakul, connu à Nola, et le
nom individuel Pakiu.

51
À propos du Mutilate d’Eboli, G. Colonna (dans REE, SE, 64, 100; id.,
Etruschi sulla via delle Alpi occidentali, dans L. Mercando, M. Venturino Gambari
(dir.), Archeologia in Piemonte. Volume I : La Preistoria, Turin, 1998, p. 261-266) a
noté que ce nom, formé comme un ethnique, avec la terminaison en -ate, pouvait
être rapproché de plusieurs toponymes forgés sur une racine *mut- signifiant
«hauteur», comme Mutilum en Romagne (auj. Modigliana) (Liv. 31.2 : castrum
des Ombriens; 33.37 : ou des Boïens) ou Mutina (Modène), ou encore l’oppidum
histrien de Mutila (Liv. 41.11), voire d’autres gentilices étrusques, comme le Laru
Mutiku de la stèle de Busca (CN) (ET Li 1.1), pour laquelle on suppose une origine
celtique.
52
Dans les inscriptions postérieures, assez peu nombreuses, le gentilice ap-
paraît en Afrique à Aïn Ghechil (CIL VIII, 23.823) et en Italie à Aquilée (CIL V,
876 et AE 1926, 111), à Préneste (CIL XIV, 3171-3172) et Nomentum (CIL XIV,
3949).
53
Liv. 27.15.

.
466 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ST Pietrabbon- vasque t e m p l e B , fin II -dé-


e
Pak(is) Staíis osque
Sa 10 dante de construction but Ier s.
calcaire d’une fon-
taine par le
meddix tuti-
cus
ST Pietrabbon- vasque construction IIe s. Pak(is) Staíis, osque
Sa 12 dante de d’une fon- fils de L.
calcaire taine par le
meddix tuti-
cus
ST Cumes mosaïque p o d i u m d u IIIe-IIe s. Minis Heíis, osque
Cm 4 temple de Ju- fils de Pakis
piter
ST Capoue autel IVe-IIIe s. Pak(is) Puinik(is), osque
Cp 1 funéraire fils de Pak(is)
ST Capoue lamelle defixio IIIe s. Pakis osque
Cp 37 de plomb Kluvatiis
ST Capoue stèle iuvilas IIIe s. Pakis osque
Cp 31 de tuf *Tantrnnaiis
ST Capoue stèle iuvilas IIIe s. Pakis osque
Cp 32 de tuf *Tantrnnaiis
ST Campochiaro, timbre IIe s. P(a)k(is) Laí(is), osque
tSa 5 Boiano, Colle fils de P(a)k(is)
d’Anchise
ST Castellamare plaque Pakis osque
Fr 7 di Pescara de bronze Tintiriis
ST Castel bloc de P(a)k(is) De(kis), osque
Sa 18 di Sangro travertin fils de P(a)k(is)
ST Mirabella pierre G(a)v(is) Magiis, osque
Hi 1 Eclano fils de P(a)k(is)
ST Pompéi timbre P(a)k(is) P(a)p(iis) osque
tPo 41 sur tuile
ST Pompéi plat édifice ther- IIe-Ier s. Paakiu osque
Po 87 à vernis mal (ins. 5,
noir reg. VIII)
ST Cumes lamelle defixio Pak(is) & Pakulliis osque
Cm 14 de plomb
ST Monte lamelle defixio début Pakis Helevis osque
Sa 36 Vairano de plomb IIe s.
ST inconnue plaque Pac. Staties, osque
Lu 55 de bronze fils de Ma.
ST inconnue plaque Pac. Caedies, osque
Lu 56 de bronze fils de Pac.

Hors du domaine osque, ce prénom apparaît aussi chez les Pé-


ligniens à Sulmone, chez les Marrucins à Tocco da Casauria, chez
les Marses à Trasacco. En latin, on trouve Paccius comme prénom,

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 467

mais également comme gentilice à une date assez haute. C’est le cas
par exemple à Formies, où une inscription du forum de la fin du IIe
siècle (AE 1966, 67), mentionne l’édile Lucius Paccius, fils de Caius.
Le prénom Pacius se maintient dans les zones où il était présent
sous la forme indigène (Campanie, Lucanie, pays des Marses et des
Péligniens...).

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

Ve. 358 c Capène poculum F(ertor) falisque


Pacios

Pocc. 216 Bugnara pierre ...] Musedi, latin /


fils de Pa(cis) pélignien

ST Pg 4 Sulmone plaquette dédicace à Minerve Ouia Pacia, pélignien


de métal fille de A.

ST Pg 12 Pettorano bloc funéraire, avec dé- Musesa, fille pélignien


de pierre dicace aux divinités de Pa[...]

ST Pg 34 Sulmone Paci. Decries pélignien

ST MV 3 Tocco da plaque dédicace d’une fon- fin IIe s. Pa. Petronis, marrucin
Casauria de pierre taine par le meddix fils de Pom.

Le terme se retrouve également en grec, sous la forme Pa¥kkiov,


mais il désigne le plus souvent des personnages osques, installés en
milieu grec, comme à Ischia, où l’inscription CIG 5861, datée du IVe
siècle av. J.-C., désigne deux personnages, Pa¥kiov Ny¥mfiov et Ma¥ıμov
fils de Paky¥llov, définis comme des “commandants” qui, en compa-
gnie de leurs soldats, ont fait construire un mur. De même, à Catan-
zaro, le Pa¥kkiov Kalo¥niov mentionné sur deux oscilla possède une
structure onomastique bimembre typique du monde italique. Il s’a-
git sans conteste d’un Bruttien. C’est encore le cas à Entella, où les
noms d’origine osque apparaissent après l’installation des merce-
naires campaniens dans la cité 54, ainsi qu’à Naples, où une tombe à
chambre livre les noms d’autres personnages d’origine campanienne
(Ma¥mov, Ny¥miov) 55, ce qui s’accorde bien au témoignage de Strabon
quant à l’infiltration d’éléments campaniens dans la liste des dé-
marques 56.

54
M. Lejeune, Noms grecs et noms indigènes dans l’épigraphie hellénistique
d’Entella, dans ANSP, 12/3, 1982, p. 787-799.
55
G. De Petra, Di un antico ipogeo scoperto in Napoli, dans MontAnt, VIII,
1898, p. 216-231.
56
Str. 5.4.7.

.
468 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

IG, XIV, 894 Ischia III s.


e
Pa¥kiov grec
Nymrı¥oy
SEG, IV, 76 Catanzaro oscilla Pa¥kiov grec
Kalo¥niov
MontAnt, 8, Naples paroi de Pa¥kkiov grec
1898, p. 228. tombe
à chambre
IG, XIV, 886 Capoue Pa¥]kkiov grec
¶Arriov
Noyı¥oy
IG, XIV, 861 Cumes De¥kmov grec
™Eiov Pakı¥oy
SEG, XXX, Entella bronze décret public IIIe s. Dey¥kiov grec
1117 f Pakkı¥oy

La forme Pacuius est plus rare dans les inscriptions. On la ren-


contre comme prénom, mais surtout comme gentilice.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ST Lu 40 Teggiano pierre Alaponiv osque


Opiev
PakPhiv
ST Lu 23 Cirò brique sanctuaire début Pakthiv osque
d’argile crue d’Apollon IIIe s. Eroynth<i>v
Pakth<i>v
ST Si 19 Teano vase Pakkuiis osque
ST VM 3 Civita table offrande du Pa. Pacuies, marse
d’Antino de bronze meddix fils de Vi(bies)
à Vesona

Le prénom Pacuuius apparaît chez Tite-Live pour désigner un


des chefs du sénat capouan, Pacuuius Calauius, qui s’oppose à la
plèbe pro-punique 57. Quand Hannibal pénètre dans la cité de Ca-
poue, il est reçu chez les frères Sthenius et Pacuuius Ninnius Celer 58.
Le terme apparaît le plus souvent, par la suite, avec la fonction de
gentilice, avec le poète M. Pacuuius, né à Brindes v. 220 et mort v.
130. Le nom demeure bien représenté en Italie méridionale 59 et on le

Liv. 23.3.2-3.
57

Liv. 23.8.2; D.S. 26.10.


58

59
On connaît ainsi Sextus Pacuuius Taurus, édile de la plèbe (Plin. HN
34.22), Quintus Pacuuius Saturus, flamine et augure perpétuel de la colonie de
Carthage (AE 1904, 118; AE 1906, 12; AE 1914, 167), Marcus Pacuuius Europus
(AE 1977, 780), Titus Pacuuius Sabinus (AE 1985, 731), etc., ou encore Pacuuius
Hister, captateur d’héritage chez Juvénal (12.111); Pacuuius Labeo Antistius, ju-
riste cité dans le Digeste)... Le nom demeure bien représenté en Italie méridio-

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 469

rencontre également beaucoup en Afrique du Nord, avec une


concentration particulière à Dougga, au IIIe siècle apr. J.-C.

– Stenius : la forme Stenius renvoie au prénom osque Stenis qui


est assez fréquent dans les inscriptions de Campanie, du Samnium,
de Lucanie et chez les Mamertins de Messine. Les sources men-
tionnent en outre le Samnite Sthennius Mettius qui guide le uer sa-
crum des Mamertins 60, le Lucanien Sthennius Stallius 61 qui attaque
par deux fois Thourioi vers 285 et le Campanien Sthenius Ninnius
Celer 62, etc.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ST Me 1, Messine plaques d é d i c a c e à début IIIe s. Steniv osque


2&3 de Apollon par Kaliniv, fils
marbre le meddix des de Stattiv
Mamertins
ST Me 5 Messine fragment d é d i c a c e à début IIIe s. [...]av, fils osque
de plaque Apollon de Stenniv
de
marbre
ST Sa 22 Isernia anneau dédicace à Stenis Kalaviis, osque
d’or Angitia fils de G(avis)

ST Cm 13 Cumes lamelle defixio fin IIe-début Stenis Kalaviis osque


de plomb Ier s.

ST Cp 36 Capoue lamelle defixio Steniklum osque


de plomb Virris
ST Sa 5 Pietrabbon- bloc de i n s c r i p t i o n IIe s. Stenis [...] osque
dante travertin publique du
temple A
mentionnant
le meddix
ST tSa 21 Campochiaro tuile timbre IIe s. S(te)nis Sta(ı¥is), osque
fils de Mit(i)l(is)

REI, Casola timbre Ste(nis) Ep(?) osque


1995 di Napoli

ST Lu 5 Rossano bloc dédicace début IIIe s. Steniv Titidiev, osque


di Vaglio de pierre à Méfitis fils de [L]oikiv

nale (à Pompéi, CIL X 883 et 930), à Vibo Valentia (CIL X, 61), à Paestum (CIL X,
497), etc.) et on le rencontre également en Afrique du Nord, en particulier à
Dougga, au IIIe siècle apr. J.-C. (9 inscriptions : CIL VIII, 1.532; 15.547; 26.482 et
bis; 26.530; 26.613; 26.614; 26.759; 27.106; 27.108), et surtout à Rome-même (22
occurrences).
60
Alfius, ap. P.-Fest., p. 150 L.
61
Plin. HN 34.32.
62
Liv. 23.8.1.

.
470 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Le nom osque se retrouve également dans des inscriptions en


langue grecque, pour désigner des personnages d’origine campa-
nienne, comme le Gaiov Eistaniov d’une tablette de defixio de Lily-
bée et, à Himère, un Sue¥niov parmi les notables de l’île à l’époque de
Pompée 63 puis du procès de Verrès 64. Dans les inscriptions romaines,
par la suite, le terme apparaît encore mais comme gentilice, dès la
fin du IIe siècle av. J.-C. à Délos. Le nom demeure concentré en Italie
centrale et méridionale 65.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

NSc 1941 Lilybée lamelle defixio Gnaiov Eistaniov grec


de plomb
NSc 1941 Lilybée lamelle defixio Gaiov Estaniov grec
de plomb
SEG, XXXI, Mantinée stèle 425-400 [S]ue¥niov grec
348, 7 de pierre
IG, IX (1), Corcyre tuile Ier s. av. J.-C. [S]ue¥niov grec
798-800
IG, IX (1), Corcyre Ier s. av. J.-C. [S]ue¥niov grec
821

– Verius / Virrius : la forme Virrius ne renvoie qu’à un gentilice


osque, Virriis. Il est attesté uniquement à Capoue, avec une grande
famille capouane, dont certains des membres ont exercé la charge
de meddix. Lors de la 2e guerre punique, Vibius Virrius apparaît en
effet comme un des principaux responsables du ralliement de Ca-
poue à Hannibal en 216 66.

Référence Provenance Support Contexte Datation Personnage Langue

ST Cp 20, Capoue stèles iuvilas III s.


e
gens des Virriis osque
21, 22 & 23
ST Cp 24 Capoue stèle de fondo IIIe s. Trebis Virriíis osque
terre cuite Tirone Kensurinis
ST Cp 36 Capoue lamelle defixio fin IIe-début Steniklús Virriis osque
de plomb Ier s.
ST Cp 36 Capoue lamelle defixio fin IIe-début Tríhpíu osque
de plomb Ier s. Virriis

Plut. Pomp. 10.11-14.


63

Cic. Verr. II.83.


64

65
Dans les inscriptions romaines, le terme apparaît encore mais comme gen-
tilice, sous la forme Stenius, dès la fin du IIe siècle av. J.-C. à Délos (AE 1910, 10 :
N. Stenius fils de M.). Le nom demeure concentré en Italie centrale et méridio-
nale (3 occurrences à Casinum, CIL X, 5171; X, 5292; AE 1971, 95), 2 à Acerrae
(CIL X, 3759), 2 à Minturnes (CIL X, 6050), etc...). On trouve aussi la forme Sten-
nius à Telesia (AE 1975, 206 : Stennius Siluester).
66
Liv. 23.6.1-5.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 471

Structure sociale et provenance géographique


Nous pouvons donc retenir que, dans la majorité des cas, les for-
mules onomastiques non-puniques que nous avons relevées dans les
inscriptions de Carthage possèdent des correspondants dans les ins-
criptions contemporaines de l’Italie préromaine. Il peut s’agir de
noms individuels (celt. Metelos), de prénoms (osq. Stenis, osq. Pacis-
Pacuis, fal. Caisio) ou de noms gentilices (ét. Ceisi, ét. Meteli, osq.
Virriis). Dans la plupart des cas, ces noms ont également des corres-
pondants postérieurs dans l’onomastique latine, en général des gen-
tilices.
Les inscriptions de Carthage que nous avons analysées datent
des IVe-IIe siècles; à cette époque, en Italie, le système gentilice, ap-
paru au VIIe siècle, s’est généralisé. La formule de désignation nor-
male comprend alors le prénom, le gentilice et le patronyme (le pré-
nom du père au génitif), avec parfois l’ajout d’un cognomen. Ce sys-
tème onomastique est commun aux populations de langue étrusque,
latine, falisque, osque (Campaniens, Samnites, Lucaniens, Brut-
tiens), ombrienne, messapienne, ainsi qu’aux dialectes d’Italie cen-
trale. En revanche, ce système onomastique est inconnu des Grecs,
des Celtes et des Vénètes, pour qui la formule onomastique se
compose du nom individuel et du patronyme 67.
Dans le cas du passage d’un système fondé sur le nom individuel
(langues celtique, vénète, grecque) à un autre (punique), il s’agit
simplement de retranscrire phonétiquement le nom. En revanche,
dans le cas d’un individu provenant d’un système à deux noms, deux
possibilités se présentent : on choisit la désignation soit par le pré-
nom, soit par le gentilice, qui prennent alors la fonction de nom in-
dividuel. Un phénomène semblable est connu dans les inscriptions
d’Entella, dans les plus anciennes attestations d’Italiens à Délos, ou
encore au Bruttium, sur les supports où l’espace est limité, comme
les timbres sur tuiles ou les légendes monétaires 68.
On peut également supposer qu’il s’agit de dépendants, qui ne
possèdent qu’un nom individuel au départ, bien que provenant
d’une zone connaissant le système gentilice. À Délos, J. Hatzfeld a
ainsi relevé le cas d’esclaves ou d’affranchis, installés pour le compte
de leur patron.
Nous pouvons également nous pencher sur la répartition géo-
graphique des inscriptions étudiées qui présentent des possibilités
de comparaison, en étant toutefois conscients que notre documenta-

67
H. Rix, Zur Ursprung des römisch-mittelitalischen Gentilnamensystems,
dans ANRW, I, 2, 1972, p. 700-758.
68
P. Poccetti, Lingua e cultura dei Bretti, dans P. Poccetti (éd.), Per un’identi-
tà culturale dei Brettii, Naples, 1988, p. 9-158.

.
472 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

tion n’est pas homogène mais dépend notamment des hasards des
découvertes 69. Une des origines possibles pour ces Italiens présents à
Carthage est le monde étrusque (fig. 1), qu’il s’agisse des cités
étrusques de la «dodécapole» ou des zones étrusques de Cisalpine et
de Campanie. L’entente traditionnelle entre les cités étrusques mari-
times et Carthage peut largement expliquer cette mobilité des per-
sonnes. Une autre provenance possible est constituée par les zones
de peuplement celtique ou ligure (fig. 2), qui comptent parmi les
plus importants et les plus anciens bassins de recrutement de mer-
cenaires par les Puniques et dont les populations ont massivement
rallié le camp d’Hannibal lors de la deuxième guerre punique. La
majorité des inscriptions provient cependant de la zone de langue
osque (fig. 3); presque tous les noms mis en évidence ont en effet
des correspondants dans ce domaine linguistique. Les inscriptions
se trouvent en Campanie et parmi les populations d’origine campa-
nienne installées dans des cités grecques (Mamertins de Messine,
Campaniens d’Entella et de Naples), chez les Samnites, chez les
Frentans, en Lucanie et au Bruttium. Enfin, l’Italie centrale consti-
tue également une origine possible pour les Italiens de Carthage,
qu’il s’agisse du Latium (Préneste, Rome), de la zone falisque (fig. 4)
ou des populations de l’intérieur comme les Péligniens, les Marses
ou les Marrucins (fig. 5).
Toutes ces populations, à l’exception des Celtes et des Ligures,
entrent dans l’orbite de Rome à la fin du IVe-début du IIIe siècles av.
J.-C., en étant intégrées comme citoyens avec ou sans droit de vote,
ou en devenant des socii. L’autonomie politique consentie par le sta-
tut de socii permet cependant aux citoyens de ces cités fédérées de
se déplacer librement en Méditerranée, comme marchands, merce-
naires, artisans, etc...

La présence d’Italiens à Carthage


Plusieurs facteurs peuvent expliquer la présence de noms étran-
gers sur des inscriptions puniques. Une communauté grecque est si-
gnalée à Carthage dès le IVe siècle et elle entretenait des liens étroits

69
La place prépondérante de Pérouse (avec 5 formes parallèles à Caesius, 3 à
Accius, 6 à Metellus) s’explique en partie par le fait que l’on connaît 1363 inscrip-
tions à Pérouse (d’après le recueil Rix 1991) sur un total de 8922 inscriptions
étrusques (soit 15,27%). Les hasards de la découverte n’expliquent cependant pas
tout puisque la cité ayant livré le plus d’inscriptions, Chiusi, avec 2855 inscrip-
tions étrusques (soit 32%) apparaît beaucoup moins dans notre corpus (2 inscrip-
tions parallèles à Accius).

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 473

Fig. 1 – Répartition des noms d’origine étrusque (réalisation S. Bourdin).

.
474 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Fig. 2 – Répartition des noms d’origine celtique (réalisation S. Bourdin).

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 475

Fig. 3 – Répartition des noms d’origine osque (réalisation S. Bourdin).

.
476 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Fig. 4 – Répartition des noms d’origine falisque ou latine (réalisation S. Bourdin).

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 477

Fig. 5 – Répartition des noms d’origine pélignienne, marse et marrucine


(réalisation S. Bourdin).

.
478 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

avec la population punique 70. Néanmoins les sources n’évoquent pas


de communauté italienne avant 149. Elles mentionnent simplement
la fréquentation de Carthage par deux types d’individus, les merce-
naires et les marchands.

1 – Des mercenaires se sont-ils installés à Carthage?


Le mercenariat italique a été étudié de façon exhaustive par
G. Tagliamonte en Grande Grèce et en Sicile 71. Mais Carthage a éga-
lement recruté des mercenaires italiques depuis le premier quart du
Ve siècle av. J.-C. Dans le cadre de notre étude, ce qui nous intéresse
est moins le recrutement en lui-même que l’histoire de ces merce-
naires à partir du moment où ils entrent dans l’armée de Carthage.
En effet, notre objectif est de déterminer s’il y eut ou non résidence
des mercenaires dans la cité punique. La présence d’un mercenaire
installé à Carthage ne doit pas surprendre car un phénomène paral-
lèle a été décelé, pour des époques encore plus hautes, dans les né-
cropoles grecques de Sicile par J. de La Genière 72.

Le tableau ci-dessous rassemble les sources sur le recrutement


des mercenaires, en indiquant s’il y a eu présence de ces mercenaires
en Afrique. L’établissement de mercenaires en Sicile a également été
signalé, car l’implantation dans une cité dépendant de Carthage peut
être une première étape avant une installation à Carthage-même.
Présence durable
Date Référence Provenance Présence en Afrique en Sicile
480/479 DS 11.1.4-5; Ligurie, Gaule, Es- Préparation de trois
Hér.7.165 pagne Sardaigne ans en Afrique
409 DS 13.44.1-2 Campanie ––– Campaniens en
garnison dans l’é-
picratie
(à suivre)

En 396 le culte de Déméter et Coré fut accueilli à Carthage et on demanda


70

à des Grecs d’assurer une partie des sacerdoces (D.S. 14.77.5). Des Grecs s’y
étaient également installés pour des raisons politiques, comme le grand-père des
envoyés d’Hannibal à Syracuse en 214, dont le fils avait épousé une Carthaginoise
(Liv. 24.6.2).
71
G. Tagliamonte, I figli di Marte. Mobilità, mercenari e mercenariato italici in
Magna Grecia e Sicilia, Rome, 1994.
72
J. de La Genière, Xenoi en Sicile dans la première moitié du Ve siècle (Diod.,
XI, 72, 3), dans REG, 114, 2001, p. 24-36. À Gela, où on a trouvé plus de 700 tombes,
allant du VIIe à la fin Ve siècle, 6 tombes se distinguent par une orientation dif-
férente (N./S., et non avec le crâne à l’Est comme dans la majorité des autres
tombes) et par un riche mobilier, présentant de la céramique attique, des amphores
de Nola, etc... Pour l’auteur, ces tombes appartenaient à des mercenaires campa-
niens, passés du service d’Aristodème de Cumes à celui des cités grecques de Sicile.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 479

Présence durable
Date Référence Provenance Présence en Afrique en Sicile

406/405 DS 13.80.4 Campanie Espagne, Armée envoyée d’A- C a m p a n i e n s e n


Baléares frique en Sicile garnison dans l’é-
picratie, puis ins-
tallation à Entella
(404)
392 DS 14.95.1 Italie –––
c. 345 DS 16.73.3 Espagne, Gaule, Ligu- Armée envoyée d’A-
rie frique en Sicile
(armée d’Agathocle)
311-310 DS 19.106.2 Étrurie (fantassins et Armée envoyée d’A-
cavaliers), Baléares frique en Sicile 73
309 DS 20.11.1. G a u l e , S a m n i u m , Des mercenaires d’A-
et 20.34.7 Étrurie gathocle passent du
côté de Carthage
307 DS 20.69.3 Après le départ d’Aga- Certains obtiennent
t h o c l e , s e s m e r c e - la possibilité d’être
naires se rendent à lotis à Solunte.
Carthage.
277 Zonar. 8.5. Italie du Sud –––
264-241 Plb. 1.17.4; Gaule, Ligurie, Ba- Troupes rapatriées à
1.32.1; 1.67.7 léares, Espagne, Italie Carthage pour le paie-
du Sud, Grèce, ment de la solde;
Afrique (Numides?) guerre des merce-
naires en Afrique; fa-
milles résidant à Car-
thage durant le conflit.
218-202 74 Plb. 15.11.1 Ligurie, Bruttium, Bruttiens et Luca-
pour Zama Gaule (Narbonnaise), niens dans l’armée
Afrique (Maures, Nu- d’Hannibal à Zama.
mides)
Liv. 24.15.2. Italiens autres que
Bruttiens et Luca-
niens

73
Selon G. T. Griffith, The Mercenaries of the Hellenistic World, Cambridge,
1935, p. 210, les Étrusques auraient été emmenés directement en Sicile.
74
Le traité de paix signé à la fin de la première guerre punique marque la fin
théorique du recrutement de mercenaires italiens par les Carthaginois, en vertu
d’un article qui interdit le recrutement carthaginois dans les régions contrôlées
par Rome (Plb. 3.27.4; Zonar. 8.17). Cette interdiction est levée en 240 par les Ro-
mains, au moment de la guerre des mercenaires (Ap. Pun. 5.19). De toute façon,
la perte de la Sicile puis de la Sardaigne par Carthage réduisit ses besoins mili-
taires. Aussi est-il difficile d’établir le statut exact des soldats de l’armée d’Hanni-
bal, qualifiés parfois d’auxiliaires, recrutés en vertu de traités, et parfois de mer-
cenaires, alors qu’il peut s’agir des mêmes individus; c’est notamment le cas pour
les Gaulois et les Espagnols.

.
480 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Nous ne possédons que peu d’indications sur l’installation des


mercenaires dans la cité punique. Ce qui nous importe ici est la pos-
sibilité qu’ont eue ces hommes de demeurer assez longtemps dans la
cité pour y établir des liens matrimoniaux. Par exemple les informa-
tions fournies par Polybe pour la première guerre punique donnent
l’idée d’une présence plus durable, qui est le fait soit des merce-
naires, soit de leur famille; l’historien grec précise en effet que lors
de l’expédition de Regulus en Afrique, vers 254, les troupes, donc les
mercenaires, étaient rassemblées à l’intérieur de la cité, sans qu’il
soit néanmoins possible de déterminer si les hommes occupaient un
campement dans un point précis de la ville, par exemple près des
murailles, ou s’ils étaient logés chez des civils 75.
D’autres éléments permettent de confirmer la présence des fa-
milles des mercenaires à Carthage, au moins pendant cette même
première guerre punique. Après le conflit, Giscon, le gouverneur pu-
nique de Lilybée, fit passer les mercenaires de Carthage en Afrique
par petits groupes, de façon à ce qu’ils repartent chez eux après
avoir été payés. Cependant les Carthaginois, incapables de régler les
soldes, décidèrent de regrouper ces hommes dans la ville. Puis, de-
vant les désordres engendrés par cette présence, ils voulurent les en-
voyer à Sicca pour les faire patienter 76. Les mercenaires acceptèrent
le déplacement, à condition de laisser à Carthage leurs affaires
(aßposkeyaı¥), comme ils l’avaient fait «la première fois» (kaua¥per kaıù
toùn prw̃ton xro¥non yΩphh̃rxon), c’est-à-dire pendant la première
guerre punique; mais les Carthaginois craignirent que les merce-
naires ne regrettent leurs femmes et leurs enfants qu’ils n’avaient
plus vus depuis longtemps, et les forcèrent à partir avec leurs ba-
gages 77. On comprend donc que les «affaires» désignent à la fois les
biens et la famille des mercenaires 78. La précision selon laquelle les
familles avaient résidé à Carthage est importante, car elle implique
un ancrage africain des mercenaires, même temporaire, avec une sé-
dentarisation de ce groupe de personnes qui théoriquement suit le
soldat dans ses déplacements 79. Quelle est l’origine des femmes de

75
Possibilité évoquée par L. Loreto, La grande insurrezione libica contro Car-
tagine del 241-237 a.C., Rome, 1995 (Coll.EFR 211), p. 56, pour la première guerre
punique. Le point de départ de cette hypothèse est constitué par deux passages de
Polybe (Plb. 1.32.7 et 1.33.6).
76
L. Loreto, ibid., p. 57-61, propose que lors de cet envoi de mercenaires à
Sicca le Sénat de Carthage ait également eu des visées militaires.
77
Plb. 1.66.1-8.
78
Sur la signification de l’aßposkeyaı¥, cf. M. Holleaux, Ceux qui sont dans le
bagage, dans Etudes d’épigraphie et d’histoire grecque, III, Lagides et Séleucides, Pa-
ris, 1942, p. 15-26, spécialement n. 22 sur cette phrase de Polybe.
79
M. Holleaux, ibid., p. 23. En effet, le mot aßposkeyaı¥ sous-entend l’idée
d’un transport; c’est d’ailleurs cette connotation que l’on trouve dans un texte de

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 481

mercenaires? En ce qui concerne les peuples d’Afrique, Numides ou


Maures, elles appartenaient peut-être au même peuple que les mer-
cenaires eux-mêmes. Les mercenaires italiens, baléares ou celtes, en
revanche, n’amenaient pas forcément leurs femmes avec eux. Par
conséquent, l’hypothèse d’unions avec des femmes puniques n’est
pas à exclure. En outre, même si ces femmes étaient d’origine étran-
gère, la longueur du service en Sicile impliquait qu’elles soient res-
tées en contact avec la population punique pendant vingt ans pour
les plus anciennement installées. Enfin, après la guerre, rien n’est dit
du sort des familles des mercenaires, qui étaient restées à Tunis. On
peut penser qu’elles furent ramenées à Carthage.
Il paraît peu probable que les familles aient tenu le rôle d’otages
permettant de s’assurer de la fidélité des mercenaires 80. Cependant
leur présence à Carthage n’était sans doute que provisoire 81, car l’at-
titude de Giscon et la réaction carthaginoise à la présence des mer-
cenaires dans la cité montrent l’hostilité de la population punique
face à l’implantation en son sein de communautés étrangères for-
mées d’anciens mercenaires.

Se pose donc le problème du devenir de ces mercenaires et de


leurs familles après les guerres. A. Fariselli ne compte qu’un seul
épisode présentant le retour des mercenaires chez eux, lorsque Han-
nibal à Carthagène renvoie les Ibères 82. Il faut y ajouter la fin de la
première guerre punique, puisqu’au début de la guerre des merce-
naires 83, le projet de Giscon vise à un renvoi des soldats dans leur ré-
gion d’origine après le paiement effectué à Carthage 84.
S’ils refusent de rentrer chez eux, les mercenaires peuvent tenter

Diodore rapportant que les Campaniens qui combattaient pour Denys en 405
avaient laissé à Agyrion leurs bagages, afin de se battre plus facilement
(D.S. 14.9.2); cela implique qu’ordinairement, ils conservaient leurs affaires (et
donc leur famille) avec eux durant leurs déplacements en Sicile, même si une
telle hypothèse va à l’encontre du topos sur le massacre par les Campaniens de la
population masculine d’Entella, ce massacre ayant eu pour but de prendre la
place des hommes tués en épousant leurs femmes (D.S. 14.9.8).
80
C’est l’opinion de G. T. Griffith, op. cit. n. 73, Cambridge, 1935, p. 218.
L’existence d’otages permettant aux États de s’assurer de la fidélité de leurs mer-
cenaires est attestée par un texte de Diodore de Sicile (14.61.5) se situant au mo-
ment des luttes entre Carthage et Denys Ier. Néanmoins, pour 241, la volonté des
mercenaires de laisser leurs bagages à Carthage en attendant leur paye à Sicca ne
paraît pas aller dans le sens de cette proposition.
81
A. Fariselli, I mercenari di Cartagine, dans SEAP, 16, 1997, p. 141-162, et no-
tamment p. 146.
82
Plb. 3.33.5.
83
Et pas seulement lorsque les Libyens enveniment l’affaire pour éviter une
vengeance des Carthaginois une fois les mercenaires rentrés chez eux, comme
l’indique A. Fariselli, ibid., p. 159 n. 61.
84
Plb. 1.66.3 : il s’agit de les renvoyer «eßk th̃v Karxhdo¥nov eıßv thùn oıßkeı¥an».

.
482 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

de s’intégrer dans la cité pour laquelle ils combattent, ce qui corres-


pond à «l’attirance pour le modèle de la cité» au fondement du mer-
cenariat 85. Peu d’exemples viennent à l’appui de cette thèse en ce qui
concerne les soldats de Carthage. En 396 av. J.-C. Himilcon promet
aux Campaniens d’Etna une terre 86, et Hannibal promet également
des terres en Italie, Afrique et Espagne, et même la citoyenneté pour
les socii de Carthage, mais cela ne semble pas concerner les Ita-
liens 87. Cependant ces promesses ne sont pas réalisées. Carthage
cherche plutôt à maintenir les mercenaires en activité dans ses terri-
toires, et non à les intégrer dans le tissu urbain 88, à l’exception du lo-
tissement à Solunte 89. En ce qui concerne l’Afrique, le seul témoi-
gnage concernant l’installation d’un Italien est fourni par la tombe
punique découverte en 1909 à Ksour Essaf. Cette tombe renfermait
une cuirasse à trois disques de bronze doré, ainsi qu’un ceinturon de
bronze, quatre jarres, une lampe de terre cuite, de la céramique lo-
cale et un coffret avec armature métallique 90. Si le rituel funéraire
est parfaitement punique (corps recouvert de cinabre, sarcophage),
la cuirasse ornée sur ses deux faces d’une tête de Minerve et le cein-
turon sont d’origine italienne, semblables à deux exemplaires
connus à Ruvo di Puglia et à Vulci; ces productions, probablement
tarentines, datent de la fin du IVe siècle av. J.-C. Aussi n’a-t-on pas
manqué de faire le rapprochement avec les mercenaires laissés en
Afrique par Agathocle 91. En outre, la richesse de la cuirasse, la pré-
sence d’un coffret, l’inhumation à l’intérieur d’un bahut-sarcophage
indiquent que le mort était un personnage important, peut-être un
des officiers qui avaient pris position contre le tyran. Cela signifie-
rait que certains mercenaires auraient pu s’installer en Afrique (et
pas seulement à Carthage) et s’acculturer progressivement aux
mœurs puniques. Néanmoins on ne peut exclure que l’homme ainsi
inhumé n’était pas un Italien, mais un Punique ayant récupéré ces
armes sur un mercenaire ennemi.

Y. Garlan, Guerre et économie en Grèce ancienne, Paris, 1989, p. 153-156.


85

D.S. 14.61.5.
86

87
Liv. 21.45.
88
A. Fariselli (op. cit. n. 81) cite également comme exemple le fait que des
Campaniens restent dans la partie punique de la Sicile pour surveiller des terri-
toires (D.S. 14.8.5), mais cela n’implique en aucun cas une intégration dans la ci-
té. La trahison de ces mêmes Campaniens au profit d’Agrigente puis de Denys de
Syracuse le démontre clairement.
89
D.S. 20.69.3.
90
A. Merlin, Découverte d’une cuirasse italiote près de Ksour-Essaf (Tunisie),
dans MMAI, 17, 1909, p. 125-137, pl. 12 à 14; H. Ben Younès, Découverte de deux
nouveaux éléments dans le mobilier de la tombe à la cuirasse de Ksour-Essaf au Sa-
hel tunisien, dans Reppal, 10, 1997, p. 35-39.
91
G. Tagliamonte, op. cit. n. 71, p. 153-154.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 483

L’ensemble des sources littéraires rend possible l’hypothèse se-


lon laquelle certains individus au nom italien avaient pu s’installer à
Carthage après leur engagement comme mercenaire au service de la
cité. Un fait doit être noté à ce propos. Le nom italien le plus fré-
quemment représenté dans les inscriptions est MTL’/MTLY. Sa fré-
quence et sa position dans les stemma des familles concernées sont
étonnantes par rapport aux autres noms italiens. Plusieurs explica-
tions peuvent être proposées.
Il est envisageable que certaines de ces inscriptions concernent
la même famille; ainsi la CIS 5251 pourrait prolonger la CIS 1273; de
même pour la 4878 et la 3141. Un phénomène de papponymie ne se-
rait pas à écarter. Cependant l’impossibilité de dater correctement
les inscriptions empêche toute vérification. Le nom pourrait n’être
pas italien mais d’origine sémitique, quoique jusqu’à présent aucune
explication satisfaisante concernant la formation de ce nom à partir
de racines sémitiques n’ait été proposée 92. On peut juste constater
que les ascendants et/ou descendants de ces MTLY/MTL’ portent en
général des noms très répandus dans le domaine punique, mis à part
ŠMŠŠLK. Mais l’explication qui nous semble la plus intéressante re-
pose sur un texte de Festus à propos de l’origine du nom Metellus.
Citant les Annales d’Accius, livre 27, Festus donne metellus pour un
équivalent de mercennarius, le mot étant utilisé dans les lois mili-
taires et ayant donné le surnom de la gens Caecilia 93. Peut-on envisa-
ger que ce nom propre ait été tiré d’un nom commun? F. Benz 94
note l’existence de noms renvoyant à des fonctions ou des attributs.
On retiendra notamment un T’M («Jumeau»), un HRB («Lechef»?),
et surtout un GLB («Barbier»). Peut-être faudrait-il rajouter à cette
liste MTLY, qui dériverait d’un terme exprimant à l’origine l’exercice

92
On notera cependant qu’en Numidie il existe un fleuve appelé Muthul par
les Anciens (Sall. Iug. 48.3), aujourd’hui la Seybouse. Nous ne connaissons pas la
transcription punique de ce nom; néanmoins, le son /th/ en grec est la plupart du
temps rendu par le tav punique; par conséquent, le nom de ce fleuve pourrait être
MTL. On ne peut donc pas exclure que MTLY soit utilisé pour désigner des Nu-
mides de cette région, le yod final étant un marqueur des ethniques d’origine
(F. Benz, op. cit. n. 15, p. 238-239).
93
La version de Paul Diacre porte Metalli au lieu de Metelli, et transforme les
lois militaires en affaires militaires. Fest. P. 132.13 L : Metelli dicuntur in lege mi-
litari quasi mercennarii. Accius Annali XXVII : «calones famulique metellique ca-
culaeque.» A quo genere hominum Caeciliae familiae cognomen putat ductum.
(Paul. Fest. p. 133.17 L : Metalli dicuntur in re militari quasi mercennarii. Accius
in Annalibus «calones famulique metallique caculaeque». A quo genere hominum
Caeciliae familiae cognomen putatur ductum). Les lois militaires dont parle Ac-
cius sont probablement les sénatus-consultes qui fixaient le nombre d’hommes
pour chaque campagne.
94
F. Benz, op. cit. n. 15, p. 240.

.
484 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

de la fonction de mercenaire. Cette défonctionnalisation du nom


commun expliquerait que ceux qui le portent puissent exercer un
métier autre que celui de mercenaire à l’intérieur de la cité. Ainsi
l’un des MTL’ (CIS 4878) est TBH, boucher 95.
˙
Ce dernier point montre que les Italiens de Carthage avaient pu
être attirés dans la cité par des motivations autres que le mercena-
riat, et notamment le commerce.

2 – Les marchands italiens à Carthage


Les textes de Polybe et Appien 96 qui racontent le massacre d’Ita-
liens par les Carthaginois en 149 ne donnent aucun détail sur ces
étrangers, par conséquent, ils ne permettent pas de savoir si leur ins-
tallation est durable ou non.
Pour définir ces Italiens, Polybe indique que les Carthaginois
ont attaqué «toyùv kateilhmme¥noyv tw̃n Italikw̃n», c’est-à-dire «ceux
des Italiens qui étaient acculés (dans la ville)». Quant à Appien, il
évoque les Italiens «e¶ti par ayßtoıùv w
Ω v eßn aıßfnidı¥w
∞ kaıù aßkhry¥ktw
∞ kak√
h®san», «qui étaient parmi eux dans ce malheur inattendu et sou-
dain». Dans les deux cas, il est fait référence à la rapidité de la crise
au moment de l’ultimatum romain, rapidité qui a empêché les Ita-
liens de sortir de la ville. Cela nous orienterait vers une présence
uniquement temporaire. Néanmoins, on peut douter de la soudaine-
té de la crise; ce serait oublier que l’ambassade envoyée auprès des
consuls à Utique était attendue avec appréhension par les habitants
de Carthage. L’atmosphère dans la ville était déjà tendue depuis plu-
sieurs jours et laissait présager un éclat. L’aspect le plus imprévu ré-
side dans la violence exprimée par les Carthaginois. Les Italiens pré-
sents sur place auraient eu le temps de quitter la cité pendant les
jours d’attente s’ils n’avaient été que de passage. Le fait qu’ils soient
restés jusqu’à l’arrivée de l’ambassade montre qu’ils avaient des inté-
rêts dans la ville.
Il est exclu qu’ils aient été des mercenaires logés dans la cité; de-
puis un siècle déjà le recrutement de mercenaires italiens avait été
interdit par Rome. Il y a davantage de probabilités qu’ils aient été
marchands. Malgré l’assertion de Fenestella selon lequel le
commerce entre Italiens et Africains n’aurait pas existé avant la des-

95
Nous ne possédons pas d’information sur l’organisation des bouchers de
Carthage, ni sur les liens qu’ils entretiennent avec la religion; il est impossible de
faire un parallèle avec la religion gréco-romaine dans laquelle la consommation
de viande est fortement liée au rituel. Par conséquent nous ne pouvons rien dire
sur l’intégration religieuse de ce MTL’ à Carthage.
96
Plb. 36.7.5; Ap. Pun. 92.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 485

truction de Carthage 97, les traités entre Rome et Carthage rapportés


et expliqués par Polybe attestent les liens commerciaux unissant les
deux cités et la possibilité qu’avaient les Romains de se rendre à Car-
thage. Les preuves archéologiques de ces échanges ne manquent
pas 98. Le déplacement de marchands entre la cité romaine et la cité
punique, codifié par les traités, est visible au travers des sources lit-
téraires. Ainsi le Poenulus de Plaute met en scène un marchand car-
thaginois dans un port grec, mais l’effet comique de la pièce réside
dans la familiarité des spectateurs avec les commerçants puniques.
De la même façon, les Italiens fréquentaient de nombreux ports de
Méditerranée. L’activité des commerçants étrusques et campaniens
est attestée en Méditerranée dès l’époque archaïque 99. Nous pouvons
également évoquer le cas bien connu, étudié par Jean Hatzfeld100,

97
HRR 9.
98
Cf. introduction et bibliographie ad. loc.
99
Le plomb de Pech-Maho, par exemple, mentionne, dans sa partie
étrusque (ET Na 0.1, début Ve siècle), deux marchands, Venel et Utavu, ce dernier
portant un nom d’origine osque, Uhtavis, bien connu par ailleurs à Capoue (ST
Cp 36 : Lúvkis Úhtavís), au Lucus Feroniae (Pocc. 270 : Cavies Uhtav[...], IIIe
siècle), à Vasto (ST Fr 1 : Viíbis Úhtavis), fréquent en étrusque, sous la forme Uh-
tave, à une époque plus tardive à Pérouse (ET Pe 1.638, 1.639, 1.817, 1.891, 1.1267,
etc...). Ce gentilice correspond au latin Octauius. Les Étrusques sont les princi-
paux partenaires commerciaux des Puniques en Italie et ce commerce repose sur
des traités (Arist., Pol. 3.7.1280 a). On suppose notamment que les Étrusques
fournissaient les Puniques en fer et en plomb, dont on trouve des gisements sur
l’île d’Elbe et dans la zone des Monts Métallifères, tandis que les Puniques
contrôlaient le commerce des minerais ibériques, l’argent en particulier. Ces rela-
tions commerciales sont documentées dans le mobilier des tombes de Carthage,
où l’on rencontre dès 650 des amphores de bucchero sottile, avec des décors de
spirales sur la panse, des canthares, des olpai, de la céramique étrusco-corin-
thienne de production vulcienne (aryballes piriformes et globulaires, alabastres),
cf. J. Ferron, op. cit., n. 1. Ce matériel se retrouve également dans les zones de Si-
cile sous contrôle punique, à Motyè, Lilybée, de même qu’en Sardaigne (Thar-
ros). Ce commerce étrusco-punique s’interrompt au Ve siècle, pour reprendre de
façon significative au IVe siècle, avec la présence à Carthage de trois plats de type
Genucilia, productions de Caere de la fin du IVe s. (cf. M. Pallottino, op. cit. n. 1;
M.A. Del Chiaro, Etruscan Red-Figured Vase-Painting at Caere, Berkeley-Los An-
geles-Londres, 1974). Des fragments de trois autres plats du même type ont été
découverts lors des fouilles de Byrsa, cf. J.-P. Morel, Nouvelles données sur le
commerce de Carthage punique entre le VIIe siècle et le IIe siècle avant J.-C., dans
Carthage et son territoire dans l’Antiquité. Actes du IVe colloque international réuni
dans le cadre du 113e Congrès national des Sociétés savantes (Strasbourg, 5-9 avril
1988). Tome 1 : Carthage et son territoire dans l’Antiquité, Paris, 1990, p. 67-100.
100
J. Hatzfeld, Les Italiens résidant à Délos mentionnés dans les inscriptions
de l’île, dans BCH, 36, 1912, p. 5-218.; id., Les trafiquants italiens dans l’Orient hel-
lénique, Paris, 1919 (BEFAR, 115). L’étude montre en effet, même si la présence
d’Italiens et de Romains dans le monde grec commence à devenir massive à par-
tir de 166 av. J.-C. et s’accélère à Délos après la destruction de Corinthe en 146,
que les Romains s’installent massivement à Délos, parfois dès la fin du IIIe siècle,
qu’ils sont organisés en collèges, qu’ils épousent des femmes grecques et s’in-

.
486 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

des commerçants romains et surtout italiens présents à Délos et


dans d’autres régions de l’Orient grec. Toutefois, le phénomène n’est
pas strictement le même. À Délos, il concerne des negotiatores issus
de familles italiennes puissantes, ayant exercé des charges politiques
et militaires à l’époque de l’indépendance. Cette immigration
conserve des attaches culturelles fortes et ne cherche pas à se fondre
culturellement dans la société locale, ce qui se comprend d’autant
mieux que les «Romains» sont également présents en qualité de
vainqueurs. À Carthage en revanche, l’immigration italienne
concerne avant tout une date plus ancienne, à l’époque où les for-
mules onomastiques ne sont pas encore complètement consolidées
dans le domaine osque, et surtout il s’agit d’une immigration indivi-
duelle, de gens désireux de s’intégrer à la société locale, jusqu’à
perdre rapidement toute référence onomastique italienne (même si
l’inscription CIS 5983 nous montre encore la transmission de l’ono-
mastique osque sur 3 générations).
Seul le nom Virius, s’il faut bien lire ainsi l’inscription CIS 6005-
6006, documente la présence à Carthage d’un individu au nom iden-
tique à celui d’une grande famille de Capoue. Au lendemain de la ba-
taille de Cannes, en 216, Vibius Virrius, dont la famille est connue
dans les inscriptions de la cité, prend la mesure du désastre subi par
les Romains et tente de soulever la plèbe capouane101. Il est un des
responsables, avec le princeps Pacuuius Calauius, de la défection de
Capoue en faveur du général punique102. Or l’expression livienne dé-
finissant l’arrivée au pouvoir de Pacuuius Calauius a pu être inter-
prétée comme un enrichissement dû au commerce avec Carthage103.
Bien que l’hypothèse repose, à notre avis, sur une lecture erronée du
texte de Tite-Live104, la présence d’un PQY / Pacuius sur une inscrip-

tègrent dans la vie locale, tout en conservant leurs caractéristiques onomastiques


propres sur plusieurs générations. J. Hatzfeld a remarqué qu’ils proviennent ma-
joritairement d’Italie du Sud, comme dans le cas des Italiens présents à Carthage.
On trouve en particulier des membres de la gens Sthenia à Délos, parmi d’autres
familles connues dans la documentation épigraphique osque comme les Heii ou
les Staii.
101
Liv. 23.6.1-5.
102
Sur les diverses traditions concernant la défection de Capoue et les fa-
milles qui en furent à l’origine, cf. P. Jal, Tite-Live, Histoire romaine, Tome XIII,
Livre XXIII, Paris, 2001, p. XLII-XLIII. Une tradition favorable aux Pacuuii (qui
tairait leur nom au détriment de Vibius Virrius) peut être attribuée aux Claudii
(D. Briquel, L’image des Calavii de Capoue, dans Le censeur et les Samnites, sur
Tite-Live, livre IX, Paris, 2001, p. 117-133, et id., Le forum brûle, Paris, 2002,
p. 166-173 et p. 189-192).
103
Cette thèse est celle de G. Picard d’après une note de Cl. Nicolet, L’ordre
équestre à l’époque républicaine (312-43 av. J.-C.), Paris, 1974, p. 289 (n. 9 bis).
104
Liv. 23.2.2 : Senatum et sibi et plebi obnoxium Pacuuius Calauius fecerat,
nobilis idem ac popularis homo, ceterum malis artibus nanctus opes. G. Picard

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 487

tion funéraire de Carthage est fort remarquable. Il est impossible


d’assurer, avec aussi peu d’éléments, que les aristocrates de Capoue
avaient établi des relations commerciales avec Carthage par l’inter-
médiaire d’agents envoyés dans la cité punique. Néanmoins il reste
que, durant la deuxième guerre punique, une partie de la noblesse
capouane est donc ouvertement favorable aux Puniques, avec les-
quels elle entretient des relations d’hospitium, et parmi cette no-
blesse, on trouve un Virrius, un Sthenius, deux Pacuuii105 ....
L’attestation littéraire d’une fréquentation de l’Afrique par des
marchands italiens commence avec un épisode de la guerre des mer-
cenaires, puisque certains d’entre eux approvisionnaient les rebelles.
Leurs navires furent pris par les Carthaginois, et cinq cents hommes
furent mis en prison à Carthage106. Néanmoins les Carthaginois libé-
rèrent à l’amiable ces individus que des ambassadeurs romains
étaient venus réclamer. En échange, les Romains autorisèrent les
marchands d’Italie à exporter à Carthage et leur interdirent de
commercer avec les révoltés. L’intérêt porté par Rome au sort de ces
marchands italiens a sans doute deux causes : même si le nombre de
cinq cents est exagéré, le nombre de commerçants emprisonnés à
Carthage a dû inciter certaines cités italiennes à porter l’affaire de-
vant le Sénat; en outre, il n’est pas improbable que dans ce groupe
aient été présents des citoyens romains, de Rome ou de Campanie.
En effet, Appien présente une autre version de l’épisode, plus
cruelle, selon laquelle, lors de la prise des vaisseaux, les Romains
présents à bord avaient été tués et jetés à la mer107. Néanmoins au-

comprend opes comme une situation économique, alors qu’il est probable que
Tite-Live fait ici allusion à la position politique que Pacuuius a acquise dans la ci-
té grâce à la mise en scène qui lui avait permis de sauver le sénat de Capoue de la
vindicte populaire (cette mise en scène étant désignée par l’expression malis arti-
bus).
105
Rappelons que lorsque Hannibal entra dans Capoue, il fut reçu chez deux
frères membres de la noblesse, Sthenius et Pacuuius Ninnius Celer (Liv. 23.8.1).
La fidélité de tous ces nobles à Hannibal se poursuivit jusqu’au bout, puisqu’en
211 Vibius Virrius préféra se donner la mort, en tentant d’entraîner avec lui les
autres sénateurs de Capoue, plutôt que d’attendre que les Romains aient repris la
ville (Liv. 26.13-14).
106
Plb. 1.83.7-11.
107
Ap. Pun. 1.5. Même explication dans Ap. Sic. 4.15. Cette version est ma-
nifestement le résultat d’une propagande anti-carthaginoise, puisqu’Appien met
en relation la révélation de ces agissements avec la cession de la Sardaigne aux
Romains, en dédommagement des torts causés par les Carthaginois. Or le texte
de Polybe, chronologiquement plus proche des faits, indique que les Romains
n’ont justement pas voulu profiter de cette occasion pour s’emparer de la Sar-
daigne; il est vrai que dans ce passage, Polybe tente de montrer à quel point les
Romains furent respectueux du traité de 241, avec des arguments manifestement
déformés par rapport à la réalité. D’après Zonar. 8.18, les Romains auraient ré-
cupéré la Sardaigne pour punir les Carthaginois d’avoir attaqué leurs navires.

.
488 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

cune source littéraire ne mentionne explicitement la résidence à


Carthage de marchands italiens. On retiendra à titre de parallèle que
dans la Numidie de Massinissa s’étaient formés des conuentus de
mercatores italiens à Cirta108 et à Vaga109. Salluste, qui montre la
place importante de ces groupements dans des régions qui ne sont
pas encore passées sous l’autorité romaine110, l’explique par leur po-
sition commerciale stratégique111. Par conséquent, une telle situation
a pu se développer à Carthage avant la destruction de la cité, lorsque
celle-ci constituait un pôle économique dominant en Méditerranée
occidentale.
A cette présence italienne à Carthage semble répondre un phé-
nomène inverse, la présence de Puniques en Italie, comme en té-
moigneraient deux inscriptions osques (qui posent d’ailleurs des
problèmes non résolus) : une tablette de défixion de Roccagloriosa
mentionnant un (G)avis Poini(kis), fils de Maxis (ST Lu 45)112 et un
autel funéraire de Capoue désignant un Pak(is) Puinik(is), fils de Pak
(is) (ST Cp 1) (2e moitié IVe-1ère moitié IIIe s.)113.

Sur le problème de la Sardaigne et des relations avec Rome, cf. L. Loreto, op. cit.
n. 75, p. 191-199.
108
Sall. Iug. 21.2-4 : multitudo togatorum, expression explicitée plus loin par
le terme de negotiatores.
109
Sall. Iug. 47.1 : ...et incolere et mercari consueuerant Italici.
110
Ainsi à Cirta la communauté italienne sauva la cité et le roi Adherbal
après sa défaite contre Jugurtha en 112; un peu plus tard, ayant appris que Rome
servirait d’arbitre dans le conflit entre les deux frères, et ne doutant pas que leur
survie serait alors assurée, les Italiens ouvrirent les portes de la ville, et furent
massacrés par Jugurtha (Sall. Iug. 21.26). En revanche, lorsque la garnison de Va-
ga est exterminée par les Numides (Sall. Iug. 65.3-4), le sort des negotiatores n’est
pas mentionné.
111
Pour Vaga, Sall. Iug. 47.1 : forum rerum uenalius totius regni maxume cele-
bratum.
112
L’inscription de Roccagloriosa se trouve sur une tablette de défixion :
[g]aPis poini[kis] maxies, soit probablement “prénom + gentilice + patronyme”.
Le deuxième terme semble correspondre à l’ethnique “punique”. Il serait donc
connu comme Gavius le Punique. La lecture Phoinikis donnée par E. Campanile
a été corrigée en Poinikis dans le recueil d’H. Rix. L’ancien nom punique, Ma-
chies, serait devenu, selon E. Campanile (E. Campanile, Un fenicio a Roccaglorio-
sa, dans REI, SE, LVIII, 1993, p. 369-371), le cognomen du personnage, qui a
adopté une formule onomastique plus conforme à l’osque, à moins qu’on ne
puisse le rendre comme “Gavis Poinikis, fils de Machis”. La difficulté de ce rai-
sonnement est que Machies ne semble pas renvoyer à un nom punique connu. Le
nom semble plutôt être de matrice italique et peut être rapproché, à défaut de pa-
rallèle connu en osque, de la forme Maci / Macio connue à Civita Castellana
(Ve. 281) et à Falerii Noui (Ve. 322 a).
113
On peut ici remarquer que si le gentilice reflète une origine punique, le
choix du prénom dès la génération du père est purement osque, signe d’intégra-
tion dans la société campanienne, qui renvoie à nos inscriptions de Carthage où
l’on peut constater la même dissolution des éléments culturels italiques au niveau
onomastique.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 489

L’intégration des étrangers à Carthage


Jusqu’à quel point les Italiens ont-ils pu s’intégrer à une cité qui
est à la fois hostile à l’installation de mercenaires et favorable à la
présence de communautés étrangères, comme celle constituée par
les Grecs?
Les stemmates dressés à partir des inscriptions montrent que les
noms italiens appartiennent souvent au premier ancêtre de la généa-
logie. Or le personnage jusqu’auquel on remonte dans les généalo-
gies sémitiques est assez fréquemment un individu important dans
la famille. Peut-être est-il ici cité parce que c’est celui qui est venu à
Carthage; rien ne permet néanmoins de vérifier cette hypothèse.
Lorsque les descendants portent des noms puniques, il s’agit ma-
nifestement d’un cas d’intégration à la cité, plus ou moins rapide.
Mais les noms italiens peuvent également apparaître dans des géné-
rations postérieures; c’est notamment le cas pour les inscriptions
concernant les MTL’/MTLY, dont nous avons déjà évoqué la
complexité.

CIS 1273 x CIS 3934 MTN CIS 5251 MTLY


| | |
ŠMŠŠLK MTLY BDS?D
| |
MTLY ‘ZRB‘L ...’SMN
|
’DNB‘L

CIS 3141 ‘ZRB‘L CIS 4878 MTL’


| |
MTL’ B‘L〉N’
|
ŠSP
˙
CIS 2022 KSY CIS 3983 PDY
| |
ŠRDNY KSY
| |
HMLK ’RŠ
˙
|
M] SRY
˙
(à suivre)

.
490 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

CIS 5273 QTY CIS 5983 PQY CIS 6025 b ‘BDLM


| | |
‘BD’ŠMN ’KYS KRYH (PRYH)
| |
...ML]QRT ’STNYS
|
BDMLQRT

La famille de l’inscription CIS 5983 est sans aucun doute la plus


intéressante en ce qui concerne le rapport à l’Italie, puisque seul le
dédicant y porte un nom sémitique. Parmi ses trois ancêtres, deux
portent un nom osque (manifestement prononcé à la grecque, la
consonne finale étant indiquée dans la transcription punique), le
troisième un nom soit étrusque, soit grec. Il semblerait donc que
cette famille a gardé plus longtemps que les autres son «identité
culturelle», au moins onomastique. Néanmoins, rien ne dit que
PQY, le premier ancêtre cité, se soit installé à Carthage. C’est l’un
des seuls personnages dont le métier soit précisé; PQY était fondeur
(NSK), sans précision d’une spécialité dans un métal ou un autre,
comme on le trouve ailleurs à Carthage. Cette inscription est prise
en compte par M. Heltzer dans sa rapide étude sur les mentions de
fondeurs114. Le travail des fondeurs puniques semble avoir été parti-
culièrement reconnu au IIIe siècle, comme l’atteste la réaction de Ti-
moléon devant les dépouilles puniques lors de sa victoire du Crimi-
sos : il recueillit tous les boucliers et envoya à Corinthe les plus
belles armes115. La présence de métallurgistes à Carthage est égale-

114
M. Heltzer, A recently discovered phoenician inscription, dans Atti del I
Congresso internazionale di studi Fenici e Punici, Rome, novembre 1979, Rome,
1983, p. 119-123. Il émet l’hypothèse que les quatre hommes cités étaient tous fon-
deurs, d’après ce que l’on peut savoir de la transmission de ce métier à Ugarit, et
d’après deux inscriptions du tophet de Carthage qui pourraient former une gé-
néalogie dans laquelle un petit-fils et son grand-père seraient tous deux fondeurs
de fer. Néanmoins rien ne prouve que ce schéma héréditaire se soit appliqué aux
descendants de PQY. Selon M. Heltzer (p. 123), le fait que la profession soit ainsi
indiquée est une preuve qu’il s’agit d’un métier permanent, et non d’une activité
ponctuelle suite à des besoins temporaires de la cité. Par ailleurs, il aurait existé
des groupements professionnels de fondeurs, dans lesquels pouvait être inclus
PQY, par son activité reconnue officiellement puisque indiquée sur la pierre vo-
tive de son arrière-petit-fils.
115
Plu. Tim. 29.2-6; Plutarque précise que mille cuirasses et dix mille bou-
cliers étaient remarquables par le travail et la beauté, et que l’argent et l’or étaient
plus abondants que le fer et le bronze, exagérations sans doute trouvées dans sa
source, Timée.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 491

ment attestée par l’archéologie. En effet, les fouilles de la mission


française de Byrsa ont dégagé des ateliers métallurgiques de fer et
de cuivre, dont l’activité s’est probablement étendue du début du IVe
siècle au début du IIe siècle116.
Rien n’indique dans l’inscription que le premier ancêtre mention-
né se soit installé à Carthage. Nous l’avons dit, dans plusieurs inscrip-
tions puniques ce premier ancêtre est un membre particulièrement
important de la famille, un notable, un scribe, un prêtre. Peut-on
considérer que le métier de PQY était suffisamment remarquable
pour que ce personnage soit choisi comme point de départ de la filia-
tion? Nous ne sommes pas assez renseignés sur la place des fondeurs
dans la société carthaginoise pour répondre à cette question. Il ne se-
rait pas étonnant que ses qualités d’artisan-fondeur aient motivé son
déplacement, puisqu’on connaît par ailleurs d’autres Italiens du Sud
ayant migré pour exercer ailleurs leur métier. Ces exemples sont four-
nis par certaines inscriptions de Rhodes, deux mentionnant des per-
sonnages qualifiés comme Bre¥ttiov et un qualifié comme Leyka-
noùv117. Ces notices peuvent en outre être rapprochées des témoignages
littéraires concernant la production de bronze en Campanie et à Ca-
poue en particulier118, ou en Grande Grèce119.
L’importance de PQY au sein de la famille pourrait également
venir du fait qu’il émigra à Carthage, créant une lignée sur place.

116
Pour le travail du fer, atelier dans le secteur B des fouilles françaises, du
IV siècle avec un arrêt du fonctionnement à la fin du siècle (J.-P. Morel, Bref bi-
e

lan de huit années de fouilles dans le secteur B de la colline de Byrsa à Carthage,


dans CEDAC Carthage Bulletin, 12, 1991 [1992], p. 30-40, spécialement p. 38);
pour l’îlot C, ateliers du milieu IVe siècle aux premières années du IIe siècle
(S. Lancel, Les niveaux d’ateliers métallurgiques, dans Byrsa II, 1982, Rome,
p. 215-260, spécialement p. 246). Des implantations du même type ont également
été retrouvées près du tophet par d’autres équipes, mais elles sont sans doute ar-
chaïques (cf. en dernier lieu F. Rakob, Fouilles à Carthage en 1990, dans CEDAC
Carthage Bulletin, 12, 1991 [1992], p. 7-12) et par conséquent n’ont pu accueillir
PQY, si c’est bien à Carthage qu’il a exercé son activité.
117
L’inscription IG XII, 106, de Rhodes, datée du IIe siècle av. J.-C., se trouve
sur une base de statue. Elle mentionne en particulier le fondeur de la statue, qui
est nommé Bo¥tryv Leykanoùv, Botrys le Lucanien (P. Zancani Montuoro, Botrys,
bronziere lucano, dans ASCL, VII, 2, 1937, p. 93-104). Deux autres inscriptions de
Rhodes, toujours du IIe siècle, mentionnent un Plaùtwn Bre¥ttiov, pour lequel Gio-
vanni Pugliese Carratelli a proposé une hellénisation du nom Platôn, à partir d’un
prénom osque (G. Pugliese Carratelli, Brettii a Rodi, dans ASCL, XVII, 1-2, 1948,
p. 1-9). Il y aurait donc à Rhodes au IIe siècle des Bruttiens et des Lucaniens, pré-
sents en qualité d’artisans, ce qui rappelle le contenu de certaines inscriptions de
Carthage.
118
Pline (HN 34.95) évoque la production de vaisselle de bronze.
119
Selon Pline (HN 34.11), Tarente était spécialisée dans les fûts de candé-
labres de bronze.

.
492 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Étant donnée la présence des noms Pacius et Sthenius en Sicile, on


peut également imaginer que le premier n’immigra pas à Carthage,
mais en Sicile, d’où la forme grécisante des noms de ses descen-
dants; cela n’empêche d’ailleurs pas qu’il se soit installé dans une ré-
gion de l’île dominée par les Puniques. Cela aurait conduit à une
deuxième migration, soit par PQY, soit par son fils ou son petit-fils,
en direction de Carthage.
L’inscription 6025b présente un nom italien en fin de généalo-
gie. Les problèmes de lecture rendent cette interprétation incertaine.
Néanmoins l’apparition d’une forme de nom italienne après un nom
phénico-punique ne doit pas étonner; plusieurs explications sont
possibles. Le dédicant n’ayant précisé que le nom de son père, on
peut penser que le grand-père avait un nom italien, reçu ensuite par
papponymie.

Ces stemmates permettent également de constater que le


nombre d’ancêtres mentionnés, entre un et trois, correspond à la
grande majorité des inscriptions de Carthage. Ainsi le système ono-
mastique punique a-t-il été complètement adopté par les descen-
dants d’Italiens, puisque le système onomastique italien ne remonte
que rarement jusqu’au grand-père. Quant aux noms phénico-pu-
niques choisis pour les enfants des étrangers, ils correspondent
souvent aux noms les plus répandus dans la cité, comme le montre
un rapide relevé des occurrences120 :
– ŠMŠŠLK : 1 Pu
– MNT : 1 Ph, 94 Pu
– ‘ZRB‘L : 6 Ph, 411 Pu
– BDSD? : 10 Pu
– ˙
’DNB‘L : 2 Ph, 498 Pu
– ŠSP : 23 Pu
– ˙ N’ : 407 Pu
B‘LH
– ‘BSK ˙ = ‘BDSKN : 2 Ph, 3 Pu.
– ŠRDNY : 5 Pu (avec 1 ŠRDN, 1 ŠRDN’, 5 ŠRDNT)
– HMLK : 227 Pu.
– ˙ RY : 1 Ph, 16 Pu.
MS
– PDY˙ : Pu 33
– ’RŠ : 6 Ph, 446 Pu
– ‘BDŠMN : 15 Ph, 429 Pu
– BDMLQRT : 2 Ph, 705 Pu
– ‘BDLM : 1 Pu121.

120
Les chiffres qui suivent sont pour certains tirés de A. Ferjaoui, op.cit.
n. 23, p. 303-316, pour d’autres déduits de F. Benz, op. cit. n. 15. ‘Ph’ représente
le nombre d’occurrences en domaine phénicien, ‘Pu’ en domaine punique.
121
ŠMŠŠLK et ‘BDLM ne sont connus que par les inscriptions citées ici.

.
DES ITALIENS À CARTHAGE? 493

On retiendra par exemple que la famille osque descendant de


PQY a choisi BDMLQRT, le nom le plus fréquent à Carthage parmi
tous ceux de notre étude. Ces étrangers à la culture punique se ren-
daient-ils compte du poids religieux que possèdent les noms pu-
niques, souvent théophores? Ou bien ont-ils simplement puisé dans
un répertoire onomastique qui offre peu de choix lorsqu’on sort de
ce type de noms?
L’intégration religieuse à la cité se marque surtout, à notre avis,
par la nature des inscriptions, surtout lorsqu’il s’agit d’une dédicace
au tophet. La famille la plus «italienne», celle de PQY, n’est connue
que par une inscription funéraire. En revanche presque toutes les
autres filiations apparaissent sur des stèles du tophet. Même si dans
ce cas le dédicant n’est pas punique (le seul MTLY à faire une dédi-
cace n’est pas lui-même un Italien récemment arrivé), c’est en l’es-
pace d’une ou deux générations seulement que la pratique du sacri-
fice au tophet, quel qu’il soit, est entrée dans la famille. Cela nous
paraît être, avec l’adoption du système onomastique punique, une
preuve manifeste d’intégration complète à la cité carthaginoise.

Les difficultés de reconstitution des noms italiens à partir de l’o-


nomastique étrangère livrée par l’épigraphie carthaginoise ex-
pliquent que nous ne puissions mettre en avant avec certitude des
origines géographiques précises; certains noms peuvent, selon les
reconstitutions, provenir de plusieurs aires linguistiques (étrusque,
osque, celte, ex. MTL’/MTLY), tandis que d’autres sont davantage
circonscrits (PQY), surtout dans le domaine osque.
Parmi les inscriptions, certaines sont plus parlantes que
d’autres. Le cas le plus intéressant est la famille de Paccius. Quel-
ques faits doivent plus particulièrement retenir notre attention. En
premier lieu l’attestation de noms tirés des inscriptions de Carthage
lors d’épisodes de la deuxième guerre punique, lorsqu’Hannibal ar-
rive en Campanie (Virrius, Pacius et Stenius). Certains noms d’ori-
gine osque sont également attestés en Sicile dans des régions en re-
lation avec Carthage, qu’il s’agisse d’Entella dans l’épicratie punique,
avec le nom Pacius, ou de Messine, avec ses Mamertins guidés par
un Stenius, la cité ayant signé par la suite des traités d’alliance avec
Carthage. Enfin, la fréquence du nom Metellus partout en Italie et
l’étymologie que Festus donne au nom commun, sont à mettre en re-
lation, mais sans certitude, avec la fréquence de ce nom à Carthage.

Mais leur origine est punique, ce sont deux hypochoristiques formés à partir de
ŠMŠ et ’LM.

.
494 STÉPHANE BOURDIN ET SANDRINE CROUZET

Toutes ces données recoupent les informations antérieures sur


la mobilité dans le bassin méditerranéen : mobilité des mercenaires
(osques); mobilité des marchands venant d’Italie du Sud; mobilité
des artisans. On remarquera également la faible présence des noms
romains dans les restitutions que nous avons proposées, sans doute
parce que l’immigration italienne à Carthage concerne les popula-
tions du sud de l’Italie plutôt que les Romains.
Enfin ces inscriptions montrent une intégration des étrangers
italiens dans Carthage. Elle se marque par l’adoption complète du
système onomastique punique, avec abandon d’un système parfois
bimembre en Italie; par l’adoption de noms puniques au bout d’un
nombre variable de générations; par l’insertion dans la vie écono-
mique, soit comme mercenaire ou marchand, ce que les inscriptions
ne mentionnent pas, soit comme artisan; par l’insertion à long terme
dans la vie religieuse.

Stéphane BOURDIN
Sandrine CROUZET

.
ONOMASTICA E LESSICO

.
.
HELMUT RIX †

LE RELAZIONI TRA ONOMASTICA E LESSICO


NELLE LINGUE ANTICHE DELL’ITALIA CENTRALE1

Il soggetto attribuitomi dagli organizzatori sono le relazioni tra


onomastica e lessico nelle lingue antiche dell’Italia centrale. Nono-
stante le difficoltà che un tema tanto vasto presenta, ho accettato il
compito, limitandomi al periodo dall’inizio della tradizione scritta
intorno al 700 a.C. fino alla fine della repubblica romana nel 31 a.C.
Confrontata ad esempio con la Gallia della prima o con la Germania
della seconda metà del primo millennio d.C., quest’area generalmen-
te non presenta molte relazioni tra nomi propri e nomi appellativi
(= non-onomastici). Naturalmente ci sono differenze tra le diverse
lingue coinvolte e tra le diverse classi di nomi propri.
A mio avviso, le relazioni tra onomastica e lessico sono un pro-
blema diacronico e storico; con ciò non escludo che anche altre pro-
spettive siano possibili. Nella fase della lingua umana che possiamo
descrivere sulla base di dati, ci sono in linea di principio due possi-
bilità di impostare un nome proprio. La prima è adoperare un nome
proprio già esistente. Ciò è la regola in nomi individuali di persone.
Al più tardi due generazioni dopo la morte di una persona non emi-
nente nessuno parla più di essa; il nome è diventato libero. Anche
una distanza locale giustifica un uso nuovo, e non meno un segno
distintivo come il nome del padre. Ma ci sono anche casi in cui un
nome di luogo è stato riutilizzato; cito i nomi del fiume Reno presso
Bologna o di Cambridge in Massachusetts.
L’altra possibilità di impostare un nome è l’uso di un nome ap-
pellativo, che con ciò assume il significato ‘questo è un individuo’,
proprio di tutti i nomi propri. Normalmente l’impostazione di un ta-
le nome proprio stabilisce una relazione entro il significato della pa-
rola usata ed un fenomeno dell’ambiente dell’oggetto denominato.
Tali nomi rimangono normalmente nomignoli. Ci sono però situa-
zioni storiche che facilitano, anzi richiedono nomi nuovi. Cito l’in-
troduzione del cristianesimo nell’impero romano, o l’introduzione

1
Ringrazio Mara Borelli de Oliveiro Correia (Treviri) per aver corretto il mio
italiano.

.
498 HELMUT RIX

di nomi di famiglia nel Medioevo, che riempiva l’onomastica di doz-


zine di nomi di mestieri (Medici, Lefèvre, Schneider). Questa secon-
da possibilità è l’oggetto della mia conferenza.
La questione prende la via dal fatto che la relazione di identità
fonetica tra nome proprio e appellativo possa sparire. Un caso evi-
dente di ciò è il prestito di nomi stranieri che normalmente, vale a
dire salvo tra lingue strettamente apparentate, non abbiano niente a
che fare col lessico della lingua che li ha presi in prestito. Un cambio
di nomi di persone presuppone un qualsiasi contatto tra le due lin-
gue; nomi geografici vengono, di regola, presi in prestito se la lingua
usata nella zona cambia. Ma ci sono anche motivi nella storia della
lingua stessa. La possibilità normale è l’espulsione del partner appel-
lativo dal lessico; così il nome proprio, che designa tutt’altra cosa,
perde la sua corrispondenza nel lessico. Più vecchio un nome pro-
prio è, vale a dire più lungo tempo l’appellativo è usato come nome
proprio, più grande è il pericolo di questa perdita. Ma bisogna consi-
derare anche che i nomi propri, giacché non motivati, non sono pro-
tetti tanto quanto gli appellativi da cambiamenti fonologici e morfo-
logici di regola; come secondo membro di un composto appellativo
la parola tedesca Heim ‘casa’ è conservata : daheim ‘a casa’, Eigen-
heim ‘casa propria’; in nomi di luogo invece può essere usata la for-
ma -ham sviluppata secondo le leggi fonetiche : in Baviera Mosham,
Hausham. Il pittore greco Zey¥jippov ‘che ha cavalli bardati’ viene
chiamato normalmente con una forma abbreviata Zeỹjiv. Così nel
corso del tempo la differenza tra lessico e onomastica diviene sem-
pre più sensibile.
Le relazioni tra onomastica e lessico rispecchiano dunque la
storia; esse permettono, in certe circostanze, anche sguardi nella
preistoria. La storia della ricerca esorta ad usare un’estrema pruden-
za in questo campo. Ma abusus non tollit usum; errori commessi nel
passato non escludono una ricerca futura.
Un confronto di lessico ed onomastica esige una conoscenza del
primo. Ciò esclude ad esempio il sostrato mediterraneo dal nostro
soggetto. Le lingue di cui conosciamo qualcosa del lessico sono il la-
tino, l’etrusco ed il gruppo sabellico, cioè osco, umbro e sudpiceno.
Il livello della nostra conoscenza del lessico delle singole lingue è pe-
rò differente. Quello del latino classico è conosciuto quasi completa-
mente. Del lessico sabellico solo una parte ci è stata tramandata in
iscrizioni e glosse; di questa parte si sa non tutto, ma molto, grazie
alla comparazione col latino e con altre lingue indœuropee. Con lo
stesso metodo si può potenzialmente ricostruire una parte del lessi-
co perduto; il nome proprio attesta l’esistenza reale dell’appellativo
ricostruito, però senza la possibilità di una fissazione cronologica di
questo : non si sa se la parola ricostruita fosse stata ancora in uso o
forse già espulsa al momento dell’attestazione del nome proprio.

.
RELAZIONI TRA ONOMASTICA E LESSICO NELLE LINGUE ANTICHE 499

L’ultimo posto è occupato dall’etrusco. I testi etruschi, di numero


considerevole (intorno a diecimila), contengono in grande maggio-
ranza nomi propri, e sui problemi che sussistono riguardo al signifi-
cato di molte parole non-onomastiche non occorre insistere. Se si-
gnificato e funzione di una parola attestata non sono determinabili,
non è possibile controllare se essa sia stata la fonte di un nome pro-
prio graficamente simile. In senso numerico la parte tramandata del
lessico etrusco è comparabile a quella del sabellico; ma la conoscen-
za dei significati è notevolmente inferiore, perché manca la possibi-
lità della comparazione con lingue ben conosciute; ricostruire lesse-
mi perduti con questo metodo è praticamente impossibile.

Si raccomanda di concentrarsi sui nomi di persona, che general-


mente sono più recenti dei nomi geografici, e di cominciare la pre-
sentazione e discussione del materiale empirico con la classe dei no-
mi propri che ha le relazioni più intense col lessico, e cioè col cogno-
men. Per far capire meglio questa posizione estrema del cognomen
abbozzerò prima la struttura e la prima storia dell’onomastica per-
sonale dell’antica Italia centrale.
L’onomastica personale dell’antica Italia centrale è determinata
dal sistema gentilizio. In questo sistema ogni cittadino libero porta
un nome individuale, il praenomen, e un nome di famiglia, il nomen
gentilicium. La grande maggioranza dei gentilizi continuano aggetti-
vi patronimici, derivati dal nome individuale del padre; intorno alla
fine del settimo secolo a.C. essi diventarono ereditari; non cambia-
vano più da generazione in generazione come un patronimico.
Esempi sono lat. Marcius da Marcus, etr. Velu urna da Velu ur. Etnici
e (solo in Etruria) nomi individuali in funzione di gentilizi sono se-
condari e privi di interesse nel nostro contesto.
Il passaggio dal sistema patronimico a quello gentilizio ebbe la
conseguenza che il numero dei prenomi in uso diminuì rapidamen-
te. Nella Roma medio-repubblicana erano 18; poco più tardi, nella
Perugia etrusca i 5 prenomi correnti rappresentavano più del 95 per
cento dei prenomi attestati. Entro una famiglia il bisogno di preno-
mi diversi non era molto grande; all’individuazione entro la comuni-
tà piccola bastava il prenome del padre. Nel corso del tempo le co-
munità si fecero più estese, le famiglie più diramate; il prenome non
era più sufficiente. Il problema di differenziare entro la famiglia e di
distinguere diverse stirpi di una casa aristocratica fu risolto attra-
verso l’uso di un nomignolo chiamato cognōmen ‘mezzo di ricono-
scimento’ (derivato da cognōscere; Plauto usa la forma cognōmen-
tum). Come cognomina venivano usate parole appellative il cui si-
gnificato stesse in una qualsiasi relazione alla persona. Il fenomeno
è attestato dalla fine del sesto secolo, prima in testi etruschi, e vi si

.
500 HELMUT RIX

deve la classe più recente dei nomi propri. Va da sé che le relazioni


tra onomastica e lessico ancora erano strette.
È impossibile discutere tutti i cognomina latini. Per dare un’im-
pressione della situazione in età repubblicana, ho deciso di effettua-
re una scelta casuale di 100 cognomina di magistrati romani, elenca-
ti nel primo volume del Corpus Inscriptionum Latinarum (nomi con
le iniziali da <F> a <Pe>) : so bene che alcuni di questi nomi possono
essere inventati, ma spero che ciò non disturbi troppo la statistica.
Di questi nomi più della metà, e cioè 52, sono identici a parole latine
attestate o potenziali : ad aggettivi sostantivati Felix, Frugi, Lepidus,
Magnus, ai sostantivi Nepos, Labeo, ad etnonimi latini Gallus, Geta;
a metonimie sono dovuti Fimbria ‘nappa’ o Nasica ‘naso aguzzo’,
ecc. Si distinguono poi nomi derivati da nomi propri con suffissi la-
tini : da nomi di persona latini Marcellus, Paetinus, Fulvianus; da
nomi di località o di popoli Lateranus, Macedonicus. Dei rimanenti
14 nomi 11 sono di provenienza straniera : greca (Orestes), sabellica
(Nero) o etrusca (Gracchus, Falto). Solo tre nomi – tre per cento – si
sottraggono ad un intendimento diretto : Megellus, Peticus, Pennus;
non so se siano prestiti o se fossero forse basati su parole o regole
scomparse o cadute in disuso in età classica.
Un quadro simile viene presentato dai 20 cognomina attestati in
testi oschi : sette sono identici a parole osche : Klar, Mutíl, Rustix,
Tríbuf, Núvvello-, Pukalato-, Síílo-, sei sono derivati da nomi propri
con suffissi oschi : Saipinv, Kenssurino-, Avfino-, Calauan(s), Pettian-
no-, Saipinaz; due sono di origine greca Herclit(), Char(itu), due di
origine latina (Graex, Pisu). In due nomi il tema in -o- è stato sosti-
tuito da un tema in -yo-, fenomeno che ritroveremo dai prenomi
oschi : Flakís per *Flakko- (nom. *Flahs), Sabinís per Sabino- (nom.
*Sabins). Resta Aukíl, di cui non esiste un’analisi evidente. C’è però
una differenza verso il latino. Nessuna delle parole osche identiche a
cognomina è attestata in un testo osco, e solo di due sono documen-
tati nei testi tanto la base quanto il suffisso : Tríbuf < *Trēb-ōn-s
‘provvisto di una casa’ (trēb-) e Pukalatúí < Pukl-ā-to- ‘provvisto di un
figlio’ (puklo-). L’esistenza delle altre parole in osco è dedotta da pa-
role omonime in latino : l’esistenza reale di un tema osco klāro-, po-
tenzialmente ricostruibile sulla base di lat. clārus, risulta dal cogno-
men Klar. In alcuni dei casi, ad esempio per Rustix, non è da esclu-
dere che il cognomen sia un prestito latino.
Per l’etrusco questa possibilità non esiste; non conosciamo una
lingua che sia allo stesso tempo ben attestata e apparentata; qui di-
pendiamo da attestazioni nell’etrusco stesso. La percentuale dei pre-
stiti dall’italico è alta : Crespe da lat. crispus ‘ricciuto’, Raufe da sa-
bell. *roufo- ‘rosso’, Alfa da sabell. Alfa ‘quello dalla fronte bianca’.
Almeno quest’ultimo deve essere stato imprestato come nome pro-
prio; altrimenti non si capirebbe la scelta della forma femminile.

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RELAZIONI TRA ONOMASTICA E LESSICO NELLE LINGUE ANTICHE 501

Non mancano, però, cognomina con relazione al lessico etrusco, so-


prattutto fra quelli in -u. Zix u è ‘scriba’, nomen agentis di zix - ‘scrive-
re’; Acilu è ‘artigiano’ o un certo tipo di artigiano, derivato da acil
‘opus’. Papa ‘nonno’ e clante clanti ‘figlio adottivo’ fungono anche da
cognomina come in latino nepos. Lupu, che senza indicazione del-
l’età non può significare ‘morto’, può essere inteso come cognomen,
ferma stante la premessa che il significato ‘morire’ di lup- sia stato
un uso tabù. Sinu si analizza come nomen agentis del verbo sin, che
in preghiere invita le divinità a fare qualcosa con le offerte. Alapu
< *Alpu sta a alpan ‘volentieri, libens’ come Masu sta a masan, che
designa qualcosa dovuto ad una divinità (ad. es. offerta, rituale). Il
significato vago degli ultimi tre appellativi è dovuto alla conoscenza
insufficiente del lessico etrusco. La mancanza di un appellativo cor-
rispondente ad un cognomen risulta dall’attestazione insufficiente
della lingua (esempi : Au nu, Carcu, Sepu, Tusnu, Fulu, Faltu, Nuste,
Marale, Svea). Ma, invece di lamentarci, dovremmo essere contenti
degli esempi di sicura o possibile relazione col lessico che nonostan-
te tutto i cognomina dell’etrusco ci offrono.

Il cognomen è recente; lo strato molto più antico dei nomi indi-


viduali di persona è quello dei prenomi. Per la loro descrizione co-
mincio con l’etrusco. (Tra parentesi : discuterò solo i prenomi di uo-
mini, perché offrono molto più materiale, anche come base dei no-
mi gentilizi; i problemi speciali del prenome femminile eludono dal
nostro tema).
I circa 80 prenomi attestati in etrusco sono quasi per la metà di
origine italica : Ane, Ate, Cvinte, Cnaive, Herine, Hirume, Latine, Lau-
x me, Licine, Mamarce Marce, Rutile, Tite, Titele, Vete, Anae, Cavie,
Cae, Kaisie, Vipi(e) Vipe, Uixvarie, U efri, Luvci(e), Luvce, Vuvzie,
Marhie, Nerie, Puplie, Uvie, Skaiva, Lax u, Petru, Pumpu, Vetu, Kala-
tur, i più raramente attestati, alcuni solo in Campania. Degli altri
una grande parte non presenta alcuna corrispondenza nel lessico
etrusco, vi appartengono i prenomi etruschi più frequenti : Arnu <
Aranu , Laru , Laris, Vel < Venel e Velu ur. Ma ci sono anche casi perspi-
cui : Avile, più tardi Aule (latino Aulus), è ovviamente derivato da
avil ‘anno’ come Us ile lo è da us il ‘sole’. Il suffisso -e-, però, è raro
nella derivazione nominale; perciò i significati dei derivati non sono
da precisare. Lo stesso vale per il suffisso -ie (di provenienza italica),
con cui il prenome Spurie (in latino Spurius) è derivato dalla parola
etrusca spur(a) ‘comunità’; forse esso è un’imitazione dell’italico Po-
plios (in etrusco Puplie), formato da poplo- ‘esercito’. Come si vede,
tutti e due i nomi venivano usati tanto in etrusco quanto in latino.
L’arcaico prenome Hamf ina finalmente è strutturato come se fosse
derivato mediante il suffisso etrusco -na da hamf e ‘destro’ o ‘mano
destra’; corrisponderebbe come tale al cognomen latino Dexter. Una

.
502 HELMUT RIX

raccolta aggiornata dei prenomi etruschi e più che mai un tratta-


mento linguistico moderno mancano tuttora.
Un migliore punto di partenza a questo riguardo permette il lati-
no grazie ad Olli Salomies, che per tutti i prenomi latini ha raccolto
le attestazioni (ove necessario) e le proposte etimologiche. Non po-
chi prenomi sono identici a nomi appellativi : Quintus, Sextus, Sep-
timus, Octavus, Decimus a numeri ordinali, che designavano il mese
della nascita, Faustus, Licinus (‘ricciuto’) e Postumus ad aggettivi,
Gnaeus per metonimia al sostantivo naevos ‘voglia’. Altri sono deri-
vati da teonimi : Mamercus, Marcus, Tiberius, Manius. Ma più della
metà dei 33 prenomi dell’aristocrazia non sono né identici ad appel-
lativi latini né derivati da tali mediante suffissi correnti. Di questi
Aulus, Lars e Spurius sono sicuramente di provenienza etrusca. Non
è da escludere che altri provengano da un sostrato preitalico e pree-
trusco, ad esempio Tı̄tus. Ma i più saranno nomi di origine latina,
che hanno perso il partner appellativo. A questo gruppo appartengo-
no ad esempio Agrippa, Ancus, Caesar, Hostus, Sertor, Volero e Vopi-
scus. Il significato appellativo di questi nomi doveva quindi essere
indovinato, dai Romani dell’età classica non meno che da noi.
In due nomi la rottura della relazione tra prenome e appellativo
si può osservare direttamente. Di Servius la morfologia è perspicua :
il suffisso -yo- deriva anche in latino classico aggettivi da parole che
designano persone (praetor-ius), ma dopo che la parola base servos,
che al momento della creazione del prenome designava ancora il pa-
store, ha assunto il significato ‘schiavo’ (come penso intorno al setti-
mo / sesto secolo a.C.), la relazione semantica tra nome ed appellati-
vo è divenuta strana (per comprenderla fu costruita un’origine servi-
le per il re Servius Tullius). Il prenome arcaico Poplios (genitivo
Popliosio sul lapis Satricanus, ca. 500 a.C.) è derivato da poplos, che
allora significava ancora ‘esercito’, forse anche ‘popolo rappresenta-
to dall’esercito’; visto che populus (la forma più recente) era diventa-
to anche il nome di un partito – populāres verso optimātes –, la for-
ma del prenome venne assimilata a pūbēs, che aveva un significato
simile, ma era politicamente neutrale; ricevette la forma Pūblius,
che era di nuovo motivata, ma aveva un suffisso singolare (-lio- dopo
consonante).
Già la forma originale Poplios non seguiva la morfologia del lati-
no classico : poplos non è una parola per una persona. Sembra che
in tempi preistorici il suffisso -iyo- avesse la funzione di formare no-
mi individuali, fra l’altro sostituendo il suffisso dell’appellativo : Lū-
cius potrebbe stare per lūcidus, Gāius < Gāvius per *gāvidus, la base
di gaudere (si confronti il gentilizio Kauidios, presentato da H. Solin
in questo convegno). L’ipotesi viene confortata dall’osco.
Dai testi oschi sono noti finora (1o novembre 2002) 70 prenomi
maschili utilizzabili per un confronto con il lessico; devono poi ag-

.
RELAZIONI TRA ONOMASTICA E LESSICO NELLE LINGUE ANTICHE 503

giungersi 16 sigle o abbreviazioni non risolubili. I prenomi oschi so-


no dunque quasi tanto numerosi quanto quelli dell’etrusco, sebbene
il numero dei testi oschi corrisponda a solo sette per cento di quello
dei testi etruschi. La variazione è dunque molto più grande, anche di
quella in latino. Ogni decennio ci porta nomi nuovi – ne abbiamo vi-
sto un esempio nella conferenza della collega Lazzarini. Inoltre, co-
me si vedrà, i prenomi oschi sono ancora più distanti dal lessico di
quelli del latino.
Di sei dei 70 prenomi oschi è dimostrabile un’origine straniera,
etrusca : Arút, Avlo-, Spuryo-, Velyo-, Venil(o)- o messapica : Plator.
D’altro lato solo otto sono identici a parole osche, delle quali nessu-
na è attestata; tutte sono ricostruite per comparazione : Helwo- ‘il
giallo’ (acc. El[P]om), Gnaiwo- ‘voglia’ (come in latino; imprestito?
nom. Gnaivs), Vāro- ‘quello dalle gambe storte’ (nom. Par), Gnāro ‘il
versato’ (nom. Gnar), Heryenno- ‘il desiderato’ (nom. Heírens), Per-
kenno- ‘il richiesto’ (nom. Perkens), Trebāto- ‘quello provvisto di una
casa’ (nom. Trebas); Klovāto- ‘l’onorato’ (nom. KloPats); tre sono
derivati da teonimi *Kerrēno- (acc. Kerrinom) di Cerere, Mamerko- e
Mamertyo- (nom. Mamereks, gen. Mamerttieís) di Marte. Per una se-
rie di nomi la morfostruttura permetterebbe l’ipotesi di un’identità
con parole osche che però non sono più ricostruibili per mezzi com-
parativi, ad esempio per Mı̄ināto- (nom. Minaz), per Mitlo- (nom.
Mitl), per Kailo- (nom. Kail), per Keiso- (nom. Keis), per Loiko- (gen.
Loikes), per Papo- (gen. Papeís), per Heront(o)- (gen. Eroynths) o
per Babōn- (marrucino nom. Babu), e alcuni altri, ancora più pro-
blematici.
Ma per più della metà dei casi questa identità è praticamente
esclusa a causa della morfologia, per suffissi che sono tipici per i
prenomi, ma non sono usati nel lessico appellativo. Al primo posto
sta il suffisso -yo- da -iyo-, che serve a formare specificamente nomi
individuali di persona senza parallelo fra gli appellativi. Esso è fre-
quente in osco (31 nomi, verso 25 con semplice -o-) e usato molto
più spesso che in latino (tipo Popl(o)-iyo-). Si trovano Stenyo- (nom.
Stenis), Spelyio- (gen. Spellhis), Spedyo- (nom. Spedis), Alpōnyo-
(nom. Alaponis), Numesyo- (nom- Niumsis), Mahyo- (gen. Maxies),
Plasyo (nom. Plasis), Pākyo- (nom. Pakis). Talvolta è ovvio che -yo-
ha sostituito -o-, ad esempio in Ohtawyo- (nom OtaPis) invece di
*Ohtaws = lat. Octavo-, ed anche in Kāryo- (nom. Karis) invece di
*Kāro- = lat. Carus (cognomen).
Un secondo gruppo sono i ‘Kurznamen’, nomi abbreviati da
strutture più lunghe, da altri nomi (tipo Zeỹjiv da Zey¥jippov) o ap-
pellativi (tipo Lūcius per lūcidus); anche essi sono caratterizzati da
un proprio suffisso, normalmente da -yo-. Esempi con corrispon-
denza latina sono Loukyo- (nom. Lúvkis) = lat. Lūcius, Gāwyo-
(nom. Gaavis) = lat. Gāius; solo oschi sono Heryo- (nom Heris ac-

.
504 HELMUT RIX

canto a Heryenno- (nom. Heírens), Mı̄nyo- (nom. Minis) accanto a


Mı̄nāto- (nom. Minaz), Trebyo- (nom. Trebis) accanto a Trebāto-
(nom. Trebas), o Dekkyo- (nom. Dekis) accanto a dek(u)mo- ‘il deci-
mo’ (gen. femm. dekmas), Seppyo- (nom. Sepis) accanto a seht(u)mo-
‘il settimo’ (nome individuale paleoumbro nom. Setums), Nowyo-
(dat. Núviiúí) accanto a *now(a)no- ‘nono’ o Oppyo- (nom. Úppiis;
influenzato da Seppyo-) e Owyo- (nom. Uvis; influenzato da Nowyo-)
accanto a *ohtawo- ‘l’ottavo’ (cfr. OtaPis).
Un terzo fenomeno caratteristico dei prenomi oschi è la varia-
zione dei suffissi nella stessa base : Pāk-yo-, Pāk-yōn-, Pāk-ulo-, Pāk-
to-, Pāk-wo- (Pakis, Paakiu, Paakul; gen. Pakthis, PakPhis) e Mar-
ho-, Marhio, Marhido- (Mara-s, Marahis, Marad(his)) sono gli esem-
pi più spiccanti. Almeno per la maggioranza di queste forme è esclu-
so che esistano appellativi corrispondenti.
I nomi individuali dell’italico differiscono da quelli delle altre
lingue indoeuropee per la mancanza di nomi composti. Gli Italici
usavano, con l’unica eccezione possibile, ma opaca del lat. Agrippa,
nomina simplicia con possibili cambiamenti, variazione di suffissi,
abbreviazione, geminazione. Simili nel principio, latino e sabellico
differiscono però in innumerevoli dettagli. Il principio non può esse-
re sorto solo alla metà del primo millennio a.C. in una koiné centro-
italica, ammesso che questa sia davvero esistita. Deve piuttosto risa-
lire alla comune fase proto-italica della prima metà del secondo mil-
lennio a.C. Tra il procedimento italico della variazione morfostrut-
turale dei nomi e il procedimento nella formazione dei Kurznamen
in altre lingue indoeuropee esiste forse un nesso non solo tipologico,
ma anche storico.
I gentilizi centro-italici sono ‘nomi da nomi’, siano essi nati da
patronimici, da etnici o da nomi individuali. Il loro messaggio sulla
relazione fra lessico ed onomastica è banale. Il loro valore linguisti-
co giace nel ruolo di fonte per la formazione di nomi individuali del
periodo pregentilizio, una fonte che merita di essere sfruttata. Con
ciò non vorrei togliere il divieto di etimologizzare i gentilizi, che a
suo tempo Guglielmo Schulze aveva formulato, ma invito ad ana1iz-
zare, con la dovuta correttezza morfologica e fonologica, i prenomi-
base dei gentilizi.

Riferire le relazioni fra toponomastica e lessico richiederebbe


un proprio ciclo di conferenze e, prima di questo, non poco tempo
di studio. Il problema meno grave sarebbe raccogliere il materiale :
ci sono alcuni lavori preliminari nell’archivio dell’Orientale di Napo-
li. I trattamenti scientifici del materiale, però, non sono sufficienti;
intendevano tutti – per quanto so – dimostrare l’esistenza di uno
strato preistorico, di un sostrato mediterraneo o illirico. Sarei rico-
noscente se qualcuno mi potesse indicare un’analisi linguistica dei

.
RELAZIONI TRA ONOMASTICA E LESSICO NELLE LINGUE ANTICHE 505

toponimi antichi diciamo del Sannio o del Lazio; temo altresì che
essa non contenga molti risultati sicuri.
Nei nomi di luogo dell’Italia centrale non ci sono tipi morfologi-
ci come i nomi composti con -dūnum in Gallia o con -heim in Ger-
mania, nemmeno suffissi caratteristici come -iāco- del celtico o il te-
desco -ingen. In Italia ogni nome deve essere studiato isolatamente.
Potrei vedere nel nome di Allifae in Campania il locativo di un com-
posto osco *alyo-fā- ‘dimora di là’ dal proto-indoeuropeo *h2elyo-bh-
(w)eh2-, e citare i paralleli semantici aat. ali-lanti ‘miseria (in un al-
tro paese)’ e ali-sāssi ‘sede sull’altra (riva del Reno), Alsazia’; difatti
Alife si trova, vista dal Sannio, nell’altro lato del Matese. Pur nella
sua isolatezza l’analisi rimane, nel migliore dei casi, una possibilità,
degna di essere discussa, ma non cogente. Inoltre, so almeno che Al-
lifae era una città dei Sanniti, così che una spiegazione tratta dall’o-
sco è giustificata storicamente. Riferirsi alla storia è una premessa
indispensabile per ogni ricerca toponomastica. Del resto, anche i no-
mi degli altri comuni del Sannio danno l’impressione di essere in
maggioranza oschi o per lo meno indoeuropei.
Più antichi dei nomi di insediamenti dovrebbero essere i nomi
dei fiumi. Quasi tutti i nomi di fiume dell’Italia Centrale mancano di
corrispondenze nelle lingue dell’area. Ci sono poche eccezioni, cito
una per ciascuna delle tre lingue. È osco il nome Salinus per desi-
gnare un fiume presso Pescara, sulla cui foce vi erano delle saline. Il
suffisso -ı̄no- è ben attestato in osco, e l’esistenza della parola sal
può essere presupposta. È etrusco Caecina, nome di un fiume presso
Volterra. Esso deve il suo nome alla famiglia Caecina, importante
nella Volaterrae etrusca e non può aver ricevuto questo nome prima
del settimo secolo, perché allora non esistevano ancora i gentilizi.
Naturalmente il fiume doveva aver avuto un nome già prima, ma un
altro nome, probabilmente non etrusco. Il fiume Oufens Ufens, infi-
ne, che scorre dai Monti Lepini nella pianura Pontina, ha un nome
latino; la <f>, foneticamente spirante sonora, appartiene al latino
dialettale, come tutte le <f> interne nella latina Praeneste. I Volsci,
che a partire dalla fine del sesto secolo abitavano nella zona, aveva-
no monottongato i loro dittonghi già prima (lúkú < *loukōd). Ou-
fent- è il participio di un verbo *oub ē- ‘ingrossarsi’, perduto nel latino
classico, ma presente in russo (údit); è apparentato alla radice del
lat. ūber ‘mammella’. Concludo con un non liquet : come ai verbi al-
geo frigeo appartengono gli aggettivi algidus frigidus, così l’italico
può avere creato dal verbo * oub ē- l’aggettivo *oub ido- : questo
potrebbe essere stato il nome osco del fiume apulo che in bocca
messapica ricevette la forma Aufidus. Però : quali Messapi avrebbe-
ro creato il nome Aufidena di una città sul Sangro nel Sannio setten-
trionale?
Tra i nomi geografici ci sono identità riconoscibili tra nomi pro-

.
506 HELMUT RIX

pri e parole del lessico, anche in Italia Centrale; ma, allo stato attua-
le delle nostre conoscenze, questi casi sono rari. Richiedono, in ef-
fetti, ulteriori studi.
Certo, l’onomastica richiede pazienza, informazione, autocritica
e la facoltà di non disperare.

Helmut RIX

BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA

I. Kayanto, The Latin Cognomina, Helsinki, 1965 (Commentationes Humana-


rum Litterarum 36, 2).
M. Lejeune, L’anthroponymie osque, Parigi, 1976 (Monographies linguisti-
ques, 11).
H. Rix, Das etruskische Cognomen, Wiesbaden, 1965.
H. Rix, Zum Ursprung des römisch-mittelitalischen Gentilnamensystems, in
Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, I 2, Berlino, 1972, p. 700-
751.
O. Salomies, Die römischen Vornamen. Studien zur römischen Namenge-
bung, Helsinki, 1987 (Commentationes Humanarum Litterarum 82).
W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Gottinga, 1904 (Ab-
handlungen der königlichen Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttin-
gen, Phil.-Hist. Klasse, NeuenFolge V, No. 5).
V. Slunečko, Beiträge zur altitalischen Onomastik. 1. Das osko-umbrische Per-
sonennamen-material, in Listy Filologické, 115, 1992, p. 36-109.

Pubblicazioni di testi con indici; ivi la documentazione dei nomi citati

A. Degrassi, Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, Firenze, 1963 (Bibliote-


ca di Studi Superiori 23, 40).
Th. Mommsen, W. Henzen et Chr. Huelsen, Corpus inscriptionum Latina-
rum, voluminis I pars prior, editio altera, Berlino, 1893.
H. Rix, Etruskische Texte. Editio minor. Band 1 : Einleitung, Konkordanz, In-
dices, II. Texte, Tubinga, 1991.
H. Rix, Sabellische Texte. Die Texte des Oskischen, Umbrischen und Sabelli-
schen, Heidelberg, 2002.

.
FRANCESCO RONCALLI

NUMERALI NELL’ANTROPONIMIA ETRUSCA?

In un suo importante contributo sul tema degli antroponimi


tratti da numerali, Paolo Poccetti, passato preliminarmente in rasse-
gna il contributo documentario offerto, in misura decrescente tra le
lingue dell’Italia antica, dal latino e dalle altre lingue italiche, osser-
vava : «Altre tradizioni... non fanno trasparire quasi niente circa i
riflessi onomastici e lessicali di numerali, come l’etrusco, che pur
condivide qualificanti aspetti di koiné culturale con il mondo latino
e quello italico, come, per esempio, il sistema di designazioni perso-
nali...»1.
Le riflessioni che qui propongo, nate da tutt’altro ordine di inda-
gini, valgono forse a rompere tale silenzio e ad aprire qualche brec-
cia nel «paradosso dell’etrusco» posto in evidenza dallo studioso.
In un recente tentativo di enucleare alcuni tratti salienti del pro-
filo di Perugia etrusca, segnalavo infatti come avvertibile un certo
qual clima – o sottofondo – di bilinguismo culturale (etrusco-italico)
di quella città; una interculturalità che sembra, aldilà degli effetti
più ovvi della contiguità territoriale, e sia pure per sparsi sintomi,
conseguire lo spessore di una vera e propria condivisione, stratifica-
ta nel tempo, di un patrimonio radicato e complesso che va dalla
sfera dell’attitudine fonatoria a quella dell’espressione linguistica e
della pratica scrittoria, dalle tradizioni cultuali ad alcuni aspetti del-
lo stesso assetto istituzionale della comunità ivi organizzatasi secon-
do il modello urbano 2.
Particolarmente eloquente, tra tali sintomi, appare il patrimonio
onomastico rivelato (sia pure tardivamente) dalle iscrizioni : dove,
accanto all’accoglimento ben noto di scelte antroponimiche di stam-
po italico – in sé esaurientemente spiegate, appunto, dalla prossimi-
tà geografica della fonte stessa e, sul piano storico-sociale, dalla ine-
vitabile attrazione esercitata dall’avamposto urbano perugino nei
confronti dell’orizzonte italico sul quale si affacciava – sembra di po-
ter cogliere le tracce, quasi residuali, di un costume di designazione

1
Poccetti 1995.
2
Roncalli 2202. Si veda anche il contributo di Agostiniani 2002.

.
508 FRANCESCO RONCALLI

personale del tutto affine, ma di fonte e, per così dire, «fabbricazio-


ne» interamente etrusca. È il caso dei nomi derivati da numerali, tra
i quali mi è parso di poterne cogliere alcuni, forse significativamente
affiancati a quelli di origine e formazione italica, autonomamente
modellati su numerali etruschi.
Mi soffermavo allora sui casi (perugini gli uni come gli altri) co-
struiti su octo e septem italici (uhtave – uu ave, *septume – seu ume e
loro ulteriori mutazioni/corruzioni), cui proponevo di accostare i
prodotti «indigeni» di *cezp e *nurf , più agevolmente riconoscibili
proprio per la peculiarità morfostrutturale dei lemmi di partenza –
concordemente ritenuti, anche se con qualche incertezza di detta-
glio, occupare le caselle tra il sette e il nove (inclusi) della serie nu-
merale etrusca 3.
Proponevo di riconoscerne la presenza in due distinte, ma signi-
ficativamente omologhe serie di forme onomastiche, che qui richia-
mo (e integro).

Caspu/Caspre

I. sec. 3 casp-re Perugia III-I


1 Casp-re-s « «
7 Casp-re-ś « «
3 Casp-ri « «
6 Casp-ri-al « «
1 casp( « «
sec. 1 casp-re-sa Chiusi III-I
sec. 1 scarpia (lat.) Perugia I
II. sec. 3 casp-u Volterra II-I
III. 1 cusp-er-ie-na Perugia «
IV. 1 cursp-ia « «
V. 1 cursp-e-na Chiusi «

Osservavo che la legittimità del riconoscimento e isolamento di


casp- quale base genuina formante le serie I-II è confermata dal suo
apparire determinata sia dai suffissi -re/-ri (maschile e femminile ri-
spettivamente 4) e relative flessioni (-res e -rial), sia dal suffisso -u,

Vd. Cristofani 1973, p. 92.


3

Ma si veda ora quanto osservato da Benelli 2002, p. 522 ss., circa la indi-
4

stinzione formale, in gran parte dei gentilizi perugini, fra l’uscita del maschile e
quella del femminile, anche in casi formati da suffissi (quali -ni o -nei), tra i quali
rientrano anche quelli qui considerati. Un approfondimento del preciso status
funzionale degli elementi onomastici qui considerati nella formula che li designa
non mi sembra tuttavia rilevante ai fini del problema che qui c’interessa.

.
NUMERALI NELL’ANTROPONIMIA ETRUSCA? 509

entrambi notoriamente attivi nel sistema onomastico etrusco : si


confrontino i casi paralleli, tutti d’area chiusina, sep-re, sep-ria e
śep-u, sep-uś, sep-u-sa/ śep-usa, śep-usla; seu -u (?) e seu -re/ śeu -re;
ap-u (donde la serie ap-u-na e derivati) e *ap-re (donde ap-rie cereta-
no e tarquiniese arcaico e ap-re-ce-na perugino recente); af-u (chiusi-
no come il derivato af-u-na) e *af-re (donde i chiusini af-r(e)-ce e af-r
(e)-c(e)-na); cuc-u chiusino e *cuc-ri (donde il cortonese cuc-ri-na-
u ur); vet-u (diffuso in tutta l’area etrusca, dal volsiniese al perugino,
dal chiusino al senese) e *vet-re/ri (da cui vet-ral chiusino); mut-u
volsiniese e chiusino e mut-re anch’esso chiusino; pup-u e pup-re,
entrambi chiusini.
L’accostamento della nota glossa «Xosfer Tuscorum lingua Oc-
tober mensis dicitur» 5 alla voce *cezp, eruibile quale base formante
la «decina» cezp-alx (così in CIE 5459 [Tarquinia]; e cfr. cezpa(..)
CIE 5466 [Tarquinia], cezpalx als CIE 5315 [Vulci]) e l’avverbio nu-
merale cezp-z (CIE 5315 [Vulci]), aveva suggerito il tradizionale rico-
noscimento a quella del valore di «otto» 6, da qualche tempo in decli-
no di popolarità 7 senza altro motivo apparente che una più o meno
esplicita sfiducia nell’attendibilità della glossa citata : sfiducia che
A. Marinetti ha recentemente argomentato 8. Pur non essendo diri-
mente, ai fini del nostro assunto, di «quale» dei tre valori numerali
in questione qui si tratti, va tuttavia osservato, da un lato, che l’even-
tuale debolezza di quella glossa, in sé e quale testimone indiretto a
favore del valore «otto» per *cezp, non si tramuta automaticamente
nel suo contrario (e cioè in evidenza «contro») : l’incertezza infatti
sulla distribuzione dei valori da sette a nove tra le voci etrusche
cezp-, semf - e nurf -, ignorata la glossa, permarrebbe totale; dall’al-
tro, che la oscillazione della vocale tematica che ora ci si presenta
tra le serie I-II casp- e III-V cusp-, sia topograficamente che cronolo-
gicamente coerenti, sembra restituire credibilità alla glossa stessa,
che in modo del tutto indipendente ce la ripropone e, attraverso in-
terposte mediazioni (non ultima quella rappresentata dalla latiniz-
zazione) conserva (cezp-/ Xosfer < etr. *Xusf- ∼ cusp?) e sulla quale
concordano tutte le sue varianti. Ricordo infine che, se una forma

5
TLE 858, dal Liber Glossarum di Leida. Cfr. Mountford 1923; Fiesel 1936;
Briquel 2006, p. 306.
6
Così ancora in Pallottino 1984, p. 507.
7
Vedi già Cristofani 1973, dove tuttavia la scelta operata per cezp-, semf - e
nurf - (rispettivamente «sette», «otto» e «nove») è dichiaratamente arbitraria e
corredata di doppio punto interrogativo. La vecchia proposta (cezp = 8) soprav-
vive in Wondhuizen 1998, p. 194, ma è respinta, da ultimo, da De Simone 2002,
p. 455, dove l’indicazione zilx nu cezpz del citato cursus honorum di Laru Tute sul
citato sarcofago vulcente è tradotta «(ricoprì) la magistratura zilx nu sette volte»
(come già da Cristofani, l.c.).
8
Vedi Marinetti 1997.

.
510 FRANCESCO RONCALLI

*cusp-re- parallela a casp-re non ci è direttamente attestata, essa è


tuttavia restituibile con certezza a monte di cusperiena, a sua volta
analizzabile in cusp-er-ie-na (<cusp-re-ie-na), in cui la duplice riqua-
lificazione onomastica realizzata mediante i suffissi -ie e -na si ap-
plica alla nostra forma-base *cusp-re- inducendovi una modificazio-
ne (cusp-er-) ancora una volta riecheggiata (inganno della Klangän-
lichkeit?) dalla glossa «sospetta» – quale che ne sia la ratio : elisione
della -e del primo suffisso a contatto di -ie (*cusp-r(e)ie-) con conse-
guente anaptissi? Ritengo dunque che l’indipendente accostamento
della parola rievocata dalla glossa a *cezp (cezp-/ Xosfer) 9 e conse-
guentemente l’attribuzione alla base formante le serie onomastiche
in esame (formate su casp- e su cusp-) di quel valore numerale («ot-
to») siano tuttora da privilegiare. Quanto al fatto che la base for-
mante la serie I-II si presenti nella forma casp- (e non *cezp-/cesp-!),
sarei tentato di proporlo come elemento a conforto della mia propo-
sta : occorre ricordare che siamo pur sempre all’oscuro della forma-
base (cardinale) del numerale in questione, e che anche nei casi per
noi più trasparenti l’identico passaggio dalla forma-base alle deriva-
te è sempre contrassegnata da modificazioni complesse, perlopiù
coinvolgenti appunto il grado di apertura della vocale tematica : ci
dà sia ci-alx che ce-alx, zal dà (accanto a zau rum) esal-, esl-, śa dà śe-
alx , max dà muv-alx . Non è dunque da escludere che la forma cardi-
nale della voce etrusca per «otto (?)» presentasse un’articolazione
più aperta della vocale : *cazp?
Colloco infine al termine della sequenza etrusca la forma latina
scarpia, che incontriamo su di un’urna rinvenuta nella stessa tomba
della famiglia perugina dei Caspre da cui provengono le prime del
nostro elenco : essa individua il membro della famiglia deposto per
ultimo nella tomba, nel clima di quella Perugia ormai latinizzata in
cui anche i Velimna si facevano chiamare Volumnii, e i Cutu Cutii.
La modificazione subìta dal gentilizio, propiziata certo anche dal-
l’intervenuto appannamento dell’originario significato (o dal deside-
rio di obliterarne la valenza plebea?), sembra rispondere (come ve-
dremo subito per noborsinia rispetto a nufrzna) ad esigenze eufoni-
che, soddisfatte dallo scioglimento dell’unica sequenza di quattro
valori consonantici – spri – di *Casprius nei due gruppi di *Scarpius.
Passando al caso dei derivati di *nurf -, forma che si desume
dall’avverbio numerale nurf -zi, anch’esso consegnatoci da un docu-
mento recenziore (CIE 5526 [Tarquinia]) ho ritenuto di proporne il
riconoscimento nelle serie seguenti, postulando una riduzione del

9
È questo un aspetto dal quale l’analisi della Marinetti, l.c., prescinde total-
mente.

.
NUMERALI NELL’ANTROPONIMIA ETRUSCA? 511

gruppo consonantico interno venuto a formarsi da nurf -+-re > nu


(r)fre,

*Nufre

sec. 1 nuf-re-ś Chiusi III-I


II sec. 1 nuf-re-śa Cortona III-II
1 nufr-z-n Perugia «
1 nufrz-na-ś « «
2 nufrz-na-l Perugia/Chiusi «
III. 1 nufurznaś Perugia «
sec. 1 noborsinia (lat.) « I
IV sec. 1 nurzi Poggio Buco VI
V sec. 1 nurzinias Chiusi III-I
VI. 3 nurziu Perugia/Chiusi «
VII. nurziunia Chiusi «
1 nurziunias « «

Omettevo di prendere in considerazione, nel lavoro citato, l’esa-


me del caso rappresentato da *semf , pur non meno promettente, ma
che mi sembrava porre problemi che mi avrebbero portato, in quella
sede, fuori strada. Lo faccio ora.
La forma-base del numerale ci è attestata sia direttamente (Vols.
CIE 5092 : semf ś) sia indirettamente, nella voce indicante la decina
(Norchia CIE 5874 : semf alx ls).
Va detto subito : di gentilizi formati su *semf –, tal quale, inte-
grato sia dal suffisso -re (*semf –re, come casp-re e nu(r)f-re), sia dal
suffisso -u (*semf -u, come casp-u), non resta traccia in Etruria : e
ciò in apparente contrasto con la norma che lo vorrebbe più fre-
quente 10, in ragione diretta della occorrenza statisticamente maggio-
re del dato di fatto che sta all’origine del fenomeno (un settimo figlio
è più frequente di un ottavo o un nono).
Diverso si fa invece il quadro se, sulla scorta di due distinti feno-
meni, entrambi ben noti e non solo per l’etrusco, ipotizziamo, in
proiezione sia diacronica che diatopica, da un lato la inibizione (in
semf -) della spirantizzazione 11 della consonante sorda o, meglio,
l’annullamento dell’opposizione fonologica tra sorda e aspirata, in
prossimità della nasale 12 (semf - ∼ semp-), dall’altro l’indebolimento

10
Poccetti 1995, p. 239.
11
Cfr. Rocca 2005, p. 252.
12
Cfr. Colonna 1973-1974.

.
512 FRANCESCO RONCALLI

della nasale davanti alla rispettiva occlusiva omorgana (semf-/semp-


> sef-sep- : si confrontino, da un lato, i casi del tipo sentinate> seti-
nati, e dall’altro gli esiti paralleli sepre, seprial chiusini e sefri, sefrial
perugini). In tal caso entrerebbe in giuoco appunto la base sep- (esi-
to del processo semf- ∼ semp-> sep-[∼ sef- ?]), che il thesaurus etru-
sco recenziore ci mostra ben presente e assai produttiva : abbiamo
infatti il campionario onomastico, ricco sia per quantità che per va-
rietà, offerto dalle due serie «canoniche» sep-re, sep-ria – da cui sepr-
sia, seprsnei –, e sep-u / śep-u – da cui sepunes, sepulnal – cui si af-
fiancano sepie, sepia, seple, *seplna, *septe, septle. Una risposta, come
si vede, quantitativamente del tutto adeguata alle attese statistiche
di cui si diceva poc’anzi.
Non voglio spingermi oltre sulla via di queste osservazioni, cui
annetto il valore di suggestioni che, in sede linguistica, altri vorrà
forse verificare ed elaborare – e se del caso respingere – con maggio-
re competenza. Mi preme tuttavia sottolineare due fatti :
1) le testimonianze raccolte andrebbero a disporsi, se fondate,
all’interno di uno spazio che è davvero arduo immaginare, sul piano
antropologico puramente teorico e «virtuale», del tutto estraneo al
costume dell’appellazione individuale etrusca, e sul piano della do-
cumentazione superstite, del tutto latitante nel pur vasto panorama
dell’onomastica personale epigraficamente attestata, a fronte delle
cospicue testimonianze che ci offre invece, al riguardo, il panorama
italico e latino.
2) Le medesime testimonianze ci si presentano concentrate pro-
prio nel distretto geografico e culturale più naturalmente esposto al-
la intercettazione dell’omologo costume di matrice italica, oltre che
venato di per sé, come ho cercato di mostrare nel lavoro citato all’i-
nizio, di indizi convergenti che rendono, qui più che altrove, natura-
le l’insorgere e manifestarsi del parallelo sistema etruscofono.

Francesco RONCALLI

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Agostiniani 2002 = L. Agostiniani, Aspetti linguistici dell’etrusco di Perugia, in


Perugia etrusca, IX, 2002, p. 301-318.
Benelli 2002 = E. Benelli, L’onomastica etrusca di Perugia, in Perugia etrusca,
IX, 2002, p. 517-524.
Briquel 2006 = D. Briquel, Les gloses étrusques, in Res Antiquae, 3, 2006,
p. 301-318.

.
NUMERALI NELL’ANTROPONIMIA ETRUSCA? 513

Colonna 1973-74 = G. Colonna, Nomi etruschi di vasi, in ArchClass, XXV-


XXVI, 1973-1974, p. 132-150 (rist. in Italia ante romanum imperium,
III, Pisa 2005, p. 1773-1785).
Cristofani 1973 = M. Cristofani, Introduzione allo studio dell’etrusco, Firen-
ze, 1973.
Cristofani 1981 = M. Cristofani, Varietà linguistica e contesti sociali di perti-
nenza nell’antroponimia etrusca, in AIWN, III, 1981, p. 74, n. 43.
De Simone 1989 = C. De Simone, Etrusco Acvilna ∼ latino Aquilius. Un pro-
blema di intercambio onomastico, in ParPass, 44, 1989, p. 263-282.
De Simone 2002 = C. De Simone, Latino magister (‘capo’) ∼ etrusco mastarna
– macstrna : che ordine di relazione?, in Rivista di filologia e di istruzione
classica, 130 2002, p. 430-456.
Fiesel 1936 = E. Fiesel, Etruskisch «acht» und Oktober, in StEtr, X, 1936,
p. 324-325.
Marinetti 1997 = A. Marinetti, Etrusco Xosfer ‘october’ : una voce inesisten-
te?, in AIWN 19, 1997, p. 261-266.
Mountford 1923 = J. F. Mountford, ‘De mensium nominibus’, in JHS, 43,
1923, p. 102-116.
Pallottino 1984 = M. Pallottino, Etruscologia, 7a ed., Milano 1984.
Poccetti 1995 = P. Poccetti, Nomi personali, numeri e computo calendariale
nell’Italia antica, in AIWN 17, 1995, p. 237-259.
Rocca 2005 = G. Rocca, Problemi del consonantismo italico, tra epigrafia e
linguistica. I grafi B e F nelle iscrizioni arcaiche italiche e latine, in
D. Caiazza (a cura di), Italica ars. Studi in onore di Giovanni Colonna
per il premio «I Sanniti», Caserta 2005, p. 251-265.
Roncalli 2002 = F. Roncalli, Perugia fra Etruschi e Umbri, in Perugia etrusca,
IX, 2002, p. 139-161.
Wondhuizen 1998 = F. C. Wondhuizen, Linguistica Tyrrhenica. A Compen-
dium of recent results in Etruscan linguistics, II, Amsterdam 1998.

.
.
OLLI SALOMIES

NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA

Il compito che mi prefiggo di affrontare riguarda i nomi perso-


nali derivati da numerali. L’attenzione è focalizzata, in particolare,
su ciò che avviene a Roma, senza dimenticare, ovviamente, gli altri
popoli dell’Italia antica, presso i quali sono attestati nomi personali
di questo genere, cioè i popoli «italici» linguisticamente affini ai Ro-
mani1. Purtroppo, questo mio compito è reso molto difficile dal fatto
che, solo qualche anno fa, quasi tutta la problematica riguardante
tali nomi è stata discussa, in un modo del tutto esemplare ed esau-
riente, da uno studioso particolarmente qualificato, il collega Paolo
Poccetti 2. La detta difficoltà, deriva dal fatto che non credo di avere
molto da aggiungere all’intervento dottissimo effettuato dal Poccetti
nell’articolo menzionato, e non vedo alcuna buona ragione per ripe-
tere punti che sono già stati ampiamente trattati dal collega in quel-
la sede. D’altra parte, nell’uso pratico di nomi derivati da numerali, e
specialmente a Roma, c’è qualche punto che il Poccetti menziona in
modo più o meno sommario ed è proprio su di essi che ho deciso di
soffermarmi. Prima di passare a questi temi, mi permetto, però, di
fare un rapido riassunto di qualche punto essenziale della tematica
sui nomi numerali.
Come è noto, a Roma esistono (se lasciamo a questo punto da
parte i cognomi che rappresentano un’innovazione tarda nell’ono-
mastica romana e italica) nomi di origine numerale solo nella fascia
di significato compresa tra ‘cinque’ e ‘dieci’ (nomi sopra ‘dieci’ non
sembrano esistere). Troviamo, dunque, sia i prenomi numerali
Quintus, Sextus e Decimus, che i gentilizi numerali Quinctius, Sex-
tius, Septimius, Octavius, Nonius e Decimius. È vero che sono atte-
stati anche nomi identici a, o derivati da, numeri al di sotto di ‘cin-
que’ o ‘quattro’, ma, come ha ben visto già lo Schulze 3, questi nomi
appartengono o ad uno strato tardo dell’onomastica italica (così nel
caso dei cognomi) o a culture marginali rispetto a quella romano-

1
Da notare qui è il fatto che tale fenomeno non sembra essere attestato nel-
l’etrusco, come ha osservato anche Poccetti 1995, p. 238.
2
Poccetti 1995, p. 237-259.
3
Schulze 1991, p. 48-49; cfr. Poccetti 1995, p. 241; 243-5.

.
516 OLLI SALOMIES

italica e con tradizioni onomastiche diverse (così nel caso dei preno-
mi del tipo Primus ecc. e dei gentilizi del tipo Primius ecc., che sono
attestati soprattutto nella Cisalpina e, in generale, nell’area celtica e
germanica). Se lasciamo da parte l’onomastica di queste regioni,
possiamo, dunque, constatare che in quella latina abbiamo, all’inter-
no della serie compresa tra ‘uno’ e ‘dieci’, una netta rottura tra ‘quat-
tro’ e ‘cinque’. Riguardo ai gentilizi numerali, c’è da dire che quelli
compresi tra Quinctius e Decimius, denotano tutti un certo status
sociale; Quinctius è il nome di una gens patrizia e i portatori degli
altri cinque gentilizi numerali sono attestati o come consoli (Sextius
Octavius) o, almeno, come senatori (Septimius Nonius Decimius) re-
pubblicani, cosa che prova la loro antichità. Tra i prenomi, sono in
uso normale non solo i tre sopra menzionati, ma anche Septimus e
Octavus hanno lasciato tracce nella tradizione storica 4 ; l’esistenza in
età antica di Septimus, Octavus e Nonus può, in ogni caso, essere de-
dotta dall’esistenza dei gentilizi Septimius, Octavius e Nonius.
Quanto ai popoli osco-umbri, la mia analisi ha notato che nomi
identificabili, più o meno sicuramente, come numerali, sono attesta-
ti anche lì 5. Cominciando dai nomina, troviamo nel mondo osco-
umbro gentilizi come Púntiis (lat. Pontius, da *pompe ‘cinque’; colle-
gabili a questa radice sono, ovviamente, anche i nomi come Pom-
peius, Úhtaviis (cfr. Octavius) 6 e Dekiis, molto probabilmente da rap-
portare, come il latino Decimius, con il numerale corrispondente a
‘dieci’. Quanto ai prenomi, qui le cose sono un po’ più complicate.
Tra i Sanniti par excellence, troviamo, secondo me, un solo prenome
chiaramente numerale : Dekis (Decius) che corrisponde al gentilizio
Dekiis; forse c’è da aggiungere Núvis (Novius) 7, corrispondente al
gentilizio Núviis, ma per questo nome esistono anche altre spiega-
zioni possibili 8. Nell’area centro-italica (Umbri, Marsi, Peligni ecc.),
invece, sono attestati due prenomi, entrambi con tema in -on-, che
sono, molto verosimilmente, da collegare con i numerali ‘quattro’ e
‘cinque’ e cioè, Petro e Pompo 9. A questo punto è legittimo chiedersi

Salomies 1987, p. 119.


4

Cfr. Poccetti 1995, p. 246-251.


5

6
Nel caso di questo gentilizio è comunque possibile che si tratti di un presti-
to dal latino. (È questo un problema che dobbiamo affrontare molto spesso nello
studiare il materiale onomastico osco-umbro).
7
Secondo la teoria del Devoto (Devoto 1929). Una nuova attestazione di que-
sto prenome nella defixio da Petelia, presentata durante il colloquio da M.-L. Laz-
zarini : NoPio Alafiw (secondo Lazzarini, probabilmente da interpretare come
un genitivo «alla greca»).
8
A mio parere, una connessione con la radice núv- ‘nuovo’ (presente per es.
nei nomi di luogo núvkrinúm ‘Nucerinorum’ e núvlanús ’Nolani’) sembra più ve-
rosimile.
9
Per questi prenomi (attestati per esteso e in modo non frammentario solo

.
NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 517

come stanno le cose tra i Sanniti per quel che riguarda i prenomi
prima del ‘dieci’ (o, forse, ‘nove’), e tra i popoli centro-italici per quel
che, invece, concerne quelli dopo il ‘cinque’. Esiste, in proposito,
una teoria di G. Devoto, secondo cui anche i prenomi Seppius (sepis,
corrispondente a ‘sette’), Oppius (*úppis) e Ovius (*úvis) (entrambi
corrispondenti a ‘otto’) sono da considerarsi come nomi numerali10.
A dir la verità, queste proposte non mi sembrano molto convincenti
(notare, a questo punto, per i prenomi collegati al numerale ‘otto’,
l’esistenza di un eventuale prenome úht., che sembra assomigliare al
gentilizio Octavius11). Tuttavia, in questo campo, siamo costretti a
procedere per ipotesi, e, ad esempio, la teoria di Devoto sembra
«suggestiva» al Poccetti12 il quale aggiunge, infatti, un possibile pre-
nome corrispondente a ‘sei’ (p. 246-7)13 e nota (p. 247) che un’iscri-
zione paleoumbra «ha recentemente restituito il prenome individua-
le unico Setums (< Septomos)»14. Quanto al prenome corrispondente
a ‘quattro’, il collega (sempre p. 247) suggerisce anche che la fami-
glia di gentilizi con la radice Tru(t)- (si ferma sull’umbro trutitis in
Ve 234, ma ovviamente entrano nella discussione anche i gentilizi
Trot(t)edius / Trut(t)edius, Trutelius, Trutteius ecc.) possa derivare da
un nome individuale connesso con truto-, «forma italica dell’ordina-
le corrispondente a ‘quattro’».
Benchè permangono molte incertezze su alcuni dettagli, possia-
mo in ogni caso essere d’accordo con la sostanza del riepilogo del
Poccetti (p. 251), in particolare, dove osserva che i nomi numerali
sia dei Romani che dei popoli italici, hanno in comune l’arresto del-
la numerazione a ‘dieci’ e l’esclusione dei primi numeri. Comunque,

in iscrizioni latine) cfr. Salomies 1987, 85 sg. et 86 sg. Nuove attestazioni di Petro
(o almeno di un prenome abbreviato Pe.) : Suppl. It. 3 Corfinium 77; Suppl. It. 13
Nursia 58; 63 ([P]e. [?]). Una nuova edizione, con testo di gran lunga migliore,
dell’iscrizione citata come CIL I2 2661 ora in Suppl. It. 18 Reate 16. L’iscrizione
umbra da Mevania Po 3 si trova ora anche in AA.VV.1991 61-2 n. 2.52; Rocca
1996, n. 8.
10
Devoto, 1929, p. 277-279. Anche Petro, Pompo, Novius e Decius fanno par-
te della serie proposta dal Devoto che invece non parla di alcun prenome collega-
to con ‘sei’.
11
Salomies 1987, nt. 4, p. 112 nt. 315 (proposta approvata, come sembra, da
Poccetti 1995, nt. 2, p. 246 nt. 25). Da notare anche otaPiv petidi(e)v in una tabel-
la defixionis da Laos, Poccetti in AA. VV. 2000, p. 753, 759-60.
12
Poccetti 1995 (nt. 2), p. 248. Per i sostenitori della tesi che Seppius sia da
collegare con ‘sette’ cfr. Salomies 1987, (nt. 4), p. 90 nt. 243.
13
Con riferimento, oltre al gentilizio pompeiano sehsímbriís (Ve 25), all’iscri-
zione volsca Ve 222 e al testo da Fulginiae Ve 234, entrambe con un prenome ab-
breviato Se. (la stessa abbreviazione prenominale in CIL IX 5021 = I2 1895 da Ha-
dria nel Piceno).
14
H. Rix, AGI 77 (1992), p. 243-252 (cfr. Rix. 1994, p. 64).

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518 OLLI SALOMIES

non so se sia veramente possibile estendere l’uso di nomi corrispon-


denti a ‘quattro’ (e dunque l’esclusione dall’onomastica solo dei tre
primi numeri) a tutto «il mondo italico» (in contrasto con Roma).
Petro, ad esempio, è attestato esclusivamente nell’area centro-italica
(e non, per es., in Campania) che, tra l’altro, è anche la principale
area di diffusione del gentilizio Petronius. Quanto alla radice truto-
(cfr. sopra), in questo caso le cose sono ancore più incerte e, in ogni
caso, i gentilizi connessi ad essa (Truttedius ecc.) si concentrano nel-
l’area umbra e centro-italica e non possono (come credo) essere usa-
ti per illustrare usanze onomastiche presenti, ad esempio, nella
Campania15. Tuttavia, la constatazione che possiamo in ogni caso fa-
re con sufficiente certezza, è che, tra i popoli latino-italici, sono atte-
stati nomi numerali derivati da numeri compresi tra ‘cinque’ e ‘die-
ci’, e, in alcuni casi, tra ‘quattro’ e ‘dieci’.
Ora, è ovvio che il fenomeno nell’onomastica latino-italica dei
nomi numerali, che cominciano solo con ‘quattro’ o ‘cinque’ e che
sono attestati fino a ‘dieci’, non può essere connesso con la numera-
zione dei figli secondo l’ordine di nascita16. Così la tesi presentata
nel 1962 da H. Petersen17, secondo cui i nomi numerali sono in con-
nessione con l’onomastica dei mesi nel ciclo calendariale dell’anno
diviso in dieci mesi, sembra non solo attraente, ma anche del tutto
convincente. Cosa importante, è che tale teoria è accettata, e svilup-
pata, dal collega Poccetti nell’ articolo già menzionato18. Ciò, a que-
sto punto, rende inutile, in tale occasione, un’ulteriore mia presenta-
zione di questa tesi e posso, così, passare ad altri temi di cui parlerò
in modo più dettagliato.
Abbiamo, dunque, visto che i nomi numerali latino-italici di ori-

15
A dire la verità, anche nella distinzione di Poccetti 1995 tra nomi basati
sull’ordinale e nomi basati sul cardinale (p. 251), mi sembra che persistano delle
incertezze. Per citare un esempio, accanto al gentilizio Decius (dekiis) il Poccetti
parla molto anche del gentilizio Decitius (dekitiis) (almeno p. 246, 247, 250, 251).
Alla p. 251, Decitius viene definito come un nome basato sull’ordinale, mentre
Decius come quello basato sul cardinale. Senza dubbio ciò può essere corretto.
D’altra parte, parlando dei nomi con la radice Dec-, bisogna, secondo me, consi-
derare non solo questi due nomi, ma anche tutta la famiglia e dunque considera-
re almeno Decellius, Decennius, Decidius, Decilius, Decimius e Decirius (per il
Sannio cfr. per es. Numerius Decirius [così la tradizione manoscritta, che in ge-
nere viene corretta nelle edizioni in Decimius] Samnis nel 217 a.C., Liv. 22, 24,
11). A mio parere, si tratta di articolazioni diverse, con uso di suffissi diversi, di
una sola radice dec-, e l’esistenza di questa radice comune mi sembra la sola cosa
certa riguardo a questi nomi. Una simile varietà di suffissi la troviamo anche in
molte altre radici, per es. petr-, pomp- (o, per lasciare i nomi collegabili con nu-
merali, vib-, una radice con una serie spettacolare di derivati con vari suffissi).
16
Comunque, questa era la vecchia spiegazione prima della presentazione
della tesi di Petersen 1962; cfr. Salomies 1987 (nt. 4) p. 113 e nt. 317.
17
Petersen 1962, p. 347-354.
18
Poccetti 1995, (nt. 2) p. 251 s.

.
NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 519

gine antica esistevano solo a partire dai nomi corrispondenti a ‘cin-


que’ (o, almeno nel caso dei popoli centro-italici, a ‘quattro’ ) e che
non possono essere messi in rapporto con l’ordine di nascita. Tutta-
via, questo non significa che i nomi numerali significanti l’ordine di
nascita siano stati del tutto sconosciuti nell’Italia antica. Per non
parlare dei prenomi numerali cispadani del tipo Primus ecc., che so-
no in chiarissimo rapporto con l’ordine di nascita19, bisogna menzio-
nare qui i prenomi non ufficiali femminili del tipo Tertia. Anche que-
sti prenomi, che troviamo nel periodo repubblicano ed augusteo, e
che sono stati studiati assai recentemente dal collega Mika Kajava 20,
sono da rapportarsi con l’ordine di nascita. Il tipo più importante di
nomi di tal genere, era però sostituito dai cognomi come Primus, Se-
cundus, e, pertanto, per il resto di questo articolo, mi concentrerò
proprio su di essi.
Passiamo, dunque, ora ai cognomi. Come sappiamo (e come ho
tentato di sottolineare nel mio libro sui prenomi) 21, esistono due tipi
di cognomi. Il tipo «classico», attestato fin dalla prima età imperia-
le, era all’origine un nome personale (Pulcher Nero ecc.) 22 che poi è
diventato un nome ereditario, comune a tutti maschi di una famiglia
(così troviamo per. es. i fratelli Marcus e Quintus Tullius Cicero). Ma
dalla fine del periodo repubblicano in poi, troviamo il tipo più re-
cente, cioè il cognome personale (come per es. nella famiglia dei fra-
telli T. Flavius Vespasianus e T. Flavius Sabinus). Questo nuovo tipo
di cognome appare nella fase storica in cui la popolazione che anco-
ra non usava un cognome, cominciava ad imitare le abitudini della
nobiltà attribuendo cognomina ai figli 23. Questi cognomi, dati ai figli
alla nascita, sono sempre personali. Molto spesso, questi nuovi co-

19
Per questi prenomi vd. Salomies 1987, (nt. 4), p. 111-120. Qualche aggiunta
e correzione. Per l’iscrizione CIL V 7463, citata nella nota 313, vd. ora Suppl. It. 12
Industria 12; AE 1994, 533. Nell’inizio non manca (come pensavo) il nome di un
primogenito; forse il primogenito è morto prima dell’erezione di questo monu-
mento. – Per l’iscrizione, non edita perfettamente, NSA 1891, 217, citata nella no-
ta 331, vd. ora Suppl. It. 15 Ateste 25. Si tratta, come pensavo, di un pretoriano e
la filiazione Ter. f. è ora confermata. – Il soldato Ter. Baebius C. f. Sca., menziona-
to nell’iscrizione ILJug. 2811 (citata p. 118), viene da Florentia e deve così essere
inserito nell’elenco dei casi provenienti dall’area di CIL XI, p. 117. – Ci sono, inol-
tre, anche molti nuovi esempi dei prenomi Primus, Secundus, Tertius e Quartus,
ma non possono essere enumerati qui.
20
Kajava 1994. Per i prenomi femminili collegabili con l’ordine di nascita vd.
specialmente p. 122-123.
21
Salomies 1987, (nt. 4) p. 299 s.
22
Cfr. per es. la famiglia di Appius Claudius Caecus, i cui figli si chiamavano
Ap. Claudius Russus, P. Claudius Pulcher, C. Claudius Centho, Ti. Claudius Nero
(Salomies 1987, p. 301). I cognomi Pulcher, Centho e Nero sono diventati ereditari
presso i discendenti dei tre figli minori.
23
Per una descrizione dell’evoluzione del uso di un cognome personale alla
fine della repubblica cfr. Salomies 1987, (nt. 4), p. 277 ss. (con esempi di famiglie

.
520 OLLI SALOMIES

gnomi hanno un significato netto e chiaro e rinviano, per es., o a


tratti del bambino (o reali o augurati) o alle circostanze della nasci-
ta. È dunque comprensibile, se i nomi di origine numerale giocano
un certo ruolo tra questi cognomi, chiedersi quale e questo sarà, ap-
punto, il tema che tratterò nelle pagine seguenti.
Per illustrare la suddetta problematica, sembra opportuno esa-
minare l’onomastica delle famiglie italiche in cui l’uso di un cogno-
me fa la sua prima apparizione. Per la conoscenza di queste famiglie
esiste un numero interessante e utile di fonti (a cui ho già fatto rife-
rimento in nt. 23), cioè iscrizioni, normalmente databili alla prima
età imperiale, in cui i figli presentano già un cognome mentre il pa-
dre ha ancora la formula onomastica costituita dai soli prenome e
gentilizio. Materiale di questo tipo è già stato raccolto da me in una
sezione del mio libro dedicata, appunto, ai prenomi 24. Inoltre, a mia
disposizione, ho avuto anche un certo numero di nuovi dati prove-
nienti da iscrizioni pubblicate dopo il 1987 (l’anno di pubblicazione
dei Vornamen). Se prendiamo, dunque, come fonte A queste iscrizio-
ni (cioè le iscrizioni in cui solo i figli hanno un cognome) e aggiun-
giamo B (cioè le iscrizioni in cui solo uno di due o più fratelli ha un
cognome, mentre un altro fratello o gli altri fratelli hanno ancora so-
lo i duo nomina 25), troviamo, insomma, attestati 233 cognomi il cui
uso, nelle famiglie in questione, rappresenta una novità 26 e non si
basa su tradizioni onomastiche preesistenti. Possiamo dunque dire
che, nella grande maggioranza dei casi, i cognomi sono senza dub-
bio stati scelti liberamente. I cognomi presenti nei gruppi A e B sono
i seguenti (comincio con una lista semplice in ordine alfabetico e
con i riferimenti alle pubblicazioni 27) :

in cui i figli hanno un cognome mentre il padre usa ancora solo un nome bimem-
bre, p. 284 s.).
24
Cfr. Salomies 1987, p. 284 s.
25
Anche questo materiale si trova raccolto in Salomies 1987, p. 288-290. Da
scartare è l’iscrizione CIL XI 6125, in cui si deve leggere non Seclator ma specula-
tor (cfr. Gori 1989, p. 157-164). Anche per questo capitolo ci sono aggiunte prove-
nienti da iscrizioni pubblicate recentemente.
26
Anche nel caso delle iscrizioni in cui il padre non è menzionato, ma in cui
ci sono fratelli senza e con cognome (gruppo B) abbiamo, senza dubbio, a che fa-
re con famiglie in cui l’uso di un cognome era recentissimo. In Salomies 1987, ho
osservato che in alcune famiglie l’uso di un cognome è stato introdotto solo in un
modo “parziale”; cioè, solo un figlio, normalmente il primogenito, ha ricevuto un
cognome, mentre gli altri presentano ancora il vecchio sistema onomastico bi-
membre (vd. Salomies 1987, p. 291-292). – È da notare che non ho fatto qui uso
dei pochissimi casi in cui, oltre ai fratelli con e senza cognome, c’è già un padre
con un cognome (come per es. in CIL XI 6940 = AE 1983, 420, dove il padre si
chiama L. Caecilius Flaccus, mentre i figli L. Caecilius L. f. Flaccus e Q. Caecilius
L.f.).
27
Come menzionato sopra, esamino qui solo famiglie italiche e ho, dunque,
tralasciato le iscrizioni pertinenti, ma di provenienza provinciale (Salomies 1987,

.
NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 521

Africanus (CIL V 1301 = I2 2207); Aquila (CIL XI 7851); Aquileien-


sis (CIL V 1011a); Aquilinus (AE 1976, 238 [Concordia]); Aquino (CIL
V 1092 = I. Aquileia 3400) 28 ; Asper (CIL XI 1736 add.); Augurinus
(CIL V 497 = Inscr. It. X 3, 37); Barba (CIL VI 11383); Barbarus
(Suppl. It. 4 Albingaunum 11); Bassus (5 attestazioni) 29 ; Broccus (CIL
V 6110); Calvio (CIL V 2721); Calvus (CIL V 5154); Capito (2 esem-
pi) 30 ; Celer (7 esempi) 31; Censor (CIL V 7123); Ceraunus (AE 1974,
282-284 [Stabiae]); Cervolus (AE 1982, 379 [Aquileia]); Cicero (CIL X
5812; con gentilizio Allius); Cilo (AE 1982, 90 [Roma]); Chilo
(I. Aquileia 1374); Clarus (CIL XI 7431); Clemens (10 esempi) 32 ; Cor-
dus 33 ; Corona (Suppl. It. 4 Sulmo 80); Crescens (CIL V 2452 = I2
2192); Crispus (2 esempi) 34 ; Cupitus (AE 1995, 669 [Mediolanum]);
Drusus (CIL XI 6859; il gentilizio è Licinius); Etruscus (CIL V 925
[da Florentia]); Gallus (2 esempi) 35 ; Germanus (CIL V 7543); Fab[ul-
lus?] (Inscr. It. X 2, 207); Favor (CIL V 497 = Inscr. It. X 3, 37); Ferox
(CIL V 4457 = Inscr. It. X 5, 246); Firmus (4 esempi) 36 ; Flaccus (3
esempi) 37 ; Florus 38 ; Fronto (CIL V 7594); Frugi (AE 1974, 265 = I2
3130 [Cumae]); Fuscus (2 esempi) 39 ; Gavillus (CIL V 5830); Homun-
cio (CIL V 7448 cfr. Suppl. It. 17 p. 23); Illyricus (Hill-) (CIL V 3620);
Iulianus (CIL XI 6024) 40 ; Iulius (CIL V 6598); Iuvenior (CIL V 5865);
Labeo (CIL X 8363); Lepidus (CIL V 50 = Inscr. It. X 1, 72); Ligur
(CIL V 7607); Longinus (CIL IX 2383; il gentilizio è Cassius); Longus

p. 287-288, 290). – Le attestazioni sono enumerate in un ordine geografico certo,


cioè : Roma; area di CIL X (Lazio, Campania, ecc.); area di CIL IX (Sannio, Sabi-
na, Piceno, ecc.); area di CIL XI (Etruria, Umbria, ecc.); area di CIL V (Cisalpi-
na).
28
A mio parere, questa parola sembra piuttosto un cognome che un’indica-
zione dell’origo dell’uomo (così Brusin in I. Aquileia).
29
(1) AA.VV.1993, p. 122 n. 11,5; (2) CIL IX 1042; (3) AE 1973, 213 [Venusia];
(4) CIL XI 4004; (5) AE 1983, 409 = V. Kockel, Porträtreliefs stadtrömischer Grab-
bauten (1993) p. 167 n. K2 (iscrizione di origine incerta conservata a Villa Giulia).
30
CIL IX 1793 = I2 1733; CIL V 4903 = Inscr. It. X 5,1126.
31
(1) CIL X 4989a; (2) CIL XI 781; (3) CIL XI 1642; (4) AE 1976, 178b [Pie-
trabbondante]); (5) CIL V 3514; (6) CIL V 7166; (7) Suppl. It. 15 Ateste 63 (parens
non può essere un cognome; cfr. Arctos 32 [1998] 294).
32
(1) CIL XI 4571; (2) CIL XI 4624; (3) CIL XI 4575; (4) CIL XI 5136; (5) CIL
V 3205; (6) CIL V 3746; (7) CIL V 7013; (8) CIL V 7168; (9) CIL V 7443 = AE 1987,
414; (10) CIL I2 3406 = Suppl. It. 15 Ateste 83.
33
Di Cosmo 1983, p. 5 (il padre si chiama Cn. Placentius Q. f. Stel., il figlio
Cn. Placentius Cn. f. Cordus).
34
CIL XI 5005; I. Aquileia 1303.
35
CIL VI 23558 = I2 1352; Diebner 1979, n. 30.
36
(1) CIL V 497 = Inscr. It. X 3, 37; (2) CIL V 4903 = Inscr. It X 5,1126; (3) CIL
V 6932 = I2 2148; (4) CIL V 7489 cfr. Suppl. It. 12 p. 45.
37
(1) CIL X 1074; (2) I. Paestum 81-2; (3) CIL IX 2182 = I2 1746.
38
Mercando – Paci 1998, n. 14 (Alba Pompeia).
39
CIL XI 2803; CIL III 2915 (da Dertona).
40
L’iscrizione sembra essere di un periodo già avanzato.

.
522 OLLI SALOMIES

(2 esempi) 41; Lupercus (CIL X 4124); Macer (3 esempi) 42 ; Magius


(CIL V 5170); Magnus (CIL X 5277); Mansuetus (CIL XI 1736add.);
Marcellus (3 esempi) 43 ; Maximus (7 esempi) 44 ; Modestus (AE 1982,
355 [Volaterrae]); Naso (CIL V 6791); Natta (CIL XI 4189) 45 ; Nigellio
(CIL V 6091); Niger (3 esempi) 46 ; Novellus (CIL XI 1092); Optatus (2
esempi) 47 ; Passer (AE 1978, 307 [Saturnia]); Pedo (AE 1964, 110 [Ve-
rulae]); Peregrinus (CIL V 7013); Pollio (5 esempi) 48 ; Pontanus (CIL X
5157); Praesens (2 esempi) 49 ; Primio (CIL V 4148); Primus (4 esem-
pi) 50 ; Priscus (8 esempi) 51; Probus (2 esempi) 52 ; Proculus (2 esem-
pi) 53 ; Pudens (CIL XI 7851); Pusio (CIL V 4457 = Inscr. It. X 5, 246);
Reburrus (CIL V 5137); Receptus (CIL V 4634); Rectus (AE 1993, 753
[Torcello]); Regu[lus (?)] (CIL XI 2394); Repentinus (CIL IX 4734);
Romanus (Inscr. It. VII 1, 48 [Pisa]); Rufus (25 esempi) 54 ; Ruso (CIL

CIL XI 4935; CIL V 2975.


41

(1) CIL IX 2383; (2) CIL V 5830; (3) CIL V 6013.


42

43
(1) CIL X 5629; (2) CIL XI 6141; (3) I. Aquileia 1049.
44
(1) AE 1991, 488 (Capua); (2) CIL IX 1056; (3) CIL XI 5136; (4) CIL VI 2476
(da Florentia); (5) Sestinum (1989) p. 245; (6) CIL V 7579; (7) CIL V 7670 = Inscr.
It. IX 1, 46 = T. Schäfer, Imperii insignia (1989) n. 40.
45
Il gentilizio di quest’uomo è Pinarius, ma, naturalmente, non è un mem-
bro della famiglia patrizia dei Pinarii Nattae; abbiamo qui (come nel caso dei
Cassii che si chiamano Longinus, cfr. sopra, e dei Minucii con il cognome Ther-
mus, cfr. nt. 65) uno dei moltissimi esempi di imitazione dell’onomastica nobilia-
re da parte di gente plebea.
46
(1) CIL V 3767; (2) CIL V 7054 (Mercando – Paci 1998, [nt. 37] n. 135); (3)
Inscr. It. X 2, 207.
47
CIL V 6046; AE 1995, 669 (Mediolanum).
48
(1) CIL X 4727 = I2 1578; (2) Mem. Linc. 1901, 86 n. 114 (Capua; D’Isanto
1993, Coelii nn. 1-2); (3) CIL IX 2418; (4) CIL XI 7766; (5) CIL V 3002.
49
CIL V 3123; CIL V 3205.
50
(1) CIL IX 786; (2) CIL XI 1227; (3) CIL V 7025; (4) AE 1985, 425 (Aquae
Statiellae).
51
(1) AE 1975, 209 [Capua]; (2) CIL IX 4565 = I. Norcia 37; (3) AE 1996, 498
(Bovianum); (4) CIL III 2911 (da Lucca); (5) CIL XI 2803; (6) CIL V 2975; (7) CIL
V 8279; (8) Mercando – Paci 1998, (nt. 37) n. 125.
52
CIL XI 7851; CIL V 3767.
53
CIL VI 28092; CIL X 4787.
54
(1) CIL VI 16503 = I2 1294; (2) CIL VI 17488; (3) CIL VI 18687; (4) CIL VI
22002; (5) CIL VI 22540; (6) AE 1995, 424 (Trebula Suffenas); (7) CIL X 4872; (8)
CIL X 4989a; (9) CIL X 5147 = I2 3105a; (10) Un impegno per Pompei (1983)
n. 17/OS; (11) Rend. Linc. 26 (1971) 434 n. 9 (Casinum); (12) CIL IX 1042; (13)
CIL IX 4623 = I2 1893; (14) CIL IX 4707 = I2 1841; (15) CIL IX 5386; (16) CIL IX
5844; (17) AE 1996, 490 (Bovianum); (18) CIL XI 1241; (19) CIL XI 3071 cfr. AE
1992, 591; (20) CIL XI 4721; (21) CIL XI 6131; (22) AE 1976, 226 [Castelfranco
Emilia]; (23) CIL V 564 = Inscr. It. X 4, 139 (da Fanum); (24) Pais, Suppl. It. 201;
(25) Inscr. It. X 5, 753. – Notare il numero abbastanza elevato delle attestazioni
repubblicane.

.
NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 523

V 938); Rusticus (CIL V 3514); Sabinus (4 esempi) 55 ; Salvius (2


esempi) 56 ; Saturio (CIL V 4634); Saturninus (3 esempi) 57 ; Scaeva
(CIL XI 3071 cfr. AE 1992, 591); Secundus (9 esempi) 58 ; Seneca (CIL
V 7616); Senecio (2 esempi) 59 ; Serenus (CIL V 3132); Severus (8
esempi) 60 ; Silo (2 esempi) 61; Silus (CIL V 5532); Stabilio (2 esempi) 62 ;
Super (2 esempi) 63 ; Tertius (2 esempi) 64 ; Tertullus (CIL V 5830);
Thermus (CIL IX 2234 65 Tiro (CIL V 378add. = Inscr. It. X 3, 57); Tro-
bio (Suppl. It. 16 Bergomum 10); Valens (2 esempi) 66 ; Varus (CIL V
4457 = Inscr. It. X 5, 246); Verdavus (Inscr. It. X 5, 787); Verecundus
(CIL V 3205); Verinus (CIL V 6598); Verus (3 esempi) 67 ; Vervicius
(CIL V 5830); Viator (2 esempi) 68 ; Victor (CIL V 5830); Virgula (CIL
XI 7754); Virillio (CIL V 5853); Vitalis (4 esempi) 69 ; Vitulus (CIL V
8862); Volscus (CIL X 6228); Vopiscus (CIL X 4872).

La lista consiste in 233 attestazioni di 122 cognomi differenti.


Da essa si vede bene che, già agli inizi della fase dell’uso generale di
un cognome, la scelta degli stessi era molto varia; troviamo dunque,
già in questa fase, cognomi di quasi ogni tipo 70. Oltre a quello più
comune, cioè i cognomi che si riferiscono ad una caratteristica (esi-
stente o augurata, concreta o astratta) del tipo Probus, Rufus, Seve-
rus, troviamo, ad. es., tanto i cognomi che fanno riferimento al mo-

55
(1) CIL IX 4925; (2) AE 1981, 363 = I2 3341a [Blera]); (3) AE 1994, 645 (Ha-
sta); (4) AE 1983, 765 (Carnuntum; molto verosimilmente un italiano cisalpino).
56
CIL XI 1241; CIL III 8464 (da Ateste).
57
(1) CIL XIV 2317; (2) CIL IX 3116; (3) CIL V 3599.
58
(1) CIL IX 1856; (2) CIL XI 786; (3) CIL XI 1227; (4) CIL I2 3406 = Suppl. It.
15 Ateste 83 (cfr. Arctos 32 [1998] 294); (5) CIL V 569 = Inscr. It. X 4, 86; (6) CIL V
7164 (Mercando – Paci 1998, [nt. 37] n. 72); (7) CIL V 7489 cfr. Suppl. It. 12 p. 45;
(8) CIL V 7670 = Inscr. It. IX 1, 46 = Schäfer, cit. (nt. 43) n. 40; (9) AE 1954, 160
[Tarvisium]).
59
CIL V 1225; Inscr. It. X 5, 215.
60
(1) Muess, 1989, p. 57 fig. 59 (Neapolis : P. Allius Q. f., P. Allius P. f. Seve-
rus); (2) CIL IX 5557 = I2 1924; (3) CIL IX 5088; (4) CIL XI 5136; (5) CIL V 937; (6)
CIL V 5997 = Pflug 1989, p. 278 n. 302; (7) AE 1911, 181 (Mediolanum); (8) CIL III
11213 (molto probabilmente un italiano cisalpino).
61
CIL VI 20945 = I2 1322; NSA 1949, 174 (Napoli).
62
CIL IX 1856; CIL V 1308 = I2 2208.
63
CIL V 7164 (Mercando – Paci 1998, [nt. 37] n. 72). 7594.
64
CIL XI 786; CIL V 7570.
65
È un Minucius, ma ovviamente non è un membro della famiglia senatoria
dei Minucii Thermi. Per l’imitazione dell’onomastica dei nobili cfr. sopra nt. 45.
66
CIL XI 6425; CIL V 7547.
67
(1) CIL XI 1224; (2) AE 1989, 341m (Catania); (3) CIL V 5865.
68
I. Aquileia 1049; NSA 1965 Suppl. 41 (Verona).
69
(1) CIL V 936; (2) CIL V 2517; (3) Pais 522; (4) I. Aquileia 703.
70
Ovviamente mancano in questa lista i cognomi del tipo più tardo (cogno-
mi in -ius; cognomi derivati da altri cognomi del tipo Maximianus Sabinianus;
ecc.

.
524 OLLI SALOMIES

mento della nascita (Cupitus, Optatus ecc.; Primus, Secundus ecc.),


quanto i «normali» cognomi senza alcun significato specifico, ma
che sembrano essere piuttosto «nobili» come, ad esempio, Proculus
Saturninus (a questo gruppo appartengono anche quei cognomi che
imitano quelli nobili del tipo Thermus). Nella maggioranza dei casi, i
cognomi sono attestati solo una volta nella lista e solo per 36 di essi
troviamo 2 o più attestazioni. All’interno di questo gruppo di 36, ab-
biamo infatti :
– 19 cognomi con 2 o più attestazioni e sono :
Rufus (il cognome più popolare) : 25 attestazioni;
Clemens : 10
Secundus : 9
Priscus, Severus : 8
Celer, Maximus : 7
Bassus, Pollio : 5
Firmus, Primus, Sabinus, Vitalis : 4
Flaccus, Macer, Marcellus, Niger, Saturninus, Verus : 3;
– 17 cognomi con solo 2 attestazioni 71.

La lista presenta, in ogni caso, elementi di una certo interesse su


cui bisognerebbe forse ritornare più dettagliatamente in un’altra se-
de. In questo momento, è però necessario ritornare al mio argomen-
to : i nomi numerali. Come si evince da quanto detto, i nomi di ori-
gine numerale non giocano un ruolo importante in questo gruppo di
cognomi. È vero che Secundus si trova al terzo posto con nove atte-
stazioni, ma si tratta solo del 3,8% del totale su ben 233 cognomi. Se
poi prendiamo Primus con 4 attestazioni (è facilmente spiegabile
che Secundus fosse più usato di Primus) e Tertius con 2 (di ulteriori
nomi numerali, come Quartus ed altri, non c’è invece alcuna trac-
cia), arriviamo alla somma di ben 15 attestazioni di cognomi nume-
rali, cioè il 6,4%. In base a tali dati, possiamo dunque concludere
che tra la popolazione dell’Italia che fino ad allora usava solo una
formula onomastica bimembre, i cognomi numerali non erano mol-
to popolari.
In ogni caso, benché l’uso di cognomi numerali non sia stato
molto comune, il materiale epigrafico a nostra disposizione mostra
chiaramente che, all’inizio, i cognomi numerali erano usati soprat-
tutto per indicare l’ordine di nascita (ma vd. sotto per qualche modi-
fica). Un esempio molto chiaro è offerto da un’iscrizione della prima
età imperiale proveniente da Bologna : Sal. Vettius Sal. f. Lem. pater
... L. Vettius Sal. f. Primus, Sal. Vettius Sal. f. Secundus, T. Vettius

71
Capito, Crispus, Gallus, Fuscus, Longus, Optatus, Praesens, Probus, Procu-
lus, Salvius, Senecio, Silo, Stabilio, Super, Tertius, Valens, Viator.

.
NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 525

Sal. f. Tertius filiei (CIL XI 786) 72. Ci sono anche altri buoni esempi,
che purtroppo devo rimandare in una nota. Qui, invece, mi riferirò
anche a quelle famiglie in cui l’uso di tali cognomi non è del tutto re-
cente 73.
Come, dunque, si evince da questi esempi, è assai normale (o
piuttosto la regola) combinare, nell’ambito di una stessa famiglia,
un cognome di origine numerale con un altro; la situazione più co-
mune, infatti, è quella in cui il primogenito ha un cognome «norma-
le», il secondogenito uno tipo Secundus (come accade, ad es., nella
famiglia senatoriale dei Poppaei 74. Se rimaniamo nell’ambito di quel-
le famiglie in cui l’uso di un cognome è stato introdotto tra la gene-
razione del padre e la generazione dei figli (cioè, in cui il padre non
ha ancora un cognome), e studiamo i casi in cui sono noti almeno
due figli, di cui almeno uno ha un cognome numerale, troveremo at-
testati i seguenti cognomi :
Stabilio Secundus CIL IX 1856
Primus Secundus Tertius CIL XI 786
Primus Secundus CIL XI 1227
Clemens Secundus CIL I2 3406
Super Secundus CIL V 7164
Firmus Secundus CIL V 7489 75
Maximus Secundus CIL V 7670.
D’altra parte, per illustrare il ruolo non di primo piano che i co-
gnomi numerali ebbero in questa fase dell’evoluzione del sistema

72
Notare peraltro che, in questa famiglia, l’uso di un prenome non romano
(Salvius) termina con il padre.
73
Cfr. p. es. CIL XI 1227 (Placentia) M. Naevius M. f. Secundus decur(io) Pla-
cent(iae) sibi et M. Naevio L. f. patri, ... [. N]aevio M. f. Primo / [fratri]; CIL V 5883
(Mediolanum) T. Pomponius Valentinus sibi et C. Pomponio Primo fratri et
C. Pomponio Fido patri (...); CIL IX 1856 (Beneventum) L. Latinio L. f. Stabilioni,
L. Latinio L. f. patri ... C. Latinio L. f. Secund(o) (Stabilio è chiaramente un fratel-
lo); CIL IX 2700 (Aesernia) (la madre) C. Mario C. f. Rufo viro et C. Mario C. f. Ru-
fo a(nnorum) xxix et L. Mario C. f. Secundo a(nnorum) xiii et M. Mario C. f. Lati-
no an(norum) xvii (...); Marius Secundus è ovviamente morto prima di suo fratel-
lo minore Latinus); CIL V 5279 = ILS 6728 (Comum) L. Caecilius L. f. Cílo IIII vir
... L. Caecilio L. f. Valenti et P. Caecilio L. f. Secundo (...); CIL V 7164 (Torino)
M. Villius C. f. Pol., ... uxor, M. Villius M. f. Super ..., T. Villius M. f. Secundus;
CIL V 6862 (Alpes Poeninae) C. Iulius Mami fil. sibi et Valeriae Prime uxorí, C. Iu-
lio C. f. Prímo, L. Iulio C. f. Pudenti, P. Iulio C. f. Tertio, C. Iulio C. f. Quarto filiis.
Cfr. anche sotto nt. 78. Quanto all’ordine senatorio, bisogna notare l’onomastica
dei fratelli C. Poppaeus Sabinus e Q. Poppaeus Secundus, ambedue consoli nel 9
d.C., Sabinus come ordinario e Secundus come suffectus risultando così chiara-
mente il fratello minore non solo a causa del cognome. Per i prenomi numerali
cisalpini cfr. Vornamen 111 nt. 313 (ma cfr., per l’iscrizione CIL V 7463, sopra
nt. 19.
74
Cfr. nota 73.
75
Cfr. Suppl. It. 12 p. 45.

.
526 OLLI SALOMIES

onomastico romano, si deve aggiungere che sono noti ben 20 casi di


famiglie, con una onomastica dello stesso tipo e con due o più figli
noti, in cui non troviamo cognomi numerali 76.
Riguardo questi ultimi, a questo punto, è necessario sottolineare
ancora due aspetti. Da una parte, anche se è molto probabile che i
Primi siano di solito primogeniti 77 e i Secundi secondogeniti 78, è im-
portante ricordare che un nome numerale non è sempre necessaria-
mente correlabile con l’ordine di nascita in quanto tali nomi non so-
lo erano usati anche tra gli schiavi e (dopo la manumissione) tra i li-
berti 79, ma anche perché potevano essere ereditati; così, in un testo

76
Ecco la lista di queste famiglie (è menzionato per primo il figlio che è, o al-
meno sembra essere, il primogenito) : (1) CIL IX 1042 (Rufus, Bassus); (2) CIL X
4872 (Rufus, Vopiscus); (3) CIL XI 1241 (Rufus, Salvius); (4) CIL XI 2803 (Pri-
scus, Fuscus); (5) CIL XI 3071 (Rufus, Scaeva); (6) CIL XI 5136 (Maximus, Cle-
mens); (7) CIL V 497 = Inscr. It. X 3, 37 (Favor, Augurinus); (8) CIL V 3205 (Prae-
sens, Clemens, Verecundus); (9) CIL V 3514 (Se[--], Celer, Rusticus); (10) CIL V
3767 (Niger, Probus); (11) CIL V 4457 = Inscr. It. X 5, 246 (Varus, Pusio, Ferox);
(12) CIL V 4634 (Receptus, Saturio); (13) CIL V 4903 = Inscr. It. × 5,1126 (Capito,
Firmus); (14) CIL V 5830 (Vervicius, Gavillus, Macer, Tertullus, Victor); (15) CIL V
6598 (Iulius, Verinus); (16) CIL V 7013 (Peregrinus, Clemens); (17) CIL V 7594
(Fronto, Super); (18) I. Aquileia 1049; (19) Inscr. It. X 2, 207 (Niger, Fab[ullus?]);
(20) AE 1995, 669 (Mediolanum : Cupitus, Optatus).
77
Cfr. i seguenti casi in cui il fratello chiamato Primus o è enumerato prima
del suo fratello o ha il prenome del padre, mentre il fratello ha un altro prenome :
CIL IX 3046; CIL V 4972. 5883. Cfr. sotto nt. 81.
78
Cfr. già sopra nt. 73 e sotto nt. 81. Iscrizioni in cui il fratello chiamato Se-
cundus viene menzionato dopo il suo fratello : CIL X 4292; CIL XI 1147, iv, 33 adf
(inibus) Vettís Vero et Secundo; CIL XI 4708; CIL V 2553 (o padre e figlio?); CIL V
5252 (o padre e figlio?); CIL V 5447. 6472. 7299. 7667. In CIL V 6596 i figli sono
enumerati come segue : Gemelli(i) Valeriana Secundus Valeria; si vede, dunque,
che anche le figlie potevano essere prese in considerazione nella “numerazione”
(cfr. anche CIL V 8960, in cui i due figli di un certo C. Caesia L. f. Pol. si chiama-
no L. Caesius C. f. e Caesiae C. f. Secunda; per una osservazione simile nel caso
dei prenomi cfr. Salomies 1987, p. 111 nt. 313). Iscrizioni in cui uomini chiamati
Secundus hanno un prenome diverso di quello del padre (anche questa è un’indi-
cazione che non si tratta di un primogenito) : CIL IX 1064 N. Seppius A. f. Secun
(dus); CIL IX 1194; CIL XI 149. 1437. 2068. 5901; CIL V 2358. 2504. 5140. 5825.
5991. 7667. 7670. 7776a. Per Tertius, usato chiaramente come cognome del terzo
figlio cfr. CIL V 6862 (iscrizione citata sopra nt. 73); qui il quarto figlio si chiama
Quartus); CIL V 5070. In Pais, Suppl. It. 1097 = Inscr. It. X 1, 233 (Pola) Cassia
Tertia è la sorella di L. Cassius Maximus e C. Cassius Rufus.
79
Per Primus cfr. Solin 1998, 27 (schiavi e liberti chiamati Primus in un sin-
golo volume di CIL : CIL XI 868. 900. 1012. 1030. 1235. 1248. 1273. 3411. 3490.
4264. 5860. 6176. 6396. 6851. 6876. 7397. 7435). Per Secundus si veda Kajanto
1965, 292 e per. es. CIL X 88. 1304. 2938. 4769. 4925. 7887; CIL IX 3674. 5080;
CIL XI 1245. 3613. 3645. 4197. 4892. 5536. 6137. Per Tertius cfr. Kajanto 1965, 292
e per es. CIL XIV 1686; CIL X 4589. 4970. 5105. 5715. 5933. 6275. 6493; CIL IX
2385. 2479. 2525. 3467. 4157. 4390. Quanto a Quartus, anche questo nome è atte-
stato nel caso di schiavi e liberti, ma soprattutto nella forma femminile (Kajanto,
cit., p. 293).

.
NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 527

proveniente dal pagus Veianus (CIL IX 1506) un figlio chiamato


M. Cosinius Primus è menzionato, nell’enumerazione dei figli, solo
dopo il fratello Priscus, che dunque era, verosimilmente, il primoge-
nito. La spiegazione del cognome Primus, in questo caso, deriva dal
fatto che la madre si chiamasse Tuccia Prima 80. Si può comunque
notare che il fatto che un Primus o un Secundus abbiano ereditato il
cognome materno, non esclude che il Primus sia stato il primogenito
e il Secundus il secondogenito 81. Tuttavia, non solo l’iscrizione CIL
IX 1506, ma anche altri testi mostrano che Primus non sempre era
un nome dato necessariamente al primogenito 82, né Secundus al se-
condogenito 83.
D’altra parte, si deve invece ricordare che, dal punto di vista del-
l’onomastica sociologica, i nomi numerali non sono sullo stesso li-
vello, cosa che, senza dubbio, si è ripercossa nel loro uso pratico. Il
nome Tertius, ad esempio, era quasi sempre indice di uno status so-
ciale non molto elevato ed il cognome Primus non era da meno. Pri-
mus, però, si trova comunque anche tra i senatori e forse già nel pe-

80
Altri esempi in cui i cognomi Primus o Secundus sono stati ereditati dal
padre o dalla madre : CIL XIV 1053; CIL X 6050 (C. Stenius Primus figlio di Ste-
nia C. f. Prima). Per Secundus cfr. per. es. CIL X 5620; CIL XI 4525 (L. Numitorio
Secundo filio ... L. Numitorius Secundus). Tre generazioni di M. Cascellii Secundi
in CIL IX 1779. Cfr. anche la nota seguente e inoltre i casi in cui il cognome Pri-
mus riflette altri nomi con la radice Prim-; p. es. CIL XI 470 (un Gavius Primus fi-
glio di un Gavius Primitivos); CIL XI 2370a (Orsminnius Primus, figlio di un
A. Orsminnius [I]onicus e una Veturia Primigenia). Un M. Atilius Primulus figlio
di un M. Atilius Primus in CIL V 5579.
81
Cfr. per. es. CIL X 3437 P.Vibi Primi ... Vibi Primus et Mansuet(us) fil(ii);
CIL V 4653 Metellia Prima sibi et P. Valerio P. f. Fab. Ingenuo viro suo, P. Valerio
P. f. Primo, Valeriae P. f. Firmae, C. Valerio P. f. Vitali, L. Valerio P. f. Celato filiis;
CIL V 7678 Sex. Petrónius M. f. Pol. [Su]ccessor ... M. Petronio M. f. Márcéllo
patr(i), M. Petronio M. f. Primo frátri, Graniae Primae mátri; CIL XIV 1603 (dove il
padre si chiamava senza dubbio [Pri]mus) Sergii Primus [et ...] patri. Per Secun-
dus cfr. per. es. CIL V 5991 C. Cassius Secundus sibi et ... et C. Cassio Crispo f. et
L. Cassio Secundo f. et Cassiae Secundae f. (da notare i prenomi; Cassius Secun-
dus e Cassia Secunda erano forse gemelli); CIL V 6596.
82
Cfr. anche p. es. CIL V 7309 [– – – Domitius S]ecundinus et Domitius Pri-
mus matri pientissime; uomini chiamati Primus che hanno un prenome diverso
del padre : CIL IX 5363 L. Volcacius Q. f. Vel. Primus (praef. coh. I Noricor. ecc.;
anche in 5364-5); CIL V 3034 C. Sempronius Q. f. Primus ... Q. Sempronio Tertio
fratri; CIL V 8822.
83
Iscrizioni in cui un fratello chiamato Secundus viene nominato prima di
un altro fratello che usa un cognome diverso : CIL XI 178. 344 ([L.] Marcio Genia-
li L.Marcius Secundus et L. Marcius Martialis fili); CIL V 6591 (Valenti[s] Secundo
Tito Titullae fratrib(us) Valentia T. f. V[-]); CIL V 7176 (... sibi et C. Pinario Secun-
do, M. Pinario Marcello, Pinariae Priscae filis); cfr. anche CIL V 5306. 5945. In CIL
V 3806 il figlio Secundus viene nominato al quarto posto (C. V[alerio] C. f. [--],
Q. Valerio C. f. Pastori, L. Valerio C. f. Lucustai, Cn. Valerio C. f. Secundo ...). Per
un’iscrizione in cui un Tertius è menzionato prima dei suoi fratelli cfr. CIL X
6016 (ma forse ciò è dovuto al fatto che Tertius è un cavaliere).

.
528 OLLI SALOMIES

riodo augusteo. La condizione di Secundus, invece, è del tutto diffe-


rente in quanto tale nome è sempre stato considerato di prestigio 84.
Analizzando il successo dei vari nomi numerali nell’onomastica lati-
na si deve, dunque, considerare anche questo aspetto.
Ma se ci limitiamo a dire che i nomi di origine numerale non
erano molto diffusi nelle famiglie in cui si introduceva l’uso di un
cognome, non riusciamo ad avere chiaro tutto il quadro. Mi riferisco
al fatto che l’ordine di nascita dei figli poteva essere indicato anche
con l’uso di cognomi non numerali. Infatti, nel caso dei prenomi
femminili, i prenomi Maxima e Mino(s) / Mino(r), ed in particolare
Paula (ma anche altri nomi di questo genere), giocano un ruolo im-
portante 85. Un fenomeno simile lo troviamo, infatti, anche tra i co-
gnomi maschili, ma bisogna ammettere che, nella grande maggio-
ranza dei casi, essi sono scelti liberamente e non hanno niente a che
fare con l’ordine di nascita.
Se poi passiamo ad esaminare i cognomi attestati tra le famiglie
che si convertono al loro uso (siamo, dunque, ancora una volta nel
periodo tardorepubblicano-augusteo), troviamo che cognomi non
numerali, ma indicanti l’ordine di nascita hanno comunque una cer-
ta diffusione. Se, infatti, cominciamo con Maximus, troviamo che
questo cognome è attestato sette volte nella lista. In famiglie di cui
conosciamo due o più bambini 86, lo troviamo, invece, accanto ai co-
gnomi Secundus e Clemens e ci sono molte iscrizioni in cui è eviden-
te che il figlio col cognome Maximus è il primogenito 87.

84
Per questi cognomi cfr. Kajanto, cit. (nt. 77). Per Primus si veda Solin
2001, 195 con nt. 23. I senatori (la maggioranza databili in una epoca piuttosto
tarda) si trovano in PIR2 P p. 399-400. P. Alf(-) Primus (Solin, nt. 23) sembra, in-
vece, un’indubitabile attestazione della prima età imperiale; invece M. Primus,
dello stesso periodo e noto da Cassio Dione (PIR2 P 946), sembra avere un nome
sospetto. Così anche A. R. Birley (Chiron 30 [2000] 742 con una possibile corre-
zione del nome).
85
Kajava 1994, 46-8 (Maxima), 48 s. (Mino(r)), 50-59 (Paulla, Polla), 59 s.
(Posilla).
86
Cfr nota 73
87
Cfr. per es. CIL IX 1018 : N. Firvio N. f. Gal. Maximo fratri [e]t Q. Firvio
N. f. Gal. [P]aulo fratri (il dedicante è un cugino); CIL V 7579 : L. Valerius L. f.
Maximus, C. Valerius L. f., fratres II; CIL V 7670 (i fratelli Q. Castricius Q. f. Ma-
ximus e P. Castricius Q. f. Secundus). In CIL IX 2602 Sex. Seppius Sex. f. Maxi-
mus (fratello di Cn. Seppius Sex. f. Cordus e P. Seppius Sex. f. Severus) ha il pre-
nome di suo padre Sex. Seppius Severus (e risulta, pertanto, verosimilmente il pri-
mogenito) ma è anche il figlio di Varia Maxima. Cfr. anche per es. CIL XI 6120;
CIL V 357. 5011. 5070. 5811. 5940; Pais, Suppl. It. 1097 = Inscr. It. X 1, 233. Co-
munque, come per i nomi numerali, troviamo anche qui casi in cui Maximus non
sembra essere il cognome di un primogenito (si può pensare a varie spiegazioni);
cfr. i casi in cui un Maximus non ha il prenome del padre (CIL IX 415. 3085.
3992. 4968; CIL XI 1616. 1741. 3842. 4708. 5136; CIL V 420) o viene menzionato
dopo il fratello (CIL X 6016 [ma cfr. sopra nt. 83]; CIL V 5713).

.
NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 529

Un altro cognome (a sua volta attestato otto volte nella lista di


cui sopra), usato per indicare un figlio primogenito, era evidente-
mente Priscus. Ci sono, infatti, parecchi casi in cui emerge con chia-
rezza che Priscus era il cognome del primogenito 88. Un altro caso ri-
levante è forse quello di Super, cognome attestato soprattutto nell’I-
talia del Nord. In alcune iscrizioni sembra essere usato come
cognome per indicare che il portatore è un primogenito, ma le cose
non sono del tutto chiare 89.
Quanto ai cognomi non numerali usati per figli minori, in que-
sto caso, non troviamo molto e sembra che i genitori romani siano
stati assai contenti con Secundus. Nella lista ricavabile da famiglie
che precedentemente non usavano cognomi (vd. sopra), troviamo,
invece, un solo cognome che dà l’impressione di aver potuto indica-
re l’ordine di nascita : Iuvenior. In verità, le formulazioni dell’iscri-
zione relativa (CIL V 5865) 90 non sembrano fornire sufficienti indizi
per affermare con certezza che non si tratti di un primogenito (se,
invece, è il primogenito, Iuvenior potrebbe essere interpretato più
come un riferimento al padre che non a un fratello).
Se tralasciamo la suddetta lista, possiamo trovare anche qual-
che altro cognome indicante che il portatore avrebbe potuto essere
un secondo o terzogenito e dobbiamo qui menzionare almeno Paul-
lus/Paullinus, cognome sicuramente attestato con tale funzione 91.
Riassumiamo :
– A Roma, i nomi di origine numerale sono attestati sia come pre-
nomi che come cognomi (e, indirettamente, anche come gentilizi).

88
Per es. CIL XI 2803 (T. Venuleius T. f. Pom. Priscus, Sex. Venuleius T. f.
Pom. Fuscus, figli di T. Venuleius L. f.); CIL V 7162 (L. Manlius L. f. Cam. Priscus
... sibi et C. Manlio L. f. Clementi, P. Manlio L. f. Celeri fratribus). Cfr. anche CIL V
2975. 5292. 6345. (Tuttavia, ci sono anche casi in cui non sembra necessariamen-
te essere il cognome del primogenito, cfr. per es. CIL V 7813 [ma ha il prenome
del padre]; CIL V 902 = I. Aquileia 2753; CIL V 7425.).
89
Per Super cfr. Schulze 1991, 499 nt. 1. Nelle iscrizioni CIL V 7164 (i fratelli
M. Villius M. f. Super e T. Villius M. f. Secundus), CIL V 7514 e CIL V 7673, Super
è chiaramente il cognome del primogenito. In altre iscrizioni, però, uomini chia-
mati Super non hanno il prenome del padre (CIL V 7500 [ma qui il Super viene
menzionato prima del fratello]; CIL V 7594).
90
C. Herennius C. f. Iuvenior VIvir iun. sibi et L. (sic) Herennio patri ...
M. Herennio Vero fratri (...).
91
Cfr. CIL IX 1018 (sopra nt. 87); CIL XI 4708 (L. Pontius L. f. Paullinus al
quinto posto dopo i fratelli Saturninus, Secundus, Heraclius, Fortunatus); altri
Paulli menzionati dopo un fratello : CIL XI 6350; CIL V 57 = Inscr. It. X 1, 87;
Paulli con prenome diverso dal padre : per es. CIL IX 974; CIL XI 785a. In CIL V
5906 (P. Ursio Sex. f. Póllioni patri ... P. Ursio P. f. Paullo ... fratr(i) ... Ursia P. [f.
Pr]isca) sembra che Paullus sia stato il fratello minore di Prisca (se Paullus non è
un riflesso del cognome del padre). – Cfr. il prenome femminile Paulla (sopra
nt. 85).

.
530 OLLI SALOMIES

– I prenomi maschili non hanno un rapporto diretto con l’ordi-


ne di nascita dei figli (un rapporto esiste, invece, solo nel caso dei
prenomi femminili e dei prenomi attestati nella Cisalpina in un am-
biente non romano).
– Nel caso dei cognomi, al contrario, un rapporto è ovvio solo
nei casi in cui l’uso di un cognome numerale non derivi da quello di
un genitore.
– Le nostre fonti, inoltre, mostrano che i nomi numerali non so-
no mai stati molto popolari e che altri cognomi, del tipo Maximus,
hanno spesso avuto la stessa funzione.

Olli SALOMIES

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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1991.
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(a.c. G. Paci), Tivoli, 2000.
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torio di S. Angelo d’Alife, S. Angelo d’Alife, 1983.
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mischen Steindenkmälern zweier Landstädte Mittelitaliens, Roma, 1979.
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NOMI PERSONALI DERIVATI DA NUMERALI A ROMA 531

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Helsinki, 2001, p. 189-202.

.
.
L’ONOMASTICA NEI TESTI :
EPIGRAFIA E LETTERATURA

.
.
CARLO DE SIMONE

L’ONOMASTICA PERSONALE
DELLA TABULA CORTONENSIS *

La T(abula) C(ortonensis) presenta, come è noto, cinque liste o


«insiemi onomastici», costituiti rispettivamente da più denomina-
zioni personali o unità designative; a questi elenchi si aggiungono
alcune menzioni isolate di nomi personali attestati in specifici con-
testi sintattici, funzionanti al di fuori delle liste stesse, ma facenti ri-
ferimento in un caso ad un membro menzionato nelle medesime
(cfr. per il tutto infra). Non può costituire oggetto della presente re-
lazione il problema, per altro di rilievo centrale a livello globalmente
ermeneutico («macrotesto»1) e più in generale storico (aspetto onto-
logico), del senso o funzione propriamente testuale di tutti gli insie-
mi onomastici e delle singole formule onomastiche relative che li co-
stituiscono : quale siano possibilmente la funzione /finalità e valen-
za dei singoli gruppi di nomi nel quadro complessivo dell’intero
documento non può essere oggetto di indagine o estesa discussione
in questa sede 2 ; la stessa considerazione è valida in linea di princi-
pio per le formule onomastiche (o nomi singoli) isolati (al di fuori
delle liste).
Il compito che mi sono proposto in questa sede è di ordine di-
verso, ma non credo privo di interesse : si tratta di esaminare, nei li-
miti oggi possibili sulla base dell’attuale documentazione nonché
dello stato delle nostre conoscenze generali, l’origine storica o tipo
di formazione (e possibilmente etimologia) di tutti i nomi in que-
stione : una ricerca sistematica di questo tipo mi risulta attualmente
non disponibile, e viene dunque incontro ad un deficit oggettivo del
dossier relativo alla T. C., testo in cui proprio gli «insiemi onomasti-
ci» e le menzioni isolate giocano palesemente un ruolo di base (co-
munque li si valuti). È chiaro tuttavia al contempo che un’indagine
onomastica così finalizzata non può mancare, in alcuni casi, di in-

* I lavori apparsi dopo la redazione di questo testo risalente al 2003 ne han-


no reso in larga parte superati l’impostazione e i risultati. Nelle more di stampa è
sembrato tuttavia, opportuno non stravolgere la sostanza e l’impianto della
comunicazione presentata in sede del convegno.
1
De Simone 2001-2002, p. 72-74.
2
Cfr. diffusamente per questo aspetto De Simone 2001-2002, p. 98-106.

.
536 CARLO DE SIMONE

terferire in parte con la problematica propriamente ermeneutico-


storica più generale di cui supra. Ma questo è un aspetto parziale
della presente ricerca, che va considerato come un output positivo.
L’analisi dei singoli nomi deve prendere necessariamente le mos-
se dalla individuazione e dalla determinazione funzionale (Pren.,
Gent. etc.) delle formule onomastiche (singole unità designative), nel
cui ambito i singoli nomi funzionano ed unicamente possono essere
definiti a livello sincronico. Non si tratta cioè, in un primo approccio,
di chiarire – a titolo di esempio – l’origine (e storia) del gentilizio Usl-
na considerato in quanto tale (*Usele-na > Uslna; Pren. Masch. *Use-
le; cfr. infra), ma di far risultare la funzione ed occorrenze di questo
elemento onomastico nel quadro delle singole denominazioni, nel
cui ambito gioca un determinato ruolo designativo : l’analisi funzio-
nale delle formule onomastiche è infatti metodologicamente prima-
ria. Gli insiemi onomastici in discussione sono i seguenti :
I (righe A, 8-14). Precede atur («Lallname» ata; «membri, sodales» 3
1) Lart Pêtruni (Pren + Gent masch)
2) Arnt Pini (Pren + Gent masch)
3) Lart Vi[.]pi Lus ce 4 (Pren + Gent + Cogn masch)
4) Laris S alini Vêtnal (Pren + Gent masch + Matr)
5) Lart Vêlara Laru alisa (Pren + Gent masch + Patr)
6) Lart Vêlara Aules a (Pren + Gent masch + Patr)
7) Vêl Pumpu Pruciu (Pren + Gent + Cogn masch)
8) Aule Cêlatina S êtmnal (Pren + Gent masch + Matr)
9) Arnza Fêlsni Vêlu inal (Pren + Gent masch + Matr)
10) Vêl Luis na Lus ce (Pren + Gent + Cogn masch)
11) Vêl Us lna Nufras a 5 (Pren + Gent masch + Patr)
12) Laru S lanzu 6 (Gent + Cogn masch;)
13) Larza Lartle Vêlaves 7 (Pren + Gent Masch + Patr)
14) A[r]n[t] Êtru Raufe 8 (Pren + Gent + Cogn masch)

II (righe A, 14-17) Precedono il segno di inizio di paragrafo # ed il «cap-


pello» Êprus ame («di Epru sono») 9 :
1) Vêlx e Cus u Laris al cleniar-c (Pren + Gent masch + Patr + «e figli»)
2) Laris [C]us u L[a]ris alis a 10 (Pren + Gent + Patr)
3) Lariza C([--(-)]i (?) Laris al 11 (Pren + Gent masch + patr)

3
Cfr. De Simone 2001-2002, p. 100-101.
4
v. l. : Vi[.]pi Agostiniani-Nicosia 2000, p. 37; Cfr. De Simone 1998, 83, s.v.
5
Cfr. De Simone 1998, p. 66, 13.
6
Cfr. Rix 2000, p. 19.
7
Cfr. De Simone 1998, p. 66, 80, s.v. *Velave; Rix 2000, p. 23-24.
8
Cfr. De Simone 1998, 66; possibile –u finale nel prenome maschile.
9
Cfr. De Simone 2001-2002, p. 101; Roncalli 2002, p. 46-50.
10
Cfr. De Simone 1998, p. 66, 16.
11
Ibid.

.
L’ONOMASTICA PERSONALE DELLA TABULA CORTONENSIS 537

4) Pêtru Scê[va]s (Gent + Cogn ; cfr. però infra)


5) Arntlei Pêtrus puia (Gent femm + gamonimico + app)

III (righe A, 23-32; B 1; la lista dei nomi successivi è introdotta dal


segno di inizio di paragrafo < >, che qui restituiamo con #; precede im-
mediatamente la frase di cappello cnl nu(n)xe(n) male-c «inoltre» (?) sa-
crificano [offrono] ed invocano» 12 :
1) Lart Cucrina Laus isa zilau mex l rasnal (Pren + Gent masch + Patr +
«Amtsbezeichnung»)
2) [La]ris Cêlatina Lau(si)sa [cla]n-c (Pren + Gent. masch + Patr. + «e
figlio»)
3) Arnt Lus cni [A]rnual clan-c Larza (Pren + Gent masch + Patr + «e fi-
glio Larza»)
4) Lart Turmna Salin[al] 13 (Pren + Gent masch + Matr)
5) [– – –]pnal cleniar-c ([Pren + Gent masch [?]] + Matr 14 ;
6) Vêlx e [– – –papal]ser-c (Pren [+ Gent masch] 15).
7) Vêlx e Cus u Aule[s a] (Pren + Gent masch + Patr)
8) [– – –] Aninal-c ([Pren + Gent masch + Patr] + Matr)
9) Laris Fulni [– – –clenia]r-c (Pren + Gent masch [+ Patr ?] + «e figli»)
10) Lart Pêtce Us lnal (Pren + Gent masch + Matr)
11) [– – –]inau ur Têcs inal 16 ( ] + collettivo + Matr [ ?])
12) Vêl[– – –]us (Pren [+ Gent ?] + Patr;) 17
13) Laris -c Cus u Us lna[l] (Pren [«e Laris »] + Gent masch + Matr)
14) Aule S alini Cus ual (Pren + Gent masch + Matr)

IV (righe B, 34-35; precede zilci «nello ‘zilc-Amt’») :


1) Larual Cus us Titinal (Pren + Gent masch in gen + Matr)
2) Larisal-c Salinis Aulesla (Pren + Gent masch in gen + Patr)

V (righe B, 37-40). Precede il lemma (di incerta lettura per la finale)


suuiusva (-ê 18) :
1) Vêlx es Cus us Aules la (Pren + Gent masch in Gen. + Patr)
2) Vêlu urus Titlnis Vêlu urus la (Pren + Gent masch in gen. + Patr)
3) Laru al-c Cêlatinas Apnal (Pren + Gent masch in gen + Matr; 19)

12
Cfr. De Simone 1998, p. 39-42; de Simone, 2001-2002, p. 101-102.
13
-a[l] Agostiniani-Nicosia 2000, p. 38.
14
Agostiniani-Nicosia 2000, p. 38 : [Lart Cêlatina A]pnal; ma il Matr potreb-
be anche essere [Pum]pnal).
15
L’integrazione [papal]ser-c «e nipoti» è di Agostiniani-Nicosia 2000, p. 38.
16
Cfr. De Simone 1998, p. 41.
17
Agostiniani-Nicosia 2000, p. 38 : Vêl[uur Titlni Vêluur]us; ma sono possibi-
li anche altre integrazioni.
18
Cfr. De Simone 1998, p. 69.
19
De Simone 1998, p. 69.

.
538 CARLO DE SIMONE

4) Larisal-c Cêlatinas Pitlnal (Pren + Gent masch + Matr 20 ;)

VI (menzioni onomastiche «isolate»; cfr. supra) :


1)...Êtruis S cêvês êliun-t(a)s...(A, 1) (Gent + Cogn masch in Abl; cfr.
infra)
2)...Cus uu uras Laris al[i]svla pes -c s pante...(A, 3) (Pren masch in Gen
art)
3)...pes Pêtrus pava-c traula-c ...(A, 5-6) (Gent masch in Gen; cfr. infra)
4)...pes Pêtrus ta Scêv[as]...(A, 7-8) (Gent + Cogn masch in Gen; cfr.
infra).
5)...Cus uu uras Laris alis vla Pêtrus-c S cêvas pes s tarx ianes... (A, 21-
23) (Pren masch in Gen art; Gent + Cogn masch in Gen; cfr. infra).

È ora possibile, sulla base della determinazione funzionale delle


formule onomastiche (I-VI), procedere alla classificazione delle sin-
gole categorie onomastiche, che sono le seguenti :

A) Prenomi
1) Arnza (I, 9) 21 : < *Arnu -za (dim)
2) Arnt,-u al (I, 2, 14 [A[r]n[t]; III, 3 [A]rnu al) 22 (dim)
3) Aule,- sa,- sla (I, 8; III, 14; I, 6 ; III, 7 [-sa]; IV, 2; V, 1) 23 : Avile (arc.)
< *Avile 24
4) Vêl (I, 7, 10-11; cfr. D) 25
5) *Vêlave, -s (I, 13) 26 : Velave{s}na(s) (arc.)
6) *Vêlu ur,-us,- sla (V, 2) 27 : < *Velu u-ru 28
7) Vêlx e,-es (II, 1; III, 6-7; V, 1 29
8) Larza (I, 13; III, 3) 30 : < *Lar-za (variante di Lariza?) (dim)
9) Lariza (II, 3) 31 < *Laris-za (dim)
10) Laris ,-al,-alis a;-alisvla (I, 4; III, 2 [La]ris], 9; II, 1-3; V, 4; II, 2 [L[a]-;
VI 2, 5) 3211) Lart, -u al, -u alisa (I, 1, 3, 5, 6; III, 1, 4, 10 ; IV, 1; V, 3; I, 5) 33
12) *Laus i,- s a (III, 1, 2 [Lau(si) sa) 34 : < umbro (?) *Lous is (< *Lou-
syo-s < *Loukyo-s)

20
Ibid.
21
Cfr. De Simone 1998, p. 71.
22
Cfr. De Simone 1998, p. 72.
23
Cfr. De Simone 1998, p. 73.
24
Cfr. de Simone, 1970, p. 141.
25
Cfr. De Simone 1998, p. 80.
26
Cfr. De Simone 1998, p. 80; Rix 2000, p. 23-24.
27
Cfr. De Simone 1998, p. 81.
28
Cfr. De Simone 2001-2002, p. 79.
29
Cfr. De Simone 1998, p. 82.
30
Cfr. De Simone 1998, p. 89.
31
Ibid.
32
Cfr. De Simone 1998, p. 90.
33
Ibid.
34
Cfr. De Simone 1998, p. 91.

.
L’ONOMASTICA PERSONALE DELLA TABULA CORTONENSIS 539

Nufra,- sa (I, 11) 35

B) Gentilizi

a) -na (> -ni(e)), femm -nei (gen : -nas, -ni(e)s; -nal) :


1) Aninei,-al (III, 8) : Anina, -nei 36 : Aniena < *Anie-na ( : Pren Anie)
2) Apnei,-al (V, 3; III, 5 [?]) : Apna, -ei 37 : Apena (arc.) < *Ape-na ( : Pren
*Ape)
3) Cêlatina,-as (I, 8; III, 2; V, 3, 4) 38 : < *Celate-na ( : Pren *Celate/u e) 39 ;
cela di origine latino-italica ? (cfr. osco kellaked 40)
4) Cucrina (III, 1) 41 : < *Cucrie-na ( : Pren *Cucrie); nota Cucrinauur
(Cort.!) : «membri della gens Cucrina».
5) Vêlu inei,-al (I, 9) 42 : Velu iena (arc.) < *Velu ie-na ( : Pren Velu ie)
6) Vêtnei,-al (I, 4) 43 : Vetna/Veu na < *Vete-na/*Vetu-na ( : Pren Vete/
Vetu)
7) Luis na (I, 10) 44 : < *Luis V-na ( : Pren *Luis V- ; V = voc. breve)
8) Luis ni (III, 3) 45 : Luscina(ie) (arc.) < *Lusce-na ( : Pren Lusce = Lat.
Luscus; cfr. C, 1)
9) Pêtruni (I, 1) 46 : Petruna,-ni < *Petru-na ( : Pren Petru; oppure ital.
Petronyo- ?)
10) Pini (I, 2) 47 : Pinie(s); Piana, Piiane(s) < *Pie-na ( : Pren *Pie [?])
11) Pitlna (V, 4) 48 < *Pitele-na ( : Pren Piqe)
12) [– – –]pnei, [– – –]pnal (III, 5) 49
13) S alini,- is; -nei,-nal (I, 4; III, 14; IV, 2; III, 4) 50 : Salina (S-),-nei <
*Salv(i)e-na 51 ( : Pren *Sal(v)e) < SalvSo-> osco gent. Salaviis, etr. falisco
Salv[e]na)
14) Sêtmnei,-al (I, 8) 52 : S etumna,-nei < *Setume-na ( : Pren Setume 53)
15) Têcs inei,-nal (III, 11) 54 : < *Tecs ie-na (?)

35
Cfr. De Simone 1998, p. 66, 94.
36
Cfr. De Simone 1998, p. 71.
37
De Simone 1998, p. 69.
38
De Simone 1998, p. 74.
39
Pellegrini 1993.
40
Untermann 2000, p. 382, s.v.
41
De Simone 1998, p. 76.
42
De Simone 1998, p. 81.
43
De Simone 1998, p. 83.
44
De Simone 1998, p. 92.
45
Ibid.
46
Cfr. De Simone 1998, p. 96.
47
Cfr. De Simone 1998, p. 97.
48
Cfr. De Simone 1998, p. 69.
49
Cfr. De Simone 1998, p. 98, s.v. [Pum]pnei) :< *[– – –]pV-na (V = voc. Breve.
50
Cfr. De Simone 1998, p. 99.
51
Cfr. De Simone 2001-2002, p. 86-87.
52
Cfr. De Simone 1998, p. 101.
53
Cfr. Paleo umbro Setums; De Simone 1970, p. 192-194; lat. Septimus/Sep-
tumus.
54
Cfr. De Simone 1998, p. 108.

.
540 CARLO DE SIMONE

16) Titlni,-is -nei,-nal (V, 2; IV, 1) 55 : Titlna, -nei < *Titele-na ( : Pren Tite-
le : Tite)
17) Turmna (III, 4) 56 : Turmna (Cort.!) < *Tur(u)me-na (u-) ( : Pren *Tur
(u)me [u-]
18) Us lna, -nei,-nal (I, 11; III, 10) 57 : Us lna (-nie) < *Us ele-na ( : Pren U
s ele); *h2us-s- (?; flessione olodinamica).
19) Fêlsni (I, 9) 58 : Felzna (-ni(e) < *FelsV-na ( : Pren *FelsV-)
20) Fulni (III, 9) 59 : Fulna (-ni(e); -nei < *Fulu-na ( : Pren Fulu)

b) -ra :
Vêlara (I, 5-6) 60 ; *Vel(a)-ra ( : Pren Vel) 61

c) -ke :
Pêtke (III, 10) 62 : Petce,-keal (gen femm) < *Petike ( : arc. Peticina(s))

d) -le,-lei :
1) Arntlei (II, 5) 63 : < *Arnu -le,-ei (dim)
2) Lartle (I, 13) 64 < *Laru -le (dim)

e) -u :
1) Cus u,-us; -ui,-ual (II, 1- 2 [C-]; III, 7, 13; IV, 1; V, 1; III, 14) 65 ; cfr. Cu
s uu ura- «membri della famiglia Cus u» (v. anche infra)
2) Êtru,-uis (I, 14; VI, 1 [Abl] 66 < italico *Et(e)ro- ; lat. cēterus (< *ce-e-)
3) Laru (I, 12) 67 : < *Lar-u
4) Pêtru,-us (II, 4-5; VI, 3-5) : < italico Petrō
5) Pumpu (I, 7) 68 < italico Pumpō
z) (attestazioni frammentarie) :
1) [Vi?]pi (I, 3) : integrazione incerta
2) [– – –]inau ur (III, 11) : collettivo di gentilizio ?

55
Cfr. De Simone 1998, p. 109.
56
Cfr. De Simone 1998, p. 111.
57
Ibid.
58
Cfr. De Simone 1998, p. 112.
59
Cfr. De Simone 1998, p. 113.
60
Cfr. De Simone 1998, p. 81.
61
Rix 2000, p. 19 : *Velarna.
62
Cfr. De Simone 1998, p. 96.
63
Cfr. De Simone 1998, p. 72.
64
Cfr. De Simone 1998, p. 91.
65
Cfr. De Simone 1998, p. 77.
66
Cfr. De Simone 1998, p. 79.
67
Cfr. De Simone 1998, p. 91.
68
Cfr. De Simone 1998, p. 98.

.
L’ONOMASTICA PERSONALE DELLA TABULA CORTONENSIS 541

C) Cognomi

1) Lusce (I, 3, 10) 69 < Luscus (cfr. B a, 8)


2) Pruciu (I, 7) 70
3) Scêva,-as,-ês (II, 4; VI, 1, 4 [Scêv[as], 5) 71 < Skaiva
4) Slanzu (I, 12) 72
5) Raufe (I, 14) 73 < italico *Roufos

Diviene possibile, a questo punto, ampliare la lista dei prenomi


(cfr. A) sulla base dei prenomi eruiti (o in parte direttamente docu-
mentabili) sulla base dei gentilizi in -na/-ra («antichi gentilizi»; cfr.
infra). Si tratta di :
D) Anie (B a, 1); *Ape (2); *Celate/u e (3); *Cucrie (4); Velu ie (5);
Vete/Vetu (6); *Luis V- (7); Lusce (8; cfr. C, 1); Petru (9; ?); *Pie (10; ?);
*Pitele (11); *Salve (13); *Setume (14); *Tecs ie (15); Titele (16), *Tur
(u)me (Q-) (17); Us ele (18); *FelsV- (19); Fulu (20); Vêl (B, b; cfr. A, 4)
L’individuazione delle formule onomastiche di cui supra non è
in tutti i casi del tutto esente da singoli problemi, il che va discusso
singolarmente. In primo luogo II, 2-4; la soluzione 74 di leggere clan
in luogo di C([--(-)]i al nr. 3 (il punto visibile dopo la lettera c potreb-
be essere considerato erroneo) non è senza difficoltà come formula
onomastica, perchè ne risulterebbe allora necessariamente 75 la de-
nominazione complessiva (in sé completa) Laris [C]us u L[a]ris alis a
Lariza-c clan Laris al (si tratterebbe di un Laris [C]us u di Laris e Lari-
za [Cus u] figlio di Laris : cioè Laris Cus u figlio di un Laris + figlio
Lariza ugualmente figlio di Laris (formula però del tutto anomala);
perché inoltre la variazione -is alis a : -is al?; ma anche : perché (in-
certezza epigrafica per sé e formulare a parte) non l’ordine *Laris al
clan (GN) 76, usuale nelle formule onomastiche (anche nella T. C.)? ;
problematico è parimenti leggere (4) Pêtru S cê[va]s, perché nessuna
formula onomastica della T. C. è costituita dai membri sintattici
Pren + Cogn in Gen (!). Rix 77, interpreta Petru come gentilizio, cui
seguirebbe il cognomen appunto come Gen; per Petru come Gent
parla certo la formula successiva Pêtrus puia 78 ; inoltre : nella formu-
la Etru S cêva (cfr. B, e 2) è chiaro che Etru è gentilizio (leggere [P]e-

69
Cfr. De Simone 1998, p. 92.
70
Cfr. De Simone 1998, p. 97.
71
Cfr. De Simone 1998, p. 100.
72
Cfr. De Simone 1998, p. 102.
73
Cfr. De Simone 1998, p. 104.
74
Agostiniani-Nicosia 2000, p. 38.
75
Cfr. anche Rix 2000, p. 21.
76
De Simone 1998, p. 49-50.
77
Rix 2000, p. 16, 20.
78
Rix 2000, p. 20.

.
542 CARLO DE SIMONE

tru sposterebbe solo i termini della questione, perché la formula


onomastica attesterebbe allora incontestabilmente che Petru è genti-
lizio 79, il che certo suggerisce S cêva come cognome; un’altro caso di
Gentilizio in -u è offerto dalla T. C. da Laru (S lanzu) (I, 12). D’altra
parte Petru è attestato però come prenome a Volsinii 80, oltre che nei
dialetti italici 81, il che rende la situazione più sfumata (Cogn. > Gent.
nel caso di Pêtru S cêva?) : nel complesso, tuttavia, si è data qui la
preferenza alla tesi che Petru sia gentilizio. La soluzione S Arntlei
(leggendo Scê[va]) non è, d’altra parte, affatto esente da gravi diffi-
coltà e non appare praticabile, perché la T. C. non abbrevia altri-
menti i prenomi, ed il prenome femminile è S eu ra (con s !).
L’individuazione di Petru come gentilizio non è, però, senza pro-
blemi. Si tratta di due aspetti.1) : non è chiaro perché il prenome di
Petru non venga indicato; 2) non si intende il genitivo del cognomen
S cêva in II, 4, che non è normale (se non è errore materiale). È diffi-
cile andare in proposito oltre suggestioni possibilistiche 82.
Assume a questo punto rilievo sociolinguistico (oltre che pro-
priamente testuale) il problema della distribuzione delle singole ca-
tegorie onomastiche identificate rispetto alle singole liste o «insiemi
onomastici» (I-V) di cui supra. Non sono rilevanti da questo punto
di vista i prenomi (cfr. A, D), che costituiscono la couche più antica
dell’onomastica etrusca e sono eo ipso comunque in linea di princi-
pio di difficile accesso etimologico. Differente è la situazione per
quanto riguarda i gentilizi (B), in cui occorre distinguere tra i «veri»
antichi gentilizi (terminanti in -na > -ni( )e e -ra), la cui formazione
(patronimico > gentilizio) risale ad un’età molto antica (VIII-VII sec.
a.C.), ed i gentilizi di altra origine. La distribuzione dei veri gentilizi
nel senso suddetto (-na > -ni(e); -ra) è la seguente (sono parte della
lista anche i gentilizi impiegati come matronimici) :

I
Cêlatina (B, a 3)
Vêlu inei (B a 5)
Vêtnei (B, a 6)
Luis na (B, a 7)
Pêtruni (B, a 9; ?)
Pini (B, a 10)
S alini (B, a 13)
Sêtmnei (B, a 14)
Us lna (B, a 17)

79
Cfr. del resto per Etru come gentilizio De Simone 1998, 79, s.v.
80
Cfr. Rix 2000, p. 20.
81
Cfr. Poccetti 1979, nr. 223 (Petro).
82
Cfr. del resto Maggiani 2001, p. 108.

.
L’ONOMASTICA PERSONALE DELLA TABULA CORTONENSIS 543

Fêlsni (B, a 18)


Vêlara (B, b)

II
-

III
Aninei (B, a 1)
Cêlatina (B, a 3)
Cucrina (B, a 4)
Luscni (B, a 8)
[– – –]pnei (B, a 12)
Salini, -nei (B, a 13)
Têcsinei (B, a 15)
Turmna (B, a 17)
Uslna, -nei (B, a 18)
Fulni (B, a 20)

IV
Salini (B, a 13)
Titlni (B, a 16)

V
Apnei (B, a 2)
Cêlatina (B, a 3)
Pitlnei (B, a 11)
Titlni (B, a 16)

I gentilizi di «altra origine» (cfr. supra) possono essere suddivisi


in due categorie : «Vornamengentilicia» (A) e Gentilizi derivati da
Cognomi (B). Il primo caso (A) è probabilmente il più interessan-
te 83 : i portatori di «Vornamengentilicia» non costituiscono antiche
famiglie di origine e formazione risalente ad età arcaica, ma rappre-
sentano, in età neotrusca, persone o discendenti di persone che solo
secondariamente, per vie «accessorie» (sulle cui modalità si può di-
scutere) hanno acquisito diritto di cittadinanza, impiegando quindi
«di peso» il loro nome individuale come gentilizio, che come tale,
prima di funzionare in formula come gentilizio, non è ovviamente
passato attraverso la fase intermedia di patronimico (come nel caso
dei «veri» gentilizi di cui supra) : i portatori di «Vornamengentili-
cia» sono dunque persone di origine «minore», il che non toglie che
in alcuni casi famiglie di questa discendenza possano aver raggiunto

83
Cfr. Rix 1963, passim; De Simone 1970, p. 246-251.

.
544 CARLO DE SIMONE

potere economico e/o politico (come la famiglia di Persius 84); dal


punto di vista dell’origine essi vanno tuttavia ben distinti dalla
«Schicht» dei «veri» gentilizi. I «Vornamengentilicia» (A) sono i se-
guenti :

I
Lartle (B, d 2)
Etru (B, e 2)
[Vi?]pi (B, z 1)
Laru (B, e 3)
Pumpu (B, e 5)

II
Arntlei (B, d 1)
Petru (B, e 4)

III
Petke (B g)

IV
-

V
-

Un fenomeno diverso è costituito dai Gentilizi derivati da Co-


gnomi (B) 85 : si tratta di originari cognomi divenuti successivamente
– come spesso in Latino – «cognomi famigliari», i quali hanno potu-
to assumere secondariamente di conseguenza, in luogo del vero an-
tico gentilizio, la funzione propria di gentilizi; i gentilizi derivati da
cognomi sono rappresentati nella T. C. da un solo caso (Cusu), però
testualmente e storicamente fondamentale (per la possibile connes-
sione etimologica, e la distinzione di due distinte radici, cfr. infra).

I
-

II
Cusu (B, e 1)

84
Cfr. De Simone 1970, p. 247.
85
Cfr. Rix 1963, passim.

.
L’ONOMASTICA PERSONALE DELLA TABULA CORTONENSIS 545

III
Cus u (B, e 1)

IV
Cus u (B, e 1)

V
Cus u (B, e 1)
Restano infine i Cognomi veri e propri, che sono i seguenti :

I
Lus ce (C, 1)
Pruciu (C, 2)
S lanzu (C, 4)
Raufe (C, 14)

II
S cêva (C, 3)

III
-

IV
-

V
-

Osservazioni
Esistono in primis alcuni fattori di incertezza, perché non può
essere escluso che Laru, qui classificato come «Vornamengentile»
(cfr. supra), non rappresenti invece un caso ulteriore di cognome
impiegato secondariamente come gentilizio.
Più rilevanti sono le seguenti considerazioni generali. La classe
dei «Vornamengentilicia» (cfr. supra), per sé numericamente ridotta
(8 [7] esempi) rispetto al numero totale (39) delle formule onomasti-
che, non appare comunque esclusiva (o prevalente) per alcun insie-
me onomastico in cui è rappresentata (I-V), essendo presente in mo-
do non costitutivo o determinante negli insiemi I (5 [4]), II (2), III
(1) : non è possibile affermare su questa base che le liste relative sia-
no costituite da persone di «origine minore» o «parvenus» (cfr. su-

.
546 CARLO DE SIMONE

pra), ma solo che un numero limitato di persone partecipi della lista


lo sono (ma da quanto ?); non sappiamo comunque ovviamente
quale fosse, a questo livello cronologico ed a Cortona, il livello effet-
tivo di integrazione sociale e politica (nonché a livello connotativo
in relazione a nomi stessi) dei portatori di questi «Vornamengentili-
cia». Gli insiemi onomastici della T. C. non contengono dunque no-
mi di schiavi o comunque di cittadini di diritti minori.
I «Vornamengentilicia» mancano negli insiemi onomastici IV e
V, il che è spiegabile, perché questi hanno uno status particolare. In
IV si tratta di personaggi politicamente eminenti (Laru Cus u di Titi-
nei e Laris S alini di Aule), facenti parte dello «zilc-Amt» (magistrati
eponimi), che è verosimile provengano da antiche (e «degne») fami-
glie. Per i quattro nomi dell’insieme V la mancanza di menzione di
un «Vornamengentile» potrebbe essere occasionale (dato il numero
ristretto dei membri stessi), ma è anche possibile che i nomi in que-
stione siano membri di un «Amt funerario» 86, come tali di rango ele-
vato.
A risultati analoghi porta la statistica della distribuzione dei
«veri» gentilizi (cfr. supra) rispetto ai singoli insiemi onomastici (I-
V), che sono distribuiti in modo non differenziato rispetto ai mede-
simi : I (11), III (10), IV (2), V (4). Questi gentilizi non sono dei
«parvenus», ma sono famiglie di formazione antica (cfr. supra). Né
d’altra parte è possibile cogliere una differenziazione nella formula
onomastica stessa, nel senso dell’individuazione di un gruppo di no-
mi privi dell’indicazione del prenome paterno (patronimico), che
non è del resto obbligatoria in Etruria (membro facoltativo della for-
mula onomastica). Indicazioni patronimiche sono presenti in effetti
in I (4; 3 matronimici), II (3), III (3; 7 matronimici), IV (1; 1 matro-
nimico), V (2; 2 matronimici).
Un caso particolare, infine, è costituito dall’insieme onomastico
II («di Êpru sono») rappresentato da solo 5 denominazioni (il genti-
lizio del terzo nome non è ricostruibile). I primi due membri del-
l’insieme sono dei Cus u, cui si aggiungono Pêtru S cêva e la consorte
Arntlei. Va infine menzionato che probabilmente il personaggio
Vêlx e Cus u di Aule (V, 1) è probabilmente identico al Vêlx e Cus u di
Aule di I, 7 87.
Le altre categorie individuate, cioè gentilizi derivati da Cognomi
nonché Cognomi stessi (di rara attestazione nella T. C.), per cui cfr.
supra, rientrano nella norma delle nostre conoscenze onomastiche,
e non rendono necessaria una esplicazione specifica in questa sede.

86
Cfr. De Simone 2001-2002, p. 106.
87
Ibid.

.
L’ONOMASTICA PERSONALE DELLA TABULA CORTONENSIS 547

Non si presenta certo come privo di interesse, in sede conclusi-


va, un excursus sul nome della famiglia dei Cus u, che – comunque si
valuti la situazione generale – giocano un ruolo base nella T. C. Il
materiale relativo è facilmente reperibile, per sé, negli indici degli ET
(ET I) di H. Rix, con successivo controllo testuale nel secondo volu-
me (ET II).
Alla documentazione offerta dagli ET I-II inerisce, però, una
grave aporia di trascrizione : non appare spiegabile perché il segno
per sigma, che vale in Etruria settentrionale come <s >, venga tra-
scritto semplicemente come <s> nei casi seguenti : Cusnal 88, Cu-
snei 89, Cusnia 90, Cuslnei 91 ; queste notazioni (semplici errori di tra-
scrizione ?) sono in contrasto con quanto esposto nella tabella sinot-
tica sui segni e trascrizioni relative delle sibilanti 92, in cui il fonema
/s/ è dato correttamente come designato in ambito nord-etrusco dal
segno del sigma (e trascritto con la convenzione grafica relativa); il
fonema /s/ è rappresentato dal segno M (tsade), e trascritto in modo
corrispondente nell’ambito della stessa convenzione prescelta e mo-
tivata da Rix 93 : un semplice grafema <s> non dovrebbe dunque aver
funzione in Etruria settentrionale, e non viene comunque menziona-
to o giustificato da Rix. Perché si trascrive Cus u 94, ma poi Cuslnei
(cfr. supra), senza commento o specificazione alcuna? Nella discus-
sione che segue si è dunque operata la correzione grafica degli
esempi nord-etruschi del grafema <s>, trascritto ed inteso come /s/.
Il problema di fondo dell’analisi del nome dei Cus u ( : Cus u
u ura-) è costituito, in termini descrittivi, dal fatto che alle forme nor-
detrusche in /s/ (cfr. supra) corrispondono in Etruria meridionale at-
testazioni (cfr. infra) che presentano regolarmente sigma, come tali
da interpretare fonologicamente come Cus- (non Cus -). In questa si-
tuazione si aprono due possibilità : è pensabile che la variante nord-
etrusca (con <s >) rappresenti uno sviluppo secondario (s > s), e che
quindi si abbia di fatto una sola «Sippe» etimologica, in cui le forme
sudetrusche rappresenterebbero necessariamente allora la fase più
antica; questa possibilità non mi risulta oggi ben sostanziabile.
Si dà in questa sede, dunque, la preferenza alla tesi che le due
varianti (Cus- : Cus -) vadano distinte, e costituiscano di conseguen-
za una coppia minima, fenomeno del resto ben noto a livello lingui-

88
ET II, p. 261, Pe 1. 110.
89
ET II, p. 218, Cl 1. 1560.
90
ET II, p. 285, Pe 1. 873.
91
ET II, p. 302, Co. 1. 19.
92
Cfr. ET I, p. 39.
93
Ibid.
94
ET II, p. 301, Co 1. 5.

.
548 CARLO DE SIMONE

stico generale. Abbiamo, infatti, (le attestazioni sono facilmente re-


peribili negli ET – II).

Cus - :
1) Cus iu e, -es; -ui,-ial : Etnico, cfr. Cos(s)a, op. Etr. (cfr. Rut. Namat. I
286 : Cosae; Strabo V 222 : Ko¥ssan; V 225 : Ko¥ssai; Verg., Aen. X
168 : urbem Cosas; Mela II 72 : Cosa; Ptol. III 1, 4 : Ko¥ssai; Rav. IV
32, V, 2 : Cosa; cogn.[< etnico] lat. Cosānus)
2) Kus iuna (Gent, Arezzo, fine VI sec. a. C.)
3) Cus ine(i) (Gent femm [?], Chiusi, rec.)
4) Cu s nei, -nal, Cus nia (Gent femm; Perugia, Chiusi; rec.; cfr. supra)
5) Cus lnei (Gent femm, Cortona; rec.)
6) Cus u, -ui (Gent < Cogn; rec. ; cfr. supra)

I diversi derivati della radice cus - possono essere agevolmente


classificati ed ordinati in uno schema di formazione morfologica
etrusca, ma non conosciamo ovviamente il valore lessicale della radi-
ce. Alla base dei gentilizi vanno posti i prenomi maschili *Kus ie e*Ku
s e; da notare che la variante in -ie è semplicemente un doppione for-
male di -e, ed è stata creata per influenza dei prenomi latino-italici in
-i(y)os. Da *Kus ie è derivato regolarmente il gentilizio *Kus ie-na,
rappresentato ancora in età arcaica da Kus iuna (2); il corrispondente
neoetrusco da attendere è *Cusina, attestato probabilmente nella for-
ma del femminile Cus ine(i) (3) (ma non è escluso che la finale -ne stia
per -n(i)e che il gentilizio sia in effetti maschile, il che non cambia la
situazione). Dalla forma propriamente etrusca del prenome *Kus e si
deriva agevolmente il gentilizio *Kus e-na > *Cus na, -nei (-nia) atte-
stato sinora solo nelle forme sincopate e neoetrusche, con regolare
cancellazione di -e- : Cus nei,-nal (Cus nia) (4). (Esiste infine una va-
riante di diminutivo (che non comporta per sé cambio di funzione ca-
tegoriale) in -le del prenome *Cuse, corrispondente al diffuso tipo Ti-
te : Titele. Si tratta di *Kus e-le, da cui si spiega il gentilizio femminile
Cus lnei (5) < *Kus ele-na (femm -nai > -nei).
Lo schema derivazionale risultante è ben noto altrimenti in
etrusco e corrisponde ad un principio generale formativo di questa
lingua : -e : -u : -a, ciè *Kus e : Kus u : *Kus a; la variante morfologi-
ca in -a è documentata in questo caso solo a livello di pietrificato re-
litto toponomastico : Cos(s)a (cfr. 1), presupposto dall’etnico
Cus iu e; la geminata di alcune fonti relative (cfr. supra) dovrebbe ri-
flettere l’interpretatio latina di un tratto fonetico inerente alla realiz-
zazione del fonema palatale etrusco di base. Un toponimo prediale
derivato dal gentilizio ormai latino *Cusius è rappresentato da
Cugiano (fosso; Cinigiano, Grosseto) < *Cusiānus 95. Non va sotta-

95
Cfr. Pieri 1969, p. 104.

.
L’ONOMASTICA PERSONALE DELLA TABULA CORTONENSIS 549

ciuta l’esistenza di un toponimo che si presenta come formalmente


identico al toscano di cui supra (cfr. 1) : si tratta di Cossa, op. Oe-
notr., cfr. Hecat. presso Steph. Byz., s.v. Ko¥ssa; un fiume Ko¥sav è at-
testato per gli Ernici da Strabo, V 237 : oΩ Ko¥sav potamo¥v.
Le forme sudetrusche in Kus- sono le seguenti, tutte neoetru-
sche :
1) Cusina, -as (Gent masch, Volsinii, Tarquinia [x 3])
2) Cuslnei (Gent femm,Tarquinia)
3) Cusi (Gent masch, Volsinii)
4) Cusial (Gent femm, Caere)

La documentazione (neoetrusca) è parimenti facilmente inqua-


drabile storicamente, ma si presenta oggi come meno consistente
(lacunosa) della corrispondente settentrionale in *Kus -. Abbiamo in
primis ancora la dualità dei prenomi maschili *Kuse/*Kusie (cfr. su-
pra) : da *Kusie deriva *Kusie-na > Cusina (1), dalla variante isofun-
zionale diminutiva in -le (*Kuse-le) corrispondentemente *Kusele-na
> Cuslna, -nei (2). Dei «Vornamengentilicia» (cfr. supra) sono Cusi
(3; masch : *Cuse > Cusi(e)) e Cusial (4; femm :*Cuse > Cusi,-ial). La
varianti morfologiche *Cusu e *Cusa (cfr. supra), potenzialmente ri-
costruibili, non sono attestate. Va infine notato che i diversi gentilizi
latini quali Cusin(n)ius, Cusenius 96 possono essere considerati come
il riflesso sia di Cus- che di Cus -.

Carlo DE SIMONE

ABBREVIAZIONI BLIOGRAFICHE

Agostiniani – Nicosia 2000 = L. Agostiniani – Fr. Nicosia, Tabula Cortonen-


sis, Roma, 2000.
de Simone 1970 = C. de Simone, Die griechischen Entlehnungen im Etruski-
schen II, Wiesbaden, 1970.
de Simone 1998 = C. de Simone, La Tabula Cortonensis : tra linguistica e sto-
ria, in ASNP s. IV, III 1-2, Pisa, 1998, p. 1- 122.
de Simone 2001-2002 = C. de Simone, Il testo etrusco della Tabula Cor-
tonensis : un primo bilancio critico, in Ocnus 9-10, Bologna, 2001-2002,
p. 69-114.
E. T. = H. Rix, Etruskische Texte I-II, Tübingen, 1991.
Maggiani 2001 = A. Maggiani, Dagli archivi dei Cusu. Considerazioni sulla ta-
vola bronzea di Cortona, in Rivista di Archeologia XXV, Roma, 2001,
p. 94-113.

96
Cfr. Schulze, ZGLE2, p. 158.

.
550 CARLO DE SIMONE

Pellegrini 1993 = G. B. Pellegrini, Di alcuni continuatori toponomastici del


lat. «cella», in Omaggio a G. Folena III, Padova 1993, p. 2411-2417.
Pieri 1969 = S. Pieri, Toponomastica della Toscana meridionale (valli della
Fiora, dell’Ombrone, della Cècina e fiumi minori) e dell’arcipelago tosca-
no, Siena, 1969.
Poccetti 1979 = P. Poccetti, Nuovi documenti italici, Pisa, 1979.
Rix 1963 = H. Rix, Das etruskische Cognomen, Wiesbaden, 1963.
Rix 1991 = H. Rix, Etruskische Texte I-II, Tubinga, 1991.
Rix 2000 = H. Rix, Osservazioni preliminari ad una interpretazione dell’aes
cortonense, in IL 23, p. 11-31.
Roncalli 2002 = Fr. Roncalli, Aspetti redazionali della Tabula Cortonensis, in
La Tabula Cortonensis e il suo contesto storico-archeologico. Atti de-
ll’Incontro di studio 22 giugno 2001, Roma, Consiglio Nazionale delle Ri-
cerche, Roma, 2002, p. 43-52.
Schulze, ZGLE2 = W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Ber-
lino, 19332.
Untermann 2000 = J. Untermann, Wörterbuch des Oskisch-Umbrischen, Hei-
delberg, 2000.

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

app(ellativo) Matr(onimico)
Cogn(ome) Nom(inativo)
dim(inutivo) Patr(onimico)
femm(inile) Pren(ome)
Gen(itivo) rec(ente)
Gent(ilizio) s(ub) v(oce)
masch(ile)

.
FABIO STOK

ONOMASTICA / TOPONOMASTICA VIRGILIANA1

L’Eneide rivela una serie di interferenze fra onomastica e topo-


nomastica che in parte sono conseguenti al fenomeno dell’eponimia,
presente massicciamente nell’onomastica mitica e quindi nelle vi-
cende narrate dall’epica; in parte sono invece riconducibili a scelte
specifiche di Virgilio, delle quali non sono state sempre ben chiarite
le dinamiche ed i contesti. Mi soffermerò su alcuni di questi ultimi
casi, dopo qualche osservazione più generale sul fenomeno.
Le osservazioni che proporrò sono ovviamente circoscritte ad
un ambito particolare (e marginale) rispetto alle tematiche del pre-
sente convegno, quello dell’onomastica letteraria. Mi auguro che
questo contributo possa risultare proficuo non solo nell’ambito degli
studi virgiliani (che peraltro vedono un crescente interesse per l’ono-
mastica 2), ma anche in un ambito più ampio. Mi conforta, in questo
senso, lo sviluppo conosciuto in questi ultimi anni dall’onomastica
letteraria, in stretta correlazione con l’ambito più ampio degli studi
onomastici 3.
Il peso dei toponimi nell’onomastica virgiliana 4 è ben evidenzia-
to dal catalogo degli alleati di Turno (7, 641-817), dove 6 nomi di eroi
(su 14) coincidono o presuppongono nomi di monti, località, regioni
e fiumi : Aventinus, Catillus, Coras, Messapus, Ufens e Umbro. È an-
che in relazione a questa serie onomastica che Servio afferma, pren-
dendo lo spunto dal Massicus dell’altro catalogo eneadico, quello de-
gli alleati di Enea, che sane sciendum Vergilium Italis ducibus dare
nomina vel fluviorum vel montium (ad Aen. 10, 166 : cita anche Aven-
tinus, presente nel catalogo in esame).

1
Ringrazio Paolo Poccetti, Carlo Santini e Riccardo Scarcia per le osserva-
zioni proposte in sede di dibattito, e Sergio Casali per la sua attenta lettura del te-
sto di questo intervento.
2
Fra i numerosi lavori apparsi negli ultimi anni (ne citerò alcuni oltre) spic-
cano i due volumi di O’Hara 1996 e di Paschalis 1997.
3
Mi riferisco in particolare ai convegni che si svolgono da alcuni anni in Ita-
lia su «onomastica e letteratura» e alla pubblicazione (dal 1999) della rivista Il
nome nel testo.
4
Sulle cui dimensioni e tipologia vedi i dati forniti da Scarsi 1987, p. 851-53.

.
552 FABIO STOK

La correlazione personaggio / toponimo è esplicita, nella serie


citata, solo nel caso di Aventinus, figlio di Ercole e di Rhea sacerdos,
partorito collis Aventini silva (7, 659). È apparso incerto, per questo
caso, se sia il personaggio a dare il nome al colle o viceversa 5, ma si
tratta più verosimilmente di un falso problema, in quanto la soluzio-
ne virgiliana presuppone la conoscenza delle ipotesi alternative,
quella dell’etimologia del nome del colle ab avibus (alla quale peral-
tro probabilmente allude a 8, 235, dirarum nidis domus opportuna
volucrum, dove gli uccelli sono diri per la contiguità della spelunca
di Caco), e quella dell’eponimia dall’Aventinus re albano (probabil-
mente la versione vulgata : la ribadisce Ovidio a fast. 4, 51-52). Sul
piano narrativo si può anche ammettere, con Castagnoli 6, che Virgi-
lio intendesse retrodatare l’eponimia del colle, ma la presenza di
Rhea, sorprendente duplicazione del mito romuleo, fa pensare ad
un’operazione allusiva 7 alla quale non è forse estraneo il nome di
Aventinus (Serv. ad Aen. 7, 657 attesta un’etimologia varroniana che
riporta anch’essa all’età romulea : il nome deriverebbe da quello del
fiume sabino Avens, e sarebbe stato dato al colle dai Sabini all’epoca
della conciliazione fra Romolo e Tito Tazio).
Per gli altri eroi del catalogo citati sopra Virgilio non fa cenno
alcuno alla toponomastica che i loro nomi evocano.
Nel caso di Catillus e Coras la correlazione non pone problemi,
in quanto rinvia ad eponimie di area tiburtina, che è quella di com-
petenza dei due personaggi (Serv. ad Aen. 7, 672 mette in relazione
i due nomi rispettivamente con il mons Catillus e con la località di
Cori).
Le cose non stanno così per altri nomi del catalogo virgiliano,
che rinviano invece a toponimi estranei alle coordinate geografiche
loro assegnate dalla narrazione. Il caso più noto è quello di Messa-
pus, che nel catalogo è a capo del contingente fornito da popoli stan-
ziati a sud dell’Etruria (Fescennini, Falisci e altri : cfr. 7, 695-697).
Ma il nome dell’eroe è quello dell’eponimo beota della Messapia, in
area pugliese. All’area in cui è collocato Messapus ci si sarebbe
aspettati di veder attribuito Halaesus, eponimo dei Falisci (cfr. Serv.
ad Aen. 7, 695 probabilmente da Catone), che nel catalogo è a capo,
invece, di truppe provenienti dalla Campania settentrionale (Aurun-
ci, Osci e altri : cfr. 7, 726-730).

5
Questione dibattuta già dall’esegesi antica : la prima ipotesi in Servio ad
Aen. 7, 659, che teneva conto dell’etimologia ab avibus suggerita da Aen. 8, 235 ed
anche di altre etimologie di cui disponeva (cfr. ad Aen. 7, 657), la seconda ipotesi
è in Giovanni Lido de mag. 1, 34.
6
Cfr. Castagnoli 1984, p. 430.
7
Cfr. O’Hara 1996, p. 193.

.
ONOMASTICA / TOPONOMASTICA VIRGILIANA 553

Non mi soffermerò su questo caso, ma su un altro meno studia-


to ma del tutto analogo, in quanto interessa anch’esso una coppia di
nomi. Ufens e Umbro portano nomi di fiumi, Ufens quello dell’omo-
nimo fiume (odierno Ufente) che scorre nel Lazio meridionale e
sbocca nel Tirreno nei pressi del Circeo; al nome di Umbro corri-
sponde invece il nome del fiume (odierno Ombrone) che attraversa
l’Etruria meridionale e sfocia nel Tirreno non lontano dall’odierna
Grosseto (non è rilevante l’esistenza di un altro Umbro/Ombrone,
ancora in area etrusca, affluente destro dell’Arno, nell’odierna pro-
vincia di Pistoia). Si tratta di personaggi, va precisato, non attestati
altrove e che possiamo quindi considerare «Virgilian inventions» 8,
nel senso che deve esser stato Virgilio ad assegnare loro i due nomi
di fiumi.
Il problema, anche in questi due casi, è che non c’è correlazione
diretta fra i fiumi in questione e le aree di provenienza dei due per-
sonaggi : rispettivamente l’area appenninica del Lazio occupata da-
gli Equicoli e quella occupata dai Marsi (l’odierno Abruzzo). Ufens è
connotato come guerriero, in aderenza alle caratteristiche della re-
gione montagnosa da cui proviene (7, 744-745 : et te montosae mise-
re in proelia Nersae, / Ufens, insignem fama et felicibus armis) e della
relativa popolazione (746-747 : horrida praecipue cui gens adsueta-
que multo / venatu nemorum, duris Aequicula glaebis). Umbro è sa-
cerdote-guerriero, inviato dal re Archippus (cfr. vv. 750-752 : eponi-
mo 9, si direbbe, di Archippe, la città del Fucino che sarebbe stata
sommersa dal lago, cfr. Plin. Nat. 3, 108). Per le sue abilità incanta-
trici evoca tradizioni marsiche (segnalate da Porph. Hor. Epod. 5,
75-76; Serv. ad Aen. 7, 750 le interpreta come circee)10 ; per altri
aspetti ricalca la figura dell’eroe-medico della tradizione epica11.
L’esegesi ha tentato variamente di porre rimedio a queste aporie
«geo-onomastiche» del catalogo. Per l’anomala presenza di Messa-
pus fra i Falisci, Serv. ad Aen. 7, 691 suggerisce un’allusione ad En-
nio (che si voleva discendente del Messapo iapigio); ipotesi forse
troppo affrettatamente scartata da Heyne, che pensava piuttosto che
Virgilio avesse recuperato una tradizione a noi ignota12. Per Ufens lo
stesso Heyne segnala l’ipotesi per cui fluvium eodem nomine in Ae-
quiculis fuisse13 (ma Virgilio a 7, 802 cita l’Ufens fiume più noto, cor-

8
Cfr. Horsfall 2000, p. 419.
9
Non altrimenti testimoniato : cfr. Letta 1972, p. 61.
10
Cfr. Scarcia 1971, p. 15-44; Letta, 1972, p. 95-97.
11
Cfr. Stok 1988, p. 128-29.
12
Nell’excursus VIII al libro VII (p. 170 dell’ed. Heyne Wagner, Lipsiae 1831
repr. Hildesheim 1968).
13
Ivi, p. 174.

.
554 FABIO STOK

rettamente per l’area occupata dai Rutuli, gelidusque per imas / quae-
rit iter vallis atque in mare conditur Ufens; non è mai citato nell’Enei-
de, invece, il fiume Umbro).
Non mi soffermo sulla spiegazione che si legge più frequente-
mente nei commenti moderni, quella della «libertà» poetica, per cui
Virgilio prescinderebbe o non si curerebbe della precisione geografi-
ca14 (ma la scelta dei nomi/toponimi, come abbiamo visto, appare
tutt’altro che casuale, anche se problematica). Non prendo in consi-
derazione neppure alcune soluzioni ad hoc del tipo di quella escogi-
tata, per il caso di Messapus / Halaesus, da Perret, che emendò il te-
sto virgiliano in modo da ricostruire le connessioni «corrette» fra gli
eroi e i rispettivi toponimi15 (già di per sé discutibile, l’ipotesi è del
tutto improbabile in considerazione della storia della tradizione ma-
noscritta virgiliana).
Merita maggiore attenzione uno degli interventi più frequente-
mente citati per i problemi in esame, quello della Saunders16. Par-
tendo dall’ipotesi che abbiamo già visto prospettata (per il caso di
Messapus) da Heyne, la Saunders ritiene che Virgilio possa aver ri-
preso tradizioni diverse da quelle vulgate a noi pervenute : nel caso
di Messapus valorizzando un legame fra l’area falisca e quella illirica
evocata dal nome del personaggio; nel caso di Ufens recuperando
l’accostamento corrente, nella storia romana, fra gli Equi (il popolo
di Ufens) e i Volsci (nella cui area scorre il fiume Ufens); nel caso di
Umbro, infine, sottintendendo una sua origine etrusca, in considera-
zione del fatto che a 7, 750 si afferma solo che egli Marruvia venit de
gente, e non che egli appartenga a questo popolo17. Virgilio, in altri
termini, potrebbe aver utilizzato i nomi/toponimi per alludere ad
una serie di connessioni etniche non esplicitate nel catalogo, ma in
qualche modo presenti nella tradizione antiquaria.
In modo più sistematico l’idea di un valore allusivo dei nomi/
toponimi era già stata prospettata qualche anno prima dalla Hol-
land, per cui i riferimenti geografici «indiretti» (cioè evocati
dall’onomastica) disegnerebbero una vera e propria «ghost map»,
completando il quadro della geografia italica con aree e regioni non
direttamente coinvolte nel conflitto18. L’ipotesi è suggestiva e in alcu-
ni dei casi citati plausibile (in quello di Umbro il nome del personag-
gio evocherebbe gli Umbri, popolo altrimenti del tutto assente nella

14
Così Rehm 1932, p. 95; per Messapus anche Horsfall 2000, p. 452 (anche
Horsfall 1987, p. 495).
15
Cfr. Perret 1974, p. 557-68 (ipotesi non scartata da Garbugino 1984, p. 90).
16
Cfr. Saunders 1940, p. 548-49. Di carattere compilatorio i lavori di Torran-
ce 1926 e Montenegro Duque 1949.
17
Saunders 1940, p. 548-49.
18
Adams Holland 1935, p. 202-15.

.
ONOMASTICA / TOPONOMASTICA VIRGILIANA 555

geografia etnica eneadica19, se si prescinde dall’enigmatico canis


Umber di 12, 753), ma in altri no : il fiume Ufens, come abbiamo vi-
sto, è citato in un contesto geografico adeguato, e non si capisce per-
ché Virgilio dovesse ri-evocarlo con l’omonimo eroe.
Una caratteristica del catalogo «italico» che è stata giustamente
evidenziata è quella del suo carattere individualistico e disordinato,
adeguato al disordine dell’Italia preromana e in «deliberate assyme-
try» 20 con l’ordine che caratterizza il catalogo degli alleati di Enea,
che prefigura invece l’ordine e la disciplina romana. Già Macrobio,
del resto, rimproverava a Virgilio il disordine «geografico» di questo
catalogo, rispetto al modello omerico (Sat. 5, 15, 4 : Vergilius nullum
in commemorandis regionibus ordinem servat sed locorum seriem sal-
tibus lacerat).
Ma è un «disordine», questo del catalogo del VII, comunque in
qualche modo «ordinato», in considerazione non solo del suo carat-
tere grosso modo alfabetico 21 ma anche di altre simmetrie che sono
state in parte segnalate dalla critica più recente. Ufens ed Umbro, re-
stando ai nomi/toponimi che più ci interessano, per diversi aspetti
formano una coppia, cioè sono percepibili dal lettore come una cop-
pia : ovviamente per il fatto che ambedue portano nomi di fiumi
(ma su questo tornerò oltre); per la contiguità alfabetica (stessa let-
tera iniziale), che giustifica la loro contiguità nel catalogo; per il co-
mune destino nel prosieguo del poema, che li vede ambedue cadere
di fronte al nemico, Umbro nel libro X, veniens Marsorum montibus
Umbro / Dardanides contra furit (vv. 544-545), Ufens nel XII, fra le
vittime di Gyas (vv. 459-460 : obtruncat ... Ufentemque Gyas). Non è
secondario il fatto che ambedue i personaggi ricompaiano nel poe-
ma, nel momento in cui sono uccisi (una delle critiche formulate a
Virgilio da Macr. Sat. 5, 15, 17 era che in catalogo nominatos praeterit
in bello et alios nominat ante non dictos). È da notare, ancora, che in
ambedue i casi la morte dei due personaggi è ricordata anche in un
ulteriore contesto del poema : quella di Umbro nel catalogo, con
un’ironica notazione sull’impotenza che sarebbe stata dimostrata in
questa occasione dalle sue arti mediche e risanatrici (7, 756-758 :
non Dardaniae medicari cuspidis ictum / evaluit, neque eum iuvere in
volnera cantus / somniferi et Marsis quaesitae in montibus herbae : si
notino le precise corrispondenze con 10, 544-545, Marsorum monti-
bus e Dardanides); quella di Ufens da Turno a 12, 641-642 (occidit in-
felix ne nostrum dedecus Ufens / aspiceret). Un destino parallelo, in

19
Cfr. Stok 1997, p. 590-94.
20
Cfr. Saylor 1974, p. 249.
21
Cfr. Cook, 1919, p. 103-04. Sulla discussione relativa cfr. Scarcia 1984,
p. 700-04.

.
556 FABIO STOK

definitiva, rimarcato «chiasticamente», per un eroe con l’annuncio


della morte, per l’altro con il ricordo di essa.
Un ulteriore elemento di accostamento fra i due personaggi, da
connettere con il citato loro destino «parallelo», è stato segnalato da
Paschalis, nell’etimologia dei due nomi : Ufens dal greco oy + fa¥ov,
Umbro da umbra 22. Ambedue i nomi, quindi, evocano proletticamen-
te quel mondo dei morti a cui sono destinati già nel momento in cui
sfilano nel catalogo. Per Ufens Paschalis rinvia, a sostegno dell’eti-
mologia, ad un altro luogo eneadico in cui è citato il personaggio,
10, 517-520 : Sulmone creatos / quattuor hic (scil. Aeneas) iuvenes, to-
tidem, quos educat Ufens, / viventis rapit, inferias quos immolet um-
bris / captivoque rogi perfundant sanguine flammas; il rinvio alle um-
brae (anche se per i figli di Ufens, e non per lui stesso), ed ancora l’a-
tra palus di Satura a cui è accostato il gelidus Ufens (fiume, questa
volta) a 7, 801-802 (cit. sopra), confermerebbero, per Paschalis 23, l’e-
timologia (evocando atra palus, ovviamente, lo Stige).
Per la tesi di Paschalis è indifferente la discussione esegetica su-
scitata dal citato 10, 517-520, fra quanti ritengono che si tratti del-
l’Ufens eroe del catalogo, e quanti intendono invece il fiume, della
cui area sarebbero originari i quattro giovani destinati al sacrificio 24
(anche l’altro nome/toponimo citato nell’episodio, Sulmo, pone lo
stesso problema; e si noti che anche Sulmo è il nome di un eroe già
ucciso in precedenza, in questo caso da Niso, cfr. 9, 411-413). Possia-
mo considerare il problema irrilevante anche dal nostro punto di vi-
sta, che è quello dell’interrelazione fra onomastica e toponimia.
Converrà segnalare, però, che l’accostamento Ufens / Sulmo pone
anch’esso interrogativi di congruenza geografica (tanto che si è talo-
ra considerato il secondo, anche in questo caso per ripristinare la
congruenza geografica, «eponimo di una località rutula non lontana
dall’Ufente, e non della città Peligna» 25). Consideriamolo un accop-
piamento che si affianca e si interseca con quello fra Ufens e Umbro,
e peraltro non l’unico (un ulteriore accostamento è proposto da Pa-
schalis, per ovvia contiguità etimologica, fra ambedue i personaggi
ed un terzo eroe del catalogo, Caeculus 26).
Torniamo quindi alla coppia Ufens / Umbro. Gli elementi di con-
trasto fra i due personaggi non ne inficiano l’accostamento, anzi lo
confermano, in quanto delineano la tradizionale coppia del guerrie-
ro giovane e di quello anziano : il giovane è Ufens, insignis fama et
felicibus armis (7, 745; per contrasto infelix nel ricordo di Turno a

22
Cfr. Paschalis 1997, p. 353.
23
Paschalis 1997, p. 270 e 353 e n.
24
Cfr. Fo 1990, p. 355.
25
Cfr. Fo 1988, p. 1068.
26
Paschalis 1997, p. 367.

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ONOMASTICA / TOPONOMASTICA VIRGILIANA 557

12, 641); evidentemente anziano (anche se ancora fortissimus) è Um-


bro, sacerdos inviato in guerra dal suo re (forse malvolentieri, come
suggerisce Paschalis 27). Umbro, per questo aspetto, appartiene alla
categoria dei sacerdoti-guerrieri del tipo di Anfiarao e, nell’Eneide,
di Laocoonte e dell’etrusco Tolumnius, forse non casualmente citato
subito dopo Ufens nel mini-catalogo degli Italici uccisi in battaglia 28
(la coppia Ufens/Tolumnius appare omologa, in questo contesto, a
quella Ufens/Umbro).
Quale ruolo hanno, nell’economia della coppia Ufens/Umbro, i
riferimenti geografici evocati dai due personaggi? Qualche analogia
è suggerita certamente dai contesti geografici da cui essi provengo-
no : Ufens è inviato in battaglia dalla montosae Nersae (7, 744), men-
tre Umbro raccoglie erbe medicinali sui Marsi montes (7, 758).
Ma l’accostamento più forte è costituito ovviamente dai nomi
che portano, e che certamente evocano i corrispondenti idronimi.
L’interrogativo che si pone, a questo punto, è se la scelta dei due
idronimi sia da considerarsi casuale o tutt’al più finalizzata ad evi-
denziare connotazioni geoetniche «secondarie», del tipo di quelle
che abbiamo visto ipotizzate per Umbro (ma non mi risulta esser
state formulate ipotesi corrispondenti per Ufens).
L’ipotesi che proporrei è che i due idronimi siano funzionali
all’«accoppiamento» fra i due personaggi in quanto evocano ambe-
due fiumi «di confine» dell’antico Lazio. Non confini storicamente
attestati, ovviamente, ma confini immaginari dell’Italia arcaica, ade-
guatamente alla funzione di confine assegnata tradizionalmente ai
corsi d’acqua 29. L’Ombrone e l’Ufente, si ricordi, sono tuttora i più
significativi corsi d’acqua che scorrono, rispettivamente, a nord e a
sud del Tevere. In una prospettiva geografica che ha come centro
Roma, quindi, i due fiumi appaiono in qualche modo correlati fra
loro, e nel contesto eneadico rafforzano l’accostamento fra i due per-
sonaggi (funzione che non ci sarebbe stata se per i nomi dei due per-
sonaggi fossero stati utilizzati idronimi o toponimi «adeguati», cioè
di fiumi o località delle loro aree di provenienza).
Ad ulteriore sostegno dell’ipotesi proposta, esamino un secondo
caso di nomi/toponimi virgiliani che presenta elementi di strettissi-
ma analogia con quello della coppia Ufens/Umbro. Anche in questo
caso abbiamo infatti a che fare con una coppia di nomi/idronimi :
Almo e Galaesus.
Nel libro VII la pace è rotta, com’è noto, dall’uccisione del cervo
di Silvia ad opera di Ascanio (7, 483 sgg.). Silvia è una sorta di sinte-

27
Paschalis 1997, p. 271.
28
Su altri due nomi di questo catalogo cfr. Reed 1985, 399-418.
29
Come propone, ma per la coppia di idronimi che esamineremo fra poco,
Santini 1993, p. 76.

.
558 FABIO STOK

si fra il Silvius figlio di Enea (anch’esso minacciato da Ascanio, se-


condo la tradizione previrgiliana) e la Rhea Silvia madre di Romolo
e Remo (ed anche, se si vuole, della Rhea madre di Aventinus a cui
abbiamo accennato sopra). Al ritorno del cervo ferito fanno seguito i
primi scontri e le prime vittime, fra i quali il giovane Almo, figlio di
Tyrrhus e fratello di Silvia, e l’anziano Galaesus. Cfr. 7, 531-539 :
Hic iuvenis primam ante aciem stridente sagitta,
natorum Tyrrhi fuerat qui maximus, Almo,
sternitur; haesit enim sub gutture vulnus et udae
vocis iter tenuemque inclusit sanguine vitam.
Corpora multa virum circa seniorque Galaesus,
dum paci medium se offert, iustissimus unus
qui fuit Ausoniisque olim ditissimus arvis :
quinque greges illi balantum, quina redibant
armenta et terram centum vertebant aratris.
I due caduti sono connotati come giovane (iuvenis) e vecchio
(senior). Diversamente dal caso di Ufens/Umbro, in cui l’elemento
anziano della coppia è qualificato come sacerdos, in questo caso si
tratta di un personaggio ricco e imbelle : è ucciso mentre cerca di
portare la pace.
Ambedue i personaggi, anche in questo caso, portano nomi di
fiumi, il primo di un breve affluente di sinistra del Tevere (cursu bre-
vissimus Almo per Ov. met. 14, 329), in corrispondenza dei colli Al-
bani (odierno Acquataccio 30); il secondo di un non ben identificato
torrente che sfocia nel golfo di Taranto (forse l’odierno Citrezze 31).
Che i due nomi siano tratti dagli idronimi era chiaro già all’esegesi
antica : per Almo Servio annota : bene rustici nomen usurpavit a flu-
vio (ad Aen. 7, 532; cfr. anche ad Aen. 10, 106 fra gli esempi di nomi
tratti da toponimi).
Un ulteriore elemento di analogia con la coppia Ufens/Umbro è
costituito dalla «ricomparsa» narrativa dei due personaggi (anche se
come cadaveri), cfr. 7, 573-575 :
Ruit omnis in urbem
pastorum ex acie numerus caesosque reportant
Almonem puerum foedatique ora Galaesi.
La scena conferisce tratti patetici ad ambedue i personaggi (per
Galaesus lo nota già Macr. 4, 4, 3, per Almo Serv. ad Aen. 7, 531) : Al-
mo in quanto puer, Galaesus perché colpito al volto mentre «si offri-
va alla pace» (cfr. il v. 536); Galaesus è peraltro iustissimus (v. 536)
come un’altra figura patetica, Rifeo (2, 426) 32.

30
Cfr. Scarsi 1984, p. 116.
31
Cfr. La Penna 1985, p. 627-28.
32
Cfr. Mazzocchini 2000, p. 326.

.
ONOMASTICA / TOPONOMASTICA VIRGILIANA 559

Quale rapporto hanno, con queste connotazioni della coppia, i


due nomi di fiumi assegnati ai due personaggi?
Il nome di Galaesus è certamente adeguato al suo ruolo di pro-
prietario terriero : l’etimologia da ga¥la, come ha osservato Pascha-
lis, trova riscontro nei suoi greges balantum (v. 538). L’etimologia è
sicura anche a Georg. 4, 126 dove il fiume, per aprsdo¥keton, è ac-
compagnato dall’epiteto di niger 33. Il riferimento al contesto delle
Georgiche è rilevante anche sul piano narrativo, in quanto Galaesus
appare assimilabile al senex Corycius (e, tramite questi, anche al pa-
stor Tityrus delle Bucoliche 34).
L’etimologia del nome di Almo riconduce invece all’aggettivo al-
mus e potrebbe quindi essere correlato con il ruolo di «nutritore»
del cervo di Silvia esercitato dello stesso Almo e dei suoi fratelli a 7,
484-485, Tyrrhidae pueri quem (scil. cervum) matris ab ubere raptum
nutribant 35. Almo era il più anziano dei Tyrrhidae : natorum Tyrrhi
fuerat qui maximus (v. 532), dove il piuccheperfetto ne annuncia
proletticamente la scomparsa 36 (i Tyrrhidae iuvenes, ma evidente-
mente privi di Almo, ricompaiono a 9, 29 nell’esercito di Turno). Pa-
schalis aggiunge la correlata etimologia di Tyrrhus da tyro¥v e l’ab
ubere (v. 484), che evocano anch’essi il latte.
Come nel caso di Ufens/Umbro, quindi, i nomi evocano etimolo-
gie funzionali al ruolo dei personaggi che formano la coppia, ed an-
che in questo caso convergenti : se in quel caso esse suggerivano il
destino funesto degli stessi, in questo di Almo/Galaesus le etimologie
convergenti (il latte come nutrimento) ne evidenziano il ruolo pacifi-
co e «pastorale». «By giving these names to the first fatalities», ha
osservato Putnam, «Virgil suggests the death of the landscape and of
what nourishes it that comes through war» 37
Resta da definire, nel caso di Almo/Galaesus, la «logica» geogra-
fica della scelta dei due idronimi. Per Santini, come ho già segnalato
sopra, i due riferimenti identificherebbero i confini della guerra che
sta per scoppiare, «l’area spaziale interessata dallo scontro, da un la-
to sul versante tirrenico l’Almone ... su quello adriatico-ionico, il Ga-
leso» 38. La correlazione appare meno evidente, però, di quella ipotiz-
zabile fra l’Ufente e l’Ombrone : non è chiaro il ruolo liminare che
sarebbe assegnato all’Almone né perché venga coinvolto il lontano
fiume tarentino.

33
Cfr. Annibaldis 1985, p. 628.
34
Cfr. Thomas 1992, p. 69.
35
Cfr. Paschalis 1997, p. 264.
36
Cfr. Horsfall 2000, p. 350.
37
Cfr. Putnam 1998, p. 112.
38
Santini 1993, p. 77.

.
560 FABIO STOK

Preferirei pensare che i due idronimi, più che avvalorare la cor-


relazione narrativa fra i due personaggi (evidente di per sé, a diffe-
renza dell’altro caso, in cui Ufens ed Umbro fanno parte di un catalo-
go), o meglio oltre ad avere questa funzione, evochino le connotazio-
ni specifiche dei personaggi stessi. Nel caso di Galaesus la
provenienza da un’area, quella tarentina, topicamente ricca e pacifi-
ca (Taranto è una delle città tradizionalmente associate alla tryfh¥),
adeguatamente al carattere del personaggio. Il caso di Almo le corre-
lazioni appaiono meno chiare, ma mi sembra comunque molto pro-
babile che esso evocasse, nel lettore dell’Eneide, la sacralità del fiu-
me : in questo corso d’acqua, infatti, veniva effettuato annualmente
il lavaggio rituale della statua della Magna Mater (per cui l’Almone
era il corrispettivo laziale dell’asiatico Gallo). Se l’evocazione del Ga-
leso dava l’idea della pace georgica turbata dallo scoppio della guer-
ra, quella dell’Almone getta sul conflitto (e su colui che l’ha provoca-
to) un’ombra di profanazione.

Fabio STOK

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Adams Holland 1935 = L. Adams Holland, Place Names and Heroes in the Ae-
neid, in American Journal of Philology 56, 1935, p. 202-15.
Annibaldis 1985 = G. Annibaldis, s.v. Galeso, in Enciclopedia Virgiliana II,
Roma 1985, p. 628.
Castagnoli 1984 = F. Castagnoli, s.v. Aventino, in Enciclopedia Virgiliana I,
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Cook 1919 = A. B. Cook, Virgil, Aen. VII 7, 641 ff. in Classical Review 33, 1919,
p. 103-04.
Fo 1988 = A. Fo, s.v. Sulmone, in Enciclopedia Virgiliana IV, Roma 1988,
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Fo 1990 = A. Fo, s.v. Ufente in Encicopedia Virgiliana V*, Roma 1990, p. 354-
55.
Garbugino 1984 = G. Garbugino, s.v. Aleso, in Enciclopedia Virgiliana I, Ro-
ma 1984, p. 90.
Horsfall 1987= N. Horsfall, s.v. Messapo, in Enciclopedia Virgiliana III, Roma
1987, p. 495.
Horsfall 2000 = N. Horsfall, Virgil, Aeneid 7. A Commentary, Leida, 2000.
La Penna 1985 = A. La Penna, s.v. Galeso, in Enciclopedia Virgiliana II, Ro-
ma, 1985, p. 627-28.
Letta 1972 = C. Letta, I Marsi e il Fucino nell’antichità, Milano, 1972.
Mazzocchini 2000 = P. Mazzocchini, Forme e significati della narrazione bel-
lica nell’epos virgiliano, Fasano, 2000.

.
ONOMASTICA / TOPONOMASTICA VIRGILIANA 561

Montenegro Duque 1949 = A. Montenegro Duque, La onomástica de Virgilio


y la antigüedad preitálica I, Salamanca, 1949.
O’ Hara 1996 = J. J. O’Hara, True Names. Virgil and the Alexandrian Tradition
of Etymological Wordplay, Ann Arbor, 1996.
Paschalis 1997 = M. Paschalis, Virgil’s Aeneid. Semantic Relations and Proper
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Perret 1974 = J. Perret, Halaesus ou Messapus (à propos d’Aen. VII, 641-817),
in Mélanges de philosophie, de littérature et d’histoire ancienne offerts à
Pierre Boyancé, Roma, 1974, p. 557-68.
Putnam 1998 = M. C. J. Putnam, Virgil’s Epic Designs. Ekphrasis in the Ae-
neid, New Haven-Londra, 1998.
Reed 1985 = J. D. Reed, The Death of Osiris in Aeneid 12.458, in American
Journal of Philology 119, 1985, p. 399-418.
Rehm 1932 = B. Rehm, Das geographische Bild des alten Italien in Vergils Ae-
neis, in Philologus Supplementband 24 (H. 2), 1932.
Santini 1993 = C. Santini, Il fiume come codice locale a più funzioni : Varrone
– Virgilio – Plinio il Vecchio, in Il territorio 9, 1993, p. 73-85.
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Virgil’s Aeneid, in Transactions and Proceedings of the American Phil. As-
soc. 71, 1940, p. 537-545.
Saylor 1974 = Ch. F. Saylor, The Magnificent Fifteen : Virgil’s Catalogues of
the Latin and Etruscan Forces, in Classical Philology 69, 1974, p. 249-
257.
Scarcia 1971 = R. Scarcia, Marsi monumenta clientis, in Abruzzo 9, 1971,
p. 15-44.
Scarcia 1984 = R. Scarcia, s.v. catalogo, Enciclopedia Virgiliana I, Roma,
1984, p. 700-04.
Scarsi 1984 = M. Scarsi, s.v. Almone, in Enciclopedia Virgiliana I, Roma,
1984, p. 116.
Scarsi 1987 = M. Scarsi, s.v. Onomastica, in Enciclopedia Virgiliana III, Ro-
ma, 1987, p. 849-853.
Stok 1988 = F. Stok, Percorsi dell’esegesi virgiliana, Pisa, 1988.
Stok 1997 = F. Stok, La genealogia Umbra di Varrone in F. Bonamente e
F. Coarelli (a cura di), Assisi e gli Umbri nell’Antichità. Atti del Convegno
Internazionale Assisi 18-21 dicembre 1991, Assisi, 1997, p. 571-594.
Thomas 1992 = R. Thomas, The Old Man Revisited : Virg., Georg. 4, 116-48, in
MD 29, 1992, p. 35-70.
Torrance 1926 = C. Torrance, The Names of the Warriors in Vergil’s Aeneid
VII-XII, diss., University of Chicago, 1926.

.
.
CARLO SANTINI

MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI


DI ALCUNI OPPIDA NEI COMMENTI
DI SERVIO ALL’ENEIDE

La presente indagine di ‘onomastica letteraria’ si concentra sul-


l’analisi di un campione della glossa serviana relativamente alle eti-
mologie di alcuni oppida menzionati nel libro settimo dell’Eneide, li-
bro dal marcato profilo etnogeografico soprattutto nella parte finale
che concerne il catalogo della parata delle truppe italiche che sfilano
per la ormai imminente guerra dei Latini contro i Troiani. Al mo-
mento di esporre questa relazione ho potuto avvalermi per cortesia
del filologo del nuovo testo della edizione del libro settimo predispo-
sto da Giuseppe Ramires, già editore della glossa serviana del libro
nono dell’Eneide1, testo che ora è pubblicato presso la casa editrice
Pàtron 2.
Parlare di glossa in senso lato implica riferirsi sempre alle due
redazioni, il Servio vulgato e il Servio auctus, o anche Danielino,
nelle quali ci è giunto il Commentarius virgiliano. Giorgio Brugnoli
nella disamina complessiva redatta per il lemma della Enciclopedia
Virgiliana 3 segnala il dato del tutto assodato che con tali redazioni
siamo in presenza di «due grossi e importanti tentativi di esegesi vir-
giliana», a proposito dei quali, ferma restando l’incertezza e l’oscuri-
tà sulle fonti da cui dipendono, si può tuttavia rilevare la divergenza
«per la varietà degli scorci culturali affrontati», risultando sul ver-
sante del Servio auctus una maggiore raffinatezza per le soluzioni
interpretative, non disgiunta da quella che si può definire una pro-
pensione a complicare 4 artificiosamente l’esegesi e da un più spicca-
to interesse antiquario. I due commenti di Virgilio si confermeranno
quindi in seguito a questa indagine come collettori di un patrimonio
assai esteso di testimonianze etimologiche proveniente dalla cultura

1
Servio, Commento al libro IX dell’Eneide di Virgilio. Con le aggiunte del co-
siddetto Servio Danielino, edizione critica a cura di G. Ramires, Bologna, 1996.
2
Servio, Commento al libro VII dell’Eneide di Virgilio. Con le aggiunte del co-
siddetto Servio Danielino, introduzione, bibliografia, edizione critica a cura di
G. Ramires, Bologna 2003.
3
Il lemma sta nel quarto volume, p. 805-813.
4
Timpanaro 1986, p. 149.

.
564 CARLO SANTINI

antiquaria del mondo antico, anche se è inutile nascondersi l’etero-


geneità dei materiali linguistici traditi.
L’indagine di Anne Uhl, dedicata alle annotazioni di lingua e sti-
le presenti nel commento di Servio 5, riserva un capitolo al tema del-
l’etimologia e della semantica nel commento virgiliano; la studiosa a
sua volta si ricollega ai lavori di W. P. Mustard 6 e di M. Amsler 7 dei
quali conferma l’utilità nell’indicare le direttrici seguite da Servio
nel campo della etimologia. Delle principali categorie etimologiche
reperibili nel commento il primo posto è rappresentato dal parame-
tro che fonda l’interpretazione di un vocabolo sulla lingua greca 8.
Nell’ambito dei nomi propri, nulla, come osserva Mustard, «al-
lows freer play to popular etymologizing than proper names, for no
part of language is more difficult to explain» 9, tale soluzione appare
applicata a vari toponimi come, ad esempio, nei casi di Aen. 7,1 AE-
NEIA NVTRIX ... lectum tamen est in philologis in hoc loco classem
Troianorum casu ibi [ibi add. Ramires] concrematam, unde Caieta
dicta est, aßpoù toỹ kaı¥ein ; Aen. 7,630 ATINA POTENS civitas haec iux-
ta Pomptinas paludes est [est iuxta Pomptinas paludes Thilo], dicta
Atina a morbis, qui graece a¶tai dicuntur, quas [quas Ramires; quos
Thilo] paludis vicinitas creat; Aen. 7,662 GERYONE postea iuxta
Baias caulam bubus fecit et eam saepsit : qui locus Boaulia dictus est
olim [olim add. Ramires], nam hodie Baỹloi [Bauli Thilo] vocatur.
C’è poi l’altra categoria che è quella delle etimologie basate su
voci propriamente latine e secondo quelli che erano i criteri preva-
lenti10 presso le fonti antiche come lo smembramento del vocabolo,
l’associazione fonetica e la derivazione kat aßntı¥frasin. Anche in
questo caso non mancano i riscontri con la toponomastica di Servio;
per il primo caso si può ricordare Aen. 7,750 QVIN ET MARRVBIA

5
Uhl 1998.
6
Mustard 1892. L’indagine, dopo un breve accenno metodologico, in cui
vengono enunciati alcuni criteri come la derivazione dal greco (e, per contro,
l’impossibilità di etimologie latine di vocaboli greci), la regola che prescrive la
conservazione della quantità dell’etimo, la propensione a fare dell’etimologia un
racconto favolistico e lo sviluppo delle potenzialità fonetiche, propone un elenco
di etimologie, definite «false and popular».
7
Amsler 1989, p. 64 : «Most of Servius’ etymological interventions are de-
ployed in the explanatory formula “X dicitur quod” or “X dictum est quia”. In
Varro’s grammatical discourse, this etymological formula was predominantly
used for exegetical explanations. But in the technical discourse of Servius and
other late Roman grammarians, the formula deploys both verbal and extraverbal
criteria, although the tendency is still to provide extralinguistic etymologies in
the quod clause».
8
Uhl 1998, p. 506.
9
Cf. Mustard 1892, p. 32.
10
Uhl 1998, p. 490.

.
MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI 565

VENIT DE GENTE SACERDOS ... qui Marrubii appellabantur, quasi


circa mare habitantes; per il secondo varrà Aen. 7,662 GERYONE ...
veniens autem Hercules de Hispania per Campaniam in quadam Cam-
paniae civitate pompam sui triumphi [triumphi sui Thilo] exhibuit : a
quo [a quo Ramires; unde Thilo] Pompei dicitur civitas e per il terzo
Aen. 7,412 MAGNVM TENET ARDEA NOMEN Ardea quasi ardua
dicta est, id est magna et nobilis, licet Hyginus in Italicis urbibus ab
augurio avis ardeae dictam velit ... sciendum tamen ardeam avem ka-
taù aßntı¥frasin dictam, quod brevitate pinnarum [pennarum Thilo] al-
tius volare non potest [non volat Thilo].
Una tendenza specifica dell’etimologia antica per quanto con-
cerne la toponomastica consiste nel correlare al toponimo l’onoma-
stico di un personaggio mitico che figura in genere nel racconto
eziologico come l’eroe ecista, il leader di un popolo migrante e il
fondatore. A tale considerazione generale fa da riscontro speculare
la tendenza di Virgilio a conferire ad alcuni dei suoi personaggi il
nome di fiumi oppure di monti dell’Italia, secondo quanto osserva
proprio Servio a Aen. 10,166 sane sciendum amare Vergilium Italis
ducibus dare nomina vel fluviorum vel montium.
Il quadro complessivo del mondo mitologico ed eroico presup-
posto per l’Italia virgiliana è dunque quello in cui prevale la lingua
greca. Non è tuttavia assente la cosiddetta barbarolexis11, vale a dire
l’interesse nel commento di Servio per richiami alla toponomastica
di altre lingue dell’Italia antica come ad esempio il sabino, cf. Aen.
7,517 SVLPHUREA NAR ALBVS AQVA ... et Sabini lingua sua nar di-
cunt sulphur. ergo hunc fluvium ideo dicunt esse Nar appellatum,
quod odore sulphureo nares contingat, sive quod in modum narium
geminos habeat exitus; 7,684 HERNICA SAXA COLVNT Sabinorum
lingua saxa hernae vocantur. quorum quidam dux magnus Sabinos de
suis locis elicuit et habitare secum fecit in saxosis montibus, unde lo-
ca Hernica dicta sunt [dicta sunt Hernica loca Thilo] et populi Herni-
ci; 7,710 PRISCIQVE QVIRITES ... unde et Romani Quirites dicti
sunt, quod nomen Sabinorum fuerat a civitate Curibus, et Sabini a
Romulo Romani vocati [vocati Ramires; dicti Thilo] sunt, oppure l’e-
trusco, cf. 10,145 ET CAPYS HINC NOMEN CAMPANIAE DVCITVR
VRBI ... sed constat eam a Tuscis conditam viso falconis augurio, qui
Tusca lingua Capys dicitur, unde est Campania nominata.

Viene ora presentato un breve elenco di alcune etimologie di op-


pida e località dell’Italia antica sulle quali l’informativa serviana dà
adito ad alcune specifiche considerazioni. Il primo esempio è un ca-

11
Uhl 1998, p. 584.

.
566 CARLO SANTINI

so molto semplice, perché è del tutto chiara la fonte dell’etimologia


menzionata da Servio.
ANTEMNAE, Antemne
Aen. 7,631 TVRRIGERAE ANTEMNAE
Antemnae autem dictae sunt, quod eas amnis praeterfluit, quasi
ante amnem positae.
In questo caso si può sicuramente ritenere che l’etimologia di Ser-
vio dipenda da Varrone de l. L. 5,28 item Antemnae [scil. oppidum],
quod ante amnis, qua Anio influit in Tiberim; l’etimologia di Varrone,
funzionale alla collocazione geografica dell’oppidum posto alla con-
fluenza dell’Aniene nel Tevere, risulta banalizzata in Servio. L’epiteto,
che è di foggia greca, pyrgofo¥roi, ma probabile conio di Virgilio12,
contribuisce a segnalare quale appariva la presunta facies dell’oppi-
dum a chi gli si accostasse dinnanzi, per via d’acqua o di terra.

I due esempi che ora seguono evidenziano il nuovo profilo eti-


mologico dei toponimi che consegue alla revisione editoriale del te-
sto di Thilo intrapresa da Ramires.
AM(P)SANCTUS 13, Ansanto
Aen. 7,125 ACCISIS
undique consumptis. et hoc est apud nos am [ ac Thilo, che segue
i mss. riportando in apparato am Masvicius fortasse recte], quod
apud Graecos aßmfı¥ [aßm Thilo]. hinc est amsancti valles, id est undi-
que sancti.

Aen. 7,565 AMSANCTI VALLES


loci amsancti, id est undique [undique Ramires; omni parte Thilo]
sancti.
Qui il nuovo testo di Ramires conferma sicuramente meglio ri-
spetto a quello di Thilo l’etimologia come undique sancti, ‘luogo cir-
colare interdetto dalla divinità’; non necessaria risulta a questo pun-
to la derivazione di Norden14 da amb-sanctus. Sulla natura della pre-
posizione am siamo infatti informati da Carisio, che riporta le
osservazioni di Remmio Palemone sulle preposizioni quae et casui et
verbo praeponuntur, cf. 300,7 B am, am fines, am segetes, ambio, am-
plector; il valore semantico di am è richiamato da Festo, cf. 4,22-23

Horsfall 2000, p. 408.


12

Per Horsfall 2000, p. 372 la forma con la -p- appare suscettibile di rivelare
13

la «antiquarian vein» con la quale Virgilio sta qui scrivendo.


14
Norden 1915, p. 23 n. 3, che si richiama alla forma ambe riferita da Varro-
ne de l.L. 7,30.

.
MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI 567

L am praepositio loquelaris significat circum; 15,24-25 L am ex Grae-


ca praepositione sumptum, quae est aßmfı¥, significat circum.
L’avverbio locale undique della glossa è per altro in corrispon-
denza col dettato stesso del testo di Virgilio, cf. 7,565 s. densis hunc
frondibus atrum / urget utrimque latus nemoris. A completare la mor-
fologia circolare delle Valli di Ansanto contribuisce anche la centra-
lità topografica del luogo, così come risulta confermato anche da
Aen. 7,563 est locus Italiae medio, che Servio glossa hunc locum um-
bilicum Italiae chorographi dicunt. La metafora dell’ombelico viene
impiegata anche per il lago di Cotilia, parimenti caratterizzato dalla
presenza di fonti sulfuree, così come riferisce Plinio NH 3,109 in
agro Reatino Cutiliae lacum, in quo fluctuetur insula, Italiae umbili-
cum esse M. Varro tradit. La connotazione anatomica risale anche in
questo caso a Varrone, che sta parlando della sua patria, tanto più
che alla menzione pliniana corrisponde un’ulteriore informazione
della glossa di Servio, cf. ibid. sciendum sane Varronem enumerare
quot loca in Italia sint huius modi. L’etimologia undique sanctus di-
scenderà quindi probabilmente da tale catalogo di Varrone.
FORMIAE, Formia
Aen. 7,695 AEQVOSQVE FALISCOS
Faliscos Halesus condidit. Hi autem, inmutato H in F, Falisci nominan-
tur [nominantur Ramires, dicti sunt Thilo] sicut febris dicitur quae ante
hebris dicebatur, Formiae quae Hormiae fuerunt, aßpoù toỹ eyßo¥rmoy [aßpoù
th̃v oΩrmh̃v Thilo] : nam posteritas in multis nominibus F pro H posuit.

Nell’apparato critico Ramires indica come etimo di Formia un


vocabolo greco diverso da quella di Thilo; siffatta scelta editoriale
dipende dall’etimologia di Strabone 5,3,6 Formı¥ai Lakwnikoùn ktı¥sma
eùstin, Ormı¥ai lego¥menon pro¥teron diaù toù ey¶ormon.
Va detto che la soluzione dell’opportunità nautica proposta da
Ramires offre senz’altro ragione migliore rispetto a quella della voce
oΩrmh¥ ‘assalto’, ‘impeto’ che Thilo colloca a testo, anche se il valore in-
trinseco di etimologie che dipendono esclusivamente dai riscontri
fonici tra i significanti è irrilevante. Non escluderei la possibilità che
l’etimologia di Strabone, che avrà per altro alle sue spalle una tradi-
zione, abbia fornito l’input per la ricezione nel testo di Servio di un
altro potenziale concorrente accanto ad oΩrmh¥ e a ey¶ormov; si tratta
dell’omerico o™rmov ‘approdo’, ‘ormeggio’, ‘ancoraggio’, cf. A 435 e
passim, che sta ad indicare ‘the inner part of a harbour’ e metafori-
camente anche un ‘place of shelter’ (Liddell – Scott).

Altre etimologie appartengono a quella categoria della topono-


mastica serviana in cui l’etimologia si avvale anche di un riscontro
allusivo presente nel testo di Virgilio.

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568 CARLO SANTINI

PRAENESTE, Preneste
Aen. 7,678 NEC PRAENESTINAE FVNDATOR DEFVIT VRBIS
Praeneste locus [locus est Thilo] haud longe ab urbe, dictus aßpoù
tw̃n prı¥nwn, id est ab ilicibus, quae ibi [ibi Ramires illic Thilo]
abundant.
Aen. 7,682 ALTVM PRAENESTE
Cato dicit quia is locus montibus praestet, Praeneste oppido no-
men dedit.

In questo caso, accanto al richiamo implicito all’etimologia ca-


toniana riferita dal Servio auctus e dovuta alla paronomasia con il
verbo praestare ‘sovrastare’, la glossa riferisce di un’altra etimologia,
che fa discendere il toponimo dalla voce greca prı̃nov ‘leccio’.
Virgilio citando come comandante del contingente Ceculo (Cae-
culus) si richiama alla versione delle fonti locali, della quale circola-
va forse una redazione cantata, come lascerebbe supporre Solino a
Coll. 2,9 ut Praenestini sonant libri; tale versione attribuisce a lui la
fondazione di Preneste, cf. 7,678 sgg. fundator ... urbis / Volcano ge-
nitum ... regem ... quem credidit aetas. Anche la glossa di Servio rife-
risce i momenti significativi di una leggenda di fondazione che offre
alcuni riscontri con quelle di Romolo e di Servio Tullo : la prodigio-
sa gravidanza (resiliens scintilla eius uterum percussit) della sorella
di due fratelli, qui divi appellabantur; la nascita di Ceculo con il det-
taglio del difetto fisico15 che ne ha determinato l’onomastico (quia
oculis minoribus fuit, quam rem frequenter efficit fumus); la sua atti-
tudine al brigantaggio (diu latrocinatus est); la fondazione della città
sulle montagne (Praenestinam civitatem in montibus condidit). Tale
versione si accorda con l’etimologia di Prae(ne)ste da praestare, che il
Danielino cita per spiegare la dittologia altum Praeneste del testo di
Virgilio (v. 682)16 e che attribuisce alle Origines di Catone (fr. 66 Cu-
gusi). La spiegazione del nome della cittadina con il parametro
dell’altezza17 trova conferma nell’osservazione di Strabone, cf. 5,3,11
a¶kran gaùr e¶xei th̃v meùn po¥lewv y™peruen o™rov yΩchlo¥n, in Festo, cf.
250,22 L Praeneste dicta est quia is locus, quo condita est, montibus
praestet e, implicitamente, come osservo supra, nel citato passo della
glossa serviana Praenestinam civitatem in montibus condidit.

15
Cf. Horsfall 2000, p. 442 : l’onomastico è forse di origine etrusca, anche se
«aetiological links with caecus and Caecilii were irresistible».
16
L’epiteto aıßpy¥ è omerico, ma è difficile dubitare della natura etimologica
della glossa, cf. O’Hara 1996, p. 194.
17
Nel commentare il frammento delle Origines P. Cugusi, II, Torino 2001,
p. 351, osserva che praesto è per altro verbo polivalente che sta a indicare non sol-
tanto il ‘giacere su’, ma anche il ‘giacere davanti’.

.
MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI 569

Sappiamo anche di una altra versione, non menzionata nella


glossa serviana, e attribuita allo storico ellenistico Zenodoto di Tre-
zene, in base alla quale il toponimo deriva dal nome dell’eroe ecista
Praı¥nestov, figlio di Latino e nipote di Ulisse; ad essa si richiamano
Solino 2,9 Praeneste, ut Zenodotus, a Praeneste Ulixis nepote Latini fi-
lio e Stefano di Bisanzio s.v. Praı¥nestov : po¥liv Italı¥av, aßpoù Praine¥-
stoy toỹ Latı¥noy toỹ Odysse¥wv kaıù Kı¥rkhv yıΩoỹ. Collegabile a que-
sta è una terza versione che propone come etimologia dell’oppidum
non il nome del fondatore, ma un aition basato sul nome greco della
pianta del leccio. Va al riguardo detto che anche questa versione tro-
va per altro un appiglio nel testo dell’Eneide, quando nell’accennare
al tipo di armamento del contingente di Preneste Virgilio sottolinea,
tramite l’antitesi rispetto ad altri tipi di equipaggiamento, l’impiego
di proiettili di bronzo a forma di ghianda, che è pur sempre un frut-
to del leccio, cf. v. 685 ss. non illis omnibus arma, / nec clipei curru-
sve sonant : pars maxima glandes / liventis plumbi spargit.
Tale versione, che nel suo complesso Horsfall considera «una
frode erudita»18, implica anche essa pur sempre il ruolo di un eroe
ecista. Costui è Telegono, figlio di Circe e Ulisse; nella redazione del
terzo libro degli Italika¥ di Aristocle, così come riferisce lo pseudo-
Plutarco Parall. Graec. Rom. 41, è contemplato tuttavia un aition to-
ponomastico diverso da quello consueto imperniato sul nome del
fondatore : Telegono avrebbe dovuto fondare la città là dove avesse
visto agricoltori cinti di ghirlande e danzanti (gewrgoyùv eùstefanw-
me¥noyv kaıù xorey¥ontav); essendo giunto in un luogo dove scorge dei
contadini cinti con ghirlande intrecciate con rami di leccio (aßgroı¥-
koyv prinı¥noiv kla¥doiv eßstefanwme¥noyv) chiama la fondazione Prı¥ni-
ston, toponimo poi trasformato in Praı¥neston dai Romani. Un’eco
di tale versione del racconto è riscontrabile anche in Plinio NH 3,64
Praenestini urbe quondam Stephane dicta.
La glossa di Servio tuttavia ha rinunciato ad esporre tale spiega-
zione che per quanto artificiosa propone comunque un elemento ra-
zionalizzante, limitandosi ad accennare soltanto all’abbondanza di
lecci nella zona.

ABELLA, Avella
Aen. 7,740 ET QVOS MALIFERAE DESPECTANT MOENIA BELLAE
multi Nolam volunt intellegi et dicunt iratum Vergilium nomen
eius mutasse propter sibi negatum hospitium, et id aperte noluisse
dicere, sed ostendere per periphrasin; nam illic Punica mala na-
scuntur : unde [ut Thilo] nunc Bella pro Nola posuerit. alii [ita

18
Horsfall 1988, p. 256.

.
570 CARLO SANTINI

add. Thilo] volunt accipi moenia Abellae [moenia Abellae om. Thi-
lo], ut sit synalipha cum legimus [et legatur Thilo] moenia Abellae.
quidam hanc civitatem a rege Murano conditam Moeram nomine
vocatam ferunt, sed Graecos primo [primum Thilo] eam incoluis-
se. quae ab nucibus Abellanis Abella nomen accepit. alii quod in-
belle vulgus et otiosum ibi fuerit, ideo Abellam appellatam. Huius
cives cum loca circa Capuam possiderent orto [† ortu Thilo] tu-
multu interisse aliosque fugientes Moeranum abisse et eius incolis
se iunxisse : et quod inbelliores fuerint Abellanos dictos.

Non immotivatamente Rehm definisce «ein Rätsel» il verso di


Virgilio, soprattutto se esso viene poi confrontato con il dettato della
glossa.
Tutti gli editori moderni, tra i quali R. Sabbadini – L. Castiglio-
ni (Torino4 1958) e Geymonat (Torino 1973), pongono a testo moenia
Abellae, ammettendo quindi il riferimento alla città di Abella, nono-
stante tutti i codici leggano bellae. Rehm, che mostra invece di cre-
dere poco alla spiegazione della sinalefe, ammissibile anche al quin-
to piede, si domanda perciò se qui non siamo in presenza di uno di
quelle «etymologische Spielerei», alle quali il lettore culto era stato
abituato da certe soluzioni linguistiche di Virgilio : posta la etimolo-
gia di Abella come imbellis alla quale si richiama per due volte Servio
auctus, Virgilio avrebbe attribuito per antifrasi «der unfreundlichen,
kriegerischen Nachbarstadt», cioè a Nola, il nome di Bella 19.
Altro elemento di discussione è rappresentato dall’aggettivo ma-
lifer; sembra infatti solida l’etimologia del toponimo dall’osco *ablo-
na «Benennung der Stadt nach der Apfelzucht» 20 e dal celtico aball;
Virgilio potrebbe quindi aver alluso consapevolmente tramite l’epi-
teto a detta etimologia. E tuttavia la glossa accenna che Abella era
celebre anche per altri prodotti frutticoli, i melograni (in Servio), e
soprattutto le nocciole 21, o ‘avellane’, le nuces Abellanae, come suona
il nome di mercato già in Catone de agr. 8,2 e poi in Plinio nat. hist.
15,88 ut in abellanis, et ipso nucum genere, quas antea Abellinas pa-
triae nomine appellabant; il Danielino, che si fa tramite di tale ri-
scontro, ammette addirittura, secondo una trasposizione irraziona-

19
Rehm 1932, p. 34 s. e nn. 76, 77, 78. Il ricordo di questo aition etimologico
richiama la reciproca ostilità tra Virgilio e la città di Nola che ricorre in forma di
omissione anche in un altro punto del commento del Danielino a proposito del
verso di Geo. 2,224 talem dives arat Capua et vicina Vesaevo; complessivamente la
notizia è sicuramente antica perché Gellio vi accenna a 6,20,1 ricordando di aver-
la trovata in quodam commentario. Per una proposta interpretativa che collega i
due riscontri di questa singolare informazione biografica, cf. Holford-Strevens
1979, p. 391-393.
20
Walde – J. B. Hofmann 1965, s.v. ‘Abella’. Cf. anche Poccetti 1991, p. 92-94.
21
Cf. Horsfall 2000, p. 482 «malum cannot possibly be used of a nut».

.
MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI 571

le, ma praticata dall’etimologia antica, che il nome di mercato


avrebbe contribuito al conio del toponimo. Forse la potenziale con-
traddizione tra mele e nocciole non era sfuggita a qualche copista,
come potrebbe lasciar supporre la lezione malifrae di P, il Palatinus
Vaticanus 1631, del IV secolo, corruzione a sua volta di una forma
malifragae non attestata, ma che poteva essere coniata sul tipo ossi-
fraga, come epiteto della nocciola ‘che rompe le mascelle’.
Non abbiamo segnalazioni del toponimo Moera; c’è invece Mu-
ranum «das heutige Murano Calabro in Lucanien, an der via Popi-
lia» 22 ; Thilo propone seppure in forma dubitativa (fortasse) il colle-
gamento tra il nome dell’ecista Muranus, cui accenna il Danielino, e
il nome del guerriero Murranus che compare a Aen. 12,529, soprat-
tutto per l’apporto della glossa serviana ad l. : hoc est cuius maiores
omnes Murrani sunt dicti et reges fuerunt ... scimus enim solere ple-
rumque fieri ut primi regis reliqui nomen etiam possideant. Thilo nota
altresì che tale prestigiosa antichità dell’onomastico 23 viene ripreso
anche in un altro passo della glossa, cf. Aen. 6,760 postea Albani om-
nes reges Silvii dicti sunt ab huius nomine sicut hodieque ... Latini
Murrani, tanto da lasciare adito all’affermazione che «fuisse qui
Abellam a Latinis conditam esse dicerent». Tale affermazione risul-
ta tuttavia abbastanza aleatoria, mentre è sicuro nella redazione del
Servio auctus il richiamo all’origine greca degli abitanti di Avella,
che leggiamo anche in Pompeo Trogo, cf. Iust. 20,1,13 iam Falisci,
Nolani, Abellani nonne Chalcidensium coloni sunt?, che redige un
catalogo di popoli italici di origine greca, cf. ibid. 5 quae gentes non
partem, sed universam ferme Italiam ea tempestate occupaverant.

LABICUM, Labico
Aen. 7,796 PICTI SCVTA LABICI
Glaucus, Minois filius, venit ad Italiam. Et cum sibi imperium po-
sceret nec acciperet, ideo quod nihil praestabat, sicut eius pater
praestiterat zonam eis transmittendo, cum antea [antehac Thilo]
discincti essent, ostendit scutum militarem [militarem add. Rami-
res] : a quo et ipse Labicus dictus est, et ex eo populi aßpoù th̃v
labh̃v, quam latine amplam vocamus.

Anche in questo caso l’etimologia di Servio trova un riscontro


nel testo di Virgilio, che nel riferire del nimbus peditum che accom-
pagnano il passaggio di Turno, truppe definite complessivamente

22
Cf. Philipp 1933, c. 657.
23
In effetti Murranius, Murranus sono onomastici ben attestati, cf. Schulze
1966, p. 362 s.

.
572 CARLO SANTINI

con l’espressione clipeata ... agmina (v. 793 s.), accenna poi diretta-
mente per ipallage agli scudi dipinti dei Labici, dalla città di Labico;
i Labici compaiono anche nel catalogo di Silio Italico, come habiles
ad aratra (8,366), con significativo parallelismo tra l’impugnatura
dello scudo e quella dell’aratro 24, che puntualizza per altro l’antifrasi
ideologica bellum vs/ rus. Per altro, a sottolineare la continuità del
motivo, immediatamente prima Virgilio riserva i vv. 789-792 alla de-
scrizione del clipeus di Turno.
L’etimologia dal greco si basa sulla voce labh¥, ‘manico’, ‘impu-
gnatura’ 25 che Servio traduce in latino con ampla, vocabolo usato
pochissimo nel suo significato concreto (segnalo qui il passo di
Ammiano 22,2,1 ampla remanserat sola) e molto più spesso in sen-
so figurato. Sulla figura dell’eroe greco ecista Glauco, figlio di Mi-
nosse, la notizia, costruita in base al topos del prw̃tov eyΩreth¥v, del
suo arrivo in Italia, dove insegna a combattere con lo scudo, viene
confermata da un passo del Servio auctus a 8,330 in base al quale
sarebbe stato proprio Glauco ad uccidere il re etrusco Thybris (vel
ut quidam volunt a Glauco, Minois regis filio, occisus est) che
avrebbe a sua volta dato il nome al fiume.
L’ultima etimologia di un toponimo qui presentata è un caso
più complesso che potrebbe anche suggerire un innesto tra la topo-
nomastica letteraria e quella scientifica

AGYLLA / CAERE, Cerveteri


– Aen. 7,652 AGYLLINA ... EX VRBE
de Caere oppido

– Aen. 8,479 VRBIS AGYLLINAE SEDES


quae nunc Caere dicitur ... sane hanc Agyllam quidam a Pelasgo
conditam dicunt, alii a Telegono, alii a Tyrrheno Telephi filio.
– Aen. 8,597 PROPE CAERITIS AMNEM
Agylla civitas est Tusciae a conditore Agella appellata, cui ex insci-
tia Romana aliud est inditum nomen. Nam cum Romani euntes
per Tusciam interrogarent Agyllinos quae diceretur civitas, illi, ut-
pote Graeci quid audirent ignorantes et optimum ducentes si prius
eos salutarent, dixerunt xaı̃re : quam salutationem Romani no-
men civitatis esse putaverunt, et detracta aspiratione eam Caere
nominarunt, ut dicit Hyginus in urbibus Italicis. ... alii Caere
montem putabant, ab hoc oppidum dictum.

24
Spaltenstein 1986, p. 524.
25
O’Hara 1996, p. 199.

.
MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI 573

– Schol. Ver. 10,183


Varro putat Caere oppidum Etruriae [a] Pelasgis, cum sitientes in-
ventum flumen proximum <ab illo oppido> salutassent xaı̃re at-
que ea causa id vocabulum oppido datum. ... Flaccus primo Etru-
scarum : Agylla, inquit, ab Etruscis [conditoribus scili]cet nomi-
nata est Cisra, quod esset Tiberis Etruscis primus agris subiectus.
Come risulta dal prospetto, il materiale relativo alla storia e al
nome di questa città trova un notevole sviluppo nel corpus del-
l’esegesi virgiliana. La prima osservazione concerne la presenza dei
toponimi, Agylla e Caere, che parrebbero avvalorare una successione
etnica e una nuova fondazione anche se, per quanto riguarda Virgi-
lio, come osserva M. Sordi, il testo dell’Eneide «non sembra fare di-
stinzione» 26 tra queste.
La prima forma è attestata in greco sin da Erodoto, dove (1,167)
gli Agyllaı̃oi sono presentati come di etnia sicuramente etrusca, al-
leati dei Cartaginesi all’epoca della battaglia di Alalia; la Alessandra
di Licofrone menziona ¶Agyllan Ayßsonı̃tin (v. 1355), ‘dell’Ausonia’ e
raffigura i figli di Tirreno come falchi (kı¥rkoi) che, abbandonato il
territorio della Lidia, irrompono eıßsekw¥masan nell’Ausonia; in Dio-
nigi di Alicarnasso (1,20,5) e Strabone (5,2,3) ¶Agylla è il nome del-
la città dato dai fondatori Pelasgi, dopo i quali sopraggiungono gli
Etruschi; è interessante notare come il testo di Servio auctus a 8,479
accenni a questa versione, mentre a 8,597 la glossa riporta ancora
una volta il criterio etimologico di far discendere il toponimo dall’o-
nomastico del fondatore (Agella). Desanges 27 sostiene con buone ra-
gioni l’origine punica di questo toponimo, che sarebbe di forma ana-
loga ad Axo¥lla sulla costa orientale della Tunisia (Strab. 17,3,12)
dal punico G(W)LT ‘la ville ronde’; tuttavia una rifondazione oppure
una ricostruzione etrusca di un centro originario (nella fattispecie
punico) resta solo a livello di ipotesi.
Passiamo ora allo status quaestionis sulla forma del toponimo la-
tino Caere. De Simone 28 identifica nella documentazione etrusca la
presenza di due forme distinte, la forma A che presenta al suo interno
il gruppo consonantico –zr- e la forma B con solo –r-; la prima forma
ceizra è un gentilizio, che coincide formalmente con il toponimo co-
me in altri casi; il nome della città è quindi *Ceizra, che corrisponde
al latino Cisra, forma che compare negli Scholia Veronensia che cita-
no in proposito Verrio Flacco, e al punico KYŠRY’, come nell’iscrizio-
ne di Pyrgi. A differenza della forma A originariamente patronimico,
poi gentilizio funzionalizzato in toponimo, la forma B *Kaire / *Xaire

26
Sordi 1984, p. 741.
27
Desanges 1969, p. 460-62.
28
De Simone 1976, p. 163-184.

.
574 CARLO SANTINI

è da considerarsi sin dall’origine un toponimo, che non trova tuttavia


«alcuna spiegazione nell’ambito della lingua etrusca» e che non è
neppure giustificabile postulando una mediazione latina 29. La situa-
zione cambia se invece si ipotizza la forma originariamente greca del-
la città, *Kairh che sarebbe passata per paronomasia a *Xaire sulla
base di un’etimologia popolare, quasi fosse la città ‘del benvenuto’,
‘dove si è ben accolti’ in virtù della forma di saluto greca xaı̃re alla
quale fa riferimento la glossa di Servio. Fin qui ho seguito riassumen-
dolo il profilo etimologico proposto da De Simone, la cui ricostruzio-
ne è stata tuttavia recentemente posta in discussione da Maggiani per
«la difficoltà di pensare ad una mediazione greca» 30.
Briquel ha ampiamente discusso 31 su un argomento che riguar-
da solo parzialmente questa indagine, e cioè sulle due versioni rela-
tive all’origine della città, quella dell’origine lidia e quella dell’origi-
ne pelasgica; questa ultima trova un aggancio per altro nell’impiego
della lingua greca nell’aneddoto etimologico che Servio riferisce at-
tribuendone l’ascendenza al De urbibus Italicis di Igino e che leggia-
mo anche negli Scholia Veronensia.
Nelle redazioni degli antiquari latini, come anche in quella di
Strabone a 5,2,3, l’aneddoto ha un nocciolo etimologico costante,
mentre l’elemento variabile è rappresentato dalle circostanze etno-
storiche del racconto, intorno alle quali hanno dibattuto anche gli
storici 32. La redazione di Strabone, che M. Sordi ritiene dipendere
da una fonte locale e quindi etrusca 33,
¶Agylla gaùr w ß noma¥zeto toù pro¥teron hΩ nỹn Kaı̃re, kaıù le¥getai Pe-
lasgw̃n ktı¥sma tw̃n eßk Uettalı¥av aßfigme¥nwn . tw̃n deù Lydw̃n, oı™per
Tyrrhnoıù metwnoma¥suhsan, eßpistratyesa¥ntwn toı̃v Agyllaı¥oiv, pro-
siwùn t√ teı¥xei tiv eßpynua¥neto toy¶noma th̃v po¥lewv, tw̃n d aßpoù toỹ teı¥-
xoyv Uettalw̃n tinov aßntıù toỹ aßpokrı¥nasuai prosagorey¥santov ayßtoùn
deja¥menoi toùn oıßwnoùn oıΩ Tyrrhnoıù toỹton aΩloỹsan thùn po¥lin metw-
no¥masan 34
risale in ogni modo probabilmente a Timeo e, tramite lo storico di
Tauromenio, all’opera di un altro siceliota, Filisto di Siracusa, dove

29
Cf. De Simone 1976, p. 177.
30
Cf. Maggiani 1999, p. 59-61.
31
Briquel 1991, p. 235-248.
32
Cf. Sordi 1960, p. 44 n. 2.
33
Sordi 1960, p. 48 s. propone al riguardo due possibili opzioni : «una fonte lo-
cale cerita» oppure «uno scrittore romano filoetrusco e di tendenza democratica».
34
La traduzione di Strabone è quella di A. M. Biraschi, Milano 1988 : «prima
infatti Caere era chiamata ‘Agylla’ e si dice fosse fondazione dei Pelasgi venuti dalla
Tessaglia; quando i Lidi, che poi furono chiamati Tirreni, attaccarono gli Agillei, si
dice che un tale, giunto alle mura, chiedesse il nome della città. Una delle sentinelle
tessale, invece di rispondere alla domanda, lo salutò : ‘chaire’ e, avendo accolto ciò
come presagio, i Tirreni cambiarono così il nome della città conquistata».

.
MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI 575

l’aneddoto etimologico rientrerebbe nella «guerre de propagande


menée autour des entreprises de Denys de Siracuse», che in occasio-
ne della spedizione contro Pyrgi sarebbe stato «reproché de s’atta-
quer à des quasi-Hellènes» 35.
Un elemento significativo è rappresentato dalla lingua che si par-
la, nel racconto, nella città assediata. Strabone giustifica l’uso della
lingua greca nella risposta degli assediati agli Etruschi con l’origine
tessala del popolo dei Pelasgi e analogamente, negli Scholia Veronen-
sia, in un testo purtroppo corrotto sono i Pelasgi stessi a salutare con
un xaı̃re il fiume incontrato nel corso della loro migrazione. In Servio
sono i Romani a interpellare gli Agyllini, che parlano (ancora) greco
nonostante l’incontro avvenga pur sempre nel territorio della Tuscia.
Si tratta di una versione etimologica che potrebbe essere considerata
nazionalistica 36, che ripropone in modo singolare quella forma greco-
ionica *Kairh che è in grado di spiegare, seppure tramite la media-
zione etrusca (i gentilizi Xeritnei, *Xairi), il latino Caere 37. L’etimolo-
gia di Igino / Servio viene per altro ricordata da Prisciano GL K II
20,20 come uno dei vari esempi della tanta cognatio delle due lingue,
quod invicem inveniantur pro se positae in quibusdam dictionibus.
Al fine di una breve conclusione sulla storia della tradizione cul-
turale che sta dietro questo toponimo si può constatare che la città
di Caere rappresenti comunque un punto sensibile nella cultura na-
zionale di Roma, come dimostra l’etimologia che fa derivare la voce
caerimonia dal nome della città, cf. Fest. 38,19 L caerimoniarum cau-
sam alii ab oppido Caere dictam existimant. Tale etimologia sembra
essere a sua volta il riflesso della tradizione in base alla quale le Ve-
stali, i sacerdoti e i sacra in fuga dall’urbe durante l’occupazione gal-
lica furono ospitati a Cere, secondo quanto espone Livio a 5,40,9;
50,3 e Strabone a 5,2,3; il racconto di Valerio Massimo può al ri-
guardo considerarsi il più completo perché, dopo aver accennato al-
la tradizione liviana dell’ospitalità, richiama in proposito l’etimolo-
gia suddetta della voce caerimoniae, cf. 1,1,10 inde enim institutum
est sacra caerimonias vocari quia Caeretani ea infracto rei publicae
statu perinde ac florente sancte coluerunt, contribuendo ad avvalora-
re l’immagine di ‘entente cordiale’ tra le due città durante l’invasione
gallica; in controtendenza Strabone accenna alla scarsa gratitudine
mostrata da una inetta classe dirigente romana (toyùv to¥te fay¥lwv
dioikoỹntav thùn po¥lin) nei confronti di Caere 38.

35
Briquel 1991, p. 243.
36
Cf. Sordi 1984, p. 741.
37
Cf. De Simone. 1976, p. 179.
38
Il discorso, ben più complesso, rifletterebbe le posizioni antagonistiche del
patriziato e dei plebei nei confronti della cultura etrusca; cf., su questo tema,
Sordi 1960, p. 45 ss.

.
576 CARLO SANTINI

Se alle spalle dell’etimologia di caerimoniae potrebbe stare una


«doctrine etruscisante», formatasi presumibilmente in un secondo
tempo, così come sostiene Briquel 39, in antitesi all’altra etimologia
alla quale si richiama Gellio, quando dichiara a 4,9,8 caerimoniae a
carendo, dietro l’etimologia del toponimo Caere riferita da Servio il
richiamo alla lingua greca implica un richiamo al prestigio della tra-
dizione ellenica, che risulta prevalente negli intellettuali dell’età tar-
do-repubblicana e augustea, come Varrone, Igino, Strabone, e che
parrebbe estendersi addirittura alla figura piuttosto eccentrica di
Pompeo Trogo, che cita Caere, cf. Iust. 20,1,12 quid Caeren urbem di-
cam? all’interno di un catalogo di città di fondazione greca (e in rap-
porto all’attività militare di Dionigi I di Siracusa sul territorio
dell’Italia). La presenza nella glossa di Servio appare a sua volta
scontata viste le propensioni del grammaticus per questo criterio eti-
mologico.

Carlo SANTINI

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Amsler 1989 = M. Amsler, Etymology and Grammatical Discourse in late Anti-


quity and the early Middle Ages, Amsterdam-Philadelphia 1989, p. 64.
Briquel 1991 = D. Briquel, L’origine lydienne des Étrusques. Histoire de la doc-
trine dans l’Antiquité, Roma, 1991 (CEFR, 139), p. 235-248.
Briquel 1999 = D. Briquel, Les emprunts du latin à l’étrusque : l’approche à la
question chez les auteurs anciens, in Studi Etruschi, 63, 1999, p. 296 s.
Desanges 1969 = J. Desanges, Agylla d’Étrurie et Acylla d’Afrique, in Latomus
28, 1969, p. 460-62.
De Simone 1976 = C. De Simone, Ancora sul nome di Caere, in Studi Etru-
schi, 44, 1976, p. 163-184.
Enciclopedia Virgiliana = Enciclopedia Virgiliana, Roma, 1988.
Holford-Strevens 1979 = L. A. Holford-Strevens, Nola, Vergil, and Paulinus,
in Classical Quarterly 29, 1979, p. 391-393.
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studi in memoria di Massimo Pallottino, Pisa-Roma, 1999, p. 59-61.
Mustard 1892 = W. P. Mustard, The Etymologies in the Servian Commentary
to Vergil, diss. Baltimora, 1892.

39
Briquel 1999, p. 296 s.

.
MATERIALI PER UN’INDAGINE SUI TOPONIMI 577

Norden 1915 = E. Norden, Ennius und Vergil. Kriegsbilder aus Roms grosser
Zeit, Lipsia, 1915, p. 23 n. 3.
O’Hara 1996 = J. J. O’Hara, True Names, Ann Arbour, 1996, p. 194, 199.
Philipp 1933 = H. Philipp, s.v., in RE, Stoccarda, 1933, c. 657.
Poccetti 1991 = P. Poccetti, Itinerari gastronomici della poesia nell’Italia anti-
ca, in AIWN 13, 1991, p. 92-94.
Rehm 1932 = B. Rehm, Das geographische Bild des alten Italien in Vergils Ae-
neis, in Philologus (Suppl. XXIV, 2), Lipsia, 1932, p. 34 s. e nn. 76, 77, 78.
Schulze 1966 = W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlin /
Zurigo-Dublino, 1966, p. 362 sg.
Spaltenstein 1986 = F. Spaltenstein, Commentaire des Punica de Silius Itali-
cus, I, Ginevra, 1986, p. 524.
Sordi 1960 = M. Sordi, I rapporti romano-ceriti e l’origine della civitas sine
suffragio, Roma, 1960, p. 44 n. 2.
Sordi 1984 = M. Sordi, s.v. ‘Caere’, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma, 1984,
p. 741.
Timpanaro 1986 = S. Timpanaro, Per la storia della filologia virgiliana antica,
Roma, 1986, p. 149.
Uhl 1998 = A. Uhl, Servius als Sprachlehrer. Zur Sprachrichtigkeit in der exege-
tischen Praxis des spätantiken Grammatikerunterrichts, Gottinga, 1998.
Walde – Hofmann 1965 = A. Walde – J. B. Hofmann LEW4, I, Heidelberg,
1965, s.v. ‘Abella’.

.
.
EMANUELE LELLI

L’ONOMASTICA DEL MONDO ITALICO


NEGLI ALESSANDRINI
TRA ERUDIZIONE E LETTERARIETÀ

All’inizio del terzo secolo a.C., per la lessicografia greca1, per lo


più sviluppatasi fino ad allora su filoni asistematici e discontinui,
quali la glossografia a fini scolastici 2, l’esegesi omerica 3 o l’indagine
di carattere filosofico sulla ‘verità del nome’ 4, inizia senz’altro una
nuova stagione : il Museo e la Biblioteca di Alessandria, attirando da
ogni parte della grecità intellettuali e uomini di cultura, contribui-
scono ad aprire un orizzonte anche linguistico di straordinaria novi-
tà. Vengono a stretto contatto fra loro non solo le diverse entità dia-
lettali e regionali del mondo greco, ma anche realtà culturali e lin-
guistiche del Mediterraneo non greco : basti pensare anche solo al
sostrato egizio o alla comunità ebraica di Alessandria.
Non è un caso, dunque, che una nuova attenzione per la varietà
lessicale greca e anche per gli idiomi stranieri, sistematica e classifi-
catoria, cominci a svilupparsi proprio ora fra gli studiosi alessandri-
ni 5. Aristofane di Bisanzio compila una monumentale raccolta di le¥-

1
In generale, oltre ai classici : J. Tolkiehn, Lexikographie, in R.E. XII, 2,
1925, coll. 2432-2482; H. Erbse, Lexikographie, in Lexikon der alten Welt, Zurigo-
Stoccarda, 1965; Introducciòn a la lexicographia griega, Madrid, 1977, si veda
anche la notevole sintesi di E. Degani, La lessicografia, in Lo spazio letterario della
Grecia antica, 2, p. 505-527 (aggiornamento del precedente lavoro : Lessicografi,
in Dizionario degli scrittori greci e latini, Milano, 1988, p. 1169-85).
2
Significativa è la testimonianza di Aristofane (fr. 233 K.-A.), che mette in
scena una ‘interrogazione’ fra due fratelli su difficili termini omerici; cfr. anche
A. C. Cassio (ed.), Aristofane, I Banchettanti, Pisa, 1977, p. 75-77.
3
Aristarco polemizzò spesso, stando a quanto possiamo ricostruire dagli
scoli, con gli antichi Glossographoi : fondamentale il lavoro di A. R. Dyck, The
Glossographoi, in HSPh, 91, 1987, p. 119 ss. Vd. anche : R. Tosi, Callimaco e i glos-
sografi omerici, in Eikasmòs, 8, 1997, p. 223-240.
4
La bibliografia, a partire dai frammenti di Eraclito fino al Cratilo platoni-
co, è sterminata : da ultimo, e per un quadro generale, vd. : D. Gambarara, Alle
fonti della filosofia del linguaggio. «Lingua» e «nomi» nella cultura greca antica,
Roma, 1984.
5
Sull’apertura dell’orizzonte linguistico e metalinguistico dei Greci a partire
dall’età alessandrina vd. in generale C. Consani, Dialektos. Contributo alla storia

.
580 EMANUELE LELLI

jeiv, di cui abbiamo notevoli testimonianze, ordinate per categorie :


neologismi, determinazioni di età, parentela, e forse voci dialettali 6.
Filemone di Essone, col suo Perıù Attikw̃n oßnoma¥twn hû glwssw̃n, ap-
pare il precursore della futura lessicografia atticista 7. Callimaco, se-
condo la Suda, è autore di più opere – o, come sembra più probabile,
di una grande opera divisa in più sezioni – di carattere lessicografi-
co, di cui purtroppo non sono rimasti che i titoli e pochissimi lem-
mi : la raccolta si intitolava Eunikaıù oßnoması¥ai (fr. 406 Pf.), e conte-
neva una sezione sulle diverse determinazioni dei mesi (test. 1 Pf.) e
due sul cambiamento di nome, metonoması¥a, di pesci e di isole e cit-
tà. Quest’ultima parte dell’ opera lessicografica callimachea toccava,
dunque, problemi di toponomastica e con molta probabilità il Cire-
naico era stato costretto a fare i conti anche con questioni di onoma-
stica non greca, in particolare, per l’occidente grecizzato, con i topo-
nimi italici preesistenti alla colonizzazione, mutati o mantenuti dai
parlanti greco 8. Sfortunatamente, come si è detto, nessun frammen-

del concetto di ‘dialetto’, Pisa 1991. Dionisio Iambos, maestro di Aristofane di Bi-
sanzio, fu autore di un Perıù diale¥ktwn che è la prima opera del genere di cui sia
giunta notizia : cfr. Athen. 7, 184b; Neottolemo di Paro compilò una raccolta di
Fry¥giai fwnaı¥ (per i frammenti : H. Mette, in RhM, 123, 1980, p. 1-24); più avanti
nel tempo saranno compilate raccolte di glosse cretesi (Ermonatte : cfr. Athen. 11
480f), rodie (Mosco), macedoni (Ameria). Per tutto il periodo alessandrino cfr.
R. Tosi, La lessicografia e la paremiografia in età alessandrina ed il loro sviluppo
successivo, in F.Montanari (ed.), La philologie grecque à l’époque hellénisticque et
romaine (Entret. Hardt XL), Vandoeuvres-Genève, 1994, p. 143-197 e la relativa
discussione; Tosi sottolinea la centralità dell’ambiente alessandrino come ‘salto
di qualità’ (senza un marcato gap, tuttavia) rispetto ad esempio alla lessicografia
aristotelica, soprattutto per l’aspetto di «duplice finalità, di ausilio per la lettura e
di indirizzo per la produzione letteraria» che caratterizza la lessicografia e la
glossografia alessandrine (e che rimarrà un elemento fondamentale anche in se-
guito) : solo con il poeta-filologo nasce una attenzione nuova verso la parola.
Quest’ultimo dato è del resto la tesi di fondo di uno dei più recenti lavori sistema-
tici su un glosso-/lessicografo (pre)alessandrino, Filita di Cos : E. Dettori (ed.),
Filita grammatico. Testimonianze e frammenti, Roma 2000 (un’ampia panoramica
della glossografia e lessicografia alessandrina alle pagine 39-49); Dettori pensa ad
«un interesse del tutto preminente per la parola in sé, prima che per l’esegesi cri-
tico-letteraria, o anche consapevolmente filologica» (p. 35); come risulterà chia-
ro dalle pagine che seguono, anche per quanto riguarda l’onomastica non greca
del mondo italico gli alessandrini – più poeti che filologi, questa volta – sembrano
appuntare la loro attenzione soprattutto sulle possibilità mitopoietiche e lettera-
rie offerte dal ‘nome’, piuttosto che sul dato erudito (di cui, non è da sottovalu-
tare, avevano ovviamente meno notizie di quanto potevano disporre per i nomi
greci).
6
Raccolta e commento in W. I. Slater, Aristophanis Byzantii fragmenta, Ber-
lino-New York, 1986.
7
R. Weber, De Philemone Atheniensi glossographo. Commentationes philo-
logicae in honorem O. Ribbeckii, Lipsia, 1888, p. 441-450.
8
Solo alla matura età ellenistica sembrano risalire, invece, opere lessicogra-

.
L’ONOMASTICA DEL MONDO ITALICO NEGLI ALESSANDRINI 581

to è stato conservato sotto il titolo di quest’opera callimachea. Ma gli


alessandrini, oltre che eruditi e studiosi, furono poeti. Sicché è pos-
sibile, tuttavia non senza difficoltà e con un grado notevole di ipote-
ticità, tentare di ricostruire l’interesse alessandrino per l’onomastica
non greca del mondo italico attraverso le opere poetiche di Callima-
co, di Licofrone, di Apollonio Rodio o di Teocrito, che inserirono
qua e là, nel tessuto poetico, elementi eruditi e giochi linguistici an-
che riguardanti toponimi, idronimi e antroponimi italici.
La ricerca che ho condotto, sui testi degli alessandrini maggiori,
ha evidenziato sostanzialmente tre modalità con cui gli autori im-
piegano termini onomastici italici, oltre – ovviamente – alla sempli-
ce ricezione :
1) una prima modalità può essere definita ‘appropriazione del
significante’. L’ autore greco reinterpreta, cioè, il suono del termine
italico rapportandolo a radici greche, quindi a una semantica nota,
finalizzando tale operazione a giochi letterari o anche a mitopoiesi;
2) è presente, in alcuni casi, il tentativo di ‘traduzione’ di un to-
ponimo : una traduzione vera o presunta tale, che tuttavia fornisce
anche in questo caso, a volte, lo spunto per ideazioni mitopoietiche
o notazioni erudite;
3) la terza modalità è la più complessa, e investe il carattere in-
trinseco della poesia alessandrina, in cui l’erudizione si unisce in
modo a volte inscindibile alla creazione poetica, costituendo il mo-
tore dell’argutezza e del gioco letterario 9 : un termine ‘italico’, in
questo caso, diviene lo strumento con cui il poeta gioca con la tradi-
zione letteraria e dà prova delle sue capacità erudite.
Certo ci sono anche altri aspetti del modo in cui gli alessandrini
– in genere gli autori greci – si rapportano al mondo onomastico ita-
lico. Per esempio l’abituale prassi di ricondurre a mitici re o capi l’e-
ponimia dell’etnico o del toponimo sconosciuto : è il caso, ad es., di

fiche riguardanti il mondo italico : Diodoro, da collocare agli inizi del I sec.
a.C. (Degani, La lessicografia, cit. a n. 1, p. 510), fu autore di una raccolta di Ita-
likaıù glw̃ssai; Filosseno, anch’egli del I sec. a.C., scrisse un Perıù th̃v tw̃n Syrako-
sı¥wn diale¥ktoy e un Perıù th̃v Rwmaı¥wn diale¥ktoy, in cui il latino era considerato
un dialetto greco vicino all’eolico (Chr. Theodoridis, Die Fragmente des Gramma-
tikers Philoxenos, Berlino-New York, 1976). All’età augustea appartiene oramai
Trifone, autore di un Perıù th̃v Ellh¥nwn diale¥ktoy kaıù Argeı¥wn kaıù Imeraı¥wn kaıù
Rhgı¥nwn kaıù Lwrie¥wn kaıù Syrakoysı¥wn.
9
La bibliografia è sterminata; due ultimi contributi esemplificativi : R. Pre-
tagostini, L’autore ellenistico fra poesia e ‘filologia’. Problemi di esegesi, di metrica e
di attendibilità del racconto, e L. E. Rossi, Letteratura di filologi e filologia di lette-
rati, entrambi in A. Porro – G. Milanese (a cura di), Atti del Congresso Poeti e filo-
logi, filologi-poeti. Composizione e studio della poesia epica e lirica nel mondo greco
e romano (Brescia, Università Cattolica, 26-27 aprile 1995), Milano, 1996, p. 9-32 e
33-46.

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582 EMANUELE LELLI

Siculi e Sicilia (da Sikelo¥v10, di Itali da Italo¥v11, e così via. Un proce-


dimento senz’ altro meno frequente, ma impiegato in particolare da
alcuni autori, è l’utilizzazione dell’onomastica non greca in funzione
poetica, cioè in un’ottica straniante per il lettore : è il caso di alcuni
passaggi dell’Alessandra in cui Licofrone squaderna una serie im-
pressionante di toponimi, spesso poco conosciuti, uno dietro l’altro,
con l’evidente scopo di ‘straniare’ il lettore catapultandolo in un
mondo esotico e allotrio12.
A questo punto, chiarite preliminarmente tali categorie-guida
interpretative, e premesso che i casi di ‘speculazione’ letteraria su
termini onomastici italici sono numericamente circoscritti (una de-
cina), rispetto per esempio ai moltissimi casi di paronomasie o false
etimologie relative al repertorio onomastico greco, è bene passare
senz’altro all’analisi dei casi rilevati.

Appropriazione del significante


Trinacria. Il toponimo più antico dell’ isola è senz’altro Trina-
cria, rispetto a Sicilia o Sicania, collegati nelle fonti e nella tradizio-
ne mitico-storica greca a eponimi re o popoli : così pensavano già
Tucidide (6,22) e Strabone (6,2,1).
L’alternanza Thrinakie (Urinakı¥h omerica)/Trinacria (Trina-
krı¥a) – toponimo di etimo incerto : cfr RE s.v., coll. 602s. – veniva
spiegata, da Diodoro (5,2,1) in poi (Strab. 6,2,1; Steph. Byz. s.v. Tri-
nakrı¥h) come mutazione eufonica da Trinakrı¥a alla forma senza r e
col u al posto del t, ma ha in realtà una sua evoluzione nel tempo,
esattamente nella sequenza opposta, e rispecchia il modo (e le epo-
che) in cui i Greci interpretarono il toponimo.
Urinakı¥a è la forma più anticamente attestata – si trova in Ome-
ro (Od. 11, 107;12,127 e 135; 19,275) – e veniva collegata miticamente
al urı̃naj di Posidone, nonché a un suo figlio Trinaco (schol. Ap. Rh.
1,965). Dall’ età storica, probabilmente, alla luce di migliori cono-
scenze geografiche, la forma che risultò vincente fu Trinakrı¥a, in cui
era evidente l’interpretazione ‘razionalistica’ treı̃v – a¶krai, “isola dei

10
Ant. Syr. FGrHist 555 F4 e Philist. FGrHist 556 F46 (= Dionys. Hal. A.R.
1,22).
11
Ant. Syr. FGrHist 555 F2, Thuc. 6,1,4 e Philist. FGrHist 556 F46, nonché
Strabo 6,1,4; vd. anche la discussione erudita in Dionys. Hal. A.R. 1,35 (cfr. anche
1,12,3), che riporta la versione di Ellanico di Lesbo (FGrHist 4 F111), il quale deri-
vava Oyßitalı¥a dal nome latino di Boỹv (vitulus). Quest’ultima tradizione era
anche all’origine di una mitopoiesi su uno dei buoi di Gerione rincorso da Eracle
per tutta la Sicilia e la Magna Grecia : cfr. Diod. 4,22,5; Apollod. 2,5,10,9; Per Ita-
lia da vitulus cfr. : Dio Cass. 1, fr. 4,2 Boissevain; Hesych. s.v. Italo¥v; Fest. p. 94
L.; Colum. 6 praef. 7; Serv. auct. ad Aen. 1,533; Varro, rust. 2,1,9 e 2,5,3, ling. lat.
5,96; Gell. 11,1,1. Vd. Pokorny, IEW, 1175; Devoto, A.It, 102.
12
Cfr., per es., vv. 869-872; 1273-1279.

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L’ONOMASTICA DEL MONDO ITALICO NEGLI ALESSANDRINI 583

tre capi” (Pachino, Peloride, Lilibeo) : tale appropriazione e inter-


pretazione greca del significante compare già in Ant. Syr.
(FGrHist555 F4) e in Timeo (FGrHist566 F37) e poi in Tucidide
(6,2,2). Questa interpretazione trionfa proprio con gli alessandrini –
tranne Apollonio Rodio 4,965, che omerizza in Urinakı¥h – che anzi
alludono alla forma triangolare dell’isola anche attraverso epiteti
particolari o vere e proprie perifrasi. È il caso del triglw¥ xiv di Ait.
1,36 o del trı¥deiron nh̃son di Lyc. 966. Il toponimo dell’intera isola,
dunque, rappresenta senz’ altro il caso più evidente della modalità di
‘appropriazione del significante’.

Segesta. La più importante città degli Elimi, Segesta, trae verisi-


milmente il nome da una formazione che unisce la radice ind.e.
*segh ‘potenza, vittoria’ al suffisso –sta/sto(cfr. p.e. Ace-sta, Cra-
stos)13. Ma nei vv. 968-97 dell’Alessandra l’autore, che segue la ver-
sione mitica per cui leggendario ecista della città fu Elimo, figlio ba-
stardo di Anchise, si dilunga sul destino luttuoso della città, peren-
nemente consumata dal pianto e dalle grida di dolore in ricordo del-
la memoria di Troia distrutta dalle fiamme :
Aige¥sta tlh̃mon, soıù deù daimo¥nwn fradaı̃v
pe¥nuov me¥giston kaıù di aıßw̃nov pa¥trav
e¶stai pyroùv rΩipaı̃sin qßualwme¥nhv.
moùnh deù py¥eywn distyxeı̃v kataskafaùv
nh¥payston aıßa¥zoysa kaıù gowme¥nh
daroùn stena¥jeiv.
L’insistenza sul dolore e sui lamenti (969 : pe¥nuov; 972 : gow-
me¥nh; 973 : stena¥jeiv) è particolarmente forte, tanto da rendere più
che legittimo – a me sembra – il sospetto che Licofrone voglia qui ri-
chiamare allusivamente, con Aıßge¥sta, il tradizionale modulo dello
schetliasmòs, che cominciava con il topico aıßaı̃, e di conseguenza
suggerisca di leggere in Aige¥sta, con evidente paronomasia, un tra-
gico destino di lutto (simile, insomma, al più famoso aıßaı̃ dell’Aiace-
sofocleo, v. 430ss.). Questa interpretazione del significante diviene
probabilmente evidente con l’aıßa¥zoysa di v. 972, che appunto rimar-
ca l’omen nefasto che il toponimo riletto in chiave greca presenta.

Siracusa. Parlare di onomastica italica presso gli alessandrini si-


gnifica, per una buona parte, parlare del frammento callimacheo su-
gli ecisti delle colonie greche in Sicilia (Aitia 2, fr. 43 Pf.)14. La prima

13
A. Zamboni, Il siculo, in Lingue e dialetti dell’Italia antica, Roma 1978,
p. 972.
14
Su cui, in generale, per gli aspetti storici, antiquari e letterari : A. Barigaz-
zi, Saghe sicule e beotiche nel simposio delle Muse di Callimaco, in Prometheus, 1,
1975, p. 5-26; F. Cordano, Ecisti a banchetto, in PP, 39, 1984, p. 366-368;

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584 EMANUELE LELLI

città menzionata nell’elenco di questo aition è Siracusa : lo si evince


dagli scolî marginali di POxy 2080. Sfortunatamente non possiamo
sapere come Callimaco definisse la città, giacché nella spiegazione
dello scolio sono menzionate due forme toponomastiche :
Syra]xwù aß(poù) Syra[ko(ỹv)| lı¥mn(hv) h¶toi] S[y]ra¥kos | [sai aß(poù)
A]rxı¥[o(y)] gy[naik(oùv)] hû aß(poù) Sy¥]ra<v> kaıù Ko¥sshv uy | gate¥r(wn)
La prima forma, Syrakw¥, era spiegata con il riferimento alla pa-
lude (o allo stagno) da cui la città avrebbe tratto il nome15. Lo scolio
però menziona anche l’etimologia di una seconda versione topono-
mastica : Syrako¥ssai. Il nome, che va probabilmente ricondotto a
una formazione secondaria rispetto al Syrakw ¥ ‘palude/città’, è que-
sta volta interpretato con un’ operazione di appropriazione del signi-
ficante, giacché viene ricondotto alle sorelle eponime di Archia, eci-
sta siracusano, Sura e Kossa16. Quale dei due toponimi – quello ‘eru-
dito’ o quello ‘mitopoietico’ era contenuto nel brano di Callimaco?
Se si pensa che la forma Syrakw ¥ è la prima ad essere glossata
dallo scoliasta, e si considera che il raro toponimo era stato impiega-
to da Epich. fr. 231 K.-A., si può ragionevolmente pensare che il Ci-
renaico avesse preferito alla più comune Syrako¥ssai la forma più
erudita e ai suoi occhi credibile : molte città siciliane, infatti, come
attestavano fonti storiografiche note a Callimaco – per es. Duride,
FGrHist 76 F59= Steph. Byz. s.v. Akra¥gantev (che riconduce a idro-
nimi Siracusa, Gela, Imera, Selinunte, Erice e altri) –, derivavano il
toponimo da nomi di fonti, fiumi o stagni vicini.

Traduzione
Pola. La modalità per cui gli alessandrini propongono esplicita-
mente una ‘traduzione’ di toponimi italici (che al vaglio dei nostri
strumenti può rivelarsi vera o no), doveva avere un particolare valo-
re erudito, se si considera il fatto che tali dichiarazioni di ‘traduzio-
ne’ da una lingua diversa sono estremamente rare. La più eclatante
si trova, a mio parere non a caso, in Callimaco.
In uno dei primi racconti degli Aitia, il Ritorno degli Argonauti,
infatti, Callimaco menziona la tradizione mitica dell’inseguimento
di Argo da parte dei Colchi inviati da Eeta i quali, dopo aver perso le

L. E. Rossi, L’atlante occidentale degli Aitia di Callimaco : mito e modi di lettura,


in G. Pugliese Carratelli (a cura di), Mito e storia in Magna Grecia. Atti del trenta-
seiesimo Convegno di studi sulla Magna Grecia. Taranto, 4-7 ottobre 1996, Napoli
1998, p. 69-80.
15
Forse *sur-aku, «acqua salata», come propone Zamboni, cit. a n. 13,
p. 975.
16
Questa versione anche in Plut. mor. 773b (dove però le due sorelle di Ar-
chia sono Orty¥gia e Syrakoy¥sh) e Choerob. in Theod. can., GG IV 2, 242,7 Hilg.

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L’ONOMASTICA DEL MONDO ITALICO NEGLI ALESSANDRINI 585

tracce dei Greci, approdano in Adriatico e, timorosi di tornare in pa-


tria senza aver eseguito gli ordini del sovrano, si stabiliscono sulle
coste illiriche, come testimoniano anche Apollonio Rodio (4,514-
521) e Licofrone (1022). Callimaco non si limita al racconto mitico,
ma inserisce come notazione erudita una vera e propria ‘traduzione’
del toponimo della più famosa colonia colchica in Adriatico : Pola
(fr. 11,5-6 Pf. = 13 Massimilla).
a¶styron eßktı¥ssanto, to¥ ken Fyga¥dwn tiv eßnı¥spoi
Graiko¥v, aßtaùr keı¥nwn glw̃ss oßno¥mhne Po¥lav.
Non è possibile sapere se questa ‘traduzione’ – che non è atte-
stata altrove e che non corrisponde al pur incerto etimo di Pola –
fosse ripresa da qualche fonte storica o antiquaria o fosse un’ in-
venzione callimachea. È in ogni caso notevole l’atteggiamento del
Cirenaico, in cui si coglie tutto il carattere del poeta-filologo ales-
sandrino.

Zancle. Uno dei più noti casi di traduzione di un toponimo itali-


co conosciuta dai Greci è senz’altro quello di Zancle, antico nome di
Messene, ricondotta in vari modi al significato proprio di (di)-*ank
(cfr. lat. uncus, ancus, gr. a¶gkov), “falce”17.
Una prima versione, ‘geografico-razionalistica’, collegava il to-
ponimo alla conformazione drepanoeide¥v del sito : così Tucidide
(6,4,5) e Strabone (6,268). Callimaco, sempre nell’aition sulle città
siciliane (fr. 43,70ss.)18, propone invece una sovrapposizione mito-
poietica alla traduzione del termine non greco, che ragionevolmente
avrà interessato il cirenaico anche nel trattato sul cambiamento dei
nomi di città (Zancle/Messene) : nel sottosuolo di Zancle è nascosta
la falce con cui Crono mutilò suo padre Urano :
aßllo©te dhù mo¥ssynav eßpa¥ljesi [kartynue¥]ntav
oıΩ ktı¥stai dre¥panon ue¥nto pe[rıù Kro¥nio]n,
–keı̃ui gaùr w ∞ü taù gonh̃ov aßpe¥urise mh¥de eßkeı̃nov
ke¥kryptai gy¥pq za¥gklon yΩpoù xuonı¥q –
. [ . ] . i.an aßmfıù po¥lhov.
Questa versione, che non è attestata altrove – se non nel lemma
Za¥gklh di Stefano di Bisanzio (che però sembra dipendere chiara-
mente dal passo callimacheo) –, contrasta con le scelte degli altri

17
Esistevano pure altre due etimologie, che riconducevano il toponimo o a
uno Zanclo eponimo o ad una sorgente vicina, ma erano entrambe versioni minori-
tarie : cfr. Steph. Byz. s.v. Za¥gklh; per Zanclo vd. Diod. Sic. 4,85,1 (forse da Timeo).
18
Per gli aspetti storico-mitici vd. : G. De Sanctis, Callimaco e Messina, in
AAT, 63, 1928, p. 112-117; A. Colonna, La fondazione di Messina nella poesia di
Callimaco, in Ann.Univ.Mess., 1952/1953, p. 19-30; G. Vallet, Rhégion et Zancle.
Histoire, commerce et civilisation des cités chalcidiennes du détroit de Messine, Pa-
rigi, 1958, 61-63.

.
586 EMANUELE LELLI

alessandrini che hanno impiegato il toponimo. Se infatti Nicandro


(FGrHist 271/2 F15 = 21 Gow-Scholfield) accetta l’ interpretazione
geografica già tucididea, Licofrone collocava la caduta della falce di
Crono in un’ altra località, sempre in terra siciliana, cioè nell’attuale
Trapani, Dre¥panon (v.869). La falce di Crono, del resto, era più tradi-
zionalmente collocata a Corcira, detta anticamente Drepane19. Sem-
bra, in sostanza, che il siculo zancle abbia sollecitato a più riprese gli
alessandrini, discordi sulle motivazioni e interpretazioni del toponi-
mo, che tanto interesse aveva tuttavia suscitato da assumere ad un
certo punto addirittura lo statuto di vera e propria glossa, se in Ni-
candro (alex. 180), leggiamo :
h®mov yΩpoù za¥jklqsi peribrı¥uoysan oßpw ¥ rhn
rΩysale¥hn eΩdanoı̃o kaıù eßk ciuı¥hv eΩlı¥noio
keı¥rontev ulı¥bwsin
La ‘traduzione’ e l’erudizione, in questo caso, si uniscono all’al-
lusione letteraria e, probabilmente, alle polemiche e alle scelte diver-
se dei poeti-filologi.

Gela, Catania. Di altri due toponimi siciliani era vulgata una ‘tra-
duzione’ che riportava a lingue non greche : Gela e Catania. Forse
nel fr. 43 Pf. Callimaco impiegava una qualche perifrasi che alludes-
se all’aneddoto con cui veniva spiegata l’origine del toponimo Ka-
ta¥nh; gli scolî, infatti, che pure sono estremamente lacunosi e sono
stati diversamente integrati, conservano il nome kata¥nh che si colle-
ga senz’altro alla storia di Evarco. Il comandante calcidese, navigan-
do nei pressi del sito, avrebbe perso dalla nave una grattugia, in si-
culo ‘catane’, e così avrebbe denominato la città 20.
La notazione erudita sull’origine di Gela, collegata a ge¥la “bri-
na” (Tzetz. ad schol. in Thuc. 6,4,3; cfr. lat. gelu) e conservata da un
frammento di Epafrodito che con tutta probabilità avrà fatto parte
del commento ad Aitia 2,43,46s., apparterrà – stando al testo del
passo – al grammatico piuttosto che a Callimaco, il quale forse si sa-
rà limitato a suggerire la derivazione del toponimo dall’idronimo
(come pure aveva letto in Tucidide 6,4,3) :
oı®da Ge¥la potamoỹ kefalq̃ e¶pi keı¥menon a¶sty

19
Così, per esempio, Apollonio Rodio 4,983-986. Anche Callimaco, stando a
quanto afferma Plin. nat. 4,52 (= Aitia 1, fr.14 Pf. = 15 Massimilla), definiva Dre-
pane Corcira, e Pfeiffer ipotizza che il riferimento callimacheo alla falce fosse, in
tal caso, al dre¥panon con cui Demetra insegnò ai Titani a mietere il grano : questa
versione, d’altra parte, è anch’essa menzionata in Apoll. Rodio 4,982-992 accanto
all’altra, più tradizionale, sulla falce di Crono; lo scolio ad loc., infine, attesta che
fonte del primo racconto (falce di Crono) è Timeo (FGrHist 566 F79) e del se-
condo è l’Aristotele della Costituzione dei Corciresi (fr. 512 Rose).
20
Cfr. Plut. Dio 58; Steph. Byz, s.v. Kata¥nh.

.
L’ONOMASTICA DEL MONDO ITALICO NEGLI ALESSANDRINI 587

Erudizione e gioco letterario


Connida. A certificare l’interesse di taglio erudito da parte degli
alessandrini per problemi di onomastica, in particolare italica, si po-
ne prima di ogni altro il Giambo 11 callimacheo. Il componimento,
di cui purtroppo ci è pervenuto un solo verso, era incentrato proprio
su una questione onomastica, cioè – come informa la dieghesis – sul-
l’esatta forma dell’antroponimo del lenone selinuntino che per aver
lasciato nel testamento il suo intero patrimonio a chiunque lo avesse
arraffato era passato in proverbio 21 : Ko¥nnarov o Konnı¥dav. La forma
corretta secondo Callimaco, Konnı¥dav, presenta un aspetto linguisti-
co certamente più familiare al greco, con il tipico suffisso patroni-
mico/gentilizio –idhv, e forse è una versione ‘grecizzata’ del Ko¥nna-
rov in cui è evidente un formante –ro/-ra ben attestato in area siculo-
sicana (Iccara, Mazara, Eloro, Assoro, etc.).
Certo, nel giambo il Cirenaico coglieva l’occasione per narrare il
piccante aneddoto che era alla base del proverbio, ma ciò che conta
è il fatto che lo spunto per il componimento fosse offerto da un pro-
blema di onomastica : e ciò dice dell’interesse dei poeti-filologi del
Museo per tali questioni.
Temesa. Quando Atena, nelle vesti di Mente, si presenta a Tele-
maco nel primo libro dell’Odissea, afferma di essere in viaggio verso
Temesa, per acquistare rame : eßv Teme¥shn metaù xalko¥n (v. 184). Que-
sto passo ebbe una certa fortuna dal punto di vista della tradizione
letteraria, se è vero che da Callimaco (fr. 85 Pf.) sarà topico associa-
re a Temesa il commercio del rame 22.
Il toponimo, d’altro canto, suscitava anche l’ interesse erudito
dei grammatici, giacché la Teme¥sh omerica era stata doppiamente
identificata o con una Tempsa nel Bruzio o con Tamasso a Cipro
(cfr. schol.V ad Od. 1,184). Del verso omerico, del resto, era nota an-
che la variante Ta¥masin (cfr. Steph. Byz. s.v. Teme¥sh).
Pur avendo la Temesa cipriota maggiori probabilità di identifi-
cazione con l’emporio menzionato da Omero – il rame di Cipro era
nell’ antichità addirittura antonomastico : cfr. lat. cuprum, aes cy-
prum – il fatto notevole è che sia Callimaco sia Licofrone collocano
la loro Temesa nel Bruzio. Anche Strabone 6,225 propende a favore
di tale identificazione, adducendo come prova l’ esistenza di miniere
di rame nei pressi della città; anche se il le¥getai con cui il geografo
introduce la sua opinione sembra piuttosto vago, molti hanno pen-

21
Cfr. Zenob. Ath. II 77 aΩrpagaù taù Konnı¥da, rimandando a Callimaco e a Ti-
meo per la storia.
22
Cfr. schol. Lyc. 1067 (forse Timeo); Ovid. F. 5,441, met. 7,207; Stat. silv.
1,5,47.

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588 EMANUELE LELLI

sato a una fonte comune, a lui e agli alessandrini, per l’identificazio-


ne italica della Temesa omerica : il solito Timeo.
Tutta questa discussione dovette suscitare l’attenzione di Calli-
maco e il suo gusto per il gioco letterario con le glosse. Nel pur esi-
guo e estremamente frammentario passo in cui Callimaco nomina la
città – l’aition di Euticle locrese, frr. 84-85 Pf.) 23 – il termine (isolabi-
le e integrabile piuttosto agevolmente) impiegato per indicare i mo-
dellatori della statua bronzea (l’integrazione aßpoù [xalkoỹ di Barber-
Maas è ineccepibile) che la città di Locri dedica a Euticle è una glos-
sa che, credo non a caso, Esichio definisce cipriota (fr. 85,8-11 Pf.) :
h©n aßpoù [xalkoỹ
eıßko¥n]a shùn ayßthù Lokrıù˙v e¶uhke [po¥l]iv,
]a¥stai Temesaı̃on eßpeip[ ˙˙
˙
e¶r]ga aßmelissa¥wn aßmfıù soloityp[
˙
Hesych. v. soloity¥pov. mydrakty¥pov. kaıù xalko¥v tiv eßn Ky¥prw∞.

Callimaco giocava in tal modo con la tradizione letteraria, con


la critica omerica e con l’onomastica, scegliendo una delle due va-
rianti ma dando immediatamente prova di conoscere anche l’altra.
Neto. L’ idronimo Neto o Neeto, uno dei fiumi che sgorgano dal-
la Sila nello Ionio, è riconducibile alla radice *ner “corso d’ acqua”,
attestata anche in Sicilia (p.e. Na¥rwn, Naro; Nh̃stiv dea acquatica di
Agrigento) 24. Una tradizione mitica greca collocava alle foci del Neto
un episodio dei nostoi achei da Troia : alcuni argivi, di ritorno dalla
spedizione, sarebbero stati spinti fin sulle coste lucane; le prigionie-
re troiane, lasciate sulle navi, le avrebbero incendiate e così tutti sa-
rebbero stati costretti a rimanere in Italia.
Già in Antioco di Siracusa (FGrHist 555 F10) e poi Strabone
(6,262), compare l’interpretazione greca del toponimo legata all’epi-
sodio mitico : Ne¥aiuov o Nay¥aiuov deriva dall’incendio (aı¶uw) delle
navi (naỹv) ad opera delle donne troiane. È un esempio chiaro di ‘ap-
propriazione del significante’, ed è difficile stabilire se sia stato il mi-
to a influenzare la etimologizzazione dell’idronimo o se sia stato
quest’ultimo a suggerire la collocazione del mito.
Mito e idronimo, in ogni caso, erano ben noti a Licofrone, che
accenna all’episodio dell’incendio nei vv. 1075-1082 dell’Alessandra.
Setea, la troiana che aveva guidato la rivolta, morirà crocifissa e il
suo corpo dovrà essere gettato nel fiume : la paretimologia era dun-
que pronta ad essere sfruttata. Ma, sorprendentemente, Licofrone
non nomina il Nay¥aiuov come luogo del supplizio di Setea, ma il

23
Su cui vd. : A. Barigazzi, L’aition callimacheo di Euticle di Locri, in Prome-
theus, 2, 1976, p. 145-150
24
Zamboni, cit. a n. 13, p. 973-974; cfr. Emped. fr. 6,3 D.-K.

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L’ONOMASTICA DEL MONDO ITALICO NEGLI ALESSANDRINI 589

Crati, fiume gemello del Neto (insieme al quale è spesso menziona-


to : anche in Lyc. 919-920) :
Sh¥taia tlh̃mon, (...)
(...) pyrıù fle¥jasa despotw̃n sto¥lon,
e¶kblhton aıßa¥zoysa Kra¥uidov pe¥lav
to¥rgoisin aıΩw¥rhma foinı¥oiv de¥mav.
Perché? Non possiamo sapere se Licofrone, per antonomasia
autore della ricercatezza linguistica e della difficoltà espressiva, ab-
bia snobbato il fin troppo facile gioco etimologico, o se in realtà
stesse polemizzando sottilmente nei confronti di una versione miti-
ca non condivisa. Ciò che è evidente, tuttavia, è che ancora una volta
l’incrocio fra tradizione letteraria, versioni mitiche e onomastica
non-greca offriva all’autore alessandrino l’ opportunità di affascina-
re, e stupire, il lettore.

Emanuele LELLI

.
.
ASPETTI TERMINOLOGICI E CLASSIFICATORI

.
.
VINCENZO ORIOLES

COME CHIAMARE LE LINGUE


DELL’ITALIA ANTICA PREROMANA

Obiettivo di questo intervento, al quale in altra sede farò seguire


un opportuno approfondimento, è quello di avviare una ricognizio-
ne dei tipi onomastici in uso per denominare le varietà linguistiche
praticate nell’Italia antica prima della latinizzazione con l’intento di
estrarre indicazioni sulle motivazioni ispiratrici delle diverse istanze
di designazione.

Aspetti metodologici e metalinguistici


Già nel 1960 Gabriella Giacomelli attirava l’attenzione sul tema
del grado di astrazione delle scelte terminologiche concernenti i no-
mi delle lingue dell’Italia antica segnalando come si oscillasse tra
due atteggiamenti, il primo ispirato all’esigenza «di dare a tutti i co-
sti una realtà agli etnici tradizionali, facendoli coincidere con parti-
colari facies archeologiche», l’altro attento a far valere un criterio
mirato a premiare la convenzionalità : «poiché non vi è quasi niente
di sicuro, di incontestabile, i nomi si usano soprattutto come eti-
chette da applicare ai dati della tradizione o dell’archeologia, indi-
pendentemente da ogni effettiva corrispondenza storica, per ottene-
re una maggior perspicuità nel lavoro scientifico» (Giacomelli 1960,
p. 54).
«La terminologia etnica dell’Italia antica si presenta insieme
complessa e insoddisfacente», era in ogni caso il giudizio della stu-
diosa (p. 53) e l’insoddisfazione riguardava non solo i nomi traman-
dati dalla tradizione storiografica greca e romana1 ma anche i tipi

1
L’inaffidabilità del ricorso a etnici tramandati dalla tradizione era stata a
suo tempo sottolineata da Vittore Pisani, di cui mi piace riportare per esteso la
tranciante presa di posizione non priva di valenze metodologiche universali :
«L’uso di etnici presso gli autori antichi (come Itali, Iberi, Liguri ecc.) può esser
determinato da principii completamente diversi da quelli con cui li adoperiamo
noi : può esser comodo per noi usare tali etnici per dare un nome a certi concetti,
ma occorre tenere ben presente che essi possono aver designato, a seconda degli
autori che li hanno introdotti, o di quelli che li hanno ripresi, un concetto etnico
ovvero linguistico, ovvero politico e così via : è un po’ come se noi usassimo in
linguistica il termine austroungarico o sovietico a indicare una lingua, o in politi-

.
594 VINCENZO ORIOLES

artificiali costruiti in sede scientifica; questi ultimi sono sì liberi dai


condizionamenti della tradizione, ma, in quanto vincolati ad una
particolare teoria, sono soggetti a usura e restano in definitiva ben
lontani dal mettere d’accordo le diverse scuole.

Il costrutto di «glottonimo»
E proprio per sgombrare il campo da ogni commistione fra dato
etnico e dato linguistico è invalso l’uso, da alcuni anni a questa par-
te, di fare ricorso a un nuovo dispositivo metalinguistico, quello di
glottonimo, che va ad inserirsi agevolmente nello schema seriale co-
stituito dalle formazioni in -onimo utilizzate per i tipi onomastici.
L’impiego di glottonimo come equivalente di nome di lingua è
tecnicismo che mi risulta proposto da Adriano Rossi per indicare
«qualunque elemento onomastico relativo a denominazioni di qua-
lunque varietà linguistica» (Rossi 1981, p. 146 n. 23) 2 ; il tema sareb-
be stato ripreso e ampliato in Rossi 1984, p. 39 n. 2, dove si elabora
una complessa tassonomia comprensiva della distinzione tra auto-
glottonimo ed eteroglottonimo, parallela a quella fra autonimo ed ete-
ronimo, e in cui si parla anche di sistema glottonimico (p. 43) 3.
Il costrutto di glottonimo va idealmente a completare e a struttu-
rare l’ordinamento classificatorio delle istanze etnotoponomastiche
proposto nell’ambito del progetto DETIA (Dizionario degli Etnici e
Toponimi dell’Italia Antica), ideato e coordinato da Domenico Silve-
stri, attraverso cui viene istituita una «lessicologia dei toponimi e
dei connessi etnonimi» 4.

ca inglese a indicare un complesso statale intendendo l’insieme degli uomini per


cui l’inglese è la lingua materna, o da un punto di vista etnico (anche astraendo
dalle difficoltà di definire il termine ‘nazione’) svizzero come designazione di un
complesso nazionale» (V. Pisani, La penisola iberica, scalo linguistico ed etnico
[1977] in Studi di linguistica e filologia, vol. I : Spicilegium postremum (scritti e
saggi di Vittore Pisani), a cura di G. Bolognesi e C. Santoro, Galatina, 1982,
p. 127).
2
Va tuttavia rilevato che l’attestazione di glottonimo qui fatta valere è prece-
duta da “glottonimia”, che occorre nella forma tedesca Glottonymie fin dal 1979
in un lavoro di Hans Goebl (1979, spec. p. 8-31); si tratta di una opzione nomen-
clatoria posta come equivalente a Sprachnamenkunde per designare i processi di
denominazione delle lingue ed ivi (p. 8) espressamente intesa come neologismo.
3
Utili puntualizzazioni in Mancini 1983, dove già si parla di autoglottonimi;
ma fanno uso tempestivo del tipo terminologico anche Silvestri 1982 (p. 21 n. 9) e
Poccetti 1984 (p. 145). L’insieme di questi riferimenti consentono un buon gua-
dagno cronologico rispetto alla datazione (1994) fatta valere dal GRADIT s.v.
4
Una recente versione di tale griglia classificatoria (Silvestri 2001, p. 400-
402) comprende 10 categorie strutturate per coppie che oppongono la pertinenza
areale, espressa dal prefissoide geo-, all’istanza insediativa evocata dal tipo for-
mativo eco- : geotoponimo vs ecotoponimo; geoetnonimo vs ecoetnonimo; geo/
ecoetnotoponimo vs geo/ecotopoetnonimo; geoantroponimo vs ecoantroponimo;
geoteonimo vs ecoteonimo.

.
COME CHIAMARE LE LINGUE DELL’ITALIA ANTICA PREROMANA 595

Carattere ideologico dei costrutti metalinguistici


Se è vero in generale che i costrutti linguistici non sono mai en-
tità neutre, ma cristallizzazioni che riflettono modelli e punti di vi-
sta epistemologici ben precisi, ciò sarà vero anche per i glottonimi,
sui quali si proiettano giudizi, valutazioni e percezioni inseparabili
dal quadro culturale in cui si collocano le loro coniazioni. Posto in-
fatti che la categoria di lingua è il risultato di una costruzione cultu-
rale a forte valenza simbolica, ne discende che la sua denominazio-
ne è arbitraria e «susceptible de mener une trajectoire indépendante
de l’histoire de cette langue, des parlers ainsi désignés, et des locu-
teurs qui le parlent...» (il giudizio è di Tabouret-Keller 1997). Per l’e-
poca moderna basti pensare a come siano elemento di contraddizio-
ne e persino di conflitto linguistico i nomi delle lingue slave meri-
dionali parlate nella ex Jugoslavia 5 ; se poi prendiamo a riferimento
il dominio romanzo sono istruttive, anche metodologicamente, le
considerazioni di Walter Belardi sulla multivocità glottonimica e
complessità obiettiva nella storia delle parlate ladine (è il titolo del pri-
mo capitolo di Belardi 1991, p. 13-34).
Mi pare in definitiva molto sensata e felice la presa di posizione
di uno studioso noto per il suo approccio relativistico allo status del-
le lingue, secondo cui «ogni glottonimo va preso per quello che era
in un certo tempo, durante un certo tempo, nell’interno di un deter-
minato «campo di forze», ossia in funzione di una rete di rapporti»
(Muljaćić 1991, p. 186).

Tipi glottonimici per le lingue dell’Italia antica : la sistemazione cano-


nica
Per le lingue dell’Italia antica diverse dal latino il tradizionale
paradigma antiquario si basava su due unità idiomatiche principali
– l’umbro nel Nord, l’osco nel Sud – accanto alle quali veniva postu-
lato il cosiddetto sabellico, che, in aderenza alla terminologia di
Mommsen (1850, p. 329), designava i dialetti riferibili alle comunità
stanziate nell’area linguistica intermedia tra umbro e osco; in defini-
tiva, per rifarsi alla efficace sintesi di Prosdocimi 1995, p. 130, il qua-
dro convenzionale si fondava «su due poli, l’umbro – sostanzialmen-
te l’iguvino – nel Nord, l’osco – sostanzialmente il sannita, ma senza

5
Un contributo illuminante in questa direzione si deve a Dunja Rihtman-
Auguštin, Il nome della lingua. Una presentazione etnoantropologica della lingua
nel conflitto etnico-nazionale, in Ethnos e comunità linguistica : un confronto lin-
guistico e interdisciplinare. Ethnicity and language community : an interdisciplina-
ry and methodological comparison. Atti del Convegno Internazionale (Udine, Cen-
tro Internazionale sul Plurilinguismo, 5-7 dicembre 1996), a cura di R. Bombi e
G. Graffi, Udine, 1998, p. 135-151.

.
596 VINCENZO ORIOLES

la distinzione col resto – nel Sud; gli altri dialetti (‘minori’) erano
graduati tra questi due estremi, con una gradienza geografica, con
alcune ‘impennate’ come la umbricità del volsco (della tabula veli-
terna)». È forse il caso di evidenziare la contraddizione insita in tali
scelte, ove si pensi che quella di umbro esprime una grandezza etni-
ca, mentre per osco «il termine è, sin dall’antichità, esclusivamente
un glottonimo» (Silvestri 1994, p. 351).
Oscurando in ogni caso questa istanza differenziatrice, il para-
digma neogrammaticale avrebbe poi elaborato, ricavandola per
astrazione sommatoria, una entità sovraordinata identificata attra-
verso il sintagma osco-umbro : se si guarda alla sistematizzazione
del von Planta, la denominazione, lungi dall’essere posta in discus-
sione, appare come acquisita e consolidata e interpretata come un
utile comune denominatore su base geografica : «Letztere [die os-
kisch-umbrischen Dialekte] werden so genannt nach den beiden
Hauptmundarten, welche zugleich die Endpuncte des Sprachgebiets
bilden, Oskisch im Süden (Samnium, Campanien, z. Th. Lucanien
und Bruttium, Messana), Umbrisch im Norden» (von Planta 1892-
1897, p. 8) 6. Contestualmente era dato per scontato, in aderenza allo
schema interpretativo schleicheriano dell’albero genealogico, che
l’oscoumbro rappresentasse insieme con il latino la diramazione di
una fase preistorica unitaria a designare la quale viene piegato il ter-
mine italisch o uritalisch.
Si crearono in tal modo i presupposti per una ambiguità inter-
pretativa e terminologica che ha attraversato anche la fase matura
degli studi sulle lingue dell’Italia preromana e che tuttora riverbera i
suoi effetti distorsivi sulla ricerca 7 : alludo cioè alla duplicità di valo-
ri che accompagna l’impiego del tipo “italico”, ora inteso come pro-
tolingua o comunque designazione complessiva dell’unità predocu-
mentaria cui venivano fatti risalire sia il latino che le altre lingue in-
dœuropee dell’Italia antica ora identificato con i filoni rappresentati
dalle varietà dall’osco e dell’umbro in ogni caso distinti dal latino. Se

6
Per quanto riguarda la sua ricezione italiana, la documentazione di osco-
umbro, registrato in lessicografia a partire dal 1935 (così il GRADIT s.v.), è retro-
databile almeno all’uso che ne faceva Luigi Ceci, Per la storia della civiltà italica.
Discorso inaugurale dell’anno accademico 1900-1901 nella R. Università di Roma,
Roma, 1901 (rist. in L. Ceci, Latium vetus, a cura di W. Belardi, Alatri, 1987,
p. 127-190; in tale riedizione lo si può scorgere ad es. alla p. 145).
7
Sugli equivoci terminologici che persistono nelle istanze di designazione
delle lingue dell’Italia antica ha recentemente attirato l’attenzione Paolo Poccetti
prima in un denso intervento proposto al convegno promosso a Catania dalla So-
cietà Italiana di Glottologia (Poccetti 2004a, p. 184 ss. e spec. 186-187) e poi in un
contributo (Poccetti 2004b) centrato sulla figura di Michel Lejeune e sulle pre-
ziose Notes de linguistique italique delle quali lo studioso curerà la riattivazione.

.
COME CHIAMARE LE LINGUE DELL’ITALIA ANTICA PREROMANA 597

la prima valenza rispecchia come è noto la convenzione terminolo-


gica praticata, pur con qualche sfumatura diversa, in contesto tede-
sco e francese 8, la ridefinizione si deve in larga misura ai linguisti di
scuola italiana : un ruolo decisivo nel ribaltare le posizioni genealo-
giste lo ha giocato il Devoto 9 che rileggeva la nozione di italico non
già nei termini di snodo ricostruttivo, ma recuperandola nella sua
dimensione storica ed interpretandola con specifico riferimento ai
popoli di espressione oscoumbra in aderenza a una visione che fa
delle lingue dell’Italia antica il risultato di convergenze recenti e non
di una parentela arcaica (rinvio al dibattito pubblicato in Incontri
Linguistici 16, 1993 con le conclusioni tratte nel numero successivo
della rivista da Rix 1994).

L’aggiornamento documentario e la revisione delle scelte metalingui-


stiche
A partire dagli anni Settanta del XX sec. le nuove acquisizioni
epigrafiche, e l’individuazione di nuovi tipi linguistici che andavano
ad integrare il quadro delle conoscenze fin lì maturate, hanno porta-
to a destrutturare lo spazio etnolinguistico dell’Italia antica riconfi-
gurandolo in funzione di due articolazioni territoriali. Si individua-
no infatti da una parte un «italico del Nord», realizzato dalla koiné
sudpicena e sabina del VI sec. e dall’umbro (seguo l’inquadramento
di Marinetti 1985 che non si limita a proporci una affidabile edizio-
ne ma concorre in modo risolutivo a riscrivere la ‘posizione dialetta-
le’ del sudpiceno all’interno del quadro linguistico italico; cfr. anche
la formulazione di Prosdocimi 1995, p. 132 secondo cui «sabino,
umbro e sudpiceno costituiscono un’unica varietà di lingua cultural-
mente collegata») e dall’altra un “italico del Sud”, ossia una italicità
di tipo presannita espressa tra l’altro dalle iscrizioni protocampane
di Nocera Inferiore e Vico Equense e dall’epigrafe di Poggio Somma-

8
Sorretti dall’autorità di Antoine Meillet, i linguisti di scuola francese pro-
pendono infatti a interpretare l’italique come «le groupe de langues englobant la-
tin, falisque, osque, ombrien et manifestant des similitudes internes notables (en-
core que moins étroite que celles qu’on observe en osque et en ombrien)» : si cita
da M. Lejeune, Manuel de la langue vénète, Heidelberg 1974, p. 171. Stando tutta-
via a quanto fa rilevare Poccetti 2004b, p. 37, l’uso di Meillet è in realtà «flottant»
in quanto il concetto genetico corrispondente all’Uritalisch è individuato propria-
mente dal sintagma italique commun mentre con la semplice denominazione di
italique l’indoeuropeista francese faceva riferimento «aux parlers italiques non
latines» (con rimando all’Esquisse d’une histoire de la langue latine, Parigi, 1928,
p. 48).
9
A partire da Italo-greco e italo-celtico, in Silloge linguistica dedicata alla me-
moria di Graziadio Isaia Ascoli nel primo centenario della nascita, Torino, 1929,
p. 20-240, ripubblicato in Scritti minori, I, Firenze, 1958, p. 129-154; cfr. anche
Gli antichi italici, Firenze, 1931 (prima edizione).

.
598 VINCENZO ORIOLES

villa. Si andava così delineando una «italicità preosca e preumbra,


che forse non è azzardato definire ‘protosabina’, anche in considera-
zione del fatto che questo etnico, che rappresenta probabilmente il
nome ‘nazionale’ italico, affiora proprio, per la prima volta in forma
diretta, nelle iscrizioni sudpicene» (Silvestri 1994, p. 352).
Da qui la necessità di rivedere «schemi linguistici, culturali e
storiografici» (Prosdocimi 1995, da cui traggo conclusioni e implica-
zioni sul mutamento del quadro d’insieme; cfr. specialmente le
p. 131-133), ma anche glottonimici e metalinguistici, in maniera tale
da rendere ragione tra l’altro dell’antitesi tra italicità storica, riferita
cioè alle unità storicamente emerse, e italicità fondata su basi lin-
guistiche.

Rivitalizzazione e dilatazione del tipo ‘sabellico’


L’esigenza di revisione ha condotto per la verità anche ad un esi-
to inaspettato. Ultimamente infatti la tradizione di scuola tedesca ha
rimesso in auge il tipo ‘sabellico’, estendendone l’ampiezza (rispetto
alla latitudine originaria così come delimitata secondo il § 2), fino a
comprendere l’insieme delle parlate dell’Italia preromana, dall’osco
all’umbro, dal sudpiceno alla lingua delle iscrizioni della Campania
del V secolo a.C. caratterizzata come Präsamnitisch. Su questa lun-
ghezza d’onda si colloca ad esempio Meiser (1986), il quale rileva la
«Unhandlichkeit» del tipo ‘osco-umbro’; anche Helmut Rix (2002)
preferisce parlare di sabellische Sprachen facendo leva sul fatto che,
con l’individuazione del sudpiceno come grandezza autonoma irri-
ducibile all’osco-umbro, «ist der Name Oskisch-umbrisch für die
Sprachgruppe nicht mehr so gut motiviert wie früher» (§ 1.1, Zum
Namen der Sprachgruppe; si cita dalla p. 1); non diversa è del resto la
prospettiva fatta valere, su un piano diverso di sistematizzazione, da
Meier-Brügger 2002. Nella visione di questi studiosi, in definitiva, le
diverse lingue storiche del gruppo ‘sabellico’ costituiscono l’articola-
zione di una originaria unità italica che passa sotto il nome di proto-
sabellico (ovvero «proto-osco-umbro-sudpiceno») distinto dal proto-
latino o latino-falisco; dalla fase di indistinzione del protosabellico10
discenderebbero il sudpiceno, la lingua delle iscrizioni presannite
della Campania, l’umbro, le varietà umbroidi (marso-equo-volsco),
l’osco ed infine i dialetti oschi del Nord (peligno-marrucino-vestino),
interpretati da Adjego Larara 1992 come possibile ‘pervivencia’ del
sudpiceno. Indubbiamente fa un certo effetto notare l’insistita con-
vinzione con la quale è riproposta una nozione, quella di protolin-
gua, che appartiene a un modello della ricostruzione linguistica per

10
Il tipo terminologico è riproposto nella forma spagnola Protosabelio presso
Adjego Larara 1992.

.
COME CHIAMARE LE LINGUE DELL’ITALIA ANTICA PREROMANA 599

molti versi rimesso in discussione : tanto variegato e complesso il


quadro dei contatti su suolo italico tanto semplificatrice è la postu-
lazione di unità linguistiche predocumentarie soggette a progressiva
frammentazione.

Vincenzo ORIOLES

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Adjego Larara 1992 = I.-J. Adjego Larara, Protosabelio, osco-umbro, sud-


piceno, Barcellona, 1992.
Belardi 1991 = W. Belardi, Storia sociolinguistica della lingua ladina, Roma-
Corvara-Selva, 1991 (Studi ladini XV; Biblioteca di Ricerche Linguistiche
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600 VINCENZO ORIOLES

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Dal ‘Paradigma’ alla Parola. Riflessioni sul metalinguaggio della linguisti-
ca. Atti del Convegno Udine-Gorizia 10-11 febbr. 1999, a cura di V. Orides
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Dialekte, 1, Einleitung und Lautlehre, Strasburgo, 1892-1897.

.
SARA FEDALTO

Eunikaù kaıù kthtika¥


DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA

Il termine moderno etnico, il cui uso è comune e il valore asso-


dato nel metalinguaggio della linguistica, è diretta eredità della ter-
minologia tecnica antica. Etnico (aggettivo o sostantivo) va inteso
come quel derivato da un nome indicante una comunità nazionale o
tribale o un luogo (patria, regione, città) che ne definisce rispettiva-
mente l’appartenenza e la provenienza1. Nell’uso linguistico moder-
no compare anche il composto dotto etnonimo di più ristretta appli-
cazione nonostante sia dotato di maggior trasparenza semantica e
risulti, a rigore, più adeguato 2.
Tuttavia è riconoscibile nell’uso attuale di questo termine una
discontinuità di valore rispetto alla funzione rivestita nel quadro ter-
minologico antico. Infatti il termine etnico della terminologia greca
non ricopre totalmente l’accezione che il termine ha nella linguistica
moderna. Il contenuto semantico che nella linguistica attuale viene
ricondotto al solo etnico era invece nel sistema linguistico greco ri-
partito tra le due categorie nominali dell’eßuniko¥n e dello kthtiko¥n.
Sono stata indotta ad interessarmi di comprendere questa di-
stinzione dalla lettura integrale degli EUNIKA di Stefano Bizantino,
fatta a suo tempo nell’ambito del progetto D.E.T.I.A. (Dizionario de-
gli etnici e toponimi dell’Italia antica). Era allora sorto un dibattito a
proposito delle modalità sulle quali costruire una griglia classifica-
toria coerente ed esaustiva dei dati etnotoponomastici che via via si
andavano raccogliendo dallo spoglio delle fonti.
È evidente, e sottinteso implicitamente da chi ne fa uso, che la
designazione invalsa, quella di etnico, è spesso impropria dal mo-
mento che il riferimento concerne non solo nomi di popolo, ma an-
che di nazione, città, regione, tribù, e altro ancora. Tanto etnico che
etnonimo, ad una considerazione più attenta delle funzioni metalin-

1
Cfr. Beccaria 1994.
2
Nell’ambito dei dizionari di linguistica in lingua italiana da me consultati è
riportato dal solo Cardona 1988.

.
602 SARA FEDALTO

guistiche, si rivelano non pienamente adeguati ad indicare la varietà


di designazioni che a questa categoria nominale si riconduce, sia in
termini di diversa tipologia semantica che di diversa ampiezza desi-
gnativa (vd. ad esempio l’utilizzo di una stessa denominazione per il
toponimo e l’etnonimo, etnonimi al limite dell’antroponimo e così
via) 3.
Nell’ambito di questo dibattito D. Silvestri, denunciando la «la-
titanza di una linguistica istituzionale» in questo settore degli studi
onomastici, proponeva allora la delimitazione dei dati almeno tra et-
nico e tribonimo rispettivamente per i nomi di abitanti di centri
abitati e di unità (territoriali, regionali, nazionali) più vaste e più
complesse 4, per proporre in seguito 5 l’alternativa di poleoetnonimo
per gli abitanti di un centro (città o villaggio). Ai fini del progetto
D.E.T.I.A. la distinzione veniva poi codificata in termini di ecoetno-
nimi e geoetnonimi 6, quest’ultimo usato per denotare entità etniche
caratterizzate da una certa estensione territoriale, i cosiddetti «nomi
nazionali» 7.
A fronte di queste preoccupazioni, Stefano Bizantino offriva in-
vece, nell’ambito della terminologia etnotoponomastica, una classi-
ficazione inusitata e sorprendente; infatti nel suo vasto repertorio di
voci etnotoponomastiche, alla trattazione dei singoli lemmi il lessi-
cografo affianca regolarmente a un etnico il rispettivo ktetikon di-
mostrando di distinguere accuratamente le due categorie grammati-
cali e inducendoci a pensare che ktetikon possa avere in qualche mo-
do a che fare specificatamente con l’etnotoponomastica.
Gli esempi riportati illustrano le modalità di presentazione dei
dati, per lo più proposti secondo lo schema nome di città ∼ etnico ∼
ktetikon :
Faraı¥, po¥liv Messh¥nhv eıßsi kaıù [...]Fhraı¥. oΩ polı¥thv Fhraı̃ov [...] kaıù
kthtiko¥n Faraikoùv aßpoù toỹ Faraı̃ov.
Pamφylı¥a [...] oıΩ katoikoỹntev Pamφy¥lioi. toù kthtikoùn Pamφyliako¥v, w Ωv
toỹ Ky¥priov toù Kypriako¥v, Boiw¥tiov Boiwtiako¥v.
Pe¥rsai, toù e¶unov [...] kaıù kthtikoùn Persiko¥n.
Ko¥rinuov, po¥liv e¶sw toỹ ßısumoỹ th̃v Peloponnh¥soy [...] oıß polı̃tai Korı¥n-
uioi [...] kaıù Korinuiakoùv ko¥lpov toù kthtiko¥n.

3
Cfr. Nikonov 1990, che si chiede se sotto il termine Ethnonimie si possano
ricondurre così diverse designazioni e come sia dunque possibile definire i confi-
ni a cui è applicabile l’etichetta di Etnonimia.
4
Silvestri 1982, p. 65-74. Generica è di per sé anche l’etichetta di toponimi a
cui sono da ricondurre designazioni che sono propriamente idronimi, oronimi,
econimi, ai quali si può aggiungere una quarta categoria, quella dei geonimi per i
nomi di località generiche (insulae, agri).
5
Silvestri 1984, p. 72.
6
Silvestri 1986.
7
Silvestri 1995.

.
DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA 603

Spa¥rth, Lakwnikoùn xwrı¥on [...] toù eßunikoùn Spartiãtai [...] toù kthtikoùn
Spartiatiko¥v 8.
L’uso di questa marca classificatoria che, come vedremo, defini-
sce una vera e propria categoria grammaticale, è dato per scontato
al pari della corrispettiva categoria nominale dell’eßuniko¥n. Questi
due termini sono utilizzati da Stefano in modo coerente alla lunga e
consolidata tradizione grammaticale di cui egli si avvale, la quale ne
aveva definito in modo chiaro e rigoroso caratteristiche semantiche
e formali.
L’opera di Stefano Bizantino è databile ad epoca tarda; sull’ef-
fettiva esistenza di molte delle forme date sorgono, come vedremo in
seguito, legittimi dubbi 9 dal momento che la raccolta risponde più
ad intenti lessicografici, se non normativi, che documentari : è
quanto risulta ad esempio dalla serie di coppie di etnici e di ktetika
riportate per simmetria alla voce Pamφylı¥a. Tuttavia essa, nel com-
plesso, segnalando questa distinzione nell’ambito della documenta-
zione etnotoponomastica, non fa che attestare una prassi linguistica
di lunga tradizione le cui prime testimonianze ci sono fornite da
Omero.
Già in Omero troviamo laoùv Axaiko¥v, Trwiko¥v rispetto ai relati-
vi etnici Axaioı¥, Trw̃ev; Tucidide III, 104 presenta la serie Dh̃lov,
Dh¥liov (Apollo) e Dhliakoùn xoro¥n e in IV, 30 Aıßtwliko¥n pa¥uov, ri-
spetto a Aıßtwloı¥ ; in Erodoto, accanto a Mh̃doi e Lydoı¥, occorrono ri-
spettivamente Mhdikhù aßrxh¥, Lydikhù xw¥rh; Pe¥rsai sono i Persiani
ma persikh¥ stratih¥ è l’esercito persiano.
La correlazione etnico ∼ ktetikon si riconosce ancora nei seguen-
ti esempi : Sky¥uhv è chi appartiene al popolo degli Sciti, skyuiko¥v si
riferisce a un oggetto (es. skyuiko¥n to¥jon); Eretriey¥v è un abitante
di Eretria, di contro a Eretrikh¥ xw ¥ rh.

Che cosa diversifica dunque le due indicazioni?


Dittenberger, che in tre diversi interventi in Hermes10 ha scanda-
gliato a fondo il problema, analizzando valore, forma, uso, distribu-
zione, norme e deviazioni dalla norma di etnici e ktetica, ha descrit-
to la distinzione in questi termini : l’eßuniko¥n, sostantivo o aggettivo,
indica una persona secondo la sua origine, appartenenza a una tribù

8
Stephani Byzantii ethnicorum quae supersunt, ex recensione Augusti Mei-
nekii, Graz 1958, unveränderter Abdruck der 1849 im Verlag G. Reimer in Berlin
erscheinenen Ausgabe. Se è prevalente il numero di attestazioni in -iko¥v, che qui
si son volute esemplificare, occorrono tuttavia anche forme di ktetikon in -eiov,
-iãov.
9
Cfr. nota n. 32 a proposito delle basi su cui Stefano costruisce etnici e kte-
tica, a proposito di etnici indicati come ktetica, o altre incongruenze.
10
Dittenberger 1906; Dittenberger 1906 a; Dittenberger 1907.

.
604 SARA FEDALTO

o stato o città, lo kthtiko¥n indica una cosa come appartenente ad un


popolo o che sta in qualche relazione con un territorio o una città.
In altri termini, prescindendo dalla struttura morfologica e ap-
plicando un’analisi in tratti semantici, quanto ricade nella categoria
dell’ethnikon è contrassegnato dal tratto ‘+ umano’ rispetto a quanto
descritto come ktetikon.
Questa ripartizione che troviamo realizzata nella norma11 lingui-
stica greca deriva da una distinzione delle relazioni grammaticali at-
tuata nella coscienza linguistica e coerentemente sistematizzata dal-
la riflessione grammaticale.
Proprio seguendo la tradizione grammaticale ci soffermiamo in
particolare sull’aspetto semantico della distinzione perché è quello
che costituisce il criterio discriminante e classificatorio nei gram-
matici greci e che viene utilizzato sia nella descrizione dell’ethnicon
che in quella dello ktetikon.
Considereremo parallelamente la tradizione latina con lo scopo
di illustrare parallelismi e discontinuità, utili a circoscrivere in mo-
do più preciso la problematica e, nel contempo, a cogliere la specifi-
cità dei due ambiti linguistici.
La definizione canonica di Dionisio Trace intende l’etnico come
una delle diverse eı¶dh cui l’o¶noma è soggetto. Nella categorizzazione,
costruita come già anticipato, secondo un criterio semantico e non
strettamente morfologico, proposta nella sezione Perıù oßno¥matov, eßu-
niko¥n è descritto come toù e¶unov dhlwtiko¥n, w Ω v Fry¥j, Gala¥thv (GG
Uhlig I.1, 38, 6).
Euniko¥n è dunque quel nome usato per indicare l’appartenenza
a un popolo.
Gli esempi addotti da Dionsio Trace rispondono alla definizio-
ne : in effetti Fry¥j e Gala¥thv riportati come esempio indicano nomi
di popolo, ma l’uso generalizzato nella tarda grammatica greca di-
mostra l’estensione del concetto di etnico ad abbracciare tutte le pa-
role riferite a una persona che la designino secondo il suo luogo d’o-
rigine (quindi non solo l’e¶unov, ma anche il dh̃mov, la po¥liv), vale a di-
re anche il ‘politico’ e il ‘demotico’12.
I latini, nel solco della tradizione greca, hanno invece dimostra-
to maggior rigore definitorio elaborando per questi casi un termine
specifico, patrium. Così Prisciano : Gentile est, quod gentem signifi-
cat, ut ‘Graecus’, ‘Latinus’. Patrium est quod a patria sumitur, ut
Atheniensis, Romanus (Keil II 61, 3-4); una medesima preoccupazio-
ne distintiva è rivelata da Diomede pur se non accompagnata da una

11
Uso la nozione di norma linguistica con riferimento alla definizione, dive-
nuta paradigmatica, proposta da Coseriu 1971, p. 19-103.
12
Cf. Dittenberger 1906 a, p. 162 s.

.
DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA 605

terminologia apposita : sunt nomina quae gentem significant, ut Afer


Dacus Hispanus; alia patriam, ut Thebanus Romanus (Keil I, 322, 14-
15)13.
Il greco ha invece attuato un’arbitraria quanto economica esten-
sione del concetto di etnico come nome di persona derivato da un
luogo che indica relazione con quel luogo, e proprio in questa acce-
zione più ampia etnico è usato nella terminologia moderna.
Dal punto di vista morfologico in greco l’etnico si presenta come
nome semplice o derivato, usato da solo o come attributo; abbiamo
dunque nomi primitivi (Arka¥v, Lokro¥v, Sky¥uhv, Mh̃dov ...) e deriva-
zioni sostantivali (in ey¥v, -ı¥v, -thv, -tiv) o aggettivali (-iov, -ia, -ion.
-nov, -nh, -non) da nomi di luogo.
Perciò gli esiti sono vari : Ko¥rinuov - Korı¥nuiov, Me¥gara - Mega-
rey¥v, Tege¥a - Tegea¥thv, Ky¥zikov - Kyzikhno¥v, ed ancora Rh¥gion -
Rhgı̃nov, Iua¥kh - Iuakh¥siov. Altri tipi sono ¶Abantev e Aıßniãnev14.
Lo kthtiko¥n appare nell’ambito della Wortbildungslehre dei
grammatici greci come uno dei sette tipi di derivazione (paragwgh¥)
cui il nome può essere soggetto; il suo status grammaticale è pure
delineato da Dionisio Trace nel capitolo Perıù oßno¥matov della Te¥xnh
grammatikh¥.
Anche in questo caso Dionisio procede secondo criteri semantici
di categorizzazione : l’aspetto morfologico dell’analisi dei suffissi
derivazionali non è pertinente ai fini della classificazione attuata da
Dionisio, e non lo è neanche ai nostri fini : Eı¶dh deù paragw ¥ gwn eΩstıùn
eΩpta¥. patrwnymiko¥n, kthtiko¥n, synkritiko¥n, yΩperuetiko¥n, ypokoristi-
ko¥n, parw¥nymon, rΩhmatiko¥n (GG Uhlig I.1, 25, 6). Kthtiko¥n è dunque
una delle sette specie di derivati da un nome primario (prwto¥typon),
assieme al patronimico, comparativo, superlativo, diminutivo, deno-
minale, deverbale. Nello specifico kthtikoùn deù eßsti toù yΩpoù thùn kth̃sin
peptwko¥v, eßmperieilhmme¥noy toỹ kth¥torov, oıüon †Nhlh¥ioi ™ıppoi (L
597)15, Ekto¥reov xitw ¥ n (B 416), Platwnikoùn Biblı¥on16 (GG Uhlig I.1,

13
Così anche in Consenzio : sunt alia [scil. nomina] gentis, ut Graecus Hispa-
nus, sunt alia patriae, ut Thebanus Romanus (Keil V, 340, 1-2) e nell’Ars anony-
ma : Sunt alia [scil. nomina] gentis, ut Graecus Hispanus, quae a Graeco et Hispa-
no vocantur, unde unusquisque de Graecis Graecus dicitur et unusquisque de His-
panis Hispanus vocatur. Alia sunt patriae, ut Italicus ab Italia, et Africanus ab
Africa dicitur. Alia loci, ut Romanus a Roma dicitur et Thebanus a Thebae voca-
tur... (Keil VIII, 72, 30-35).
14
Cfr. Dittenberger 1906 a, p. 167 s.; Risch 1957, p. 63-74.
15
Il testo omerico ha in realtà la forma femminile Nhlh¥iai; così anche per
Ettore la forma omerica del possessivo è Ekto¥reiov.
16
In riferimento a questa nozione di possesso si spiega anche l’indicazione a
I.1, 31, 5 per cui hΩ deù genikhù (scil. ptw̃siv) viene anche detta kthtikh¥ te kaıù pa-
trikh¥.

.
606 SARA FEDALTO

26,7), vale a dire ktetikon è quel nome che ricade sotto la categoria
del possesso, e che include il possessore; aggettivo, dunque, derivato
da nome di persona applicato a cosa che è in possesso della perso-
na17.
In latino il corrispettivo che dai grammatici viene fatto esplicita-
mente corrispondere è possessivum18.
In realtà l’uso generalizzato dello ktetikon esorbita da questa de-
finizione : non è solo la nozione di appartenenza/possesso che viene
veicolata da questa classe nominale : in effetti già i commentatori
antichi, sottolineando l’inadeguatezza di questa etichetta, avevano
notato che alla categoria dello kthtiko¥n dovevano essere ricondotte,
quali specie, anche altre voci come quella dell’oıßkeiwtiko¥n, del metoy-
siastiko¥n e dello synemφantiko¥n/synekφantiko¥n, vale a dire designa-
zioni più ampie come provenienza da un luogo, composizione mate-
riale, altri tipi di relazione.
Così gli scolii Vaticani e Marciani a Dionisio (GG Hilgard I.3,
223, 31 e rispettivamente I.3, 371, 18) : Eı¶dh deù toỹ kthtikoỹ taỹta, oıß-
keiwtiko¥ n, metoysiastiko¥ n, synemφantiko¥ n . oıß keiwtiko¥ n meù n, w Ωv
Oly¥mpiov uala¥ttiov, metoysiastikoùn de¥, wΩv aßrgy¥reov xry¥seov, syne-
mφantikoùn de¥, w Ω v grammatikoùv gewmetriko¥v.
Più ampia l’indicazione dell’Etymologicum Magnum : Eı¶dh deù
toỹ kthtikoỹ, trı¥a. oıßkeiwtikoùn, synekφantikoùn, metoysiastiko¥n. oıß-
keiwtikoùn meùn, toù oıßkeı¥wsin e¶xon proùv to¥pon. oıüon, oyßra¥niov, eßpı¥geiov,
uala¥ssiov, Ky¥priov, ro¥diov, gh¥inov. synekφantikoùn deù, toù synekφaı̃-
no¥n ti meu eΩaytoỹ. oıüon, grammatiko¥v. synekφaı¥nei gaùr grammatikh¥n.
kaıù aßstronomikoùv oΩmoı¥wv kaıù rΩh¥twr kaıù φilo¥soφov. metoysiastikoùn deù
eßsti, toù mete¥xon oyßsı¥av tino¥v. oıüon ke¥drinov [...] derma¥tinov, xa¥lkeiov,
xry¥seiov stayroùv, bro¥teiov xeı¥r19.
Se dunque alla categoria dello ktetikon ne vengono ricondotte
altre che non indicano propriamente il possesso ma una relazione in

17
È indubbia la contiguità semantica tra patronimico e ctetico, ma la distin-
zione attuata nella descrizione grammaticale è altrettanto motivata : come già
notano gli scolii, il patronimico deriva unicamente da un nome proprio; inoltre il
patronimico predice il contenuto semantico del determinato, che è sempre ‘figlio’
o ‘figlia’ (o eventualmente un discendente più lontano) : cfr. Lallot 1989, p. 133.
18
Cfr. Pompeo : cteticon id est possessivum (Keil V, 147, 7-8); Cledonio : cte-
tica dicuntur possessiva (Keil V, 36, 12); Diomede : possessiva, quae kthtika¥ di-
cuntur (Keil I, 323, 21-22).
19
Etymologicum Magnum seu verius Lexicon saepissime vocabulorum ori-
gines indagans ex pluribus lexicis scholiastis et grammaticis anonymi cuiusdam
opera concinnatus, ab Codd. Mss. recensuit et notis variorum instruxit Th. Gais-
ford, Amsterdam 1967 (reprint of the edition Oxford 1848). Le medesime indica-
zioni occorrono anche nell’Etymologicum Gudianum (cfr. Etymologicum Graecae
linguae Gudianum et alia grammaticorum scripta e codicibus manuscriptis nunc
primum edita, ed. F. W. Sturz, Hildesheim-New York, 1973, rist. anastatica, Lip-
sia, 1818).

.
DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA 607

termini più generali, da un punto di vista morfo-semantico lo kteti-


kon può allora essere ricondotto a quell’articolato insieme che è la
categoria degli aggettivi di relazione su cui ampia è stata la riflessio-
ne per le implicazioni di carattere generale che l’analisi comporta,
soprattutto a proposito del delicato rapporto tra il livello morfologi-
co e il livello semantico/funzionale 20, come risulterà dalle osserva-
zioni che seguono.
Indubbiamente la nozione di ktetikon richiama in primo luogo
l’attenzione per l’accurata formalizzazione cui tale classe morfologi-
ca è pervenuta, nella quale si dimostra la capacità della riflessione
grammaticale greca di distinguerne sottilmente peculiarità e prero-
gative. Inoltre l’insistenza e la puntualità con cui la descrizione vie-
ne operata, nonché la doviziosa esemplificazione addotta, dimostra
la vitalità di questa classe, quella appunto degli aggettivi di relazio-
ne, nella lingua greca, la preferenza cioè accordata al sintagma ag-
gettivale rispetto al nesso nome-genitivo; a questo aspetto, di note-
vole interesse dal punto di vista funzionale, molta attenzione è stata
dedicata a partire da J. Wackernagel, Genetiv und Adjektiv, 1908 21.
Tuttavia qui interessa soprattutto segnalare come questa desi-
gnazione entri nel repertorio terminologico dell’etnotoponomastica
e si combini con quella concorrente di etnico.
Come si è visto tra gli ktetika ne esiste una sottocategoria di cor-
rispondenti a etnici, una classe coerente e ben individuabile, i quali
possono a ragione rientrare nella categoria generale degli ktetika, in
quanto rispondono alla definizione di aggettivo derivante da indica-
zioni di persona, che indica una cosa come appartenente o in rela-
zione alla persona. L’etnico è indicazione di persona, come lo è un
nome individuale; quindi Skyuiko¥v appartiene agli ktetika allo stesso
titolo di Platwniko¥v : l’eßuniko¥n costituisce il nome primario (prwto¥-
typon) da cui deriva, come para¥gwgon, lo kthtiko¥n 22. I grammatici, in
modo pienamente coerente, non ritengono necessario ritagliare una
sottocategorizzazione particolare per questo gruppo che è invece
ampiamente citato nelle esemplificazioni 23.

20
A questa categoria vengono ricondotti da Chantraine 1968, p. 385 s. e, in-
seriti in una trattazione generale del problema, da Schmidt 1972.
21
Wackernagel 1908, p. 125-152. Per una sintesi sugli interventi successivi
cfr. Bertagna 2001, p. 53-76.
22
In realtà se gli ktetica derivati da etnici sono i più frequenti e gli originali,
nei casi in cui non era presente un etnico non rimaneva che derivare l’aggettivo
dal nome di luogo : è il caso di Olympiko¥v (cfr. Dittenberger 1906 a, p. 205 s.).
23
Cfr. ad esempio Erodiano che tra i kthtika¥ citati nei luoghi in cui analizza
le modalità di formazione e gli aspetti prosodici dei derivati, annovera vari esem-
pi di kthtika¥ da etnici es. Galatiko¥v, Trwiko¥v, Dhliako¥v, Eyßboiko¥v (GG Lentz
III. 1-2, passim).

.
608 SARA FEDALTO

Soffermiamoci per un momento ora sull’aspetto morfologico : le


forme riportate dai grammatici (da Dionisio Trace all’inizio della
tradizione fino agli Etymologica, che della tradizione grammaticale
greca raccolgono l’eredità) fanno pensare ad una certa allotropia. In
realtà la varietà è spesso solo apparente in quanto dovuta a sandhi
interno, a seconda delle diverse basi : la forma più ampiamente usa-
ta e più antica è quella in -ikos, ma si registrano ampiamente altri
suffissi, in particolare -eiov e -aiov.
Secondo l’analisi di Erodiano 24, raccolta poi dagli scolii e dagli
Etimologici Magnum e Gudianum, le uscite di ktetikon sono sostan-
zialmente due : -kov e -ov kauaro¥n le quali danno adito a otto diverse
realizzazioni a seconda della vocale che precede : iko¥v, (Ellhniko¥v),
-iako¥v (Rodiako¥v), -yko¥v (Lybiko¥v, aΩlyko¥v), per pleonasmo di r
-ykro¥v (aΩlykro¥v), -eiko¥v (Kerameiko¥v), -eiov (Omh¥reiov), -aı̃ov, -oı̃ov,
-w∞ov.
A proposito della suffissazione degli ktetika da etnici è da osser-
vare che se il suffisso -iko¥v conosce indubbiamente un’ampia diffu-
sione nel greco storico nella formazione di aggettivi di relazione, è
proprio quella degli ktetika da etnici la classe in cui l’utilizzo di tale
suffisso è documentato nei testi più antichi 25. Forme in -iako¥v sono
l’esito da basi costituite da etnici in -iov (cf. Dh¥liov – Dhliako¥v,
Karxhdo¥niov – Karxhdoniako¥v, Peloponnh¥siov – Peloponnhsia-
ko¥v) 26.
Tuttavia, più che il suffisso, interessa che in generale dalla tradi-
zione grammaticale greca emerge la valorizzazione dell’aspetto fun-
zionale-semantico rispetto a quello morfologico, in particolare la
percezione dell’ambiguità semantica, della non prevedibilità del tipo
di relazione stabilita dal suffisso. Questo vale sia per la classe degli
ktetika in generale sia per lo specifico degli ktetika da etnici. Nel pri-
mo caso risultano significative alcune indicazioni dell’Etymologicum
Magnum e Gudianum i quali, concordemente, dopo aver indicato i

24
GG Lentz III. 2, 860, 22. L’analisi di Erodiano è articolata e doviziosa : dai
diversi luoghi si ricavano informazioni sulle varie realizzazioni cui si perviene a
seconda del prototipo e gli esiti dovuti alle peculiarità dialettali. Sono prescritte
restrizioni morfo-sintattiche e semantiche : lo ktetikon non può costituire la base
per la derivazione del patronimico, i termini indicanti parti del corpo seleziona-
no tra gli ktetika quelli in -ov e non quelli in -kov; lo ktetikon è infine soggetto a
restrizioni semantiche : se usato per parti del corpo umano o animale può essere
riferito solo a esseri morti e diversamente viene rimpiazzato dal genitivo.
25
Chantraine 1968, p. 385. Per addentellati antico-indiani e indeuropei in ge-
nerale cf. Tovar 1954, p. 56 s. e Risch 1974, p. 149 s.
26
Così Dittenberger 1906 a, p. 198-199 per il quale questo conferma che lo
ktetikon deriva dall’etnico e non dal nome di città : es. Korinuiako¥v da Korı¥nuiov
e non da Ko¥rinuov.

.
DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA 609

vari e numerosi esiti formali, precisano : Ekeı̃na deù eßsti t√ ty¥pw ∞ kaıù
t√ shmainome¥nw ∞ kthtikaù, o™sa eıßv thùn genikhùn toỹ prwtoty¥poy aßna-
ly¥ontai. oıüon, grammatikoùv lo¥gov, oΩ toỹ grammatikoỹ. Arista¥rxeiov
bı¥blov, hΩ toỹ Arista¥rxoy. ¶Osa deù oyßk aßnaly¥ontai eıßv thùn toỹ prwto-
ty¥poy genikhùn, taỹta t√ meùn ty¥pw ∞ eıßsıù kthtika¥. kauo¥ti taù eıßv KOS
kthtikaù t√ I paralh¥getai, [plhùn Kerameikoùv, EyΩboeikoùv, Dareikoùv,
kaıù Dekeleiko¥v.] t√ deù shmainome¥n√ oyßk e¶sti kthtika¥. oßφualmikoùn gaùr
ıßatroùn, oyß toùn toỹ oßφualmoỹ le¥gomen, aßllaù toùn toùn oßφualmoùn ıßa-
trey¥onta, oΩmoı¥wv deù kaıù hΩpatikoùn a¶rrwston, oyß toùn [toỹ] h™patov le¥go-
men, aßllaù toùn toù hüpar aßlgoỹnta.
Viene dunque descritto il suffisso, ma in termini di uscite, di
realizzazioni superficiali. Tanto che non tutto ciò che ha la forma di
ktetikon lo è effettivamente : l’elemento discriminante è dunque il
valore semantico, il livello profondo, indipendentemente dalla rea-
lizzazione superficiale.
Anche per il caso specifico degli ktetika da ethnika è rilevante
sottolineare che non è prevedibile il contenuto semantico della rela-
zione esistente tra il determinante e il determinato; in effetti proprio
l’uso degli ktetika da ethnika conferma l’ampiezza designativa della
categoria degli aggettivi di relazione : è il caso di Rwmaikhù xw¥ra ri-
spetto a Rwmaikhù ıΩstorı¥a, in cui la nozione di appartenenza o co-
munque di relazione con un nome di persona è certo più chiara nel
primo caso; ancora, non predicibile il significato di peloponnhsia-
ko¥v in Peloponnhsiakoùv po¥lemov.
Tale ambivalenza semantica deriva proprio dal fatto che lo kteti-
kon partecipa pienamente della natura dell’aggettivo di relazione il
quale esprime una grande varietà di relazioni sintattiche e semanti-
che non sempre descrivibile in modo coerente secondo un modello
di corrispondenza biunivoca significato ∼ suffisso, dal momento che
il suffisso non è in sé portatore di un valore semantico, ma quest’ul-
timo non è definibile se non in relazione al contesto 27.
Possiamo dunque concludere che kthtiko¥n si presenta come ag-
gettivo derivato dall’etnico, ed esprime una relazione ad ampio spet-
tro semantico di un referente con la persona individuata dall’etnico.
Recuperiamo ora l’osservazione da cui ha preso le mosse questo
intervento : mentre etnico nella terminologia moderna è sovraordi-
nato e comprensivo di entrambe le nozioni, nella norma linguistica
greca eßuniko¥n e kthtiko¥n sono in distribuzione complementare. Per
la nostra coscienza linguistica etnico ha un significato ampio; que-
sta percezione è forse incrementata dal fatto che l’aggettivo etnico è

27
Cfr. l’analisi applicata al latino di Fruyt 1985, p. 485-499. In generale sullo
status particolare di questi aggettivi, peculiarità semantiche e sintattiche cfr.
Schmidt 1972. Per le proprietà degli aggettivi di relazione in italiano cfr. Renzi –
Salvi – Cardinaletti 1988-1995, II, p. 332-333.

.
610 SARA FEDALTO

molto diffuso anche al di fuori della terminologia tecnica 28. Ktetikon


risulta invece più specifico, anzi non ha cittadinanza nelle nostre
classificazioni linguistiche, dove si parla indistintamente di etnico, e
ktetikon è tutt’al più usato solo in rari riferimenti ai tecnicismi dei
grammatici greci e latini 29.
In greco invece non c’è né concorrenza né neutralizzazione tra
le due designazioni : la separazione di etnico e ktetikon è funzionale
e strettamente rispettata in ambito linguistico greco per lo meno in
età pre-romana : le deviazioni dalla norma, casi in cui lo kthtiko¥n è
usato per persone, trovano, considerate caso per caso, adeguata giu-
stificazione 30.
Lo dimostrano in primo luogo le numerose coppie delle tradi-
zione letteraria; in secondo luogo le notizie dei compilatori e dei
grammatici.
La distinzione è come si è visto ben evidente in Stefano Bizanti-

28
Pietro Janni ha osservato come il grecismo etnico abbia conosciuto, a par-
tire dalla metà degli anni ‘80, una particolare affermazione in forza dell’uso in es-
pressioni del linguaggio dell’informazione quali ‘contrasti etnici’, ‘scontri etnici’,
relativamente allo scoppio di conflitti tra nazionalità nell’ex Unione Sovietica e
nell’ex Jugoslavia. L’aggettivo etnico è andato a soppiantare nazionale, il quale si
ritrae dall’uso per ragioni dovute all’influsso anglo-americano, per ragioni legate
alla storia politica e culturale dell’Italia e per il prestigio di cui paiono godere i
termini di origine greca : cfr. Janni 1991, p. 107-108 e Janni 1994, p. 61-63. È certo
tuttavia che il termine risulta ormai connotato e anche in ambito scientifico
viene utilizzato intenzionalmente con un significato non neutro ma caricato di
valori socio-politici immediatamente evocati dall’uso del termine (cfr. ad esem-
pio la relazione introduttiva di Gusmani 1998 al Convegno Internazionale Ethnos
e comunità linguistica : un confronto metodologico interdisciplinare, in cui il ri-
chiamo alla necessità di precisare il contenuto del termine e alla cautela da osser-
vare nel trasferire in ambito politico etichette di altra natura, è sintomatico della
complessità di significati cui si accompagna l’uso di etnico). Bisogna peraltro no-
tare che etnico da qualche anno ha anche assunto nell’uso linguistico corrente,
con particolare frequenza nel linguaggio della moda e della musica, una connota-
zione estensiva atta a designare nuove tendenze ispirate al recupero della primiti-
vità, del contatto con la natura, alla nostalgia di culture lontane e “incontami-
nate” (musica ‘etnica’, cucina ‘etnica’, colori, disegni ‘etnici’) : è dunque, sostan-
zialmente, sinonimo di folclorico, esotico, ma con una sfumatura apprezzativa
che presuppone un quadro culturale di recupero e valorizzazione del carattere
peculiare delle singole culture. Nei dizionari correnti trovo etnico con questo va-
lore nel solo Bencini – Citernesi 1992 “etnico : agg. esten. sin. di folclorico (nel
linguaggio della moda)”.
Entrambe queste accezioni forzano con una marcata sottolineatura politica da
un lato, socio-culturale dall’altro, l’aggettivo che nel suo valore neutro definisce
semplicemente tutto quanto ha a che fare con la nozione di ethnos “proprio, tipi-
co di una comunità (dalla tribù alla nazione) legata da vincoli di lingua, di cultu-
ra, di razza; che riguarda, che è connesso con le tradizioni e la cultura di un po-
polo; nazionale, razziale” : cfr. Battaglia 1961.
29
Cfr. ancora Chantraine 1968, p. 385.
30
Vd. le osservazioni successive.

.
DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA 611

no che tiene sempre separati eßuniko¥n e kthtiko¥n. Anzi, in Stefano la


presenza di uno kthtiko¥n accanto a un eßuniko¥n è talmente regolare
che sorge il legittimo dubbio che tutti i kthtika¥ indicati fossero effet-
tivamente esistiti o non piuttosto creati per simmetria. Tuttavia se
sul piano filologico nascono perplessità a proposito del valore docu-
mentario dell’opera di Stefano 31, sul piano linguistico ciò non è che
la conferma della vitalità della distinzione tra le due categorie, rece-
pita e valorizzata dall’autore.
Probante, per confermare la linea di separazione esistente tra le
due categorie, è anche il fatto che mentre è ampio il numero di an-
troponimi derivati da ethnica, assai esiguo è quello dei derivati da
ktetika 32.
È da considerare tuttavia singolare il fatto che nell’ambito delle
trattazioni specifiche non esistano indicazioni esplicite, norme pre-
scrittive che interdicano l’uso dello ktetikon quale sostituto di etnico,
come invece risulta ampiamente dalla prassi. Come valutare questo
«silenzio»? Con ogni probabilità, esso non fa che confermare l’asso-
luta evidenza di questa distinzione, così radicata nell’uso e nella co-
scienza linguistica del parlante da non richiedere prescrizioni a pro-
posito. Si può del resto anche pensare che la finalità eminentemente
descrittiva delle opere grammaticali a nostra disposizione abbia
escluso a priori indicazioni di carattere prescrittivo.
Una più precisa definizione dell’argomento può derivare dal
confronto con il latino, che si rivela significativo. In latino non esi-
stono confini netti tra ktetikon e ethnikon e questo pare costituire la
norma. Innanzitutto il suff. -ikos viene in latino utilizzato per la for-
mazione di indubbi etnici : Volscı̄ (*Volsiko-), Tuscı̄, Auruncı̄ (*Au-
soniko-) 33. Al riguardo Schulze fa notare che tra Grai e Graeci, Ay¶so-
nev e Aurunci, Olsoı¥ e Volsci, sussiste solamente una differenza di
ordine cronologico, non funzionale : si tratta cioè di etnonimi in
senso proprio; Livio usa parimenti i sintagmi bellum Paelignum,
Turdulum bellum, e bellum Gallicum o Punicum 34. L’analisi va allar-

31
Ci sono riserve sulla effettiva esistenza di molte delle voci indicate da Ste-
fano, che presenta incongruenze e oscillazioni; all’autore sembra premere più la
teoria grammaticale che non l’effettiva considerazione dell’uso; dà indicazioni su
come le varie voci siano da costruire correttamente con l’aiuto dell’analogia tanto
che ‘si lascia prendere la mano’ finendo per fabbricare quasi in serie per ogni to-
ponimo un etnico senza riflettere sull’uso linguistico : molti definiti ktetika pre-
sentano le caratteristiche formali degli etnici e inoltre vengono fatti derivare da
basi disparate (es. monti, promontori); a volte, infine, accanto allo ktetikon del
lemma considerato, Stefano riporta serie di altri ktetika accomunati da una me-
desima struttura morfologica : cfr. Dittenberger 1906 a, p. 164 s.
32
Cfr. Bechtel 1982, p. 550.
33
Cfr. Pisani 1972, p. 113.
34
Cfr. Schulze 1966, p. 540-41 il quale perviene alla conclusione che «Eine

.
612 SARA FEDALTO

gata a tutte le formazioni di tipo aggettivale da etnici indipendente-


mente dal suffisso; in latino intervengono suffissi propri ma il tipo
di analisi è il medesimo : pompeianus designa un abitante di Pompei
ma figura parimenti nel sintagma aggettivale pompeianum vinum 35.
Le poche formazioni pertinenti, riconoscibili ad esempio nella
serie di coppie bellum Achaicum – Achaei, b. Aecquicum – Aequi, b.
Britannicum – Britanni, b. Gallicum – Galli, b. Marsicum – Marsi , b.
Judaicum – Iudaei, b. Macedonicum – Macedonii, sono state da Sey-
fried interpretate come ispirate al modello greco 36.
Questo dunque non infirma l’assunto generale per cui nella
prassi linguistica latina non esiste una corrispondenza tra diversità
funzionale e realizzazione formale, e che perciò la ripartizione non
sia così netta e prescrittiva come in greco.
Anche le indicazioni di Prisciano nelle sue Institutiones, in cui si
raccoglie la tradizione grammaticale latina, vanno nel senso di una
piena equivalenza funzionale : alia [scil. nomina] et patriam signifi-
cant et possessionem, ut ‘Romanus’ civis et ‘Romanus’ ager. Potest ta-
men et hoc et paene omnes huiuscemodi formae nominum proprio-
rum quoque habere significationes. ‘Campanus’ similiter et ‘Hispanus’
et ‘Alexandrinus’ et ‘Placentinus’ et ‘Nolanus’ et similia non solum pa-
triam, sed etiam possessionem significant (Keil II 76, 7-12). L’osserva-
zione, che sottende il riconoscimento dei diversi valori delle due no-
zioni patria e possessio, se rivela la sensibilità alla distinzione, fa tra-
pelare la percezione della mancanza di un morfema distintivo che
disambigui Romanus ager rispetto a Romanus civis, sottolineando
invece la polivalenza di un medesimo suffisso.
In un altro luogo la questione viene ribaltata a partire dalla cate-

Unterscheidung von eßuniko¥n und kthtiko¥n ist in Italien wenigstens nicht obligato-
risch gewesen, wie so oft bei den Griechen».
35
Cfr. Seyfried 1951, p. 19-21.
36
Seyfried 1951, p. 20 lo sostiene notando come tali coppie siano per lo più
riferite a guerre con popoli extra-italici e come si tratti di formazioni con il solo
suffisso -ikos, che si spiegano più adeguatamente per fremdartige Wortbildung. Di
queste condizioni non tengono conto le considerazioni di Fruyt 1986, p. 59-67, il
quale sostiene la presenza di una ripartizione funzionale ethnicon ∼ ktetikon
anche in latino; ma la sua analisi è ristretta alle sole formazioni in -icus e a refe-
renti per i quali è più plausibile pensare all’influenza del modello greco. Alle os-
servazioni di Seyfried parrebbe opporsi ancora la posizione di H. Rix che consi-
dera il suffisso -ikos latino di sicura ascendenza italica, dal momento che la docu-
mentazione, nella fattispecie il nome degli Etruschi (cfr. la forma originale del
nome in area italica, *Tursiko-), risale ad una quota cronologica troppo alta per-
ché già si fossero verificati rapporti con il mondo greco tali da comportare conse-
guenze linguistiche di un tale spessore (cfr. Rix 1995, p. 129). In realtà le due di-
verse osservazioni non si elidono perché considerano la questione da angolature
diverse.

.
DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA 613

goria dei possessivi : possessiva autem dicimus non solum possessio-


nem significantia, sed etiam quae formam habent possessivorum.
Sunt enim quaedam gentilia similem possessivis habentia formam, ut
‘Romanus’ civis et ‘Romanus’ ager; quaedam autem et propria eadem
et gentilia et possessiva, ut ‘Latinus’ filius Fauni et ‘Latinus’ civis et
‘Latinus’ ager (Keil II 69, 5-9).
Si tratta dunque di una informazione che, nel definire il diverso
valore semantico contestuale dell’aggettivo, denuncia chiaramente
la mancanza di una ripartizione funzionale ethnicon ∼ ktetikon nella
tradizione latina. Tuttavia qualcosa sembrerebbe mettere un’ipoteca
su questa conclusione.
Tra le varie coppie lessicali analizzate in quei prodotti dell’opera
di raccoglitori medievali che vanno sotto il nome di Differentiae ver-
borum figurano esempi che potrebbero avvalorare una diversa ipo-
tesi.
Nel De differentiis liber attribuito a Cornelio Frontone occorrono
le seguenti indicazioni : Corinthium et Corinthiacum. Corinthium ci-
vem dicemus, Corinthiacum vas (Keil VII 519, 15-16); Gallum et Galli-
cum. Gallus natione Gallicus ex Gallia (Keil VII 526, 11).
In un’altra raccolta, gli Anedocta Helvetica, occorre la medesima
distinzione : Inter Italum et Italicum hoc interest, quod Italus homo,
Italicus arcus dicitur, ita illud ad personam refertur, hoc ad rem (Keil
VIII Supplementum 287, 1).
In realtà queste indicazioni vanno considerate con prudenza ai
nostri scopi. Si tratta innanzitutto di compilazioni tardive di cui non
è facile né stabilire attribuzione, né individuare fonti o scuole di rife-
rimento. In secondo luogo la scelta di queste coppie è condizionata
dalla finalità cui sono rivolte queste compilazioni. Si tratta di raccol-
te di sinonimi che recuperano con tutta probabilità una prassi pre-
cettistico-didattica delle scuole romane – di cui peraltro la sola do-
cumentazione è questa, mediata da tardi raccoglitori 37 – mirante alla
illustrazione del diverso valore semantico di coppie lessicali sinoni-
miche. Una prospettiva interessante, peraltro, da un punto di vista
generale, in quanto ciò che emerge è proprio la sensibilità alla com-
plessa tematica dei rapporti di significato e in particolare alla rela-
zione sintagmatica : è infatti il contesto dato a condizionare le scelte
lessicali.
Le coppie considerate non possono dunque descriverci lo Spra-
chusus latino ‘standard’ perché la distinzione che viene qui attuata
tra ktetikon e ethnicon vale solo ed esclusivamente in relazione ai

37
Per i caratteri di questa produzione basata sulla raccolta di sinonimi, per
lo più ad uso didattico, e sulla considerazione dei rapporti sintagmatici cfr. Bu-
gnoli 1955.

.
614 SARA FEDALTO

particolari esempi riportati. Ciò non impedisce tuttavia di conclude-


re che, sia nelle osservazioni di Prisciano sia nei casi specifici analiz-
zati in questi tardi compilatori, viene fatto comunque valere il crite-
rio della distinzione sentita come pienamente funzionante a livello
di sistema ma non realizzata nella norma. Nell’insistenza con cui i
latini cercano una realizzazione formale diversa, è latente la perce-
zione di un principio categoriale che il greco realizza invece in una
forma distinta. Il punto di vista esterno dei latini, privi nel proprio
sistema di quel tipo di opposizione, fornisce dunque una riflessione
metalinguistica utile a descrivere il greco. Se il rapporto etnico – kte-
tikon è tipico del greco, la coscienza di esso arriva più chiaramente
dai latini.
Perché dunque la lingua greca si è attenuta così fedelmente alla
distinzione, perlomeno in età pre-romana?
La risposta in sé non può che essere di tipo linguistico : si può a
ragione pensare che tale ripartizione rientri tra i fatti di arbitraria
categorizzazione dei dati del reale, cui la lingua è soggetta.
Le poche eccezioni sono tutte giustificabili e confermano come
lo Sprachgefühl greco avvertisse come estraneo e improprio l’utilizzo
di aggettivi in -ko¥v come effettivi nomi di popolo. E tuttavia, tra i ca-
si segnalati da Dittenberger nella sua approfondita analisi 38, varrà la
pena di descriverne uno in particolare che può aprire uno squarcio
su un aspetto peculiare della cultura e storia greca. La documenta-
zione a nostra disposizione dimostra che nel momento in cui sotto
l’influsso della costituzione repubblicana e della città-stato viene en-
fatizzato il ruolo dell’eßuniko¥n che si accompagna al nome, in quanto
insostituibile espressione della cittadinanza 39, tutto quanto non vi
rientrasse veniva indicato ricorrendo allo kthtiko¥n. L’appartenenza
ad un e¶unov, φylh¥, po¥liv, dh¥mov, indicata dall’etnico, è carica di va-
lenze politiche e culturali pregnanti, per cui ogni riferimento alla
nazionalità che non coinvolga la nozione di appartenenza civile, di
godimento del diritto di cittadinanza, viene espresso ricorrendo ad
altro strumento, nella fattispecie l’aggettivo di relazione, ora partico-
larmente marcato nel senso di «ciò che ha a che fare con» ma non vi

38
Uno è quello di Aliko¥v usato come etnico relativo alla città di Alieı̃v
(costa dell’Argolide); un altro è quello di Pontiko¥v, spiegabile con il fatto che non
è possibile derivare da Po¥ntov niente che risponda alla nozione, pur ampia, di et-
nico (non è né popolo, né città, né nazione); ancora, troviamo l’uso dello ktetikon
per indicare una persona nel caso di nomi che designino persone ma siano gram-
maticalmente neutri, quando l’etnico presenti le sole uscite -ey¥v, -ı¥v, thv, -tiv : es.
Kariko¥n paidı¥on, aßndra¥podon; gy¥naion ellhniko¥n : cfr. Dittenberger 1907, p. 1-10.
39
“Il segno esterno di riconoscimento del cittadino è, per i Greci, portare
l’etnico come aggiunta al nome proprio : e questo perché l’etnico [...] esprime ap-
punto l’appartenenza alla comunità politica, e dunque il diritto di cittadinanza
all’interno di una polis o di un e¶unov” cfr. Gschnitzer 1997, p. 405.

.
DISTINZIONI TERMINOLOGICHE NELL’ETNONIMIA 615

appartiene giuridicamente, nozione che invece viene veicolata


dall’etnico : Eretriey¥v è il cittadino di Eretria, Eretriekoı¥ sono i
membri della scuola filosofica, così come Kyrhnaikoı¥, Eleatikoı¥,
Megarikoı¥, Hleiakoı¥, al posto dei quali non è mai usato l’etnico cor-
rispondente. Altro uso è per indicare gli scrittori secondo la lingua
in cui scrivono o secondo l’argomento delle loro opere : es. Polibio
III, 8, 1 chiama Fabio Pittore oΩ Rwmaiko¥v syggraφey¥v. Lo stesso dica-
si per i casi di basiley¥v e aΩrmosth¥v. Ma in particolare è significativo
che questo valga per soggetti quali schiavi nati nel paese, liberti,
donne (Attikh¥ e non Auhnaı¥a) 40.
Siamo dunque di fronte ad una ragione storico-culturale che si
innesta su una ripartizione già di per sé funzionale sul piano seman-
tico, per cui tale distinzione acquista anche una valenza socio-lin-
guistica. La valorizzazione che la distinzione storicamente assume
in qualche modo la mantiene in vita, la corrobora salvaguardandola
dalla neutralizzazione.

L’aver sottolineato questa distinzione ci ha permesso di ricono-


scere la vitalità e la complessa articolazione di questa classe nomi-
nale e in particolare la sua specializzazione nell’ambito delle desi-
gnazioni etnotoponomastiche. Se ne è valutata la rilevanza concet-
tuale, non solo quantitativa, ben radicata nella coscienza linguistica
greca e, pur se non compiutamente realizzata, comunque ricono-
sciuta dai latini 41.
Ritornando ora all’occasione da cui si era partiti – la classifica-
zione finalizzata al progetto D.E.T.I.A. –, si può concludere che la
differenza tra ethnicon e ktetikon avrebbe richiesto apposita consi-
derazione, anche se non necessariamente tradotta in una casella au-
tonoma nella griglia classificatoria predisposta.
Nella scheda elaborata gli ktetika non occupavano una posizione
sui generis ma venivano ricondotti ai geo/ecoetnonimi. In realtà nel-
la pratica Detia si è più volte presentata la difficoltà di una adeguata
categorizzazione dell’aggettivo relazionale. Se è vero che la finalità
eminentemente documentaria del lavoro consentiva di far confluire
in un’unica casella le due classi di nomi, resta il fatto che il compila-

40
Cfr. Dittenberger 1907, p. 10 s.
41
Per l’italiano la questione è stata affrontata da Migliorini il quale da un
punto di vista funzionale ha indicato il discrimen tra etnico e ktetikon nel rappor-
to tra quello che egli chiama nome/aggettivo di inerenza – l’etnico – e aggettivo di
relazione – lo kteticon –; tale opposizione non è più distintiva nell’italiano moder-
no se non per alcuni termini ereditati dalla antichità : Iberi ∼ iberico, Galli ∼ galli-
co, Celti ∼ celtico; il venir meno di tale opposizione è imputato alla decadenza
stessa degli aggettivi di cosa come dimostra il fatto che nell’italiano popolare non
c’è alcuna formazione nuova che prenda il posto dell’antica con valore esclusiva-
mente aggettivale : cfr. Migliorini 1990, p. 213 s.

.
616 SARA FEDALTO

tore sperimentava in modo diretto come l’aggettivo di relazione rap-


presenti un delicato punto di intersezione tra morfologia e semanti-
ca, che cioè le difficoltà pratiche di categorizzazione di uno ktetikon
rinviano a problematiche di tipo generale, riguardanti la struttura
morfo-semantica degli aggettivi desostantivali e la sua descrizione.
Mentre l’etnico è definito in sé, ha natura precisata e non ambi-
gua, non è così per lo ktetikon per il quale si impone un’attenta con-
siderazione del contesto. Ulteriore conferma che, come altri elemen-
ti del lessico, anche i dati etnotoponomastici non vanno estrapolati
impunemente ma vanno considerati nella rete di relazioni testuali e
extratestuali in cui sono inseriti.
La difficoltà che il progetto D.E.T.I.A. ha evidenziato, suggeren-
do l’opportunità di questo approfondimento, ancora una volta rivela
la complessa e diversa articolazione interna dei sistemi linguistici e
la loro reciproca irriducibilità : quella distinzione, che era piena-
mente attuata nella lingua greca e di cui greci e latini avevano co-
scienza, è invece per noi frutto di un faticoso percorso di recupero.

Sara FEDALTO

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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618 SARA FEDALTO

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.
CARLA MARCATO

LA TOPONOMASTICA PREDIALE
ARTICOLAZIONE E STORIA DEL CONCETTO

Nella tradizione degli studi sui nomi di luogo italiani un concetto


fondamentale, determinante nella fissazione delle basi scientifiche
nella ricerca toponomastica, è quello comunemente detto topono-
mastica prediale o, meno frequentemente, toponomastica fondiaria.
Si deve a Giovanni Flechia1 l’individuazione (non la terminolo-
gia) di tale tipologia toponomastica di nomi locali derivati da nomi
di persona attraverso formazioni latine come [fundus] Antonianus,
dipendente da Antonius, con dei suffissi ai quali viene riconosciuto
il valore aggettivale di appartenenza; tali formazioni sono ben docu-
mentate nell’antichità 2 e spesso continuate nei toponimi :
Tutti codesti nomi locali – scrive Flechia 3 – furono pertanto in
origine denominazioni di fondi, ville, possessioni di vario genere, deri-
vate dal nome gentilizio o talvolta, ma raramente, anche dal cognome,
del fondatore, possessore o patrono, che come nomi aggettivi si univa-
no a un sostantivo quale vicus, fundus, praedium, rus, ager, colonia,
villa, domus, casa, chors, ecc., e come segnanti un centro d’abitazioni,
finirono per restar nome di uno di quei tanti aggregati di case, che for-
matisi principalmente nel primo millennio dell’era nostra, vengono
ora qualificati col nome di casale, villaggio, borgata, ecc 4.

1
A partire dalla ben nota dissertazione linguistica di Flechia 1871; a questo
saggio segue Flechia 1874-1875, p. 79-134, nel quale il Flechia si occupa di forma-
zioni in -anum. Al Flechia si deve pure il metodo della ricerca toponomastica fon-
dato su alcuni principi : analisi formale, ricostruzione della forma originaria at-
traverso la fonetica storica del dialetto del territorio, ricognizione documentaria
per determinare la corrispondenza sul piano linguistico.
2
Una recente ricognizione sistematica fondata su un rigoroso vaglio delle
fonti, relativa a un filone (forme in -(i)anus) della toponomastica prediale si deve
a Calzolari 1994, p. 7, il quale ricorda – a proposito di altre fonti documentarie
relative a nomi fondiarii – «la spiegazione che fornisce Svetonio, anche se il colle-
gamento proposto fra il toponimo e il poeta L. Accio non risulta documentabile :
L. Accius...a quo et fundus Accianus iuxta Pisaurum dicitur, quia illuc ex urbe in-
ter colonos fuerat deductus».
3
Flechia 1871, p. 8.
4
Osserva ancora il Flechia 1871, p. 7 «Vuolsi ancora avvertire come nella ta-
vola di Velleja, egualmentechè, nella Bebbiana, il nome del fondo non si derivi

.
620 CARLA MARCATO

Nella terminologia del Flechia le formazioni (che lo studioso ri-


prende in particolare dalla Tavola di Veleia [CIL XI 1147] e della Tavo-
la Bebbiana [CIL IX 1455]), costituiscono nomi fondiarii, all’origine
di nomi locali moderni. Al Flechia interessa in primo luogo il «princi-
pio di formazione» dei nomi locali e quindi il suo è uno studio siste-
matico di una serie toponomastica come si vede bene anche dal fatto
che non si limita alle forme in -ago (e -igo), -ano, ma esamina anche
quelle in -asco, -ate (essenzialmente di area lombarda) ed -engo 5.
L’avere riconosciuto come cospicua fonte di formazione di topo-
nimi italiani la tradizione dei nomi di fondi trasmessi dalle fonti anti-
che ha avuto seguito nelle ricerche successive di altri studiosi tra cui
Silvio Pieri e Dante Olivieri 6, che non hanno mancato di approntare
elenchi di «nomi locali tratti da gentilizi», secondo un’espressione ri-
corrente in bibliografia, vale a dire una sezione 7 dedicata a nomi lo-

quasi mai dal nome del possessore che obbliga esso fondo; la qual cosa verrebbe
ad indicare come il fondo sia stato verisimilmente appellato per lo più da quel
primo possessore che l’occupò nella prima deduzione delle colonie o in quel tor-
no; e quindi quei nomi fondiarii che ci si presentano in esse tavole nel principio
del II secolo dell’êra volgare si debbano considerare come già da più o men tem-
po esistenti; il che anche per avventura potrà congetturarsi per quei pochi casi in
cui il nome del fondo si collega con quello del possessore ipotecante, potendo ben
essere che il fondo fosse già entrato nella sua famiglia in qualcuna delle antecen-
denti generazioni».
5
È opportuno ricordare che talune conclusioni di Flechia circa l’attribuzio-
ne etnica di alcuni suffissi (-ano al latino, quindi a formazioni fondiarie «roma-
ne», -acu attribuito al gallico, a quelle «galliche», -ascu al ligure, a quelle «roma-
no-liguri») sono state talvolta applicate in modo troppo schematico e con delle
forzature. Sul valore fondiario del suffisso -asco nella toponomastica per altro lo
stesso Flechia mantiene una posizione di incertezza. Alla luce di ulteriori dati,
anche di quelli offerti dalla documentazione medievale, la storia di questo suffis-
so è stata meglio chiarita, e nelle Tavole di Veleia e di Polcevera è un suffisso de-
nominativo che forma aggettivi ma non toponimi come osserva Giulia Petracco
Sicardi (Petracco Sicardi 1981, p. 91-106) : -asko- «deve essere entrato precoce-
mente, attraverso il sostrato ligure, nel latino parlato dell’area ligure preromana,
il che spiega il suo uso nelle Tavole di Veleia e di Polcevera. Ha poi conosciuto un
periodo di particolare fortuna, come formante di aggettivi toponimici ed etnici,
intorno all’VIII-IX secolo, e regredisce lentamente fino a scomparire anche dalle
aree più isolate con il XIII-XIV secolo [...] Una considerazione meno etnica e più
storica dei toponimi in -asko- non toglie affatto importanza a questa serie tipolo-
gica, ma suggerisce di vedere nell’insieme dei toponimi in -asco dell’area italiana
nordoccidentale un riflesso diretto del sistema toponomastico altomedievale
piuttosto che un relitto del sostrato preromano o l’effetto di una presunta soprav-
vivenza del «ligure» preromano oltre l’epoca romana»; (le citazioni sono alle
p. 95-97 e 98).
6
Per le opere degli studiosi citati e in generale per gli scritti di toponomasti-
ca si rinvia al repertorio di Granucci 1988.
7
Sono illustrazioni toponomastiche relative a un territorio nelle quali i ma-
teriali sono raggruppati a seconda dell’origine (nomi derivati da personali, da fi-
tonimi ecc.).

.
LA TOPONOMASTICA PREDIALE 621

cali derivati da personali latini (intendendo con ciò non soltanto de-
rivati dal gentilizio) la cui conoscenza si fa più ampia e dettagliata
grazie ai repertori appprontati da Wilhelm Schulze 8 e da altri.
L’aver individuato la serie rappresentata dai toponimi prediali o
fondiari, è all’origine a un indirizzo tipologico nello studio topono-
mastico particolarmente produttivo, parallelo allo studio etimologi-
co del singolo nome, e risulta decisivo nella definizione del concetto
di sistema toponomastico. Si aggiunga che, per il fatto di rappresen-
tare la continuazione del catasto fondiario in epoca romana, la topo-
nomastica prediale diventa uno dei criteri utilizzati nella ricostru-
zione della romanizzazione di un territorio 9. Tra gli studiosi che
hanno orientato le loro ricerche anche in questa direzione si ricor-
derà Carlo Battisti almeno per il fatto che pare gli si debba l’introdu-
zione dell’espressione toponimo prediale che compare anche nel tito-
lo di un saggio del 194310. La denominazione «toponimo prediale» è
recepita da Giovan Battista Pellegrini che nel suo scritto del 194911
ribadisce il ruolo nella ricostruzione degli stanziamenti romani dei
«toponimi che provengono dall’onomastica antica e particolarmente
quelli con formazione suffissale (-anum, -acum ed altri) detti comu-
nemente toponimi fondiari o prediali [...] una delle conquiste, or-
mai di vecchia data, dell’indagine toponomastica».
Nel prosieguo delle ricerche il toponimo prediale o fondiario ac-
quista un’accezione più ampia di quella originale : formazione da
un antroponimo non necessariamente gentilizio, antroponimo che
non è esclusivamente latino (il proprietario del fundus può essere
romanizzato), come del resto gallico è il suffisso -acum, come osser-
vava già Battisti a proposito del Trentino12. Anche l’arco cronologico

8
Schulze 1904. Al di là degli antroponimi noti, è possibile, al contrario, ipo-
tizzare l’esistenza di altri presupposti da toponimi prediali.
9
Va precisato che nella valutazione di un toponimo prediale si deve tener
conto anche di altri aspetti : dalla diffusione delle gentes nel territorio alle condi-
zioni topografiche dello stesso. Inoltre un suffisso come -anum, il più tipico della
toponomastica fondiaria, è indice relativo di toponimo prediale poiché un nome
locale in -anum può derivare da un appellativo (già in latino il suffisso è produtti-
vo per formare apellativi a partire da sostantivi e aggettivi).
10
Battisti 1943. Non è da escludere che il Battisti abbia adoperato il termine
e si trovi in qualcuno dei suoi numerosi scritti precedenti, non, comunque, in
Battisti 1922, né in Battisti 1931, saggi nei quali le formazioni di tipo prediale ri-
vestono un ruolo decisivo nell’individuazione della romanizzazione dei territori
studiati.
Non fa cenno alle denominazioni toponomastica prediale/toponimo prediale
Dante Olivieri nel suo excursus Olivieri 1926, p. 211-237, o nel suo profilo Olivieri
1937, vol. 34, p. 7-13).
11
Pellegrini 1949, p. 31.
12
Scrive Battisti : 1922, p. 20-21 : «Il rapporto fra -anum ed -acum è origina-
riamente quello di due suffissi esprimenti la stessa funzione nel latino e nel galli-
co. Ma dalla guerra gallica in poi -acum fu accettato nel territorio gallo-latino an-

.
622 CARLA MARCATO

delle formazioni si amplia fino ad arrivare all’epoca tardo antico/


altomedievale, vale a dire dalla colonizzazione fondiaria che risale
almeno all’età augustea, se non alle deduzioni di colonie del II sec.
a.C., con la possibilità, che in genere si ammette, di formare prediali
anche nell’alto Medioevo considerato il Codice Bavaro o Breviarium
Ecclesiae Ravennatis13 con documenti dei secoli VII-X in cui sono
menzionati fundi come Acilianus, anche al plurale (Auliani e altri)
ma attesta anche che la tendenza a scomparire di certe forme : un
fundus Atilianus nel territorio di Rimini nel 770-777 viene detto
anche Casale14.
Il tipo di suffissazione che designa l’appartenenza, la proprietà,
non si limita ad -anu, -acu e qualche altro suffisso già indicato dal
Flechia; vi rientra, ad esempio, anche -asiu suffisso di origine gallica
ben attestato nell’alto Veneto15. Vi sono poi varie altre modalità di es-
primere la proprietà fondiaria la quale, nel tempo, ha subito vicende
assai complesse che il dato toponomastico ovviamente non facil-
mente mostra. Giandomenico Serra, ad esempio, riconduce alla
composizione progressiva dei fundi in unità fondiarie complesse la
tendenza dei nomi locali fondiari a fissarsi nella forma del plurale
nel periodo di transizione dall’età romana al medioevo16 mentre le

che dai coloni romani, di modo che possiamo ritenere le numerose formazioni
ibride composte d’un gentilizio romano e del suff.[isso] gallico come indicazione
di un possedimento latino, mentre il caso inverso di gentilizio barbarico e suffis-
so -anum permette di pensare con una certa probabilità a un fundus appartenen-
te ad un indigeno romanizzato. Con maggior probabilità ancora noi saremo tenu-
ti a credere stanziamento celtico quello il cui nome è espresso con radicale galli-
co e col suffisso -acum».
13
Rabotti – Curradi – Vasina 1985.
14
Si veda Calzolari 1994, p. 21.
15
Pellegrini 1990, p. 306.
16
Serra 1931, e in particolare p. 143-144 : «Non sempre la forma del plurale
dei nomi locali, derivati da gentilizi, vale come indice delle particolari condizioni
sociali attraverso le quali essa riesca ad affermare una coscienza collettiva dei
coabitanti (concives, conpagani, convicani) o dei consortes comproprietari del
luogo designato; perché altri nomi locali derivati da gentilizi riflettono, talora,
nella forma del plurale, la storia particolare dell’assestamento di più fundi ele-
mentari in un’unica unità fondiaria. È noto come le successive mutazioni di pro-
prietà di un fundus venissero registrate volta a volta nei libri censuari e riportate
ad ogni nuovo censimento sulla forma o carta catastale dell’Impero romano, in-
tangibile poi sino a nuova revisione censuaria generale. Perciò le nuove unità
fondiarie inscritte nella forma conservavano il nome delle varie terre di cui quelle
unità venivano a comporsi e di cui l’elenco ed il nome delle parcelle giustapposte
tracciavano sommariamente la storia. Così, ad es., il «fundus Attidianum Tovia-
nis cum communionibus qui est in Veleiate pag(o) s. s. (Domitio)» (CIL XI 1147)
consterà di un fundus elementare Attidianus, proprietà primitiva di un tal Atti-
dius, e di una o più parcelle del gruppo di più altri fundi elementari minimi To-
viani, distinti fra loro in origine e proprietà un tempo di uno o più Tovii, inscritto
poi, come unità a sè stante, nei libri censuari, donde ne sarebbe stata estratta l’in-

.
LA TOPONOMASTICA PREDIALE 623

forme di origine prediale della Sardegna che si presentano in -anos


cioè al plurale (per es. Codrongianos nel Sassarese) alludono proba-
bilmente agli abitanti di un fundus di Catronius o ai famigli di Catro-
nius17. Il gruppo gentilizio e i suoi possessi sono espressi in vari casi
di area campana con il suffisso -ense nella forma del plurale -esi/-isi,
per es. Paolisi 18 formazione che può risalire a un’epoca tardoantica-
altomedievale. Vari altri casi non sempre agevolmente interpretabili
a causa delle evoluzioni fonetiche delle singole varietà dialettali che
lasciano intendere come il fundus con il personale in -anu o -acu pre-
supponga un’uscita in -ani, -aci assumendo progressivamente una
funzione di locativo a partire da quella di appartenenza, come forma
di genitivo o a partire da forme di ablativo in -is19.
Occorre ancora tener presente che taluni riflessi dell’onomastica
antica sono continuatori di antroponimi in forma asuffissata; non è
certa la funzione di tali forme tuttavia si può supporre una designa-
zione di proprietà fondiarie di una gens o il luogo in cui un indivi-
duo aveva fissato la sua dimora. Se ne hanno documentazione nella
Tavola di Veleia e in altre fonti come la Tabula Peutingeriana. Tra i
casi segnalati è significativo quello di Resana (in provincia di Trevi-
so) da un *Resiana [villa] cioè dal gentilizio R(a)esius, con il vicino
Riese che lo continua senza suffisso 20.
Diverse sono, dunque, le tipologie di nomi locali che sono fatti
rientrare nella categoria della toponomastica prediale o fondiaria. Va
detto ancora che il termine prediale è comunemente usato generica-
mente nel senso di relativo a un podere, a un fondo rustico. Di qui l’uti-
lizzo di toponomastica prediale a designare qualsiasi antropotoponi-
mo nell’uso corrente e in una bibliografia meno attenta a un rigoroso
uso terminologico 21. Nella toponomastica intesa come repertorio, la

dicazione nella forma usuale dell’ablativo locativo». L’esempio citato proveniente


dalla Tavola di Veleia mostra, insieme ad analoghi esempi reperibili nella stessa
fonte, «il carattere originario di un’intensa distribuzione della piccola proprietà
sul territorio veleiate e ad un tempo, forse la costituzione primitiva di vasti e nu-
merosi consorzi familiari, cui spettava la proprietà di tanto numerose parcelle o
fondi elementari denominati da un unico nome gentilizio».
17
Cfr. Dizionario di toponomastica s.v.
18
Dizionario di toponomastica s.v.
19
Varie esemplificazioni sono riportate da Serra 1931; per una casistica rela-
tiva alla toponomastica prediale friulana si rinvia a Marcato 1991, p. 493-515.
20
Pellegrini 1990, p. 326; cfr. anche Calzolari 1994, p. 16.
21
Particolarmente stretto è il rapporto tra antroponimia e nome di luogo a li-
vello di microtoponomastica; il largo uso di antroponimi nella toponomastica (e
viceversa) «compensa l’incompetenza del parlante che per le questioni della pro-
prietà territoriale (così importanti nelle economie rurali) non è in grado il più
delle volte di consultare un archivio catastale scritto. Il ricorso ai nomi dei pro-
prietari permette di creare un catasto mnemonico di riferimento all’interno della
comunità» e ciò spiega «anche perché nei sistemi toponimici popolari i cosiddet-

.
624 CARLA MARCATO

classe degli antropotoponimi è frequentemente detta appunto topono-


mastica prediale e condivide, con l’uso settoriale del termine, il rappor-
to di possesso a vario titolo tra antroponimo e proprietà fondiaria.
Per concludere, i termini toponomastica prediale /toponimo pre-
diale sono originati da modelli formativi che corrispondono ai nomi
fondiarii – nello schema di base : gentilizio + suffisso secondo la docu-
mentazione delle fonti latine – connesso a una parcellizzazione agrico-
la dipendente dalla romanizzazione del territorio, con la conseguenza
che l’individuazione di una toponomastica prediale in un’area è, nel
contempo, un contributo alla ricostruzione della romanizzazione del-
la stessa (e talvolta anche alla conoscenza del patrimonio antroponi-
mico latino). Tuttavia la varia casistica dei nomi locali definiti di ori-
gine prediale mostra un impiego diversificato della terminologia 22 ; si
osserva che, nell’uso, toponomastica prediale o fondiaria allude – in
senso stretto – a formazioni circoscritte a tempi e modi definiti ma –
con un senso esteso – riguarda anche formazioni che appartengono a
tempi non limitati all’antichità o alla tarda antichità, si riferiscono a
mutate condizioni del paesaggio agrario e mostrano differenze forma-
li e onomasiologiche rispetto al modello di base, restando fermo solo il
criterio della proprietà (o altra forma di possesso) relativo a praedium,
villa o altro espressa, mediante un antroponimo.

Carla MARCATO

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anni circa) per adeguarli alla sempre mutevole situazione catastale. Si può ipotiz-
zare che in una cultura orale uno stesso segno possa essere oltre che polisemico
anche polifunzionale : una parola del lessico comune può essere anche nome
proprio di luogo o di persona e allo stesso tempo, una volta diventato antroponi-
mo, può ritrasformarsi in toponimo e poi di nuovo in antroponimo sotto forma
di soprannome di provenienza» (Marrapodi 2001, p. 58-59); nei sistemi ufficiali,
che sono trasmessi da una documentazione scritta extramnemonica, antroponi-
mia, toponomastica, lessico non hanno questo tipo di relazioni.
22
Come detto in precedenza, Calzolari 1994 restringe il corpus alle formazio-
ni in -(i)anus.

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LA TOPONOMASTICA PREDIALE 625

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Scritti degli allievi padovani, Padova, 1991, p. 493-515.
Marrapodi 2001 = G. Marrapodi, Un sistema antroponimico popolare sassel-
lese (Savona) tra il 1700 e il 1800 : appunti per un’analisi strutturale ed
etimologica, in Rivista Italiana di Onomastica 7, 2001, p. 45-77.
Olivieri 1926 = D. Olivieri, Mezzo secolo di studi sulla toponomastica italiana,
in L’Italia dialettale, 2, 1926, p. 211-237.
Olivieri 1937 = D. Olivieri, Toponomastica italiana in Enciclopedia Italiana,
Roma, 1937, vol. 34, p. 7-13.
Pellegrini 1949 = G. B. Pellegrini, Contributo allo studio della romanizzazione
della provincia di Belluno, Padova, 1949.
Pellegrini 1990 = G. B. Pellegrini, Toponomastica italiana, Milano, 1990.
Petracco Sicardi 1981 = G. Petracco Sicardi, Onomastica e toponomastica
nell’Italia nord-occidentale, in La toponomastica come fonte di conoscen-
za storica e linguistica. Atti del Convegno della Società Italiana di Glotto-
logia, Belluno, 1980, Pisa, 1981, p. 91-106.
Rabotti – Curradi – Vasina 1985 = Breviarium ecclesie Ravennatis (Codice Ba-
varo). Secoli VII-X, a cura di G. Rabotti – C. Curradi – A Vasina, Roma,
1985.
Serra 1931 = G. Serra, Contributo toponomastico alla teoria della continuità
nel medioevo delle comunità rurali romane e preromane dell’Italia supe-
riore, Cluj, 1931.
Schulze 1904 = W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlino,
1904.

.
.
SOPRAVVIVENZE E PROGETTI
DI REPERTORI

.
.
ENZO CAFFARELLI

VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI


DELL’ITALIA ANTICA NELL’ONOMASTICA
E NEL LESSICO ITALIANO CONTEMPORANEI

L’analisi qui proposta ha carattere sincronico e non diacronico.


E in questa affermazione proemiale può contenersi il significato di
tutta la ricerca : nel senso che la sopravvivenza di cui s’accenna nel
titolo della sessione non viene documentata attraverso una continui-
tà delle voci toponomastiche, etniche e antroponimiche antiche,
bensì, nella quasi totalità degli esempi, mediante un’operazione col-
ta di recupero di tali voci, che pure si sono insinuate in tali e tanti
àmbiti, onomastici e lessicali, da potersi considerare vive; anche se
parrebbe di buon senso affermare che la loro comprensione sia limi-
tata alla competenza passiva di alcuni tra i parlanti e a quella attiva
di pochissimi tra di loro. Il salto, anzi, la soluzione di continuità è
conditio sine qua non per discutere della materia. Presenterò di se-
guito, in modo cursorio e incompleto, una serie di nomi propri del-
l’onomastica italiana relativa al territorio italiano presenti nei se-
guenti àmbiti :

1) Etnici e toponimi antichi come cognomi;


2) etnici e toponimi antichi come riferimento culturale topono-
mastico e odonomastico;
3) etnici e toponimi antichi come marchionimi, nomi commer-
ciali, denominazioni associative e socionimi urbani;
4) etnici e toponimi antichi come denominazioni di veicoli;
5) toponimi antichi come astronimi;
6) etnici suppletivi come sinonimi registrati nella lingua scritta e
parlata.
Che si tratti di recuperi dotti, qualora ce ne fosse bisogno, lo
conferma la lessicografia italiana. Il Grande dizionario italiano del-
l’uso offre per l’attestazione di voci molto diffuse negli àmbiti su ri-
cordati prime datazioni assai recenti1.

1
Per es. : anxanese sec. XX; aprutino 1545; atestino sec. XX; brianteo 1911;
bruzio 1892; daunio 1830; dorico 1952-56 (se riferito ad Ancona); enotrio fine

.
630 ENZO CAFFARELLI

1. Etnici e toponimi antichi come cognomi

Sembrerebbe far eccezione, nel senso della contuinità in dia-


cronia, il caso dei cognomi. Si tratta di un novero assai limitato,
perché la grande maggioranza dei nomi di famiglia che tramanda-
no e cristallizzano toponimi o etnonimi usciti dall’uso o confinati a
un ristretto àmbito dialettale locale, si riferiscono al Medioevo, tal-
volta fino intorno al 1000, ma senza risalire oltre. Tra queste appa-
renti eccezioni, si vedano, per es., Messana, tipico di Alcamo-Tp ma
anche palermitano e agrigentino, che documenta il nome latino di
Messina o il rarissimo Tifernati a Citerna-Pg costituisce la pluraliz-
zazione dell’etnico dal toponimo Tifernum, precedente denomina-
zione di Città di Castello-Pg (oltre che di Sant’Angelo in Vado-Pu) 2.
Parlo di eccezioni apparenti, perché, a parte la non dimostrabilità
di nesso in alcuni casi, la continuità nel tempo pare smentita dal-
l’assenza di testimonianze probanti in epoca medievale, mentre l’u-
so di imporre a trovatelli cognomi detoponimici, documentato per
es. proprio a Palermo nel XIX secolo (Epiro, Tarso, Eraclia, Gerun-
da, Candia, Fenicia, Nicania, ecc.) 3, farebbe supporre che anche in
antroponimia si sia ricorsi, accanto a toponimi usati con la sempli-
ce funzione identificativa, dunque enumerativa, a nomi di luogo
antichi e prestigiosi.

XVIII sec.; eporediese 1860; falisco 1834; labronico 1882; nisseno 1958; opitergino
1966-68; orobico 1840; peucezio 1895; puteolano 1958; tergestino 1829; tiberino
1828; tudertino av. 1940; veliterno 1940; volsco 1840. È comunque di tutta eviden-
za che uno spoglio più accurato permetterebbe di retrodatare alcune voci del no-
stro campione; ma ciò non cambia di molto la sostanza : perché sempre di recu-
pero moderno e non di continuità si tratta. Cfr. Grande dizionario italiano del-
l’uso, diretto da T. De Mauro, vol. I-VI, Torino, 1999.
2
E inoltre : Civitani a Velletri-Rm e altrove nel Lazio rappresenta il relitto
della precedente denominazione di Lanuvio-Rm, Civita Lavinia; Cameli, cogno-
me abruzzese e molisano ma soprattutto ascolano, documenta il precedente no-
me del comune di Sant’Elena Sannita-Is, agionimo collegato alla regina Elena di
Savoia; Albalonga individua due nuclei a Caserta; Idrontino, a Ceglie Messapica-
Br, risale a Idronto ‘Otranto-Le’; Neto, nel Reggino, con De Neto nel Crotonese e
nel Leccese, potrebbe valere la forma antica di Noto-Sr; Partenope ‘Napoli’ si tro-
va a Catanzaro e nel Meridione, con Partenopeo, ‘napoletano’, rarissimo e sparso
nel Sud peninsulare; a Napoli si concentrano anche i pochi Osci e Iapigi/Iapigio,
mentre tra gli altri nomi di famiglia coincidenti con etnici antichi, Sanniti è ro-
magnolo, toscano e sparso, Piceni bresciano, Umbri appartiene all’Italia centrale,
Equi è lucchese; Siculi bolognese.
3
Cfr. A. Finocchiaro, L’origine del cognome Svezia, in RION, VIII (2002), 1,
p. 23-27.

.
VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 631

2. Etnici e toponimi antichi come riferimento culturale toponomastico


e odonomastico

La spinta forte al toponimo «culto», mentre è parte del più am-


pio fenomeno del riciclaggio semantico del nome proprio, può spie-
garsi anche con varie motivazioni, tra cui la volontà di sottolineare
le proprie radici storiche e culturali di grandi e piccoli centri, una
sorta di riscoperta nobiltà formale, semantica e storica.
Un buon esempio di tale fenomeno è offerto dai comuni che nel
corso del XIX e del XX secolo hanno assunto denominazioni corri-
spondenti a quelle di antichi insediamenti prossimi o al nome che
contrassegnava la stessa città in epoca pre-latina, latina o medieva-
le 4 (cfr. la tab. 1 con un campione di 110 toponimi). Si notino le mo-
dalità principali seguite dagli amministratori locali nella scelta :
– aggiunta di un epiteto territoriale, indicante appartenenza a un
luogo abitato o direttamente agli antichi abitatori : è il caso, proce-
dendo da nord a sud e da ovest a est, di Sannazzaro > Sannazzaro de’
Burgondi-Pv, Cividate e Piano > Cividate Camuno e Pian Camuno-Bs,
Loro > Loro Piceno, Frasso > Frasso Sabino-Ri, Marano > Marano
Equo-Rm, Gioia e Lecce > Gioia dei Marsi e Lecce nei Marsi-Aq, Pra-
tola > Pratola Peligna-Aq, San Demetrio > San Demetrio ne’ Vestini-
Aq, Castro e Roccasecca > Castro dei Volsci-Fr e Roccasecca dei Vol-
sci-Lt, Coreno > Coreno Ausonio-Fr, Loreto > Loreto Aprutino-Pe, Ca-
stelnuovo > Castel Frentano-Ch, Lama > Lama dei Peligni-Ch, San
Martino > San Martino sulla Marrucina-Ch, Sessa > Sessa Aurunca-
Ce, Cava > Cava de’ Tirreni-Sa, Castelnuovo > Castelnuovo della Dau-
nia-Fg, Grumo > Grumo Appula-Ba, Casale > Casale Bruzio-Cs, Oppi-
do e Galàti > Oppido Mamertino-Rc e Galàti Mamertino-Me, ecc.
– aggiunta di un aggettivo etnico indicante continuità con un to-
ponimo antico, contiguità (per es. fondazione da parte dei preceden-
ti abitanti di quel dato centro) o comunque legame; ancora dal Set-
tentrione al Meridione : Belvedere > Belvedere Ostrense (< Ostra),
Anguillara > Anguillara Sabazia-Rm (< lacus Sabatius), Frasso >
Frasso Telesino-Bn (< Telese < Telesia), Casale > Casal Velino-Sa
(< Velia), Contessa > Contessa Entellina-Pa (< Entella), Scaletta >
Scaletta Zanclea (< Zancle), ecc.
– aggiunta del toponimo antico a quello moderno : Piana > Pia-
na Crixia-Sv, Castelleone > Castelleone di Suasa-An, Cagnano > Ca-
gnano Amiterno-Aq, Pignataro > Pignataro Interamna-Fr, Orta > Or-

4
Cfr. la rassegna trattata in E. Caffarelli – S. Raffaelli, Il cambiamento di no-
me dei comuni italiani (dall’unità d’Italia a oggi), in RION, V [1999], 1, p. 115-147,
in part. 128-29.

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632 ENZO CAFFARELLI

ta di Atella-Ce, Castellammare > Castellammare di Stabia-Na, Novi >


Novi Velia-Sa, Terranova > Terranova da Sibari-Cs, Policastro > Pe-
tilia Policastro-Cz, San Giorgio > San Giorgio Morgeto-Rc, Giardini
> Giardini Naxos-Me, Montalbano > Montalbano Elicona-Me, Lico-
dìa > Licodìa Eubea-Ct, Cattolica > Cattolica Eraclea-Ag, Calatafimi
> Calatafimi Segesta-Tp, ecc.
– sostituzione del toponimo medievale o moderno con uno anti-
co, identificato perlopiù con il centro abitato che sorgeva nello stes-
so luogo di quello odierno o nelle sue vicinanze. È il caso di : Griso-
lera > Eraclea-Ve, Umana > Numana-An, Montalboddo > Ostra-An,
Montenovo > Ostra Vetere-An, Mont’Olmo > Pausula-Mc, Corneto >
Tarquinia-Vt, Bieda > Blera-Vt, Stabia > Faleria-Vt, Leprignano >
Capena-Rm, Civita Lavinia > Lanuvio-Rm, Cantalupo Bardella >
Mandela-Rm, Aspra > Casperia-Ri, Canemorto > Orvinio-Ri; Banco
> Boville Ernica-Fr, Le Fratte > Ausonia-Fr, Traetto > Minturno-Lt,
Carbonara > Aquilonia-Av, Civitavecchia > Duronia-Cb, Pietrafesa >
Satriano di Lucania-Pz, Petramala > Cleto-Cs, Monteleone di Cala-
bria > Vibo Valentia, Gerace Marina > Locri-Rc, Crepacuore/Preca-
core > Samo-Rc, Castelvetere > Caulonia-Rc, Adernò > Adrano-Ct,
Monte San Giuliano > Erice-Tp, Castrogiovanni > Enna, Centorbi >
Centùripe-En, Biscari > Acate-Rg, Terranova > Gela-Cl, Girgenti >
Agrigento; Terranova Pausania > Olbia, ecc.; talvolta accompagnan-
do il toponimo con l’aggettivo «nuovo» : Saponara > Grumento No-
va-Pz, Bollita > Nova Siri-Mt, Pedàvoli e Paracorìo > Delianuova-Rc,
San Pantaleo e Sicci San Biagio > Dolianuova-Ca, ecc.
– scelta di un coronimo antico generale : Spigno > Spigno Satur-
nia-Lt, Roccaguglielma e San Petro in Cùrolis > Esperia-Fr, da due
antiche denominazioni dell’Italia;
– creazione ex novo a imitazione (negli elementi che costituisco-
no la nuova forma) della toponimia antica : Noja > Noepoli-Pz, Fe-
roleto > Pianopoli-Cz 5.

3. Etnici e toponimi antichi come marchionimi, nomi commerciali,


denominazioni associative e socionimi urbani
Una vitalità eccezionale presentano gli etnonimi antichi delle
città italiane nell’àmbito dei nomi commerciali : orobico, dorico, fel-
sineo, etneo, ibleo, labronico, ecc. Ho scelto, come esempio da svi-

5
Andrà poi osservato che, in molti casi, si tratta di errori storici o di sempli-
ci leggende. Prestando fede al Dizionario di Toponomastica (Torino, UTET, 1990),
possono classificarsi tra queste ultime le vicende legate al rapporto tra Petramala
e Cleto, o quelle concernenti Samo (e Casaletto Spartano), ecc. E, invece, a inde-
bito aggiustamento dei dati storici certi possono ascriversi i casi di Belvedere
Ostrense, Casperia, Faleria, Frasso Telesino, Licodìa Eubea, Orvinio, Petilia Poli-
castro.

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VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 633

luppare, quello di labronico, etnico suppletivo di livornese, a partire


dalla denominazione Labro/-onis dell’antico porto romano (menzio-
nato da Cicerone) che sorgeva nei pressi della città toscana, per-
ché : è poco trasparente per la cultura enciclopedica del parlante
italiano medio; appartiene a una città di dimensioni medie; ha una
significativa funzione suppletiva nella comunità livornese, riflesso
di competenza non solo passiva dei parlanti; la forma quadrisilla-
ba, con un suffisso -ónico evidentemente ben avvertito, ha consen-
tito alla radice di sopravvivere in una seconda e diversa serie di vo-
ci che vedremo tra poco.
Le registrazioni lessicografiche moderne rendono conto solo
dell’uso letterario e poetico : Carducci (m. 1907), nelle Lettere : «Alla
dolce fanciulletta labronica tirale un pochetto il naso da parte mia»,
e Marradi, poeta livornese (m. 1922), «D’innumeri fuochi, labronici/.
monti nel ciel fiammeggiano,/. e or fiochi or vividi riflessi in vigile/
fana su l’acque folgora» (cfr. GDLI); e di quello sportivo, in partico-
lare per chi tifa e parteggia per la squadra di calcio del Livorno
(1959, cfr. Gradit); in realtà la vivacità attuale della voce è rintraccia-
bile in tutti gli àmbiti del commercio, dell’industria e dei servizi, os-
sia della vita sociale di Livorno.
Le forme Labronica, Labroniche, Labronici e Labronico figurano
in decine e decine di sigle. Va notata la prevalenza della prima, in
origine un femminile singolare, in realtà una sorta di forma neutra,
cristallizzata e indeclinabile che si combina con soggetti (imprese,
servizi, ecc.) di genere e numero diverso. Una grande varietà e più
numerosa di esempi è quella costituita dalla serie Labro+N; dove N è
un nome, una sigla, un frammento di altro lessema e Labro-, forma
apocopata, diventa una sorta di suffissoide etnico, di marchio nel
marchio, o di elemento onimico di garanzia e di appartenenza nello
stesso tempo : il prodotto o servizio o impresa che si reclamizza è li-
vornese, dunque locale, a portata di mano, vicino alle esigenze e alla
cultura della popolazione, ma è anche «il/la» livornese per eccellen-
za o l’unica del suo settore nel territorio comunale 6 ; nella tab. 2 figu-
ra una lista con accanto il settore merceologico di ciascun marchio.
A questo gruppo s’affianca a Livorno la voce Liburnia, che individua
una quindicina di imprese 7 (oltre a un Liburnus International Con-
semar) 8.

6
Le combinazioni Labro+N che ho potuto individuare sono 50.
7
Prodotti chimici pubblicitari, agenzia immobiliare, carrozzeria, lavande-
ria, assicurazioni, impresa pulizia, macelleria, ecc.
8
Il fatto è curioso : i Liburni erano un popolo illirico in nessun modo colle-
gato, per quanto si sappia, alla città di Livorno, la cui origine può cercarsi in un
personale etrusco *Liburna o lat. Liburnus : a meno che non si voglia pensare,
non senza un certo coraggio interpretativo, a un intermediario deonimico, la li-

.
634 ENZO CAFFARELLI

Per una lista più ampia, ma sia pure sempre assai ridotta rispet-
to alla realtà, di denominazioni commerciali che utilizzano toponi-
mi ed etnici antichi, si rinvia alla tab. 3. Qui meriterà ricordare al-
meno il caso di Bologna, di cui rivivono, nell’industria e nel com-
mercio, le antiche denominazioni Bononia e Felsina e l’aggettivo
Felsinea/-e/-i/-o.
Una curiosità linguistica, che accresce e rafforza l’immagine del
recupero moderno, anzi recentissimo di tali forme, è il loro abbina-
mento, nelle ragioni sociali e nei marchionimi, con voci allotrie, in
particolare inglesi, che si combinano in sigle che non possono non
destare curiosità e sorpresa (quando non sconcerto agli occhi dei
puristi), insomma il tipo Abellinum Market o Etnea Medical Service 9.
Un’altra osservazione riguarda l’estensione territoriale del topo-
nimo/etnico antico nella sua dimensione moderna. Alcune forme so-
no esclusivamente locali, legate a un piccolo o grande comune, altre
hanno assunto, almeno nella sensibilità e nell’interesse commerciale
di coloro che hanno denominato aziende, associazioni, locali, ecc.,
un valore provinciale o regionale e in rari casi interregionale10.

Volendo poi analizzare quali segmenti del mercato siano mag-


giormente contrassegnati dal ricorso a toponimi ed etnici antichi,
spiccano : alberghi, pensioni, trattorie, pizzerie e luoghi di ristorazio-
ne; autoscuole; autoofficine, carrozzerie, garage; servizi di trasporto
e trasloco (taxi, corrieri, movimenti merci). Uno dei migliori esempi
del fenomeno di recupero della memoria storica attraverso toponimi
e aggettivi etnici antichi è offerto dalle agenzie turistiche di viaggi,

burna ‘brigantino, feluca’ che appunto dalla sponda illirica dell’Adriatico ebbe
origine.
9
Valga il seguente campionario : Felsinea Business Service, Dorica Sytsem
(rigenerazione cartucce), Mutina Car, Nissa Foot Ball Club, Katane Technologies,
Norba System a Conversano-Ba, Tridentum Web Solution, Vemenia Data System
(consulenza software) a Gravellona Toce-Vb, Antenna Iblea Broadcasting, ecc..
Siamo di fronte, dunque, non solo a casi caratterizzati da inglesismi ormai entra-
ti nell’uso della lingua italiana – Labronica Containers, Padus Broker a Torino, Ae-
naria Beauty Center a Ischia-Na, Apuania Bowling, Helvia Recina volley, ecc. – ma
anche a situazioni dove il forestierismo è del tutto gratuito, come ancora Dorica
Aliment, Emporium Wine’s nel Fiorentino, Herdonia Fruit ad Ordona-Fg, Milae
Medical, Nissena Foods (deposito alimentare), Orobica Plast Gom e Orobica Green
(manutenzione verde sportivo) nel Bergamasco, Turenum Garden a Trani-Ba,
Helvia Hospital a Corridonia-Mc, Patavium Dental Project, con un gran numero di
casi per Brixia, associata con Broker, Electronic, Fireworks, Flying (scuola di volo
libero), House, Nautik, Metan, Service e Shooting Store.
10
Andrà inoltre osservato che alcuni toponimi usati lontano dal loro referente
sono in realtà mediati da un odonimo : per es. a Roma, il Centro odontoiatrico Ma-
gna Grecia in Via Magna Grecia o il Supergarage Veio in Via Veio, a Latina il Con-
dominio Messapi in Via dei Messapi, a Como la scuola Briantea in Via Briantea.

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VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 635

anche a ragione della natura del servizio offerto (nella tab. 4 circa 150
esempi : e si noti anche qui la ricorrenza di denotata stranieri rispetto
a un denotandum d’origine greca, latina, italica, etrusca, ecc.). In que-
sto primo gruppo il sèma comune è dunque il viaggio, il movimento,
il turismo, confermato anche dalle denominazioni di alcuni treni. Al-
tri settori ben rappresentati riguardano : l’edilizia (imprese di costru-
zione, agenzie immobiliari, società di appalti); banche, società assi-
curative e finanziarie; studi medici e servizi sanitari; società sportive,
comprese quelle calcistiche; associazioni culturali; cooperative so-
ciali. Si può scorgere, in queste categorie, da un lato la ricerca di un
particolare prestigio legato all’àmbito economico e finanziario; dal-
l’altro una presenza significativa dell’elemento giovanile, che sembra
particolarmente sensibile al recupero di voci storiche in chiave di va-
lorizzazione del patrimonio e delle identità culturali locali. Ma, come
si può notare nella tab. 3, non sembra mancare alcun àmbito del
commercio, dell’industria e dei servizi : si va dall’impresa funebre al-
la fabbrica di carta igienica, dai salumifici alle imprese di pulizia, dai
grossisti ortofrutticoli agli artigiani, dai ferramenta alle pasticcerie.

4. Etnici e toponimi antichi come denominazioni di veicoli


Le denominazioni dei treni (o meglio di tratte specifiche, da cui la
denominazione corrente di un convoglio) – Amiterno, Apulia, Dorico,
Freccia Orobica, Magna Grecia, Partenope, Parthenon, Tergeste, Trina-
cria, Velia, ecc. – sono tipiche anche di altri Paesi europei, per es. in
Francia, in Germania, in Romania. Rappresentano un elemento pro-
batorio, eventualmente da approfondire, circa una tendenza che non
sarebbe esclusivamente italiana.

5. Toponimi antichi come astronimi


Parlando di astronimi, si vuole alludere tanto ai nomi dei corpi
celesti quanto alle superfici dei pianeti nel sistema solare (astrotopo-
nimi). Nel primo àmbito, alcuni asteroidi sono stati battezzati con to-
ponimi italiani; e, accanto a Cremona, Piemonte, Messina o Verona,
troviamo anche Bononia, Brixia, Padua, Parthenope, Tergeste (e si noti
la grafia Venetia). Quanto ai pianeti, va detto che le valli minori della
superficie di Marte sono denominate per convenzione con nomi di
centri terrestri con meno di 100mila abitanti, e tra i pochi italiani (8,
tutti piemontesi o meridionali), spiccano Herculaneum e Pompei : la
scrizione ufficiale in latino del primo e la spiegazione del secondo
(«ruined town») a cura dell’U.S. Geological Survey (Branch of Astro-
geology), incaricato del controllo onomastico dalla IAU (International
Astronomic Union), non lasciano dubbi, pur in presenza dei moderni
toponimi Ercolano e Pompei nel Napoletano.

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636 ENZO CAFFARELLI

6. Etnici suppletivi come sinonimi registrati nella lingua scritta e parlata


Più nella lingua scritta che nella lingua parlata, o in un parlato
affettato dove il ricorso a tali forme è frutto del desiderio di evitare
ripetizioni, gli etnici cosiddetti suppletivi abbondano in àmbito
sportivo, ma non solo.
Torniamo all’esempio di labronico/labronici ‘livornese/i’. Con le
voci labronica/-che/-chi/-co il motore di ricerca internet Google con-
sente di individuare ben oltre 3.000 siti contenenti almeno una di ta-
li voci (ripulite dei doppioni, ne restano comunque circa 3-400, che
non sono pochi). Esemplifichiamo alcuni casi d’uso dell’aggettivo et-
nico suppletivo : «storia dello scautismo labronico», «segretario del
Gruppo Labronico, uno dei più antichi sodalizi», «pittore labroni-
co», «capoluogo labronico», «villaggio labronico», «penalista e sti-
mato cassazionista del foro labronico», «con il patrocinio del Comu-
ne labronico», «il giornale labronico», «neoclassicismo labronico»,
«scalo labronico», «elezione del consiglio del CSI labronico»11.
Il campione è modesto per quantità, ma vi s’intravvede, se non
una specializzazione, almeno alcuni usi tendenziali dell’etnico sup-
pletivo. Al singolare, per indicare il mondo politico e associativo,
quello culturale e artistico (anche in relazione al Gruppo Labronico
di pittura), i riferimenti territoriali e topografici (porto, scalo, ente
portuale, villaggio, foro, capoluogo, ecc.), gli sportivi. Nel caso del
plurale, la grande maggioranza delle occorrenze riguarda lo sport, e
in particolare i giocatori di calcio della squadra del Livorno.
Ma non si può dire che, in diastratia, il suppletivo sia riservato
ai parlanti di cultura alta o medio-alta. Probabilmente anche l’im-
piego insistito in àmbito sportivo ha contribuito alla diffusione della
voce che è ormai patrimonio condiviso nel quadro delle denomina-
zioni industriali, commerciali e di servizi della comunità livornese.

E inoltre : «il mensile labronico», «esponente del socialismo labronico»,


11

«il rampante tennista labronico», «il presidente dell’ente portuale labronico»,


«associazionismo labronico», «teatro popolare labronico», «dal parlare toscano
e vieppiù labronico diligentemente mutuata», «adopera il linguaggio labronico»,
«porto labronico», «polo labronico», «commercio labronico», «baseball club la-
bronico», «ateneo labronico», «inchieste nel mondo labronico della sanità», «il
territorio labronico», «si allinea una sorta di Pantheon labronico», «il fenomeno
ultrà labronico», «due società del pionieristico calcistico labronico», «in memo-
ria dell’illustre musicista labronico», «mitico pittore labronico»; «chiuso sul 16 a
15 per i labronici», «autori toscani macchiaioli e labronici», «proprio il patron
dei labronici», «i labronici reggono fino alla fine del primo tempo», «ad imporre
il proprio gioco ai danni dei labronici», «ma l’attacco dei labronici non era così
incisivo», «trascinatore nel successo sui labronici di Donadoni», «dei diversi ap-
porti dei vescovi labronici», ecc.

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VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 637

Numerosi altri casi riflettono quanto esemplificato con labronico e


Livorno. Ciò che nell’Ottocento poteva essere appannaggio di poeti e
studiosi, negli ultimi decenni del XX secolo ha attraversato gli strati
sociali per entrare, almeno a livello locale, nella competenza passiva
certamente e parzialmente anche in quella attiva degli italiani.
Evidentemente solo un’attenta inchiesta sociolinguistica sul
campo potrebbe darci in valore numerici la consistenza di tale com-
petenza e mettere in risalto eventuali fraintendimenti, paretimolo-
gie, ecc. Ma è certo è che il fenomeno della rivitalizzazione di topo-
nimi ed etnici antichi in Italia è particolarmente vivace, tanto nel
lessico comune quanto nei più vari àmbiti onomastici ed è fenome-
no linguistico di rilievo anche sotto il profilo psico-sociologico.

Enzo CAFFARELLI

Tavola 1

COMUNI ITALIANI CHE HANNO CAMBIATO NOME


DOPO L’UNITÀ D’ITALIA PER MOTIVI DI PRESTIGIO,
PER RECUPERARE ANTICHE DENOMINAZIONI

Precedente denominazione Data Nuova denominazione

Biscari 1938 Acate-Rg


Adernò 1928 Adrano-Ct
Girgenti 1927 Agrigento
Anguillara 1872 Anguillara Sabazia-Rm
Carbonara 1862 Aquilonia-Av
Le Fratte 1862 Ausonia-Fr
Belvedere 1863 Belvedere Ostrense-An
Bieda 1952 Blera-Vt
Banco 1907 Boville Ernica-Fr
Cagnano 1864 Cagnano Amiterno-Aq
Calatafimi 2000 Calatafimi Segesta-Tp
Canosa 1864 Canosa Sannita-Ch
Leprignano 1933 Capena-Rm
Casale 1893 Casal Velino-Sa
Casale 1864 Casale Bruzio-Cs
Casalicchio 1862 Casaletto Spartano-Sa
(segue)

.
638 ENZO CAFFARELLI

Precedente denominazione Data Nuova denominazione

Aspra 1947 Casperia-Ri


Castelnuovo 1864 Castel Frentano-Ch
Castellammare 1863 Castellammare di Stabia-Na
Castelleone 1864 Castelleone di Suasa-An
Castelnuovo 1864 Castelnuovo della Daunia-Fg
Castro 1872 Castro dei Volsci-Fr
Cattolica 1874 Cattolica Eraclea-Ag
Castelvetere 1863 Caulonia-Rc
Cava 1862 Cava de’ Tirreni-Sa
Centorbi 1863 Centuripe-En
Cerreto 1863 Cerreto Sannita-Bn
Cividate + Alpino 1887 Cividate Camuno-Bs
Petramala 1863 Cleto-Cs
Colle 1863 Colle Sannita-Bn
Contessa 1875 Contessa Entellina-Pa
Coreno 1862 Coreno Ausonio-Fr
Corneto 1872 Corneto Tarquinia (1922 : Tarquinia)
Masaccio 1862 Cupramontana-An
Pedàvoli + Paracorìo 1783 Delianuova-Rc
San Pantaleo 1905 Dolianova-Ca
Civitavecchia 1875 Duronia-Cb
Castrogiovanni 1927 Enna
Grisolera 1950 Eraclea-Ve
Resina 1969 Ercolano-Na
Monte San Giuliano 1934 Erice-Tp
Roccaguglielma 1867 Esperia-Fr
Stabia 1874 Faleria-Vt
Borgo San Donnino 1927 Fidenza-Pr
Frasso 1863 Frasso Sabino-Ri
Frasso 1863 Frasso Telesino-Bn
Galàti 1863 Galàti Mamertino-Me
Terranova 1927 Gela-Cl
Giardini 1978 Giardini Naxos-Me
(segue)

.
VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 639

Precedente denominazione Data Nuova denominazione

Gioia 1863 Gioia dei Marsi-Aq


Giuliano 1863 Giuliano Teatino-Ch
Saponara 1932 Grumento Nova-Pz
Grumo 1863 Grumo Appula-Ba
Montepeloso 1895 Irsina-Mt
Lama 1863 Lama dei Peligni-Ch
Civita Lavinia 1914 Lanuvio-Rm
Lecce 1863 Lecce nei Marsi-Aq
Licodia 1873 Licodia Eubea-Ct
Gerace Marina 1934 Locri-Rc
Loreto 1863 Loreto Aprutino-Pe
Loro 1862 Loro Piceno-Ap
Lozzo 1867 Lozzo Atestino-Pd
Cantalupo Bardella 1872 Mandela-Rm
Casalnuovo 1789 Manduria-Ta
Marano 1872 Marano Equo-Rm
Traetto 1879 Minturno-Lt
Mirabella 1862 Mirabella Eclano-Av
Montalbano 1955 Montalbano Elicona-Me
Nocera 1863 Nocera Terine-Cz
Noja 1863 Noepoli-Pz
Noja 1863 Noicattaro-Ba
Bollita 1872 Nova Siri-Mt
Novi 1862 Novi Velia-Sa
Umana 1869 Numana-An
Terranova Pausania 1938 Olbia-Ss
Oppido 1863 Oppido Mamertina-Rc
Orta 1862 Orta di Atella-Ce
Canemorto 1863 Orvinio-Ri
Ospedaletto 1867 Ospedaletto Euganeo-Pd
Montenovo 1882 Ostra Vetere-An
Montalboddo 1881 Ostra-An
Mont’Olmo 1861 Pausula-Mc (1931 : Corridonia)
(segue)

.
640 ENZO CAFFARELLI

Precedente denominazione Data Nuova denominazione

Policastro 1863 Petilia Policastro-Cz


Petrella 1863 Petrella Tifernina-Cb
Piano 1863 Pian Camuno-Bs
Piana 1862 Piana Crixia-Sv
Feroleto 1872 Pianopoli-Cz
Pignataro 1862 Pignataro Interamna-Fr
Pratola 1863 Pratola Peligna-Aq
Piperno 1928 Priverno-Lt
Rionero 1864 Rionero Sannitico-Is
Roccasecca 1872 Roccasecca dei Volsci-Lt
Crepacuore/Precacore 1911 Samo-Rc
San Demetrio 1863 San Demetrio ne’ Vestini-Aq
San Giorgio 1864 San Giorgio Morgeto-Rc
San Martino 1864 San Martino sulla Marrucina-Ch
Sannazzaro 1863 Sannazzaro de’ Burgondi-Pv
Santa Maria Maggiore 1862 Santa Maria Capua Vetere-Ce
Pietrafesa 1866 Satriano di Lucania-Pz
Scaletta 1863 Scaletta Zanglea > Scaletta Zanclea
Sessa 1864 Sessa Aurunca-Ce
Spigno 1863 Spigno Saturnia-Lt
Tarànta 1881 Tarànta Peligna-Ch
Radicena 1928 Taurianova-Rc
Terranova 1864 Terranova da Sibari-Cs
Torrevecchia 1863 Torrevecchia Teatina-Ch
Casaltrinità 1863 Trinitapoli-Fg
Toscanella 1911 Tuscania-Vt
Paparella San Marco 1958 Valderice-Tp
Viano 1972 Vejano-Vt
Monteleone di Calabria 1927 Vibo Valentia
San Giovanni di Bieda 1961 Villa San Giovani in Tuscia-Vt

.
VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 641

Tavola 2

MARCHIONIMI E ALTRE DENOMINAZIONI


CONTENENTI LA VOCE LABRONICA ET SIM.

Labronica – (28 utenze nella forma assoluta, e inoltre Pallamano Labronica,


Labronica Pallavolo società di pallavolo femminile, Accademia
Labronica, Biblioteca Labronica, Società Labronica corse cavalli)
Labroniche – (montaggi industriali)
Labronici – (cooperativa facchini)
Labronico – (club ippico, ditta antincendi, centri di aggregazione sociali, fab-
brica vernici, consorzio agroalimentare)
Labroarte – lavorazione artigianale ceramica
Labrocell – ingrosso carta cartoni
Labrochem – produzione prodotti chimici
Labroconsult – perizie merci containers
Labrodent – snc
Labrodolci – concessionari prodotti dolciari (Collesalvetti-Li)
Labro-food – sas
Labroittica – frigomagazzino prodotti
Labrolac – snc laccatura e lavorazione legno
Labrolens – ingrosso lenti oftalmiche
Labrolines – agenzia marittima
Labromare – antincendi antinquinamenti portuali
Labromarmi – lavorazione marmi
Labromec – revisione macchine utensili
Labronet – Internet Service Provider
Labroplastic – stoccaggio selezione plastica
Labrotour – srl
Labrosped – casa di spedizioni
Labrorent – sas

Tableau 3

CAMPIONE DI DENOMINAZIONI COMMERCIALI E INDUSTRIALI, MARCHI


SOCIETARI, ECC. CON ANTICHI TOPONIMI O ETNICI (lettera “A”)

Marchio Tipologia Località

Abellinum Market, supermercato Atripalda-Av


Acelum Vecchia, restauro mobili Asolo-Tv
Acheruntia -glass srl Acerenza-Pz
Acheruntia Teleradio Acri-Cs
Aegilium società calcistica Isola del Giglio-Gr

(segue)

.
642 ENZO CAFFARELLI

Marchio Tipologia Località

Aegusa ristorante Favignana-Tp


Aemilia Studio S.Lazzaro di Sav.-Bo
Aemilia Ars Bologna
Aemonia amm. immobili Pordenone
Aenaria beauty center Ischia-Na
Aenaria casa del cane Ischia-Na
Aeolia ristorante taverna Longare-Vi
Aeolia snc Longare-Vi
Aesernia srl Campobasso
Aetolia edilizia Legnago-Vr
Akragas associazione sportiva Agrigento
Akragas laterizi Agrigento
Akrai auto Palazzolo Acreide-Sr
Akrai Chemicart Palazzolo Acreide-Sr
Akrai coop. società di servizi Palazzolo Acreide-Sr
Akrai impresa di pulizia Palazzolo Acreide-Sr
Akrai Sicilia Arte Siracusa
Aletrium coop. agricola Alatri-Fr
Aletrium finanziaria Frosinone
Alfaterna autogrill Nocera Inferiore-Sa
Alfaterna marmi lavorazioni artistiche Nocera Inferiore-Sa
Alfaterna Pro Loco Nuceria Nocera Inferiore-Sa
Amiternum s.p. Scoppito-Aq
Amulia radio tv elettrodomestici Muggia-Ts
Angleria sas Busto Arsizio-Va
Angleria tennis club Angera-Va
Anxanum Camera, orchestra da camera Lanciano-Ch
Anxanum condizionamento termoidraulica Lanciano-Ch
Anxanum Farmacie comunali Lanciano-Ch
Anxanum Terracotta Lanciano-Ch
Anxur associazione artigiana Terracina-Lt
Anxur centro diagnostico medico Terracina-Lt
Anxur Gomma Pontinia-Lt
(segue)

.
VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 643

Marchio Tipologia Località

Anxur Rettifica Fondi-Lt


Aprutina agrozootecnica Loreto Aprutino-Pe
Aprutina bar Folignano-Ap
Aprutina carni Loreto Aprutino-Pe
Aprutina compagnia generale Roma
Aprutina gastronomia pasta all’uovo Loreto Aprutino-Pe
Aprutinum oleificio Loreto Aprutino-Pe
Aprutium cooperativa Sulmona-Aq
Apuania assicurazioni Massa
Apulia abbigliamento Andria-Ba
Apulia associazione culturale Bari
Apulia Charta Andria-Ba
Apulia edil service Bari
Apulia immobiliare Bari
Apulia Salus, casa di cura Bari
Apulia scuola biliardo Andria-Ba
Apulia bungalow monoblocchi Bari
Aricia Villa, ristorante Ariccia-Rm
Ariminum servizi per dentisti Rimini
Arintha alimentari ingrosso Rende-Cs
Arintha petroli Rende-Cs
Arintha studio medico Rende-Cs
Arpi agenzia immobiliare Foggia
Arpi Gel, alimenti surgelati Foggia
Arpi Meccanica Daunia Foggia
Arpi polisportiva Foggia
Arpi scuola materna Foggia
Arretium società di servizi Arezzo
Ascesi bar Assisi-Pg
Ascesi Lar Engineering Assisi-Pg
Aternum consorzio autoscuole Pescara
Aternum impianti termoidraulici gas Pescara
Aufidena bar Alfedena-Aq
Auximon Vetus, circolo di lettura Osimo-An

.
644 ENZO CAFFARELLI

Tavola 4

DENOMINAZIONI DI AGENZIE DI VIAGGIO CHE RIPRENDONO IN TUTTO


O IN PARTE L’ANTICO NOME O ETNICO DELLA CITTÀ IN CUI SI TROVANO
O DI UN CENTRO ABITATO CHE SORGEVA NEL TERRITORIO CIRCOSTANTE

Legenda : Ex. = Express; T. = Tour[s]; Tr. = Travel; V. = Viaggi.

Acheruntia Acri-Cs
Aeclana Tr. Mirabella Eclano-Bn
Aenaria V. Casamicciola Terme-Na, Forio-Na
Aethaltour Portoferraio-Li
Aetna Pedara-Ct
Akratur Agrigento
Aletrium Tr. Alatri-Fr
Alinissa V. e T. Caltanissetta, Agrigento
Amulia V. Muggia-Ts
Anxanum V. Lanciano-Ch
Anxur T. Terracina-Lt
Aprutina T. Sant’Egidio alla Vibrata-Te
Apuliatour Bari
Arezia V. Arezzo
Ariminum V. Rimini
Arpi V. Foggia
Ascesi T. Assisi-Pg
Aternum V. Pescara
Ateste V. Este-Pd
Ausugum V. e T. Borgo Valsugana-Tn
Benatour Garda-Vr, Lazise-Vr, Torri del B.-Vr
Bergomum V. e T. Bergamo
Biturgia V. e T. Sansepolcro-Ar
Bononia V. Bologna
Brixia V. Brescia
Bruzia Rende-Cs
Cales Tr. Sparanise-Ce
Camuna S. Giorgio su Legnano-Mi
(segue)

.
VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 645

Capitanata Cerignola-Fg
Carbinia Carovigno-Br
Cebana V. Ceva-Cn
Ceresio T. Lavena Ponte Tresa-Va
Chydae S.Agata di Militello-Me
Clastidium V. Casteggio-Pv
Cuma Tr. Casoria-Na
Dalmenviaggi Dalmine-Bg
Daunia [Nuova Foggia
Derthona V. Tortona-Al
Dorica Tr. Ancona
Drepanum Trapani
Egesta V. Calatafimi-Tp
Egnazia T. Fasano-Br
Emporium V. Empoli-Fi
Entella Lavagna -Ge
Enula V. San Miniato-Pi
Esitour Jesi-An
Etnea Catania
Etruria Tour Piombino-Li
Etrusca V. Rosignano Marittimo-Li
Fabrateria V. Ceccano-Fr
Falisca Tr. Civita Castellana-Vt
Fanum Tr. Fano-Pu
Faventia Tourist Faenza-Ra, Castel Bolognese-Ra
Felsina Bologna
Fiorenza T. Firenze
Florense V. S. Giovanni in Fiore-Vs
Flotravel Firenze
Flumen V. Fiume Veneto-Pn
Frentania T. Lanciano-Ch, Pescara
Fulginum V. Foligno-Pg, Falconara Marittima-An
Gebel Acireale-Ct
Genuensis V. Genova
(segue)

.
646 ENZO CAFFARELLI

Ghelas Gela-Cl
Hasta V. Asti
Helvia T. Macerata
Herea Tr. Chiaramonte Gulfi-Rg
Iblea Melilli-Rg
Idruntina V. Otranto-Le
Interamna T. Terni
Irpiniatour Avellino
Ispellum T. Spello-Pg
Julia V. Trieste
Karalis Cagliari
Katana Catania
Kerviaggi Chieri-To
Lanuvium V. Lanuvio-Rm
Latium Tr. Cassino-Fr
Lauretum V. Loreto-An
Leonicena Lonigo-Vi
Lepintours Frosinone, Latina
Lilybetana V. Marsala-Tp
Massa Veternensis Massa Marittima-Gr
Matutia T. Sanremo-Im
Mediolanum T. Serv. Milano
Megara agenzia marittima Megara-Sr
Megara V. Siracusa
Melfictia V. e T. Molfetta-Ba
Meligunte [Costa Lipari-Me
Messana T. Messina
Messapia Ceglie Messapica-Br
Milae V. Milazzo-Me
Modoezia V. Monza
Motuka V. e T. Modica-Rg
Napetia T. Amantea-Cs
Nissena V. Caltanissetta
Nursia V. e T. Norcia-Pg
(segue)

.
VITALITÀ DI ETNONIMI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA 647

Padus Cremona
Panormita Palermo
Panormus Tourist Tr. Palermo
Pantalica Sortino-Sr
Partenotour Napoli
Patavium Tr. Padova
Paullum Paullo-Mi
Perusia V. Perugia
Peucezia V. e T. Bovalino-Rc
Pithecusa Tr. Ischia-Na
Polycastrum V. Praia a Mare-Cs
Puteoli V. Pozzuoli-Na
Rasenna V. e T. Torrita di Siena-Si
Reziatour Sondrio
Rudiae V. Lecce
Sardinia T. Olbia, S. Teresa G.-S-ots, Alghero-Ss
Sardinia [Top V. Valledoria-Ss
Sebino V. Iseo-Br
Selinus V. Castelvetrano-Tp
Sicantur Palermo
Siris V. e T. Policoro-Mt
Sirmio Peschiera del Garda-Vr
Solunto V. Bagheria-Pa
Sybaris Cassano allo Jonio-Cs
Syrenuse Tr. Sorrento-Na
Taras Taranto
Taras V. Taranto
Taurinense V. Torino
Teate La Panoramica Chieti
Tergeste V. Trieste
Tharros Oristano
Therestis V. Monasterace Marina-Rc
Thermae Salsomaggiore T.-Pr
Thermessa Lipari-Me
(segue)

.
648 ENZO CAFFARELLI

Thuriana Spezzano Albanese-Cs


Tiber Tr. Center Roma
Ticinum V. Pavia
Tiferno V. Città di Castello-Pg
Trinacria Catania
Tritium V. Trezzo sull’Adda-Mi
Truentum V. e T. Civitella del Tronto-Te, Giulianova-Te
Tuscana Tr. Ponsacco-Pi
Tuscia Firenze
Varistour Tradate-Va
Velina V. e T. Casal Velino-Sa
Velzna V. Orvieto-Tr
Verolanum Tr. Veroli-Fr
Vinegia V. Venezia
Volscitour Sora-Fr
Volumnia V. Perugia
Xacca T. Sciacca-Ag
Yria Oria-Br

.
FRANCESCA DRAGOTTO

PRESENTAZIONE DEL SITO WEB WWW.DETIA.IT


L’IMPIEGO DI UN EPISODIO DI LETTERATURA
DI VIAGGIO DELL’ANTICHITÀ (HOR. SERM. I, 5)
COME FONTE DOCUMENTARIA PER UN CENSIMENTO
DI ETNICI E TOPONIMI DELL’ITALIA ANTICA

Incipit necessario di questo contributo è una sorta di dichiara-


zione programmatica su intenti e modalità alla base di quanto di se-
guito esposto, dal momento che, a differenza degli altri interventi
raccolti in questo volume, obiettivo primario della trattazione non è
la disamina di uno o più fatti onomastici, bensì la possibile sistema-
zione di un sapere, non solo onomastico, orientato alla costituzione
di un Dizionario di Etnici e Toponimi dell’Italia Antica (v. infra). Cor-
relabile e parzialmente imputabile alle problematiche sottese alla
strutturazione del dizionario è un senso di dissonanza stilistica, col
resto del volume, dovuto al carattere tecnico dell’esposizione.
Tra gli episodi della letteratura latina che del viaggio hanno fat-
to il proprio topic (presunto o effettivamente tale) certamente si ri-
corda per fama e fortuna il quinto componimento del primo libro
dei Sermones oraziani1, sorta di pagina di diario che descrive, sulla
falsariga dell’iter Siculum di Lucilio (I, 5), il viaggio del poeta verso
Brindisi 2.

1
«L’opera poetica di Orazio contiene ogni tipo di riferimento a luoghi e per-
sone, sia d’Italia che stranieri : lo scopo di questi riferimenti è molto vario, an-
dando dal puramente esornativo al significato poeticamente o eticamente pre-
gnante [...] Sull’argomento non esiste una trattazione recente e completa, per
quanto Gemoll 1894 rimanga un’utile raccolta riassuntiva che discute luogo per
luogo la geografia di Orazio; vi sono poi studi specialistici sui paesaggi poetici
(Troxler-Keller 1964), sulle località non italiane (Fischer 1968) e sugli aspetti geo-
etnografici (Thomas 1982)», cf. Thomas 1996.
2
Pur eludendo gli scopi primari del presente intervento, non è possibile
prescindere dal riportare le perplessità prodotte, nella critica, da questo compo-
nimento. Come si legge, infatti, in apertura del capitolo della sezione della Enci-
clopedia Oraziana, I, p. 248 dedicata alla biografia del poeta «oltre all’incertezza
degli intenti perseguiti da Orazio, si sottolineano la scarsezza di dettagli sul per-
corso, i legami fragili e talora inesistenti fra le singole tappe, il silenzio sulle mo-
tivazioni politiche, la conclusione improvvisa e troppo frettolosa».

.
650 FRANCESCA DRAGOTTO

Svoltosi con tutta probabilità nel 37 a.C., in primavera, all’epoca


del foedus Tarentinum che evitò, per allora, la guerra tra Ottaviano e
Antonio, il viaggio oraziano – che ai reali scopi della missione accen-
na solo in una circostanza, quasi di sfuggita (vv. 27-29 « huc ventu-
rus erat Maecenas optimus atque/Cocceius, missi magnis de rebus
uterque/legati...») – si configura come viaggio di ricordi e impressio-
ni più che come reale susseguirsi di luoghi e personaggi.
Ricca è tanto la bibliografia che si preoccupa di investigare il te-
ma del viaggio poetico (con o senza nóstos del protagonista), dall’età
alessandrina giù fino a Rutilio Namaziano, tanto quella più specifi-
camente oraziana, cui preme l’attenta valutazione di fattori ora poe-
tici ora strutturali.
Più modesto e limitato è l’obiettivo che si prefigura questo con-
tributo, per il quale il sermo oraziano è orientato e impiegato funzio-
nalmente alla costituzione di una (micro)corografia che trova la pie-
na ragione d’essere nella compilazione di un Dizionario degli Etnici e
Toponimi dell’Italia Antica (di qui in poi abbreviato in DETIA).
Presupposti e metodologie del DETIA sono noti da tempo 3 e alla
bibliografia di competenza si rimanda per l’approfondimento anche
di singoli aspetti : d’altra parte sarà utile, in sede di presentazione
della lettera «A» della versione informatizzata del censimento 4 preli-
minare al DETIA, recuperare parte di quel background vasto ma
spalmato su un arco cronologico ampio abbastanza da far rischiare
di perdere le linee del progetto, tanto di quello originario quanto di
quello rivisto nel tempo.
Occorrerà, insomma, delineare una sorta di cronistoria del DE-
TIA il cui fine – che è anche il presupposto stesso da cui muove l’in-
tervento – è la dimostrazione che si tratta di un lavoro non solo in
fieri, ma sostanzialmente alle prese con le medesime problematiche
che lo hanno caratterizzato in fasi precedenti.
Crux desperationis della ricerca (tanto per il progetto originario
quanto, in misura amplificata, per la sua versione aggiornata e in-
formatizzata che si presenta oggi al pubblico) è da sempre l’esiguità
(assoluta o relativa) di risorse umane da destinare ad un progetto
che, per essere condotto in modo razionale ed esaustivo e portato a

Silvestri 1982, 1985, 1986, 2000.


3

L’organizzazione del DETIA comprendeva e comprende oggi cinque modu-


4

li fondamentali : 1) censimento; 2) thesaurus; 3) bibliografia e rassegna; 4) dizio-


nario critico-etimologico; 5) atlante storico-linguistico pensati «secondo prospet-
tive multimediali e ipertestuali intese a convertire la grande massa del notum in
un novum di connessione e fruizione dei dati. In pratica il nostro scopo è quello
di mettere a disposizione degli utenti una possibilità di ‘navigazione’ plurima, che
consenta di passare da un modulo all’altro» Silvestri 2000, p. 30-1.

.
PRESENTAZIONE DEL SITO WEB WWW.DETIA.IT 651

termine in tempi ragionevoli, necessiterebbe di dedizione a tempo


pieno e non dovrebbe, come è accaduto, patire di lunghi periodi di
intorpidimento. Tempi di attesa e di scollamento tra le diverse fasi
del progetto costringono, nei fatti, a revisionare e spesso collaziona-
re materiale talvolta registrato su supporto diverso : del censimento
esistono, ad esempio, due diverse versioni di schedature cartacee,
due versioni informatizzate in database, di cui una in particolare ba-
sata su tecnologia ormai obsoleta e pressoché inutilizzabile, nonché
un nutrito numero di tesi di laurea che, suddivise per Regiones,
avrebbero dovuto colmare le lacune precedenti contribuendo a for-
nire un quadro definito (e quindi un censimento completo) del-
l’assetto etnotoponomastico dell’Italia antica.
Comune a tutte queste versioni è un preciso indirizzo metodolo-
gico che, tra le possibilità offerte, ha condotto a selezionare i lemmi
destinati a formare il DETIA da fonti indirette : non appare, anzi,
esagerata l’affermazione che probabilmente l’elemento caratteriz-
zante del progetto consiste proprio nel rinunciare ad uno spoglio
delle fonti dirette a favore della selezione da repertori bibliografici
di riferimento.
Così facendo la bibliografia (primaria o secondaria che sia), cui
normalmente si ricorre per pervenire ad una panoramica di quanto
prodotto in relazione all’elemento discusso, da ausilio filologico-
linguistico si fa strumento selezionatore del dato stesso : ne conse-
gue una diversa realtà-identità del datum, conformemente all’assio-
ma saussuriano che vuole l’oggetto della linguistica variabile col va-
riare del punto di vista.
Innegabili i vantaggi di un simile operare : se lo spoglio risulta
di difficile gestione accettando il filtro bibliografico, risulterebbe al-
tresì imponderabile (e quindi inclassificabile) muovendo diretta-
mente da testi (letterari), monete ed epigrafi. Le fonti, infatti, la loro
scelta, costituiscono il maggior compromesso del censimento e del
progetto DETIA, concepito prevedendo tre tipologie testuali abbina-
te, ciascuna rispettivamente, ad una scheda di raccolta, da corredar-
si (in fase di compilazione) con fotocopia della fonte documentaria.
Su :

a) fonti letterarie (L) (lato sensu, soprattutto storiche e geografi-


che, ma in pratica sono coinvolti tutti generi letterari del mondo an-
tico e le connesse competenze filologiche);
b) fonti epigrafiche (E) (greche e il latine, ma anche di altra per-
tinenza linguistica, dalle cosiddette lingue «indigene» a quelle più
meno «colonizzatrici»);
c) fonti numismatiche (N) (anche queste, ovviamente, non solo
greche e latine e con la riserva doverosa sugli oggettivi limiti docu-
mentari di questo particolare tipo di testualità).

.
652 FRANCESCA DRAGOTTO

Integrate ulteriormente da commenti storici, filologici, epigrafi-


ci, numismatici, archeologici, topografici, linguistici si dovrebbe
fondare il DETIA, in un’ottica necessariamente interdisciplinare.
Ciò vale per le condizioni testuali delle attestazioni; per le condi-
zioni linguistiche
è evidente che nei casi di documentazione indiretta (cioè per tramite
del latino o del greco) bisogna fare i conti con la maggiore o minore
congruenza fonologica (meglio : ‘fonotattica’) e morfologica (possibi-
lità di identificazione, anche sbagliata, di eventuali morfemi derivati-
vi) rispetto al greco e al latino (...) Nei casi di documentazione diret-
ta, invece (cioè nomi latini, greci o ‘indigeni’ trasmessi dalle rispettive
pertinenze linguistiche), bisognerà concentrare l’attenzione sulle re-
lative normative grafiche e, più in generale, sugli aspetti diacronici e
diatopici da cui tali normative dipendono 5.
Si è detto della necessità di fare i conti con la maggiore o minore
congruenza fonologica e morfologica : insomma dell’imprescindibi-
lità, nel quadro delle istanze analitiche del DETIA, della morfoanali-
si. Ad una classificazione morfologica ‘tradizionale’, volta alla regi-
strazione di genere, numero e caso dei lemmi censiti (una classifica-
zione basata, in buona sostanza, sulla flessione, paradigma per
evidenti ragioni arbitrario), ci si chiede, allora, se sarebbe più utile
sostituire un indice basato sull’effettiva terminazione del lemma :
l’ordine inverso potrebbe, altresì, soddisfare la morfoanalisi meglio
delle categorie tradizionali anzidette?
Certamente l’ambiguità talvolta manifesta di queste categorie la-
scerebbe presagire un parere positivo, rinvigorendo anzi l’interesse
nei confronti di una verifica della distribuzione di eventuali morfe-
mi derivativi, proprio come auspicato da Silvestri, a riprova di come
le procedure da seguire nella ricerca siano tuttora passibili di modi-
ficazione.
Per conseguenza, vario materiale, per quanto copioso, compre-
so quello relativo alla morfologia, non ha tuttora trovato accogli-
mento presso il sito DETIA in attesa di decisioni definitive che vada-
no di pari passo col reperimento di nuove energie da indirizzare, in
primis, al compimento del censimento perché l’allestimento del The-
saurus in assenza del censimento potrebbe, forse, risultare anacro-
nistico.
Esaurita la prima parte dell’antefatto, in apparenza poco atti-
nente con la citazione iniziale dei Sermones oraziani, se non per il

5
Cf. Silvestri 1982, p. 66-67 che così prosegue : «Non credo invece che per lo
studio degli etnici e toponimi dell’Italia antica possono essere di grande aiuto le
sicure o presunte continuazioni onomastiche medievali e moderne : in questo ca-
so si rischia moltissimo di trattare ‘le ombre come cosa salda’, soprattutto nei ca-
si di illusoria trasparenza designativa...».

.
PRESENTAZIONE DEL SITO WEB WWW.DETIA.IT 653

fatto che normalmente in una narrazione di viaggio la citazione di


etnici o toponimi è più che attesa, quasi scontata, proprio a saldare
questo cerchio altrimenti difettoso, impelle spiegare che dal testo
del poeta augusteo si è ricavata una mappa finalizzata alla verifica
del funzionamento del censimento stesso.
Altrimenti detto, in luogo di una ricerca, all’interno del censi-
mento, fondata sulla casualità si è immaginato di costruire attraver-
so un testo, quindi considerando il datum nella sua humus, un per-
corso di investigazione dal quale si evincessero e la utilità (opinata)
di una ricerca come il DETIA e le linee per un suo miglioramento/
completamento 6.
Spicca, in incipit di Satire I, 5, la giustapposizione, in explicit di
verso, dei toponimi Aricia e Roma, resa, se possibile, ancora più
pungente dalle rispettive determinazioni : magna (Roma) e hospitio
modico (Aricia), che si pone sullo stesso peso del determinante ag-
gettivale per connotazione espressiva (v. 1 «Egressum magna me ac-
cipit Aricia Roma/hospitio modico»).

Roma : «le sue varie parti e i suoi abitanti ricorrono numerose


volte, soprattutto con riferimento a eventi pubblici e politici, in par-
ticolare connessi alle imprese di Augusto [...]. In contesti affini la
città appare [...] con varie allusioni alle guerre civili [...]. Altrove
Roma figura come esempio dello squallore e dell’inferiorità della
vita urbana» 7. In questo luogo è definita magna in contrapposizione
all’hospitio modico di Aricia.
Dalla trattazione del toponimo Roma verranno fornite informa-
zioni relative 1) alla regio di appartenenza (secondo la discriptio au-
gustea in regiones con inclusione delle aree delle Alpes occidentali, di
Sicilia, Sardegna, Corsica e delle Insulae Minores); 2) alla sottoarea :
il Latium; 3) alla pertinenza, concetto discusso più avanti; 4) alla
possibilità di ‘specificare’ di che etnico o toponimo si tratti (anche
per il concetto di specifiche si rimanda oltre); e 5) all’esistenza di va-
rianti formali.
Sarà quindi registrata la eventuale presenza nei principali reper-
tori sulla base degli indici (almeno in questa prima fase di compila-
zione) : occorrono a questo punto due precisazioni, rispettivamente
a) sui motivi che hanno spinto a preferire gli indici al corpo dei sin-
goli repertori; b) su cosa si intenda con repertori ‘principali’, dal mo-
mento che l’esistenza di tali repertori implica necessariamente di re-
pertori ‘secondari’, che nella realtà sono tutt’altro che tali.

6
Indici di nomi propri e comuni e di cose notevoli, anteposti o posposti al
testo, sono reperibili fin dalle prime edizioni di Orazio; dal XIX secolo si è invece
diffusa la tendenza a predisporre, per questi contenuti, compilazioni autonome.
7
Thomas 1996, p. 375-8.

.
654 FRANCESCA DRAGOTTO

Diversamente da quanto ci si aspetterebbe si procederà, nel di-


scutere i vari punti, secondo un ipotetico hysteron proteron, parten-
do dalla precisazione del fatto che sotto l’etichetta di ‘principali’ si è
deciso di riunire quei repertori che hanno come proprio oggetto di
indagine l’intera Italia (antica) o una sua vasta area.
Si tratta, esemplificando, di opere quali :
– Thesaurus Linguae Latinae, Lipsia, 1910 e seg., abbreviato in
ThLL.
– E. Forcellini, F. Perin, Lexicon totius Latinitatis, tom. V-VI,
Patavii 1940, abbreviato in FP.
– Pauly,G. Wissowa, Realenzyklopaedie der klassischen Alter-
tumswissenschaft, Stuttgart 1893 e segg., abbreviato in PWRE.
– H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlino, 1883-1902.
– R. S. Conway, The Italic dialects, Cambridge, 1897.
– W. Pape, P. Benseler, Wörterbuch des griechische Eigennamen,
Braunschweig, 1911, abbreviato in PB.
– E. Seyfried, Die Ethnika des alten Italien, Zurigo, 1951, abbre-
viato in SEY.
– M. Baratta, P. Fraccaro, L. Visintin, Atlante storico, Novara,
1936 e rist. succ., abbreviato in BFV.
– R. S. Conway, J. Whatmough, R. Johnson, The Prae-italic dia-
lects of Italy, Cambridge, 1933, abbreviato in PID.
Ad integrazione dei precedenti sono stati di volta in volta impie-
gati repertori e/o contributi finalizzati ad un ambito di ricerca più
specifico 8 ; repertori che nel database preposto all’immissione, via
via, dei dati spogliati e ricontrollati, si è scelto di raggruppare sotto
un comune iperonimo ‘ALTRI’ (scil. repertori), più consono, a man-
tenere evidente la diversa referenzialità anche a livello sinottico.
Il fatto che l’appartenenza di un repertorio all’uno o all’altro filo-
ne bibliografico non sia da intendersi come tassonomia fondata sul
valore quanto, piuttosto, orientata dall’universale al particolare ri-
sulta di tutta evidenza anche da una selezione provvisoria e ridotta
delle fonti impiegate 9 :

8
«Le raccolte regionali, invece, sono spesso eccellenti (basti pensare ai lavo-
ri di Pieri [Toscana], Alessio [Calabria], Colella [Puglia], Polloni [Romagna], Oli-
vieri [Veneto Lombardia Piemonte], Petracco Sicardi-Caprini [Liguria], Battisti
[Alto Adige], Frau [Friuli], etc.), ma ovviamente non costituiscono ancora un mo-
saico completo»; Silvestri 1982, p. 65 e ss.
9
Lo stesso Silvestri 1982, p. 65 in apertura del suo lavoro sottolineava l’im-
possibilità di «una rassegna degli studi linguistici in questo settore, e sono molti,
dispersi e di assai disuguale valore, distribuiti – per così dire – su un arco che va
dalle curiosità dotte ed episodiche ai severi e reiterati impegni scientifici».

.
PRESENTAZIONE DEL SITO WEB WWW.DETIA.IT 655

– H. Rix, Bausteine zu einer Hydronimie Alt-Italiens, Würzburg,


1950.
– A. Karg, Die Ortsnamen des antiken Venetien und Istrien auf
Grund der Quellen gesammelt und sprachlich geordnet, in Wörter und
Sachen 22 (N.F.IV), 1941-1942, p. 100-128; 166-207.
– E. Manni, Geografia fisica e politica della Sicilia antica, Roma,
1981.
– G. Camodeca, L’ordinamento in Regiones e i vici di Puteoli, Pu-
teoli 3, 1977, p. 62-98.
– G. B. Pellegrini, Toponimi ed etnici nelle lingue dell’Italia anti-
ca, in Popoli e civiltà dell’Italia antica vol. VI, Roma, 1978, p. 79-127.
– A. La Regina, Ricerche sugli insediamenti vestini, in MAU
s.VIII, 13, 1968, p. 361-446.
– A. Solari, Topografia storica dell’Etruria (I e II), Pisa 1918; Pisa,
1920.

Nel caso di autori come Orazio, qui preso in considerazione, o


Virgilio, grandissimo vantaggio si ricaverebbe senz’altro dall’impie-
go di strumenti specifici quali, rispettivamente, l’Enciclopedia Ora-
ziana o e l’Enciclopedia Virgiliana, serbatoi di informazioni filologi-
che ma anche contestuali, ivi comprese le immancabili, ulteriori,
specificazioni bibliografiche.
Resta ora da comprendere cosa possa aver spinto ad accordare
la preferenza agli indici (o nel caso di dizionari l’ordine alfabetico
dei lemmi) piuttosto che alle fonti tout-court : se nel caso di opere
come ThLL o PWRE, di monumentale imponenza, è chiaro che spin-
gere la ricerca alla lettura e catalogazione del corpo del testo avreb-
be senza dubbio comportato ulteriori e incalcolabili rallentamenti
unitamente al rischio di non pervenire ad un completamento del la-
voro, per opere di ‘mole’ inferiore si sarebbe comunque posto il pro-
blema di come comportarsi.
Si consideri il caso in cui, ad esempio, nel corpo del testo in luo-
go del riferimento ad un singolo lemma si fosse rinvenuto un rinvio
ad una voce differente : sarebbe stato preferibile riportare la pagina
(obbligando alla lettura della stessa nel caso di assenza di lemmatiz-
zazione) o, piuttosto, riportare la voce differente con l’indicazione
della pagina (e magari della riga) e col rischio di rendere meno leggi-
bile il risultato dell’interrogazione nel caso di riferimenti incrociati
e/o più rinvii?
Si potrebbe obbiettare che la maggiore specificazione nei dati
non costituisce un fatto deplorevole : anzi tutt’altro. Ma al di là della
fruibilità di risposta che dall’interrogazione di un database ci si
aspetta, nella trattazione dei dati non tutti i repertori si comportano
allo stesso modo e, specie nel caso di testi che non prevedano una si-

.
656 FRANCESCA DRAGOTTO

stemazione alfabetica, il ricorso all’indice si rivela spesso una pre-


messa necessaria.
Quanto, poi, alle informazioni contenute negli indici si è fatta la
scelta di inserire quanto presente senza operare alcuna selezione,
anche laddove ciò abbia comportato, per uno stesso repertorio, l’as-
senza dell’indicazione del tomo di riferimento in un caso ma non in
un altro. Analogamente, laddove del toponimo antico si trova indi-
cata (sempre nell’indice) la corrispondenza con uno moderno, si è
deciso ancora una volta di non intervenire sul dato.
In tal senso la spinta è stata costituita da due fattori diversi : la
scelta di fornire al lettore esattamente quanto si sarebbe trovato in-
nanzi sfogliando l’indice del volume (si pensi all’indisponibilità di
un volume, ad es.) ed esimerlo dalla necessità di ritornare all’indice
stesso per verificare, magari, la presenza di elementi omessi dal cen-
simento ma per lui di qualche interesse. Va ribadito che si tratta di
una scelta, controvertibile, pertanto, se necessario.
L’interrogazione diretta del database, cui punta quanto finora
esplicitato, sarà ulteriormente preceduta dalla trattazione di un
aspetto delicato e complesso, forse il più complesso almeno del
censimento : quello relativo alla categoria cosiddetta ‘pertinenza’,
caratteristica linguistica connessa con la possibilità di pervenire
ad una lessicografia dei toponimi e degli etnici, così come l’ha im-
maginata Domenico Silvestri, ideatore del DETIA, che sulla que-
stione lessicografica si era già espresso più di un decennio prima
e che, recentemente (2000), ha rivalutato l’ipotesi di «una classifi-
cazione di possibili istanze etnotoponomastiche (qui riproposta in
versione leggermente modificata), che contempla otto (o, più esat-
tamente, dieci) possibilità, le quali fondamentalmente chiamano
in causa la pertinenza (eco-) o la non pertinenza (geo-) del dato
antropico, secondo una scala che va dalle categorie primarie dei
geotoponimi (acque, rilievi, arealità varie) e degli ecotoponimi
(centri abitati e luoghi connessi), con i corrispondenti geoetnonimi
ed ecotoponimi, alle categorie secondarie dei geoecoetnotoponimi
(nomi di territori direttamente connessi con un geoetnonimo o con
un ecotoponimo, nei quali la referenza al luogo avviene mediante
richiamo alla pertinenza antropica degli abitanti) e dei geoecoto-
poetnonimi (nomi di persone, ma anche di non-persone, cioè enti-
tà varie omologate a persone, direttamente connesse con un geoto-
ponimo o con un ecotoponimo, nei quali la referenza a persone e/o
entità varie assimilate avviene mediante richiamo alla pertinenza
non antropica dei luoghi). Più marginali, ma ugualmente motiva-
te, restano le categorie di geo- ed ecoantroponimi (nomi propri di
singole persone [antrop-] direttamente dipendenti da una delle
condizioni precedenti) e di geo- ed ecoantroponimi (nomi di divini-

.
PRESENTAZIONE DEL SITO WEB WWW.DETIA.IT 657

tà e forme divine) [teo-] direttamente dipendenti da una delle con-


dizioni precedenti)»10.
Questi i parametri per determinare la categoria di pertinenza,
completata, naturalmente, dall’indicazione delle specifiche del lem-
ma.
Esemplificando, l’interrogazione del censimento propedeutico
al DETIA per un toponimo come Aricia offrirebbe una risposta mini-
ma del tipo di quella riportata in appendice 1 (vedi).
È evidente (ma meno sorprendente inserendosi nell’ottica del
censimento come work in progress)11 la lacunosità di un simile risul-
tato, cui si potrebbe sopperire solo accogliendo i dati ricavabili dallo
spoglio di ulteriori fonti orientate, si potrebbe presumere, alla trat-
tazione di dati etnotoponomastici sempre più puntuali. D’altra parte
se fosse stato presente nel database non si sarebbe potuto scegliere
lemma peggiore, per ovvi motivi, di Roma, per far risaltare i com-
promessi e le difficoltà sottese al censimento12.
Questo stesso dato si potrebbe invece leggere come una rottura
con l’inveterata, ma non per questo meno ovvia, gerarchia alla base
della tendenza a trattare certi dati come ‘poco rilevanti’ : ingabbiare
i repertori ad uso del censimento potrebbe allora equivalere alla
scelta di trattare ogni dato con la stessa cura e meticolosità (scelta,
ancora una volta, non necessariamente condivisibile, ma su cui po-
trebbe valere la pena cercare un confronto).
In questo senso, allora, la magna urbs varrebbe esattamente
quanto
– Aricia, che, a circa 16 miglia da Roma lungo la via Appia, coin-
cide, lo si è visto in apertura, con la prima sosta del viaggio di Ora-
zio e dei suoi amici verso Brundisium : di qui la comitiva muoverà
alla volta di

10
Cf. Silvestri 2000, p. 24-25; nonostante i quasi vent’anni che intercorrono,
vale la pena di gettare uno sguardo anche a Silvestri 1982, p. 70-2 che, a proposi-
to del «rapporto tra categorie etnotoponomastiche dell’Italia antica e specifici
campi designativi, importante per le inferenze traibili dall’esame congiunto di
fattori onomasiologici (in quanto chiaramente riconoscibili) e dati formali (in
quanto compiutamente analizzabili)», denunciava con disagio la mancanza di
opere d’insieme sulle categorie onomastiche che normalmente si raccolgono sot-
to l’etichetta generale di toponimi : idronimi, oronimi, econimi e, infine, una
quarta categoria comprendente nomi per così dire più generici (insulae, campi,
regiones...). Ancora più incerta è la situazione degli etnici.
11
È affermato anche nell’Introduzione alle tesi di laurea aventi per oggetto,
come si è detto, singole Regiones, a riprova del fatto che il lavoro in questo ambi-
to non vada inteso come una ricerca conclusa, bensì come un’indagine aperta sus-
cettibile di continuo arricchimento.
12
Solo per rimanere ad Orazio si pensi che Roma, le sue parti, i suoi abitan-
ti, i suoi eventi pubblici o privati compaiono (con ampio spettro di riferimenti) in
tutte le opere.

.
658 FRANCESCA DRAGOTTO

– Forum Appi : «la seconda tappa nel viaggio di Orazio lungo la via
Appia, al miglio 43 da Roma. Insediamento denominato dallo stesso
costruttore della via, Appio Claudio Cieco, si pensa generalmente che
risalga all’originario progetto del 312 a.C., comunque si vogliano in-
tendere le fasi di costruzione dell’Appia. Identificato presso l’Appia al
km 72,800 (attuale Borgo Faiti)13, e più precisamente al di là del-
l’Osteria di Frappio, non ne restano che scarse tracce»14. Di qui, si legge
nell’Enciclopedia Oraziana, proseguendo sempre lungo la via Appia,
per l’esattezza lungo un canale che seguiva il percorso della via (la tra-
versata doveva supplire all’impossibilità di proseguire lungo la via ter-
restre a causa proprio delle paludi), il poeta si spinse verso il santuario
di Feronia (Feroniae lucus) distante 3 miglia dalla punta di Leano.
Ci si potrebbe chiedere se non valga la pena di produrre consi-
derazioni almeno (perché desunte da una singola fonte) analoghe
per Anxur, Fundi, Formiae (Mamurrarum urbs), Sinuessa, Pons
Campanus, Capua, Caudium, Osci, Beneventum, Apulia, Trivicum,
Canusa, Rubi, Barium, Gnathia Brundisium nonchè per l’oppidu-
lum15 innominato per via della struttura metrica non conforme all’e-
sametro. Costretti, purtroppo, a rinviare all’interrogazione del data-
base per visionare le informazioni contenute nel censimento e alla
discussione per fare il punto su quali informazioni ritenere primarie
per un prossimo inserimento nella banca-dati, occorrerà ora avan-
zare una serie di note intimamente collegate all’opera di informatiz-
zazione del DETIA attualmente in corso.
Finora si è parlato di questa versione informatizzata solo nei
termini di una riproposizione-riedizione del lavoro di ricerca svol-
to : nulla si è però detto delle potenzialità peculiari di questo mezzo
e di quanto potrebbero produrre nel caso specifico del DETIA, che
di un mezzo come la rete potrebbe servirsi per diventare in acto e
non solo in nomine il Thesaurus (onomastico) delle lingue italiche.
Fissata un’architettura che dal particolare, il censimento basato

Forappio, a 64 km da Roma, era la stazione di partenza di un servizio di


13

battelli di collegamento, attraverso le paludi pontine, con il Lucus Feroniae, un


boschetto sacro nei pressi (circa tre miglia) di Anxur, l’attuale Terracina.
14
Enc. Orat., I, p. 497
15
Si confronti Enc. Orat., I, p. 398-402 a proposito dell’identificazione del-
l’oppidulum quod versu dicere non est ma che certamente doveva essere ben iden-
tificabile per i lettori di Orazio, data la sapiente profusione di elementi quali la
distanza dalla vicina Trivici villa, la bontà del pane, la scarsezza d’acqua, l’infor-
mazione relativa alla tappa successiva. Varie sono state le interpretazioni pro-
poste per questo locus definito per questo dal Bentley multum vexatum. Tra le va-
rie interpretazioni, basate ora sulla struttura formale del toponimo o dell’aggetti-
vo da questo derivato, ora sulla congruenza topografica con le altre località
citate, quelle che hanno goduto di maggior credito sono state Aequum Tuticum
tra gli studiosi antichi e Ausculum tra i moderni.

.
PRESENTAZIONE DEL SITO WEB WWW.DETIA.IT 659

sui repertori, muova, passando attraverso il progetto di bibliografia


generale, verso l’universale, ovvero testi e quant’altro possa risultare
utile strumento d’indagine, una risorsa informatica così pensata po-
trebbe, primariamente, divenire un organizzatore di tutto il materia-
le preesistente : sia di quello in rete, più facile da raggiungere, ma
talvolta poco accurato (ma non per questo privo di spunti originali)
o malamente organizzato, sia di quello sedimentatosi nella biblio-
grafia e (purtroppo) nei computer quando non negli armadi di varie
istituzioni.
È tanto palese che un lavoro di tale portata non possa assoluta-
mente fare a meno di investimenti umani e economici, che non si
menzionerà neppure l’impossibilità di consegnare il DETIA ad una
piena, adulta, esistenza in mancanza di razionalizzazione.
Si approfitterà invece di quest’occasione, che vede specialisti di
vari settori delle scienze dell’antichità riuniti sotto l’egida della pre-
senza del dato onomastico in ciascuna delle proprie discipline, per
lanciare un invito alla condivisione del proprio materiale affinché
nel mezzo informatico possa trovare una insospettabile cassa di ri-
sonanza e uno strumento di diffusione.
Lo scopo dell’informatizzazione del censimento va ben oltre, in-
fatti, la visibilità dello stesso, nell’istante in cui sia chiaro che non si
guarda all’informatica come ad un diamesico altro, bensì come ad un
inesauribile archivio nel quale possa trovare accoglimento materiale
di natura disparata : storico, filologico, epigrafico, numismatico, ar-
cheologico, topografico, linguistico, esattamente come si dovrebbe
convenire al DETIA, in un’ottica necessariamente interdisciplinare.
L’informatica, però, da ausilio può, a propria volta, divenire fon-
te di inconvenienti : è il caso dell’impiego di caratteri greci (ricor-
renti frequentemente nell’etnotoponomastica soprattutto di certe re-
giones) all’interno di tabelle di database in caratteri latini. Se, infatti,
all’utente è dato scegliere, per l’archiviazione dei propri dati, il pro-
gramma più adatto alle proprie esigenze, scelta che nel caso del da-
tabase indirizzerebbe certamente a favore di un software che con-
senta l’uso di alfabeti diversi per la registrazione di uno stesso re-
cord, nel caso di un database destinato all’interrogazione on-line la
scelta del software si fa pressoché obbligata (almeno stando all’espe-
rienza di chi scrive), finendo per ricadere su un pacchetto applicati-
vo (Microsoft Access) che, tra le centinaia di opportunità, non sup-
porta però quella di utilizzare due alfabeti diversi neppure in una
stessa tabella (non solo, quindi, nello stesso record)16.

16
La scelta di impiegare questo software si è resa necessaria per aver deciso
di impiegare spazio web acquistato presso un Internet Provider (sottostando,
pertanto, ai requisiti tecnici messi a disposizione dal fornitore, ivi compresi quel-
li relativi all’interrogazione on line di database) e non quello messo a disposizione

.
660 FRANCESCA DRAGOTTO

Insomma, in presenza di dati scritti in caratteri greci è necessa-


rio ricorrere ad una traslitterazione, implicante rischi di rese ar-
bitrarie a tutti noti (es. la resa di ‘eta’, di vocali con spirito o con sot-
toscrizione di ’iota’ o accento circonflesso...) oppure rinunciare la-
sciando come unica traccia della forma greca una segnalazione
arbitraria (es. SI nel campo ‘greco’, qualora il lemma sia attestato in
due diverse varietà linguistiche, o ‘solo greco’ in casi di attestazione
solo in questa lingua).
Così facendo però la lista delle varianti di molti lemmi rischia di
essere pesantemente depauperata e il rischio di rimpiangere il mezzo
cartaceo si insidia. Non è completamente da escludersi che, investen-
do somme adeguate, si possa trovare un software e un tecnico infor-
matico cui affidare gestione e implementazione del database in gra-
do, magari, di consentire un tipo di interrogazione (query) in rete che
preveda compresenza di più alfabeti, anche per uno stesso lemma.
A Brindisi, tratto conclusivo della via Appia, si conclude anche il
racconto del viaggio oraziano, «Brundisium longae finis chartaeque
viaeque est» (v. 104).
Lungi dal considerarsi concluso è, come si è visto, il censimento
di etnici e toponimi dell’Italia antica, soprattutto nella prospettiva
della effettiva costituzione del Thesaurus che, in fieri, raccolga e rac-
cordi fonti e ogni genere di materiale utile alla ricerca.

Francesca DRAGOTTO

APPENDICE 1
LA RICERCA NEL CENSIMENTO : ARICIA

Lemma Area Pertinenza Repertori

ARICIA I | Latium ET | oppidum BFV 18 Aa, cart.


PWRE II, 822
PB p. 126
THLL II, 562-563, 63-11
L-S p. 160
Nissen II, p. 591
Conway p. 33A
Altri
Besnier, p. 79; Diz. Ep. I,
p. 664-665

dagli atenei coinvolti nella ricerca, al fine di non marcare l’indirizzo della URL
del DETIA (es. www.uniroma2.it/detia).

.
PRESENTAZIONE DEL SITO WEB WWW.DETIA.IT 661

ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Enciclopedia oraziana = Orazio. Enciclopedia oraziana, Roma, 1996.


Q. Orazio Flacco = Q. Orazio Flacco, Sermones, libri I-II, ed. F. Klingner, Li-
psia, 1959.
Thomas 1996 = R. F. Thomas Premessa a Località e popolazioni in Orazio.
Enciclopedia oraziana, vol. I, p. 375-8, Roma, 1996.
Silvestri 1982 = D. Silvestri, Identificazione e interpretazione linguistiche di et-
nici e toponimi dell’Italia antica, in AIWN 4, 1982, p. 65-74.
Silvestri 1985 = D. Silvestri, Etnici e toponimi di area osca : problemi di strati-
grafia e di storia onomastica, in Lingua e cultura degli Oschi a cura di
E. Campanile, Pisa, 1985, p. 67-87.
Silvestri 1986 = D. Silvestri, Il progetto DETIA e i dati etnotoponomastici della
Campania, in Lineamenti di storia linguistica della Campania antica, in
AIWN, Quaderno n. 1 series minor, Napoli, 1986, p. 7-14.
Silvestri 2000 = D. Silvestri, La toponomastica come fonte di conoscenze prei-
storiche e protostoriche, in Toponomastica calabrese, a cura di J. Trum-
per, A. Mendicino e M. Maddalon, Roma, 2000, p. 23-45.

.
.
RIASSUNTI

Maria Giulia AMADASI GUZZO, Note di toponomastica degli insediamenti fenici in


Italia, p. 7-24.

Il contributo prende in esame in maniera specifica i toponimi di pertinenza


linguistica semitica nord-occidentale attestati dalle iscrizioni e dalle legende mo-
netali di provenienza fenicia occidentale (punica). Si tratta di nomi composti con
elementi caratteristici del paesaggio che i primi coloni si sono trovati di fronte (to-
ponimi formati con ‘Y «isola» + il nome di un tipo di animale; toponimi firmati
con R’Š «capo», riferentesi alla posizione dell’insediamento. Frequenti sono i no-
mi del tipo «luogo nuovo» o «città nuova», in rapporto con un verosimile insedia-
mento di provenienza (il nome «Città nuova», QRTHDŠT, è quello dato a Cartagi-
˙
ne, ma anche ad altri centri dell’Occidente, da Cipro alla Sardegna). Altri nomi di
luogo esaminati presentano problemi : un accenno è riservato al problema del no-
me eventualmente fenicio di Pitecussa, infine si passano rapidamente in rassegna
altri toponimi a volte problematici, come quello (o quelli) fenicio di Tharros, i no-
mi antichi di Cagliari, S. Antioco, Bitia, Motya, Erice, Palermo e Soluto.

Corinne BONNET, Osservazioni comparative sull’onomastica fenicio-punica della


Sicilia e della Sardegna, p. 25-41.

Lo studio propone una disamina dell’antroponimia documentata nel corpus


epigrafico fenicio e punico della Sardegna e della Sicilia. L’indagine è volta a
chiarire i legami che tali antroponimi consentono di fare con le varie comunità
presenti nelle due isole o in contatto con esse : Fenici, Punici, indigeni, Greci, po-
polazioni africane (libiche). Si sottolinea la ricchezza degli elementi teofori così
attestati in eco ad un panteon molto più diversificato e stratificato di quanto la-
sciano intravedere le epigrafi pubbliche. Notevole appare la presenza di antiche
divinità cananee ancora venerate nei contesti coloniali del I millennio a.C. In fin
dei conti l’esame della documentazione antroponimica si rivela al contempo pro-
blematico (per la scarsezza di documenti) e proficuo in quanto rende più com-
plesso il paesaggio culturale e devozionale delle aree considerate.

Federica CORDANO, Onomastica personale e geografia nella Sicilia greca, p. 43-17.

Nella Sicilia greca è molto evidente il rapporto fra toponomastica e onoma-


stica personale. Si possono distinguere alcune serie di antroponimi collegati con

.
664 RIASSUNTI

il nome dell’isola o con toponimi particolari, altre serie formate sul tema di «stra-
niero» ed infine gli antroponimi che indicano, nelle singole città della Sicilia, un
rapporto con la madrepatria greca.

Luciano AGOSTINIANI, Formule onomastiche binomie nelle epigrafi anelleniche di


Sicilia, p. 49-57.

L’articolo ha come oggetto le attestazioni di nomi propri di persona nell’epi-


grafia non greca di Sicilia, e che perciò possono essere ascritte all’una o all’altra
delle lingue indigene che in Sicilia sono documentate. L’analisi verte sia sulla
qualificazione delle basi onomastiche, sia sulla struttura delle formule (onoma-
stiche) in cui alcune di queste compaiono. Il tutto porta ad identificare, da una
parte, un nucleo di evidenze, che rimanda pressoché automaticamente all’am-
biente linguistico italico della Penisola; dall’altro, una serie di dati assai meno
omogenea che si cerca di qualificare tanto in sé quanto in rapporto al suddetto
nucleo di evidenze.

Domenico SILVESTRI, Le metamorfosi dell’acqua : idronimi e istanze di designazio-


ne idronimica nell’Italia antica, p. 61-72.

Profondità, colore, lentezza, trasparenza, copiosità, brevità, orientamento,


compresenza sono alcune delle «istanze di designazione» ricostruibili per gli
idronimi dell’Italia antica con riferimento alle loro condizioni «naturali» (mentre
sono state volutamente trascurate le implicazioni culturali). Esse rappresentano
nelle loro risultanze prima linguistiche e poi onomastiche alcune delle possibili
«metamorfosi dell’acqua», elemento notoriamente instabile ed insieme impre-
scindibile per la vita e la conoscenza umana di ogni tempo e di ogni paese.

Aldo Luigi PROSDOCIMI, Note sull’onomastica di Roma e dell’Italia antica, p. 73-


151.

In queste Note vengono ripresi alcuni aspetti marginali e/o marginalizzati ri-
spetto a temi considerati centrali, quali genesi, consistenza socioculturale, evolu-
zione della formula onomastica nell’Italia centrale (Etruschi, Romani e Latini,
Italici), in sé e in rapporto ad altre aree, specialmente del nord Italia (in partico-
lare il celtico ‘leponzio’ ed il venetico). Tra questi aspetti vi sono temi che riguar-
dano la morfofonologia, come i nomi maschili in -ă (-ā < *-eH2), e la semicità di
nomi maschili tipo atta, *appa, *papa, tata, *mama rispetto alla vulgata che li ri-
tiene ‘Lallwörter’ o termini di ambito familiare; di questi nomi si rivendica la se-
micità istituzionale di alto livello indipendentemente dalla loro origine. In colle-
gamento con termini tipo Atta/atta, fra onomastica e terminologia della parente-
la, vengono trattati nomi ‘parlanti’ come Ferter e Poplios. Altro tema è la
morfologia in -il- dei nomi tipo Messalla, Hispallus e dei gentilizi in –ilius. In par-
ticolare si propone una interpretazione di Hostius Hostilius, rispetto a Romulus

.
RIASSUNTI 665

quale possibile duplicazione di identità e a Tullus Hostilius quale possibile se-


quenzialità nella regalità di Roma arcaica. Si accenna alla problematica relativa
al nome Romulus in rapporto a Roma, fra romanità ed etruschità.

Patrizia DE BERNARDO STEMPEL, La ricostruzione del celtico d’Italia sulla base del-
l’onomastica antica, p. 153-192.

Si analizzano toponimi, etnonimi, teonimi e idionimi dell’Italia antica, defi-


nendone i parametri fonetici, strutturali e lessicali che li individuano come celti-
ci, le aree di attestazione, più ampie di quanto si creda, le isoglosse specifiche del
territorio italiano e i diversi strati di celticità coesistenti. La celticità che ne tra-
spare è variegata e a tratti molto arcaica. I tipi sono per lo meno quattro : all’ono-
mastica gallica «classica», con *ks e *nd preservati, p < *k w e l’accento sulla pe-
nultima, se ne oppone una con accento sull’antepenultima e *p e *k w parzial-
mente o totalmente preservati, propria del celta primigenio etichettato
«hercyno-sequano-ticinese». Cronologicamente intermedi sono il «celta ligure» o
«celtoligure», oggi più trasparente e di cui si individua un fascio di isoglosse, e il
tipo cosiddetto «lepontico», anch’esso con vari tratti distintivi. E’ notevole che le
innovazioni fonetiche di questi ultimi due tipi, e dell’area occidentale in genere,
abbiano un riscontro nella Penisola Iberica. La geminazione della consonante
posttonica, che in Italia ricorre in varie zone e periodi, si incontrerà poi in Ger-
mania associata prevalentemente al periodo gallico.
Di passo si propongono modifiche alle interpretazioni delle iscrizioni di
Briona, Carcegna, Oderzo, Prestino e Vercelli.

Jean HADAS-LEBEL, Anthroponymes toponymiques et toponymes anthropony-


miques : liens entre lieux et personnes dans l’onomastique étrusque, p. 195-217.

L’onomastique étrusque comporte deux grands groupes d’anthroponymes


présentant des rapports avec des toponymes. Le plus vaste est le groupe des «an-
throponymes toponymiques»; il comprend un nombre important de gentilices
dérivés de toponymes majoritairement étrusques ou italiques. L’autre se
compose de gentilices de type patronymique pour la plupart en -na, formellement
identiques, ou presque, à des toponymes. Notre étude aura permis de déterminer
que les seuls anthroponymes toponymiques sûrs et véritables de l’étrusque sont
les gentilices en -te / -ue. En effet, ils sont les seuls à reposer sur des formations
ethniques proprement étrusques. Les noms en -ane / -ine, en revanche, ne
peuvent guère revendiquer une telle dénomination, dans la mesure où, s’il est vrai
qu’ils servaient d’anthroponymes en étrusque, il est impossible de prouver qu’ils
avaient aussi une valeur toponymique dans cette langue. En ce qui concerne les
«toponymes anthroponymiques», seuls certains patelins ou colonies méritent ce
nom, et non les grandes cités. Pour ces dernières, l’hypothèse d’une homonymie
entre toponymes et gentilices peut être envisagée.

.
666 RIASSUNTI

Paolo POCCETTI, Antichi problemi e nuovi dati : rapporti tra teonimi e antroponimi
nell’Italia antica, p. 219-248.

Il rapporto tra antroponimi e teonimi pone nelle culture dell’Italia antica sia
sul versante linguistico sia sul versante religioso problemi che non sono sempre
risolvibili in modo unidirezionale. Due nuovi dati, quello del prenome osco Louk
( )ti(o)s, da confrontarsi con Lucetius attestato come epiclesi di Giove, e quello
del prenome e teonimo messapico Toutor > Taotor offrono motivi per riconside-
rare a maglia più larga la classe dei ‘teoforici’ e riconsiderare le relazioni tra i due
settori dell’onomastica nelle diverse lingue dell’Italia antica.

Heikki SOLIN, Sulla nascita del cognome a Roma, p. 251-293.

Il cognome è la più recente delle componenti del nome romano. Non si può
dire con sicurezza quando i cognomi siano entrati in uso, ma fin dall’inizio del
periodo repubblicano erano stati, secondo la tradizione, per secoli una prerogati-
va dell’aristocrazia romana. Le liste dei Fasti Capitolini, la nostra fonte principale
per i primi secoli della Repubblica, registrano i cognomi fin dall’inizio. Se questi
fasti sono comunemente ritenuti in linea di massima attendibili, particolari diffi-
coltà sono invece legate con i cognomi ascritti ai consoli e degli altri magistrati
del V e IV secolo. La maggioranza degli studiosi afferma che i loro cognomi siano
aggiunte posteriori. La nuova analisi condotta nel presente contributo ha dato
come risultato che una buona parte di questi cognomi sono autentici, mentre al-
tri sono interpolazioni e aggiunte posteriori. Il primo esempio di un cognome che
appare in una fonte contemporanea, è Scapola del pontefice massimo P. Cornelio
il cui sarcofago sembra databile alla fine del IV secolo. Quindi, almeno dal IV se-
colo i cognomi potevano essere in uso nelle famiglie patrizie, più tardi anche in
quelle tra la nobiltà plebea. Si discute poi la cronologia dell’introduzione dei co-
gnomi nelle liste magistratuali : sembra che una buona parte vi sia stata fin dall’i-
nizio. Nella seconda parte si analizzano certi tipi di cognomi; infine si dimostra
che certi cognomi ascritti ai consoli dei primi secoli della repubblica e poi scom-
parsi dall’onomastica romana, non possono essere invenzioni degli annalisti.

Filippo MOTTA, Tipologie dell’onomastica personale celtica nell’Italia antica,


p. 295-318.

La relazione passa in rassegna le diverse strategie di identificazione persona-


le tramite onomastica (formule) ricavabili dalle iscrizioni leponzie e galliche d’I-
talia in confronto con quelle conosciute per altre aree della celticità antica e per
metterne in risalto la sostanziale omogeneità con quelle. Vari esempi vengono
addotti per mostrare che talune formule tradizionalmente considerate inspiega-
bili o problematiche trovano la loro delucidazione nel carattere non istituzionale
della formula stessa e nella grande libertà nei mezzi strutturali e formali per
esprimerla, e ciò in parallelo a quanto si registra nella documentazione epigrafi-
ca irlandese medievale (iscrizioni ogamiche).

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RIASSUNTI 667

Dopo aver analizzato i principali lessemi e formanti impiegati nell’onomasti-


ca celtica dell’Italia antica (per mostrare anche qui come non vi siano differenze
sostanziali con la celticità transalpina e di Spagna) e aver mostrato come anche
l’onomastica leponzia – contrariamente all’opinione del Lejeune – si riveli sempre
più di matrice celtica, viene mostrato come anche nell’Italia antica celtica sia sta-
ta in atto quella tipica procedura della Namengebung indoeuropea (indiano, gre-
co, latino, osco, germanico) consistente nell’allitterazione onomastica fra i mem-
bri di una genealogia.

Emmanuel DUPRAZ, Hypothèses sur les origines du système gentilice en pays nord-
osque, p. 319-339.

Le système gentilice tel qu’il est attesté dans les inscriptions osques et latines
du pays nord-osque entre le IIIe et le Ier siècle avant notre ère paraît être récent. Il
semble devoir tant au système attesté dans les autres régions oscophones – ab-
sence de mention correspondant à F(ilius), suffixe de gentilice *-idio- – qu’au sys-
tème latin – abréviation systématique et régulière des prénoms. L’emploi du suf-
fixe de gentilice *-yo- est commun à la fois au nord-osque, aux autres régions os-
cophones et au latin. Sont examinés en particulier des gentilices à suffixe de
dérivation zéro, anomalie qui peut renvoyer à la constitution récente du système
gentilice. Ces gentilices sont d’une part des gentilices féminins, peu nombreux,
correspondant à des formes de masculin en *-yo-, d’autre part des gentilices mas-
culins et féminins sur base onomatopéique alphathématique.

Fabrice POLI, L’anthroponymie osque : données quantitatives et qualitatives posté-


rieures à l’ouvrage de Michel Lejeune (1976), p. 341-353.

Cette contribution, qui prend pour point de départ l’étude du regretté Michel
Lejeune (L’Anthroponymie osque, Paris, 1976), se propose de faire le point – de
manière quantitative et qualitative – sur les données anthroponymiques osques
ultérieures au corpus dont disposait le savant français. Compte tenu en effet des
années qui se sont écoulées depuis la publication de son ouvrage et eu égard à
l’accroissement notable du corpus épigraphique durant cette même période, il
semblait intéressant de se demander si les schémas anthroponymiques présentés
par Michel Lejeune avaient été confirmés ou infirmés par les découvertes épi-
graphiques postérieures à sa synthèse. Notre étude montrera que les cadres qu’il
a dressés demeurent à ce jour d’une parfaite validité.

Anna MARINETTI, Terminologia istituzionale e formula onomastica in venetico,


p. 357-374.

Nel venetico sono presenti nomi altamente motivati dal punto di vista della
base lessicale (composti, possibili etnici, basi con potenziale valore istituzionale,
etc.), cui fino ad ora è stata attribuita funzione onomastica. Nei casi ove questi

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668 RIASSUNTI

compaiano in formule onomastiche ‘anomale’ rispetto alla formula standard a


due membri (come le formule a tre o più membri), si formula l’ipotesi che si trat-
ti non di semplici nomi propri, ma di termini indicanti relazioni sociali, quindi
istituzionalmente significativi. A titolo di esempio, si propone l’analisi di alcune
iscrizioni, in cui tale prospettiva di lavoro (riconoscimento di funzione non ono-
mastica ma di designazione istituzionale) offre la soluzione ai problemi di inter-
pretazione posti dal testo.

Clara BERRENDONNER, Se faire un nom : l’acquisition de la citoyenneté et ses effets


onomastiques en Étrurie, p. 375-406.

L’existence de gentilices morphostructurellement identiques à des noms in-


dividuels, les Vornamengentilizia, est une particularité du système onomastique
étrusque. H. Rix a vu dans ces nomina la trace d’une acquisition massive de la ci-
toyenneté par des dépendants au statut différent des esclaves. E. Benelli y a pour
sa part reconnu le résultat d’un processus de formation des gentilices spécifique
aux régions de Chiusi et de Pérouse. L’analyse du corpus épigraphique étrusque
montre que 10% des individus connus à l’époque archaïque portaient un Vor-
namengentile, pour 30% à l’époque hellénistique. Par ailleurs, l’augmentation du
nombre de Vornamengentilizia à partir du IIIe siècle av. J.-C. correspond à un ac-
croissement des noms formés sur des noms individuels italiques. Les Vornamen-
gentilizia doivent par conséquent signaler une modification dans la composition
de la société étrusque. La comparaison avec l’onomastique des lautni (les affran-
chis) incite à identifier les porteurs de Vornamengentilizia avec des descendants
d’affranchis émancipés au tout début de l’époque hellénistique.

Frédérique BIVILLE, Manifestations du bilinguisme gréco-latin dans l’onomastique


de l’Italie antique, p. 409-423.

Le nom propre est inscrit dans l’Histoire, il appartient à une civilisation


donnée et à la langue dans laquelle elle s’exprime. N’ayant pas son équivalent
dans les autres langues, il doit nécessairement être emprunté et transposé. Par
la masse lexicale qu’ils représentent et l’apport massif d’informations qu’ils véhi-
culent, les noms propres sont donc riches d’enseignements pour l’étude des
contacts historiques et linguistiques entre les peuples de l’Italie antique et du
monde romain. Loin d’être des éléments figés, étrangers au système de la langue
emprunteuse, ils s’intègrent, à des degrés divers selon la classe à laquelle ils ap-
partiennent et le degré de notoriété de leur référent, dans les structures de la
langue d’accueil, où ils sont susceptibles d’évoluer, d’être réinterprétés, et de gé-
nérer des micro-systèmes lexicaux spécifiques. Envisagés dans la perspective du
bilinguisme, les noms propres, déjà riches d’informations en eux-mêmes, ont
beaucoup à nous apprendre sur l’histoire des langues et des civilisations qu’ils
contribuent à pérenniser.

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RIASSUNTI 669

Maria Letizia LAZZARINI, Interazioni onomastiche nel Bruzio ionico, p. 425-431.

Traendo spunto dal testo della defixio incisa su una tabella plumbea recente-
mente rinvenuta in una necropoli dell’antica Petelia (attuale Strongoli, presso
Crotone) e databile verso la fine del IV sec. d. C., vengono esaminati una serie di
nomi osci, che nella loro declinazione seguono talora l’uso greco, talaltra quello
italico, fornendo ulteriori testimonianze di interazione tra la lingua dei Greci e
quella dei Brettii in quella zona.

Jürgen UNTERMANN, La latinizzazione di toponimi indigeni nell’Italia antica,


p. 433-441.

Dopo qualche osservazione metodologica basata su esempi italo-tedeschi at-


tuali e greco-latini dell’antichità (Carthago/Karchedon e Sagunto/Zakantha) ven-
gono descritti i diversi procedimenti mediante i quali i Romani integrarono i to-
ponimi dei loro vicini italici : etruschi, osco-umbri, veneti. Infine uno sguardo è
dato al trattamento dei nomi greci nell’Italia presso gli autori romani.

Stéphane BOURDIN et Sandrine CROUZET, Des Italiens à Carthage? Réflexions à


partir de quelques inscriptions puniques de Carthage, p. 443-494.

Le développement d’une série d’inscriptions des IVe-IIe s. av. J.-C. provenant


du tophet ou des nécropoles de Carthage permet de restituer des noms (Metellus,
Accius, Pacuvius...) qui laissent supposer une origine italienne. Plus précisément,
ces noms trouvent des parallèles dans les stocks onomastiques osque, étrusque,
falisque etc. et renvoient d’une façon générale à l’Italie centrale et méridionale.
Cette présence d’Italiens dans la Carthage punique s’explique par la pratique du
mercenariat, qui a pu déboucher sur l’installation définitive des mercenaires, et
surtout par la présence de commerçants et d’artisans italiens. L’adoption du sys-
tème onomastique punique, enfin, témoigne de l’insertion durable de ces Italiens
dans la cité punique.

Helmut RIX, Le relazioni tra onomastica e lessico nelle lingue antiche dell’Italia
centrale, p. 497-506.

L’A. intende studiare i rapporti tra onomastica e lessico nelle lingue del-
l’Italia antica, soffermandosi sull’etrusco, il latino e le lingue sabelliche. Dopo
qualche considerazione teorica preliminare, l’A. studia la categoria dei cognomi-
na, meglio documentata, e che trae la sua origine dal lessico; passa poi in esame i
prenomi, molto meno numerosi in queste lingue, che hanno adottato il sistema
onomastico gentilizio, per alcuni dei quali, però, si possono proporre etimologie
convincenti. Concludono l’articolo alcune considerazioni di toponimia e idroni-
mia italica.

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670 RIASSUNTI

Francesco RONCALLI, Numerali nell’antroponimia etrusca, p. 507-513.

Lo studio si propone una ricognizione del patrimonio onomastico etrusco


mirata alla eventuale individuazione di antroponimi formati sulla base dei nume-
rali, secondo un costume largamente attestato presso le altre culture dell’Italia
antica. Per tale ricerca, qualità e quantità delle attestazioni offerte dal distretto
perugino e chiusino appaiono particolarmente interessanti.

Olli SALOMIES, Nomi personali derivati da numerali a Roma, p. 515-531.

Questo articolo comincia con uno sguardo sullo stato degli studi sui prenomi
numerali romani ed italici; i punti di riferimento sono il mio trattamento del te-
ma in Die roemischen Vornamen (1987) e l’articolo di P. Poccetti in Annali del Di-
partimento di Studi del Mondo Classico del 1995. Segue uno studio sull’uso dei co-
gnomi numerali (Primus, Secundus, ecc.), soprattutto nel primo periodo dell’uso
dei cognomi personali (fine I sec. a.C.-primi decenni del I sec. d.C.). Vengono sot-
tolineati soprattutto i sequenti fatti : (a) i cognomi numerali non sono mai stati
molto popolari; (b) tra i cognomi numerali si osserva una netta differenza nella
popolarità e nella valutazione (Secundus è un cognome più stimato e favorito che
Primus, ecc.); (c) per indicare l’ordine di nascita dei loro figli i romani hanno
fauuto uso non solo di cognomi numerali ma anche di altri cognomi (Maximus,
ecc.).

Carlo DE SIMONE, L’onomastica personale della Tabula Cortonensis, p. 535-550.

Vengono esaminate le designazioni personali presenti nel testo etrusco della


Tabula Cortonensis nella prospettiva sincronica e diacronica delle loro strutture
costitutive, nella loro organizzazione all’interno delle liste che compongono il te-
sto e in rapporto alle specifiche funzioni designative di ciascuna di esse. Una par-
ticolare focalizzazione viene riservata ad alcuni nomi (come per esempio Cusu)
che suscitano maggior interesse per il loro rilievo all’interno del testo e per le pro-
blematiche linguistiche e grafiche ad essi connesse.

Fabio STOK, Onomastica / toponomastica virgiliana, p. 551-561.

Un certo numero di personaggi dell’Eneide di Virgilio portano nomi di fiumi,


monti, località e simili. La correlazione fra i personaggi e i toponimi utilizzati è
apparsa spesso problematica ed oggetto di spiegazioni diverse. Nell’intervento so-
no analizzati i casi di alcune coppie di personaggi che portano nomi di fiumi
(Ufens/Umbro; Almo/Galaesus) e sono ipotizzate alcune connotazioni assegnabili
ai personaggi sulla base dei contesti geografici dei relatini idronimi.

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RIASSUNTI 671

Carlo SANTINI, Materiali per un’indagine sui toponimi di alcuni oppida nei com-
menti di Servio all’Eneide, p. 563-577.

Questo contributo valuta un certo numero di informazioni etimologiche trà-


dite dalla glossa serviana (e quindi tanto da Servio quanto dal cosiddetto Servio
auctus) in merito ai toponimi di alcuni oppida dell’Italia, che Virgilio menziona
nei libri VII e VIII dell’Eneide. Nel quadro di riferimento epistemologico che è
quello dell’onomastica letteraria, si evidenziano alcuni indirizzi culturali della
glossa, che si possono identificare con l’intento di fondare sulla lingua greca l’ori-
gine del toponimo, nella consapevolezza del prestigio implicito in siffatta strate-
gia. L’indagine tiene anche conto di altri criteri tra i quali il più interessante dal
punto di vista filologico è costituito dal riscontro allusivo ai segni del testo di Vir-
gilio.

Emanuelle LELLI, L’onomastica del mondo italico negli Alessandrini : tra erudizio-
ne e letterarietà, p. 579-589.

Nel III sec. a.C., ad Alessandria, si sviluppa un nuovo interesse lessicografico


per le culture del Mediterraneo, in particolare per i popoli italici. Oltre alle opere
erudite (Aristofane di Bisanzio, Filemone di Essone, Callimaco) si può rintraccia-
re questo interesse anche nella poesia alessandrina, con varie modalità. L’autore
greco, per esempio, può reinterpretare il suono del termine italico rapportandolo
a radici greche, quindi a una semantica nota, finalizzando tale operazione a gio-
chi letterari o anche a mitopoiesi (‘appropriazione del significante’) : cfr. Call.
Ait. frr. 1,36; 43 Pf.; Lyc. Alex. 966, 968-997. Anche il tentativo di ‘traduzione’ di
un toponimo può essere tentato, e fornisce in questo caso, a volte, lo spunto per
ideazioni mitopoietiche o notazioni erudite : cfr. Call. Ait. frr. 11, 5-6; 43,70ss.
Pf.; Nic. alex. 180. In una terza modalità, la più complessa, un termine ‘italico’ di-
viene lo strumento con cui il poeta gioca con la tradizione letteraria e dà prova
delle sue capacità erudite : cfr. Call. Ait. fr. 85,8-11 Pf.; G. 11; Lyc. Alex. 919-920.

Vincenzo ORIOLES, Come chiamare le lingue dell’Italia antica preromana?, p. 593-


600.

Obiettivo di questo intervento è quello di avviare una ricognizione dei tipi


onomastici in uso per denominare le varietà linguistiche praticate nell’Italia anti-
ca prima della latinizzazione con l’intento di estrarre indicazioni sulle motivazio-
ni ispiratrici delle diverse istanze di designazione.
Dopo aver fornito elementi sulla coniazione del tecnicismo «glottonimo», il
contributo ripercorre le scelte succedutesi nel tempo : se il paradigma antiquario
considerava due unità principali, l’umbro a nord e l’osco a sud, affiancate da dia-
letti minori (sabellici), la visione neogrammaticale avrebbe poi elaborato una en-
tità sovraordinata identificata come osco-umbro, a sua volta percepita come il
punto d’arrivo di una protolingua «italica» cui risalviva anche il latino. Ma l’im-
piego del tipo «italico» si prestava ad ambiguità in quanto valeva anche, soprat-

.
672 RIASSUNTI

tutto presso la scuola italiana, come designazione storica delle lingue indoeuro-
pee dell’Italia antica diverse dal latino. Queste sistematizzazioni sono state tutte
messe in crisi a partire dagli anni Settanta del XX sec. dalle nuove acquisizioni
epigrafiche, e dall’individuazione di nuovi tipi linguistici che aggiornavano il
quadro delle conoscenze fin lì maturate, riconfigurando lo spazio linguistico del-
l’Italia antica. Da qui la necessità di rivedere i dispositivi metalinguistici, in ma-
niera tale da rendere ragione tra l’altro dell’antitesi tra italicità storica e italicità
fondata su basi linguistiche.

Sara FEDALTO, Eunika kai kthtika : distinzioni terminologiche nell’etnonimia,


p. 601-618.

Il contenuto semantico che nell’attuale terminologia etnotoponomastica ri-


cade nella designazione di etnico era nel sistema linguistico greco ripartito tra le
categorie nominali dell’ethnikon e dello ktetikon, secondo quanto emerge dall’uso
e da una consolidata tradizione grammaticale. Il rapporto può essere descritto
sulla base della distinzione tra aggettivo/nome di inerenza e aggettivo di relazio-
ne, categoria nominale ampiamente utilizzata dal greco.
La netta distinzione semantica tra le due designazioni emerge al di là delle
diverse realizzazioni morfologiche, si riflette nella coerente ripartizione funzio-
nale ben presente alla riflessione grammaticale e si evidenzia nel confronto con il
latino in cui l’opposizione non è pertinente. Dallo studio emergono considerazio-
ni generali relative ai criteri di classificazione e alle opposizioni funzionali che
governano la lingua e alla percezione che ne ha il parlante.

Carla MARCATO, La toponomastica prediale : articolazione e storia del concetto,


p. 619-625.

Il contributo prende in esame il concetto «toponomastica prediale», connes-


so alla proprietà fondiaria e di fondamentale importanza negli studi di topono-
mastica italiana in particolare per l’aspetto tipologico. Messo a punto nella se-
conda metà del XIX secolo, il concetto è ripercorso dal punto di vista della sua
formazione, delle accezioni che nel tempo ha assunto e del suo impiego nella
prospettiva della storia linguistica di un territorio.

Enzo CAFFARELLI, Vitalità di etnonimi e toponimi dell’Italia antica nell’onomastica


e nel lessico italiano contemporanei, p. 629-648.

L’articolo documenta la presenza di nomi geografici o di popolazione usciti


dall’uso ufficiale (e per lo più anche informale e orale), ma recuperati negli ultimi
due secoli, e in gran parte in tempi molto recenti, in vari àmbiti onomastici :
marchionimi e crematonimi in generale, rari cognomi e nomi personali, tassono-
mie scientifiche – in particolare mineralogia, geologia e chimica –, astrotoponi-
mi, etnici e toponimi come riscoperta e valorizzazione culturale del territorio,

.
RIASSUNTI 673

nonché etnici suppletivi nella lingua scritta e orale. In particolare ci si sofferma,


con una ricca messe di esempi, sull’uso di tali nomi negli esercizi commerciali,
tra i quali le agenzie di viaggio, nei servizi e nelle denominazioni associative.

Francesca DRAGOTTO, Presentazione del sito web www.detia.it, p. 649-661.

Il DETIA, acronimo di Dizionario degli Etnici e dei Toponimi dell’Italia Antica,


costituisce un progetto ideato agli inizi degli anni Ottanta con l’obiettivo di costi-
tuire un thesaurus di tutte le attestazioni di onomastica locale attinenti l’Italia do-
cumentate presso fonti antiche eterogenee per natura e supporto. A distanza di
due decenni dal progetto iniziale si è oggi giunti alla versione informatizzata del
DETIA, fruibile attraverso il sito www.detia.it presentato in occasione del conve-
gno di cui il presente volume raccoglie gli atti.

.
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INDICI ANALITICI

a cura di Felicia LOGOZZO, Paolo POCCETTI ed Elisa PONZO

Gli indici analitici sono stati elaborati in base agli indici redatti da ciascun
autore sul proprio testo sulla scorta di norme unitarie. L’impossibilità da parte di
alcuni autori di redigere l’indice del proprio contributo al volume è stata sopperi-
ta dal generoso aiuto di Anna Marinetti e di Andrea Nuti, a cui va il più sentito
ringraziamento.
Tanto la scelta dei lemmi quanto le attribuzioni, sia della pertinenza designa-
tiva sia della pertinenza linguistica, seguono le indicazioni fornite da ciascun auto-
re. Analogamente la sezione relativa alle forme ricostruite, alle basi onomastiche e
agli elementi morfologici si basa sul materiale selezionato da ciascun autore. Gli
indici analitici, dunque, risultano da un lavoro di assemblaggio, di organizzazione
e di omogenizzazione degli indici curati singolarmente da ciascun autore.
Per agevolare la consultazione si è ritenuto opportuno articolare gli indici
analitici in due grandi sezioni : 1) un indice linguistico; 2) un indice generale al-
fabetico di tutti i lemmi che nell’indice precedente sono stati analiticamente sud-
divisi sulla base di pertinenze linguistiche.
L’indice linguistico è stato organizzato secondo i seguenti criteri : a) l’ap-
partenenza o non appartenenza ad una famiglia, e, subordinatamente, i rispettivi
gruppi o sottogruppi, all’interno dei quali sono elencate in ordine alfabetico le
lingue. Seguono, poi, indici delle basi onomastiche, delle forme ricostruite, dei
suffissi e dei termini tecnici che sono stati oggetto di analisi specifica.
Ciascun lemma è accompagnato dall’indicazione della pertinenza designati-
va (inserita tra parentesi) schematicamente ricondotta alle seguenti categorie :
(a.) = antroponimo
(i.) = idronimo
(o.) = oronimo
(t.) = toponimo
(te.) = teonimo
Anche di queste pertinenze, come di quelle linguistiche, sono state rispettate
le scelte e le indicazioni fornite dai singoli autori.
L’ordine alfabetico è quello latino, tranne la sezione relativa ai soli lemmi
greci, che ovviamente segue l’ordine dell’alfabeto greco. Laddove c’è commistione
tra lemmi in alfabeto latino e lemmi in alfabeto greco, come criterio sovraordina-
to, è stato seguito l’ordine dell’alfabeto latino. In questo caso, le lettere greche oc-
cupano la posizione che avrebbero secondo la traslitterazione convenzionale
delle rispettive lettere in alfabeto latino. Per ragioni di praticità, il segno dell’aspi-
razione (spirito aspro) nel greco non è stato considerato ai fini dell’ordine alfabe-
tico, per cui i lemmi con spirito aspro sono stati collocati alfabeticamente sotto le
rispettive vocali iniziali. Anche l’asterisco non è stato considerato ai fini dell’or-
dine alfabetico, per cui le forme asteriscate si trovano ordinate alfabeticamente
insieme alle altre.

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676 INDICI ANALITICI

1 – INDICE PER LINGUE

A – LINGUE INDOEUROPEE

CELTICO Cetona (t.) 157


Cremona (t.) 157, 163
Celtico – Generalità Chorges (t.) 166
Daun (t.) 160
Acco (a.) 403 Dormagen (t.) 155
Airasca (t.) 162 Dormelletto (t.) 155
Airole (t.) 163 Dormello (t.) 155
Airolo (t.) 163 Dorno (t.) 155
Airuno (t.) 162 Duno (t.) 160
Albenga (t.) 164, 182 Embrun (t.) 158
Alesate (t.) 158 Euruno (t.) 158
Álice (t.) 158 Gandellino (t.) 158
Alzate (t.) 158 Gandino (t.) 158
Anaunia (t.) 167 Gandosso (t.) 158
Arconate (t.) 173 Gandovera (i.) 158
Ardenno (t.) 163 Grana (t.) 173
Arlate (t.) 156, 159, 163 Inveruno (t.) 158
Arles (t.) 159 Issiglio (t.) 163
Arlet (t.) 159 Ivrea (t.) 163
Arnasco (t.) 154 Langa de Duero (t.) 171
Arnate (t.) 154 Langhe (t.) 171
Arno (i.) 154 Langres (t.) 168
Artegna (t.) 158 Le Mans (t.) 168
Artena (t.) 158 Lìdana (i.), (t.) 161
Artogne (t.) 158 Luzaga (t.) 157
Bargagli (t.) 163 Malamocco (t.) 166
Bargali (t.) 163 Medelingen (t.) 160
Barolo (t.) 163 Mestomadrigo (t.) 169
Bayeux (t.) 168 Metelen (t.) 160
Belegnano (t.) 173 Metz (t.) 169
Beligna (t.) 173 Mezzomerico (t.) 169
Bellino (t.) 173 Milano (t.) 163
Belluno (t.) 156 Nanno (t.) 167
Bergalli (t.) 163 Néi 157
Bèrgamo (t.) 157, 163 Novara (t.) 159
Blenio (t.) 163, 173 Po (i.) 157
Bologna (t.) 159, 160, 163 Polcèvera (i.) 163
Bormida (i.) 154 Reno (i.) 155
Bormio (t.) 154 Saquána (i.) 160, 164
Bourges (t.) 159 Seine (i.) 160
Brianza (t.) 155 Senigallia (t.) 160
Brieva (t.) 155 Sentíno (t.) 160, 161
Briona (t.) 163 Seprio (t.) 162
Briviesca (t.) 155 Sestri Levante (t.) 158
Brivio (t.) 155 Sezza (t.) 158
Bucca (a.) 87 Soana (i.) 160, 163
Búrmia (i.) 154 Susa (t.) 163, 168
Cadore (t.) 162, 163, 166 Tarvisio (t.) 165
Casteggio (t.) 157 Thun (t.) 160

.
INDICI ANALITICI 677

Torino (t.) 165 R.e.tu.Ke.n.o.s (a.) 173


Treviso (t.) 165 SeKeiza (t.) 176
Tucca (a.) 87 tirtanos (a.) 300
Ubiale (t.) 159 Tu.r.u.m.o.Ku.m (e.) 179
Ubione (o.) 159 ubokum (a.) 300
Urray (t.) 156 u.i.r.o.u.i.a.ka 156
Usseaux (t.) 159 U.s.i.z.u (a.) 180
Ussèglio (t.) 159 viriaskum (e.) 156
Utschelg (o.) 159
Val Brevenna (t.) 163 Celtico antico
Val di Non (t.) 167
Val Leventina (t.) 166 Abilos (te.) 172
Vaprio (t.) 162 Abinios (te.) 172
Vendevolo (o.) 163, 164 Abiona (te.) 172
Vendoglio (t.) 163 Abrı¥gka 157
Vendoni (villa) (t.) 165 Adcanaunos (a.) 172
Vendoval (i.) 164 Adgonetvs (a.) 175
Verduno (t.) 155 Adgonna (a.) 175
Verebbio (t.) 159 Adgónnetus (a.) 175
Vicenza (t.) 159, 163 Akisios (a.) 181
Vindone (t.) 165 Alauni (e.) 167
Yverdon (t.) 160 Albiana (t.) 161
Album Ingaunum (t.) 164
Bretone Alebinna (a.) 179
Alista (t.) 161
braz 172 Ambatos (a.) 173
carn 165 Ambitrebio (t.) 182
coz 162 Ananyioyn (t.) 167
daeru 172 Anarevišeos (a.) 176, 178
Anauni (e.) 167
Celtiberico Anokombogios (a.) 176, 185
Apadeva (te.) 164
abulokum (a.) 300 Arcobriga (t.) 173
abulu (a.) 300 Arebrigium (t.) 162
aliƒokum (a.) 300 Aredunon (t.) 156
aualo (a.) 300 Arelica 155
Belaiska (t.) 156 Argantocomaterecus (a.) 175, 179
belaiskaƒ (t.), (e.) 300 Argentovaria (t.) 159
belikios (t.), (e.) 300 Arilica (t.) 155
bindis 156 Ariuns (a.) 173
Binniskum (e.) 156 ariuonebos (te.) 181
Bolgondiskum (e.) 156 ArKatoko{k}materekos (a.) 175
Bormeskom (e.) 154 artua 158
Contrebia (t.), (e.) 156, 301 Aśkoneti (a.) 175
ke(ntis) 300 Aśkonetio (a.) 175
kontebiaƒ (t.), (e.) 300 Ašmina (a.) 180
kounesikum (a.) 300 Atecotti (e.) 170
l.a.Ka.z (t.) 171 Ategnatos (a.) 176
letontunos (a.) 300 Atekua (a.) 181
L.i.ki.n.o.s (a.) 169 Atepa (a.) 181
lubos (a.) 300 Atepu (a.) 181
melmunos (a.) 300 Attusa (a.) 175
MeTuainum (e.) 166 Attuso (a.) 175
N.e.r.to.bi.s (t.) 170 Atusius (a.) 175
perkunetaka- 164 Badiennoi (e.) 170

.
678 INDICI ANALITICI

Badiennwn (e.) 167 Carni (e.) 165


Ba(d)iocasses (e.) 168 Carnutes (e.) 165
Bagienni (e.) 167 Catubrini (e.) 166
Bagienno (t.) 182 Catucianum (e.), (o.), (t.) 182
Banona (a.) 176 Caturiges (e.) 166
Barrolius (t.) 163 Celsus (a.) 178
Bexunes (e.) 171 Celuestra (a.) 171, 177
[Belatu]kadriakos (a.) 176 Celtius (a.) 178
Belatukadros (te.) 176 Cenimagni (e.) 168
Belenos (te.) 172-174 Cenimanni (e.) 168
Beli (e.) 156 Cenomani (e.) 168, 170
Belici (e.) 156 Cenomanni (e.) 170
Belinos (te.) 174 Cetobriga (t.) 157
Belisama (te.) 174 Cingeto- (a.) 175
Belisamarus (te.) 174 Coisa (a.) 179
Bellenei (a.) 173 Comberanea (i.) 154
Beloynon 156 Concanaunae (te.) 172
Bennakon (i.) 162 Concauni (e.) 172
Bergimos (te.) 172, 174 Congonna (a.) 179
Be¥rgomon (t.) 157 Congonni (a.) 179
Berigiema (o.) 163 Congonnus (a.) 179
Bhrwnev (e.) 169 Contestani (e.) 169
Beronicenses (e.) 169 Contextos (a.) 169
Birakellon (t.) 156, 160, 163 Cottiae (Alpes) (o.) 162
Biracillus (a.), (e.) 156 Cot(t)ius/a (a.) 177
Bitoyrgı¥a (t.) 159 Cozii (e.) 177
Bitoyrgı¥a Toy¥skwn (t.) 160 Cumallianum (e.), (t.) 182
Bituriges (e.) 160 Cunopennos (a.) 176
Bituris (t.) 159 cutio 182
Bivelium (e.), (t.) 182 cutios 182
Bivo(n)tialui (a.) 179 Dannotaliknoi (e.) 176
Blustiemelo (o.), (t.) 155, 163, 181 Dannotalos (a.) 176
Bnake (a.) 175, 181 Dervonibus (Fatis) (te.) 172
Bodincomagus (t.) 155 Dervonnae (te.) 174
Bodincus (i.) 157 Dervonnis (Matronibus) (te.) 172
Bodiocasses (e.) 168 Doynon (t.) 160
Boii (e.) 168 dunum 155
Boiknos (a.) 173, 177 Durnomagos (t.) 155
Boios (a.), (e.) 168, 173, 177 Durnovaria (t.) 159
Bolgedo (a.) 156 Eborelia (o.), (t.) 158
Bōnónia (t.) 159 Eborodoynon (t.) 158, 160
Bormiae (Aquae) (t.) 154 Eburelia (o.), (t.) 158
Bras(s)ennos (te.) 172, 174 Eburum (t.) 161
Brigantia (te.) 174 Eluissonis (a.) 181
Briga¥ntion (t.) 155 Eluveitie (a.) 177, 179-181
Brigovix (a.) 178 Elvetioi (e.) 169
briś 162 Elymoi (e.) 169
Britanni (e.) 167 Epona (te.) 172, 173
briva 155 Equos 182
Brijellon (t.) 163 Esanekoti (a.) 177
Camalus (a.) 91 Excingomagus (t.) 155
Camulus (a.) 91 Gaisa¥tai (e.) 167
Canianum (e.), (o.), (t.) 182 Galli (e.) 171
Cariassi (a.) 178 gandobe/u 158
Cariatus (a.) 178 Gannodoyron (t.) 158

.
INDICI ANALITICI 679

Genoma¥noi (e.) 168 Luguaidonis (Portus) (t.) 161


Ge¥noya (t.) 167 Lutia (t.) 157
Genuates (e.) 167 Maešilalvi (a.) 180
Genuenses (e.) 167 mantalon 168
gostiqo (a.) 177 Mantia (a.) 175
Grannos (te.) 173 Mantinon (t.) 161
Helvetii/-oi (e.) 169, 180 Marica (te.) 173, 174
Helvonum (e.), (o.), (t.) 180, 182 Mariccus (a.) 174
Helymus (a.) 169 Marici (e.) 166, 174
Hercynia (t.) 182 Maticianum (e.), (t.) 182
Ingauni (e.) 164, 167, 182 Matis(s)a (t.) 161
Insubres (e.) 170 Matobógios (a.) 181
Iovincus (a.) 157 Mediola¥nion (t.) 157, 160
Isoy¥rion (t.) 170 Mediolanon (t.) 157
Isu(r(i)um) - Brigantum (t.) 170 Mediomatrici (e.) 169
Isymbroi (e.) 170 Medoakoi (e.) 166
Iuvants (a.) 173 Medsilli (a.) 178
Kaialoiso (a.) 179 Meduacos (i.) 166
Kailui (a.) 180 Medussa (a.) 178
Karanmns (a.) 173 Medutica (a.) 178
Karraka (t.) 156 Medutio (a.), (t.) 178, 182
Katacina (a.) 182 Medutius (a.) 178
Katakna (a.) 173 Mertronno (Herculi) (te.) 174
Katoriges (e.) 166 Mertronnos (te.) 174
Katuriges (e.) 166 meśiolano (t.) 162
Katoyrigwn (e.) 166 Messilla (a.) 178
Keltie (a.), (e.) 171, 177 Messilus (a.) 178
Keltoı¥ (e.) 171 Messius (a.) 178
Kenomanwn (e.) 168 Metelikna (a.) 180
Kiketu (a.) 175 Metelvi (a.) 180
Klastidion (t.) 157 Mezu (a.) 178
Kloynion (t.) 161 Mogetios (te.) 175
Koisis (a.) 179 Mogetius (a.) 175
Kosioiso (a.) 179 Moldo (a.) 173
Krasanikna (a.) 180 Moldonkeo (a.) 173
Kremwna (t.) 157 Natoris (a.) 170
Kremwnia (t.) 157 Nemaiecanum (e.) 163
Laevi (e.) 371 Nemaioq (e.) 163
Langates (e.) 171 Nemetie (a.) 176
Langenses (e.) 171 Nerusii, -oi (e.) 168, 170
La¥rion (i.) 154 Neviasca (i.) 157, 161
Latumaros (a.) 183 Nevio (t.) 157
Lebriemelum (i.) 163 Nitielium (e.), (t.) 163, 182
Lepontii, -oi (e.) 165, 166, 170 Nitiogenna (a.) 179
Lhpontı¥wn (e.) 165 Noyaria (t.) 159
Leucumellus (o.), (t.) 155, 161, 162 Padus (i.) 157
Licnos (a.) 169 Palanta (t.) 161
Likninoi (e.) 169 Porcobera (i.) 162, 164
Lingones (e.) 168, 171 Prenicum (o.) 165
Litania (a.) 175 prenne 165
Litanus (a.) 175 Prettanoi (e.) 167
Lubama (a.) 176 Priś 170
Lubiamus (a.) 176 qutio 182
Lubicius (a.) 176 qutios 182
Lubius (a.) 176 ratis 156

.
680 INDICI ANALITICI

Reitia (te.) 173 Tokua (a.) 181


Reitugenos (a.) 173 Tongus (a.) 181
Reśu (a.) 178 Tuledu (o.) 156
Rhenus (i.) 155 Tulelasca (i.) 156
Rinnius (a.) 178 Turmogi (e.) 179
Rosmerta (te.) 174 Ucuetis (te.) 173
Rotanoy (i.) 161 Oyediantı¥wn (e.) 165
Roudelium (e.), (t.) 182 Oyenikion (t.) 161
Rutanie (a.), (e.) 177 Oyenı¥knioi (e.) 166
Sallui (e.) 174 oyenikoi 166
Salluvii (e.) 174 Oyike¥tia (t.) 159
Saluennis (matronis) (te.) 174 Ufamogozis (a.) 178, 180
Salues (e.) 174 Upsidia (a.) 180
Samorigos (a.) 175 Upsidius (a.) 180
Samorix (a.) 175 Oyselliz (t.) 161
Ségeda (t.) 176 Usèllus (t.) 161
Segedu (a.) 175 Usonius (a.) 180
Segessa (a.) 181 Ussius (a.) 180
Segesta (t.) 169 uvamokozis (a.) 370
Segesta ex Carnis (t.) 158 Uveza (a.) 178
Segestanwn (Emporion) (t.) 161 UvltiauioPos (e.), (te.) 178
Segesta Tigulliorum (t.) 158 Uxe(i)llo (t.) 159
Segeuu (a.) 175 Uxellis (t.) 159
Segobris (t.) 170 Uxellus (t.) 159
Segontia (t.) 171 Uxesina (a.) 180
Segovii (e.) 168 Vants (a.) 173
Segoysianwn (e.) 168 Vassa (a.) 179
Segusi, -ioi (e.) 168, 170 Vassilla (a.) 179
Segusini (e.) 168 Vediantiorum (e.) 165
Segoy¥sion (t.) 168 Veiquasius (a.) 181
SeKezos (a.) 176, 178 Venia (a.) 180
Sena (t.) 160 Venisami (e.) 166
Sena Gallica (t.) 160 Vennonius, -a (a.) 181
Senones (e.) 170, 171 Vequasius, -a (a.) 181
Sentı¥kh (t.) 162 Veraglasca (i.) 156
Sentinon (t.) 160, 161 Veragri (e.) 156
Sentubogios (a.) 176 Verdunum 155
Sequana (i.) 160, 164 Verkalai (a.) 179
Sequanus (e.) 156 Verkondarna (a.) 173
Silucius (a.) 175 Verona (t.) 159
Smertrios (te.) 174 Verubius (t.) 159
Tarabenoi (e.) 169 Vesumus (a.) 178
Tarbelli (e.) 169 Vicetia (t.) 163
Tarbonia (t.) 169 Viku (a.) 180
Tarvisium (t.) 165 Vilagostis (a.) 181
Taurini (e.) 165 Vilagostius (a.) 181
Taurinorum (Augusta) (t.) 165 Vindamulate (a.) 178
Taurisci (e.) 165 Vindupale, -is (i.) 162, 164, 165
Teurísci (e.) 165 Vinelasca, -am (i.) 162, 165
Teutobuduus (a.) 244 Vini (a.) 185
Teutodivicus (a.) 244 Virovesca (t.) 156
Ticinos (i.) 164, 182 Virovia (t.) 156
Tikinov (i.) 164 Viroviacum (t.) 156
Titianoi (e.) 169 Vlato (a.) 181
Tittoi (e.) 169 Vlatunus (a.) 181

.
INDICI ANALITICI 681

Vols(s)o (a.) 178 Boudilli f. (a.) 314


Voltiomnos (a.) 173 Branderix (a.) 306, 314
{Vu}ltiauiobos (e.), (te.) 178 Bregissa (a.) 306
Brigovicis f. (a.) 302
Brocchi f. (a.) 315
Cimrico Brocchilo (a.) 315
Cantognatus (a.) 314
Banon (te.) 176
Carantodius (a.) 314
bedd 157
Carantus (a.) 314
bras 172
Caratacus (a.) 314
carn 165
Cariassis (a.) 302
coed 157
Cinto(s) (a.) 311
cot 162
Cintu (a.) 311
cyfarwys 178
Cintugenus (a.) 311
derw 172
Cintugnatos (a.) 311
efwr 158
Coisis (a.) 460
Elwydd (a.) 179
Comagus (a.) 302
guerin 159
contextos (a.) 306
gwas 179
Cottius (a.) 461
gwynn 162
Demincavi f. (a.) 302
llawr 154
Druti (a.) 460
llech 155
Eburius (a.) 302
lydan 175
Ekkaios (a.) 314
mant 175
Endubronis f. (a.) 302
myned 168
eripoxios (a.) 302, 311, 312
prenn 165
uchel 159 esanekoti (a.) 303, 310
Eskingomarios (a.) 314
Kafati f. (a.) 315
Cornico Karthilitanios (a.) 314
Kassikea (a.) 314
bras 172 Kassimarus (a.) 315
carn 165 Kintuma (a.) 314
derow 172 Koiśa (a.) 460
youenc 157 koisis (a.) 302
Kongennolitanos (a.) 314
Galatico kuitos (a.) 303
lados (a.) 305, 306
Bedorei (a.) 170 licnos (a.) 306
Bwdorei (a.) 170 Lutonis f. (a.) 302
Bwdoriv (a.) 170 Maesilos (a.) 463
ka¥rnon 165 matopokios (a.) 311
Sintoion (t.) 162 metelaios (a.) 305, 306
Metelikna (a.) 463
Gallico Metelos (a.) 462-463, 465, 471
Moccilonis f. (a.) 315
Akisios Argantokomaterekos (a.) 301, Mogetius (a.) 315
302, 306 Mogtio (a.) 302
alebinos (a.) 305, 306 Namantobogi f. (a.) 314
allos (a.) 311 Nertomari (a.) 314
anareuiśeos (a.) 303, 310 peroco (a.) 306
anokopokios (a.) 303, 314 rik (a.) 313
ateknati (a.) 302 rikanas (a.) 311, 313
ateporix (a.) 311, 313 rikoi (a.) 313
Bellianus (a.) 314 Ruficna (a.) 312
Bitio (a.) 302 sacer (a.) 306

.
682 INDICI ANALITICI

Secconis f. (a.) 315 maccu (a.) 184


Senecio (a.) 315 mag 155
setupk (a.) 302 medb 166
setupokios (a.) 303, 311, 312, 314 mell 155
tanotaliknoi (a.) 303 nemed 176
tanotalos (a.) 303, 309, 310 ner 168
Tresus (a.) 302 orc 164
trutikni (a.) 302 ráith 156
trutiknos (a.) 302, 311 rían 155
Uenia (a.) 463 rind 178
vechtinios (a.) 305, 306 Sencheneóil (Túath) (e.) 170
Senérand (Túath) (e.) 170
Irlandese sét 162
síl 175
ail 158 sochrait 164
air 155 suthain 164
airne 154 tan 164
aithechthúatha (e.) 170 taul 157
Aithghnath (a.) 176 techid 165
anaid 167 úasal 159
art 158 ub 159
Banba (te.) 176 Urrath (t.) 156
Beannach (Loch) (t.) 162
benn 162 Leponzio
bras 172
Búanann (te.) 159 akisios (a.) 311, 312
buide 167 alios (a.) 302, 311
buidechass 168 alkouinos (a.) 302, 303, 311, 314
cáith 182 Alkowindos (a.) 303
cían 168 Amašilu (a.) 85, 302, 304-306, 308, 309
clas 157 anteśilu (a.) 302, 304, 305
con boing 176 Ariuonebos (e.) 297
Conchenn (a.) 176 aruki (a.) 302, 304
corcu (a.) 184 aśkoneti (a.) 302, 314
crann 165 aśkonetio(s) (a.) 305, 306
crim 157 aśmina (a.) 302
Cunacenni (a.) 176 aśouni (a.) 302, 314
dorn 155 atekua (a.) 89, 302, 311, 314
dún 155 atepu (a.) 302, 311
ferann 159 ateratos (a.) 302, 311
ferenn 159 atieki (a.) 302, 304
feronn 159 atilonei (a.) 302, 305
fertae 159 xosioiso (a.) 302
fichid 159 esopnio(s) (a.) 302, 305
find 162 esopnos (a.) 311
Finn (a.) 162 kasikos (a.) 311
foirenn 159 kepi (a.) 302, 311
foss 179 kirati (a.) 302, 304
gand 158 koimila (a.) 302
ibar 158 koisis (a.) 311
inigena 179 komoneos (a.) 302
lár 154 krasanikna (a.) 302
lecc 155 Kualai (a.) 89
lethan 175 kualui (a.) 302, 311
lingid 168 latumarui (a.) 302, 311, 312

.
INDICI ANALITICI 683

Maešilalui (a.) 86, 302, 314 Folcus(i)o (a.) 459


matopokios (a.) 305 Lartio (a.) 459
metelikna (a.) 297, 302 Maci (a.) 488
metelui (a.) 297, 302, 314 Macio (a.) 488
minuku (a.) 302 Mama (a.) 104
namu (a.) 302, 305, 311 Mercui (te.) 232
nimonikna (a.) 302 Pacios (a.) 467
oletu (a.) 85, 302, 304, 306, 308, 309, Pola (a.) 403
311 Poplia (a.) 459
ośoris (a.) 313 Tertine (a.) 458
pelkui (a.) 311 Tirio (a.) 458
pianu (a.) 305, 306 Titoi (te.) 232
piounei (a.) 302, 311 Uhtav[...] (a.) 485
piuotialui (a.) 302 Voltio (a.) 402
plialeuu (a.) 102, 304, 306-309
plioiso (a.) 302
raneni (a.) 302 GERMANICO
Retalos (a.) 89
Germanico – Generalità
ritukalos (a.) 302, 311
sapsutai (a.) 302, 311 Herimot (a.) 233
slaniai (a.) 302, 310 Herirat (a.) 233
sola (a.) 302
tekialui (a.) 302, 311
teromui (a.) 302, 311 Gotico
teu (a.) 302, 311 guz 173
tisiui (a.) 302
tunal (a.) 302
ualaunal(a.) 302 Inglese
uarsileos (a.) 302
uenia (a.) 302, 311 Cambridge (t.) 497
uerkalai (a.) 302, 311 god 173
uitilios (a.) 302
uvamokozis (a.) 136, 139, 304, 306-310 Tedesco
Verkalai (a.) 88
Alsazia (t.) 505
ELIMO Hausham (t.) 498
Mosham (t.) 498
Ata (a.) 56 Quelle 172
Ataityka (a.) 55 quellen 172
Erux (t.) 19 Schneider (a.) 498
Eryx (t.) 19
Иotyla* (a.) 56
}RK (t.) 15, 19 GRECO

FALISCO Agauoklh̃v (a.) 222


Agkaı̃ov (a.) 455
Aufilo (a.) 402 Ancon(a) (t.) 409, 420
Caisio (a.) 402, 458, 471 Agrı¥ppav (a.) 415
Calitenes (a.) 459 ¶Agylla (t.) 573, 574
Cavies (a.) 485 Agyllaı̃oi (e.) 574
Cesi (a.) 458 Agxı¥shv (a.) 415
Cesies (a.) 459 Adwniv (a.) 403
Cesilia (a.) 460 Aegypti (e.) 409
Cesio (a.) 459 Aeneas (a.) 409
Fere (a.) 458 Auh̃nai (t.) 436
F(ertor) (a.) 467 Auhnaı̃ov (e.) 413

.
684 INDICI ANALITICI

Aı¶av, -antov (a.) 412 Galene (a.) 420


Aıßge¥sta (t.) 583 Ganymh¥dhv (a.) 410, 412
Aıßsklapio¥v (te.) 410 Ganymedes (a.) 410
Acragas (t.) 411 Ge¥la (t.) 43, 414
Akra¥gav (t.) 411, 416 Gela (t.) 586
¶Akragav (t.) 435 Ge¥lav (i.) 43
Alexandria (t.) 409 Gelasimus (a.) 418
Ale¥jandrov (a.) 409, 410, 412 Gelw¥i (a.) 43
Amfia¥raov (a.) 403 Gelw¥iov (a.) 43
Amphion (a.) 414, 415 Ge¥lwn (a.) 43
Andronicus (a.) 410 Gelw̃ov (e.) 414
Antipatros (a.) 28 graecari 410
Antipolis (t.) 440 Graece 409
Apelles (a.) 410 Graeci (e.) 409
Ape¥llwn (te.) 410, 411 Graecolatini (e.) 410
¶Apelov (a.) 46 Graecostasis (t.) 417
Apollo (te.) 219, 224 Graeculi (e.) 409. 413
Apolloniov (a.) 403 Grai (e.) 413
Apo¥llwn (te.) 410, 411 Gymnh¥siai (t.) 412
Apollw ¥ niov (a.) 222, 224, 225 Dayı¥d (a.) 415
Appeiraı̃ov (a.) 56 Delfoı¥ (t.) 436
Appı¥oy fo¥ron (t.) 419 Demaratus (a.) 409
Apragopolis (t.) 417 Dido (a.) 414
Aratea 410 Dic(a)earchia (t.) 410
Artemide (te.) 224 Diodw¥rov (a.) 56
Artemidw¥roy (a.) 56 Dikaia¥rxeia (-ı¥a) (t.) 410
Artemı¥siov (a.) 224 Dioklh̃v (a.) 222
Arxe¥laov (a.) 415 Dionysia (a.) 416
Archimedes (a.) 410 Diony¥siov (a.) 410, 412
Arxonı¥dav (a.) 46 Dı¥filov (a.) 404
Asiatici (e.) 409 Dre¥panon (t.) 586, 586
Asklh¥piov (te.) 410 Hecate (te.) 413
Atov (a.) 56 Hector (a.) 414
Attalica 410 Elea (t.) 440
Attalus (a.) 409 Ele¥a (t.) 441
Atticus (a.) 410 Elimi (e.) 583
Ay¶goystov (a.) 416 Elimo (a.) 583
Aysonı̃tiv (t.) 573 ¶ Ellhn(ev) (e.) 409, 418
Ay¶filov (i.) 70 eßllhnistı¥ 409
Aphro (a.) 418, 419 ¶ Eloriv, (i.) 44
Aphrodite (te.) 419 Elpı¥v (a.) 418
Axaiı¥v (a.) 457 Enetoı¥ (e.) 411, 437
Axaioı¥ (e.) 413 Ejaxestı¥dav (a.) 46
Axaio¥v (a.) 457 ¶ Ejaxiv (a.) 46
¶Axolla (t.) 573 Eja¥xwn (a.) 46
Bacchides (a.) 419 Era (te.) 222
bala¥neion 172 Eracle (te) 38
balaneyv 172 Heraclidas (a.) 46
Baliareı̃v (t.) 412 Heraclius (a.) 529
Baliarı¥dev (t.) 412 Ercole (te.) 219, 221, 222
Ba¥llw 412 Hermes (a.) (te.) 410, 413, 418
Baỹloi (t.) 564 Eros (a.) 410
Brente¥sion (t.) 411 Erotium (a.) 418
Bre¥ntion 411 Eyßkleı¥dhv (a.) 417
Bre¥ttiov (e.) 491 Eyßry¥maxov (a.) 50

.
INDICI ANALITICI 685

Eutrapelus (a.) 410 Connida (a.) 587


Eyßtyxı¥a (a.) 419 Konnı¥dav (a.) 587, 587
Za¥gklh (t.) 584, 584 Corcira (t.) 586
Zancle (t.) 584-586 Korkyraı̃ov (a.) 44
Za¥kanza (t.) 434, 435, 441 Kossa (a.) 584
Zakanzaı̃oi (e.) 434 Cumae (t.) 409
Za¥kynuov (t.) 435 Kyuhrı¥v (a.) 420
Zey¥jippov (a.) 498, 503 Cyma (t.) 409
Zey¥jiv (a.) 498, 503 Ky¥mh (t.) 436
Zhno¥dotov (a.) 222 Kypa¥rh (a.) 418
Zosimus (a.) 416 Lakwniko¥v (t.) 567
Hliofw̃n (a.) 420 Lala (a.) 417
Hra¥kleitov (a.) 403 Laudicea (t.) 409
Hraklh̃v (te.) 222, 403, 410, 411 Latw¥ (te.) 416
Ue¥sth (a.) 45 Leptı¥nav (a.) 50
Ue¥stwn (a.) 45 Leykano¥v (e.) 491
Ue¥tiv (te.) 412 lodices 410
Thetis (te.) 412 Lokroı¥ (t.) 436
Uettalı¥a (t.) 574 Loy¥kiov (a.) 415
Uettaloı¥ (e.) 574 Lydoı¥ (e.) 574
Uh̃bai (t.) 436 Lycisca (a.) 414
Uoy¥rioi (t.) 436 Lykoỹrgov (a.) 233
Ura¥syv (a.) 46 Lyko¥frwn (a.) 233
Thrinakia (t.) 582 Ma¥gnov (a.) 416
Thrinakie (t.) 582, 583 Makeris (te.) 38
Urı¥painov (a.) 46 Malxı¥wn (a.) 411
Uy¥briv (i.) 413 Massalı¥a (t.) 414
Thybris (i.) 409, 413 Me¥gav 416
Uy¥mbriv (t.) 440 Melanthus (i.) 417
Hierakōn nēsos (t.) 9 Menas (a.) 419
Ionicus (a.) 527 Menedorus (a.) 419
Ioydaı¥a (e.) 418 Mentor (a.) 420
Hippo (t.) 440 Misargyrides (a.) 418
Ippokrathv (a.) 403 Myrw¥ (a.) 420
™ippov 440 Musae (te.) 413
Ippw¥ nion (t.) 440 Nabui (t.) 14
Itali (t.) 582 Naro (i.) 588
Italı¥a (t.) 415, 417 Na¥rwn (i.) 588
Italici (e.) 409 Nay¥aiuov (i.) 588
Italo¥v (a.) 582, 582 Ne¥aiuov (i.) 71, 588
Ka¥dosiv (a.) 46 Nea¥poliv (t.) 435
Kaı̃re (t.) 574 Neapolis (t.) 14, 409. 419
Kalo¥v (a.) 416 Neto (i.) 588-589
Ka¥nwpov, -bov (t.) 411 Nh̃stiv (t.) 588
Caunos (t.) 410 Nı¥ger (a.) 415
Karxadw¥n (t.) 411 Nikı¥av (a.) 415
Karxhdw¥n (t.) 434, 435 Niko¥laov (a.) 415
Ka¥sav (i.) 68 Noma¥dev (e.) 411
Catana (t) 414 Jenoklh̃v (a.) 44
Kata¥nh (t.) 414, 586, 586 Jeno¥klytov (a.) 44
Catania (t.) 586 Jenokra¥thv (a.) 44
Kike¥rwn (a.) 413 Je¥nov (a.) 44
Cinnamus (a.) 418 Jenofw̃n 44
Klw̃diov (a.) 416 Je¥nwn (a.) 44
Ko¥nnarov (a.) 587 Ody¥sseia 410

.
686 INDICI ANALITICI

Odyssey¥v (a.) 410 Sa¥goynton (t.) 434


Ombrikoı¥ (e.) 440 Sampsiceramus (a.) 417
Homerus (a.) 410 Sariv (a.) 46
Opikoı¥ (e.) 440 satrio (a.) 412
Opuntii (e.) 419 Saynı̃tev (e.) 440
Opus (t.) 419 Sebasto¥v (a.) 416
Ore¥sthv (a.) 404 Segesta (t.) 583
Orontes (i.) 409 Seı¥oy (a.) 420
Orfey¥v (a.) 404, 420 Se¥liniv (a.) 43
oyßalenti (a.) 412 Selinoỹv (i.), (t.) 43, 435
Oyßenetoı¥ (e.) 411 Selinw¥i (a.) 43
Oyike¥tia (t.) 438 Selinw¥ntiov (a.) 43
Oyßtalı¥a (t.) 582 semigraeci 410
¶ Ofilov (i.) 70 shstiwde¥steron (a.) 419
Palinurus (a.) 417 Sikana¥ (a.) 44
Pa¥normov (t.) 435 Sicania (t.) 582
Paris (a.) 418 Sikano¥v (a.) 44
Pa¥trai (t.) 436 Sikelı¥a (t.) 415
Peira(i)e¥a (t.) 413 Sikelo¥v (a.), (e.) 44, 97, 415, 582
Pelasgoı¥ (e.) 574 Sicilia (t.) 582, 583
Pergama (t.) 409 Siculi (e.) 582
Periklh̃v (a.) 222 Silãv (a.) 319
Persefo¥nh (te.) 412 Siracusa (t.) 583, 584
Persephone (te.) 412 Spı̃nov potamo¥v (i.) 71
Phley¥v (a.) 404 Spo¥riov (a.) 420
Pithekoussa (t.) 9, 10, 11 Stertı¥nov (a.) 420
Plemurium (t.) 416 Sybaris (t.) 409
Ploy¥twn (te.) 416 Sura (a.) 584
Pola (t.) 584, 585 Syrako¥ssai (t.) 584
Po¥lai (t.) 584 Syracusae (t.) 409
Pollı¥dai (a.) 45 Syrakoỹsai (t.) 435
Polydey¥khv (te.) 410, 415 Syrakw¥ (t.) 584
Pomph¥iov (a.) 416, 420 Syri (e.) 409
Posidonia (t.) 440 Syrus (i.) 409
Potı¥oloi (t.) 410 Ta¥ntalov (a.) 404
Poỹlxer (a.) 416 Ta¥rav (t.) 411, 435
Praı¥neston (t.) 569 Taras (t.) 411
Praı¥nestov (a.) 569 Taratalla (a.) 418
Prajı¥av (a.) 50 Tarkynı¥a (t.) 437, 439
Prı¥niston (t.) 569 Tarxw¥nion (t.) 436
Proto¥maxov (a.) 50 Temesa (t.) 587-588
Psecas (a.) 418 Teme¥sh (t.) 587
Ptolemaeus (a.) 409 Tene¥aiuov (i.) 71
pyumh¥n 157 Teytı¥aplov (a.) 244
Pyjoỹv (t.) 410 Tibiov (a.) 404
Pyxus (t.) 410 Tı¥telov (a.) 56
Py¥rrov (a.) 409, 410 Tı¥tov (a.) 413
Pyrrhus (a.) 410 Tı¥ttelov (a.) 56
Ro¥d-iov (e.) 415 Trapani (t.) 586
Ro¥dov (t.) 415 Trinaco (a.) 582
Roỹfov (a.) 412 Trinacria (t.) 582
Rwmaı̃oi (e.) 409 Trinakrı¥a (t.) 582
Rwmaı̃ov (e.) 409, 420 Tyrrhnoı¥ (e.) 413, 574
rΩwmaistı¥ 409 Tyrshnoı¥ (e.) 440
¥ mh (t.) 417
rΩw  Ydroỹv (t.) 435

.
INDICI ANALITICI 687

™ Yciv (i.) 44 Pitinas (e.) 201, 209


Phalaris (a.) 409 Pitinum (t.) 200, 202, 209, 215
Fidh̃liv (a.) 412 Pompetexuaios (a.) 179
Philematium (a.) 418 Poplios (a.) 501
Philo (a.) 287 poplo- 501
flaỹrov (a.) 417 Praetutii (e.) 145
Flia¥sioi (e.) 419 Pumpô 540
Phliuntii (e.) 419 Ricina (t.) 202, 215
Phlius (t.) 419 *Roufos 541
Phœnices (e.) 409 Sabinus (e.) 212
Fundanius (a.) 414 SalvSo 539
Chloris (a.) 420 Sassina (t.) 201-202, 209, 215
Xrusanuus 419 Sassinas (e.) 209
Chrysanthus (a.) 419 Sena (t.) 209
Caỹmiv (a.) 46 Sentinas (e.) 198, 200-201, 209
Иotylov (a.) 56 Sentinum (t.) 202, 209, 215
Umber (e.) 213
Umbricus (e.) 213
INDOARIO
Indoario – Generalità Marrucino
bhudhná- 157 Asinius (a.) 325
Aufidia (a.) 329, 330
Persiano Babu (a.) 503
fram∼d∼r 175 Herius (a.) 325, 326, 337
fram∼tar- 175 Minata (a.) 329
Pa. (a.) 467
ITALICO Petroni (a.) 330
Petronis (a.) 467
Italico – Generalità Pleminius (a.) 325, 326
Pom. (a.) 327, 467
Acerrae (t.) 207 Sonti (a.) 329, 330
Alfa (a.) 500 Vara (a.) 329, 330, 333, 336
Ameria (t.) 207
Carpegna (t.) 202, 214
Cubrar (te.) 227 Marso
Cupra (te.), (a.) 227, 227
*Et(e)ro- 540 Cantovios (a.) 458
Frentani (e.) 132 Caso (a.) 458
Fulginas (e.) 201 Herentatia (te.) 242
Fulginia (t.) 202, 215 Ka[es.] (a.) 458
Helvillum (t.) 208 Pa. (a.) 468
Mama (a.) 231 Paccius (a.) 458
Mamos (a.) 231 Pacuies (a.) 468
Mana (te.) 224 Sex. (a.) 458
Manus (te.) 224 Vibies (a.) 468
Matrer (te.) 227
Mefanus (pagus) (t.) 202, 209, 214 Osco
Mevanas (e.) 200-202
Mevania (t.) 200, 202, 209, 214 aadirans (a.) 198, 211
Nursia (t.) 212 Ahies (a.) 231
Ocriculum (t.) 212 akudunniad (t.) 438
Pazros (a.) 179 Alafiw (a.) 430
Petrô 540 Alaponis (a.) 468, 505
Petronyo- 539 alaviis (a.) 52, 53

.
688 INDICI ANALITICI

Allifae (t.) 505 Gnay(v) (a.) 429


Apelluneis (te.) 411 Graex (a.) 500
Apw ¥ niov (a.) 464 Heii (a.) 486
Appelloynhi (te.) 411 Heíis (a.) 466
Arriev (a.) 230 Heírens (a.) 400, 503, 504
¶Arriov (a.) 468 Helevis (a.) 466
Arút (a.) 503 Heraclit() (a.) 500
Atina (t.) 201-202, 214 Her(e)i(i)s (a.) 224
Aydaiv (a.) 430 Herekleis (te.) 411
Aufidena (t.) 505 Heris (a.) 503
Aufino- (a.) 500 Heris (a.) 224, 230, 232
Aukíl (a.) 500 Kaidikiv (a.) 429
APeliov (a.) 431 Kaidikw (a.) 429
APev (a.) 430 Kail (a.) 503
Bantinw (a.) 430 Kaisillis (a.) 460
Bo¥rtyv (a.) 491 Kaı¥siov (a.) 460
Brit(is) (a.) 461 Kalaviis (a.) 469
Brutulus (a.) 267 Kaliniv (a.) 469
Buttis (a.) 53 Kalo¥niov (a.) 467-468
búvaianud (t.) 438 Kafiriw (a.) 430
Caedies (a.) 466 Karis (a.) 461, 503
C(aius) (a.) 464 Keis (a.) 503
Calauan(s) (a.) 500 Kensurinis (a.) 470
Calauuius (a.) 468, 486 Kerríaí (te.) 221
Cales (t.) 208 Kerrinom (a.) 503
Campanus (e.) 211 Klar 500
Capua (t.) 208 KloPats (a.) 503
Capuanus (e.) 211 Kluvatiis (a.) 466
Celer (a.) 468-469, 487 Kluvaz (a.) 400
Cutina (t.) 202, 214 Kwssanw (a.) 430
Decirius (a.) 518 Kotteihiv (a.) 461
Dekiis (a.) 516, 518 Kumnis (a.) 400
Dekis (a.) 466, 504, 516 Laí(is) (a.) 466
Dekitiis (a.) 518 Ley¥kiov (a.) 460, 468
Dekkiis (a.) 230 Loikes (a.) 503
dekmas 504 [L]oikiv (a.) 469
De¥kmov (a.) 468 Loucesios (a.) 237
™ Eiov (a.) 468 LwPktihiv (a.) 234, 237-239
El[P ]om (a.) 503 Lucanus (e.) 212
Emaytw (a.) 429 Lúvkis (a.) 464-465, 485, 503
Ep[?] (a.) 469 Ma. (a.) 466
Eroynth<i>v (a.) 468 Maatúís (a.) 232
Eroyntes (a.) 503 Maxies (t.) 488, 503
Estaniov (a.) 470 Magiis (a.) 466
Flakís (a.) 500 Ma¥ı̈ov (a.) 467
Flavina (t.) 215 Maiv (a.) 230
Fluusaí (te.) 221 Mais (a.) 224, 401
Gaavis (a.) 503 Mamerks (a.) 503
Ga¥ı̈ov (a.) 464, 470 Mamertei (te.) 221
G(avis) / [G]aPis (a.) 464, 466, 469, Mamertei (te.) 228
488 Mamertioi (te.) 229
Genita (te.) 224 Mamerttieís (a.) 503
Gnaı̃ov (a.) 470 Ma¥mov (a.) 467
Gnaivs (a.) 503 Marad(his) (a.) 504
Gnar (a.) 503 M(ara)h(iis) (a.) 464

.
INDICI ANALITICI 689

Marahis (a.) 504 Pakullis (a.) 466


Mara(j) (a.) 332, 429, 504 Paky¥llov (a.) 467
Marcina (t.) 202, 214 PakPhiv (a.) 468, 504
Marius (a.) 401 PakPiw (a.) 429
Mefitanoi (te.) 221, 229 Papeís (a.) 503
Metiis (a.) 464 Papiis (a.) 466
Mettius (a.) 469 Papius (a.) 464
Minado (a.) 429 Papus (a.) 287
Minakov (a.) 430 Perkens (a.) 503
Minav (a.) 429 petidi(e)v (a.) 517
Minaz (a.) 402, 503, 504 Petro (a.) 516, 517, 518
Minis (a.) 466, 504 Pettianúí (te.), (a.) 228
Mitilis (a.) 464-465, 469 Pisu (a.) 500
Mitl (a.) 503 Plasis (a.) 503
Mo¥tylov (a.) 464 Pla¥twn (a.) 491
Mutíl (a.) 500 Plator (a.) 503
Mutílis (a.) 464-465 Poini[kis] (a.) 488
Mutillis (a.) 465 Pompo (a.) 516, 517
Mutilus (a.) 464 Puinik(is) (a.) 466, 488
Ner (a.) 224, 232 púmpaiians (e.) 438, 439
Ninnius (a.) 468-469 Púntiis (a.) 516
Niymsdihiv (a.) 230 Rustix (a.) 500
Niumsis (a.) 228-230, 232, 503 Sabinís (a.) 500
Nola (t.) 209 Saipinaz (a.) 500
NoPio (a.) 430 Saipins (a.) 500
Novius (a.) 402 Salinus (i.) 505
Noyı¥ov (a.) 468 Sehsímbriís (a.) 517
Nummelos (a.) 230 Sepis (a.) 402, 504, 517
Nymfı¥ov (a.) 467-468 Setia (t.) 210
Nymciv (a.) 230 Spedis (a.) 503
Nymyloi (te.) 229 Spellhis (a.) 503
Núviis (a.) 516 stafianam (e.) 438
Núviiúí (a.) 504 Staii (a.) 486
Núvis (a.) 516 Staiís (a.) 464, 466, 469
Núvvello- (a.) 500 Stallius (a.) 469
Opiev (a.) 468 Staties (a.) 466
OtaPis (a.) 503-504, 517 Statiev (a.) 428
Ovius (a.) 402 Statis (a.) 224, 402
Paakiu (a.) 466, 504 Statiw (a.) 429
Paakul (a.) 465, 504 Stattiv (a.) 469
Paapis (a.) 464 Steniklús (a.) 469-470
Paccius (a.) 287, 465, 493 Stenis (a.) 52, 53, 464, 469, 471, 503
Pacilus (a.) 287 Steniv (a.) 52, 53
Pacis (a.) 466, 471 Stenius (a.) 402, 493
Pacius (a.) 492-493 Stenniv (a.) 469
Pacuis (a.) 471 [S]ue¥niov (a) 470
Paculus (a.) 287 Sthenius (a.) 454, 468-469, 487, 492
Pacuuius (a.) 468, 486-487 tiiatium (t.) 436
Pakı¥ov (a.) 467-468 Tintiriis (a.) 466
Pak(is) (a.) 402, 465-466, 488, 503, 504 Titidiev (a.) 52, 469
Pakiu (a.) 465 Trebav (a.) 232, 503
Pa¥kkiov (a.) 467-468 Trebatiev (a.) 232
Pakkuiis (a.) 468 Trebiis (a.) 224
Pakol (a.) 429 Trebis (a.) 224, 402, 470
Pakthiv (a.) 468, 504 Trebius (a.) 504

.
690 INDICI ANALITICI

Trebula (t.) 210 Peligno


Tríbuf (a.) 500
Tríhpíu (a.) 470 A. (a.) 330
Úhtavis (a.) 485, 516 Acai (a.) 331
Upfals (a.) 402 Acca (a.) 325, 326, 331, 332, 334, 337
Úppiis (a.) 504 Ac(c)aes (a.) 231, 331-333
*Úppis (a.) 517 Accaeus (a.) 231, 325, 326, 332, 333,
Uria (t.) 210 215 337
*Úvis (a.) 517 Accau[ (a.) 331
Uvis (a.) 504 Accauo (a.) 331, 332
Par (a.) 503 Accaus (a.) 331
Velia (t.) 211 Ammaus (a.) 331, 334
Velianus (e.) 211 Anaes (a.) 231, 331, 337
veneliis (a.) 321 Ania (a.) 331, 334, 337
venilei (a.) 321 Aniaua (a.) 331, 334, 335
Vettius (a.) 400 Anies (a.) 231, 331, 334
Vibis (a.) 401 An(n)iaes (a.) 331, 334, 337
Pibi(v) (a.) 429 Annius (a.) 331, 334
Vibius (a.) 470, 486-487 As. (a.) 331
Viíbis (a.) 485 Aties (a.) 331, 335
viniciiu (a.) 321 Attius (a.) 332, 335
vinuxs (a.) 321 Aufilius (a.) 330
Virriis (a.) 469-471 Aufilli (a.) 330
Virrius (a.) 470, 486-487, 493 Brata (a.) 331
viteliú (t.) 440 C. (a.) 331, 337
Calauan. (a.) 331
Paleoitalico Char. (a.) 331, 337
Decries (a.) 327, 467
adaries (a.) 52 Gaius (a.) 332
alies (a.) 52, 336 Graex (a.) 331
anaiúm (a.) 336 Gritto (a.) 331
aniom (a.) 336 Her. (a.) 327
Apaes (a.) 105, 112, 336 Hercolo (te.) 221
apaio- (a.) 106, 109, 112 Iovio (te.) 221
apais (a.) 52, 336 L. (a.) 331
Apaiús (a.) 105, 112, 336 Mancinus (a.) 325
apies (a.) 336 Mar. (a.) 331, 337
apiese (a.) 336 Min. (a.) 327, 329
Apúnis (a.) 112 Musedi (a.) 467
cnaiviies (a.) 52 Musesa (a.) 467
esmín 52 Nerua (a.) 331
luvcies (a.) 52 Ou. (a.) 329
p[-]les (a.) 52 Ouia (a.) 467
po[m]pú[n]ies (a.) 52 P. (a.) 331
safino- (e.) 111, 144-145 Pa[– – –] (a.) 467
safinús (e.) 438 Pac. (a.) 327
Setums (a.) 504, 539 Paci(s) (a.) 327, 467
tefeh 51 Pacia (a.) 467
tefeí 51 Paelignus (a.) 332
uepetín 52 Pet. (a.) 327, 331
Veneleis (a.) 232 Peumpuni (a.) 330
Venilei (a.) 232 Pompona (a.) 329, 333, 336
videtas 51 Post. (a.) 331
Viniciiu (a.) 232 Protogene (a.) 331
Vulieis (a.) 232 Ptruna (a.) 329, 330, 333, 336

.
INDICI ANALITICI 691

Rufries (a.) 329 T. (a.) 322


Rufus (a.) 331 V. (a.) 322
Sa. (a.) 331 Veti (a.) 322
Saluius (a.) 326
Saluta (a.) 331, 334
Satricus (a.) 325 ITTITO
Sex. (a.) 327
per 154
Solimus (a.) 325
parn- 154
T. (a.) 331
V. (a.) 330, 331
Vib. (a.) 329, 331, 337 LATINO
Vibia (a.) 329
Vibius (a.) 325, 326, 332, 337 Abella (t.) 569, 570
Abellanae (t.) 570
Umbro Abellinae (nuces) (t.) 570
Acca (a.), (te.) 104, 231
Ahal (a.) 273 Accianus (a.) 619
Ankar (a.) 393 Accius (a.) 454, 457-458, 472
Cerfo (te.) 221 Acerrae (t.) 66, 436, 437
Cerus (te.) 224 Achaei (e.) 413
Her(i)e (te.) 224, 230, 232-233 Achiui (e.) 413
*Lousis (< *Lousyo-s < *Loukyo-s) 538 Acilia (a.) 259
Martia (te.) 224, 230 Acilianus (a.) 622
Martio (te.) 221 Acilii (a.) 458
Nerio (te.) 224, 230, 232, 233 Acragas (t.) 411, 416
Setums (a.) 517 Aebutia (a.) 285
Trutitis (a.) 517 Aebutius (a.) 285
Vois. (a.) 394 Aelius (a.) 265
Aemilia (a.) 286, 287, 366
Vestino Aemilianus (a.) 366
Aemilius (a) 286
Acca (a.) 331, 334 Aesar (i.) 64, 65, 67
Accaus (a.) 331-334 Aesarus (i.) 64
]ares (a.) 322 Aesculapius (te.) 410
Attio (a.) 331, 335 Aesernia (t.) 66
C. (a.) 331 Aesis (i.) 64
Caesienus (a.) 324 Aesontius (i.) 64
Cimber (a.) 331 Africa (t.) 65, 66
Cosanus (a.) 327 Africanus (a.) 521
Ebdies (a.) 322 Africus (e.) 213
Fadatruni[ (a.) 322 Agella (a.) 572
Herclo (te.) 411 ager 435
L. (a.) 322 Agrigentum (t.) 411, 435
Licina (a.) 329, 330, 333, 336 Agrippa (a.) 415, 502, 504
Ma[ (a.) 322 Agylla (t.) 572
Ob. (a.) 322 Agyllini (e.) 575
Ou. (a.) 322 Ahala (a.) 270, 272-274
Pedlies (a.) 322 Ahius (a.) 231
Pontediu[ (a.) 322 Aiax, -acis (a.) 412
Q. (a.) 327 Aimilius (a.) 286
Raponi (a.) 331 Aius (te.) 230, 231
Ria[ (a.) 322 Alba Longa (t.) 276
Sa. (a.) 322 Albani (e.) 571
Sal. (a.) 324 Albanius (a.) 458
Saluta (a.) 329 Albinii (a.) 262, 276

.
692 INDICI ANALITICI

Albinus (a.) 259, 285 Attidianus (a.) 622


Albula (i.) 67, 68 Attius (a.) 94, 104, 105-118, 394
Albus (a.) 262, 277, 285 Attus (a.) 94, 105-118, 394
Alexander (a.) 409, 410, 412 Audena (i.) 70
Alixentros (a.) 409, 410, 412 Aufeia aqua (i.) 70
Allifae (t.) 435, 438, 441 Aufentum (i.) 70
Allius (a.) 521, 523 Aufid(i)us (i.) 70
Almo (a.) 558-559 Aufidus (t.) 438
Ambustus (a.) 270, 274 Augurinus (a.) 265, 266, 521, 526
Amentinus, (a.) 266 Augustus (a.) 416
Amintinus, (a.) 266 Auliani (a.) 622
Amp(h)io(n) (a.) 414, 415 Aulus (a.) 501, 502
Am(p)sanctus (i.) 566 Aurelia (a.) 226
Anchises, (-sa) (a.) 415 Auruncus (a.), (t.) 280
Ancus (a.) 394 Ausar (i.) 70
Aneus (a.) 502 Auser (i.) 70
Anio (i.) 65, 566 Avens (i.) 552
Anna (te.) 230, 231, 232 Aventinus (a.), (o.) 551-552, 558
Annaeus (a.) 231 Avernus (lacus) (i.) 66
Annius (a.) 231, 394 Axilla (a.) 270, 272, 273, 274
Antemnae, –arum (t.) 566 badius 167
Antistius (a.) 468 Baeblus (a.) 449
Antonianus (a.) 619 Baebulus (a.) 449
Antonii (a.) 262 Baiae, –arum (t.) 564
Anxur (t.) 67 Baleares (t.) 412
Anxurnus (e.) 67 Barba (a.) 521
Apello, -inis (te.) 410, 411 Barbarus (a.) 521
Apollinaris (a.) 223 Barbatus (a.) 255-258, 283, 286
Apollo, -inis (te.) 410, 411 Bassus (a.) 521, 524, 526
Appii Forum (t.) 419 Bella (t.) 570
Appius (a.) 335, 519 Bellona (te.) 416
Apragopolis (t.) 417 Bibulus (a.) 449
Aquila (a.) 521 Blandus (a.) 458
Aquileia (t.) 66 Bodincus (i.) 63-64
Aquileiensis (a.) 521 Bovianum (t.) 439
Aquilius (a.) 66 Bradanus (i.) 69
Aquilo (i.) 65 Broccus (a.) 521
Aquilonia (t.) 65, 68, 438, 439 brunda (t.) 411
Aquino (a.) 521 Brundisium (t.) 411
Aquinum (t.) 438 Bruti (a.) 267, 268
Archilaus (a.) 415 Brutus (a.) 252, 267, 268, 283, 286
Archippe (t.) 553 Bubulcus (a.) 267
Archippus (a.) 553 Burrus (a.) 409, 410
Ariminus (i.) 69 Buxentum (t.) 410
Arpinas (e.) 200 Byblius (a.) 449
Arpinum (t.) 200 Caecilii (a.) 462, 483
Arruntius (a.) 230 Caecilius (a.) 520, 525
Asclepius (te.) 410 Caeculus (a.) 556, 568
Asconius (a.) 461 Caecus (a.) 519
Asper (a.) 521 Caelimontanus (a.) 270
Aternus (i.) 66 Caere (t.) 226, 572, 575, 576
Atilianus (a.) 622 Caeretani (e.) 575
Atilius (a.) 527 Caesar (a.) 502
Atina (t.) 228, 564 Caesennia (a.) 420
Atta (a.) 92, 94, 105-118, 335, 360 Caesius (a.) 458, 472, 526

.
INDICI ANALITICI 693

Caesus (a.) 453, 458 Cicero (a.) 99, 521


Caieta (a.), (t.) 564 Cicurinus (a.) 270, 286
C(aius) (a.) 462, 467 Cilo (a.) 521, 525
Calaber (e.) 213 Cincinnatus (a.) 458
Callaicus (a.) 268 Circe (a.) 569
Calussa (a.) 257 Cisra (t.) 573
Calvio (a.) 521 Citius (a.) 453
Calvus (a.) 280, 285, 521 Clani(u)s (i.) 69
Camenae 413 Clarus (a.) 521
Cameria (t.) 211 Claudia (a.) 237, 238
Camerinus (a.), (e.) 211, 276 Claudii (a.) 264, 265, 280, 285
Camillus (a.) 133 Claudius (a.) 107, 236, 259, 264, 269,
Campania (t.) 565 285, 335, 519
Canopus, -bus (t.) 411 Clausus (a.) 236-238, 335, 360
Capito (a.) 521, 524, 526 Clemens (a.) 521, 524-526, 528, 529
Capitolinus (a.), (t.), 276, 278-280 Clodia (a.) 237
Capua (t.) 570 Clodius (a.) 107, 416
Capys (a.) 565 Cloelii (a.) 280, 281
Carius (a.) 456 Clusium (t.) 436, 439
Carsioli (t.) 437 Cnaeus (a.) 396, 460
Carthago (t.) 411, 434, 435, 437, 441 Collatinus (a.), (t.) 276
Carus (a.) 503 Cominius (a.) 280
Cascellius (a.) 527 Cora (t.) 211
Casilinus (i.) 68 Coranus (e.) 211
Casius (a.) 453 Coras (a.) 551, 552
Casontonia (t.) 68 Cordus (a.) 521, 528
Cassia (a.) 526 Corfinium (t.) 438
Cassius (a.) 521, 522, 526, 527 Cori (t.) 552
Castricius (a.) 528 Coriolanius (a.), (t.), 278
Casuentini (e.) 68 Cornelia (a.) 260, 262, 366
Casuentus (i.) 68 Cornelii (a.) 285, 286
Cata (a.) 453 Cornelios (a.) 255, 257
Catamitus (a.) 410, 412 Cornelius (a.) 230, 254, 255-257, 263,
Catana (t.) 414 285, 287
Catane (t.) 414 Cornutus (a.) 276
Catillus (a.), (o.) 551, 552 Corona (a.) 521
Catina (t.) 414 Cortona (t.) 436
Catius (a.) 453, 461 Corvinus (a.) 284
Cato (a.) 99, 453 Cosānus 548
Catronius (a.) 623 Cosinius (a.) 527
Catullus (a.) 90, 91 Cosius (a.) 453
Ceisia (a.) 458 Cossus (a.) 287
Celatus (a.) 527 Cota (a.) 453
Celer (a.) 521, 524, 526, 529 Cotius (a.) 453
Censor (a.) 521 Crassi (a.) 264, 280
Centho (a.) 519 Crassus (a.) 268, 269, 285
Ceraunus (a.) 521 Crescens (a.) 521
Cerere (te.) 221 Crispus (a.) 521, 524, 527
cereria (te.) 242 Cumae (t.) 409, 436
Cervolus (a.) 521 Cunctator (a.) 243
Cesius (a.) 453 Cupitus (a.) 521, 524, 526
ceterus 540 Cures, –ium (t.) 565
Chalcidenses (e.) 571 Curinus (e.) 67
Chilo (a.) 521 Curitis (te.) 67
Chiteris (a.) 420 Cursor (a.) 243

.
694 INDICI ANALITICI

Cutiliae, -arum (i.) 567 Ferentinum (t.) 210


-cutio 182 Feronia (te.) 223
Cuttiae (t.) 436 Ferox (a.) 521, 526
Cypare (a.) 418 Ferter (a.) 106, 110, 111, 113, 114, 131,
Cytheris (a.) 420 360
Damarati (a.) 252 Fertor (a.), (i.) 113, 132
Dauid (a.) 415 Fidelis (a.) 412
Decellius (a.) 518 Fidenae (t.) 280
Decennius (a.) 518 Fidenas (a.), (t.) 280
Decidius (a.) 518 Fimbria (a.) 500
Decilius (a.) 518 Firma (a.) 527
Decimius (a.) 285, 502, 515, 516, 518 Firmus (a.) 521, 524-26
Decirius (a.) 518 Firvius (a.) 528
Decitius (a.) 518 Flaccus (a.) 259, 520, 521, 524
Decius (a.) 516-518 Flaminii (a.) 262
Denter (a.) 462 Flaurus (a.) 417
Dexter (a.) 501 Flavus (a.) 285
Dianius (a.) 223 Flora (a.) 420
Dido (a.) 414 Florentia (t.) 438
Diespiter (te.) 235 Florus (a.) 417, 521
Digentia (i.) 69 Formiae, –arum (t.) 567
Dionysius (a.) 410, 412 Fortuna (te.) 233
Diovis (te.) 235 Fortunatus (a.) 529
Diovos (te.) 233 Frento (i.) 65
Dis (te.) 413, 416 Fronto (a.) 521, 526
Domitius (a.) 527 Frugi (a.) 500, 521
Droy¥silla (a.) 418 Fulginiae (t.) 437
Drusus (a.) 521 Fulvianus (a.) 500
Ducetius (a.) 234, 238 Furfo (t.) 438
Duilii (a.) 262, 286 Furii (a.) 276
Duillius (a.) 458 Furius (a.) 276
Epona (te.) 416 Fuscus (a.) 521, 524, 526, 529
Esquilinus (a.), (t.) 280, 285 Fusus (a.) 270, 287
Etruria (t.) 572 Gabii (t.) 207
Etrusci (e.) 440, 573 Gaius (a.) 395, 396, 502, 503
Etruscus (a.) 521 Galaesus (a.), (i.) 558, 559
Euclides (a.) 417 Gallius (a.) 266, 267, 500, 521, 524
Europus (a.) 468 Gallus (e.) 213
Ey¥toykeı¥a (a.) 419 Ganymedes (a.) 410, 412
Eutucia, (a.) 419 gaudere 502
Eutychia,(a.) 419 Gavillus (a.) 521, 526
Exorati f. (a.) 302 Gavius (a.) 502, 527
Fabia (a.) 274 Gela (t.) 414
Fabii (a.) 270, 274, 277 Gelani (e.) 414
Fabius (a.) 104, 458 Gelenses (e.) 414
Fabullus (a.) 521, 526 Gellius (a.) 284
Faesus (a.) 265, 266 Geloi (e.) 414
Falernus (ager) (t.) 66 Gemellius (a.) 526
Falisci (e.) 567 Genialis (a.) 527
Faliscus (e.) 196, 213 Genucia (a.) 265
Falto (a.) 500 Genucii (a.) 266
Faustus (a.) 502 Genucius (a.) 265
Favor (a.) 521, 526 Germanus (a.) 521
Felix (a.) 500 Geryon (a.) 564, 565
Ferentinas (e.) 210 Geta (a.) 500

.
INDICI ANALITICI 695

Giove (te.) 221, 236 Iulianus (a.) 521


Glaucus (a.) 571, 572 Iulium Carnicum (t.) 158
Gnaeus (a.) 502 Iulius (a.) 101, 521, 525, 526
Gnaivod (a.) 255 Iunii (a.) 267, 268
Gracchus (a.) 500 Iunius (a.) 252, 268
Graeci (e.) 409, 410, 572 Iunonis (te.) 224, 233
Graecolatini (e.) 410 Iuppiter (te.) 235
Graecostasis 417 Iuvenior (a.) 521, 529
Graeculi (e.) 409, 413 Kaeso (a.) 396, 458
Graecus (e.) 213 Kauidios (a.) 502
Granius (a.) 527 Kuintos (a.) 176
Halaesus (a.) 552, 554 Labeo (a.) 468, 500, 521
Halesus (a.) 567 Labicanus (e.) 211
Hector (a.) 414 Labicum (t.) 211, 571
Heliofo (a.) 420 Labicus (a.) 571
Helpis (a.) 418 Laepocus (a.) 462
Helurus (i.) 68 Lanatus (a.) 270
Helva (a.) 285 Lara (a.) 417
Helvinus (i.) 68 Larcii (a.) 285
Heneti (e.) 411 Larentia (te.) 231
hercle (te.) 410, 411 Lares (te.) 228
Hercules (te.) 410, 411, 565 Lars (a.) 502
Herennius (a.) 529 Lateranus (a.) 500
Hernici (e.) 565 Latine 409
Hispallus (a.) 76, 92, 98, 149 Latini (e.) 571
Hispania (t.) 565 Latinius (a.) 525
Hister (a.) 468 Latinus (a.), (e.) 212, 525, 569
Homuncio (a.) 521 Latium (t.) 209
Horatii (a.) 286 Latona (te.) 416
Horatius (a.) 235, 271, 274 Laudicea (t.) 409
Hostilia (t.) 95 Lemnos (t.) 209
Hostilii (te.), (a.) 228 Lentulus (a.) 287
Hostilius (a.) 94, 95, 119, 135, 140-142, Lepidus (a.) 521
396 Leucesie (a.) 237, 238
hostis 177 Licinii (a.) 285
Hostius (a.) 94, 95, 135, 140-142, 370 Licinius (a.) 280, 285, 521
Hostus (a.) 94, 95, 119, 135, 502 Licinus (a.) 502
Hundanius (a.) 414 Ligur (a.) 521
Hydruntum (t.) 434, 435 Ligustinus (e.) 213
Ianiculum (t.) 440 Liquentia (i.) 69
Iccius (a.) 454 Literna palus (i.) 69
Illyricus (a.) 521 Liternus (i.) 69
Imperiossus (a.) 279, 286 Liuiaes (a.) 419
Ingenuus (a.) 527 Liuius (a.) 410
Inregillenses (a.) 280 Locutius (te.) 230, 231
Inregillensis (a.) 264, 277 lodices 410
Inregillum (a.) 265 Longinus (a.) 521
Iosimus (a.) 416 Longus (a.) 286, 458, 521, 524
Iovis (te.) 235, 236 Loucesios (a.) 237
Iovius (te.) 230 Loucetios (a.) 237
Istanius (a.) 454 Loucilia (a.) 458
Italia (t.) 65, 72, 415, 417, 440, 567 Lucerius (a.) 237
Italici (e.) 409 Lucesie (a.) 236
Italicus (a.) 461 Lucetius (a.), (te.) 234-239, 245
Iulia (a.) 101, 102, 366, 456 lucidus 502, 503

.
696 INDICI ANALITICI

Lucius (a.) 252-257, 396, 415, 458, 462, Matelius (a.) 450, 465
467, 502, 503 Matellaeus (a.) 450
Lucretii (a.), (t.) 277 Matellio (a.) 450
Lucretius (a.), 285 Matilia (a.) 462
Lucusta (a.) 527 Matilius (a.) 462
Lupercus (a.) 522 Matisius (a.) 232
Lupiae (t.) 436 Matusia (te.) 232
Lupus (a.) 267 Matusius (a.) 232
Luscus 539 Maxima (a.) 528
Lympha (te.) 230 Maximianus (a.) 523
Macedonicus (a.) 500 Maximus (a.) 522, 524-526, 528
Macer (a.) 38, 522, 524, 526 Medullinus (a.) 276
Maelius (a.) 273, 278, 280 Mefitano (t.) 221
Magius (a.) 522 Mefite (te.) 221
Magna Graecia (t.) 409 Mefitis (te.) 67, 68, 229
Magnus (a.) 416, 500, 522 Mefula (t.) 67, 68
Maia (te.) 224 Megellus (a.) 500
Maius (a.) 224 Memmii (a.) 262
mala Punica 569 Mercasius (a.) 449
Malchio (a.) 411 Mercurius (te.) 413
Mam(i)us (a.) 104, 525 Merula (i.) 67
Mamercinus (a.) 285, 286 Merxius (a.) 449
Mamercus (a.) 286, 502 Messalina (a.) 413
Mamurius (te.) 230-233 Messalla (a.) 76, 87, 92, 149, 284
Manilius (a.) 75 Messapus (a.) 551-554
Manius (a.) 92, 96, 224, 396, 502 Metalli 483
Manlia (a.) 271, 278, 286 Metapontum (t.) 435
Manlii (a.) 271 Metela (a.) 298
Manlius (a.) 279, 529 Metelius (a.) 450-451, 461-462, 465
Mansuetus (a.) 522, 527 Metelli (a.) 483
Marcellinus (a.) 462 Metellius (a.) 450, 527
Marcellus (a.) 259, 500, 522, 524, 527 Metellus (a.) 450-452, 462, 472, 493
Marcii (a.) 285 Metilianus (fundus) (t.) 462
Marcius (a.) 252, 258, 265, 278, 499, Mettius (a.) 94, 141
527 Mettus (a.) 94, 141
Marcosius (a.) 449 Mifinum (t.) 67
Marcus (a.) 133, 224, 279, 397, 458, Minerva (te.) 232
462, 464, 468, 470, 499, 502, 519 Minervius (a.) 223
Mare (i.) 69 Minio (i.) 65, 68
Marica (te.) 69 Mino(r) (a.) 528
Maricae (palus) (t.) 212 Mino(s) (a.) 528, 571, 572
Maricla (i.) 69 Minturnae (t.) 66
Marii (a.) 262 Minucia (a.) 265
Marius (a.) 525 Minucii (a.) 266, 280
Marrubii (e.) 565 Minucius (a.) 259, 265, 266, 522, 523
Mars (te.) 228, 229 Miro (a.) 420
Marte (te.) 221, 224, 228, 229 Mistyllos (a.) 418
Martialis (a.) 223, 225, 527 Mitilius (a.) 450
Martis (te.) 224, 230, 233 Modestus (a.) 522
Martius (te.) 228-230, 232, 233 Modius (a.) 110, 113
Marxius (a.) 449 Moera (t.) 570
Massalia (t.) 414 Montanus (a.) 279
Massicus (a.) 551 Mugilla (t.) 277, 283
Massilia (t.) 414 Mugillanus (a.), (t.) 277, 279, 283
Matelio (a.) 450 Mummii (a.) 262

.
INDICI ANALITICI 697

Munio (i.) 68 Oppius (a.) 517


Muranum (t.) 571 Optatus (a.) 522, 524, 526
Muranus (a.) 570, 571 Orestes (a.) 500
Murrani (e.) 571 Orfeus (a.) 420
Murranus (a.) 571 Orsminnius (a.) 527
Mutatio Aquilonis (t.) 65 Osci (e.) 440
Mutila (t.) 465 Oufens (i.) 70, 505
Mutilius (a.) 464 Ovius (a.) 517
Mutilum (t.) 465 Paccius (a.) 455, 465, 467
Mutilus (a.) 450-451 Pacuuius (a.) 455, 465, 468
Mutina (t.) 465 Padus (i.) 63-64
Mutunus (te.) 232 Paestum (t.) 440
Naevius (a.) 235, 525 Paetinus (a.) 500
naevos 502 Paetus (a.) 265
Nar (i.) 565 Panormus (t.) 435
Nasica (a.) 500 Papiria (a.) 277
Natta (a.) 522 Papirii (a.) 277, 279, 285
Nautii (a.) 285 Papirius (a.) 283
Navius (a.) 116-117 Papius (a.) 104, 267
Neapolis (t.) 435 Paq(u)ius (a.) 455, 465
Neapolitani (e.) 419 Parius (a.) 456
Nepos (a.) 500 Passer (a.) 522
Nero (a.) 500, 519 Pastor (a.) 527
Neuna (t.) 237 Paulla (a.) 528, 529
Nicia (a.) 415 Paullinus (a.) 529
Nicolaus (a.) 415 Paul(l)us (a.) 528, 529
Nigellio (a.) 522 Pedo (a.) 522
Niger (a.) 71, 415, 522, 524, 526, 526 Pelasgi (e.) 572, 573
Nigrum (i.) 71 Pennus (a.) 500
N(inius) (a.) 470 Pera (a.) 420
noborsinia 510, 511 Peregrinus (a.) 522, 526
Nodinum (i.) 71, 72 Perenna (te.) 230-232
Nola (t.) 569, 570 Persephone (te.) 412
Nonius (a.) 515, 516 Peticus (a.) 500
Nonus (a.) 516 Petro (a.) 397
Novellus (a.) 522 Petronius (a.) 517, 527
Novius (a.) 516, 517 Phidelis 412
Numa (a.) 87, 231, 237 Philippus (a.) 259
Numasios (a.) 228 Phliasii (e.) 419
Numerius (a.) 397, 518 Picti (e.) 167
Numidae (e.) 411 Pinaria (a.) 286
Numisius (te.), (a.) 228-233 Pinarii (a.) 417
Numiternus (te.) 228, 229 Pinarius (a.) 285, 522, 527
Numitorius (a.) 527 pingō 164, 167
Occius (a.) 454 Piraea (t.) 413
Octauius (a.) 485 Piraeum (t.) 413
Octavia (a.) 366 Pisae (t.) 436, 437
Octavianus (a.) 366 Pistoriae (t.) 437
Octavius (a.) 515-517 Placentia (t.) 438
Octavus (a.) 400, 502, 516 Placentius (a.) 521
October 509 Pluton (te.) 413
Odyssea 410 Poblicola (a.) 252, 283, 284
Ofens (i.) 70 Podlouquei (te.) 410, 415
Ogulnia (a.) 265 pol (te.) 410, 415
Opiter (a.) 276 Pola (a.) 528

.
698 INDICI ANALITICI

Pollio (a.) 522, 524, 529 Puteoli (t.) 410, 437


Polluces (te.) 410, 415 Pyrrhus (a.) 409, 410
Pollux (te.) 410, 415 Pyxus (t.) 410
Polo(u)ces (te.) 410, 415 Qata (a.) 453
Pompaelo (t.) 439 Quartius (a.) 462
Pompeianus (e.) 439 Quartus (a.) 519, 524, 525, 526
Pompeii (t.) 436, 441, 565 quatio 182
Pompeiopolis (t.) 419 Quinctia (a.) 278, 279
Pompeius (a.) 416, 420, 439, 516 Quinctii (a.) 286
Pompilius (a.) 75, 96, 143 Quinctius (a.) 458, 515, 516
Po(m)po (a.) 398 Quintallos (a.) 179
Pomponius (a.) 410, 525 Quintilius (a.) 96
Pomptinae paludes (t.), (i.) 564 Quintius (a.) 96
Pontanus (a.) 522 Quintus (a.) 96, 303, 396, 464, 468,
Pontius (a.) 516, 529 502, 515, 519
Poplicola (a.) 106, 132-135, 136, 271, Quirinus (te.) 97
272, 283, 284 Quirites (e.) 565
Poplio(s) (a.) 106, 360, 502 Reate (t.) 437, 567
poplos 502 Reburrus (a.) 522
Poppaeus (a.) 525 Receptus (a.) 522, 526
Populonia (t.) 439 Rectus (a.) 522
populus 502 Regillensis (a.) 276, 277, 285
porta 156 Regillum (t.) 265
Posilla (a.) 528 Regillus (t.) 265
Postumia (a.) 285 Regulus (a.) 522
Postumii (a.) 262, 276, 277 Repentinus (a.) 522
Postumius (a.) 100, 259, 262, 277, 285 Resius (a.) 106, 110, 113, 131, 360
Postumus (a.) 502 Rhea (a.) 552, 558
Potitus (a.) 252 Rhea Silvia (a.) 558
Praeneste (t.) 231, 568 Rhodiensis (e.) 415
Praesens (a.) 522, 524, 526 Rhod-ius (et.) 415
Prima (a.) 525, 527 Rhodus (t.) 415
Primigenia (a.) 527 Rocus (a.) 270
Primio (a.) 522 Roma (t.) 148, 209, 238, 417
Primitivus (a.) 527 Romani (e.) 409, 565, 572
Primius (a.) 516 Romanus (e.) 409, 420, 522
Primulus (a.) 527 Romulides 419
Primus (a.) 516, 519, 522, 524-528 Romulus (a.) 76, 118, 119, 140, 146-149
Prisca (a.) 527, 529 Rubico (i.) 65, 67
Prisci (a.) 252 Rudiae (t.) 436
Priscus (a.) 252, 280, 522, 524-527, 529 Rufinus (a.) 285
Probus (a.) 522, 523, 524, 526 Rufus (a.) 259, 274, 285, 302, 412, 522-
Proculus (a.) 287, 522, 524, 524 526
Propertianus (a.) 458 Ruphus (a.) 412
Properzio (a.) 225 Ruso (a.) 522
Proserpina (te.) 412 Russus (a.) 269, 285, 519
pubes 502 Rusticus (a.) 523, 526
Publicola (a.) 106, 132-135 Rutilus (a.) 265, 285
Publilius (a.) 265, 287 Sabini (a.), (e.) 238, 438, 565
P(ublius) (a.) 132-135, 230, 398, 462, Sabinianus (a.) 523
502 Sabinus (a.), (t.) 264, 265, 280, 468,
Pudens (a.) 522, 525 519, 523-525
Pulcher (a.) 416, 519 Saguntinu(m) (e.) 434
Pulvillus (a.) 270-272, 274 Saguntinus (e.) 434
Pusio (a.) 522, 526 Saguntum (t.) 434, 435, 437, 441

.
INDICI ANALITICI 699

Salernum (t.) 66 Silvius (a.) 558


Saliare 236, 238, 239 Sipontum (t.) 435
Salii (a.) 237 Socaenus (a.) 449
Salvius (a.) 398, 523, 524, 526 Socienus (a.) 449
Samnites (e.) 440 Socinus (a.) 449
Sardus Pater (te.) 33 Soranus (a.), (t.) 283
Satrius (a.) 412 Spineticum ostium (i.) 71
Saturio (a.) 523, 526 Spino (i.) 71, 72
Saturninus (a.) 223, 523, 524, 529 Spurius (a.) 398, 420, 501, 502
Saturus (a.) 468 Staberius (a.) 454
Savo (i.) 65 Stabiae (t.) 436, 438
Scaeva (a.) 523, 526 Stabilio (a.) 523-525
Scapula (a.) 254-258, 263, 283 Stata (te.) 224
scarpia 508, 510 Statellae (t.) 212
Scipio (a.) 255-258, 283 Statius (te.) 224
Secunda (a.) 526 Stenius (a.) 470, 527
Secundinus (a.) 527 Stennius (a.) 470
Secundus (a.) 462, 519, 523-529 Stephane (t.) 569
Seius (a.) 420 Stertinius (a.) 420
Selinus (t.) 435 Structus (a.) 270, 272, 273
Semigraeci (e.) 410 Successor (a.) 527
Sempronius (a.) 527 Sulci (t.) 210
Seneca (a.) 523 Sulla (a.) 87
Senecio (a.) 523, 524 Sulmo (a.) 556
Sentinum (t.) 232 Sulpicii (a.) 276
Seppius (a.) 517, 526, 528 Sulpicius (a.) 276
Septem maria (i.) 69 Super (a.) 523-526, 529
Septimius (a.) 398, 515, 516 Superbus (a.) 252
Septimontium (t.) 278 Sutrium (t.) 437
Septimus (a.) 502, 516, 517, 539 Taburnus (o.) 66
Septumus (a.) 539 Tanager (i.) 71
Serenus (a.) 523 Tanagrus (i.) 71
Sergia (a.) 280 Tanarus (i.) 71
Sergii (a.) 280 Taratalla (a.) 418
Sergius (a.) 527 Tardus (i.) 69
Sertor (a.) 398, 502 Tarentum (t.) 411, 435
Servilia (a.) 272 Tarpeius (a.), (o.) 279
Servilii (a.) 270, 276 Tarquatus (a.) 279
Servilius (a.) 272-274, 280 Tarquinii (t.) 436, 437, 439, 441
Servius (a.) 96, 398, 502 Tarquinius (a.) 252, 276
servos 502 Tatius (a.) 104, 118-119
Sestius (a.) 419 Taurus (a.) 468
Severus (a.) 523, 524, 528 Teate (t.) 436
Sex. (a.) 324 Telegonus (a.) 569, 572
Sextius (a.) 515, 516 Telephus (a.) 572
Sextus (a.) 458, 468, 502, 515 Tertia (a.) 519, 526
Sicaenus (a.) 449 Tertius (a.) 519, 523-527
Sicilia (t.) 97, 415, 440 Tertullinus (a.) 462
Siculus (a.), (e.), (t.) 97, 213, 280-281, Tertullus (a.) 523, 526
415, 440 Teutimeitis (a.) 244
Silius (a.) 461 T(h)elis (te.) 412
Silo (a.) 523, 524 Thermus (a.) 523, 524
Siluanus (a.) 319 Thetis (te.) 412
Siluester (a.) 470 Thybris (a.) 572
Silvii (a.) 571 Thyrrus (a.) 558, 559

.
700 INDICI ANALITICI

Tib. (a.) 324 Valesios (a.) 360


Tiber (i.) 438 Varius (a.) 528
Tiberinides 413 Varrone (a.) 220
Tiberinus (e.) 438, 440 Varus (a.) 523, 526
Tiberis (i.) 409, 413, 440, 566, 573 Veicetini (e.) 437
Tiberius (a.) 396, 502 Velabrum (t.) 441
Tibur (t.) 67, 437 Velia (t.) 440
Tiburnus (e.) 67 Velitrae (t.) 437, 441
Ticinus (i.) 63 Velius (a.) 441
Tifernum (t.) 438 Velleius (a.) 441
Tifernus (i.) 66 Venerius (a.) 223, 225
Tiro (a.) 523 Veneti (t.) 411
Titulla (a.) 527 Venetus (e.) 213, 437
Titus (a.) 119, 140, 232, 399, 413, 458, Venturii (a.) 285, 286
468, 502, 527 Venuleius (a.) 529
Tolerinus (a.), (t.) 277 Vercellae (t.) 436
Tolerium (t.) 277 Verdavus (a.) 523
Tolumnius (a.) 557 Verecundus (a.) 523, 526
Trebiae (t.) 437 Verginii (a.) 280, 285
Trebius (a.) 230 Verginius (a.) 276
Tricipitinus (a.), (t.) 270, 277, 285 Verinus (a.) 523, 526
Tricostus (a.) 270, 276 Ver(r)ius (a.) 455
Trimalchio (a.) 420 Verus (a.) 523, 524, 526, 529
Triuia (te.) 413 Vervicius (a.) 523, 526
Trobio (a.) 523 Vesaevus (o.) 570
Trot(t)edius (a.) 517, Vespasianus (a.) 519
Trutelius (a.) 517 Vettius (a.) 524, 526
Trut(t)edius (a.) 517, 518 Vetulonia (t.) 436 437
Trutteius (a.) 517 Veturius (a.), (te.) 230-233, 527
Tubertus (a.) 270 Vetusia 231
Tuccia (a.) 527 Vetusius (a.) 231
Tullia (a.) 462 Viator (a.) 523, 524
Tullius (a.) 277, 286, 519 Vibius (a.) 527
Tusci (e.) 413, 440, 565 Vibo Valentia (t.) 440
Tuscia (t.) 572 Vibulanii (a.) 277
Tutor (a.) 243 Vibulanus (a.) 270, 277
Tutoria (a.) 243 Vicellinus (a.) 270
Tutunus (te.) 232 Vicentia (t.) 438
Tyrrheni (e.) 413 Vicetia (t.) 438
Tyrrhenus (a.) 572 Victor (a.) 243, 523, 526
Ufens (a.), (i.) 70, 505, 551-558 Victrix (te.) 174
Ulixes (a.) 569 Villius (a.) 525, 529
Umber (e.) 555 Vincentia (t.) 438
Umbri (e.) 440 Virgilius (a.) 235
Umbro (a.), (i.) 65, 551-558 Virgula (a.) 523
Ursius (a.) 529 Virillio (a.) 523
Utens (i.) 70 Vir(r)ius (a.) 455
Valens (a.) 412, 523-525 Vitalis (a.) 523, 524, 527
Valentinus (a.) 525 Vitulus (a.) 440, 523
Valentius (a.) 527 Vlixes (a.) 410
Valeria (a.) 272, 283, 526 Volaterrae (t.) 436-437, 439, 441
Valeriana (a.) 526 Volcacius (a.) 527
Valerii (a.), 272, 284 Volcanus (te.) 568
Valerius (a.) 252, 259, 271, 283, 284, Volci (t.) 437
525, 527, 528 Volero (a.) 502

.
INDICI ANALITICI 701

Volscus (a.) 280, 523 Chianti (t.) 69


Volsinii (t.) 436-437, 439 Chiusi (t.) 226
Voltur (o.) 67 Cicerone (a.) 261
Volturnum (t.) 66 Cieco (a.) 268
Volturnus (i.) 66, 67 Cincio (a.) 273
Volumnius (a.) 266, 410 Cinigiano (t.) 548
Volusi (a.) 252 Civitani (a.) 630
Vopiscus (a.) 502, 523, 526 Claudio (a.) 268
Zonesa (a.) 416 Codrongianos (t.) 623
Collatino (a.) 273
Colussa (a.) 258
Prenestino Comiso (t.) 46
Cornelio (a.) 258, 283
Polo(u)ces (te.) 415 Crasso (a.) 268
Cugiano (t.) 548
LINGUE ROMANZE Delfi (t.) 46
Diodoro (a.) 266
Francese Ebla (t.) 28, 33
Eneide 235, 236, 239
Lefèvre (a.) 498 Entella (t.) 44
Equi (a.) 630
Felsina (t.) 634
Italiano Felsineo (e.) 634
Ferrognao (t.) 223
Accio (a.) 268 Ferrogno (t.) 223
Agnone (t.) 221 Festo (a.) 235, 239
Airuno (t.) 297 Filistei (e.) 33
Albalonga (a.) 630 Flavio (a.) 261, 270
Alezio (t.) 242 Flora (te.) 221
Alimento (a.) 273 Foligno (t.) 436
Antas (t.) 25, 33, 35 Fortóre (i.) 132
Appio (a.) 268 Francoforte (t.) 433
Apulia (t.) 241 Frontino (a.) 268, 269
Aretusa (t.), (te.), (a.) 227 Fulvio (a.) 261
Atene (t.) 28, 46 Gela (i.) 44
Auserclo (i.) 70 Gellio (a.) 235, 239
Benevento (t.) 243 Genucio (a.) 266
Benozzo (a.) 233 Giove (te.) 234
Bolsena (t.) 436 Giovio (te.) 221
Bononia (t.) 634 Gneo (a.) 261, 270
Brescia (t.) 284 Gozzoli (a.) 233
Bruto (a.) 268, 273 Grotta della Poesia (t.) 240-243
Cameli (a.) 630 Gubbio (t.) 221
Cameria (t.) 276 Iapigi (a.) 630
Campidoglio (t.) 278 Iapigio (a.) 630
Canosa (t.) 243 Idrontino (a.) 630
Carovigno (t.) 240 Ilioneo (a.) 235
Cartagine (t.) 29, 32-34 Industria (t.) 155
Castracani (a.) 233 Isernia (t.) 66
Castrucci (a.) 233 Italia (t.) 219, 222-224
Castruccio (a.) 233 Labro (t.) 633
Cécina (t.) 202 214 labronico (e.) 633, 636
Ceglie (t.) 242 Lavinio (t.) 236
Cereria (te.) 221 Lecce (t.) 242
Chiana (i.) 69 Liburnia 633

.
702 INDICI ANALITICI

Licenza (i.) 69 Rugge (t.) 241


Lipari (t.) 44 Sabina (t.) 238
Livio (a.) 256-58, 261, 273, 274, 276, Sanniti (a.) 630
278, 280 Santa Maria di Agnano (t.) 240
Lucania (t.) 239 Sant’Arcangelo dei Coreni (t.) 67
Lucio (a.) 268 Sardegna (t.) 25-39
Lucrezia (a.) 268, 274 Scipioni (a.) 254, 257
Lunghezza (t.) 276 Serchia (i.) 70
Macrobio (a.) 236, 255 Serchio (i.) 70
Mactar (t.) 35 Serra di Vaglio (t.) 230
Manlio (a.) 279 Servio (a.) 235-237, 239
Marco (a.) 273 Sicilia (t.) 25-39
Medici (a.) 498 Siculi (a.) 238, 630
Medullia (t.) 276 Sulcis (t.) 33, 34, 38
Méfete (i.) 70 Superbo (a.) 252
Messana (a.) 630 Sutri (t.) 437
Messapi (a.) 240 Tarquinio (a.) 252
Messene (t.) 285 Tharros (t.) 25, 33, 34, 37
Minucio (a.) 266 Tifernati (a.) 630
Monte Sirai (t.) 33 Tivoli (t.) 437
Morgantina (t.) 227 Torrevecchia di Cuti (t.) 227
Mozia (t.) 25, 29, 31, 34, 35, 37 Trevi (t.) 437
Mugnone (i.) 68 Úfita (i.) 70
Muro Lucano (t.) 230 Ugarit (t.) 31, 33, 34, 36, 38
Naxos (t.) 44 Umbri (a.) 630
Negro (i.) 71 Umbria (t.) 227
Neto (a.) 630 Ur (t.) 30
Nevio (a.) 235, 236, 238, 239 Úsito (i.) 70
Nobiliore (a.) 261 Valdichiana (t.) 69
Nora (t.) 25, 26 Valerio (a.) 272, 283
Olbia (t.) 35, 36 Valesio (t.) 240, 241
Osari (i.) 70 Varrone (a.) 286
Osci (a.) 630 Vaste (t.) 240, 241
Ostiglia (t.) 95, 151 Veio (t.) 282
Ostuni (t.) 240 Velletri (t.) 437
Otranto (t.) 242 Virgilio (a.) 239
Paolisi (t.) 623 Volterra (t.) 436
Paolo (a.) 235 Vulci (t.) 282
Partenope (a.) 630 Zuglio Carnico (t.) 158
Partenopeo (a.) 630
Peschiera del Garda (t.) 155 Spagnolo
Piceni (a.) 630
Piceno (t.) 227 Pamplona (t.) 438
Pisa (t.) 437
Pistoia (t.) 437 MESSAPICO
Plàtani (i.) 69
Postumio (a.) 276 Andraios (te.) 240
Pozzuoli (t.) 437 Andreios (te.) 240
Prisco (a.) 252 Andreus (te.) 240
Regi Lagni (i.) 69 Artas (a.) 244
Reno (i.) 497 Artor (a.) 244
Rieti (t.) 437 Aufidus (i.) 505
Roma (t.) 237, 277 Damatria (te.) 242
Rossano di Vaglio (t.) 221, 229, 234, Daranuoa (t.) 411
236, 239 Dazinnes (te.), (a.) 229

.
INDICI ANALITICI 703

Iddes (a.) 244 nendav (a.) 55


Idor (a.) 244 pratomakev (a.) 50
Otor (a.) 244 pyrenov (a.) 55
Otues (a.) 244 Qypei (a.) 55
Taoteuues (a.) 244 raroio (a.) 55
Taotinahiaihi (a.) 244 resev (a.) 49, 50, 52, 53, 54
Taotor (te.) 240, 242 rykev (a.) 49, 50, 52, 53
Taotori (te.) 241 tebeg 51
Taotorres (te.) 242 toyto 51
Teotinihi (a.) 244 Perega- 51
Uaotor (te.) 240, 242 Pide 51
Uaotora (te.) 241 Poltev (a.) 51
Uautour (te.) 241
Ueotor (te.) 242, 244 VENETICO
Ueotori (te.) 241
Ueotorras (a.) 242, 243 Alkomno (te.)
Ueotorrida (a.) 242 Ariuns (a.) 99
Uotor (te.) 242 [A]tgene- (a.) 373
Uotori (te.) 241 Enetioi (a.) 368, 369
Uoturi (te.) 241 Enogenes (a.) 362, 364-368, 370-373
Totor (te.) 229 Enokleves (a.) 368
Tutor (te.) 240, 244 Graiko (a.) 404
Toytw¥ riov (a.) 241, 243 Horaioi (a.) 367
Tutorius (a.) 241, 243 Hostihavos (a.) 136, 137, 138, 370
Caol(n)e (te.) 240 hvagsto 173
Caotor (te.) 242 Ia(n)ts (a.) 362, 365-367, 371
Caotori (te.) 241 Kanta (a.) 90
Caotorrihi (a.) 242 Kantes (a.) 367
Cotor (te.) 242 Kata (a.) 90, 367
Cotori (te.) 241 Katulsto- (a.) 91
Zis Venas (te.) 240 Katusiaios (a.) 367
ktulistoi 173
SICULO Laions (a.) 362, 365-368, 370-371
Laivna (a.) 367
adiomiv (a.) 55 Laivonioi (a.) 367
agiiev (a.) 53 Lemetor (a.) 173
akaram 50, 53 Moldonkeo (a.) 85
Akka (a.) 231 Ostio- (a.) 370
anirev (a.) 49, 50, 52-54 Osts (a.) 362, 365-367, 369-371
araotev (a.) 50 segtio 173
aPev (a.) 51, 54 Šikos (a.) 372
dohit 49 Toupeio (a.) 85, 370
dohitim 49 Vanta (a.) 367
epopaska (a.) 53 Vantaveio- (a.) 367
eyrymakev (a.) 50, 51, 54 Vantkeni[ (a.) 369
geped 51, 53 Venetkens (a.) 362, 365-367, 369-371,
hazsyie[v (a.) 49, 50, 52, 53 373
iam 50, 53 veneto- (e.) 369
im 49, 50 vhagsto 173
italo (a.) 54 Vilkenis (a.) 372
kaka (a.) 54 vineti (e.) 437
kykyiev (a.) 50 vinetikaris 437
kykyov (a.) 50 vineto- (e.) 437
Kypyra (te.), (a.) 227 Voltigenes (a.) 373
marev (a.) 51, 54 Voltiomnio- (a.) 100

.
704 INDICI ANALITICI

B – LINGUE NON INDOEUROPEE

ETRUSCO ap-u-na 509


Aquillia (a.) 283
Acei (a.) 457 Aquillius (a.) 281, 282
axrate (a.) 207 Aranu (a.) 501
axu (a.) 378, 403 Arauenas (a.) 232
Axuias (te.) 230 Arauia (a.) 232
Axuna (te.) 230 aritine (a.) 211
Axunana (te.) 226 Arnqi(a) (a.) 463
acil 501 A[r]n[t] 536-538
Acilu (a.) 501 Arnu (a.) 375, 383-384, 459, 501, 538
Acui (a.) 457 Arnual 537-538
Acvilna(s) (a.) 66, 282 arnti (a.) 379, 383, 404
afle (a.) 378, 402 arnt(i)le (a.) 379, 383, 404
Afrce (a.) 197, 213 Arntlei 537, 540, 542, 544, 546
Af-r(e)-ce (a.) 509 arntu (a.) 379, 404
Af-r(e)-c(e)-na (a.) 509 Arnza 536, 538
af-u 509 arnziu (a.) 379, 383, 404
af-u-na 509 arnzlane(ś) (a.) 199, 211
Ahvricina(si) (a.) 207, 213 Arretium (t.) 211
Aitaś (te.) 233 Artena (t.) 213
Akei (a.) 457 artile (a.) 378, 403
Akiu (a.) 457 artina (a.) 203, 213
Alapu (a.) 501 asate (a.) 207
Alecs(a)ntre (a.) 409, 410, 412 astesine (a.) 199
Alfa (a.) 500 ata 536
Alfina (t.) 202, 213 atale (a.) 383
Alfna (a.) 203, 213 Ate (a.) 378, 394, 501
Alfni (a.) 213 atei (a.) 378, 394
alpan 501 Aunu (a.) 501
Alqrnas (a.) 55 ati(e) (a.) 378, 394
Amriue(sa) (a.) 207 atina (a.) 214
Anae (a.) 501 atinate (a.) 201, 207, 214
ancar (a.) 378, 393 atiuce (a.) 383
anxe (a.) 378, 394 atrane (a.) 198, 211
Ane (a.) 378, 382, 384, 392, 501 atunes (a.) 378, 383, 403
anei (a.) 378 atur 536
Ani(e) (a.) 378, 539, 541 aula (a.) 383
Aniei, -al 539 Aule (a.) 378, 381, 383, 392, 459, 501,
Aniena (a.) 539 536, 538, 546
Anina (a.) 539 Aules (a.) 459, 463
Aninal-c (a.) 537 Aulesa (a.) 536-538
Aninei, 539, 543 Aulesla (a.) 537, 538
anxare (a.) 378, 403 auliu (a.) 383
antru[...] (a.) 378, 403 aulu (a.) 384
Apena 539 aunate (a.) 207
apluni (a.) 378, 383, 403 autu (a.) 384
Apna, -ei (a.) 539 avil 501
Apnal (a.) 537 Avile (a.) 282, 378, 392, 501, 538
Apnei 539, 543 cae (a.) 378, 383, 395-396
ap-re-ce-na 509 Caecina (a.), (i.) 269, 505
ap-rie 509 Caecius (a.) 269
ap-u 509 Caecus (a.) 264, 268, 269

.
INDICI ANALITICI 705

Caere (t.) 210 cezpalxals 509


Caeres (e.) 200, 210 cezp-z 509
Caesena (t.) 202, 214 xerite (a.) 207, 210
cafate (a.) 208 Xeritnei (a.) 575
cai (a.) 378, 383, 387, 395 Xosfer 509, 510
Caises (a.) 460 ci-alx 510
Caisia (a.) 460 ]ciantes (a.) 463
Caisies (a.) 460 cincu (a.) 404
cale (a.) 197, 213 cisvite(sa) (a.) 208
caliaue(si) (a.) 208 clante 500
calisu (a.) 379, 384, 404 clanti 501
calite (a.) 208 cleniar-c 537
Calus (te.) 226 clepatra (a.) 383
Calusna (te.) 226 cleuste (a.) 208
camarine (a.) 211 clevsi (t.) 436, 439
campane (a.) 211 cluate (a.) 378, 400
capatine (a.) 199, 211 cluate(sa) (a.) 208
Capena (t.) 208, 214 Clusium (t.) 208
Capenas (e.) 200-201 Cnaive (a.) 460, 501
capenate (a.) 201, 204, 208, 214 cnaives (a.) 52
capevane (a.) 211 cneve (a.) 378, 396
cap(i)na (a.) 203, 214 Cortona (t.) 201, 208, 214
capine (a.) 199, 211 Cosa (t.) 208
capiu (a.) 379, 383, 404 Cosae 548
capuane (a.) 199, 211 Cos(s)a 548
Capys (t.) 565 craica (a.) 213
Carcu (a.) 501 creice (a.), (e.) 197, 206, 213, 378, 384
carpe (a.) 383 Crespe (a.) 500
carpiane (a.) 199, 211 Cucrina 537, 539, 543
carpnate (a.) 204, 208, 214 cuc-ri-na-uur 509
casp 508 Cucrinauur 539
Caspre (a.) 508, 510, 511 cuc-u 509
Casp-re-s (a.) 508 cumni (a.) 378, 400
Casp-re-ś (a.) 508 cupe (a.) 378, 391
casp-re-sa (a.) 508 curane (a.) 211
Casp-ri (a.) 508 cure (a.) 378, 382, 392
Casp-ri-al (a.) 508 cursp-e-na 508
casp-u 508, 511 cursp-ia 508
Catmite (a.) 412 curuute(ś) (a.) 207, 208, 214
cavie (a.) 378, 396, 501 curuu (t.) 436
ce-alx 510 curtu (t.) 214
ceicna (a.) 202-203, 214 Cusi 549
Ceise (a.) 459 Cusial 549
ceisi (a.) 378, 402, 459, 471 Cusi(e) 549
ceis(i)na(ś) (a.) 214 Cuina 549
Ceisu (a.) 459 Cusine(i) 548
ceisu (a.) 378, 396 Cusiue (a.) 208, 548
Cêlatina 536, 537, 539, 542, 543 Cuslna, -nei 549
Cêlatinas 537, 538 Cuslnei 547
Celemna (t.) 202, 214 Cuslnei 548
celmna (a.) 214 Cusnal 547
cencu (a.) 379, 404 Cusnei 547
certu (a.) 383 Cusnei, -nal 548
cezpa 509 Cusnia 547
cezp-alx 509 Cusnia 548

.
706 INDICI ANALITICI

cusp-er-ie-na 508-510 herclite (a.) 378, 383, 403


cusp-re-ie-na 508, 510 Herec(e)le (te.) 411
Cusu 536, 537, 541, 544-547 herine (a.) 211, 378, 400
Cusu 537, 540, 548 herme (a.) 378, 392
Cusual 537, 540 himiu (a.) 378, 403
Cusui 537, 540, 548 hipucrate (a.) 378, 403
Cusus 537, 540, 548 Hirume (a.) 501
Cusuuura- 540 Horta (t.) 208
Cusuuuras 538 hulu (a.) 379, 406
cutna(s) (a.) 214 hurtate(s) (a.) 208
Cutu, Cutii 510 huśinies (a.) 52
cvinte (a.) 378, 396, 501 hustle (a.) 378, 396
ecnate (a.) 210, 378, 400 [- - -]inauur 537, 540
êliun-t(a)s 538 iucurte (a.) 378, 404
Êpru 546 Kaisie (a.) 460, 501
Êprus 536 kalaprena(s) (a.) 207, 213
eris (a.) 383 Kalatur (a.) 501
Êtru 536, 540, 541, 542, 544 Kanuas (te.) 230
Êtruis 538 Karinaś (a.) 461
eucle (a.) 384 kaviate(s) (a.) 207, 209
evantra (a.) 383 Ko¥ssai 548
Faltu (a.) 501 Ko¥ssan 548
fastia (a.) 384 Kupe (a.) 55
felcinate (a.) 201, 210, 215 kurtina(ś) (a.) 205
felqunate(s) (a.) 210 Kusiuna 548
Felsina (t.) 202, 215 laxu (a.) 383, 501
Fêlsni 536, 540, 543 Lapicane (a.) 211
feluske(s) (a.) 196, 213 Larce (a.) 463
felzna (a.) 215 Larcna (a.) 232
Felzna 540 Lar(i)ce (a.) 378, 383-384, 389, 393
Felzumna (a.) 225 Laris (a.) 389, 383, 501
felzumnate (a.) 210, 215 Laris 536-538, 541, 546
Ferine (a.) 501 Larisal 536-538, 541
flaviena(s) (a.) 215 Larisal-c 537
flaviies (a.) 52 Larisalisa 536, 538, 541
frentinate (a.) 210 Larisalisvla 538
fufluns (t.), (te.) 204, 439 Lariza 536, 538, 541
Fulcni 537 Lart 536-538
Fulna, -nei 540 Laru (a.) 232, 383-384, 457, 459, 463,
Fulni 537, 540, 543 465, 501, 509, 546
Fulu (a.) 379, 384, 406, 459, 501, 540, Larual 537-538
541 Larualisa 536, 538
Fuluśla (a.) 55 Larui (a.) 383, 457, 459, 463
hamfe 501 Laruia (a.) 383
Hamfina (a.) 501 Laruicu (a.) 384
harpite (a.) 208 Laruiza (a.) 383-384
haspa (a.) 384 Lartle 536, 540, 544
hastia (a.) 384 laru (a.) 378, 391
hatru (a.) 383 Laru 536, 540, 542, 544, 545
heirie (a.) 378, 400 Larza 383, 536, 537, 538
helvinate (a.) 208 Lar-za 538
helvna(s) (a.) 214 larziu (a.) 383
helvnate (a.) 214 Lasa (te.) 226, 230
hercle (a.) 378, 403 Latine (a.) 199, 207, 212, 501
Hercles (te.) 233 latiue / latite(ś) (a.) 199, 207, 209

.
INDICI ANALITICI 707

laucane (a.) 212 Metli (a.) 463


Lauxme (a.) 501 Me[tli]al[c] 462
lauxume (a.) 378, 392 Minate (a.) 210, 378, 402
Lauxusies (a.) 237-239 Minie (a.) 378, 402
lauci(e) (a.) 378, 384, 396 Muceti (a.) 384
Lausisa 537, 538 Munane(ś) (a.) 199, 212
lecs(u)tini (a.) 197, 213 mutaina (a.) 215
lecusta (a.) 197 Mutalu (a.) 465
lecusti (a.) 197, 213, 384 Mutiku (a.) 465
lemnite(ś) (a.) 209 Mutilate (a.) 465
leuaie (a.) 378, 393 Mutina (t.) 202, 215
leue (a.) 378, 382-384, 393 mut-re 509
leui (a.) 383 mut-u 509
leuia (a.) 383 muv-alx 510
licantre (a.) 383 nepur (a.) 384
lic(i)ne (a.) 378, 383, 391 Nerie (a.) 501
Licine (a.) 501 nicipur (a.) 383
Lrtla (te.) 232 Nufra, -sa 539
Luisna 536, 539, 542 Nufrasa 536
Luisni 539 nuf-re-śa 511
luncane (a.) 212 nufr-z-n 511
Lupu (a.) 501 nufrzna 510
Lurs (te.) 232 nufrz-na-l 511
Lusce 536, 541, 545 nufrz-na-ś 511
Lusce 539, 541 nufurznaś 511
Luscina(ie) 539 nuis (a.) 378, 402
Luscni 537, 543 nulaue (a.) 209
Luscus 541 Numsie (a.) 378, 397
Lutni (a.) 459 nu-re-ś 511
Luvci(e) (a.) 378, 396, 501 nu(r)f-re 511
max 510 nurf-zi 510
Macute(ś) (a.) 209 nurtine(s) (a.) 212
maie (a.) 378, 401 nurzi 511
Malamena (a.) 225 nurzinias 511
Mamarce (a.) 501 nurziu 511
Mamerces (a.) 52 nurziunia 511
mani (a.) 378, 396 nurziunias 511
Manuvate (a.) 201, 209 nus (a.) 383
Mantua (t.) 209 Nuste (a.) 501
Marale (a.) 501 paci (a.) 378, 402
Marce (a.) 378, 397 palpe (a.) 375
Marcna (a.) 214 paniaue (a.) 209
Maricane (a.) 212 papa (a.) 379, 383, 405, 501
Marie (a.) 378, 401 [- - -papal ]ser-c 537
Maris (te.) 233 pauanu (a.) 379, 405
Mariś (te.) 233 patislane (a.) 212
Marzie (a.) 501 pelie (a.) 378, 404
masan 501 pelnate (a.) 209, 215
masate(ś) (a.) 209 perpraue (a.) 209
Masu (a.) 501 Persius 544
mazuti (a.) 384 perzile (a.) 378, 404
Mefanate (a.) 201, 204, 209, 214 pesna (a.) 378, 382, 393
mehnate(ś) (a.) 209, 214 Pêtce 537, 540
meie (a.) 378 peue (a.) 378, 391
Meteli (a.) 463, 465, 471 peuia (a.) 383

.
708 INDICI ANALITICI

Peticina(s) 540 reicna (a.) 215


petinate (a.) 201, 204, 215 Restumnei (a.) 225
Petke 544 riquna (a.) 215
Pêtke, -keal 540 Ritumena (a.) 225
petna (a.) 215 Rocus (a.) 275, 277
Petnei (a.) 459 Romilius (a.) 275, 277
Petru (a.) 378-379, 397, 501, 539, 541, Rumate (a.) 209
542, 544, 546 Rumaue(s) (a.) 209
Pêtru, -us 537, 540 Rumele (a.) 148
Petruna, -ni 539 rusci (a.) 383
Petruni (a.) 379 Rutile (a.) 501
Pêtruni 536, 539, 542 ruvfe (a.) 378, 402
Petrus (a.) 463 ruvfie (a.) 379
Pêtrus 537, 538 śa 510
ferse (a.) 383 Saena (t.) 201, 209, 215
fila (a.) 383 salie (a.) 378, 384, 398
filunice (a.) 383 Salin[al] 537
filutis (a.) 383 Salina, -nei 539
Piana 539 Salini 543
Piiane(s) 539 Salini, -is; -nei, -nal 536, 537, 539, 542,
Pini 536, 539, 542 543, 546
Pinie(s) 539 Salinis 537
Piue 539 Salv(e)na 539
Pitlna 539 salvi (a.) 378, 398
Pitlnal 538 Sanxuneta (te.) 229
Pitlnei 543 sapice (a.) 197, 213
plaicane (a.) 199, 212 sapine (a.) 212
[- - -]pnal 537, 539 sasnate (a.) 209, 215
[- - -]pnei 539, 543 sauxnate (a.) 210, 215
Populonia (t.) 204, 215 sauturine (a.) 212
Pruciu 536, 541, 545 scarpini (a.) 384
puce (a.) 378, 404 Scêna 545, 546
puia 537 Scêva 542
pule (a.) 378, 389, 403 Scêva 541-542
pulenas (a.) 389 Scê[vas] 537-538, 541
Pultuce (te.) 415 Scêvês 538, 541
[Pum]pnal 537 śe-alx 510
Pumpu (a.) 378, 398, 501, 536, 540, 544 sefri 512
Pumpuni (a.) 384, 463 sefrial 512
pumpusa (a.) 38 seiante (a.) 206, 209, 215
pupae (a.) 378, 391 seiate (a.) 209
pup/fluna (t.) 215 seie (a.) 206
pupli (a.) 378, 383-384, 398 seinaś (a.) 203, 206, 215
Pupli(e) (a.) 204, 501 seiuite (a.) 210
puplina (a.) 215 seitiue (a.) 210
pupluna (t.) 439 Selvans (te.) 229
pup-re 509 semfalxls 511
pup-u 509 semfś 511
Qupe (a.) 55 senate (a.) 209
Rafe (a.) 463 senti (a.) 378, 393
Rafi (a.) 379, 405 sentinate (a.) 198, 201, 204, 209, 215
Ramua (a.) 383 sentinate 512
ranazu (a.) 378, 403 sepia 512
Raufe 384, 500, 536, 541, 545 sepie 512
rave (a.) 378, 382, 392 sepie (a.) 378, 402

.
INDICI ANALITICI 709

seple 512 Tanxvil (a.) 463


sepre 509, 512 tantle (a.) 378, 404
sep-ria 509, 512 tafane (a.) 199, 212
seprial 512 tarxa (a.) 205
sepr-sia 512 tarxi (a.) 378, 392
seprsnei 512 tarxi(e) (a.) 205
septle 512 tarxna (a.) 203-205, 215
Sepu (a.) 501 tarxna(e) (t.) 439
sep-u 512 tarxna(lui) (t.) 204-205, 207, 215
śep-u 509, 512 tarxnte(ś) (a.) 204, 207
sepulnal 512 tarxu (te.) 204
Sepunes 512 Tarxumenaia (a.) 226
sep-uś 509 tarxunie(s) (a.) 205
sep-u-sa 509 tarxvetena (a.) 207, 210, 215
śep-u-sa 509 Tarquinii (t.) 215
śep-usla 509 Taruumena (a.) 225
Seqre (a.) 459 taure (a.) 384
sertur (a.) 378, 398 Têcsinal 537, 539
servi (a.) 378, 398 Têcsinei 543
sesia (a.) 384 Têcsinei, 539
Seura 542 teta (a.) 379, 405
seure (a.) 378, 381, 389, 392 tete (a.) 379, 405
seu-re / śeu-re 509 tetie (a.) 379, 406
seuria (a.) 383 Tetumina (a.) 225
seurnei (a.) 389 Ualna (te.), (a.) 226
seurni (a.) 389 Uana (a.) 383-384, 387, 457, 459
seu-u 509 uanicu (a.) 383
setinati 512 Uannursianna (a.) 460
Sêtmnal 536 uansi (a.) 379, 383, 405
Sêtmnei 539, 542 Uefri (a.) 501
Setume 539 uepri (e.) (a.) 378, 396, 440
setume (a.) 378, 398 uepriu (a.) 383
Setumna, -nei 539 Uesan (te.), (a.) 226, 227, 233
siate (a.) 209 Uesanuei (a.) 226
sicle(ś) (a.) 197 Uixvarie (a.) 501
silqetena(s) (a.) 207, 210 Uvariena (te.) 226
Skaiva 501, 541 uucer (a.) 378, 392
Slanzu 536, 541, 542, 545 uupite(s) (a.) 209
sleparis (a.) 384 Tin (te.) 226
Spitu (a.) 463 Tina (te.), (a.) 226
spur(a) 501 Tinia (te.) 226
spuri (a.) 378, 398 Tinś (te.) 226, 233
Spurie (a.) 501 tinusi (a.) 383
starniue (a.) 210 Tipe (a.) 404
Statie (a.) 378, 402 tifile (a.) 375, 383, 404
Statlane (a.) 212 Tite (a.) 378, 384, 387, 399, 501, 540,
Steni (a.) 378, 402 548
suca (a.) 384 Titele 501, 540, 541, 548
Suea (a.) 501 Titinal 537
suplu (a.) 379, 384, 405 Titinei 546
sure (a.) 378, 382, 392 Titlna, -nei 540
surna (a.) 203, 215 Titlni 540, 543
Surrina (t.) 215 Titlnis 537
sveitu (a.) 379, 405 tlapu (a.) 379, 383, 406
tama (a.) 383 Trepi(e) (a.) 378, 402

.
710 INDICI ANALITICI

Treplate (a.) 210 Vel (a.) 226, 383-384, 457, 459-460,


tretnei (a.) 383 463, 501, 540
trufun (a.) 383 Vêl 536, 538, 541
tupe (a.) 378 vela (a.) 383
Turmna 537, 540, 543 velane (a.) 211
Turmś (te.) 233 Vêlara 536, 540, 543
Turns (te.) 233 velauri (t.) 436, 439
Tu(r)scus (e.) 213 Vêlaves 536
Tursikina (a.) 197, 207, 213 Velave{s}na 538
Tur(u)me 540 velxa(i)e (a.) 378, 392
Tuscnu (a.) 501 velxatini (a.) 207-208
Tuscus (a.), (t.) 280, 281, 283 Velxe (a.) 378, 382, 393
tusnu (a.) 379, 384, 406 Vêlxe 536, 538 537, 546
Tute 509 Velxei (a.) 457
ucrislane (a.) 212 Vêlxes 537
Uhtave (a.) 378, 400, 485 velxite (a.) 208
umrana (a.) 207, 213 velia (a.) 383-384
umrce(s) (a.) 196, 213 velicu (a.) 383
umre(s) (a.) 196-197, 213 Velimna 510
una (a.) 378, 403 velsu (t.) 436
Uni (te.) 228 Veluie (a.) 378, 402, 539, 541
ufale (a.) 378, 402 Veluiena 539
ufle (a.) 378 Veluina (a.) 225
uple (a.) 404 Vêluinal 536
urfe (a.) 378, 404 Vêluinei 539, 542
urinate (a.) 210, 215 Velunei (a.) 225
uriue (a.) 210 veluri (a.) 201, 203, 214
urnasis (a.) 384 velurite (a.) 201, 208, 214
ursme (a.) 379, 384, 406 Veluur (a.) 378, 383, 392, 499
Ursmnei (te.), (a.) 229 Veluurna (a.) 214, 499
urste (a.) 378, 404 Vêluurus 537
Usel (te.) 226 Vêluurusla 537
Usele 540 velu (a.) 379, 383, 405
Usele (a.) 378, 391, 541 Vêl[- - -]us 537
Uselna (a.) 226 velz(i)na (a.) 203, 205, 207, 214
usil 501 Velznax (e.) 201, 214
Usil (te.) 226 Velzna(e) (t.) 439
Usile (a.) 501 Velzna(lui) (t.) 201, 205, 214
Uslna (a.) 536 Velznu (t.) 439
Uslna (-nie) 536, 540, 542, 543 Velzu (t.) 205, 214
Uslnal 537 venate (a.) 204
Utavu (a.) 485 Venel (a.) 226, 485, 501
Uvie (a.) 378, 402, 501 Venete (a.) 197, 213
uvilane (a.) 212 venu (a.) 378, 393
vaipane (a.) 199, 211 Venzile (a.) 379, 383, 405
vatate (a.) 208 Venziu (a.) 383
Vaticanus (a.) 275, 277 verate (a.) 208
vatlui (t.) 206, 214 Vercna (a.) 459
Vecu (te.) 226 Vertumnus (te.) 225
Vecuia (te.) 226, 230 veru (a.) 384
Vegoia (te.) 226 vetalu (t.) 436, 439
Veiane (a.) 198-199, 211 Vete (a.) 378, 391, 501, 539, 541
Veiaue (a.) 199, 208 Veuna 539
Veii (t.) 208, 211 Veuu (a.) 393
veiza (a.) 379, 383, 405 Veti (a.) 378, 400

.
INDICI ANALITICI 711

Vetie (a.) 378, 400 Ebraico


vetlna (a.) 206, 214
Vetna 539 Adonay (te.) 28
Vêtnal 536 Rephaim (te.) 28
Vêtnei 539, 542 Yhwh (te.) 28
vet-ral 509
vetu (a.) 378, 382, 393, 501, 509, 539, Fenicio
541
Vetulonia (t.) 214 Adon (te.) 30
Vetulonii (t.) 214 Ashtart (te.) 30, 32, 38
Vi[.]pi 536, 536 Baal (te.) 27, 29, 31, 33, 34, 37
Vipe (a.) 378, 382, 392 Baal Hammon (te.) 29, 31, 36
Vipi(e) (a.) 378, 383, 387, 401, 459, 501, Baal Shamim (te.) 38
540, 544 {[b]dkšr (a.) 34
vipinei (a.) 387 {bdmskr (a.) 35
Volsinii (t.) 214 bdšg[r] (a.) 33
Volta (a.) 225 {bdtywn (a.) 35
Volterrae (t.) 208, 214 B}ldgn (a.) 33
Voltumna (te.) 225 }bqm (a.) 37
Volturnum (t.) 202, 214 Br/dgš (a.) 35
Volumnii 510 Dagon (te.) 33
Vuisi (a.) 378, 394 Enosim (t.) 9
Vulci (t.) 208 Eshmun (te.) 30, 32
Vulso (a.) 271 GDR (t.) 7
vuvzie (a.) 378, 394, 501 Grskn (a.) 33
zal 510 Gush (te.) 35
zaurum 510 hadaš 434
zerapiu (a.) 383 Hb} (a.) 38
zix- 501 Hlbn (a.) 36
Zixu (a.) 500 ˙
(H)MT W} (t.) 17
zilxnu 509 (})hqm˙ (a.) 37
Zipna (te.), (a.) 226 hšbn (a.) 34
zupre (a.) 384 {hyy}ql (a.) 36
Kothar (te.) 33
KPR} (t.) 19
IBERICO
Ktm (a.) 37
arse (t.) 434 Macomades (t.) 11
illu 439 Macomer (t.) 12
Macopsisa (t.) 12
Magomadas (t.) 11
LINGUE CAMITICHE Melqart (te.) 30, 32, 33, 37, 38
Miksar (te.) 35
Numida Milk (te.) 30
Milkat (te.) 30
MRKSN (a.) 449 Misor (te.) 34
MTL (i.) Mlksd (a.) 35
Muthul (i.) 483 ˙ (t.) 17
Mo¥tyh
Motwē (t.) 18
Mqm ˙ (a.) 37
LINGUE SEMITICHE
MQMHDŠ (t.) 7, 12
Aramaico ˙ 38
Mqr} (a.)
Mtr (a.) 37
}RM (t.) 11 (})MTW} (t.) 17
}RMY (et.) 11 MW˙ (t.) 17
}RMY} (et.) 11 Pt (a.) 36
˙

.
712 INDICI ANALITICI

Ptah (te.) 35 GLB (a.) 483


qart 434 g(w)lt (t.) 573
Qarthadašt (t.) 434 HRB (a.) 483
QRTH ˙ DŠT (t.) 7, 12-14, 16 }KLYN (a.) 454
}rkrh˙(a.) 37 KRYH (a.) 455-456, 490
}rm ˙(a.) 38 KSY (a.) 452-453, 489
Rōšmelqart 11 }KYS (a.) 453, 490
R(})ŠMLQRT 11 kyšry (t.) 573
Rp}b}l (a.) 31 }LM (t.) 493
Sakon (te.) 33 MNT (a.) 492
Sarra (t.) 15 MRKSY} (a.) 449
Sarranus (et.) 15 MSRY (a.) 452, 489, 492
Shaban (te.) 34 ˙
MTL} (a.) 451, 484, 489, 493
Shahar (te.) 34 MTLL (a.) 451-452
Shalim (te.) 34 MTLY (a.) 450, 483-484, 489, 493
Shem (te.) 28 MTN (a.) 450, 489
Šhrr (a.) 34 PDY (a.) 452-453, 489, 492
Sid (te.) 33 PQY (a.) 453, 486, 490-493
Sidiq (te.) 34 qart hadast (t.) 411
šmy (a.) 28 Qarthadašt (t.) 434
S R 14, 15 QTY ˙(a.) 453, 490
˙S S (t.) 18 }RŠ (a.) 452, 489, 492
S ˙ ˙ūr (t.) 14, 15 SKYN} (a.) 449
˙S YS (t.) 18 ŠMLK (a.) 452, 489, 492
˙{tš ˙(a.) 38 ŠMŠ (t.) 493
Tyrius (et.) 15 ŠMŠŠLK (a.) 450, 483, 489, 492
Tyros (t.) 15 ŠRDN (a.) 492
Tyrus (t.) 15 ŠRDN (a.) 492
Yknšlm (a.) 34 ŠRDNT (a.) 492
Ym} (a.) 36 ŠRDNY (a.), (e.) 452, 489, 492
}YNSM (t.) 8, 9 ŠSP (a.) 451, 489, 492
Yp} ˙(a.) 37 }ST{BRY (a.) 454
}Y{RM (t.) 10 }STNYS (a.) 454, 490
}YRNM (t.) 9 T}M (a.) 483
Yt} (a.) 36 W}RY (a.) 455
YWLY{ (a.) 456
Punico {ZRB{L (a.) 450-451, 489, 492

{BDLM (a.) 455-456, 490, 492 Ugaritico


BDMLQRT (a.) 453, 490, 492-493
BDSD (a.) 489, 492 Athtar (te.) 38
˙
{BDSKN (a.) 492 Rapiu (te.) 32
{BDŠMN (a.) 492 Rapiuma (te.) 32
{BD}ŠMN (a.) 453, 490 Shaggar (te.) 33
BD{STRT (a.) 455 Yam (te.) 36
B{LŠN} (a.) 451, 489, 492
{BSK (a.) 492 Lingue semitiche non identificabili
Bubali (a.) 449
BYBL} (a.) 449 Ioydaı¥a (e.) 418
}DNB{L (a.) 450, 489, 492 MLK (a.) 411

.
INDICI ANALITICI 713

2 – INDICE DELLE BASI ONOMASTICHE

ads- 312 dervos 172


aidh- 65 *deuk- 234
album (t.) 164 diumpa- (te.) 230
*alko- (a.) 312 *druto- (a.) 312
alpōnyo- 503 durno- (t.) 155
ambi+treb- (e.), (t.) 182 *dyeu- (te.) 234
amma 104, 107-126 eburo- (o.), (t.) 158
ande- 312 eks- 312
andi/orah(h)a- (te.) 240 *epo- (a.) 173, 312
andro- (a.) 403 eri- 312
*aqu- 66 esal- 510
*arcō (te.) 173 esl- 510
arcon- (te.) 173 *et(e)ro- 540
ari/e- (t.) 155, 162 *gaios (a.) 179
ate- 312 gaiso- (e.) 167
*atepos (a.) 181 gando- (i.), (t.) 158
[a]tgene- (a.) 373 gawyo- 503
atta 104, 107-126 *genā (a.) 179
*audh- 70 gent- 368
*ausa 70 *ghend- (i.), (t.) 158
avlo- 503 *ghosti- 138, 369
babōn- 503 *ghosti-s (a.) 177
badyo- (e.), (t.) 182 gnaiwo- 503
bedo- (i.) 157 gnāro- 503
*bekko- (e.) 171 gosio- (a.) 370
*bel- 63 -gozis (a.) 177, 181
bello- (a.) 173 *gwelen- (te.) 172
benda- (i.) 162 *gwelh- 172
*bher-1 e 2 154, 164, 182 *gwher- 181
*bherg’h (o.) 163 *gwhon-o-s (a.) 175
*bhrg’h-s (a.), (e.), (t.) 162, 170, 178 *h2eg- 231
bhudhná- 157 *h2elh2- (e.) 167
bivo- (e.), (t.) 182 helwo- 503
*bivontios (a.) 179 *her- (a.), (te.) 224
*bogio- (a.) 312, 314 heront(o) – 503
-bogios (a.) 176 heryenno- 503
bormo- (i.), (t.), (te.) 181 heryo- 503
bouno- (a.), (t.), (te.) 159 ia- 367
briga (t.) 162 iovio- (te.) 230
casp- 508, 510 *ı̄s- (e.), (t.) 170
*cassi- (a.) 312 *ı̄ssu- (e.), (t.) 170
cata- (a.) 90 *ıtalus (t.) 417
catu- (a.), (e.), (t.) 90, 162, 166 ka- 367
cezp- 509, 510 kaito- (t.) 157
xosio- (a.) 370 *kalo- (a.) 312
cotto- (a.), (o.), (t.) 162, 164, 177 kámulo- (e.), (t.), (te.) 182
cupro- (te.) 227 kanyo- (e.), (t.) 182
cus- 549 kāryo- 503
cus- 548, 549 kat- 90
cusp- 509, 510 katak- (a.) 182
dekkyo- 504 katu-k- (e.), (t.) 182
dek(u)mo- 504 keiso- 503

.
714 INDICI ANALITICI

kenssurino- 500 nitio- (a.), (e.), (t.) 163, 179, 182


kerreno- 503 *nowo- (t.) 159
keton (t.) 157 nowyo- 504
klovāto- 503 N{R (t.) 10
kom- 312 numesyo- 503
kremu- (t.) 157 numpsdo- (te.) 229, 230, 232
laivo- 367, 368, 371 nymcdo- (te.) 229
langa (e.) 171 nums(-)dio- (a.) 228, 230
*lanka (t.) 171 num(-)sio- (a.) 228, 230, 231
-lānom 160 nymydo- (te.) 229
*lato- (a.) 312 numudo- (te.) 229, 230
*leuk- 234 numulo- (te.) 229, 232
lica (t.) 155 nurf- 509, 510, 511
(-)licon (e.), (t.) 155 NWR (t.) 10
loiko- 503 *obno- (a.) 312
louk(e)tio- (a.) 237 octavo 503
louk(vŏc.)tio- (a.) 234 ohtawyo- 503
loukyo- 503 oppyo- 504
lubie/o- (a.) 176 osti- 369
lup- 500 oufent- 505
macom- (t.) 8, 12 *ōus 70
maesio- 86 owyo- 504
magos (t.) 155 pāk-to- 504
maisio- 86 pāk-ulo- 504
mama 104 pāk-wo- 504
mamarc- (a.) 224 pāk-yo- 503, 504
mamerc- (a.) 224 pāk-yon- 504
mamerko- 503 pala (i.), (o.) 164
mamert- (te.) 224 *papa 104
mamertio- (te.) 232 papo- 503
mamertyo- 503 *parn- (i.), (t.) 154
mam(-)sio- (te.) 231 *patros (a.) 179
maqōm- (t.) 12 *pelu- (e.), (t.) 169, 182
marhido- 504 perkenno- 503
marhio- 503, 504 petronyo- 539
marho- 504 pettiano- (a.), (te.) 229
*maro- (a.) 312 pettinano- 503
maros (a.), (e.), (te.) 166, 174 pettio- (a.), (te.) 229
mati-k- (e.), (t.) 182 *pingō (e.) 167
*matu- (a.) 312 plasmo- 503
mātu- (te.), (a.) 232 -polis (t.) 419
medu-t- (e.), (t.) 182 poplio- (a.) 106
*meh1- (a.) 175 poplo- 134
mello- (o.), (t.) 155 porco- (i.) 164
*men- (a.) 175 *prk*sk*o- (te.), (t.) 173
*mh2 -tu- 232 pukalato- 500
mı̄inato- 503 puklo- 500
mināto- 504 QRT- (t.) 8, 12
mı̄nyo- 504 *quadros (a.) 180
mitlo- 503 redo- 89
MLK 411 reti- 89
MQM- (t.) 8, 11, 12 reto- 89
nemeto- (a.) 176 *retu 89
*ner- (a.), (te.) 224 -riges (e.) 166
*newo- (t.) 159 *ritu- (a.) 312

.
INDICI ANALITICI 715

*-rix (a.) 306, 312, 313 uura- 547


RNH (t.) 9 *titios (a.) 179
RNN (t.) 9 tito- (a.) 232
roudo- (e.), (t.) 182 *treb- (a.), (te.) 224
R}Š- (t.) 8, 11 trēb- 500
safino- (e.) 111, 144-145 trebo- (te.) 224, 230
sankio- (te.) 229 trebyo- 504
salvSo 539 tremato- 503, 504
sef- 512 twy (t.) 17
sego- (e.), (t.) 158, 162, 168 ˙
úht(-) (a.) 517
seht(u)mo- 504 uitulus 417
semp- 511, 512 u(p)o- (t.) 162
semf- 509, 511, 512 *upero- (t.) 155
seno- (e.) 170 uxello- (o.), (t.) 159
sentu- (t.) 162 va- 367
sep- 512 varia (t.) 159
sef- 512 vāro 503
seppio- 504 vassos (a.) 179
*setu- (a.) 312 velyo- 503
síílo- 500 venil(o)- 503
silo- (a.) 175 vepos (a.) 181
(s)kweh2t 182 Perega- 51
*slania (a.) 179 *vergos (a.) 179
š-mer- (te.) 174 *verku 88
spedyo- 503 verkvano- (a.) 88
spelyo- 503 vik- (t.) 159
spuryo- 503 vindo- (i.) 162, 165
stenyo- 503 (P)italo¥v 417
*talo- (a.) 312 *weni- (e.) 166
*tata 104, 119-131 *wer- (t.) 159
taur- (e.), (t.) 165 *wergo 88
*teuh- 244 *windo- (a.) 312
teutā- 244

3 – INDICE DELLE FORME RICOSTRUITE

*Aberinka (i.) 157 *Anie-na 539


*acca- 332, 333, 334, 335 *anna- 332, 334-336
*accato- 332 *annaua 335
ād-kwis-yo-s (a.) 181 *annaus 335
*Aeser 66 *Ape 539, 541
*af-re 509 *Ape-na 539
*air+ràth (t.) 156 *appa- 336
*Aliogenos (a.) 311 *ap-re 509
*Aliognatos (a.) 311 *aqu-il- 65
*alla- 336 *argantokomátrikos (a.) 179
*Allifas 435 *arg*nt-o-+{ko(m)-+mh1-t(e)r-} (a.) 175
*alyo-fā- 505 *Arnu-le, -ei 540
*amma- 332, 334, 335 *Arnu-za 538
*Andarewisseyos (a.) 178 *atta- 332, 335
ānde-are-wid-t-i-s (a.) 178 *Aver 66
*ane-mn-o-i (e.) 167 *Badiénnos (e.) 167, 168

.
716 INDICI ANALITICI

*Badyenos (e.) 168, 170 *FelsV-na 540


*Badyo-no-s (e.) 168, 170 *Flahs 500
*Bel-ask-yā (t.) 156 *Flakko- 500
*belos 64 *Fulu-na 540
*Belunes (e.) 156 *Gandobera (i.) 158
*Bennákos (a.) 175 *gavidus 502
*Berg-ál(l) -is (t.) 163 *ghelswo- 68
*bhe-dyó-s 167 *ghn-d-ó-s (i.), (t.) 158
*bhel-isamā (te.) 174 *gwelen-o-s (te.) 172
*bhergth-yo-mā (o.) 163 *gwitu-rēg*-es (e.) 160
*bhodh-enko-s (i.) 157 *gwiwo- 182
*bhoun-on-yā (t.) 159 *gwnH-onā (a.) 176
*bhow-yo-s (e.) 168 *gwn(H)-w-yā (te.) 176
*bhoy-ó-s (e.) 168 *gwrH-sto- 172
*bhrēw-o-m 155 *(H)eluet-yo-s (a.) 177
*bhrg’h-nt-yā (t.) 155 *h2 elyo-bh-(w)eh2- 505
*bhudhmen-ko-s 157 *h2us-s- 540
*Biturı̄gyā (t.) 160 *Issubrēs (e.) 170
*Bodinus 63 *ı̄ssubreys (e.) 170
*Boialos (a.) 177 *ı̄ssu-briks (t.) 170
*Bolg-on(n)-o-s (a.) 156 *ı̄ssu-bris (e.) 170
*bo(n)din- 63 *Karo- 503
*bounon(i)a (t.), (te.) 159 *Karyatyos (a.) 178
*briks() 170 *katu-bri(k)s (t.) 166
*Casprius 510 *katubri-no-s (e.) 166
*cazp 510 *keino-+mnH-o-s (e.) 168
*Celate 539, 541 *Kelt-yo-s (a.) 177
*Celate-na 539 *klH2 d-tā 157
*Celaue 539, 541 *k*om+gwhon-o-s (a.) 179
*cesp- 510 *kon+kan-a-mnā (te.) 172
*cezp 509, 510 *Kosyos (a.) 179
*Xusf- 509 *Kus- 549
*cuc-ri 509 *Kusa 548
*Cucrie 539, 541 *Kuse 548
*Cucrie-na 539 *Kuse 549
*Cusa 549 *Kuse-le 548
*Cuse 549 *Kusele-na 549
*Cuse 548 *Kusele-na 548
*Cusiānus 548 *Kuse-na 548
*Cusina 548 *Kusie 549
*Cusius 548 *Kusie 548
*Cusna, -nei (-nia) 548 *Kusie-na 549
*cusp-er- 510 *Kusie-na 548
*cusp-re 510 *Kusu 548
*cusp-r(e)ie- 510 *kūt-yo-s 182
*Cusu 549 *k*wā-do-s (i.) 157
*dng’hwāt- 180 *kwetwores 180
*Douketio- (a.) 234 *kwrsnó- 165
*Egnaz (a.) 400 *langā (t.) 171
*Eks-ande-kottos (a.) 177 *Laris-za 538
ēk*wonā (te.) 172 *Laru-le 540
ēk*wo-reid(a)-yā (t.) 165 *Lar-u 540
*Et(e)ro- 540 *Lausi, -sa 538
*Faler 66 *leikw-ont-yo- (e.) 165
*FelsV- 541 *lengwh-on-es (e.) 168

.
INDICI ANALITICI 717

*litana (i.) 161 **ritos (a.) 175


*Loucesius (a.) 237 *Roufos 541
*Lousis (< *Lousyo-s < *Loukyo-s) 538 *rtu- 175
*LuisV- 539, 541 *Rúten-yo-s (a.) 177
*LuisV-na 539 *Sabins 500
*Lusce-na 539 *Saler 66
*lutiaka (t.) 157 *Sal(v)e 539, 541
*Matway (t.) 18 *Salv(i)e-na 539
*Mat˙ wē (t.) 18 *Sanxuna (a.) 229
˙
*Medu-an-yō-s (e.) 166 *Scarpius 510
*Medutya (a.) 178 *Segedya (t.) 176
*mel-no-s 155 *Segedyos (a.) 178
*metus (a.) 378, 403 šékw-onā (i.) 164
*minatos 329 *semf 511
*Mintur 66 šemf-re 511
*mōro-s 166, 174 *semf-u 511
*Nemet-yo-s (a.) 176 *seplna 512
*newo-waryā (t.) 159 *septe 512
*nnto-rēg*s (a.) 170 *Setume 541
*Novovária (t.) 159 *Setume-na 539
*now(a)no- 504 *Slaniā (a.) 310
*nufre 511 *s-mer-tr- (te.) 174
*ohtawo- 504 *Stafias 438
*Ohtaws 503 *Stafiú 438
*Ot-ya-s (a.) 244 šu-karant-i-s 164
*oubē- 505 *Tabur 66
*oubido- 505 *Taotet-ya-s (a.) 244
*pelu-weid-yo-s (a.) 179 *Taotet-yo-s (a.) 244
*Petike 540 *Taotor-ya-s (te.) 242
*Petru-na 539 *Tecsie 541
*Pie 539, 541 *Têcsie-na 539
*Pie-na 539 *tekw-ino-s (i.) 165
*pingamnoi (e.) 164, 167 *Teot-in-yas (a.) 244
*Pitele 541 *Teot-in-yo-s (a.) 244
*Pitele-na 539 *Ueotor-idyā- (te.) 242
*plHi-(k-)s 158 *Ueotor-ya-s (te.) 242
*plH-no-m (t.) 160 *Ueotor-yo-s (te.) 242
*plk(k)a) 155 *Tifer 66
*plt-ano- 175 *Titele-na 540
*plōro- 154 *tites (a.) 52
*Pompaillu 439 *Treb-ōn-s 500
*Pompaio- 439 *Tricipitium (t.) 278
*Pomphio¥poliv 439 *Tur(u)me 541
*Pompı̄lo- 96 *Tur(u)me-na 540
*Pompo- 96 **uper-onā (t.) 159
*pompōnios 330 *upo-sth2-o-s (a.) 179
*pork*-ó-s 164 *Usele (a.) 536
*prH-ti-s 156 *Usele-na (a.) 536
*pro-+meh1-ter- 175 *Usele-na 540
*prtu- 175 *Vel(a)-ra 540
*púmpaius 439 *Velarna 540, 540
*reg*-t-yā (te.) 173 *Velave 536
*rei-no-s (i.) 155 *Vêlave 538
*Retios (a.) 178 *Veleia 440
*rindi- (a.) 178 *Velua (a.) 225

.
718 INDICI ANALITICI

*Velue (a.) 225 *vind-el-askā (i.) 162


*Veluim(e)na (te.) 225 *vindo-pal-i-s (i.) 164
*Veluum(e)na (te.) 225 *vindupala (i.), (o.) 164
*Vêluu-ru 538 *vindu-pal-o-s (o.) 164
*Vêluur, -us, -sla 538 *Vitilia 440
*Vete-na 539 *Voltur 66
*vet-re 509 *warı̄nā 159
*vet-ri 509 *wekwos (a.) 181
*Vetu-na 539 *wr-yā (t.) 159

4 – INDICE DEI SUFFISSI E DELLE TERMINAZIONI

-ā 306 -e- 501


-a 76, 87, 89, 91-92, 103-104, 150, 415, -elio- 96
418 -éllo- (a.), (e.), (t.) 163, 185
-acum (a.) 620, 621, 622, 623 -énno- (a.), (e.), (t.), (te.) 163, 170, 185
-ae 415-418, 436 *-ēno- 323, 328
-aes (a.) 419 -enses (e.) 166
-ago (t.) 620 -ent- 162
-āko- 156 -eo (a.) 304, 306, 307, 309, 312
-akyā- (a.), (e.), (te.) 183 -es 80
-akyo- (a.), (e.), (te.) 183 -hv (a.) 415, 418
-al 308, 308 -etani (e.) 166
-(a)lā- (a.) 179 -eto- (a.) 175
-(a)lo- (a.) 75, 84-89, 179, 184, 299, 304, -et(t)o- 312
305, 308-312 -gno- 373
-(a)mo- (a.) 178 -heim 505
-ane (a.) 196, 198-199, 206, 211-212 -ı̄ 305
-āno- (a.), (te.) 229 -i 436
-ano (t.) 620 -iāco- 501
-anum (a.) 619-623 -iaio- 86
-ara 67 -iako- 86
av / -a(s) (a.) 415, 418, 419 -(i)anum (a.) 619, 621
-asco (t.) 620 -ida (a.) 413, 418, 419
-asiu (a.) 622 -ides (a.) 413, 418, 419
-askā (e.), (i.), (t.) 156, 181, 183 -idhv 587
-asko (e.) 620 *-idio- 327, 328
-asko- (e.), (i.), (t.) 156, 181, 183 -idius 97
-ate (a.), (t.) 375, 620 -ie 501, 510
-ates (e.) 166 -iensis (e.) 415
-aue (a.) 375 -ies 70
-ato- 312 -igo (t.) 620
-aunā (te.) 172 -iís 9, 80, 81
-auni (e.) 167 -ito- 321-323, 327-328, 330, 332-336
-auno- (te.) 172 -ikna- (a.) 304, 304, 309, 311, 312
*-aSo- 333 -iknā (a.) 180, 184
-x (e.) 201 -ikno- (a.) 304, 304, 309, 311, 312
-cus 63, 64 -(i)ko- (a.) 81, 175
-cutio 182 -ilio- 502
-dyo- / ā (a.), (t.) 178, 183 -ı̆lio- 92-98
-dyō(n) (a.) 178 -ı̄lio- 92-98

.
INDICI ANALITICI 719

-ilius 84, 86, 91, 92-98 -nei 539, 541, 542


-íllo- (a.), (e.), (t.) 185 -ni 542
-ilo- (a.) 85, 86, 299, 304, 305, 308-330 -ni(e)s 539, 541, 542
-ilu 84-85 -nk- (a.), (i.) 64, 157
-im 79, 81 -no- (e.), (t.) 66, 163, 198-200
-in- 63 -nt- (e.) 166, 170
-ine (a.) 196, 198-199, 206, 211-212 -o (a.) 418
-inio- 436 -o- 503
-inkā- / o (i.), (t.) 181 -od 304
-inko- / ā (i.), (t.) 181 -ō(n) (a.), (e.) 76, 85, 87, 89, 91-92, 98-
-ı̄no- (a.) 244, 505 102, 171
-íno- (te.) 174 -on- (a.), (e.) 65, 66, 171, 181
-io- 86, 304, 306, 307, 309, 312, 360, -ōna 436
361, 436 -ona (te.) 416
*-to- / -ito- 321, 322, 323, 327, 328, 330, -onā (t.), (te.) 157, 159, 172, 174
332-336 -ōnia 436
-iom 79, 81 -ónno- (te.) 174, 185
-iov (e.) 85, 415 -ono- (te.) 172, 174
-is 79, 80, 81 -or (a.) 244
-isal 541 ov (a.) 415
-isalisa 541 -osjo (a.) 305
-istā (t.) 158 -r(-) 65, 66, 68
-isto- (t.) 158 -ra (a.) 375, 540-542, 587
-itani (e.) 166, 419 -re 508, 511
-ite (a.) 375 -res 508
-ites (e.) 166 -ri 508, 511
-ı¥thv (e.) 419 -rial 508
-iue (a.) 375 -rn- 66
-it(t)o- 312 -ro 587
-iúm 79 -sami (e.) 166
-ium (a.) 418 -sk- (e.), (i.), (t.) 156
-iyo- 502, 503 -sta 583
-jo- 79, 105 -sto 583
-kā – (e.), (i.), (t.) 156 Suffixe zéro 329-337
-ke 540 -swas 68
-klh̃v (a.), (te.) 222 -ta (te.) 229
-kno- 373 -te (a.), (e.) 196, 198, 200-201, 206-207
-ko- (a.), (e.), (i.), (t.) 156, 300, 301, 312, -ue (a.), (e.) 196, 198, 200-201, 206-207
360, 361 -u (te.) 87, 226, 305, 436, 508, 511, 540,
-lānom (t.) 160 542
-le 540, 549 -u (<*-ōn) (a.) 304, 309, 312
-lei 540, 549 oy (a.) 415, 418, 420
-lo- (a.), (t.) 86, 148, 163, 179, 299 -ul- 67
-mā- (a.), (e.), (o.), (t.) (te.) 157, 163, -uli (e.) 166
172, 178 -ullo- 88, 90
-m(e)na (a.) 225 -úlo- 88, 90
-mo- (a.), (e.), (o.), (t.) (te.) 157, 163, -un- (a.), (t.) 156, 181
172, 178 -untii (e.) 419
-n- (a.) 418 -oy¥ntioi (e.) 419
-na (a.), (te.) 195, 201-205, 213-215, -oyntov (te.) 419
226, 307, 361, 375, 501, 510, 539, 541, * -So- 332, 333, 335, 336
542 -oỹv (te.) 419
-nal 539, 541, 542 -us (a.) 415
-nas (e.) 198-200, 539, 541, 542 -uso- (a.), (e.) 170, 175
-natis (e.) 198-200 -VCxCxV (t.), (te.) 163

.
720 INDICI ANALITICI

-Vdyo- (t.) 157 -yo- (a.) (e.), (t.) 157, 159, 165, 176, 244,
-yā (a.), (e.), (t.) 157, 159, 165, 176 502, 503

5 – INDICE DEI TERMINI TECNICI

aggettivo di relazione 607, 609 italico del Nord 597


antroponimo 602 italico del Sud 597
autoglottonimo 594 italique 597
autonimo 594 italisch 596
demotico 604 ktetikon/ktetika, kthtiko¥n 601-616
ecoantroponimo 594 definizione 603-604
ecoetnonimo 594, 602, 615 struttura morfologica 608
ecoteonimo 594 semantica 605-616
ecotoponimo 594 ‘nomi nazionali’ 602
eteroglottonimo 594 oıßkeiwtiko¥n 606
eteronimo 594 osco 595, 596
etnico, ethnikon, eßuniko¥n 601-603 osco-umbro 596, 597, 598
definizione 603-604 patrium 604
grecismo nell’usus linguistico con- poleoetnonimo 602
temporaneo 610 politico 604
struttura morfologica 605 possessivo, possessivum 606, 613
etnonimia 600 Präsamnitisch 598
etnonimo 594, 601-602 prediale 621, 623, 624
fondiarii, nomi 620 protosabellico 598
fondiario 621 protosabino 598
gentile 604, 614 sabellico 595, 598
gentilia 604, 614 sabino 597
geo/ecoetnotoponimo 594 sannita 595
geo/ecotopoetnonimo 594 Sprachnamenkunde 594
geoantroponimo 594 sudpiceno 597, 598
geoetnonimo 594, 602, 615 synekfantiko¥n 606
geoteonimo 594 synemfantiko¥n 606
geotoponimo 594 toponimo 606
glottonimia 594, 600 toponomastica fondiaria 619, 624
glottonimico 594, 595, 598 toponomastica prediale 619, 623, 624
glottonimo 594, 595, 596 tribonimo 606
Glottonymie 594, 599 umbro 595, 596, 597
iguvino 595 uritalisch 596
italico 596, 597

.
INDICE GENERALE

-ā 306 Acilu (a.) 501


-a 76, 87, 89, 91-92, 103-104, 150, 415, Acragas (t.) 411, 416
418 Acui (a.) 457
A. (a.) 330 -acum (a.) 620-623
aadirans (a.) 198, 211 Acvilna(s) (a.) 66, 282
Abella (t.) 569, 570 adaries (a.) 52
Abellanae (t.) 570 Adcanaunos (a.) 172
Abellinae (nuces) (t.) 570 Adgonetvs (a.) 175
*Aberinka (i.) 157 Adgonna (a.) 175
Abilos (te.) 172 Adgónnetus (a.) 175
Abinios (te.) 172 adiomiv (a.) 55
Abiona (te.) 172 *ad-kwis-yo-s (a.) 181
Abrı¥gka 157 Adon (te.) 30
abulokum (a.) 300 Adonay (te.) 28
abulu (a.) 300 Adwniv (a.) 403
Acai (a.) 331 ads- 312
Acca (a.), (te.) 104, 231, 325, 326, 331, -ae 415-418, 436
332, 334, 337 Aebutia (a.) 285
*acca- 332, 333, 334, 335 Aebutius (a.) 285
Ac(c)aes (a.) 231, 331-333 Aegypti (e.) 409
Accaeus (a.) 231, 325, 326, 332, 337 Aelius (a.) 265
*accato- 332 Aemilia (a.) 286, 287, 366
Accau[ (a.) 331 Aemilianus (a.) 366
Accauo (a.) 331, 332 Aemilius (a.) 286
Accaus (a.) 331, 332, 334 Aeneas (a.) 409
Accianus (a.) 619 -aes (a.) 419
Accio (a.) 268 Aesar (i.) 64, 65, 67
Accius (a.) 454, 457-458, 472 Aesarus (i.) 64
Acco (a.) 403 Aesculapius (te.) 410
Acei (a.) 457 *Aeser 66
Acerrae (t.) 66, 207, 436, 437 Aesernia (t.) 66
Achaei (e.) 413 Aesis (i.) 64
Axaiı¥v (a.) 457 Aesontius (i.) 64
Axaioı¥ (e.) 413 afle (a.) 378, 402
Axaio¥v (a.) 457 Afrce (a.) 197, 213
Achiui (e.) 413 āf-re 509
¶Axolla (t.) 573 Af-r(e)-ce (a.) 509
axrate (a.) 207 Af-r(e)-c(e)-na (a.) 509
axu (a.) 378, 403 Africa (t.) 65, 66
Axuias (te.) 230 Africanus (a.) 521
Axuna (te.) 230 Africus (e.) 213
Axunana (te.) 226 af-u 509
acil 501 af-u-na 509
Acilia (a.) 259 Agauoklh̃v (a.) 222
Acilianus (a.) 622 Agella (a.) 572
Acilii (a.) 458 ager 435

.
722 INDICE GENERALE

aggettivo di relazione 607, 609 Alba Longa (t.) 276


agiiev (a.) 53 Albalonga (a.) 630
Agnone (t.) 221 Albani (e.) 571
-ago (t.) 620 Albanius (a.) 458
Agrigentum (t.) 411, 435 Albenga (t.) 164, 182
Agrippa (a.) 415, 502, 504 Albiana (t.) 161
Agrı¥ppav (a.) 415 Albinii (a.) 262, 276
Agylla (t.) 572 Albinus (a.) 259, 285
¶Agylla (t.) 573, 574 Albula (i.) 67, 68
Agyllaı̃oi (e.) 574 album (t.) 164
Agyllini (e.) 575 Album Ingaunum (t.) 164
Ahal (a.) 273 Albus (a.) 262, 277, 285
Ahala (a.) 270, 272-274 Alebinna (a.) 179
Ahies (a.) 231 alebinos (a.) 305, 306
Ahius (a.) 231 Alecs(a)ntre (a.) 409, 410, 412
Ahvricina(si) (a.) 207, 213 Alesate (t.) 158
Aı¶av, -antov (a.) 412 Alexander (a.) 409, 410, 412
Aiax, -acis (a.) 412 Alexandria (t.) 409
aidh- 65 Ale¥jandrov (a.) 409, 410, 412
Aıßge¥sta (t.) 583 Alezio (t.) 242
ail 158 Alfa (a.) 500
Aimilius (a.) 286 Alfina (t.) 202, 213
air 155 Alfna (a.) 203, 213
Airasca (t.) 162 Alfni (a.) 213
airne 154 Álice (t.) 158
Airole (t.) 163 aliƒokum (a.) 300
Airolo (t.) 163 alies (a.) 52, 336
*āir+ràth (t.) 156 Alimento (a.) 273
Airuno (t.) 162 *Aliogenos (a.) 311
Airuno (t.) 297 *Aliognatos (a.) 311
Aıßsklapio¥v (te.) 410 alios (a.) 302, 311
Aitaś (te.) 233 Alista (t.) 161
aithechthúatha (e.) 170 Alixentros (a.) 409, 410, 412
Aithghnath (a.) 176 *alko- (a.) 312
Aius (te.) 230, 231 Alkomno (te.)
akaram 50, 53 alkouinos (a.) 302, 303, 311, 314
Akei (a.) 457 Alkowindos (a.) 303
Akisios (a.) 181, 311, 312 *alla- 336
Akisios Argantokomaterekos (a.) 301, Allifae (t.) 435, 438, 441, 505
302, *Allifas 435
Akiu (a.) 457 Allius (a.) 521, 523
Akka (a.) 231 allos (a.) 311
-āko- 156 Almo (a.) 558-559
¶Akragav (t.) 435 -(a)lo- (a.) 75, 84-89, 179, 184, 299, 311,
¶Akra¥gav (t.) 411, 416 304, 304, 305, 308-310, 312
akudunniad (t.) 438 alpan 501
-akyā- (a.), (e.), (te.) 183 alpōnyo- 503
-akyo- (a.), (e.), (te.) 183 Alqrnas (a.) 55
-al 308, 308 Alsazia (t.) 505
-(a)lā- (a.) 179 *alyo-fā- 505
Alafiw (a.) 430 Alzate (t.) 158
Alaponis (a.) 468, 505 Amašilu (a.) 85, 302, 304-306, 308, 309
Alapu (a.) 501 Ambatos (a.) 173
Alauni (e.) 167 ambi+treb- (e.), (t.) 182
alaviis (a.) 52, 53 Ambitrebio (t.) 182

.
INDICE GENERALE 723

Ambustus (a.) 270, 274 *anna- 332, 334-336


Amentinus, (a.) 266 Annaeus (a.) 231
Ameria (t.) 207 *annaua 335
Amintinus, (a.) 266 *annaus 335
*amma- 104, 107, 126, 332, 334, 335 An(n)iaes (a.) 331, 334, 337
Ammaus (a.) 331, 334 Annius (a.) 231, 331, 334, 394
-(a)mo- (a.) 178 -āno- (a.), (te.) 229
Amfia¥raov (a.) 403 -ano (t.) 620
Amp(h)io(n) (a.) 414, 415 Anokombogios (a.) 176, 185
Am(p)sanctus (i.) 566 anokopokios (a.) 303, 314
Amriue(sa) (a.) 207 anfare (a.) 378, 403
Anae (a.) 501 Antas (t.) 25, 33, 35
Anaes (a.) 231, 331, 337 Antemnae, –arum (t.) 566
anaid 167 anteśilu (a.) 302, 304, 305
anaiúm (a.) 336 Antipatros (a.) 28
Ananyioyn (t.) 167 Antipolis (t.) 440
anareuiśeos (a.) 303, 310 Antistius (a.) 468
Anarevišeos (a.) 176, 178 Antonianus (a.) 619
Anauni (e.) 167 Antonii (a.) 262
Anaunia (t.) 167 antroponimo 602
ancar (a.) 378, 393 antru[...] (a.) 378, 403
anxe (a.) 378, 394 -anum (a.) 619-623
Agxı¥shv (a.) 415 Anxur (t.) 67
Anchises (-sa) (a.) 415 Anxurnus (e.) 67
Ancon(a) (t.) 409, 420 Apadeva (te.) 164
Ancus (a.) 394 Apaes (a.) 105, 112, 336
*Andarewisseyos (a.) 178 apaio- (a.) 106, 109, 112
ande- 312 apais (a.) 52, 336
*ande-are-wid-t-i-s (a.) 178 Apaiús (a.) 105, 112, 336
andi/orah(h)a- (te.) 240 *Ape 539, 541
Andraios (te.) 240 Apelles (a.) 410
Andreios (te.) 240 Apello, -inis (te.) 410, 411
Andreus (te.) 240 Ape¥llwn (te.) 410, 411
andro- (a.) 403 Apelluneis (te.) 411
Andronicus (a.) 410 ¶Apelov (a.) 46
-ane (a.) 196, 198-199, 206, 211-212 Ape-na 539
Ane (a.) 378, 382, 384, 392, 501 Aphro (a.) 418, 419
anei (a.) 378 Aphrodite (te.) 419
ane-mn-o-i (e.) 167 apies (a.) 336
Aneus (a.) 502 apiese (a.) 336
Ania (a.) 331, 334, 337 apluni (a.) 378, 383, 403
Aniaua (a.) 331, 334, 335 Apna, -ei (a.) 539
Ani(e) (a.) 378, 539, 541 Apnal (a.) 537
Aniei, -al 539 Apnei 539, 543
*Anie-na 539 Apollinaris (a.) 223
Anies (a.) 231, 331, 334 Apollo, -inis (te.) 219, 224, 410, 411
Aninal-c (a.) 537 Apo¥llwn (te.) 410, 411
Anina, -nei (a.) 539 Apolloniov (a.) 403
Aninei 543 Apollw¥niov (a.) 222, 224, 225
Anio (i.) 65, 566 Apw¥niov (a.) 464
aniom (a.) 336 *appa-336
anirev (a.) 49, 50, 52-54 Appeiraı̃ov (a.) 56
Agkaı̃ov (a.) 455 Appelloynhi (te.) 411
Ankar (a.) 393 Appii Forum (t.) 419
Anna (te.) 230-232 Appio (a.) 268

.
724 INDICE GENERALE

Appı¥oy fo¥ron (t.) 419 Arlate (t.) 156, 159, 163


Appius (a.) 335, 519 Arles (t.) 159
Apragopolis (t.) 417 Arlet (t.) 159
*ap-re 509 Arnasco (t.) 154
ap-re-ce-na 509 Arnate (t.) 154
ap-rie 509 Arno (i.) 154
ap-u 509 Arnqi(a) (a.) 463
Apulia (t.) 241 A[r]n[t] 536-538
ap-u-na 509 Arnu (a.) 375, 383-384, 501, 538, 459
Apúnis (a.) 112 Arnual 537-538
*aqu- 66 *Arnu-le, -ei 540
aqu-il- 65 *Arnu-za 538
Aquila (a.) 521 arnti (a.) 379, 383, 404
Aquileia (t.) 66 arnt(i)le (a.) 379, 383, 404
Aquileiensis (a.) 521 Arntlei 537, 540, 542, 544, 546
Aquilius (a.) 66 arntu (a.) 379, 404
Aquillia (a.) 283 Arnza 536, 538
Aquillius (a.) 281, 282 arnziu (a.) 379, 383, 404
Aquilo (i.) 65 arnzlane(ś) (a.) 199, 211
Aquilonia (t.) 65, 68, 438, 439 Arpinas (e.) 200
Aquino (a.) 521 Arpinum (t.) 200
Aquinum (t.) 438 Arretium (t.) 211
-ara 67 Arriev (a.) 230
Aranu (a.) 501 ¶Arriov (a.) 468
araotev (a.) 50 Arruntius (a.) 230
Aratea 410 arse (t.) 434
Arauenas (a.) 232 art 158
Arauia (a.) 232 Artas (a.) 244
Arxe¥laov (a.) 415 Artegna (t.) 158
Archilaus (a.) 415 Artemide (te.) 224
Archimedes (a.) 410 Artemidw¥roy (a.) 56
Archippe (t.) 553 Artemı¥siov (a.) 224
Archippus (a.) 553 Artena (t.) 158, 213
Arxonı¥dav (a.) 46 artile (a.) 378, 403
*arcō (te.) 173 artina (a.) 203, 213
Arcobriga (t.) 173 Artogne (t.) 158
arcon- (te.) 173 Artor (a.) 244
Arconate (t.) 173 artua 158
Ardenno (t.) 163 aruki (a.) 302, 304
Arebrigium (t.) 162 Arút (a.) 503
Aredunon (t.) 156 As. (a.) 331
Arelica 155 -av / -a(s) (a.) 415, 418, 419
]ares (a.) 322 asate (a.) 207
Aretusa (t.), (te.), (a.) 227 Asclepius (te.) 410
Argantocomaterecus (a.) 175, 179 -asco (t.) 620
*argantokomátrikos (a.) 179 Asconius (a.) 461
Argentovaria (t.) 159 Ashtart (te.) 30, 32, 38
*arg*nt-o-+{ko(m) -+mh1-t(e)r-} (a.) 175 Asiatici (e.) 409
ari/e- (t.) 155, 162 Asinius (a.) 325
Arilica (t.) 155 -asiu (a.) 622
Ariminus (i.) 69 -askā (e.), (i.), (t.) 156, 181, 183
aritine (a.) 211 Asklh¥piov (te.) 410
Ariuonebos (e.), (te.) 181, 297 -asko- (e.), (i.), (t.) 156, 181, 183
Ariuns (a.) 99, 173 -asko (e.) 620
ArKatoko{k}materekos (a.) 175 Aśkoneti (a.) 175, 302, 314

.
INDICE GENERALE 725

Aśkonetio(s) (a.) 175, 305, 306 atunes (a.) 378, 383, 403
Aśmina (a.) 180, 302 atur 536
aśouni (a.) 302, 314 Atusius (a.) 175
Asper (a.) 521 aualo (a.) 300
astesine (a.) 199 Aydaiv (a.) 430
Ata (a.) 56 Audena (i.) 70
ata 536 *audh- 70
Ataityka (a.) 55 Aufeia aqua (i.) 70
atale (a.) 383 Aufentum (i.) 70
-ate (a.) 375, (t.) 620 Aufidena (t.) 505
Ate (a.) 378, 394, 501 Aufidia (a.) 329, 330
ate- 312 Aufid(i)us (i.), (t.) 70, 438, 505
Atecotti (e.) 170 Aufilius (a.) 330
Ategnatos (a.) 176 Aufilli (a.) 330
atei (a.) 378, 394 Aufilo (a.) 402
ateknati (a.) 302 Aufino- (a.) 500
Atekua (a.) 89, 181, 302, 311, 314 Augurinus (a.) 265, 266, 521, 526
Atene (t.) 28, 46 Augustus (a.) 416
Atepa (a.) 181 Ay¶goystov (a.) 416
ateporix (a.) 311, 313 Aukíl (a.) 500
*atepos (a.) 181 aula (a.) 383
Atepu (a.) 181, 302, 311 Aule (a.) 378, 381, 383, 392, 459, 501,
ateratos (a.) 302, 311 536, 538, 546
Aternus (i.) 66 Aules (a.) 459, 463
-ates (e.) 166 Aulesa (a.) 536-538
[A]tgene- (a.) 373 Aulesla (a.) 537, 538
-aue (a.) 375 Auliani (a.) 622
Auh̃nai (t.) 436 auliu (a.) 383
Auhnaı̃ov (e.) 413 aulu (a.) 384
Aunu (a.) 501 Aulus (a.) 501, 502
Athtar (te.) 38 -aunā (te.) 172
ati(e) (a.) 378, 394 aunate (a.) 207
atieki (a.) 302, 304 -auni (e.) 167
Aties (a.) 331, 335 -auno- (te.) 172
Atilianus (a.) 622 *-aSo- 333
Atilius (a.) 527 Ay¶filov (i.) 70
atilonei (a.) 302, 305 Aurelia (a.) 226
Atina (a.), (t.) 201-202, 214, 228, 564 Auruncus (a.), (t.) 280
atinate (a.) 201, 207, 214 *ausa 70
atiuce (a.) 383 Ausar (i.) 70
-ato- 312 Auser (i.) 70
Atov (a.) 56 Auserclo (i.) 70
atrane (a.) 198, 211 Aysonı̃tiv (t.) 573
Atta (a.) 92, 94, 105-118, 335, 360 autoglottonimo 594
*atta- 104, 107-126, 332, 335 autonimo 594
Attalica 410 autu (a.) 384
Attalus (a.) 409 APeliov (a.) 431
Atticus (a.) 410 Avens (i.) 552
Attidianus (a.) 622 Aventinus (a.), (o.) 551-552, 558
Attio (a.) 331, 335 *Aver 66
Attius (a.) 332, 335 Avernus (lacus) (i.) 66
Attius (a.) 94, 104-118, 394 APev (a.) 51, 54, 43
Attus (a.) 94, 105-118, 394 avil 501
Attusa (a.) 175 Avile (a.) 282, 378, 392, 501, 538
Attuso (a.) 175 avlo- 503

.
726 INDICE GENERALE

Axilla (a) 270, 272-274 bedo- (i.) 157


Baal (te.) 27, 29, 31, 33, 34, 37 Bedorei (a.) 170
Baal Hammon (te.) 29, 31, 36 *bekko- (e.) 171
Baal Shamim (te.) 38 *bel- 63
babōn- 503 Belaiska (t.) 156
Babu (a.) 503 belaiskaƒ (t.), (e.) 300
Bacchides (a.) 419 *Bel-ask-yā (t.) 156
Badiennoi (e.) 170 [Belatu]kadriakos (a.) 176
Badiennwn (e.) 167 Belatukadros (te.) 176
*Badiénnos (e.) 167, 168 Belegnano (t.) 173
Ba(d)iocasses (e.) 168 Belenos (te.) 172-174
badius 167 Beli (e.) 156
*Badyenos (e.) 168, 170 Belici (e.) 156
badyo- (e.), (t.) 182 Beligna (t.) 173
*Badyo-no-s (e.) 168, 170 belikios (t.), (e.) 300
Baeblus (a.) 449 Belinos (te.) 174
Baebulus (a.) 449 Belisama (te.) 174
Bagienni (e.) 167 Belisamarus (te.) 174
Bagienno (t.) 182 Bella (t.) 570
Baiae, –arum (t.) 564 Bellenei (a.) 173
bala¥neion 172 Bellianus (a.) 314
balaney¥v 172 Bellino (t.) 173
Baleares (t.) 412 bello- (a.) 173
Baliareı̃v (t.) 412 Bellona (te.) 416
Baliarı¥dev (t.) 412 Belluno (t.) 156
Ba¥llw 412 *belos 64
Banba (te.) 176 *Belunes (e.) 156
Banon (te.) 176 Beloynon 156
Banona (a.) 176 benda- (i.) 162
Bantinw (a.) 430 Benevento (t.) 243
Barba (a.) 521 benn 162
Barbarus (a.) 521 Bennakon (i.) 162
Barbatus (a.) 255-258, 283, 286 *Bennákos (a.) 175
Bargagli (t.) 163 Benozzo (a.) 233
Bargali (t.) 163 *Berg-ál(l)-is (t.) 163
Barolo (t.) 163 Bergalli (t.) 163
Barrolius (t.) 163 Bèrgamo (t.) 157, 163
Bassus (a.) 521, 524, 526 Bergimos (te.) 172, 174
Baỹloi (t.) 564 Be¥rgomon (t.) 157
Bayeux (t.) 168 Berigiema (o.) 163
{[b]dkšr (a.) 34 Bhrwnev (e.) 169
{BDLM (a.) 455-456, 490, 492 Beronicenses (e.) 169
BDMLQRT (a.) 453, 490, 492-493 *bhe-dyó-s 167
{bdmskr (a.) 35 *bhel-isamā (te.) 174
BDSD (a.) 489, 492 *bher-1 e 2 154, 164, 182
˙
bdšg[r] (a.) 33 *bherg’h (o.) 163
{BSK (a.) 492 *bherg’h-yo-mā (o.) 163
{BDSKN (a.) 492 *bhod’h-enko-s (i.) 157
{BD}ŠMN (a.) 453, 490 *bhoun-on-yā (t.) 159
{BDŠMN (a.) 492 *bhow-yo-s (e.) 168
BD{STRT (a.) 455 *bhoy-ó-s (e.) 168
{bdtywn (a.) 35 *bhrēw-o-m 155
Beannach (Loch) (t.) 162 *bhrg’h-nt-yā (t.) 155
Bexunes (e.) 171 *bhrg’h-s (a.), (e.), (t.) 162, 170, 178
bedd 157 *bhud’hmen-ko-s 157

.
INDICE GENERALE 727

bhudhná- 157 Branderix (a.) 306, 314


Bibulus (a.) 449 bras 172
bindis 156 Bras(s)ennos (te.) 172, 174
Binniskum (e.) 156 Brata (a.) 331
Biracillus (a.), (e.) 156 braz 172
Birakellon (t.) 156, 160, 163 Br/dgš (a.) 35
Bitio (a.) 302 Bregissa (a.) 306
Bitoyrgı¥a (t.) 159 Brente¥sion (t.) 411
Bitoyrgı¥a Toy¥skwn (t.) 160 Bre¥ntion 411
Bituriges (e.) 160 Brescia (t.) 284
*Biturı̄gyā (t.) 160 Bre¥ttiov (e.) 491
Bituris (t.) 159 Brianza (t.) 155
Bivelium (e.), (t.) 182 Brieva (t.) 155
bivo- (e.), (t.) 182 briga (t.) 162
Bivo(n)tialui (a.) 179 Brigantia (te.) 174
*bivontios (a.) 179 Briga¥ntion (t.) 155
Blandus (a.) 458 Brigovicis f. (a.) 302
B}ldgn (a.) 33 Brigovix (a.) 178
Blenio (t.) 163, 173 *briks 170
B{LŠN} (a.) 451, 489, 492 Briona (t.) 163
Blustiemelo (o.), (t.) 155, 163, 181 briś 162
Bnake (a.) 175, 181 Britanni (e.) 167
Bodincomagus (t.) 155 Brit(is) (a.) 461
Bodincus (i.) 63-64, 157 briva 155
*Bodinus 63 Briviesca (t.) 155
Bodiocasses (e.) 168 Brivio (t.) 155
Bwdorei (a.) 170 Brijellon (t.) 163
Bwdoriv (a.) 170 Brocchi f. (a.) 315
*bogio- (a.) 312, 314 Brocchilo (a.) 315
-bogios (a.) 176 Broccus (a.) 521
*Boialos (a.) 177 brunda (t.) 411
Boii (e.) 168 Brundisium (t.) 411
Boiknos (a.) 173, 177 Bruti (a.) 267, 268
Boios (a.) (e.) 168, 173, 177 Bruto (a.) 268, 273
Bolgedo (a.) 156 Brutulus (a.) 267
Bolgondiskum (e.) 156 Brutus (a.) 252, 267, 268, 283, 286
*Bolg-on(n)-o-s (a.) 156 Búanann (te.) 159
Bologna (t.) 159, 160, 163 Bubali (a.) 449
Bolsena (t.) 436 Bubulcus (a.) 267
*bo(n)din- 63 Bucca (a.) 87
Bōnónia (t.) 159 buide 167
Bononia (t.) 634 buidechass 168
Bormeskom (e.) 154 Búrmia (i.) 154
Bormiae (Aquae) (t.) 154 Burrus (a.) 409, 410
Bormida (i.) 154 Buttis (a.) 53
Bormio (t.) 154 búvaianud (t.) 438
bormo- (i.), (t.), (te.) 181 Buxentum (t.) 410
Bo¥rtyv (a.) 491 BYBL} (a.) 449
Boudilli f. (a.) 314 Byblius (a.) 449
bouno- (a.), (t.), (te.) 159 C. (a.) 331, 337
*bounon(i)a (t.), (te.) 159 Cadore (t.) 162, 163, 166
Bourges (t.) 159 cae (a.) 378, 383, 395-396
Bovianum (t.) 439 Caecilii (a.) 462, 483
’bqm (a.) 37 Caecilius (a.) 520, 525
Bradanus (i.) 69 Caecina (a.), (i.) 269, 505

.
728 INDICE GENERALE

Caecius (a.) 269 Cantognatus (a.) 314


Caeculus (a.) 556, 568 Cantovios (a.) 458
Caecus (a.) 264, 268, 269, 519 capatine (a.) 199, 211
Caedies (a.) 466 Capena (t.) 208, 214
Caelimontanus (a.) 270 Capenas (e.) 200-201
Caere (o.), (t.) 210, 226, 572, 575, 576 capenate (a.) 201, 204, 208, 214
Caeres (e.) 200, 210 capevane (a.) 211
Caeretani (e.) 575 cap(i)na (a.) 203, 214
Caesar (a.) 502 capine (a.) 199, 211
Caesena (t.) 202, 214 Capito (a.) 521, 524, 526
Caesennia (a.) 420 Capitolinus (a.), (t.), 276, 278-280
Caesienus (a.) 324 capiu (a.) 379, 383, 404
Caesius (a.) 458, 472, 526 Capua (t.) 208, 570
Caesus (a.) 453, 458 capuane (a.) 199, 211
cafate (a.) 208 Capuanus (e.) 211
cai (a.) 378, 383, 387, 395 Capys (a.), (t.) 565
Caieta (a.), (t.) 564 Carantodius (a.) 314
Caises (a.) 460 Carantus (a.) 314
Caisia (a.) 460 Caratacus (a.) 314
Caisies (a.) 460 Carcu (a.) 501
Caisio (a.) 402, 458, 471 Cariassi (a.) 178
cáith 182 Cariassis (a.) 302
C(aius) (a.) 462, 464, 467 Cariatus (a.) 178
Calaber (e.) 213 Carius (a.) 456
Calauan. (a.) 331 carn 165
Calauan(s) (a.) 500 Carni (e.) 165
Calauuius (a.) 468, 486 Carnutes (e.) 165
cale (a.) 197, 213 Carovigno (t.) 240
Cales (t.) 208 carpe (a.) 383
caliaue(si) (a.) 208 Carpegna (t.) 202, 214
calisu (a.) 379, 384, 404 carpiane (a.) 199, 211
calite (a.) 208 carpnate (a.) 204, 208, 214
Calitenes (a.) 459 Carsioli (t.) 437
Callaicus (a.) 268 Cartagine (t.) 29, 32, 33, 34
Calus (te.) 226 Carthago (t.) 411, 434, 435, 437, 441
Calusna (te.) 226 Carus (a.) 503
Calussa (a.) 257 Cascellius (a.) 527
Calvio (a.) 521 Casilinus (i.) 68
Calvus (a.) 280, 285, 521 Casius (a.) 453
Camalus (a.) 91 Caso (a.) 458
camarine (a.) 211 Casontonia (t.) 68
Cambridge (t.) 497 casp 508
Cameli (a.) 630 casp- 508, 510
Camenae 413 Caspre (a.) 508, 510, 511
Cameria (t.) 211, 276 Casp-re-s (a.) 508
Camerinus (a.), (e.) 211, 276 Casp-re-ś (a.) 508
Camillus (a.) 133 casp-re-sa (a.) 508
campane (a.) 211 Casp-ri (a.) 508
Campania (t.) 565 Casp-ri-al (a.) 508
Campanus (e.) 211 *Casprius 510
Campidoglio (t.) 278 casp-u 508, 511
Camulus (a.) 91 *cassi- (a.) 312
Canianum (e.), (o.), (t.) 182 Cassia (a.) 526
Canopus, -bus (t.) 411 Cassius (a.) 521, 522, 526, 527
Canosa (t.) 243 Casteggio (t.) 157

.
INDICE GENERALE 729

Castracani (a.) 233 Censor (a.) 521


Castricius (a.) 528 Centho (a.) 519
Castrucci (a.) 233 Ceraunus (a.) 521
Castruccio (a.) 233 Cerere (te.) 221
Casuentini (e.) 68 cereria (te.) 242
Casuentus (i.) 68 Cereria (te.) 221
Cata (a.) 453 Cerfo (te.) 221
cata- (a.) 90 certu (a.) 383
Catamitus (a.) 410, 412 Cerus (te.) 224
Catana (t.) 414 Cervolus (a.) 521
Catane (t.) 414 Cesi (a.) 458
Catania (t.) 586 Cesies (a.) 459
Catillus (a.), (o.) 551, 552 Cesilia (a.) 460
Catina (t.) 414 Cesio (a.) 459
Catius (a.) 453, 461 Cesius (a.) 453
Catmite (a.) 412 *česp- 510
Cato (a.) 99, 453 ceterus 540
Catronius (a.) 623 Cetobriga (t.) 157
catu- (a.), (e.), (t.) 90, 162, 166 Cetona (t.) 157
Catubrini (e.) 166 *cezp 509, 510
Catucianum (e.), (o.), (t.) 182 cezp- 509, 510
Catullus (a.) 90, 91 cezpa 509
Caturiges (e.) 166 cezp-alx 509
Caunos (t.) 410 cezpalxals 509
cavie (a.) 378, 396, 501 cezp-z 509
Cavies (a.) 485 -x (e.) 201
*cazp 510 Chalcidenses (e.) 571
ce-alx 510 Char. (a.) 331, 337
Cécina (t.) 202, 214 xerite (a.) 207, 210
Ceglie (t.) 242 Xeritnei (a.) 575
ceicna (a.) 202-203, 214 Chiana (i.) 69
Ceise (a.) 459 Chianti (t.) 69
ceisi (a.) 378, 402, 459, 471 Chilo (a.) 521
Ceisia (a.) 458 Chiteris (a.) 420
ceis(i)na(ś) (a.) 214 Chiusi (t.) 226
Ceisu (a.) 459 Chloris (a.) 420
ceisu (a.) 378, 396 Chorges (t.) 166
*Celate 539, 541 Xosfer 509, 510
*Celate-na 539 xosio- (a.) 370
*Celaue 539, 541 xosioiso (a.) 302
Cêlatina 536, 537, 539, 542, 543 Xrusanuus 419
Cêlatinas 537, 538 Chrysanthus (a.) 419
Celatus (a.) 527 *Xusf- 509
Celemna (t.) 202, 214 ci-alx 510
Celer (a.) 468-469, 487, 521, 524, 526, cían 168
529 ]ciantes (a.) 463
celmna (a.) 214 Cicero (a.) 99, 413, 521
Celsus (a.) 178 Cicerone (a.) 261
Celuestra (a.) 171, 177 Cicurinus (a.) 270, 286
Celtius (a.) 178 Cieco (a.) 268
cencu (a.) 379, 404 Cilo (a.) 521, 525
Cenimagni (e.) 168 Cimber (a.) 331
Cenimanni (e.) 168 Cincinnatus (a.) 458
Cenomani (e.) 168, 170 Cincio (a.) 273
Cenomanni (e.) 170 cincu (a.) 404

.
730 INDICE GENERALE

Cingeto- (a.) 175 Congonni (a.) 179


Cinigiano (t.) 548 Congonnus (a.) 179
Cinnamus (a.) 418 Connida (a.) 587
Cinto(s) (a.) 311 Contestani (e.) 169
Cintu (a.) 311 Contextos (a.) 169
Cintugenus (a.) 311 contextos (a.) 306
Cintugnatos (a.) 311 Contrebia (t.), (e.) 156, 301
Circe (a.) 569 Cora (t.) 211
Cisra (t.) 573 Coranus (e.) 211
cisvite(sa) (a.) 208 Coras (a.) 551, 552
Citius (a.) 453 Corcira (t.) 586
Civitani (a.) 630 corcu (a.) 184
Clani(u)s (i.) 69 Cordus (a.) 521, 528
clante 500 Corfinium (t.) 438
clanti 501 Cori (t.) 552
Clarus (a.) 521 Coriolanius (a.), (t.), 278
clas 157 Cornelia (a.) 260, 262, 366
Claudia (a.) 237, 238 Cornelii (a.) 285, 286
Claudii (a.) 264, 265, 280, 285 Cornelio (a.) 258, 283
Claudio (a.) 268 Cornelios (a.) 255, 257
Claudius (a.) 107, 236, 259, 264, 269, Cornelius (a.) 230, 254-257, 263, 285,
285, 335, 519 287
Clausus (a.) 236, 237, 238, 335, 360 Cornutus (a.) 276
Clemens (a.) 521, 524-526, 528, 529 Corona (a.) 521
cleniar-c 537 Cortona (t.) 201, 208, 214, 436
clepatra (a.) 383 Corvinus (a.) 284
cleuste (a.) 208 Cosa (t.) 208
clevsi (t.) 436, 439 Cosae 548
Clodia (a.) 237 Cosānus (a.) 327, 548
Clodius (a.) 107, 416 Cosinius (a.) 527
Cloelii (a.) 280, 281 Cosius (a.) 453
cluate (a.) 378, 400 Cos(s)a 548
cluate(sa) (a.) 208 Cossus (a.) 287
Clusium (t.) 208, 436, 439 cot 162
Cnaeus (a.) 396, 460 Cota (a.) 453
Cnaive (a.) 460, 501 Cottiae (Alpes) (o.) 162
cnaives (a.) 52 Cot(t)ius/a (a.) 177, 453, 461
cnaiviies (a.) 52 cotto- (a.), (o.), (t.) 162, 164, 177
cneve (a.) 378, 396 coz 162
Codrongianos (t.) 623 Cozii (e.) 177
coed 157 craica (a.) 213
Coisa (a.) 179 crann 165
Coisis (a.) 460 Crassi (a.) 264, 280
Collatino (a.) 273 Crasso (a.) 268
Collatinus (a.), (t.) 276 Crassus (a.) 268, 269, 285
Colussa (a.) 258 creice (a.), (e.) 197, 206, 213, 378, 384
Comagus (a.) 302 Cremona (t.) 157, 163
Comberanea (i.) 154 Crescens (a.) 521
Cominius (a.) 280 Crespe (a.) 500
Comiso (t.) 46 crim 157
con boing 176 Crispus (a.) 521, 524, 527
Concanaunae (te.) 172 Cubrar (te.) 227
Concauni (e.) 172 *čuc-ri 509
Conchenn (a.) 176 *Cucrie 539, 541
Congonna (a.) 179 *Cucrie-na 539

.
INDICE GENERALE 731

Cucrina 537, 539, 543 cusp-re-ie-na 508, 510


cuc-ri-na-uur 509 *Cusu 549
Cucrinauur 539 Cusu 536, 537, 541, 544-547
cuc-u 509 Cusu 537, 540, 548
Cugiano (t.) 548 Cusual 537, 540
Cumae (t.) 409, 436 Cusui 537, 540, 548
Cumallianum (e.), (t.) 182 Cusus 537, 540, 548
cumni (a.) 378, 400 Cusuuura- 540
Cunacenni (a.) 176 Cusuuuras 538
Cunctator (a.) 243 Cutiliae, -arum (i.) 567
Cunopennos (a.) 176 Cutina (t.) 202, 214
cupe (a.) 378, 391 cutio 182
Cupitus (a.) 521, 524, 526 -cutio 182
Cupra (te.), (a.) 227 cutios 182
cupro- (te.) 227 cutna(s) (a.) 214
curane (a.) 211 Cuttiae (t.) 436
cure (a.) 378, 382, 392 Cutu Cutii 510
Cures, –ium (t.) 565 cvinte (a.) 378, 396, 501
Curinus (e.) 67 cyfarwys 178
Curitis (te.) 67 Cyma (t.) 409
Cursor (a.) 243 Cypare (a.) 418
cursp-e-na 508 Cytheris (a.) 420
cursp-ia 508 daeru 172
curuu (t.) 436 Dagon (te.) 33
curuute(ś) (a.) 207, 208, 214 Damarati (a.) 252
curtu (t.) 214 Damatria (te.) 242
cus- 548, 549 Dannotaliknoi (e.) 176
cus- 549 Dannotalos (a.) 176
-cus 63, 64 Daranuoa (t.) 411
*Cusa 549 Dayı¥d (a.) 415
*Cuse 549 Dauid (a.) 415
*Cuse 548 Daun (t.) 160
Cusi 549 Dazinnes (te.), (a.) 229
Cusial 549 Decellius (a.) 518
*Cusiānus 548 Decennius (a.) 518
Cusi(e) 549 Decidius (a.) 518
Cusina 549 Decilius (a.) 518
*Cusina 548 Decimius (a.) 285, 502, 515, 516, 518
Cusine(i) 548 Decirius (a.) 518
Cusiue (a.) 208, 548 Decitius (a.) 518
*Cusius 548 Decius (a.) 516, 517, 518
Cuslna, 549 Decries (a.) 327, 467
Cuslnei 547, 549 dek(u)mo- 504
Cuslnei 548 Dekiis (a.) 516, 518
Cusnal 547 Dekis (a.) 466, 504, 516
*Cusna, 548 Dekitiis (a.) 518
Cusnei 547 Dekkiis (a.) 230
Cusnei, -nal 548 dekkyo- 504
Cusnia 547 dekmas 504
Cusnia 548 De¥kmov (a.) 468
cusp- 509, 510 Delfi (t.) 46
*cusp-er- 510 Delfoı¥ (t.) 436
cusp-er-ie-na 508-510 Demaratus (a.) 409
*čusp-re 510 Demincavi f. (a.) 302
*čusp-r(e)ie- 510 demotico 604

.
732 INDICE GENERALE

Denter (a.) 462 -dyō(n) (a.) 178


derow 172 -e- 501
Dervonibus (Fatis) (te.) 172 Ebdies (a.) 322
Dervonnae (te.) 174 Ebla (t.) 28, 33
Dervonnis (Matronibus) (te.) 172 Eborelia (o.), (t.) 158
dervos 172 Eborodoynon (t.) 158, 160
derw 172 Eburelia (o.), (t.) 158
*deuk- 234 Eburius (a.) 302
Dexter (a.) 501 eburo- (o.), (t.) 158
Dianius (a.) 223 Eburum (t.) 161
Dic(a)earchia (t.) 410 ecnate (a.) 210, 378, 400
Dido (a.) 414 ecoantroponimo 594
Diespiter (te.) 235 ecoetnonimo 594, 602, 615
Digentia (i.) 69 ecoteonimo 594
Dikaia¥rxeia (-ı¥a) (t.) 410 ecotoponimo 594
Diodoro (a.) 266 efwr 158
Diodw ¥ rov (a.) 56 *Egnaz (a.) 400
Dioklh̃v (a.) 222 ™ Eiov (a.) 468
Dionysia (a.) 416 Ekkaios (a.) 314
Diony¥siov (a.) 410, 412 eks- 312
Dionysius (a.) 410, 412 *Eks-ande-kottos (a.) 177
Diovis (te.) 235 ēk’wonā (te.) 172
Diovos (te.) 233 ēk*wo-reid(a)-yā (t.) 165
Dı¥filov (a.) 404 Elea (t.) 440
Dis (te.) 413, 416 Ele¥a (t.) 441
diumpa- (te.) 230 Elimi (e.) 583
}DNB{L (a.) 450, 489, 492 Elimo (a.) 583
*dng’hwāt- 180 -elio- 96
dohit 49 Hliofw̃n (a.) 420
dohitim 49 êliun-t(a)s 538
Domitius (a.) 527 ™ Ellhn(ev) (e.) 409, 418
Dormagen (t.) 155 eßllhnistı¥ 409
Dormelletto (t.) 155 -éllo- (a.), (e.), (t.) 163, 185
Dormello (t.) 155 ¶ Eloriv, (i.) 44
dorn 155 Elpı¥v (a.) 418
Dorno (t.) 155 Eluissonis (a.) 181
*Douketio- (a.) 234 Eluveitie (a.) 177, 179-181
Dre¥panon (t.) 586 Elvetioi (e.) 169
Droy¥silla (a.) 418 El[P]om (a.) 503
Drusus (a.) 521 Elwydd (a.) 179
Druti (a.) 460 Elymoi (e.) 169
*druto- (a.) 312 Emaytw (a.) 429
Ducetius (a.) 234, 238 Embrun (t.) 158
Duilii (a.) 262, 286 Endubronis f. (a.) 302
Duillius (a.) 458 Eneide 235, 236, 239
dún 155 Enetioi (a.) 368, 369
Duno (t.) 160 Enetoı¥ (e.) 411, 437
Doynon (t.) 160 -énno- (a.), (e.), (t.), (te.) 163, 170, 185
dunum 155 *-ēno- 323, 328
durno- (t.) 155 Enogenes (a.) 362, 364-368, 370-373
Durnomagos (t.) 155 Enokleves (a.) 368
Durnovaria (t.) 159 Enosim (t.) 9
-dyā (a.), (t.) 178, 183 -enses (e.) 166
*dyeu- (te.) 234 -ent- 162
-dyo- (a.), (t.) 178, 183 Entella, (t.) 44

.
INDICE GENERALE 733

-eo (a.) 304, 306, 307, 309, 312 Europus (a.) 468
Ep[?] (a.) 469 Euruno (t.) 158
*epo- (a.) 173, 312 Eyßry¥maxov (a.) 50
Epona (te.) 172, 173, 416 eyrymakev (a.) 50, 51, 54
epopaska (a.) 53 Eutrapelus (a.) 410
Êpru 546 Eutucia, (a.) 419
Êprus 536 Ey¥toykeı¥a (a.) 419
Equi (a.) 630 Eyßtyxı¥a (a.) 419
Equos 182 Eutychia, (a.) 419
Era (te.) 222 evantra (a.) 383
Eracle (te.) 38 Ejaxestı¥dav (a.) 46
Hra¥kleitov (a.) 403 ¶Ejaxiv (a.) 46
Hraklh̃v (te.) 222, 403, 410, 411 Eja¥xwn (a.) 46
Ercole (te.) 219, 221, 222 Excingomagus (t.) 155
eri- 312 Exorati f. (a.) 302
eripoxios (a.) 302, 311, 312 Fabia (a.) 274
eris (a.) 383 Fabii (a.) 270, 274, 277
Eros (a.) 410 Fabius (a.) 104, 458
Erotium (a.) 418 Fabullus (a.) 521, 526
Eroyntes (a.) 503 Fadatruni[(a.) 322
Eroynth<i>v (a.) 468 Faesus (a.) 265, 266
Erux (t.) 19 *Faler 66
-es 80 Falernus (ager) (t.) 66
hv (a.) 415, 418 Falisci (e.) 567
esal- 510 Faliscus (e.) 196, 213
Esanekoti (a.) 177, 303, 310 Falto (a.) 500
Eshmun (te.) 30, 32 Faltu (a.) 501
Eskingomarios (a.) 314 fastia (a.) 384
esl- 510 Faustus (a.) 502
esmín 52 Favor (a.) 521, 526
esopnio(s) (a.) 302, 305 felcinate (a.) 201, 210, 215
esopnos (a.) 311 Felix (a.) 500
Esquilinus (a.), (t.) 280, 285 felqunate(s) (a.) 210
Estaniov (a.) 470 Felsina (t.) 202, 215, 634
-etani (e.) 166 Felsineo (e.) 634
*Et(e)ro- 540 Fêlsni 536, 540, 543
eteroglottonimo 594 *FelsV- 541
eteronimo 594 *FelsV-na 540
etnico, ethnikon, eßuniko¥n 601-603 feluske(s) (a.) 196, 213
definizione 603-604 Felzna (a.) 215, 540
struttura morfologica 605 Felzumna (a.) 225
grecismo nell’usus linguistico con- felzumnate (a.) 210, 215
temporaneo 610 ferann 159
etnonimia 600 Fere (a.) 458
etnonimo 594, 601-602 ferenn 159
-eto- (a.) 175 Ferentinas (e.) 210
Êtru 536, 540-542, 544 Ferentinum (t.) 210
Êtruis 538 Ferine (a.) 501
Etruria (t.) 572 Feronia (te.) 223
Etrusci (e.) 440, 573 feronn 159
Etruscus (a.) 521 Ferox (a.) 521, 526
-et(t)o- 312 Ferrognao (t.) 223
eucle (a.) 384 Ferrogno (t.) 223
Eyßkleı¥dhv (a.) 417 fertae 159
Euclides (a.) 417 Ferter (a.) 106, 110, 111, 113, 114, 131, 360

.
734 INDICE GENERALE

F(ertor) (a.), (i.) 113, 132, 467 *Fulu-na 540


Festo (a.) 235, 239 Fuluśla (a.) 55
fichid 159 Fulvianus (a.) 500
Fidelis (a.) 412 Fulvio (a.) 261
Fidenae (t.) 280 Fundanius (a.) 414
Fidenas (a.), (t.) 280 Furfo (t.) 438
Filistei (e.) 33 Furii (a.) 276
Fimbria (a.) 500 Furius (a.) 276
find 162 Fuscus (a.) 521, 524, 526, 529
Finn (a.) 162 Fusus (a.) 270, 287
Firma (a.) 527 Gaavis (a.) 503
Firmus (a.) 521, 524-526 Gabii (t.) 207
Firvius (a.) 528 *gaios (a.) 179
Flaccus (a.) 259, 520, 521, 524 Ga¥ı̈ov (a.) 464, 470
*Flahs 500 Gaisa¥tai (e.) 167
Flakís (a.) 500 gaiso- (e.) 167
*Flakko- 500 Gaius (a.) 332, 395, 396, 502, 503
Flaminii (a.) 262 Galaesus (a.), (i.) 558, 559
Flaurus (a.) 417 Galene (a.) 420
flaviena(s) (a.) 215 Galli (e.) 171
flaviies (a.) 52 Gallius (a.) 266, 267, 500, 521, 524
Flavina (t.) 215 Gallus (e.) 213
Flavio (a.) 261, 270 gand 158
Flavus (a.) 285 Gandellino (t.) 158
Flora (a.), (te.) 221, 420 Gandino (t.) 158
Florentia (t.) 438 gando- (i.), (t.) 158
Florus (a.) 417, 521 gandobe/u 158
Fluusaí (te.) 221 *Gandobera (i.) 158
foirenn 159 Gandosso (t.) 158
Folcus(i)o (a.) 459 Gandovera (i.) 158
Foligno (t.) 436 Gannodoyron (t.) 158
fondiarii, nomi 620 Ganymh¥dhv (a.) 410, 412
fondiario 621 Ganymedes (a.) 410, 412
Formiae, –arum (t.) 567 gaudere 502
Fortóre (i.) 132 *gavidus 502
Fortuna (te.) 233 Gavillus (a.) 521, 526
Fortunatus (a.) 529 G(avis) / [G]aPis (a.) 464, 466, 469, 488
foss 179 Gavius (a.) 502, 527
fram∼d∼r 175 gawyo- 503
fram∼tar- 175 GDR (t.) 7
Francoforte (t.) 433 Ge¥la (t.) 43, 414
Frentani (e.) 132 Gela, (i.) 44, 414, 586
frentinate (a.) 210 Gelani (e.) 414
Frento (i.) 65 Ge¥lav (i.) 43
Frontino (a.) 268, 269 Gelasimus (a.) 418
Fronto (a.) 521, 526 Gelenses (e.) 414
Frugi (a.) 500, 521 Gellio (a.) 235, 239
fufluns (t.), (te.) 204, 439 Gellius (a.) 284
Fulcni 537 Geloi (e.) 414
Fulginas (e.) 201 Gelw¥i (a.) 43
Fulginia (t.) 202, 215 Gelw¥iov (a.) 43
Fulginiae (t.) 437 Ge¥lwn (a.) 43
Fulna, -nei 540 Gelw̃ov (e.) 414
Fulni 537, 540, 543 Gemellius (a.) 526
Fulu (a.) 379, 384, 406, 459, 501, 540, 541 *genā (a.) 179

.
INDICE GENERALE 735

Genialis (a.) 527 Graecolatini (e.) 410


Genita (te.) 224 Graecostasis (t.) 417
Genoma¥noi (e.) 168 Graeculi (e.) 409, 413
gent- 368 Graecus (e.) 213
gentile 604, 614 Graex (a.) 331, 500
gentilia 604, 614 Grai (e.) 413
Ge¥noya (t.) 167 Graiko (a.) 404
Genuates (e.) 167 Grana (t.) 173
Genucia (a.) 265 Granius (a.) 527
Genucii (a.) 266 Grannos (te.) 173
Genucio (a.) 266 Gritto (a.) 331
Genucius (a.) 265 Grotta della Poesia (t.) 240-243
Genuenses (e.) 167 Grskn (a.) 33
geoantroponimo 594 Gubbio (t.) 221
geo/ecoetnotoponimo 594 guerin 159
geo/ecotopoetnonimo 594 Gush (te.) 35
geoetnonimo 594, 602, 615 guz 173
geoteonimo 594 gwas 179
geotoponimo 594 *gwelen- (te.) 172
geped 51, 53 *gwelen-o-s (te.) 172
Germanus (a.) 521 *gwelH- 172
Geryon (a.) 564, 565 *gwher- 181
Geta (a.) 500 *gwhon-o-s (a.) 175
*ghelswo- 68 *gwitu-rēg*-es (e.) 160
*ghend- (i.), (t.) 158 *gwiwo- 182
*ghn-d-ó-s (i.), (t.) 158 g(w)lt (t.) 573
*ghosti- 138, 369 *gwnH-onā (a.) 176
*ghosti-s (a.) 177 *gwn(H)-w-yā (te.) 176
Giove (te.) 221, 234, 236 *gwrH-sto- 172
Giovio (te.) 221 *gwynn 162
Glaucus (a.) 571, 572 Gymnh¥siai (t.) 412
GLB (a.) 483 hadaš 434
glottonimia 594, 600 Halaesus (a.) 552, 554
glottonimico 594, 595, 598 Halesus (a.) 567
glottonimo 594-596 hamfe 501
Glottonymie 594, 599 Hamfina (a.) 501
Gnaeus (a.) 502 harpite (a.) 208
Gnaı̃ov (a.) 470 haspa (a.) 384
Gnaivod (a.) 255 hastia (a.) 384
Gnaivs (a.) 503 hatru (a.) 383
gnaiwo- 503 Hausham (t.) 498
Gnar (a.) 503 hazsyie[j (a.) 49, 50, 52, 53
gnāro – 503 Hb} (a.) 38
Gnay(v) (a.) 429 Hecate (te.) 413
Gneo (a.) 261, 270 Hector (a.) 414
-gno- 373 *h2 eg- 231
god 173 Heii (a.) 486
gosio- (a.) 370 Heíis (a.) 466
gostiqo (a.) 177 -heim 505
-gozis (a.) 177, 181 Heírens (a.) 400, 503, 504
Gozzoli (a.) 233 heirie (a.) 378, 400
Gracchus (a.) 500 Helevis (a.) 466
graecari 410 *h2elh2- (e.) 167
Graece 409 Heliofo (a.) 420
Graeci (e.) 409, 410, 572 Helpis (a.) 418

.
736 INDICE GENERALE

*(H)eluet-yo-s (a.) 177 Homuncio (a.) 521


Helurus (i.) 68 Horaioi (a.) 367
Helva (a.) 285 Horatii (a.) 286
Helvetii/-oi (e.) 169, 180 Horatius (a.) 235, 271, 274
Helvillum (t.) 208 Horta (t.) 208
helvinate (a.) 208 Hostihavos (a.) 136-138, 370
Helvinus (i.) 68 Hostilia (t.) 95
helvna(s) (a.) 214 Hostilii (te.), (a.) 228
helvnate (a.) 214 Hostilius (a.) 94, 95, 119, 135, 140-142,
Helvonum (e.), (o.), (t.) 180, 182 396
helwo- 503 hostis 177
Helymus (a.) 169 Hostius (a.) 94, 95, 135, 140-142, 370
*h2 elyo-bh-(w)eh2- 505 Hostus (a.) 94, 95, 119, 135, 502
Heneti (e.) 411 (})hqm (a.) 37
*her- (a.), (te.) 224 HRB (a.) 483
Her. (a.) 327 hšbn (a.) 34
Heraclidas (a.) 46 hulu (a.) 379, 406
Heraclit(-) (a.) 500 Hundanius (a.) 414
Heraclius (a.) 529 hurtate(s) (a.) 208
hercle (a.), (te.) 378, 403, 410, 411 huśinies (a.) 52
Hercles (te.) 233 *h2us-s- 540
herclite (a.) 378, 383, 403 hustle (a.) 378, 396
Herclo (te.) 411 hvagsto 173
Hercolo (te.) 221 Hydruntum (t.) 434, 435
Hercules (te.) 410, 411, 565 {hyy}ql (a.) 36
Hercynia (t.) 182 -ı̄ 305
Herec(e)le (te.) 411 -i 436
Her(e)i(i)s (a.) 224 ia- 367
Herekleis (te.) 411 -iāco- 501
Herennius (a.) 529 -iaio- 86
Herentatia (te.) 242 -iako- 86
Her(i) e (te.) 224, 230, 232-233 iam 50, 53
Herimot (a.) 233 Ianiculum (t.) 440
herine (a.) 211, 378, 400 Ia(n)ts (a.) 362, 365-367, 371
Herirat (a.) 233 -(i)anum (a.) 619, 621
Heris (a.) 224, 230, 232 Iapigi (a.) 630
Heris (a.) 503 Iapigio (a.) 630
Herius (a.) 325, 326, 337 ibar 158
herme (a.) 378, 392 Iccius (a.) 454
Hermes (a.) (te.) 410, 413, 418 -ida (a.) 413, 418, 419
Hernici (e.) 565 Iddes (a.) 244
*heront(o)- 503 -ides (a.) 413, 418, 419
*heryenno- 503 -idhv 587
*heryo- 503 *-idio- 327, 328
Hierakōn nēsos (t.) 9 -idius 97
himiu (a.) 378, 403 Idor (a.) 244
Hippo (t.) 440 Idrontino (a.) 630
hipucrate (a.) 378, 403 -ie 501, 510
Hirume (a.) 501 -iensis (e.) 415
Hispallus (a.) 76, 92, 98, 149 -ies 70
Hispania (t.) 565 -igo (t.) 620
Hister (a.) 468 iguvino 595
Hlbn (a.) 36 -ito- 321-323, 327-328, 330, 332-336
˙
(H)MT W} (t.) 17 -iís 9 80, 81
Homerus˙ (a.) 410 -iknā (a.) 180, 184

.
INDICE GENERALE 737

-ikna- (a.) 304, 309, 311, 312 *ı̄ssu- (e.), (t.) 170
-ikno- (a.) 304, 309, 311, 312 *Issubrēs (e.) 170
-(i)ko- (a.) 81, 175 *ıssubreys (e.) 170
-ilio- 502 *ıssu-briks (t.) 170
-ı̌lio- 92-98 *ıssu-bris (e.) 170
-ı̄lio- 92-98 -istā (t.) 158
Ilioneo (a.) 235 Istanius (a.) 454
-ilius 84, 86, 91, 92-98 -isto- (t.) 158
-íllo- (a.), (e.), (t.) 185 Isoy¥rion (t.) 170
illu 439 Isu(r(i)um)-Brigantum (t.) 170
Illyricus (a.) 521 Isymbroi (e.) 170
-ilo- (a.) 85, 86, 299, 304, 305, 308, 312 Itali (t.) 582
-ilu 84-85 Italia (t.) 65, 72, 219, 222-224, 415, 417,
im 49, 50 440, 567
-im 79, 81 Italı¥a (t.) 415, 417
Imperiossus (a.) 279, 286 Italici (e.) 409
-in- 63 italico 596, 597
[- - -]inauur 537, 540 italico del Nord 597
Industria (t.) 155 italico del Sud 597
-ine (a.) 196, 198-199, 206, 211-212 Italicus (a.) 461
Ingauni (e.) 164, 167, 182 italique 597
inigena 179 italisch 596
Ingenuus (a.) 527 italo (a.) 54
-inio- 436 Italo¥v (a.) 582
-inkā-/o (i.), (t.) 181 ıtalus (t.) 417
-inko-/ā (i.), (t.) 181 -itani (e.) 166, 419
-ı̄no- (a.) 244, 505 -ite (a.) 375
-íno- (te.) 174 -ites (e.) 166
Inregillenses (a.) 280 -ı¥thv (e.) 419
Inregillensis (a.) 264, 277 -iue (a.) 375
Inregillum (a.) 265 -it(t)o- 312
Insubres (e.) 170 iucurte (a.) 378, 404
Inveruno (t.) 158 Ioydaı¥a (e.) 418
-io- 86, 304, 306, 307, 309, 312, 360, Iulia (a.) 101, 102, 366, 456
361, 436 Iulianus (a.) 521
*-to- / -ito- 321-323, 327, 328, 330, 332- Iulium Carnicum (t.) 158
336 Iulius (a.) 101, 521, 525, 526
-iom 79, 81 -iúm 79
Ionicus (a.) 527 -ium (a.) 418
ios (e.) 85, 415 Iunii (a.) 267, 268
Iosimus (a.) 416 Iunius (a.) 252, 268
Iovincus (a.) 157 Iunonis (te.) 224, 233
Iovio (te.) 221 Iuppiter (te.) 235
iovio- (te.) 230 Iuvants (a.) 173
Iovis (te.) 235, 236 Iuvenior (a.) 521, 529
Iovius (te.) 230 Ivrea (t.) 163
Ippokrathv (a.) 403 -iyo- 502 503
Ippw ¥ nion (t.) 440 -jo- 79 – 105
™ ippov 440 -kā – (e.), (i.), (t.) 156
-is 79, 80, 81 ka- 367
*ı̄s- (e.), (t.) 170 Ka¥dosiv (a.) 46
-isal 541 Ka[es.] (a.) 458
-isalisa 541 Kaeso (a.) 396, 458
Isernia (t.) 66 Kafati f. (a.) 315
Issiglio (t.) 163 Kaialoiso (a.) 179

.
738 INDICE GENERALE

Kaidikiv (a.) 429 -ke 540


Kaidikw (a.) 429 *keino-+mnH-o-s (e.) 168
Kail (a.) 503 Keis (a.) 503
Kailui (a.) 180 keiso- 503
Kaı̃re (t.) 574 Keltie (a.), (e.) 171, 177
Kaisie (a.) 460, 501 Keltoı¥ (e.) 171
Kaisillis (a.) 460 *Kelt-yo-s (a.) 177
Kaı¥siov (a.) 460 Kenomanwn (e.) 168
kaito- (t.) 157 kenssurino- 500
kaka (a.) 54 Kensurinis (a.) 470
kalaprena(s) (a.) 207, 213 ke(ntis) 300
Kalatur (a.) 501 kepi (a.) 302, 311
Kalaviis (a.) 469 kerreno- 503
Kaliniv (a.) 469 Kerríaí (te.) 221
*kalo- (a.) 312 Kerrinom (a.) 503
Kalo¥v (a.) 416 keton (t.) 157
Kalo¥niov (a.) 467-468 Kike¥rwn (a.) 413
kámulo- (e.), (t.), (te.) 182 Kiketu (a.) 175
Ka¥nwpov, -bov (t.) 411 Kintuma (a.) 314
Kanta (a.) 90 kirati (a.) 302, 304
Kantes (a.) 367 Klar 500
Kanuas (te.) 230 Klastidion (t.) 157
kanyo- (e.), (t.) 182 -klh̃v (a.), (te.) 222
Kafiriw (a.) 430 *klH2d-tā 157
Karanmns (a.) 173 Klw̃diov (a.) 416
Karxadw¥n (t.) 411 KloPats (a.) 503
Karxhdw¥n (t.) 434, 435 klovāto- 503
Karinaś (a.) 461 Kloynion (t.) 161
Karis (a.) 461, 503 Kluvatiis (a.) 466
ka¥rnon 165 Kluvaz (a.) 400
*Karo- 503 }KLYN (a.) 454
Karraka (t.) 156 -kno- 373
Karthilitanios (a.) 314 -ko- (a.), (e.), (i.), (t.) 156, 300, 301, 312,
*Karyatyos (a.) 178 360, 361
kāryo- 503 koimila (a.) 302
Ka¥sav (i.) 68 Koiśa 460
kasikos (a.) 311 Koisis (a.) 179, 302, 311
Kassikea (a.) 314 kom- 312
Kassimarus (a.) 315 *k*om+gwhon-o-s (a.) 179
kat- 90 komoneos (a.) 302
Kata (a.) 90, 367 Kongennolitanos (a.) 314
Katacina (a.) 182 *kon+kan-a-mnā (te.) 172
katak- (a.) 182 Ko¥nnarov (a.) 587
Katakna (a.) 173 Konnı¥dav (a.) 587, 587
Kata¥nh (t.) 414, 586 kontebiaƒ (t.), (e.) 300
Katoriges (e.) 166 Korkyraı̃ov (a.) 44
*katu-bri(k)s (t.) 166 Kosioiso (a.) 179
*katubri-no-s (e.) 166 Kossa (a.) 584
katu-k- (e.), (t.) 182 Ko¥ssai 548
Katulsto- (a.) 91 Ko¥ssan 548
Katuriges (e.) 166 Kwssanw (a.) 430
Katoyrigwn (e.) 166 *Kosyos (a.) 179
Katusiaios (a.) 367 Kothar (te.) 33
Kauidios (a.) 502 Kotteihiv (a.) 461
kaviate(s) (a.) 207, 209 kounesikum (a.) 300

.
INDICE GENERALE 739

KPR} (t.) 19 Laepocus (a.) 462


Krasanikna (a.) 180, 302 Laevi (e.) 371
Kremwna (t.) 157 Laí(is) (a.) 466
Kremwnia (t.) 157 Laions (a.) 362, 365-368, 370-371
kremu- (t.) 157 Laivna (a.) 367
KRYH (a.) 455-456, 490 laivo- 367, 368, 371
KSY (a.) 452-453, 489 Laivonioi (a.) 367
ktetikon/ktetika, kthtiko¥n 601-616 l.a.Ka.z (t.) 171
definizione 603-604 Lakwniko¥v (t.) 567
struttura morfologica 608 Lala (a.) 417
semantica 605-616 Lanatus (a.) 270
Ktm (a.) 37 langa (e.) 171
ktulistoi 173 *langā (t.) 171
Kualai (a.) 89 Langa de Duero (t.) 171
kualui (a.) 302, 311 Langates (e.) 171
Kuintos (a.) 176 Langenses (e.) 171
kuitos (a.) 303 Langhe (t.) 171
Kumnis (a.) 400 Langres (t.) 168
Kupe (a.) 55 *lanka (t.) 171
kurtina(ś) (a.) 205 -lānom (t.) 160
*Kus- 549 Lapicane (a.) 211
*Kusa 548 lár 154
*Kuse 549 Lara (a.) 417
*Kuse 548 Larce (a.) 463
*Kuse-le 548 Larcii (a.) 285
*Kusele-na 549 Larcna (a.) 232
*Kusele-na 548 Larentia (te.) 231
*Kuse-na 548 Lares (te.) 228
*Kusie 549 Lar(i)ce (a.) 378, 383-384, 389, 393
*Kusie 548 La¥rion (i.) 154
*Kusie-na 549 Laris 536-538, 541, 546
*Kusie-na 548 Laris (a.) 383, 389, 501
Kusiuna 548 Larisal 536-538, 541
*Kusu 548 Larisal-c 537
*kūt-yo-s 182 Larisalisa 536, 538, 541
*k*wā-do-s (i.) 157 Larisalisnla 538
*kwetwores 180 *Laris-za 538
*kwrsnó- 165 Lariza 536, 538, 541
kykyiev (a.) 50 Lars (a.) 502
kykyov (a.) 50 Lart 536-538
Ky¥mh (t.) 436 Laru (a.) 232, 383-384, 457, 459, 463,
Kypa¥rh (a.) 418 465, 501, 509, 546
Kypyra (te.), (a.) 227 Larual 537-538
}KYS (a.) 453, 490 Larualisa 536, 538
kyšry (t.) 573 Larui (a.) 383, 457, 459, 463
Kyuhrı¥v (a.) 420 Laruia (a.) 383
L. (a.) 331, 332 Laruicu (a.) 384
Labeo (a.) 468, 500, 521 Laruiza (a.) 383-384
Labicanus (e.) 211 *Laru-le 540
Labicum (t.) 211, 571 Lartio (a.) 459
Labicus (a.) 571 Lartle 536, 540, 544
Labro (t.) 633 Laru (a.) 378, 391, 536, 540, 542, 544,
labronico (e.) 633, 636 545
laxu (a.) 383, 501 Lar-za 383, 536, 537, 538
lados (a.) 305, 306 larziu (a.) 383

.
740 INDICE GENERALE

Lasa (te.) 226, 230 licantre (a.) 383


Lateranus (a.) 500 Licenza (i.) 69
Latine (a.) 199, 207, 212, 409, 501 Licina (a.) 329, 330, 333, 336
Latini (e.) 571 Lic(i)ne (a.) 378, 383, 391, 501
Latinus (a.), (e.) 212, 525, 569 Licinii (a.) 285
latite(ś) (a.) 199, 207, 209 Licinius (a.) 280, 285, 521
latiue (a.) 199, 207, 209 Licinus (a.) 502
Latium (t.) 209 Licnos (a.) 169, 306
*lato- (a.) 312 (-)licon (e.), (t.) 155
Latw ¥ (te.) 416 Lìdana (i.), (t.) 161
Latona (te.) 416 Ligur (a.) 521
Latumaros (a.) 183 Ligustinus (e.) 213
latumarui (a.) 302, 311, 312 L.i.ki.n.o.s (a.) 169
laucane (a.) 212 Likninoi (e.) 169
Lauxme (a.) 501 lingid 168
lauxume (a.) 378, 392 Lingones (e.) 168, 171
Lauxusies (a.) 237-239 Lipari (t.) 44
lauci(e) (a.) 378, 384, 396 Liquentia (i.) 69
Laudicea (t.) 409 *litana (i.) 161
*Lausi, -sa 538 Litania (a.) 175
Lausisa 537, 538 Litanus (a.) 175
Lavinio (t.) 236 Literna palus (i.) 69
-le 540, 549 Liternus (i.) 69
Lebriemelum (i.) 163 Liuiaes (a.) 419
lecc 155 Liuius (a.) 410
Lecce (t.) 242 Livio (a.) 256, 257, 258, 261, 273, 274,
lecs(u)tini (a.) 197, 213 276, 278, 280
lecusta (a.) 197 llawr 154
lecusti (a.) 197, 213, 384 llech 155
Lefèvre (a.) 498 }LM (t.) 493
-lei 540, 549 -lo- (a.), (t.) 86, 148, 163, 179, 299
*leikw-ont-yo- (e.) 165 Locutius (te.) 230, 231
Le Mans (t.) 168 lodices 410
Lemetor (a.) 173 Loikes (a.) 503
lemnite(ś) (a.) 209 [L]oikiv (a.) 469
Lemnos (t.) 209 loiko- 503
*lengwh-on-es (e.) 168 Lokroı¥ (t.) 436
Lentulus (a.) 287 Longinus (a.) 521
Lepidus (a.) 521 Longus (a.) 286, 458, 521, 524
Lepontii, -oi (e.) 165, 166, 170 Loucesios (a.) 237
Lhpontı¥wn (e.) 165 *Loucesius (a.) 237
Leptı¥nav (a.) 50 Loucetios (a.) 237
leuaie (a.) 378, 393 Loucilia (a.) 458
lethan 175 louk(e)tio- (a.) 237
leue (a.) 378, 382-384, 393 louk(vŏc.)tio- (a.) 234
leui (a.) 383 loukyo- 503
leuia (a.) 383 *Lousis (< *Lousyo-s < *Loukyo-s) 538
letontunos (a.) 300 LwPktihiv (a.) 234, 237, 238, 239
Leucesie (a.) 237, 238 Lrtla (te.) 232
Leucumellus (o.), (t.) 155, 161, 162 Lubama (a.) 176
*leuk- 234 Lubiamus (a.) 176
Leykano¥v (e.) 491 Lubicius (a.) 176
Ley¥kiov (a.) 460, 468 lubie/o- (a.) 176
Liburnia 633 Lubius (a.) 176
lica (t.) 155 lubos (a.) 300

.
INDICE GENERALE 741

Lucania (t.) 239 max 510


Lucanus (e.) 212 Maxies (t.) 488, 503
Lucerius (a.) 237 Maci (a.) 488
Lucesie (a.) 236 Macio (a.) 488
Lucetius (a.), (te.) 234-239, 245 macom- (t.) 8, 12
lucidus 502 503 Macomades (t.) 11
Lucio (a.) 268 Macomer (t.) 12
Lucius (a.) 252, 255-257, 396, 415, 458, Macopsisa (t.) 12
462, 467, 502, 503 Macrobio (a.) 236, 255
Lucretii (a.), (t.) 277 Mactar (t.) 35
Lucretius (a.), 285 Macute(ś) (a.) 209
Lucrezia (a.) 268, 274 Maelius (a.) 273, 278, 280
Lucusta (a.) 527 Maešilalui (a.) 86, 302, 314
Luguaidonis (Portus) (t.) 161 Maešilalvi (a.) 180
Luisni 536, 539, 542 Maesilos (a.) 463
Luisni 539 maesio- 86
*LuisV- 539, 541 mag 155
*LuisV-na 539 Magiis (a.) 466
Loy¥kiov (a.) 415 Magius (a.) 522
luncane (a.) 212 Magna Graecia (t.) 409
Lunghezza (t.) 276 Ma¥gnov (a.) 416
lup- 500 Magnus (a.) 416, 500, 522
Lupercus (a.) 522 Magomadas (t.) 11
Lupiae (t.) 436 magos (t.) 155
Lupu (a.) 501 Maia (te.) 224
Lupus (a.) 267 maie (a.) 378, 401
Lurs (te.) 232 Ma¥ı̈ov (a.) 467
Lusce 536, 541, 545 Maiv (a.) 230
Lusce 539, 541 Mais (a.) 224, 401
*Lusce-na 539 maisio- 86
Luscina(ie) 539 Maius (a.) 224
Luscni 537, 543 Makeris (te) 38
Luscus 539, 541 Malamena (a.) 225
Lutia (t.) 157 Malamocco (t.) 166
*lutiaka (t.) 157 mala Punica 569
Lutni (a.) 459 Malchio (a.) 411
Lutonis f. (a.) 302 Malxı¥wn (a.) 411
Luvci(e) (a.) 378, 396, 501 Mama (a.) 104, 231
luvcies (a.) 52 mamarc- (a.) 224
Lúvkis (a.) 464-465, 485, 503 Mamarce (a.) 501
Luzaga (t.) 157 mamerc- (a.) 224
Lycisca (a.) 414 Mamerces (a.) 52
lydan 175 Mamercinus (a.) 285, 286
Lydoı¥ (e.) 574 Mamercus (a.) 286, 502
Lyko¥frwn (a.) 233 mamerko- 503
Lykoỹrgov (a.) 233 Mamerks (a.) 503
Lympha (te.) 230 mamert- (te.) 224
-mā- (a.), (e.), (o.), (t.), (te.) 157, 163, Mamertei (te.) 221
172, 178 Mamertei (te.) 228
Ma[ (a.) 322 mamertio- (te.) 232
Ma. (a.) 466 Mamertioi (te.) 229
Maatúís (a.) 232 Mamerttieís (a.) 503
maccu (a.) 184 mamertyo- 503
Macedonicus (a.) 500 Mam(i)us (a.) 104, 525
Macer (a.) 38, 522, 524, 526 Mamos (a.) 231

.
742 INDICE GENERALE

Ma¥mov (a.) 467 *maro- (a.) 312


mam(-)sio- (te.) 231 maros (a.), (e.), (te.) 166, 174
Mamurius (te.) 230, 231, 232, 233 Marrubii (e.) 565
Mana (te.) 224 Mars (te.) 228, 229
Mancinus (a.) 325 Marte (te.) 221, 224, 228, 229
mani (a.) 378, 396 Martia (te.) 224, 230
Manilius (a.) 75 Martialis (a.) 223, 225, 527
Manius (a.) 92, 96, 224, 396, 502 Martio (te.) 221
Manlia (a.) 271, 278, 286 Martis (te.) 224, 230, 233
Manlii (a.) 271 Martius (te.) 228-230, 232, 233
Manlio (a.) 279 Marxius (a.) 449
Manlius (a.) 279, 529 Marzie (a.) 501
Mansuetus (a.) 522, 527 masan 501
mant 175 masate(ś) (a.) 209
mantalon 168 Massalı¥a (t.) 414
Manuvate (a.) 201, 209 Massalia (t.) 414
Mantia (a.) 175 Massicus (a.) 551
Mantinon (t.) 161 Massilia (t.) 414
Mantua (t.) 209 Masu (a.) 501
Manus (te.) 224 Matelio (a.) 450
maqōm- (t.) 12 Matelius (a.) 450, 465
Mar. (a.) 331, 337 Matellaeus (a.) 450
Marad(his) (a.) 504 Matellio (a.) 450
M(ara)h(iis) (a.) 464 Maticianum (e.), (t.) 182
Marahis (a.) 504 mati-k- (e.), (t.) 182
Marale (a.) 501 Matilia (a.) 462
Mara(v) (a.) 332, 429, 504 Matilius (a.) 462
Marce (a.) 378, 397 Matisius (a.) 232
Marcellinus (a.) 462 Matis(s)a (t.) 161
Marcellus (a.) 259, 500, 522, 524, 527 Matobógios (a.) 181
Marcii (a.) 285 matopokios (a.) 305, 311
Marcina (t.) 202, 214 Matrer (te.) 227
Marcius (a.) 252, 258, 265, 278, 499, *matu- (a.) 312
527 mātu- (te.), (a.) 232
Marcna (a.) 214 Matusia (te.) 232
Marco (a.) 273 Matusius (a.) 232
Marcosius (a.) 449 *Matway (t.) 18
Marcus (a.) 133, 224, 279, 397, 458, *Mat˙ wē (t.) 18
462, 464, 468, 470, 499, 502, 519 ˙
Maxima (a.) 528
Mare (i.) 69 Maximianus (a.) 523
marev (a.) 51, 54 Maximus (a.) 522, 524-526, 528
marhido- 504 mazuti (a.) 384
marhio- 503, 504 medb 166
marho- 504 Medelingen (t.) 160
Marica (te.) 69, 173, 174 Medici (a.) 498
Maricae (palus) (t.) 212 Mediola¥nion (t.) 157, 160
Maricane (a.) 212 Mediolanon (t.) 157
Mariccus (a.) 174 Mediomatrici (e.) 169
Marici (e.) 166, 174 Medoakoi (e.) 166
Maricla (i.) 69 Medsilli (a.) 178
Marie (a.) 378, 401 Meduacos (i.) 166
Marii (a.) 262 *Medu-an-yō-s (e.) 166
Maris (te.) 233 Medullia (t.) 276
Mariś (te.) 233 Medullinus (a.) 276
Marius (a.) 401, 525 Medussa (a.) 178

.
INDICE GENERALE 743

medu-t- (e.), (t.) 182 Metelius (a.) 450-451, 461-462, 465


Medutica (a.) 178 Metelli (a.) 483
Medutio (a.), (t.) 178, 182 Metellius (a.) 450, 527
Medutius (a.) 178 Metellus (a.) 450-452, 462, 472, 493
*Medutya (a.) 178 Metelos (a.) 462-463, 465, 471
Mefanate (a.) 201, 204, 209, 214 metelui (a.) 297, 302, 314
Mefanus (pagus) (t.) 202, 209, 214 Metelvi (a.) 180
Méfete (i.) 70 Metiis (a.) 464
Mefitano (t.) 221 Metilianus (fundus) (t.) 462
Mefitanoi (te.) 221, 229 Metli (a.) 463
Mefite (te.) 221 Me[tli]al[c] 462
Mefitis (te.) 67, 68, 229 Mettius (a.) 94, 141, 469
Mefula (t.) 67, 68 Mettus (a.) 94, 141
Me¥gav 416 MeTuainum (e.) 166
Megellus (a.) 500 *metus (a.) 378, 403
*meh1- (a.) 175 Metz (t.) 169
mehnate(ś) (a.) 209, 214 Mevanas (e.) 200-202
meie (a.) 378 Mevania (t.) 200, 202, 209, 214
Melanthus (i.) 417 Mezu (a.) 178
mell 155 Mezzomerico (t.) 169
mello- (o.), (t.) 155 *mh2-tu- 232
melmunos (a.) 300 Mifinum (t.) 67
*mel-no-s 155 mı̄inato- 503
Melqart (te.) 30, 32, 33, 37, 38 Miksar (te.) 35
Memmii (a.) 262 Milano (t.) 163
*men- (a.) 175 Milk (te.) 30
-m(e)na (a.) 225 Milkat (te.) 30
Menas (a.) 419 Min. (a.) 327, 329
Menedorus (a.) 419 Minado (a.) 429
Mentor (a.) 420 Minakov (a.) 430
Mercasius (a.) 449 Minav (a.) 429
Mercui (te.) 232 Minata (a.) 329
Mercurius (te.) 413 Minate (a.) 210, 378, 402
Mertronno (Herculi) (te.) 174 mināto- 504
Mertronnos (te.) 174 *minatos 329
Merula (i.) 67 Minaz (a.) 402, 503, 504
Merxius (a.) 449 Minerva (te.) 232
meśiolano (t.) 162 Minervius (a.) 223
Messalina (a.) 413 Minie (a.) 378, 402
Messalla (a.) 76, 87, 92, 149, 284 Minio (i.) 65, 68
Messana (a.) 630 Minis (a.) 466, 504
Messapi (a.) 240 Mino(r) (a.) 528
Messapus (a.) 551-554 Mino(s) (a.) 528, 571, 572
Messene (t.) 285 *Mintur 66
Messilla (a.) 178 Minturnae (t.) 66
Messilus (a.) 178 Minucia (a.) 265
Messius (a.) 178 Minucii (a.) 266, 280
Mestomadrigo (t.) 169 Minucio (a.) 266
Metalli 483 Minucius (a.) 259, 265, 266, 522, 523
Metapontum (t.) 435 minuku (a.) 302
Metela (a.) 298 mı̄nyo- 504
metelaios (a.) 305, 306 Miro (a.) 420
Metelen (t.) 160 Misargyrides (a.) 418
Meteli (a.) 463, 465, 471 Misor (te.) 34
Metelikna (a.) 180, 297, 302, 463 Mistyllos (a.) 418

.
744 INDICE GENERALE

Mitilis (a.) 464-465, 469 Musesa (a.) 467


Mitilius (a.) 450 mutaina (a.) 215
Mitl (a.) 503 Mutalu (a.) 465
mitlo- 503 Mutatio Aquilonis (t.) 65
MLK (a.) 411 Muthul (i.) 483
Mlksd (a.) 35 Mutiku (a.) 465
MNT ˙ (a.) 492 Mutíl (a.) 500
-mo- (a.), (e.), (o.), (t.) (te.) 157, 163, Mutila (t.) 465
172, 178 Mutilate (a.) 465
Moccilonis f. (a.) 315 Mutílis (a.) 464-465
Modestus (a.) 522 Mutilius (a.) 464
Modius (a.) 110, 113 Mutillis (a.) 465
Moera (t.) 570 Mutilum (t.) 465
Mogetios (te.) 175 Mutilus (a.) 450-451, 464
Mogetius (a.) 175, 315 Mutina (t.) 202, 215, 465
Mogtio (a.) 302 mut-re 509
Moldo (a.) 173 mut-u 509
Moldonkeo (a.) 85, 173 Mutunus (te.) 232
Montanus (a.) 279 muv-alx 510
Monte Sirai (t.) 33 MW} (t.) 17
Morgantina (t.) 227 myned 168
*mōro-s 166, 174 -n- (a.) 418
Mosham (t.) 498 -na (a.), (te.) 195, 201-205, 213-215,
Mo¥tyh (t.) 17 226, 307, 361, 375, 501, 510, 539, 541,
Mo¥tylov (a.) 464 542
Motwē (t.) 18 Nabui (t.) 14
˙ (t.) 25, 29, 31, 34, 35, 37
Mozia Naevius (a.) 235, 525
MQM- (t.) 8, 11, 12, 37 naevos 502
MQMHDŠ (t.) 7, 12 -nal 539, 541, 542
˙ 38
Mqr} (a.) Namantobogi f. (a.) 314
MRKSN (a.) 449 namu (a.) 302, 305, 311
MRKSY} (a.) 449 Nanno (t.) 167
MSRY (a.) 452, 489, 492 Nar (i.) 565
˙ (i.)
MTL Naro (i.) 588
MTL} (a.) 451, 484, 489, 493 Na¥rwn (i.) 588
MTLL (a.) 451-452 -nas (e.) 198-200, 539, 541, 542
MTLY (a.) 450, 483-484, 489, 493 Nasica (a.) 500
MTN (a.) 450, 489 -natis (e.) 198-200
Mtr (a.) 37 Natoris (a.) 170
(})MTW} (t.) 17 Natta (a.) 522
Muceti˙ (a.) 384 Nay¥aiuov (i.) 588
Mugilla (t.) 277, 283 Nautii (a.) 285
Mugillanus (a.), (t.) 277, 279, 283 Navius (a.) 116-117
Mugnone (i.) 68 Naxos (t.) 44
Mummii (a.) 262 Nea¥iuov (i.) 71, 588
Munane(ś) (a.) 199, 212 Nea¥poliv (t.) 435
Munio (i.) 68 Neapolis (t.) 14, 409, 419, 435
Muranum (t.) 571 Neapolitani (e.) 419
Muranus (a.) 570, 571 Negro (i.) 71
Muro Lucano (t.) 230 Néi 157
Murrani (e.) 571 -nei 539, 541, 542
Murranus (a.) 571 Nemaiecanum (e.) 163
Myrw ¥ (a.) 420 Nemaioq (e.) 163
Musae (te.) 413 nemed 176
Musedi (a.) 467 Nemetie (a.) 176

.
INDICE GENERALE 745

nemeto- (a.) 176 Novius (a.) 402, 516, 517


*Nemet-yo-s (a.) 176 *Novovária (t.) 159
nendav (a.) 55 *now(a)no- 504
Nepos (a.) 500 *nowo- (t.) 159
nepur (a.) 384 nowyo- 504
Ner (a.) 168, 224, 232 N{R (t.) 10
*ner- (a.), (te.) 224 -nt- (e.) 166, 170
Nerie (a.) 501 Noyaria (t.) 159
Nerio (te.) 224, 230, 232, 233 Nufra, -sa 539
Nero (a.) 500, 519 Nufrasa 536
N.e.r.to.bi.s (t.) 170 *nufre 511
Nertomari (a.) 314 nuf-re-śa 511
Nerua (a.) 331 nufr-z-n 511
Nerusii, -oi (e.) 168, 170 nufrzna 510
Nh̃stiv (t.) 588 nufrz-na-l 511
Neto (a.), (i.) 558-589, 630 nufrz-na- ś 511
Neuna (t.) 237 Noyı¥ov (a.) 468
Neviasca (i.) 157, 161 nuis (a.) 378, 402
Nevio (a.), (t.) 157, 235, 236, 238, 239 nulaue (a.) 209
*newo- (t.) 159 Numa (a.) 87, 231, 237
*newo-waryā (t.) 159 Numasios (a.) 228
-ni 542 Numerius (a.) 397, 518
Nicia (a.) 415 numesyo- 503
nicipur (a.) 383 Numidae (e.) 411
Nicolaus (a.) 415 Numisius (te.), (a.) 228-233
-ni(e)s 539, 541, 542 Numiternus (te.) 228, 229
Nigellio (a.) 522 Numitorius (a.) 527
Nı¥ger (a.) 415 Nummelos (a.) 230
Niger (a.) 71, 415, 522, 524, 526 numpsdo- (te.) 229, 230, 232
Nigrum (i.) 71 nums(-)dio- (a.) 228, 230
Nikı¥av (a.) 415 Numsie (a.) 378, 397
Niko¥laov (a.) 415 num(-)sio- (a.) 228, 230, 231
nimonikna (a.) 302 numudo- (te.) 229, 230
N(inius) (a.) 470 numulo- (te.) 229, 232
Ninnius (a.) 468-469 nu-re- ś 511
Nitielium (e.), (t.) 163, 182 nu(r)f-re 511
nitio- (a.), (e.), (t.) 163, 179, 182 nurf- 509, 510, 511
Nitiogenna (a.) 179 nurf-zi 510
Niumsis (a.) 228-230, 232, 503 Nursia (t.) 212
Niymsdihiv (a.) 230 nurtine(s) (a.) 212
-nk- (a.), (i.) 64, 157 nurzi 511
*nnto-rēg*s (a.) 170 nurzinias 511
-no- (e.), (t.) 66, 163, 198-200 nurziu 511
Nobiliore (a.) 261 nurziunia 511
noborsinia 510, 511 nurziunias 511
Nodinum (i.) 71, 72 nus (a.) 383
Nola (t.) 209, 569-570 Nuste (a.) 501
Noma¥dev (e.) 411 Núviis (a.) 516
‘nomi nazionali’ 602 Núviiúí (a.) 504
Nonius (a.) 515, 516 Núvis (a.) 516
Nonus (a.) 516 Núvvello- (a.) 500
Nora (t.) 25, 26 Nymfı¥ov (a.) 467-468
Novara (t.) 159 nymcdo- (te.) 229
Novellus (a.) 522 Nymciv (a.) 230
NoPio (a.) 430 nymydo- (te.) 229

.
746 INDICE GENERALE

Nymyloi (te.) 229 -ov (a.) 415


NWR (t.) 10 Osari (i.) 70
-o (a.) 418 Osci (a.) 440, 630
-o- 503 osco 595, 596
-ō(n) (a.), (e.) 76, 85, 87, 89, 91-92, 98- osco-umbro 596-598
102, 171 -osjo (a.) 305
Ob. (a.) 322 ośoris (a.) 313
*obno- (a.) 312 osti- 369
Occius (a.) 454 Ostiglia (t.) 95, 151
Ocriculum (t.) 212 Ostio- (a.) 370
Octauius (a.) 485 Osts (a.) 362, 365-367, 369-371
Octavia (a.) 366 Ostuni (t.) 240
Octavianus (a.) 366 OtaPis (a.) 503-504, 517
Octavius (a.) 515, 516, 517 Otor (a.) 244
octavo 503 Otranto (t.) 242
Octavus (a.) 400, 502, 516 Otues (a.) 244
October 509 *Ot-ya-s (a.) 244
-od 304 Ou. (a.) 322, 329
Odyssea 410 *oubē- 505
Ody¥sseia 410 *oubido- 505
Odyssey¥v (a.) 410 Oufens (i.) 70, 505
Ofens (i.) 70 oufent- 505
Ogulnia (a.) 265 Ouia (a.) 467
*ohtawo- 504 *ōus 70
*Ohtaws 503 Oyselliz (t.) 161
ohtawyo- 503 Oyßtalı¥a (t.) 582
oıßkeiwtiko¥n 606 Ovius (a.) 402, 517
Olbia (t.) 35, 36 owyo- 504
oletu (a.) 85, 302, 304, 306, 308, 309, P. (a.) 331
311 Pa. (a.) 467, 468
Ombrikoı¥ (e.) 440 Paakiu (a.) 466, 504
-on- (a.), (e.) 65, 66, 171, 181 Paakul (a.) 465, 504
-ōna 436 Paapis (a.) 464
-onā (t.), (te.) 157, 159, 172, 174 Pac. (a.) 327
-ona (te.) 416 Paccius (a.) 287, 455, 458, 465, 467,
-ōnia 436 493
-ónno- (te.) 174, 185 paci (a.) 378, 402
-ono- (te.) 172, 174 Pacia (a.) 467
¶ Ofilov (i.) 70 Pacilus (a.) 287
Opiev (a.) 468 Pacios (a.) 467
Opikoı¥ (e.) 440 Paci(s) (a.) 327, 466-467, 471
Opiter (a.) 276 Pacius (a.) 492-493
Oppius (a.) 517 Pacuies (a.) 468
oppyo- 504 Pacuis (a.) 471
Optatus (a.) 522, 524, 526 Paculus (a.) 287
Opuntii (e.) 419 Pacuuius (a.) 455, 465, 468, 486-487
Opus (t.) 419 Padus (i.) 63-64, 157
-or (a.) 244 Paelignus (a.) 332
orc 164 Paestum (t.) 440
Ore¥sthv (a.) 404 Paetinus (a.) 500
Orestes (a.) 500 Paetus (a.) 265
Orfeus (a.) 420 Pakı¥ov (a.) 467-468
Orontes (i.) 409 Pak(is) (a.) 402, 465-466, 488, 503, 504
Orfey¥v (a.) 404, 420 Pakiu (a.) 465
Orsminnius (a.) 527 Pa¥kkiov (a.) 467-468

.
INDICE GENERALE 747

Pakkuiis (a.) 468 Pelasgoı¥ (e.) 574


Pakol (a.) 429 Phley¥v (a.) 404
Pakthiv (a.) 468, 504 pelie (a.) 378, 404
pāk-to- 504 pelkui (a.) 311
Pakullis (a.) 466 pelnate (a.) 209, 215
pāk-ulo- 504 *pelu- (e.), (t.) 169, 182
PakPhiv (a.) 468, 504 *pelu-weid-yo-s (a.) 179
PakPiw (a.) 429 Pennus (a.) 500
pāk-wo- 504 per 154
Paky¥llov (a.) 467 Pera (a.) 420
pāk-yo- 503, 504 Peregrinus (a.) 522, 526
pāk-yon- 504 Perenna (te.) 230, 231, 232
pala (i.), (o.) 164 Pergama (t.) 409
Palanta (t.) 161 Periklh̃v (a.) 222
Palinurus (a.) 417 perkenno- 503
palpe (a.) 375 Perkens (a.) 503
Pamplona (t.) 438 perkunetaka- 164
paniaue (a.) 209 peroco (a.) 306
Pa¥normov (t.) 435 perpraue (a.) 209
Panormus (t.) 435 Persefo¥nh (te.) 412
Paolisi (t.) 623 Persephone (te.) 412
Paolo (a.) 235 Persius 544
papa (a.) 379, 383, 405, 501 perzile (a.) 378, 404
*papa 104 Peschiera del Garda (t.) 155
[-papal]ser-c 537 pesna (a.) 378, 382, 393
Papeís (a.) 503 Pet. (a.) 327, 331
Papiis (a.) 466 Pêtce 537, 540
Papiria (a.) 277 peue (a.) 378, 391
Papirii (a.) 277, 279, 285 peuia (a.) 383
Papirius (a.) 283 Peticina(s) 540
Papius (a.) 104, 267, 464 Peticus (a.) 500
papo- 503 petidi(e)v (a.) 517
Papus (a.) 287 *Petike 540
Paq(u)ius (a.) 455, 465 petinate (a.) 201, 204, 215
Paris (a.) 418 Petke 544
Parius (a.) 456 Pêtke, -keal 540
*parn- (i.), (t.) 154 petna (a.) 215
Partenope (a.) 630 Petnei (a.) 459
Partenopeo (a.) 630 Petro (a.) 397, 516-518
Passer (a.) 522 Petrô 540
Pastor (a.) 527 Petroni (a.) 330
pauanu (a.) 379, 405 Petronis (a.) 467
patislane (a.) 212 Petronius (a.) 517, 527
Pa¥trai (t.) 436 Petronyo- 539
patrium 604 Petru (a.) 378-379, 397, 501, 539, 541,
*patros (a.) 179 542, 544, 546
Paulla (a.) 528, 529 Pêtru, -us 537, 540
Paullinus (a.) 529 *Petru-na 539
Paul(l)us (a.) 528, 529 Petruni (a.) 379, 539
Pazros (a.) 179 Pêtruni 536, 539, 542
PDY (a.) 452-453, 489, 492 Petrus (a.) 463
Pedlies (a.) 322 Pêtrus 537, 538
Pedo (a.) 522 pettiano- (a.), (te.) 229
Peira(i)e¥a (t.) 413 Pettianúí (te.), (a.) 228
Pelasgi (e.) 572, 573 pettinano- 503

.
748 INDICE GENERALE

pettio- (a.), (te.) 229 plasmo- 503


Peumpuni (a.) 330 Plàtani (i.) 69
Phalaris (a.) 409 Pla¥twn (a.) 491
Phœnices (e.) 409 Plator (a.) 503
ferse (a.) 383 Pleminius (a.) 325, 326
Phidelis 412 Plemurium (t.) 416
Fidh̃liv (a.) 412 p[-]les (a.) 52
fila (a.) 383 *plHi-(k-) s 158
Philematium (a.) 418 *plH-no-m (t.) 160
Philippus (a.) 259 plialeuu (a.) 102, 304, 306-309
Philo (a.) 287 plioiso (a.) 302
filunice (a.) 383 *plk(k)a) 155
filutis (a.) 383 *plōro- 154
flaỹrov (a.) 417 *plt-ano- 175
Phliasii (e.) 419 Pluton (te.) 413
Flia¥sioi (e.) 419 Ploy¥twn (te.) 416
Phliuntii (e.) 419 [– – –]pnal 537, 539
Phlius (t.) 419 [– – –]pnei 539, 543
Piana 539 Po (i.) 157
pianu (a.) 305, 306 Poblicola (a.) 252, 283, 284
Piceni (a.) 630 Podlouquei (te.) 410, 415
Piceno (t.) 227 Poini[kis] (a.) 488
Picti (e.) 167 pol (te.) 410, 415
*Pie 539, 541 Pola (t.) 403, 528, 584, 585
*Pie-na 539 Po¥lai (t.) 584
Piiane(s) 539 Polcèvera (i.) 163
Pinaria (a.) 286 poleoetnonimo 602
Pinarii (a.) 417 -polis (t.) 419
Pinarius (a.) 285, 522, 527 politico 604
*pingamnoi (e.) 164, 167 Pollı¥dai (a.) 45
*pingō (e.) 164, 167 Pollio (a.) 522, 524, 529
Pini 536, 539, 542 Polluces (te.) 410, 415
Pinie(s) 539 Pollux (te.) 410, 415
piounei (a.) 302, 311 Polo(u)ces (te.) 410, 415
Piraea (t.) 413 Polydey¥khv (te.) 410, 415
Piraeum (t.) 413 Pom. (a.) 327, 467
Pisa (t.) 437 Pompaelo (t.) 439
Pisae (t.) 436, 437 *Pompaillu 439
Pistoia (t.) 437 *Pompaio- 439
Pistoriae (t.) 437 Pompeianus (e.) 439
Pisu (a.) 500 Pompeii (t.) 436, 441, 565
*Pitele 541 Pompeiopolis (t.) 419
*Pitele-na 539 *Pomphio¥poliv 439
Piue 539 Pomph¥iov (a.) 416, 420
Pithekoussa (t.) 9, 10, 11 Pompeius (a.) 416, 420, 439, 516
Pitinas (e.) 201, 209 Pompetexuaios (a.) 179
Pitinum (t.) 200, 202, 209, 215 Pompilius (a.) 75, 96, 143
Pitlna 539 *Pompı̄lo- 96
Pitlnal 538 *Pompo- 96
Pitlnei 543 Po(m)po (a.) 398, 516, 517
piuotialui (a.) 302 Pompona (a.) 329, 333, 336
Placentia (t.) 438 *pompōnios 330
Placentius (a.) 521 Pomponius (a.) 410, 525
plaicane (a.) 199, 212 Pomptinae paludes (t.), (i.) 564
Plasis (a.) 503 po[m]pú[n]ies (a.) 52

.
INDICE GENERALE 749

Pontanus (a.) 522 Prisci (a.) 252


Pontediu[ (a.) 322 Prisco (a.) 252
Pontius (a.) 516, 529 Priscus (a.) 252, 280, 522, 524, 526,
Poplia (a.) 459 527, 529
Poplicola (a.) 106, 132-136, 271, 272, *prk*sk*o- (te.), (t.) 173
283, 284 Probus (a.) 522-524, 526
poplio- (a.) 106 Proculus (a.) 287, 522, 524, 524
Poplio(s) (a.) 106, 360, 501-502 *pro-+meh1-ter- 175
poplo- 134, 501 Propertianus (a.) 458
poplos 502 Properzio (a.) 225
Poppaeus (a.) 525 Proserpina (te.) 412
Populonia (t.) 204, 215, 439 Protogene (a.) 331
populus 502 Proto¥maxov (a.) 50
porco- (i.) 164 protosabellico 598
Porcobera (i.) 162, 164 protosabino 598
*pork*-ó-s 164 *prtu- 175
porta 156 Pruciu 536, 541, 545
Posidonia (t.) 440 Caỹmiv (a.) 46
Posilla (a.) 528 Psecas (a.) 418
possessivo 606, 613 Pt (a.) 36
possessivum 606, 613 ˙
Ptah (te.) 35
Post. (a.) 331 Ptolemaeus (a.) 409
Postumia (a.) 285 Ptruna (a.) 329, 330, 333, 336
Postumii (a.) 262, 276, 277 pubes 502
Postumio (a.) 276 Publicola (a.) 106, 132-135
Postumius (a.) 100, 259, 262, 277, 285 Publilius (a.) 265, 287
Postumus (a.) 502 P(ublius) (a.) 132-135, 230, 398, 462,
Potı¥oloi (t.) 410 502
Potitus (a.) 252 puce (a.) 378, 404
Pozzuoli (t.) 437 Pudens (a.) 522, 525
PQY (a.) 453, 486, 490-493 puia 537
Praeneste (t.) 231, 568 Puinik(is) (a.) 466, 488
Praesens (a.) 522, 524, 526 pukalato- 500
Praetutii (e.) 145 puklo- 500
Praı¥nestov (a.) 569 Pulcher (a.) 416, 519
Praı¥neston (t.) 569 Poỹlxer (a.) 416
Präsamnitisch 598 pule (a.) 378, 389, 403
pratomakev (a.) 50 pulenas (a.) 389
Prajı¥av (a.) 50 Pultuce (te.) 415
prediale 621, 623, 624 Pulvillus (a.) 270, 271, 274
Prenicum (o.) 165 púmpaiians (e.) 438, 439
prenn 165 *púmpaius 439
prenne 165 [Pum]pnal 537
Prettanoi (e.) 167 Pumpô 540
*prH-ti-s 156 Pumpu (a.) 378, 398, 501, 536, 540, 544
Prı¥niston (t.) 569 Pumpuni (a.) 384, 463
Prima (a.) 525, 527 pumpusa (a.) 38
Primigenia (a.) 527 Púntiis (a.) 516
Primio (a.) 522 pupae (a.) 378, 391
Primitivus (a.) 527 pup/fluna (t.) 215
Primius (a.) 516 pupli (a.) 378, 383-384, 398
Primulus (a.) 527 Pupli(e) (a.) 204, 501
Primus (a.) 516, 519, 522, 524-528 puplina (a.) 215
Priś 170 pupluna (t.) 439
Prisca (a.) 527, 529 pup-re 509

.
750 INDICE GENERALE

pup-u 509 -re 508, 511


Pusio (a.) 522, 526 Reate (t.) 437, 567
Puteoli (t.) 410, 437 Reburrus (a.) 522
pyrenov (a.) 55 Receptus (a.) 522, 526
Py¥rrov (a.) 409, 410 Rectus (a.) 522
Py¥ rrhus (a.) 409, 410 redo- 89
Pyrrhus (a.) 410 Regi Lagni (i.) 69
pyumh¥n 157 Regillensis (a.) 276, 277, 285
Pyxus (t.) 410 Regillum (t.) 265
Pyjoỹv (t.) 410 Regillus (t.) 265
Pyxus (t.) 410 *reg*-t-yā (te.) 173
Q. (a.) 327 Regulus (a.) 522
qart 434 reicna (a.) 215
qart hadast (t.) 411 *rei-no-s (i.) 155
Qarthadašt (t.) 434 Reitia (te.) 173
Qarth ˙ adašt (t.) 434 Reitugenos (a.) 173
Qata˙ (a.) 453 Reno (i.) 155, 497
QRT- (t.) 8, 12 Repentinus (a.) 522
QRTHDŠT (t.) 7, 12-14, 16 Rephaim (te.) 28
QTY ˙(a.) 453, 490 -res 508
*quadros (a.) 180 resev (a.) 49, 50, 52, 53, 54
Quartius (a.) 462 Resius (a.) 106, 110, 113, 131, 360
Quartus (a.) 519, 524-526 Restumnei (a.) 225
quatio 182 Reśu (a.) 178
Quelle 172 Retalos (a.) 89
quellen 172 reti- 89
Quinctia, (a.) 278, 279 *Retios (a.) 178
Quinctii, (a.) 286 reto- 89
Quinctius (a.) 458, 515, 516 *retu 89
Quintallos (a.) 179 R.e.tu.Ke.n.o.s (a.) 173
Quintilius (a.) 96 Rhea (a.) 552, 558
Quintius (a.) 96 Rhea Silvia (a.) 558
Quintus (a.) 96, 303, 396, 464, 468, Rhenus (i.) 155
502, 515, 519 Rhodiensis (e.) 415
Quirinus (te.) 97 Rhod-ius (et.) 415
Quirites (e.) 565 Rhodus (t.) 415
Qupe (a.) 55 -ri 508, 511
Qypei (a.) 55 Ria[ (a.) 322
qutio 182 -rial 508
qutios 182 rían 155
-r(-) 65, 66, 68 Ricina (t.) 202, 215
-ra (a.) 375, 540-542, 587 Rieti (t.) 437
Rafe (a.) 463 -riges (e.) 166
Rafi (a.) 379, 405 rik (a.) 313
ráith 156 rikanas (a.) 311, 313
Ramua (a.) 383 rikoi (a.) 313
ranazu (a.) 378, 403 rind 178
raneni (a.) 302 *rindi- (a.) 178
Rapiu} (te.) 32 Rinnius (a.) 178
Rapiuma (te.) 32 riquna (a.) 215
Raponi (a.) 331 *ritos (a.) 175
raroio (a.) 55 *ritu- (a.) 312
ratis 156 ritukalos (a.) 302, 311
Raufe 384, 500, 536, 541, 545 Ritumena (a.) 225
rave (a.) 378, 382, 392 *-rix (a.) 306, 312, 313

.
INDICE GENERALE 751

}RK (t.) 15, 19 Rutile (a.) 501


}rkrh (a.) 37 Rutilus (a.) 265, 285
}RM˙ (a.), (t.) 11, 38 ruvfe (a.) 378, 402
}RMY (et.) 11 ruvfie (a.) 379
}RMY} (et.) 11 rykev (a.) 49, 50, 52, 53
-rn- 66 śa 510
RNH (t.) 9 Sa. (a.) 322, 331
RNN (t.) 9 sabellico 595, 598
-ro 587 Sabina (t.) 238
Rocus (a.) 270, 275, 277 Sabini (a.), (e.) 238, 438, 565
Ro¥d-iov (e.) 415 Sabinianus (a.) 523
Ro¥dov (t.) 415 Sabinís (a.) 500
Roma (t.) 148, 209, 237, 238, 277, 417 sabino 597
{Rwmaı̃oi (e.) 409 *Sabins 500
{Rwmaı̃ov (e.) 409, 420 Sabinus (a.), (t.) 212, 264, 265, 280,
rΩwmaistı¥ 409 468, 519, 523, 524, 525
Romani (e.) 409, 565, 572 sacer (a.) 306
Romanus (e.) 409, 420, 522 Saena (t.) 201, 209, 215
¥ mh (t.) 417
rΩw safino- (e.) 111, 144-145
Romilius (a.) 275, 277 safinús (e.) 438
Romulides 419 Saguntinu(m) (e.) 434
Romulus (a.) 76, 118, 119, 140, 146-149 Saguntinus (e.) 434
Rōšmelqart 11 Sa¥goynton (t.) 434
Rosmerta (te.) 174 Saguntum (t.) 434, 435, 437, 441
Rossano di Vaglio (t.) 221, 229, 234, Saipinaz (a.) 500
236, 239 Saipins (a.) 500
Rotanoy (i.) 161 Sakon (te.) 33
Roudelium (e.), (t.) 182 Sal. (a.) 324
roudo- (e.), (t.) 182 *Saler 66
*Roufos 541 Salernum (t.) 66
Rp}b}l (a.) 31 Saliare 236, 238, 239
R}Š- (t.) 8, 11 salie (a.) 378, 384, 398
}RŠ (a.) 452, 489, 492 Salii (a.) 237
R(})ŠMLQRT 11 Salin[al] 537
*rtu- 175 Salina, -nei 539
Rubico (i.) 65, 67 Salini 543
Rudiae (t.) 436 Salini, -is; -nei, -nal 536, 537, 539, 542,
Ruficna (a.) 312 543, 546
Rufinus (a.) 285 Salinis 537
Rufries (a.) 329 Salinus (i.) 505
Rufus (a.) 259, 274, 285, 302, 331, 412, Sallui (e.) 174
522-526 Salluvii (e.) 174
Rugge (t.) 241 Saluennis (matronis) (te.) 174
Roỹfov (a.) 412 Salues (e.) 174
Rumate (a.) 209 Saluius (a.) 326
Rumaue(s) (a.) 209 Saluta (a.) 329, 331, 334
Rumele (a.) 148 *Sal(v)e 539, 541
Ruphus (a.) 412 Salv(e)na 539
rusci (a.) 383 salvi (a.) 378, 398
Ruso (a.) 522 *Salv(i)e-na 539
Russus (a.) 269, 285, 519 Salvius (a.) 398, 523, 524, 526
Rusticus (a.) 523, 526 SalvSo 539
Rustix (a.) 500 -sami (e.) 166
Rutanie (a.), (e.) 177 Samnites (e.) 440
*Rúten-yo-s (a.) 177 Samorigos (a.) 175

.
752 INDICE GENERALE

Samorix (a.) 175 *Segedya (t.) 176


Sampsiceramus (a.) 417 *Segedyos (a.) 178
*Sanxuna (a.) 229 Segessa (a.) 181
Sanxuneta (te.) 229 Segesta (t.) 169
sankio- (te.) 229 Segesta (t.) 583
sannita 595 Segesta ex Carnis (t.) 158
Sanniti (a.) 630 Segestanwn (Emporion) (t.) 161
Santa Maria di Agnano (t.) 240 Segesta Tigulliorum (t.) 158
Sant’Arcangelo dei Coreni (t.) 67 Segeuu (a.) 175
sapice (a.) 197, 213 sego- (e.), (t.) 158, 162, 168
sapine (a.) 212 Segobris (t.) 170
sapsutai (a.) 302, 311 Segontia (t.) 171
Saquána (i.) 160, 164 Segovii (e.) 168
Sardegna (t.) 25-39 segtio 173
Sardus Pater (te.) 33 Segoysianwn (e.) 168
Sariv (a.) 46 Segusi, -ioi (e.) 168, 170
Sarra (t.) 15 Segoy¥sion (t.) 168
Sarranus (et.) 15 Segusini (e.) 168
sasnate (a.) 209, 215 Sehsímbriís (a.) 517
Sassina (t.) 201-202, 209, 215 seht(u)mo- 504
Sassinas (e.) 209 seiante (a.) 206, 209, 215
Satricus (a.) 325 seiate (a.) 209
satrio (a.) 412 seie (a.) 206
Satrius (a.) 412 seinaś (a.) 203, 206, 215
Saturio (a.) 523, 526 Seine (i.) 160
Saturninus (a.) 223, 523, 524, 529 seiuite (a.) 210
Saturus (a.) 468 seitiue (a.) 210
sauxnate (a.) 210, 215 Seı¥oy (a.) 420
Saynı̃tev (e.) 440 Seius (a.) 420
sauturine (a.) 212 SeKeiza (t.) 176
Savo (i.) 65 SeKezos (a.) 176, 178
Scaeva (a.) 523, 526 *sékw-onā (i.) 164
Scapula (a.) 254-258, 263, 283 Se¥liniv (a.) 43
scarpia 508, 510 Selinw¥i (a.) 43
scarpini (a.) 384 Selinw¥ntiov (a.) 43
*Scarpius 510 Selinoỹv (i.), (t.) 43, 435
Scêna 545, 546 Selinus (t.) 435
Scêva 542 Selvans (te.) 229
Scêva 541-542 Semigraeci (e.) 410
Scê[vas] 537-538, 541 semp- 511, 512
Scêvês 538, 541 *semf 509, 511, 512
Schneider (a.) 498 semfalxls 511
Scipio (a.) 255-258, 283 *semf-re 511
Scipioni (a.) 254, 257 semfś 511
śe-alx 510 *šemf-u 511
Sebasto¥v (a.) 416 Sempronius (a.) 527
Secconis f. (a.) 315 Sena (t.) 160, 209
Secunda (a.) 526 Sena Gallica (t.) 160
Secundinus (a.) 527 senate (a.) 209
Secundus (a.) 462, 519, 523-529 Sencheneóil (Túath) (e.) 170
sef- 512 Seneca (a.) 523
sefri 512 Senecio (a.) 315, 523, 524
sefrial 512 Senérand (Túath) (e.) 170
Ségeda (t.) 176 Senigallia (t.) 160
Segedu (a.) 175 seno- (e.) 170

.
INDICE GENERALE 753

Senones (e.) 170, 171 Servilia (a.) 272


senti (a.) 378, 393 Servilii (a.) 270, 276
Sentı¥kh (t.) 162 Servilius (a.) 272-274, 280
Sentinas (e.) 198, 200-201, 209 Servio (a.) 235, 236, 237, 239
sentinate (a.) 198, 201, 204, 209, 215 Servius (a.) 96, 398, 502
sentinate 512 servos 502
Sentíno (t.) 160, 161 sesia (a.) 384
Sentinon (t.) 160, 161 shstiwde¥steron (a.) 419
Sentinum (t.) 202, 209, 215, 232 Sestius (a.) 419
sentu- (t.) 162 Sestri Levante (t.) 158
Sentubogios (a.) 176 sét 162
sep- 512 Seura 542
sef- 512 seure (a.) 378, 381, 389, 392
sepia 512 seu-re / śeu-re 509
sepie (a.) 378, 402 seuria (a.) 383
sepie 512 seurnei (a.) 389
Sepis (a.) 402, 504, 517 seurni (a.) 389
seple 512 seu-u 509
*seplna 512 Setia (t.) 210
seppio- 504 setinati 512
Seppius (a.) 517, 526, 528 Sêtmnal 536
sepre 509, 512 Sêtmnei 539, 542
sep-ria 509, 512 *setu- (a.) 312
seprial 512 setume (a.) 378, 398
Seprio (t.) 162 *Setume 539, 541
sepr-sia 512 *Setume-na 539
seprsnei 512 Setumna, -nei 539
*septe 512 Setums (a.) 504, 517, 539
Septem maria (i.) 69 setupk (a.) 302
Septimius (a.) 398, 515, 516 setupokios (a.) 303, 311, 312, 314
Septimontium (t.) 278 Severus (a.) 523, 524, 528
Septimus (a.) 502, 516, 517, 539 Sex. (a.) 324, 327, 458
septle 512 Sextius (a.) 515, 516
Septumus (a.) 539 Sextus (a.) 458, 468, 502, 515
Sepu (a.) 501, 512 Sezza (t.) 158
śep-u 509, 512 Shaban (te.) 34
sepulnal 512 Shaggar (te.) 33
Sepunes 512 Shahar (te.) 34
sep-uś 509 Shalim (te.) 34
sep-u-sa 509 Shem (te.) 28
śep-u-sa 509 Šhrr (a.) 34
śep-usla 509 siate (a.) 209
Seqre (a.) 459 Sicaenus (a.) 449
Sequana (i.) 160, 164 Sicania (t.) 582
Sequanus (e.) 156 Sicilia (t.) 25-39, 97, 415, 440, 582, 583
Serchia (i.) 70 sicle(ś) (a.) 197
Serchio (i.) 70 Siculi (a.) 238, 582, 630
Serenus (a.) 523 Siculus (a.), (e.), (t.) 97, 213, 280-281,
Sergia (a.) 280 440, 415
Sergii (a.) 280 Sid (te.) 33
Sergius (a.) 527 Sidiq (te.) 34
Serra di Vaglio (t.) 230 síílo- 500
Sertor (a.) 398, 502 Sikana¥ (a.) 44
sertur (a.) 378, 398 Sikano¥v (a.) 44
servi (a.) 378, 398 Sikelı¥a (t.) 415

.
754 INDICE GENERALE

Sikelo¥v (a.), (e.) 44, 97, 415, 582 S R 14, 15


Šikos (a.) 372 ˙ŠRDN (a.) 492
síl 175 ŠRDN} (a.) 492
Silãv (a.) 319 ŠRDNT (a.) 492
Silius (a.) 461 ŠRDNY (a.), (e.) 452, 489, 492
silo- (a.) 175 S S (t.) 18
Silo (a.) 523, 524 ˙ ˙ (a.) 451, 489, 492
ŠSP
silqetena(s) (a.) 207, 210 -sta 583
Siluanus (a.) 319 Staberius (a.) 454
Silucius (a.) 175 Stabiae (t.) 436, 438
Siluester (a.) 470 Stabilio (a.) 523-525
Silvii (a.) 571 stafianam (e.) 438
Silvius (a.) 558 *Stafias 438
Sintoion (t.) 162 *Stafiú 438
Sipontum (t.) 435 Staii (a.) 486
Siracusa (t.) 583, 584 Staiís (a.) 464, 466, 469
-sk- (e.), (i.), (t.) 156 Stallius (a.) 469
Skaiva 501, 541 starniue (a.) 210
SKYN} (a.) 449 Stata (te.) 224
(s)kweh2t 182 Statellae (t.) 212
*Slaniā (a.) 179, 310 Statie (a.) 378, 402
slaniai (a.) 302, 310 Statiev (a.) 428
Slanzu 536, 541, 542, 545 Staties (a.) 466
sleparis (a.) 384 Statiw (a.) 429
*s-mer- (te.) 174 Statis (a.) 224, 402
*s-mer-tr- (te.) 174 Statius (te.) 224
Smertrios (te.) 174 Statlane (a.) 212
ŠMLK (a.) 452, 489, 492 Stattiv (a.) 469
ŠMŠ (t.) 493 }ST{BRY (a.) 454
ŠMŠŠLK (a.) 450, 483, 489, 492 Steni (a.) 378, 402
šmy (a.) 28 Steniklús (a.) 469-470
Soana (i.) 160, 163 Steniv (a.) 52, 53
Socaenus (a.) 449 Stenis (a.) 52, 53, 464, 469, 471, 503
sochrait 164 Stenius (a.) 402, 470, 493, 527
Socienus (a.) 449 Stenniv (a.) 469
Socinus (a.) 449 Stennius (a.) 470
sola (a.) 302 stenyo- 503
Solimus (a.) 325 Stephane (t.) 569
Sonti (a.) 329, 330 Stertı¥nov (a.) 420
Soranus (a.), (t.) 283 Stertinius (a.) 420
Spedis (a.) 503 [S]ue¥niov (a.) 470
spedyo- 503 Sthenius (a.) 454, 468-469, 487, 492
Spellhiv (a.) 503 }STNYS (a.) 454, 490
spelyo- 503 -sto 583
Spineticum ostium (i.) 71 Structus (a.) 270, 272, 273
Spino (i.) 71, 72 suca (a.) 384
Spı̃nov potamo¥v (i.) 71 Successor (a.) 527
Spitu (a.) 463 sudpiceno 597, 598
Spo¥riov (a.) 420 Suea (a.) 501
Sprachnamenkunde 594 Suffixe zéro 329-337
spur(a) 501 *su-karant-i-s 164
spuri (a.) 378, 398 Sulci (t.) 210
Spurie (a.) 501 Sulcis (t.) 33, 34, 38
Spurius (a.) 398, 420, 501, 502 Sulla (a.) 87
spuryo- 503 Sulmo (a.) 556

.
INDICE GENERALE 755

Sulpicii (a.) 276 Tarabenoi (e.) 169


Sulpicius (a.) 276 Taras (t.) 411
synekfantiko¥n 606 Ta¥rav (t.) 411, 435
synemfantiko¥n 606 Taratalla (a.) 418
Super (a.) 523-526, 529 Tarbelli (e.) 169
Superbo (a.) 252 Tarbonia (t.) 169
Superbus (a.) 252 tarxa (a.) 205
suplu (a.) 379, 384, 405 tarxi (a.) 378, 392
S ūr (t.) 14, 15 tarxi(e) (a.) 205
˙
Sura (a.) 584 tarxna (a.) 203-205, 215
Syrakw ¥ (t.) 584 tarxna(e) (t.) 439
Syrako¥ssai (t.) 584 tarxna(lui) (t.) 204-205, 207, 215
Syrakoỹsai (t.) 435 tarxnte(ś) (a.) 204, 207
sure (a.) 378, 382, 392 Tarxw¥nion (t.) 436
surna (a.) 203, 215 tarxu (te.) 204
Surrina (t.) 215 Tarxumenaia (a.) 226
Susa (t.) 163, 168 tarxunie(s) (a.) 205
suthain 164 tarxvetena (a.) 207, 210, 215
Sutri (t.) 437 Tardus (i.) 69
Sutrium (t.) 437 Tarentum (t.) 411, 435
sveitu (a.) 379, 405 Tarkynı¥a (t.) 437, 439
-swas 68 Tarpeius (a.), (o.) 279
Sybaris (t.) 409 Tarquatus (a.) 279
Syracusae (t.) 409 Tarquinii (t.) 215
Syri (e.) 409 Tarquinii (t.) 436, 437, 439, 441
Syrus (i.) 409 Tarquinio (a.) 252
S YS (t.) 18 Tarquinius (a.) 252, 276
˙T. (a.)
˙ 322, 331 Taruumena (a.) 225
-ta (te.) 229 Tarvisio (t.) 165
*Tabur 66 Tarvisium (t.) 165
Taburnus (o.) 66 *tata 104, 119-131
*talo- (a.) 312 Tatius (a.) 104, 118-119
tama (a.) 383 taul 157
tan 164 taur- (e.), (t.) 165
Tanager (i.) 71 taure (a.) 384
Tanagrus (i.) 71 Taurini (e.) 165
Tanarus (i.) 71 Taurinorum (Augusta) (t.) 165
Tanxvil (a.) 463 Taurisci (e.) 165
tanotaliknoi (a.) 303 Taurus (a.) 468
tanotalos (a.) 303, 309, 310 -te (a.), (e.) 196, 198, 200-201, 206-207
Ta¥ntalov (a.) 404 Teate (t.) 436
tantle (a.) 378, 404 tebeg 51
tafane (a.) 199, 212 techid 165
Caol(n)e (te.) 240 *Tecsie 541
Taoteuues (a.) 244 *Têcsie-na 539
*Taotet-ya-s (a.) 244 Têcsinal 537
*Taotet-yo-s (a.) 244 Têcsinei 543
Taotinahiaihi (a.) 244 Têcsinei, 539
Taotor (te.) 240, 242 tefeh 51
Caotor (te.) 242 tefeí 51
Taotori (te.) 241 tekialui (a.) 302, 311
Caotori (te.) 241 *tekw-ino-s (i.) 165
Taotorres (te.) 242 Telegonus (a.) 569, 572
Caotorrihi (a.) 242 Telephus (a.) 572
*Taotor-ya-s (te.) 242 Temesa (t.) 587-588

.
756 INDICE GENERALE

Teme¥sh (t.) 587 Uotor (te.) 242


Tene¥aiuov (i.) 71 Uotori (te.) 241
Teotinihi (a.) 244 Uoturi (te.) 241
*Teot-in-yas (a.) 244 Ura¥syv (a.) 46
*Teot-in-yo-s (a.) 244 Thrinakia (t.) 582
teromui (a.) 302, 311 Thrinakie (t.) 582, 583
Tertia (a.) 519, 526 Urı¥painov (a.) 46
Tertine (a.) 458 uucer (a.) 378, 392
Tertius (a.) 519, 523-527 uupite(s) (a.) 209
Tertullinus (a.) 462 uura- 547
Tertullus (a.) 523, 526 Thun (t.) 160
teta (a.) 379, 405 Uoy¥rioi (t.) 436
tete (a.) 379, 405 Uvariena (te.) 226
tetie (a.) 379, 406 Uy¥briv (i.) 413
Tetumina (a.) 225 Thybris (a.), (i.) 409, 413, 572
teu (a.) 302, 311 Uy¥mbriv (t.) 440
*teuH- 244 Thyrrus (a.) 558, 559
Teurísci (e.) 165 Tib. (a.) 324
teutā- 244 Tiber (i.) 438
Teytı¥aplov (a.) 244 Tiberinides 413
Teutimeitis (a.) 244 Tiberinus (e.) 438, 440
Teutobuduus (a.) 244 Tiberis (i.) 409, 413, 440, 566, 573
Teutodivicus (a.) 244 Tiberius (a.) 396, 502
Ualna (te.), (a.) 226 Tibiov (a.) 404
Uana (a.) 383-384, 387, 457, 459 Tibur (t.) 67, 437
uanicu (a.) 383 Tiburnus (e.) 67
Uannursianna (a.) 460 Ticinos (i.) 164, 182
uansi (a.) 379, 383, 405 Ticinus (i.) 63
Uaotor (te.) 240, 242 *Tifer 66
Uaotora (te.) 241 Tifernati (a.) 630
Tharros (t.) 25, 33, 34, 37 Tifernum (t.) 438
Uautour (te.) 241 Tifernus (i.) 66
-ue (a.), (e.) 196, 198, 200-201, 206-207 tiiatium (t.) 436
Uh̃bai (t.) 436 Tikinov (i.) 164
Uefri (a.) 501 Tin (te.) 226
T(h)elis (te.) 412 Tina (te.), (a.) 226
Ueotor (te.) 242, 244 Tinia (te.) 226
Ueotori (te.) 241 Tinś (te.) 226, 233
*Ueotor-idyā- (te.) 242 Tintiriis (a.) 466
Ueotorras (a.) 242, 243 tinusi (a.) 383
Ueotorrida (a.) 242 Tipe (a.) 404
*Ueotor-ya-s (te.) 242 tifile (a.) 375, 383, 404
*Ueotor-yo-s (te.) 242 Tirio (a.) 458
uepri (e.), (a.) 378, 396, 440 Tiro (a.) 523
uepriu (a.) 383 tirtanos (a.) 300
Thermus (a.) 523, 524 tisiui (a.) 302
Uesan (te.), (a.) 226, 227, 233 Tite (a.) 378, 384, 387, 399, 501, 540,
Uesanuei (a.) 226 548
Ue¥sth (a.) 45 Titele 501, 540, 541, 548
Ue¥stwn (a.) 45 *Titele-na 540
Ue¥tiv (te.) 412 Tı¥telov (a.) 56
Thetis (te.) 412 *tites (a.) 52
Uettalı¥a (t.) 574 Titianoi (e.) 169
Uettaloı¥ (e.) 574 Titidiev (a.) 52, 52, 469
Uixvarie (a.) 501 Titinal 537

.
INDICE GENERALE 757

Titinei 546 Tríhpíu (a.) 470


*titios (a.) 179 Trimalchio (a.) 420
Titlna, -nei 540 Trinaco (a.) 582
Titlni 540, 543 Trinacria (t.) 582
Titlnis 537 Trinakrı¥a (t.) 582
tito- (a.) 232 Triuia (te.) 413
Titoi (te.) 232 Trobio (a.) 523
Tı¥tov (a.) 413 Trot(t)edius (a.) 517
Tı¥ttelov (a.) 56 trufun (a.) 383
Tittoi (e.) 169 Trutelius (a.) 517
Titulla (a.) 527 trutikni (a.) 302
Titus (a.) 119, 140, 232, 399, 413, 458, trutiknos (a.) 302, 311
468, 502, 527 Trutitis (a.) 517
Tivoli (t.) 437 Trut(t)edius (a.) 517, 518
tlapu (a.) 379, 383, 406 Trutteius (a.) 517
T}M (a.) 483 {tš (a.) 38
Tokua (a.) 181 Tubertus (a.) 270
Tolerinus (a.), (t.) 277 Tucca (a.) 87
Tolerium (t.) 277 Tuccia (a.) 527
Tolumnius (a.) 557 Tuledu (o.) 156
Tongus (a.) 181 Tulelasca (i.) 156
toponimo 606 Tullia (a.) 462
toponomastica fondiaria 619, 624 Tullius (a.) 277, 286, 519
toponomastica prediale 619, 623, 624 tunal (a.) 302
Torino (t.) 165 tupe (a.) 378
Torrevecchia di Cuti (t.) 227 Turmna 537, 540, 543
Totor (te.) 229 Turmogi (e.) 179
Cotor (te.) 242 Turmś (te.) 233
Cotori (te.) 241 Turns (te.) 233
Toupeio (a.) 85, 370 Tyrrhnoı¥ (e.) 413, 574
Trapani (t.) 586 Tu(r)scus (e.) 213
*treb- (a.), (te.) 224 Tyrshnoı¥ (e.) 440
trēb- 500 Tursikina (a.) 197, 207, 213
Trebav (a.) 232, 503 *Tur(u)me 540-541
Trebatiev (a.) 232 *Tur(u)me-na 540
Trebiae (t.) 437 Tu.r.u.m.o.Ku.m (e.) 179
Trebiis (a.) 224 Tusci (e.) 413, 440, 565
Trebis (a.) 224, 402, 470 Tuscia (t.) 572
Trebius (a.) 230, 504 Tuscnu (a.) 501
trebo- (te.) 224, 230 Tuscus (a.), (t.) 280, 281, 283
*Treb-ōn-s 500 tusnu (a.) 379, 384, 406
Trebula (t.) 210 Tute 509
trebyo- 504 toyto 51
tremato- 503, 504 Tutor (a.), (te.) 240, 243-244
Trepi(e) (a.) 378, 402 Tutoria (a.) 243
Treplate (a.) 210 Toytw¥riov (a.) 241, 243
Tresus (a.) 302 Tutorius (a.) 241, 243
tretnei (a.) 383 Tutunus (te.) 232
Trevi (t.) 437 T WY (t.) 17
Treviso (t.) 165 ˙Tyrius (et.) 15
tribonimo 606 Tyros (t.) 15
Tríbuf (a.) 500 Tyrrheni (e.) 413
Tricipitinus (a.), (t.) 270, 277, 285 Tyrrhenus (a.) 572
*Tricipitium (t.) 278 Tyrus (t.) 15
Tricostus (a.) 270, 276 -oy (a.) 415, 418, 420

.
758 INDICE GENERALE

-u (te.) 87, 226, 305, 436, 508, 511, 540, uper-onā (t.) 159
542 Upfals (a.) 402
-u (<-ōn) (a.) 304, 309, 312 ufale (a.) 378, 402
ualaunal (a.) 302 Ufamogozis (a.) 178, 180
oyßalenti (a.) 412 ufle (a.) 378
uarsileos (a.) 302 uple (a.) 404
úasal 159 u(p)o- (t.) 162
ub 159 *upo-sth2-o-s (a.) 179
Ubiale (t.) 159 Úppiis (a.) 504
Ubione (o.) 159 *Úppis (a.) 517
ubokum (a.) 300 Upsidia (a.) 180
uchel 159 Upsidius (a.) 180
ucrislane (a.) 212 Ur (t.) 30
Ucuetis (te.) 173 urfe (a.) 378, 404
Oyediantı¥wn (e.) 165 Uria (t.) 210 215
Oyßenetoı¥ (e.) 411 urinate (a.) 210, 215
Uenia (a.) 302, 311, 463 uritalisch 596
Oyenikion (t.) 161 uriue (a.) 210
Oyenı¥knioi (e.) 166 urnasis (a.) 384
Oyenikoi 166 Urrath (t.) 156
uepetín 52 Urray (t.) 156
uerkalai (a.) 302 , 311 Ursius (a.) 529
Ufens (a.), (i.) 70, 505, 551-558 ursme (a.) 379, 384, 406
Úfita (i.) 70 Ursmnei (te.), (a.) 229
Ugarit (t.) 31, 33, 34, 36, 38 urste (a.) 378, 404
úht(-) (a.) 517 -oỹv (te.) 419
Uhtav[...] (a.) 485 -us (a.) 415
Uhtave (a.) 378, 400, 485 Usel (te.) 226
Úhtavis (a.) 485, 516 Usele (a.) 378, 391, 541
Oyike¥tia (t.) 159, 438 *Usele (a.) 536, 540
u.i.r.o.u.i.a.ka 156 *Usele-na (a.) 536
uitilios (a.) 302 *Usele-na 540
uitulus 417 Usèllus (t.) 161
-ul- 67 Uselna (a.) 226
-uli (e.) 166 Usil (te.) 226
Ulixes (a.) 569 usil 501
-ullo- 88, 90 Usile (a.) 501
-úlo- 88, 90 Úsito (i.) 70
Umber (e.) 213, 555 U.s.i.z.u (a.) 180
Umbri (a.), (e.) 440, 630 Uslna (a.) 536
Umbria (t.) 227 Uslnal 537
Umbricus (e.) 213 Uslna (-nie) 536, 540, 542, 543
Umbro (a.), (i.) 65, 551-558 -uso- (a.), (e.) 170, 175
umbro 595, 596, 597 Usonius (a.) 180
umrana (a.) 207, 213 Usseaux (t.) 159
umrce(s) (a.) 196, 213 Ussèglio (t.) 159
umre(s) (a.) 196-197, 213 Ussius (a.) 180
-un- (a.), (t.) 156, 181 Utavu (a.) 485
una (a.) 378, 403 Utens (i.) 70
Uni (te.) 228 Utschelg (o.) 159
-untii (e.) 419 uvamokozis (a.) 136, 139, 304, 306-310,
-oy¥ntioi (e.) 419 370
-oyntov (te.) 419 Uveza (a.) 178
* -ȳo- 332, 333, 335, 336 Uvie (a.) 378, 402, 501
*upero- (t.) 155 uvilane (a.) 212

.
INDICE GENERALE 759

*Úvis (a.) 504, 517 Veio (t.) 282


UvltiauioPos (e.), (te.) 178 Veiquasius (a.) 181
Uxe(i)llo (t.) 159 veiza (a.) 379, 383, 405
Uxellis (t.) 159 Vel (a.) 226, 383-384, 457, 459-460,
uxello- (o.), (t.) 159 463, 501, 540
Uxellus (t.) 159 Vêl 536, 538, 541
Uxesina (a.) 180 vela (a.) 383
V. (a.) 322, 330, 331 Velabrum (t.) 441
va- 367 velane (a.) 211
vaipane (a.) 199, 211 *Vel(a)-ra 540
Val Brevenna (t.) 163 Vêlara 536, 540, 543
Valdichiana (t.) 69 *Velarna 540
Val di Non (t.) 167 velauri (t.) 436, 439
Valens (a.) 412, 523, 524, 525 *Velave 536
Valentinus (a.) 525 *Vêlave 538
Valentius (a.) 527 Vêlaves 536
Valeria (a.) 272, 283, 526 Velave{s}na 538
Valeriana (a.) 526 velxa(i)e (a.) 378, 392
Valerii (a.), 272, 284 velxatini (a.) 207-208
Valerio (a.) 272, 283 Velxe (a.) 378, 382, 393
Valerius (a.) 252, 259, 271, 283, 284, Vêlxe 536, 538, 537, 546
525, 527, 528 Velxei (a.) 457
Valesio (t.) 240, 241 Vêlxes 537
Valesios (a.) 360 velxite (a.) 208
Val Leventina (t.) 166 *Veleia 440
Vanta (a.) 367 Velia (a.), (t.) 211, 383-384, 440
Vantaveio- (a.) 367 Velianus (e.) 211
Vantkeni[ (a.) 369 velicu (a.) 383
Vants (a.) 173 Velimna 510
Vaprio (t.) 162 Velitrae (t.) 437, 441
Far (a.) 503 Velius (a.) 441
Vara (a.) 329, 330, 333, 336 Velleius (a.) 441
varia (t.) 159 Velletri (t.) 437
Varius (a.) 528 *Velua (a.) 225
vāro 503 *Velue (a.) 225
Varrone (a.) 220, 286 Veluie (a.) 378, 402, 539, 541
Varus (a.) 523, 526 Veluiena 539
Vassa (a.) 179 *Veluim(e)na (te.) 225
Vassilla (a.) 179 Veluina (a.) 225
vassos (a.) 179 Vêluinal 536
Vaste (t.) 240, 241 Vêluinei 539, 542
vatate (a.) 208 Velunei (a.) 225
Vaticanus (a.) 275, 277 veluri (a.) 201, 203, 214
vatlui (t.) 206, 214 velurite (a.) 201, 208, 214
-VCxCxV (t.), (te.) 163 *Veluum(e)na (te.) 225
-Vdyo- (t.) 157 Veluur (a.) 378, 383, 392, 499
vechtinios (a.) 305, 306 *Vêluur 538
Vecu (te.) 226 Veluurna (a.) 214, 499
Vecuia (te.) 226, 230 *Vêluu-ru 538
Vediantiorum (e.) 165 *Vêluurus 537, 538
Vegoia (te.) 226 *Vêluurusla 537, 538
Veiane (a.) 198-199, 211 velsu (t.) 436
Veiaue (a.) 199, 208 velu (a.) 379, 383, 405
Veicetini (e.) 437 Vêl[- - -]us 537
Veii (t.) 208, 211 velyo- 503

.
760 INDICE GENERALE

velz(i)na (a.) 203, 205, 207, 214 veru (a.) 384


Velznax (e.) 201, 214 Verubius (t.) 159
Velzna(e) (t.) 439 Verus (a.) 523, 524, 526, 529
Velzna(lui) (t.) 201, 205, 214 Vervicius (a.) 523, 526
Velznu (t.) 439 Vesaevus (o.) 570
Velzu (t.) 205, 214 Vespasianus (a.) 519
venate (a.) 204 Vesumus (a.) 178
Vendevolo (o.) 163, 164 vetalu (t.) 436, 439
Vendoglio (t.) 163 Vete (a.) 378, 391, 501, 539, 541
Vendoni (villa) (t.) 165 *Vete-na 539
Vendoval (i.) 164 Veuna 539
Venel (a.) 226, 485, 501 Veuu (a.) 393
Veneleis (a.) 232 Veti (a.) 322, 378, 400
veneliis (a.) 321 Vetie (a.) 378, 400
Venerius (a.) 223, 225 vetlna (a.) 206, 214
Venete (a.) 197, 213 Vetna 539
Veneti (t.) 411 Vêtnal 536
Venetkens (a.) 362, 365-367, 369-371, Vêtnei 539, 542
373 vet-ral 509
veneto- (e.) 369 *vet-re 509
Venetus (e.) 213, 437 *vet-ri 509
Venia (a.) 180 Vettius (a.) 400, 524, 526
venil(o)- 503 vetu (a.) 378, 382, 393, 501, 509, 539, 541
Venilei (a.) 232, 321 Vetulonia (t.) 214, 436, 437
Venisami (e.) 166 Vetulonii (t.) 214
Vennonius, -a (a.) 181 *Vetu-na 539
Venturii (a.) 285, 286 Veturius (a.), (te.) 230-233, 527
venu (a.) 378, 393 Vetusia 231
Venuleius (a.) 529 Vetusius (a.) 231
Venzile (a.) 379, 383, 405 vhagsto 173
Venziu (a.) 383 Viator (a.) 523, 524
vepos (a.) 181 Vib. (a.) 329, 331, 337
Vequasius, -a (a.) 181 Vibia (a.) 329
Veraglasca (i.) 156 Vibies (a.) 468
Veragri (e.) 156 Vibis (a.) 401
verate (a.) 208 Pibi(v) (a.) 429
Vercellae (t.) 436 Vibius (a.) 325, 326, 332, 337, 470, 486-
Vercna (a.) 459 487, 527
Verdavus (a.) 523 Vibo Valentia (t.) 440
Verduno (t.) 155 Vibulanii (a.) 277
Verdunum 155 Vibulanus (a.) 270, 277
Verebbio (t.) 159 Vicellinus (a.) 270
Verecundus (a.) 523, 526 Vicentia (t.) 438
Perega- 51 Vicenza (t.) 159, 163
Verginii (a.) 280, 285 Vicetia (t.) 163, 438
Verginius (a.) 276 Victor (a.) 243, 523, 526
*vergos (a.) 179 Victrix (te.) 174
Verinus (a.) 523, 526 Pide 51
Verkalai (a.) 88, 179 videtas 51
Verkondarna (a.) 173 Viíbis (a.) 485
*verku 88 vik- (t.) 159
verkvano- (a.) 88 Viku (a.) 180
Verona (t.) 159 Vilagostis (a.) 181
Ver(r)ius (a.) 455 Vilagostius (a.) 181
Vertumnus (te.) 225 Vilkenis (a.) 372

.
INDICE GENERALE 761

Villius (a.) 525, 529 Voltiomnio- (a.) 100


Vincentia (t.) 438 Voltiomnos (a.) 173
Vindamulate (a.) 178 Voltumna (te.) 225
*vind-el-askā (i.) 162 *Voltur (o.) 66-67
vindo- (i.) 162, 165 Volturnum (t.) 66, 202, 214
Vindone (t.) 165 Volturnus (i.) 66, 67
*vindupala (i.), (o.) 164 Volumnii 510
Vindupale (i.) 162-165 Volumnius (a.) 266, 410
*vindo-pal-i-s (i.) 162-165 Volusi (a.) 252
*vindu-pal-o-s (o.) 164 Vopiscus (a.) 502, 523, 526
Vinelasca, -am (i.) 162, 165 Vuisi (a.) 378, 394
vineti (e.) 437 Vulci (t.) 208, 282
vinetikaris 437 Vulieis (a.) 232
vineto- (e.) 437 Vulso (a.) 271
Vini (a.) 185 {Vu}ltiauiobos (e.), (te.) 178
Viniciiu (a.) 232, 321 vuvzie (a.) 378, 394, 501
vinuxs (a.) 321 *warı̄nā 159
Vipe (a.) 378, 382, 392 *wekwos (a.) 181
Vi[.]pi 536, 536 *weni- (e.) 166
Vipi(e) (a.) 378, 383, 387, 401, 459, 501, *wer- (t.) 159
540, 544 *wergo 88
vipinei (a.) 387 *windo- (a.) 312
Virgilio (a.) 239 W}RY (a.) 455
Virgilius (a.) 235 *wr-yā (t.) 159
Virgula (a.) 523 Jenoklh̃v (a.) 44
viriaskum (e.) 156 Jeno¥klytov (a.) 44
Virillio (a.) 523 *Jenokra¥thv (a.) 44
Virovesca (t.) 156 *Je¥nwn (a.) 44
Virovia (t.) 156 Jenofw̃n 44
Viroviacum (t.) 156 *Je¥nov (a.) 44
Virriis (a.) 469-471 -yā (a.), (e.), (t.) 157, 159, 165, 176
Vir(r)ius (a.) 455, 470, 486-487, 493 Yam (te.) 36
Vitalis (a.) 523, 524, 527 {Ydroỹv (t.) 435
(F)italo¥v 417 Yhwh (te.) 28
viteliú (t.) 440 Yknšlm (a.) 34
*Vitilia 440 Ym} (a.) 36
Vitulus (a.) 440, 523 }YNSM (t.) 8, 9
Vlato (a.) 181 -yo-˙(a.) (e.), (t.) 157, 159, 165, 176, 244,
Vlatunus (a.) 181 502, 503
Vlixes (a.) 410 youenc 157
Vois. (a.) 394 Yp} (a.) 37
Volaterrae (t.) 436-437, 439, 441 ™ Yciv (i.) 44
Volcacius (a.) 527 }Y{RM (t.) 10
Volcanus (te.) 568 }YRNM (t.) 9
Volci (t.) 437 Yt} (a.) 36
Volero (a.) 502 Yverdon (t.) 160
Volscus (a.) 280, 523 YWLY{ (a.) 456
Volsinii (t.) 214, 436-437, 439 Za¥kanza (t.) 434, 435, 441
Vols(s)o (a.) 178 Zakanzaı̃oi (e.) 434
Volta (a.) 225 Za¥kynuov (t.) 435
Volterra (t.) 436 zal 510
Volterrae (t.) 208, 214 Za¥gklh (t.) 584, 584
Poltev (a.) 51 Zancle (t.) 584-586
Voltigenes (a.) 373 zaurum 510
Voltio (a.) 402 Zhno¥dotov (a.) 222

.
762 INDICE GENERALE

zerapiu (a.) 383 Zonesa (a.) 416


Zey¥jippov (a.) 498, 503 Zosimus (a.) 416
Zey¥jiv (a.) 498, 503 {ZRB{L (a.) 450-451, 489, 492
zix- 501 Zuglio Carnico (t.) 158
Zixu (a.) 500 zupre (a.) 384
zilxnu 509 Иotyla* (a.) 56
Zipna (te.), (a.) 226 Иotylov (a.) 56
Zis Venas (te.) 240

.
SOMMARIO

Pages
Paolo POCCETTI, Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1-3

AREE E AMBITI ONOMASTICI

Maria Giulia AMADASI GUZZO, Note di toponomastica degli


insediamenti fenici in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7-24
Corinne BONNET, Osservazioni comparative sull’onomasti-
ca fenicio-punica della Sicilia e della Sardegna . . . . . . 25-41
Federica CORDANO, Onomastica personale e geografia nella
Sicilia greca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43-47
Luciano AGOSTINIANI, Formule onomastiche binomie nelle
epigrafi anelleniche di Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49-57

LIVELLI, MODALITÀ E OBIETTIVI DELL’ANALISI LINGUISTICA

Domenico SILVESTRI, Le metamorfosi dell’acqua : idronimi


e istanze di designazione idronimica nell’Italia antica 61-72
Aldo Luigi PROSDOCIMI, Note sull’onomastica di Roma e
dell’Italia antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73-151
Patrizia DE BERNARDO STEMPEL, La ricostruzione del celti-
co d’Italia sulla base dell’onomastica antica . . . . . . . . . 153-192

RELAZIONI TRA SETTORI DELL’ONOMASTICA

Jean HADAS-LEBEL, Anthroponymes toponymiques et topo-


nymes anthroponymiques : liens entre lieux et per-
sonnes dans l’onomastique étrusque . . . . . . . . . . . . . . . . 195-217
Paolo POCCETTI, Antichi problemi e nuovi dati : rapporti
tra teonimi e antroponimi nell’Italia antica . . . . . . . . . 219-248

.
764 SOMMARIO

SISTEMI, TIPOLOGIE E REPERTORI

Pages
Heikki SOLIN, Sulla nascita del cognome a Roma . . . . . . . 251-293
Filippo MOTTA, Tipologie dell’onomastica personale celtica
nell’Italia antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295-318
Emmanuel D UPRAZ , Hypothèses sur les origines du
système gentilice en pays nord-osque . . . . . . . . . . . . . . . 319-339
Fabrice POLI, L’anthroponymie osque : données quantita-
tives et qualitatives postérieures à l’ouvrage de Michel
Lejeune (1976) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341-353

ONOMASTICA E ISTITUZIONI

Anna MARINETTI, Terminologia istituzionale e formula


onomastica in venetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 357-374
Clara BERRENDONNER, Se faire un nom : l’acquisition de la
citoyenneté et ses effets onomastiques en Étrurie . . . . 375-406

ONOMASTICA E CONTATTI TRA LINGUE

Frédérique BIVILLE, Manifestations du bilinguisme gréco-


latin dans l’onomastique de l’Italie antique . . . . . . . . . . 409-423
Maria Letizia LAZZARINI, Interazioni onomastiche nel Bru-
zio ionico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 425-431
Jürgen UNTERMANN, La latinizzazione di toponimi indige-
ni nell’Italia antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433-441
Stéphane BOURDIN et Sandrine CROUZET, Des Italiens à
Carthage? Réflexions à partir de quelques inscriptions
puniques de Carthage . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443-494

ONOMASTICA E LESSICO

Helmut RIX, Le relazioni tra onomastica e lessico nelle lin-


gue antiche dell’Italia centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 497-506
Francesco RONCALLI, Numerali nell’antroponimia . . . . . . . 507-513
Olli SALOMIES, Nomi personali derivati da numerali a Ro-
ma etrusca? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 515-531

.
SOMMARIO 765

L’ONOMASTICA NEI TESTI : EPIGRAFIA E LETTERATURA

Pages
Carlo DE SIMONE, L’onomastica personale della Tabula
Cortonensis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 535-550
Fabio STOK, Onomastica / toponomastica virgiliana . . . . . 551-561
Carlo SANTINI, Materiali per un’indagine sui toponimi di
alcuni oppida nei commenti di Servio all’Eneide . . . . 563-577
Emanuelle LELLI, L’onomastica del mondo italico negli
Alessandrini : tra erudizione e letterarietà . . . . . . . . . . . 579-589

ASPETTI TERMINOLOGICI E CLASSIFICATORI

Vincenzo ORIOLES, Come chiamare le lingue dell’Italia an-


tica preromana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593-600
Sara FEDALTO, Eunikaù kaıù kthtika¥ : distinzioni terminolo-
giche nell’etnonimia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 601-618
Carla MARCATO, La toponomastica prediale : articolazione
e storia del concetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 619-625

SOPRAVVIVENZE E PROGETTI DI REPERTORI

Enzo CAFFARELLI, Vitalità di etnonimi e toponimi dell’Ita-


lia antica nell’onomastica e nel lessico italiano con-
temporanei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 629-648
Francesca D RAGOTTO , Presentazione del sito web
www.detia.it : l’impiego di un episodio di letteratura di
viaggio dell’antichità (Hor. Serm. I, 5) come fonte do-
cumentaria per un censimento di Etnici e toponimi
dell’Italia antica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 649-661

RIASSUNTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663-673

INDICI ANALITICI ...................................... 675-720

INDICE GENERALE ..................................... 721-762

SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 763-765

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