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LA VITA ETICA
La condizione disperante a cui conduce il passaggio da un piacere all’altro nella vita
ESTETICA richiede il salto nella vita ETICA (non è un passaggio di tipo Hegeliano
ma è un vero e proprio salto che richiede la scelta della disperazione). Infatti la
disperazione è una scelta, in quanto “Si può dubitare senza scegliere di dubitare ma
non si può disperare senza sceglierlo”. In tal senso, disperare non è uno stato di
passivo avvilimento, poiché ad un certo punto si fa propria la condizione della
disperazione (la si assume). La risposta a questa condizione NON è un’evoluzione
progressiva verso un’altra forma di vita, ma la scelta a sua volta di un’altra forma di
vita. Dopo aver assunto quindi la disperazione si salta in una condizione che ha
caratteri profondamente diversi: si sceglie di scegliere, si diventa responsabili. E’
quindi un po’ il contrario della vita estetica. In Kierkegaard, invece di trovare un
concetto, troviamo una figura rappresentativa di questo modo d’essere: il
MATRIMONIO, il marito, la persona che lavora. L’uomo che sceglie la vita etica
sceglie la famiglia, la continuità, la RIPETIZIONE (contrario dell’eccezionalità
estetica). Tuttavia anche questa scelta si rivela una scelta destinata al fallimento
(tutte le scelte sono destinate al fallimento, in quanto, in Kierkegaard, l’unica risposta
è Dio): quando noi conduciamo una vita etica, accettiamo un modo di vita e
soprattutto accettiamo degli aspetti fallimentari, deludenti, DECETTIVI della
condizione umana. Quando ci rendiamo conto di questo, siamo poi portati al
PENTIMENTO. Anche viver responsabilmente non è sufficiente, del resto gli aspetti
della vita etica NON sono Dio ma manifestazioni della nostra finitezza, dei nostri
limiti. Ci resta soltanto l’ultimo stadio della vita: LO STADIO RELIGIOSO.
LA VITA RELIGIOSA
Kierkegaard dedica a questo stadio della vita un testo dal titolo “Timore e tremore”,
in cui la figura emblematica è ABRAMO. Abramo, colui che, ascoltando la voce di
Dio è disposto ad uccidere il figlio Isacco, ma non lo fa poiché Dio ferma la sua
mano. Questo aspetto della Bibbia, che faceva orrore a Kant in quanto è il contrario
della vita etica, in Kierkegaard viene presentato dicendo che la scelta religiosa non è
compatibile con quella etica. Da un punto di vista etico l’omicidio di Isacco sarebbe
inaccettabile (in quanto non ha un aspetto etico, come ad esempio l’omicidio di
Cesare da parte di Bruto che viene ucciso per la libertà). Abramo invece sarebbe
disposto ad uccidere Isacco perché lo dice Dio, per fede. Kierkegaard, presenta
infatti la fede come PARADOSSO, come un qualcosa che rovescia la logica della
vita morale. La Fede si presenta, dunque, come un qualcosa di paradossale, di
illogico e soprattutto incerto e rischioso (infatti Kierkegaard si chiede cosa
assicurasse ad Abramo che quella voce fosse la voce di Dio). Vi è infatti una
peculiarità della Fede, in quanto quest’ultima è accompagnata dall’angoscia,
dall’inquietudine. Per Kierkegaard, la sicurezza che sia Dio è proprio questa
inquietudine angosciata che accompagna la Fede. Questa scelta di rappresentare la
Fede in modo angoscioso è il motivo per cui Kierkegaard, pensatore cristiano
protestante, diventa poi il pensatore che drammaticamente polemizza con la chiesa
luterana danese (che trova una sorta di compromesso con il mondo). Il cristianesimo
di Kierkegaard è incompatibile con qualsiasi forma di addomesticamento, di
coesistenza compromissoria.
L’ANGOSCIA
L’angoscia kierkegaardiana è il rapporto tra il soggetto e il mondo, il quale si
caratterizza come un sentimento indeterminato (è importante sottolineare questo
aspetto perché verrà ripresentato nella filosofia di Heidegger). Questo sentimento
indeterminato della possibilità nel caso di Adamo si presenta come possibilità di
potere e quindi di peccare non sottostando al divieto divino. Quindi la possibilità
produce angoscia il cui spazio temporale è il futuro che è per definizione il tempo
della possibilità al contrario del passato che genera rimorso a meno che non si
presenti come possibilità di ripetizione, quindi come un futuro probabile. L’angoscia,
o come la definì Heidegger “tonalità emotiva”, è una categoria umana necessaria,
cioè è una struttura dell’essere umano (qualcosa di simile al “conatus” spinoziano).
Questo modo di sentire, infatti, non è un semplice modo psicologico di sentire ma è
un qualcosa che ci caratterizza strutturalmente nel rapporto con il mondo e con sue
possibilità nullificanti, cioè distruttive. Pertanto non è un rapporto intellettivo (noi non
ragioniamo e capiamo che la possibilità è pericolosa) ma la sentiamo pericolosa.
Questo sentire ha una sua forza filosofica, cioè ci consente di comprendere la nostra
situazione esistenziale (anche la comprensione è un altro tratto della filosofia di
Heidegger). Essendo Kierkegaard un pensatore religioso il sentimento dell’angoscia
è espresso anche in termini religiosi; infatti, per Kierkegaard, l’umanità di Cristo non
si trova tanto nello smarrimento espresso dalle sue parole pronunciate in croce
“Padre, padre perché mi hai abbandonato?”, ma nell’angoscia di fronte a ciò che
stava per fare Giuda dicendo “ciò che devi fare fallo subito!”. Kierkegaard connette
inoltre l’angoscia al principio d’infinità che esprime nella frase “nella possibilità tutto è
possibile” il che ha una connotazione negativa in quanto indica la possibilità
dell’annullamento.