La psicopedagogia ha come campo di indagine lo studio e l’analisi degli
attori e delle situazioni presenti nel contesto apprenditivo – educativo. La scelta controversa del termine psicopedagogia nasce dal fatto che traduce l’espressione inglese educational psycology (psicologia pedagogica). In tal senso è come se la psicopedagogia fosse psicologia applicata alla pedagogia. Tale disciplina rischia perdite di identità vista la sua posizione al crocevia tra psicologia, pedagogia e didattica. Il proprium della psicopedagogia consiste nell’analisi del comportamento: è una specie di approccio fenomenologico che coglie i tratti significativi delle varie realtà che si esaminano laddove si tende a coniugare i fenomeni psicologici che sottostanno ai fatti educativi con l’angolazione pedagogica del quadro in cui i fatti psichici emergono. I legami tra psicologia ed educazione non vanno interpretati a senso unico perché le conoscenze psicologiche vengono usate per scoprire certi aspetti del soggetto su cui intervenire ma, in altri casi, è l’atto educativo che ci fa scoprire aspetti sconosciuti dell’essere umano. La ricerca psicopedagogica è stata quindi influenzata dalla psicologia, specialmente da 3 approcci di natura psicologica: il cognitivismo, il behavorismo e l’egodinamico. TITONE ha poi racchiuso i 3 approcci in un unico modello = OLODINAMICO. Tale approccio rappresenta il presupposto di una scienza dell’apprendimento che Titone sostiene sia d’aiuto alla pedagogia e alla didattica e che definisce mimetica (che riguarda l’apprendimento). In questa cornice possiamo dire che i problemi educativo-didattici si avvalgono degli strumenti dell’indagine psicologica e si qualificano come psicopedagogici. L’apprendimento in ambito psicopedagogico è studiato nei suoi 3 momenti fondamentali: la motivazione, l’attività e il rinforzo che non vanno separati da situazioni di disturbo o turbamento. Da qui la ricerca delle condizioni che stimolano, rafforzano e mantengono la disposizione ad apprendere sia in condizioni di “normalità” che di “patologia” e di atipicità. Questi anni sono stati fertili di contributi per la ricerca educativa. Particolare rilievo hanno avuto gli studi tassonomici volti a individuare strumenti di controllo degli avvenimenti presenti nelle situazioni di apprendimento. Le TASSONOMIE tentano di ottimizzare l’insegnamento e si pongono contro una didattica routinaria, sono un ponte tra teoria pedagogica e prassi didattico-operativa. Gli autori che hanno elaborato le tassonomie avvertono che si tratta comunque di strumenti che vanno sperimentati, migliorati e adattati alle varie situazioni che si presentano. Un altro settore di ricerca educativa importante è l’analitica dell’insegnamento, che si propone un’analisi sistemica delle condizioni di apprendimento\ insegnamento e cerca di migliorare i comportamenti insegnativi per determinare l’effettivo progresso della didattica. LE CONDIZIONI DELL’APPRENDIMENTO L’apprendimento è il risultato di interazioni sociali e ambientali che permettono alla persona di ridurre le tensioni provocate da bisogni emergenti. Il problema è se queste interazioni debbano considerarsi casuali o indotte. Nel primo caso si tratta di un vero apprendimento sociale, nel secondo di stimolazioni sistematiche che hanno lo scopo di determinare comportamenti attesi e voluti. A partire dal 1879 le teorie pedagogiche cominciarono ad avere basi scientifiche sulle condizioni, i fattori e le conseguenze del soggetto prodotte da specifiche esperienze di apprendimento. Il BEHAVIORISMO ha permesso di spostare l’attenzione sull’osservazione sistematica dei comportamenti analizzati piuttosto che sulla pratica dell’introspezione. La psicologia associazionistica studiò e verificò l’importanza nell’apprendimento dei legami che saldano una determinata risposta ad uno stimolo somministrato. Su questo si basano gli studi di Pavlov, Bechterev, Watson, Skinner… PAVLOV e BECHTEREV sono noti per le loro ricerche atte a dimostrare che l’apprendimento è il prodotto di una reazione condizionata: il primo in particolare dimostrò che uno stimolo incondizionato determina nel cane una reazione consequenziale irrefrenabile (salivazione), ma se si associa ripetutamente alla presentazione del cibo, per esempio, il suono di un campanello (stimolo condizionato) si produrrà una reazione condizionata che continuerà anche in assenza dello stimolo incondizionato. Gli studi di THORNDIKE rappresentano un ulteriore progresso nelle teorie dell’apprendimento: egli dimostrò che oltre all’associazione di stimoli e risposte è necessaria la percezione da parte del soggetto dei nessi tra un atto e i risultati determinati dall’atto. Tale “percezione” può essere definita feedback: i gatti rinchiusi nelle problem box riuscivano a svolgere l’esperimento se erano motivati e a tal fine eseguivano movimenti casuali. Se però un tentativo portava al raggiungimento dello scopo, provocava nel soggetto una sensazione di successo che portava alla ripetizione di quel tentativo in situazioni analoghe. Lo stesso avviene nel comportamento umano. Grazie a questi esperimenti, Thorndike potè formulare le leggi della prontezza dell’esercizio e dell’effetto che regolano l’apprendimento. Per quanto riguarda la prima legge, gli animali che meglio rispondevano agli esperimenti erano quelli per cui l’esecuzione delle prove per raggiungere il cibo alla fine di un labirinto, seguiva la soddisfazione di un bisogno impellente: per questo Thorndike lasciava preliminarmente i gatti a digiuno!
Per quanto riguarda la
seconda legge, è chiaro che le connessioni si rafforzano con l’uso e si indeboliscono col disuso: tutto questo ha indotto molti docenti a ricorrere alla pratica degli esercizi come strategia didattica in grado di ottenere progressi nell’apprendimento e/o consolidare quanto già appreso. Per quanto riguarda la seconda legge, è chiaro che le connessioni si rafforzano con l’uso e si indeboliscono col disuso: tutto questo ha indotto molti docenti a ricorrere alla pratica degli esercizi come strategia didattica in grado di ottenere progressi nell’apprendimento e/o consolidare quanto già appreso. Per quanto riguarda la terza legge, è ovvio che si rafforza una connessione grazie all’effetto positivo ottenuto dopo lo sforzo prodotto, tuttavia, effetti negativi e positivi non sono simmetriche perché le punizioni non hanno la stessa efficacia nell’indebolire una connessione rispetto a quanto ne hanno i premi nel rafforzarla. SKINNER ha dimostrato l’esistenza di un comportamento operante che non rappresenta una semplice reazione, ma porta il soggetto ad agire per “modificare l’ambiente”; se le azioni portano ad una gratificazione, vengono ripetute in modo sempre più preciso. La Gestalt psychology si mette invece contro la psicologia associazionistica. Si fa strada la specificità del comportamento umano. L’Insight, cioè l’intuizione, anche se questo termine non si riferisce ad un fattore propriamente intellettivo ma percettivo che permette di cogliere le relazioni tra i vari elementi che compongono il campo percettivo. Prende piede la teoria dell’apprendimento strutturale in cui si evidenzia il fattore trasfert proposto da BRUNER. Secondo tale studioso una corretta comprensione delle strutture di un contesto di apprendimento avviene grazie a 3 criteri: il modo, l’economia e l’efficacia che rispettivamente si riferiscono ai modi in cui il soggetto si rappresenta il mondo, opera apprenditivamente con un ottimale dispendio di energie mentali e, infine, ottiene la capacità di formulare ipotesi operative prima che la loro validità sia chiara. Thorndike ha dato impulso a delle ricerche volte a puntualizzare il fattore motivazionale. Un aspetto non trascurabile nel delineare l’apparato motivazionale di ciascuna persona deriva dalla combinazione di diversi fattori come la percezione di competenza, l’autostima, le differenze di genere, le attribuzioni. Secondo WEINER, l’attribuzione del risultato costituisce le attribuzioni causali che determinano gli esiti di prestazioni successive e che influenzano le nostre aspettative. Esiste quindi un legame tra attribuzione causale, riuscita e reazione cognitiva, emotiva e comportamentale: le reazioni possono variare anche se si tende più spesso ad attribuire il successo a fattori interni e il fallimento a fattori esterni. Questa operazione cognitiva è nota come autodistorsione riflessiva e si attiva per proteggere la propria autostima. Oltre alla motivazione, altri due fattori sono importanti per completare il quadro dellecondizioni che facilitano l’apprendimento. Il primo è il rinforzo, cioè uno stimolo gratificante che permette al comportamento appreso di ripetersi in condizioni analoghe. Queste gratificazioni possono essere primarie (quando si risponde a bisognibiologici) o secondarie (le lodi, le approvazioni sociali). Il secondo è l’EFFETTO TRANSFERT. Bruner aveva precisato che un apprendimento era efficace se permetteva all’alunno di effettuare dei nuovi collegamenti e scoprire nuove relazioni. Il transfert di apprendimento va considerato come una meta-abilità che permette sia di apprendere che di promuovere la creatività. Il transfert non gradisce solo fattori cognitivi, ma anche motivazionali, affettivi, emotivi. Alcuni autori, operano la distinzione tra studenti campo-dipendenti e studenti campo-indipendenti. Le differenze tra i due sta nel grado maggiore o minore di: - subire o imporre modelli percettivi; - disambiguare l’informazione; - codificare senza trasformare l’informazione; - verificare l’ipotesi nella soluzione di problemi; - trovare l’informazione rilevante; - trasferire le regole apprese a nuovi contesti; - seguire schemi di prestazione stabiliti; - stabilire atteggiamenti disponibili verso gli altri. Conoscere gli stili di apprendimento ci permette di attuare delle strategie di apprendimento efficaci. L’apprendimento, infatti, non si riferisce solo all’acquisizione di conoscenze dichiarative che permettono al soggetto di avere abilità che lo rendono idoneo ad affrontare certi problemi, ma anche alle conoscenze procedurali che riguardano il “come” fare qualcosa, come si usano gli oggetti, come raggiungere determinati obiettivi. analoghe. Queste gratificazioni possono essere primarie (quando si risponde a bisognibiologici) o secondarie (le lodi, le approvazioni sociali). Il secondo è l’effetto transfert. Bruner aveva precisato che un apprendimento era efficace se permetteva all’alunno di effettuare dei nuovi collegamenti e scoprire nuove relazioni. Il transfert di apprendimento va considerato come una meta-abilità che permette sia di apprendere che di promuovere la creatività. Il transfert non gradisce solo fattori cognitivi, ma anche motivazionali, affettivi, emotivi. Alcuni autori, operano la distinzione tra studenti campo-dipendenti e studenti campo-indipendenti. Le differenze tra i due sta nel grado maggiore o minore di: - subire o imporre modelli percettivi; - disambiguare l’informazione; - codificare senza trasformare l’informazione; - verificare l’ipotesi nella soluzione di problemi; - trovare l’informazione rilevante; - trasferire le regole apprese a nuovi contesti; - seguire schemi di prestazione stabiliti; - stabilire atteggiamenti disponibili verso gli altri. Conoscere gli stili di apprendimento ci permette di attuare delle strategie di apprendimento efficaci. L’apprendimento, infatti, non si riferisce solo all’acquisizione di conoscenze dichiarative che permettono al soggetto di avere abilità che lo rendono idoneo ad affrontare certi problemi, ma anche alle conoscenze procedurali che riguardano il “come” fare qualcosa, come si usano gli oggetti, come raggiungere determinati obiettivi. Tra le conoscenze procedurali troviamo la METACOGNIZIONE, cioè le conoscenze del funzionamento dei propri processi cognitivi e dei meccanismi che li regolano. A questo punto ci si chiede come insegnare la metacognizione all’alunno. Per raggiungere lo scopo occorre dare degli input da attivare prima, dopo e durante l’apprendimento. Questi input possono essere: mostrare l’applicazione di una strategia, stimolare la pratica dell’auto interrogazione, favorire la pianificazione anticipata di procedure, riflettere sui probabili ostacoli, sostenere l’automonitoraggio durante l’esecuzione di un compito, discutere del rapporto tra atti e scopi e generalizzare ad altri contesti e mantenere nel tempo le acquisizioni (transfert). Tali input dovrebbero garantire al soggetto un certo controllo sugli eventi della propria vita. Il SENSO DI AUTOEFFICACIA che rende gli eventi più prevedibili deriva infatti da: - Esperienze dirette di gestione efficace; - Esperienza vicaria: è quella compiuta al posto di un’altra non attuabile; - Persuasione discorsiva da parte di altre persone (considerate significative dal soggetto); - Condizioni psicofisiche ottimali. Il contesto non deve limitarsi all’attività cognitiva: il contesto è percepito sia in conseguenza del contesto stesso (BACKGROUND COGNITIVO) ma è anche condizionato da variabili che ciascuno ha appreso in altri contesti (TRANSFER). L’errore che spesso si compie nell’analisi dei contesti formativi è di effettuare un’analisi dei contesti, piuttosto che nei contesti. L’analisi dei contesi è limitata, mentre quella nei contesti prende in considerazione anche le dimensioni spaziali, le immagini costruite riguardo al contesto, il clima relazionale presente al suo interno. L’esperienza educativa è sempre un’esperienza in situazione, non la si può quindi rinchiudere in schemi stabiliti; essendo in situazione, l’esperienza educativa non è mai sicura; la visione personale del mondo è sempre aperta al cambiamento poiché ciascuna persona che ne incontra un’altra diviene sempre “altro. Il COSTRUTTIVSMO Il costruttivismo diventa un nuovo quadro teorico di riferimento psicopedagogico che vede come protagonista il soggetto che apprende. I punti principali del costruttivismo sono: - Le realtà sono spesso soggettive - La conoscenza è il risultato di una costruzione attiva del soggetto - Soggetto e conteso sono legati tra loro L’ambiente di apprendimento risulta essere un locus in cui gli studenti possono lavorare insieme e aiutarsi nel comune perseguimento di obiettivi e di attività di problem-solving. Si tratta di svariati LEARNING CONTEXT in cui ciascun allievo è responsabile del proprio apprendimento, mentre l’insegnante ha il ruolo di assistente, guida, consulente. Non esiste pertanto un sistema didattico univoco: si possono piuttosto indicare una serie di criteri che dovrebbero essere rispettati per rendere l’attività formativa rispondente alle esigenze contingenti. Lo studio dei casi, il problem-solving e le simulazioni solo delle ottime strategie, che permettono di far interiorizzare un concetto applicandolo in attività pratiche. In un gruppo di lavoro il fatto di potersi scambiare opinioni e nuove idee aumenta la capacità di trovare soluzioni efficaci in breve tempo. Ciò è reso possibile da due requisiti legati tra loro: che il contesto di apprendimento si strutturi come comunità di pratiche (cdp) e che sia garantito il diritto alla partecipazione periferica legittimata (LPP). Il costrutto di COMUNITA’ DI PRATICHE è sostenuto dalla teoria sociale dell’apprendimento secondo cui l’apprendimento trasforma l’identità del soggetto. La comunità di pratiche è definibile come un insieme di individui che interagiscono per lo svolgimento di un compito, applicando una serie di conoscenze pratiche e\o teoriche. La CDP è costituita da 3 componenti: dominio, comunità e pratica. Il dominio crea un contesto comune e un comune senso di identità. La comunità deve essere forte e incoraggiare le relazioni basate sul rispetto e sulla fiducia reciproca. La pratica deve essere costituita dall’insieme di idee, strumenti, informazioni che i membri della comunità sviluppano e condividono. Ma affinché si realizzi appieno una comunità di pratiche è necessario che qualsiasi attore della comunità abbia una piena “legittimazione” alla partecipazione delle sue pratiche. Il termine “partecipazione” sottolinea che si apprende sempre grazie alle interazioni. L’aggettivo “periferica” descrive un percorso di partecipazione di gruppo fisiologico; si pensi, ad esempio, alle dinamiche che si attivano in una classe quando si alzano dei muri tra chi partecipa al dialogo educativo e chi si percepisce come un “corpo estraneo”. Infine, l’aggettivo “legittimata” sottolinea che la partecipazione del novizio è tacitamente accordata dagli altri. Una piccola nota interessante riguarda la proposta di alcuni autori di trasferire l’apprendistato cognitivo (che ha dei risvolti pratici) nel recinto scolastico. Per apprendistato s’intende il processo di acquisizione di abilità lavorative, in genere, di basso profilo. Questa esperienza ha delle caratteristiche importanti: si svolge in un contesto in cui l’apprendista partecipa alle pratiche significative di una comunità sotto la guida di un esperto. L’apprendista, quindi, vive una sorta di full immersion di apprendimento formale e di apprendimento situato e partecipa al miglioramento di quanto appreso. Nell’apprendistato, la guida esperta è presente nel momento iniziale che controlla passo dopo passo il compito da svolger così da orientare l’acquisizione da parte di chi impara, migliorandone le abilità e, in seguito, diminuendo l’intervento fino a scomparire. L’apprendistato cognitivo è ciò che ci avvia alla concettualizzazione della pratica: in questa circostanza una comunità di pratiche diventa una comunità di apprendimento. Purtroppo, la scuola è ancora distante da questo modo di attuare le attività didattiche, ma si stanno facendo progressi nel trasformare le classi-involucro, in vere comunità di studenti che apprendono. 2. LA GESTIONE DEI CONTESTI APPRENDITIVI Importante è anche capire come dovrebbero essere gestiti i contesti di apprendimento da un punto di vista psicopedagogico. Anzitutto, è necessario fare in modo che si possa confrontare con problemi reali così da consentire una sempre maggiore padronanza dei processi di apprendimento. Contesti simili diventano ambienti ricchi pe l’apprendimento attivo. BROWN E CAMPIONE hanno o notato che per rendere più efficace un ambiente di apprendimento è necessario che questo favorisca nel soggetto la comprensione dei processi cognitivi attivati (metacognizione). Gli studiosi hanno individuato 3 condizioni-chiave per facilitare gli obiettivi apprenditivi: - L’attività di ricerca= supportata da lezioni introduttive; - Condivisine di informazioni= tecnica jigsaw e tecnica esperienza incrociata; - Compiti adeguati= obbedisce al principio della discrepanza ottimale secondo cui bisogna sempre impegnare l’alunno in compiti sufficientemente avanzati rispetto al proprio livello cognitivo, così da stimolarlo ad un ulteriore sviluppo, ma occorre fare attenzione a non eccedere, pena un blocco apprenditivo. La tecnica del COOPERATIVE LEARNING orienta le nuove prassi verso un processo di crescita collettiva che nasce nelle relazioni tra i soggetti che hanno in comune un obiettivo. Questa tecnica non vuole essere solo un metodo di insegnamento scolastico, ma un metodo di strutturazione di un ambiente di apprendimento in cui coloro i quali sono al suo interno trasformano ogni attività di apprendimento in un processo di problem solving di gruppo, conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede l’aiuto di tutti. Quindi i soggetti coinvolti sviluppano determinate abilità per mantenere un livello di cooperazione qualitativamente alto. In un contesto simile, l’insegnante perde il suo ruolo di punto di riferimento e unica fonte di apprendimento degli studenti, e assume, invece, il ruolo di esperto nella costituzione e gestione dei gruppi. La valutazione, inoltre, diventa un’autovalutazione poiché gli studenti individuando delle defaillance di qualcuno di loro, interverranno direttamente sul lavoro svolto per migliorarlo. La classe è un contesto organizzativo sociale, che, però, azzera la variabile sociale\collaborativa considerandola un elemento di disturbo. In tale contesto occorrerebbe inserire delle attività laboratoriali per stimolare quelle qualità, abilità che ogni studente possiede. Secondo DE BARTOLOMEIS il laboratorio è fattibile solo se si includono metodi tali da modificare gli obiettivi, le motivazioni, la scelta dei percorsi. Il laboratorio va considerato come luogo di produzione culturale con i mezzi della ricerca. Esistono sostanziali differenze tra un metodo verticistico di insegnamento e un metodo democratico-partecipativo. Nel primo, il docente impone, con l’autorità del suo status, determinate attività. Nel secondo, il docente, invece, è un esperto: cioè uno sperimentatore che in situazioni cooperative è capace di aggiustare il tiro in base ai problemi che si presentano, scambia le proprie idee mettendosi al pari di un alunno. Perché la didattica si svolga nell’ottica del laboratorio sono necessarie alcune condizioni: - Il docente deve avere capacità progettuali-manageriali; - Il docente deve avere la capacità di attuare strategie di insegnamento\ apprendimento individualizzate per studenti dal livello misto; l’attività di laboratorio non va considerata né come parte sostitutiva né come parte aggiuntiva delle programmazioni relative alle singole classi, quindi: - Il laboratorio è il luogo di integrazione dei diversi contenuti; - Il laboratorio è occasione di sviluppo della disciplina coi metodi della ricerca; - L’organizzazione di un sistema laboratoriale richiede flessibilità di spazi e tempi scolastici; - Il laboratorio è un metodo di lavoro scolastico che si abitua alla riflessione. - Il laboratorio è pratica comune a tutti gli insegnanti.
3. APPRENDIMENTO E COMUNITA’ DI PRATICHE
Prediligere metodi di apprendimento che non tengono in considerazione l’educando come persona in crescita (che quindi necessita di un’educazione integrale) vuol dire escludere la partecipazione, la scoperta, la ricerca. Le linee-guida educative vanno rintracciate nel passaggio da una scuola sinottico-razionale a una più partecipativa in cui gli studenti sono protagonisti dell’apprendimento. L’apprendimento va analizzato non solo in base alle attività didattiche, ma anche in base ai fattori culturali e sociali. Gli studi condotti in antropologia cognitiva hanno sottolineato un nuovo tipo di apprendimento chiamato “culturale-situato”. Secondo questo approccio la scuola dovrebbe ripensarsi, acquisendo una nuova immagine di sé orientata verso la creazione di setting formativi adeguati piuttosto che dirigersi verso formule ormai obsolete. Il COSTRUTTIVISMO propone un sistema che da magistrocentrico (= l’alunno è insegnato, è formato, è modellato dall’esterno, per cui si dice che nei processi di apprendimento l’alunno è passivo e si parla quindi di scuola passiva. È questa la concezione della magistrogentrica) diviene puerocentrico (= in pedagogia ogni teoria che ponga il fanciullo al centro del rapporto educativo e lo consideri quindi nella sua spontaneità, libertà, autonomia, espressività creativa). Questo approccio si propone di mettere al centro gli allievi, i loro bisogni e le loro risorse. Una delle tecniche usate è l’apprendistato cognitivo, che permette all’apprendista di costruire la propria competenza. Le interazioni tra apprendisti ed esperti consentono a colui che deve imparare di non ricevere conoscenze astratte ma di esercitarsi a comportarsi come membro di una comunità. Questo modello è noto come LPP (partecipazione periferica legittimata). *guarda sopra Il costrutto di comunità di pratiche diviene comunità di allievi, ovvero un contesto in cui tutti sono apprendisti e tutti sono “scienziati”. La comunità di allievi si fonda sul senso di comunità che indica il rapporto tra individuo e comunità; tutto ciò lega le persone tra loro e il territorio che condividono. Il senso di comunità è un sentimento che si basa sulla fiducia e l’appartenenza reciproca dei membri e si fonda: - Sul senso di appartenenza che prevede simboli, confini, sicurezza emotiva; - Sull’influenza che si ha sul destino della struttura; - Sulla soddisfazione dei bisogni che avviene tramite scambio di risorse; - Sulla connessione emotiva condivisa che include valori, credenze e aspettative comuni. Il setting educativo deve essere pensato e gestito in modo da poter definire delle strategie atte a formare il soggetto come sistema auto-poietico, dunque, come sistema autonomo. All’interno delle comunità di pratiche, ogni soggettività può acquisire nuove conoscenze, rielaborare le proprie esperienze passate. Le modalità relazionali dentro le comunità di pratiche (cdp) portano da una modalità conflittuale ad una modalità consensuale di lavoro in cui non esistono differenze di tipo gerarchico. L’intreccio delle soggettività nelle CDP porta al confronto, alla ricerca, da quell’intelligenza inattiva che legge dentro le cose, che vuole conoscerne l’essenza concettuale a quella dinamica, preposta all’azione. Con Eraclito il nous, vale a dire l’essenza concettuale, l’intelligenza inattiva e contemplativa, quella che conosce le cose nella loro essenza, può essere attualizzato nella letteratura psicopedagogica. Eraclito del suo pensiero ha una conoscenza riflessiva. L’APPRENDIMENTO RIFLESSIVO è un tipo di apprendimento più profondo, caratterizzato dall’interazione di capire il materiale e di ricercarne il senso. Se il nous può essere attualizzato con l’apprendimento riflessivo, la Metis, cioè l’intelligenza attiva ed esecutrice, preposta all’azione, può essere attualizzato con l’apprendimento esperienziale. La Metis non è un pensiero metodico, essa è pratica, è flessibile, imprevedibile, è intenzionale. L’APPRENDIMENTO ESPERIENZIALE può avere diverse interpretazioni: secondo McGill, Warner e Weil l’apprendimento esperienziale è rintracciabile nei 4 “villaggi” categorizzati dagli autori Il primo villaggi è relativo alla valutazione sull’apprendimento proveniente dalle esperienze di vita; il secondo villaggio considera l’apprendimento esperienziale come per produrre bei cambiamenti alle strutture; il terzo villaggio enfatizza la crescita e lo sviluppo della comunità, il cambiamento sociale; il quarto villaggio è relativo allo sviluppo personale. L’apprendimento esperienziale è un particolare modo di usare la Metis. Gli attori sociali sono ora apprendisti, ora scienziati, ora insegnanti: la classe diventa una vera e propria comunità, dove tutti hanno un ruolo e si scambiano compiti e responsabilità. Secondo il modello di Kolb, l’approccio degli studenti dovrebbe essere profondo e non superficiale poiché l’azione di un singolo membro della comunità scolastica attiva un movimento a spirale che risulta nella situazione presente per poi comprendere il caso particolare e infine, quando lo studente ha afferrato il concetto, potrà applicarlo ad una nuova condizione di apprendimento. Secondo Dewey, l’apprendimento ha due sensi: uno passivo e l’altro attivo. Quello passivo sottolinea che l’uomo sottostà alle condizioni dell’esperienza senza poterla modificare; quello attivo interagisce con quel che stiamo sperimentando ed è presente la possibilità di un cambiamento. L’esperienza, per essere educativa, DEVE restituire cambiamento. L’apprendimento è stato considerato da prospettive connessionistiche, neo- comportamentistiche, cognitivistiche, gestaltistiche. Per l’apprendimento, una linfa vitale proviene dal costruttivismo che considera il soggetto come elemento attivo della propria autocostruzione. Vygotskj ci ha fornito delle indicazioni per lo sviluppo dell’apprendimento che risultano ancora attuali. Lo studioso considera lo sviluppo cognitivo fondato su due matrici: una biologica, che agisce spontaneamente sui processi psichici di base, ed una culturale, che accresce i processi umani attraverso l’interazione del soggetto con i propri strumenti culturali, psicologici e attraverso il rapporto sociale. per Vygotskj tra animali e uomo c’è un grande salto qualitativo, poiché solo l’uomo può produrre dei sistemi simbolici che si sviluppano grazie all’interazione culturale e sociale. Uno degli esempi tipici dello studioso è l’ASINO DI BURIDANO: di fronte a due sacchi di fieno uguali, l’asino non sa scegliere e muore di denutrizione. I due stimoli sono uguali, ma di direzione contraria e il comportamento dell’asino viene frenato. Un uomo, invece, potrebbe lanciare una monetina e ciò rappresenta la creazione di uno stimolo di cui usufruisce (per cui è un mezzo). L’apprendimento è mediato da sistemi simbolici e da determinate forme di esperienza come l’esperienza storica che può essere trasmessa culturalmente, l’esperienza sociale che permette di sfruttare le esperienze degli altri, l’esperienza duplicata che lega l’esperienza dell’azione concreta alla loro rappresentazione mentale. Tutto ciò determina una rivoluzione nel campo psicopedagogico. La realizzazione di una scuola come CDP prevede che la conoscenza vada distribuita e integrata, considera valido il coinvolgimento di tutti gli studenti. L’uso di zone di sviluppo prossimale (ZSP) – cioè la distanza tra il livello attuale di sviluppo e quello potenziale che può essere raggiunto tramite l’aiuto di terzi – permette di diventare se stessi attraverso gli altri. L’apprendimento è quindi prima sociale e solo dopo diventa individuale. Occorre però che vi siano altri requisiti come il clima positivo. Il clima positivo serve per creare le condizioni per affrontare quelle sfide cognitive che, se portate a termine efficacemente, innalzano l’autostima pervenendo ad un apprendimento socializzato; viceversa, se vengono portate a termine negativamente, si sviluppano atteggiamenti di impotenza appresa (autosvalutazione, demotivazione). Un metodo didattico psicopedagogicamente impostato, prevede che, quando le attività diventano socializzate, attraverso la consapevolezza metacognitiva diventano, infine, competenze individuali. Sinteticamente, è più utile e importante agire in modo tale da far sì che gli studenti abbiano una testa ben fatta, piuttosto che una testa esclusivamente piena. 4.LE RISORSE APPRENDITIVE Se la motivazione può essere considerata, in senso, generale, come una spinta per raggiungere l’obiettivo, lo stesso non può dirsi della motivazione scolastica. Una scuola che voglia configurarsi come CDP deve fondare i metodi didattici sull’I CARE, cioè prendersi cura. La più recente letteratura psicopedagogica sulla motivazione ha sottolineato non solo gli aspetti socio-cognitivi, ma anche quelli affettivo- emotivi. Da un punto di vista socio-cognitivo, la motivazione sembra essere un’abilità innata, stabilita geneticamente. Tali abilità possono comunque essere sostenute o inibite dall’ambiente. La predisposizione innata di alcune abilità, unita alla possibilità di svilupparle nel tempo dà origine a delle abilità specifiche chiamate EXPERTISE. Inoltre, per spiegare la differenza tra le prestazioni degli studenti esistono le strategie, queste sono delle procedure consapevoli che hanno specifici scopi come l’apprendimento. L’ottimizzazione dell’uso delle strategie sta nel poterle automatizzare, così che non vengano percepite inutili dallo studente. La motivazione è connessa a tutti questi livelli appena citati. La MOTIVAZIONE è il motore dell’apprendimento. Emozione e motivazione dipendono l’una dall’altra, ne risulta che aspetti cognitivi ed emotivi interagiscono tra loro. Il successo o l’insuccesso che deriva dal tentativo di raggiungere un obiettivo, attiva una serie di emozioni che sono positive nel caso di una riuscita, e negative nel caso contrario. Maslow evidenzia la gratificazione dei bisogni. La sua teoria motivazionale, rappresentata da una forma piramidale gerarchica, ci permette di capire come l’individuo sia motivato nella sua interessa e non solo in una parte di sé. Una volta soddisfatti i bisogni fisiologici primari (sete, fame), emerge il bisogno di sicurezza, che, con qualche differenza, funziona allo stesso modo dei bisogni fisiologici. Una volta soddisfatti entrambi i bisogni, affiora il bisogno di affetto, di appartenenza; a seguire, viene l’esigenza di autostima e della stima degli altri; infine, si presenta il bisogno di autorealizzazione. L’esistenza di ogni soggetto è piena di emozioni, relazioni e ogni volta che qualcosa ostacola la soddisfazione di un bisogno l’individuo si attiva per ripristinare il proprio equilibrio. Ma l’impianto motivazionale non può essere legato solo al mantenimento del proprio equilibrio. Una scuola tradizionale, per promuovere la motivazione, userà castighi e premi; tali metodi provengono dal comportamentismo che considerava la motivazione come una risposta ad uno stimolo esterno. La motivazione estrinseca si basa proprio sulla possibilità di usare il rinforzo: il rinforzo positivo è un premio, mentre quello negativo si manifesta oggi con la negazione di vantaggi, premi, riconoscimenti. Il RINFORZO è sicuramente utile in campo scolastico, ma non deve essere disconfermato, deve essere specifico, contingente e credibile. L’assenza del rinforzo, anche temporanea, produce una riduzione della motivazione. Per gli etologi dietro le motivazioni ci sono gli istinti, visti come una fusione tra componenti innate e apprese. La motivazione è molto più complessa e non può essere ridotta alla soddisfazione degli istinti e dei bisogni primari. Secondo Bruner, per promuovere l’apprendimento è necessario appagare i bisogni più profondi, quelli interiori. Secondo l’autore la motivazione è sia estrinseca che intrinseca. Di quest’ultima ne mostra le forme: la reciprocità, l’identificazione, la competenza e la curiosità. A proposito di curiosità, Berlyne ha distino la curiosità percettiva che si riferisce a caratteristiche di sorpresa, novità che creano dubbio e che creano un’attività esploratoria volta a ridurre questo stato (la motivazione ad apprendere risponde quindi al bisogno di avere nuove informazioni per oltrepassare l’incertezza); secondo lo studioso esiste anche una curiosità epistemica che si riferisce alla tensione generata da un conflitto concettuale per la presenza di informazioni parziali, questo innesca un’attività intenzionale volta all’ottenimento di informazioni per risolvere il problema. Perché l’apprendimento sia fluido è necessario che la curiosità diventi interesse. Ciò che manca è proprio la considerazione dell’interesse degli studenti. Utile, a tal proposito, è il richiamo all’apprendimento significativo di Ausubel secondo cui il contenuto da apprendere non è prestabilito, ma è scoperto dallo studente prima ancora di assegnargli un posto significativo nella sua struttura cognitiva. L’apprendimento prevede due stadi: il primo è relativo al modo in cui l’informazione giunge all’allievo, il secondo al modo in cui lo inserisce nel suo sistema cognitivo. Ausubel sostiene che nel primo stadio esiste sia la modalità di ricezione, in cui l’informazione viene semplicemente immagazzinata, sia la modalità per scoperta, cioè quando l’apprendimento è frutto di una ricerca autonoma del soggetto. Nel secondo stadio, l’apprendimento avviene in modo meccanico oppure in modo significativo, in quest’ultimo caso il nuovo contenuto simbolico si confronta con altri simboli già posseduti. L’interesse, inoltre, da situazionale può diventare personale. Tra gli studi più importanti troviamo quelli della Harter la quale ha introdotto il concetto di sfida ottimale. Tale sfida rappresenta per il soggetto la possibilità di mostrarsi competente davanti a un compito che non deve essere né banale né troppo difficile, così da non demotivare l’allievo e promuovere forme di motivazione intrinseca. L’aspetto maggiormente analizzato dalla psicologia motivazionale riguarda la motivazione alla riuscita, questa viene definita come l’intento di perfezionare o mantenere forte la propria abilità in tutte le attività in cui è ritenuto vincolante uno standard di valore. Secondo il modello delle scelte a rischio, la tendenza al successo conduce alla volontà di affrontare i compiti, mentre la tendenza ad evitare il fallimento porta ad un atteggiamento di fuga davanti alle situazioni che si presentano. Le ripercussioni del successo o dell’insuccesso trovano spiegazione nelle varie cause che li possono generare. Un fallimento viene percepito diversamente a seconda che venga attribuito ad una mancanza di capacità o a sfortuna o a elevata difficoltà del compito. Heider ha definito tale modello come di attribuzioni causali ingenue che sono degli schemi cognitivi per interpretare la causa del proprio comportamento e di quello altrui. Heider distingue tra fattori personali (capacità, impegno) dai fattori ambientali. Gli effetti prodotti si riconducono ad una maggiore gratificazione se il successo è attribuito a causa interne. Questi effetti possono essere ulteriormente distinti a seconda che le attribuzioni siano relative a comportamenti propri o altrui. L’errore fondamentale di attribuzione è la tendenza di scegliere cause interne per il successo e cause esterne per i fallimenti. Siamo dunque più portati a pensare di riuscire in qualcosa perché siamo bravi e di non riuscirci perché siamo sfortunati. Al contrario pensiamo che gli altri riescono perché il compito è facile e non riescono perché non si impegnano. Un altro aspetto da considerare è l’orientamento degli studenti verso i compiti. Esistono delle differenze importanti tra gli studenti che mirano alla prestazione e quelli che mirano alla padronanza. Nel primo caso lo studente cerca di ottenere valutazioni positive dagli altri, nel secondo cerca di acquisire delle strategie efficaci per padroneggiare il compito. Nelle cdp, impostare degli apprendimenti che vogliano incentivare le attività stesse piuttosto che dare delle ricompense, significa proporre agli studenti delle forme motivazionali auto-finalizzate che assorbono l’individuo in modo piacevole. Questa forma motivazionale viene definita flow e determina un incremento delle proprie capacità. I processi motivazionali esposti fin qui appartengono ad un modello definito “Rubicone”. Lo start dei processi motivazionali è dato da una fonte che brulica di desideri, solo una piccola parte di quelli che vengono espressi raggiungono la fase della motivazione; successivamente il desiderio viene valutato per la sua desiderabilità e per la sua ipotetica realizzazione. Un individuo valuta quindi se ciò che desidera può avvalersi senza il suo intervento e considera le varie conseguenze. In questa fase si analizzano le conseguenze indesiderate. Il desiderio diventa poi intenzione, nel momento in cui il soggetto capisce che è più forte la mancata concretizzazione della soddisfazione del desiderio che non gli aspetti negativi. A questo punto il dado è tratto, il Rubicone è stato attraversato, il soggetto assume strategie di controllo in cui seleziona le informazioni per realizzare il desiderio e scarta quelle che possono far vacillare la decisione presa. Tutti i processi prendono la direzione di ciò che si è deciso di fare. Al termine dell’azione, si torna nella fase motivazionale, e da qui il soggetto valuta le fasi precedenti se il desiderio è stato soddisfatto, nel caso di fallimento invece si valutano le cause che hanno ostacolato il successo. In sostanza, i processi che precedono la decisione sono di carattere motivazionale, quelli che la seguono di natura volitiva. Il funzionamento psicosociale dell’essere umano è determinato da ciò che Bandura chiama meccanismi di agentività che riguardano i componenti compiuti intenzionalmente. Tra questi meccanismi il più forte è il senso di autoefficacia che corrisponde alle convinzioni sulle proprie capacità di organizzare le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati. Per configurarsi come cdp, la scuola deve avere gli obiettivi di far apprendere agli alunni le modalità di autoregolazione e di autoistruzione. Obiettivi che si pone anche il cooperative learning. Lo stesso Bandura evidenzia come il senso di autoefficacia sia maggiore in un sistema cooperativo che non in uno competitivo. Gli studenti si percepiscono più capaci, più meritevoli. In questo caso si parlerà di autoefficacia regolatoria che contribuisce all’apprendimento. Usare la teoria dell’autoefficacia in ambito scolastico vuol dire fare un primo passo verso il cambiamento. Individuare le modalità attraverso cui l’autoefficacia può essere generata o incrementata è necessario per fornire agli studenti quelle risorse cognitive, affettive e comportamentali per realizzare al meglio le loro potenzialità. Bandura identifica 4 fonti di informazione per la costruzione dell’efficacia: - le esperienze dirette di gestione efficace (che ci indicano le nostre capacità); - le esperienze vicarie che alterano le convinzioni di efficacia attraverso il confronto con le prestazioni altrui; - la persuasione verbale (e altri tipi di influenza sociale), che permettono di possedere diverse capacità; - gli stati fisiologici ed affettivi, grazie a cui le persone valutano la loro forza, vulnerabilità al disfunzionamento. Le esperienze dirette sono le fondamenta del senso di autoefficacia. I successi aumentano la fiducia nella propria efficacia, mentre gli insuccessi le fanno diminuire. Le esperienze vicarie, grazie al confronto sociale con persone a noi simili, ci permettono di comprendere quali siano le nostre capacità; osservando le persone che ottengono determinati risultati ci si convince che si possono migliorare le proprie prestazioni. Se i modelli sono percepiti più simili a noi, i loro successi saranno più convincenti. La persuasione verbale è molto utile per fortificare nell’interlocutore la convinzione di avere determinate capacità per raggiungere un obiettivo. Infine, la possibilità di migliorare le prestazioni fisiche ed emotive (quindi anche quelle umorali) aumenta l’efficacia. L’autoefficacia possiede caratteristiche precise quali la generalità, la forza e il livello. Pajares sostiene che l’autoefficacia comprende 3 aspetti differenti: 1) la valutazione del proprio livello di abilità, che si riferisce alla percezione delle competenze personali che si hanno per affrontare un certo compito; 2) le aspettative di riuscita che riguardano la valutazione della possibilità di avere successo; 3) l’importanza assegnata al compito ed alla situazione, quindi, al grado in cui questa può portare al compimento degli obiettivi preposti. Se le tre componenti sono positive si avrà una buona efficacia, se negative sarà bassa, se appaiono discrepanti risultano conflittuali. L’elemento fondamentale è, come sostiene Bandura, l’esercizio del controllo, cioè sentire di avere la capacità per affrontare un determinato compito che in caso di alta autoefficacia condurrà a buone prestazioni, nel caso di scarsa autoefficacia comporterà un insuccesso. Ecco perché il livello dell’autoefficacia percepita è legato alla conseguente prestazione. Gli effetti positivi dell’autoefficacia sull’apprendimento sono determinati da 4 meccanismi: - la quantità di impegno e persistenza; - la scelta del livello di difficoltà del compito; - gli obiettivi; - le capacità di autoregolazione dell’apprendimento e la conseguente ricerca di equilibrio tra aspetti strategici, motivazionali e prestazioni. L’AUTOSTIMA, diversamente dall’autoefficacia, si riferisce a giudizi di valore personale e non di capacità personali. Si può quindi essere inefficaci in un determinato campo, ma godere di buona autostima o, viceversa, essere efficaci in un ambito e non godere di buona autostima. Il concetto di sé è l’insieme degli elementi cui un individuo fa riferimento per descrive se stesso, l’autostima è quindi una valutazione sulle informazioni del concetto di sé. Il Sé viene distinto in sé percepito, che riguarda una visione oggettiva di sé stessi, ed un sé ideale, che riguarda l’immagine di ciò che aspiriamo ad essere. Secondo la psicoanalisi l’immagine di sé si costruisce già nei primi anni di vita e, spesso, dipende dalle relazioni (positive o negative) istaurate con le persone significative di accudimento. Dunque, le relazioni primarie sono importanti per la costruzione dell’autostima, da adulti diventa invece importante, ai fini dell’autostima, il confronto sociale. L’autostima può essere considerata anche attraverso ambiti specifici come quello sociale, familiare, scolastico e dell’immagine corporea. Il primo riguarda il grado di apprezzamento ricevuto dagli altri, il secondo ai vissuti sperimentati in famiglia, il terzo al valore che si ha come studenti, il quarto alla soddisfazione che si prova del proprio corpo le sue prestazioni. Il sé scolastico si determina per una serie di fattori, variabili comportamentali, cognitive, affettive, cc legate tra loro. La stessa personalità scolastica è soggetta a esperienze di carattere sociale data l’interazione col gruppo dei pari e con gli insegnanti. In termini psicopedagogici esistono 2 tipi di orientamento al potere: personalizzato e socializzato. Il primo mira egoisticamente al rafforzamento della posizione del soggetto; il secondo ha una tendenza inibitoria ed è posto al servizio degli altri (ad es. gli sforzi dei genitori e degli insegnanti). Il potere non ha, quindi, sempre un’accezione negativa. Oggi il termine potere è stato considerato affine al concetto di EMPOWERMENT, anche se questo termine si presta ad un’interpretazione più ampia. Per EMPOWERMENT si intende il processo di liberazione delle possibilità attraverso l’uso delle potenzialità degli scambi intersoggettivi degli attori organizzativi. Si tratta di una tecnica che fa leva sulle risorse già presenti per aumentare l’autodeterminazione, la capacità di agire ed operare delle scelte. Questo costrutto deriva dall’integrazione di 3 categorie: 1) la personalità, cioè la tendenza ad interpretare risultati ed effetti delle proprie azioni come determinati dai nostri comportamenti che non da fattori esterni; 2) cognitive, cioè il senso di autoefficacia; 3) autostima (di cui abbiamo già parlato). Per essere completo, l’empowerment deve essere considerato come la somma tra un costrutto psicologico ed uno oggettivo-ambientale. Il costrutto è stato elaborato da Rappaport ed approfondito da Zimmerman. Gli studiosi hanno analizzato la relazione tra empowerment e partecipazione alla vita comunitaria di appartenenza rilevando che nelle persone socialmente attive è presente una maggiore autoefficacia, una maggiore competenza; hanno, dunque, dedotto che l’empowerment può considerarsi come un legame tra la percezione di competenze personali e la volontà di agire nel territorio di appartenenza. L’empowerment può essere insegnato e appreso solo se la scuola diventa una cdp. Un setting inteso in tal modo considera valido il principio della LPP per poter costruire un empowerment collettivo e individuare tutti gli attori coinvolti. Il valore di questo costrutto risiede nel cambiamento, nella trasformazione, nelle occasioni da offrire agli studenti per poter scegliere tra tante occasioni (liberamente). 5. LA LEARNED HELPLESSNESS (IMPOTENZA APPRESA) (libro) L’impotenza appresa è un progressivo stato di rinuncia sul controllo della situazione ed è contraddistinto da un senso di incapacità (impotenza) acquisito in conseguenza a molti episodi di fallimento (appresa). L’impotenza appresa è applicabile a tutti i contesti di vita e non solo a quelli scolastici. Il concetto di impotenza appresa è stato scoperto da Seligman e Maier mentre analizzavano il rapporto tra paura e apprendimento. Gli studiosi hanno condotto esperimenti su cani: il primo cane è stato sottoposto ad una serie di scosse lievi, il secondo ad una serie di scosse lievi ma inevitabili, il terzo non è stato sottoposto ad alcuna scossa. Successivamente, hanno usato una gabbia con una barriera bassa attraverso cui il cane poteva uscire semplicemente saltando. Fanno così entrare nella gabbia il primo cane e poi il terzo e notano che entrambi, quando ricevono le scosse, reagiscono saltando la barriera. Infine, fanno entrare il secondo cane che, seppur sottoposto alle scosse, non reagisce saltando la barriera. Questo atteggiamento di rinuncia gli impedisce di capire che può evitare le scosse saltando la barriera. La conclusione degli studiosi è che solo gli eventi percepiti come inevitabili causano sottomissione: una volta appresa l’inefficacia delle proprie azioni la tendenza è quella di rinunciare ad agire. In un secondo momento, sono state estese le proprietà del mondo animale a quello umano, suddividendo gli individui in ottimisti e pessimisti. Gli ottimisti reagivano e agivano per controllare gli eventi, i pessimisti manifestavano impotenza. Ricerche successive cercarono di differenziare l’impotenza appresa umana da quella animale, riconducendo le differenze alle caratteristiche peculiari dell’essere umano. Emerse che negli individui gli eventi incontrollabili negativi producono più impotenza di quelli positivi, probabilmente perché gli animali non capiscono cosa è bene e cosa è male. Inoltre, sia gli uomini che gli animali capiscono cosa possono o non possono controllare, ma gli esseri umani riescono a dargli un significato in base al contesto in cui si trovano. L’approfondimento del senso di impotenza appresa negli esseri umani ha permesso di definirla come quel fenomeno in cui le persone che sperimentano la fallacia delle proprie azioni riguardo ad un determinato evento, imparano che qualunque cosa faranno in futuro verso quell’evento, non riusciranno comunque a produrre l’effetto desiderato. Ciò genera negli individui dei deficit: motivazioni, cognitivi ed emozionali. Per implementare un efficace programma di intervento, occorre prima valutare le condizioni che possono facilitare l’impotenza appresa. Queste condizioni sembrano riguardare variabili individuali e variabili contestuali. Per quel che riguarda i fattori individuali, si è notato che la percezione di non avere il controllo degli eventi pone gli studenti in una condizione psicologica caratterizzata da scarso senso di autoefficacia, attribuzione di causa dei fallimenti tendenzialmente interna, presenza di pensieri disfunzionali, strategie di coping disfunzionali, alti livelli di ansia da prestazione scolastica. Gli studenti con bassa autoefficacia sono quelli più demotivati, che si impegnano e che fuggono davanti alle difficoltà, sono inoltre più vulnerabili all’ansia scolastica. Gli studenti che sviluppano l’impotenza appresa rinunciano alla risoluzione del compito, si sentono responsabili delle loro incapacità e presentano sintomi di tipo depressivo che possono ostacolare gli apprendimenti futuri. Abramson mise in evidenza che il processo di attribuzione di causa degli eventi indirizza lo stato d’animo degli individui verso l’ottimismo o verso il pessimismo. Le attribuzioni di causa sembrano caratterizzate da: temporaneità, pervasività e personalizzazione. Se l’interpretazione degli eventi è stabile nel tempo ne deriva un senso di impotenza durevole, se è transitoria l’impotenza è momentanea. Se l’attribuzione di causa è globale l’impotenza si manifesta in diverse situazioni, se è specifica l’impotenza è circoscritta. Se il locus of control è interno, l’autoefficacia e l’autostima cadranno, se è esterno autoefficacia e autostima rimarranno intatte. Percepire di star controllando il proprio processo di apprendimento e capire le cause dei propri successi e fallimenti è fondamentale per gli studenti. I pensieri disfunzionali rappresentano i sistemi di valutazione degli eventi che possono sfociare in: - pretese eccessive su sé stessi; - pretese eccessive sugli altri; - pretese eccessive sulle condizioni di vita; - catastrofizzare\generalizzazione; - interpretazioni sbagliate; - svalutazione di sé stessi e degli altri. Le modalità di pensiero disfunzionale si attivano a causa delle strategie di coping. Il COPING è una specie di meccanismo di difesa che favorisce lo sviluppo di strategie cognitivo – comportamentali indispensabili nei processi di problem – solving e di regolazione delle emozioni. Per una buona regolazione emotiva e delle adeguate strategie di coping, alcune ricerche hanno sottolineato l’importanza dei genitori. Se i figli sono puniti o inibiti dai genitori, davanti a delle emozioni negativi avranno più possibilità di sperimentare emozioni come rabbia e vendetta davanti alle difficoltà. Alcuni studiosi hanno individuato 4 principali categorie di coping: - attivo: si concentra sull’attivazione di pensieri positivi e sulla capacità di risolvere il problema con azioni concrete; - di ricerca di aiuto: si risolve il problema chiedendo l’aiuto e il sostegno degli altri; - di distrazione, strategie rilassanti per affrontare il problema; - di fuga\evitamento, in cui si evita ogni contatto con la situazione problematica. Per quel che riguarda l’ansia da prestazione scolastica, nel contesto dell’impotenza appresa, l’ansia nasce dal timore del giudizio negativo e dal non sentirsi capaci di affrontare un determinato compito. Lo studente pensa che una scarsa performance possa fargli perdere la stima dei genitori e degli insegnanti. La sua ansia nasce da un desiderio di essere apprezzato; per cui la sua autostima dipende da una fonte esterna. Per quel che riguarda le variabili contestuali, possiamo individuare due contesti molto importanti: la famiglia e la scuola. Numerosi studi hanno dimostrato i legami tra cura dei figli e convinzioni di controllo esterno o interno degli eventi. I comportamenti dei genitori che sembrano incoraggiare un controllo interno degli eventi sono: - dare vita ad un ambiente familiare stimolante; - rispondere coerentemente al comportamento della prole; - valorizzare le esperienze di indipendenza dei figli già da piccoli; - riconoscere autonomia ai figli; - preservare la disciplina senza ricorrere alle punizioni; - dimostrare ai figli calore e sostegno emotivo. Il controllo esterno degli eventi, al contrario, può essere favorito da famiglie autoritarie, iperprotettive, poco stimolanti, non rispondenti alle esigenze dei figli e scarsamente coinvolti. Un altro filone di ricerca ha esaminato il ruolo delle convinzioni dei genitori riguardo al proprio ruolo di educatori per lo sviluppo dell’autoefficacia dei figli. Le ricerche hanno evidenziato che i genitori con alta autoefficacia educativa pensano di poter aiutare i figli ad affrontare i vari compiti evolutivi, si dedicano a loro; i genitori con bassa autoefficacia educativa, invece, non riescono ad aiutare i propri figli ad affrontare i compiti evolutivi. Occorre precisare che l’apprendimento avviene non solo tramite contatto diretto, ma anche attraverso l’apprendimento osservativo (cioè l’osservazione di altre persone). La scuola è molto importante ai fini dell’apprendimento e della socializzazione. Tra le variabili che influiscono sullo sviluppo dell’impotenza appresa è importantissimo il modo di porsi dell’insegnante per far comprendere agli studenti quali comportamenti sono desiderati e quali non lo sono. Ecco i comportamenti positivi con cui gli insegnanti possono stimolare gli studenti: - eseguire i compiti in modo appropriato; - rispondere adeguatamente alle richieste scolastiche; - gestire l’impulsività; - manifestare adeguate capacità di problem solving; - instaurare adeguate relazioni sociali con i compagni; - partecipare a tutte le attività della classe; - adattare il proprio comportamento alle diverse attività didattiche. Gli stili educativi dei docenti vanno distinti anche in base al controllo che questi esercitano sul processo di apprendimento degli alunni. Esistono atteggiamenti centrati su un eccessivo controllo e altri che favoriscono l’autonomia. I docenti che vogliono avere il controllo indirizzano l’apprendimento degli studenti alla qualità della prestazione. Gli insegnanti che prediligono l’autonomia incoraggiano i ragazzi a tenere alto l’interesse verso l’apprendimento. Quando gli insegnanti dimostrano agli alunni una partecipazione affettiva, gli alunni sviluppano un profondo senso di appartenenza alla classe e mostrano miglioramenti scolastici. Per gestire il comportamento di impotenza appresa, un approccio importante è quello cognitivo-comportamentale. Questo approccio mira a modificare i pensieri distorti, le emozioni disfunzionali e i comportamenti disadattivi del soggetto per ridurre e\o eliminare il sintomo. Vediamo adesso come valutare lo stato di impotenza appresa. Da quanto fino ad ora detto, le aree che devono essere sottoposte a valutazione sono: l’autoefficacia, l’attribuzione di causa degli eventi, i pensieri disfunzionali, le strategie di coping e l’ansia da prestazione. L’autoefficacia viene misurata tramite strumenti self-report, cioè dei resoconti personali forniti dai soggetti. Tra i più usati abbiamo il PSCS, la CAMI, il DPK, e la griglia di autovalutazione. La valutazione delle attribuzioni di causa degli eventi va effettuata usando degli strumenti che analizzano il luogo di controllo del comportamento che il soggetto usa di solito in diverse situazioni. Tra i più usati abbiamo il questionario di attribuzione, l’LCB, il questionario di autovalutazione dell’attribuzione di causa, il questionario sulle attribuzioni. Per la valutazione dei pensieri disfunzionali è reperibile il questionario dei pensieri disfunzionali. La valutazione delle strategie di coping può essere effettuata attraverso svariati strumenti come KIDCOPE, il coping scale for children, la child behavioral style scale, la scala di valutazione del coping, l’A-cope, il coping across situation questionnaire, lo stress and copyng inventory. Per misurare l’ansia da prestazione esistono molti metodi come l’intervista, il questionario e l’elaborato critto. Quest’ultimo è il metodo più semplice, ma purtroppo il soggetto potrebbe dare solo le informazioni che intende dare, non focalizzando l’attenzione sugli aspetti interessati. Sarebbe opportuno somministrare delle interviste sia in forma scritta che orale. La valutazione va sempre accompagnata dalla raccolta d’informazioni sull’eventuale presenza di dinamiche disfunzionali nel contesto familiare e scolastico. Il programma di intervento su una persona con impotenza appresa si propone di operare su 5 aree: - ristrutturazione cognitiva dei pensieri disfunzionali; - modifica delle attribuzioni di causa degli eventi; - riduzione dell’ansia da prestazione; - incremento dell’autoefficacia; - modifica delle strategie di coping. La ristrutturazione cognitiva è una tecnica basata sull’individuazione dei pensieri disfunzionali che prende spunto dal modello A-B-C- proposto da Ellis. In questo modello A indica l’evento attivante, B indica il sistema di convinzioni e C indica le conseguenze sul piano emotivo, fisico e comportamentale. Nel caso dell’impotenza appresa, A indica qualcosa che è successo nel contesto scolastico, B indica i pensieri disfunzionali e C indica lo stato di rassegnazione, demotivazione, ansia, depressione. La tecnica prevede che una volta individuati, A, B, C si passi alla fase D che indica l’obiettivo da raggiungere. Successivamente si fa esercitare lo studente all’individuazione di pensieri positivi volti a sostituire quelli negativi e all’individuazione dei vari modi per affrontare la situazione. Solo quando la ristrutturazione cognitiva produce esito positivo, si cerca di portare lo studente a riconoscere oggettivamente le cause dei propri successi o fallimenti. Il soggetto viene spinto a distinguere le cause controllabili da quelle incontrollabili. Una volta individuate le cause controllabili, si indirizzerà il soggetto all’identificazione di quelle più facilmente modificabili. Si può successivamente procedere con l’esporre il soggetto ad una serie di esperienze appositamente costruite per gestire alcune difficoltà. Le situazioni devono ovviamente essere costruite in modo che qualche volta il soggetto vada incontro al fallimento, ma l’insegnante dovrà incoraggiarlo a rispondere costruttivamente piuttosto che a rinunciare. L’intervento sull’autoefficacia consiste nel fornire al soggetto quegli strumenti pratici per affrontare quei compiti percepiti come inaccessibili. Il soggetto dovrà imparare a identificare gli ostacoli che gli impediscono di raggiungere determinati obiettivi, e dopo gli si forniranno delle linee guida da seguire per affrontare una situazione problematica. Infine, il soggetto viene istruito ad auto-monitorare gli esiti delle scelte messe in atto effettuando autovalutazioni periodiche per verificare gli eventuali cambiamenti. L’intervento sull’ansia da prestazione scolastica mira, invece, all’apprendimento di tutta una serie di tecniche di rilassamento muscolare così da eliminare o ridurre le tensioni. Una volta che il soggetto avrà imparato a riconoscere l’ansa, gli si insegnerà ad affrontarla Il raggiungimento di questo obiettivo prevede3 fasi: 1) individuazioni di mete raggiungibili: in cui si identificano gli obiettivi realmente perseguibili per il soggetto ed organizzarle gerarchicamente dalla più semplice alla più complessa; 2) monitoraggio dei comportamenti conseguenti: il soggetto dovrà gradualmente affrontare le situazioni che suscitano meno ansia e poi quelle che determinano più ansia; 3) ripetizione delle risposte positive per consolidarle, le situazioni che creano più ansia dovranno essere rivissute più volte in modo tale da consolidare i comportamenti positivi. Genitori ed insegnanti vanno coinvolti nel programma di intervento perché solo in tal modo il training potrà andare a buon fine. Sia per insegnanti sia per genitori valgono alcuni suggerimenti come il non usare frasi negative riguardo la catastrofizzare\generalizzazione. Per i genitori è poi fondamentale acquisire alcune abilità per gestire al meglio i problemi dei figli, queste vengono racchiuse nel PARENT TRAINING e consiste nel lodare, compensare e prestare attenzione e nel rinforzamento differenziale. Il primo si riferisce alla capacità dei genitori di fornire ai propri figli degli stimoli positivi uniti a dimostrazioni concrete di affetto; il secondo si riferisce ad un metodo di gratificazione selettiva in un determinato intervallo di tempo; si può rinforzare o l’assenza del comportamento inadeguato o tutti i comportamenti positivi o tutte le condotte positive incompatibili con il comportamento indesiderato. Per quanto riguarda l’intervento sui docenti, dovrebbero seguire dei corsi di formazione in cui si promuovono alcune competenze come il prestare attenzione al processo di apprendimento e non ai risultati, proporre compiti organizzati in modo gerarchico, stabilire con l’allievo una buona relazione affettiva, rendere prevedibili le situazioni, rinforzare le prestazioni positive, evitare di prestare attenzione allo stato ansioso, evitare atteggiamenti punitivi. Inoltre, i docenti dovrebbero eliminare le situazioni che creano difficoltà all’alunno e dotarlo di abilità utili ad affrontare le problematiche emotive. Per farlo, i docenti possono ricorrere al tutoring e all’apprendimento cooperativo. Il TUTORING consiste nel tentativo di un alunno di insegnare ad un altro alunno. Le condizioni fondamentali del tutoring sono l’interscambio tra partner con competenze diverse (se uno è bravo in un ambito in cui l’altro è carente e viceversa, il tutoring aiuta a compensare le carenze l’uno dell’altro). L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO è un metodo d’insegnamento a mediazione sociale in cui l’origine dell’apprendimento sono soprattutto gli allievi. Con questo si intende dire che gli studenti collaborando insieme stabiliscono il ritmo di lavoro, si aiutano vicendevolmente, si spronano, si correggono; sono, in definitiva, corresponsabili del loro apprendimento. 6. IL RIFIUTO SCOLASTICO Il rifiuto scolastico è un disturbo del comportamento che richiede una valutazione diagnostica e un intervento multimodale che coinvolga i vari contesti di vita del soggetto. Pertanto l’identificazione precoce delle avvisaglie del rifiuto scolastico risulta importante. Il rifiuto scolastico può essere definito come quella condotta messa in atto da studenti che non hanno intenzione di frequentare la scuola e\o che hanno difficoltà a restare in classe per un giorno intero. Oltre al termine rifiuto scolastico, si usa anche il termine COMPORTAMENTO DI RIFIUTO SCOLARE, perché risulta più consono per indicare sia l’incapacità di mantenere un funzionamento appropriato all’età rispetto alla frequenza scolastica, sia l’assenza di adeguate strategie di coping che servono a risolvere situazioni problematiche in ambito scolastico. Secondo alcuni studiosi il rifiuto scolastico si manifesta in 3 peridi del percorso formativo: 1) tra i 3 e i 7 anni, periodo dell’ingresso a scuola; 2) tra i 10 e i 13 anni, periodo di passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria; 3) tra i 14 e i 17 anni, periodo in cui il comportamento di rifiuto può essere sintomo di altri disturbi. Il comportamento di rifiuto scolare si manifesta attraverso condotte internalizzanti ed esternalizzanti. Tra le prime troviamo l’ansia sociale e generalizzata, l’isolamento sociale, la depressione, la paura, sintomi fisici; tra le seconde troviamo rabbia, collera verso gli adulti che cercano di convincere il soggetto ad andare a scuola, ricerca di rassicurazione, mancanza di collaborazione, cc. Queste condotte possono presentarsi anche in contemporanea. Il comportamento di rifiuto scolare viene messo in atto per determinati obiettivi, quali: evitare stimoli che provocano emozioni negative, fuggire da situazioni sociali valutative, ricevere attenzione, ottenere gratificazioni concrete al di fuori della scuola. Non sembrano, invece, esserci differenze di genere nell’assunzione di tale comportamento. Il consolidamento del comportamento di rifiuto ha notevoli ripercussioni a breve e a lungo termine. A breve termine, gli studenti possono diventare assenteisti, imbattersi in frequenti episodi di insuccessi, avere problemi di interazione psico-sociale, difficoltà a proseguire gli studi, assunzione di atteggiamenti depressivi, cc. Il rifiuto si manifesta in modo evidente quando gli studenti non vanno più a scuola o fanno di tutto per non andarci. Inizialmente, il rifiuto si rileva attraverso dei sintomi corporei che indicano l’incapacità del soggetto di affrontare una situazione a cui però non può sottarsi. I sintomi sono comunque percepiti realmente e scompaiono quando ci si allontana dalla fonte di stress, in questo caso la scuola. Il rifiuto si manifesta anche con l’isolamento sociale e, quindi, con la mancanza di amici all’interno della classe. Alcuni, manifestano il rifiuto addirittura smettendo di parlare. Esistono altri modi di manifestare il rifiuto, ad esempio, adottando dei comportamenti particolarmente eccitati che vogliono attirare su di sé l’attenzione della classe. Questo comportamento nasce dalla paura del soggetto di essere ignorato e per questo cerca di farsi notare in tutti i modi. Un’ultima espressione del rifiuto scolastico è l’autolesionismo: i soggetti che lo praticano trovano scarico in tali comportamenti credendo di riuscire a tenere sotto controllo la tensione e la paura provenienti dal contesto scolastico. Poiché le persone non nascono con un innato rifiuto verso la scuola ma, piuttosto, lo acquisiscono, è essenziale individuare quei fattori di rischio individuali e contestuali che favoriscono l’insorgenza del rifiuto. Per quel che riguarda le variabili individuali, alcuni studiosi hanno sottolineato alcuni fattori cruciali per la manifestazione del rifiuto: quali ansia, autostima, processi di attribuzioni di causa degli eventi e la motivazione. L’ANSIA si manifesta in uno stato di inquietudine e disagio psicologico che può condizionarne la vita. L’ansia non va considerata come qualcosa di patologico, ma come un fattore emotivo. Le componenti somatiche sono talmente invalidanti da privare lo svolgimento di qualsiasi attività. Gli studenti che manifestano ansia sono convinti di essere incapaci, che i fallimenti sono da attribuire a sé stessi e i successi a cause esterne. Inoltre, per alcuni studenti il rifiuto scolastico è la conseguenza di livelli eccessivi di ansia dati dall’incapacità di fronteggiare i compiti scolastici, per altri, invece, l’ansia deriva dalla paura di separarsi dai genitori; in questo caso si parlerà di ansia da separazione. L’ANSIA DA SEPARAZIONE si può manifestare non solo tramite la riluttanza ad andare a scuola, ma anche attraverso il rifiuto di dormire da soli, disturbi psicomatici, avversità a stare soli in una stanza. Per ciò che riguarda l’AUTOSTIMA, individuiamo i soggetti con alta autostima che hanno una visione sana di sé stessi e soggetti con bassa autostima che si attribuiscono poche caratteristiche positive; questi ultimi, in caso di rifiuto scolastico, possono mostrare atteggiamenti artificiosi di fiducia in sé per dimostrare di essere all’altezza, oppure atteggiamenti di isolamento che nascono dal timore del contatto con gli altri. Le ATTRIBUZIONI sono fondamentali nella quotidianità perché determinano il controllo degli eventi, la capacità di riuscire a superare un problema, l’aumento o la diminuzione dell’autostima. Heider ha distinto le attribuzioni interne da quelle esterne, Weiner ha aggiunto la stabilità delle cause, differenziando tra cause stabili (es. l’abilità) e cause instabili (es. la fortuna); ha inoltre introdotto il CONCETTO DI CONTROLLABILITA’ O MENO DELLE CAUSE: ad esempio lo sforzo è controllabile, ma non la fortuna. Infine, la motivazione ad apprendere nasce dal bisogno di conoscere il mondo circostante e di aggiungere ingredienti alla propria esperienza. La motivazione è attivabile sia dall’interno (per una soddisfazione del proprio bisogno di conoscenza) sia dall’esterno (incitati da terzi). Per quel che riguarda le VARIABILI CONTESTUALI, alcuni studi hanno evidenziato come la qualità delle relazioni con i genitori possa predire i futuri esiti adattivi e disadattivi nel contesto scolastico. Una relazione disfunzionale tra genitori e figlio può produrre effetti sulla qualità della relazione che il soggetto instaura con l’insegnante. Questa relazione chiama in causa la TEORIA DELL’ATTACCAMENTO di Bowlby secondo cui la qualità della relazione genitore-bambino stabilisce la sicurezza d’attaccamento in base alla disponibilità della madre e determina i comportamenti relazioni futuri. Infatti, col passare del tempo, l’attaccamento alla madre si modifica e si estende ad altre figure esterne alla famiglia, fino a ridursi. Va precisato che la qualità del rapporto non dipende solo dalla madre, ma anche dalle caratteristiche del figlio (es. temperamento). Gli studi effettuati nel settore hanno dimostrato che le madri sensibili promuovono lo sviluppo di una relazione sicura, mentre le madri meno sensibili infondono insicurezza e ansia. Anche alcuni stili educativi adottati dai genitori (o parenting) possono portare alla manifestazione di comportanti di rifiuto. Le pratiche genitoriali che portano al rifiuto sono: genitori che mostrano scarso coinvolgimento verso i figli, genitori autoritari che ricorrono a urla e percosse, genitori che evitano ai figli di affrontare le difficoltà, genitori che usano le regole in base ai propri bisogni, genitori che svalutano e criticano, genitori che prestano attenzione ai figli sono quando questi ottengono ottimi risultati. Inoltre, il modo di porsi dei genitori verso la scuola può portare a manifestazioni di rifiuto. Da un lato vi sono i genitori che svalutano l’importanza formativa considerandola un obbligo (ipoinvestimento), dall’altro vi sono i genitori che orientano i figli verso un tipo ideale di studente senza considerare le sue reali possibilità (iperinvestimento). Tra le variabili contestuali troviamo anche la SCUOLA. L’ingresso a scuola, spesso, non è semplice sia per il distacco dei genitori che per le nuove aspettative. Tra i fattori che incidono positivamente sullo sviluppo emotivo del soggetto sono presenti lo stile comunicativo dell’insegnante e la presenza di un buon clima relazionale all’interno della classe. Un contesto in cui vengano meno queste condizioni può comportare notevoli disagi. In ambito pedagogico, quando si parla di stili educativi, ci si riferisce a quello democratico, autoritario e permissivo. Il primo è caratterizzato da un insegnante che da un lato manifesta comprensione per i propri allievi e, dall’altro, rifiuta con forza le condotte inadeguate; il secondo è caratterizzato da un forte senso di responsabilità per l’insegnante che, per questo, lascia poca autonomia decisionale agli studenti; il terzo è caratterizzato da una mancanza di autorevolezza dell’insegnante che rinuncia a porre regole agli studenti. Per creare un clima positivo lo stile educativo più funzionale è sicuramente quello democratico. Come per l’impotenza appresa, anche per il rifiuto l’approccio cognitivo-comportamentale è quello più funzionale per la risoluzione del problema. Per la valutazione del rifiuto, è necessario coinvolgere anche genitori ed insegnanti, oltre allo studente. Obiettivi della valutazione del rifiuto è rispondere a 3 domande: - qual è il comportamento problematico e quanto è grave? - Cosa favorisce il mantenimento del comportamento? - Qual è il miglior intervento da mettere in atto? Per rispondere alla prima domanda si possono somministrare delle interviste, delle valutazioni self-report e delle check-list. Le interviste, solitamente, si basano sull’osservazione clinica sistematica; tra queste abbiamo il DSM-IV child\parent. Tra le valutazioni self-report abbiamo il NASSQ, il CDI, l’RCMAS, l’FSSCR, il DLSS, il SASC-R, il MASC, l’YSR. Tra le check-list abbiamo il CBCL, il FES, il TRF, il CTRS. Infine, per rispondere al meglio alla prima domanda si dovrebbe effettuare un’osservazione diretta del comportamento del soggetto e delle attività mattutine della famiglia. Una volta individuato il problema, bisogna individuare le variabili che lo mantengono. Per raggiungere questo obiettivo, l’analisi funzionale risulta essere adeguate. L’obiettivo dell’analisi funzionale è quello di comprendere la struttura e la funzione di un dato comportamento per insegnare al soggetto delle alternative volte al raggiungimento dello scopo. L’analisi prevede due fasi: una descrittiva in cui si cerca di guidare genitori e figli a riflettere sulle possibili motivazioni del rifiuto, una sperimentale che osserva direttamente il comportamento del soggetto coinvolto e della famiglia in diverse circostanze. La valutazione, perché sia efficace, deve essere messa in atto anche durante, alla fine e dopo l’intervento, per poterne verificare la durata nel tempo. per sviluppare un efficace programma di intervento, occorre coinvolgere tutti gli attori della scena. Pertanto, secondo Filipello, bisogna intervenire: - Sul soggetto per potenziare i suoi punti di forza cognitivi ed emotivi; - Sui genitori per fargli conoscere dei comportamenti funzionali alla gestione dei sintomi emotivi e somatici e alla gestione dei comportamenti oppositivi; - Sugli insegnanti per dotarli di competenze utile per incrementare abilità relazionali adeguate a contrastare le condotte di rifiuo. un ulteriore intervento, proposto da Kearney e Albano è quello di evitare stimoli che provocano, nello studente con rifiuto, emozioni negative. Successivamente, si costruirà una gerarchia di situazioni associate all’ansia e all’evitamento pe poi procedere con la DESENSIBILIZZAZIONE SISTEMICA (DS). La DS è una tecnica che riduce la risposta fobica, questa si basa sul presupposto che alla presenza di uno stimolo ansiogeno compaia una risposta antagonista all’ansia, indebolendo il legame tra questo stimolo e l’ansia stessa. La DS si applica creando una lista di situazioni ansiogene e nell’organizzarle in ordine gerarchico, dalla meno ansiosa alla più ansiosa. Le principali fasi della DS sono: training di rilassamento muscolare, costruzione di una gerarchia di stimoli ansiogeni e abbinamento delle immagini ansiogene con lo stato di rilassamento. Se, invece, lo studente rifiuta la scuola per fuggire da situazioni sociali valutative, l’intervento deve iniziare con una spiegazione dei processi di ansia sociale; si costruisce poi una gerarchia di situazioni legate all’ansia e si aiuta il soggetto a sviluppare un piano per riconoscere i pensieri negativi per sostituirli con pensieri positivi; si procede poi con la TECNICA DEL ROLE-PLAYING (assunzione di un ruolo in una situazione immaginaria). Quando il soggetto rifiuta la scuola per avere attenzione dai genitori, l’intervento deve essere centrato sui genitori a cui viene proposto un corso di formazione per gestire il problema al meglio. Quando il bambino rifiuta la scuola per ottenere gratificazioni concrete al di fuori di essa è importante stilare un contratto educativo con tutti i membri della famiglia per individuare la soluzione a tutti congeniale. Alla famiglia, inoltre, si forniscono strategie di problem solving, per ridurre i comportamenti oppositivi. Per ciò che riguarda l’intervento sui genitori ed insegnanti, questi devono imparare a rispondere alle esigenze dei ragazzi di essere ascoltati, guidati e autonomi. Questo perché molti atteggiamenti di rifiuto nascono perché gli individui non si accettano per quel che sono, ma solo per le loro performance scolastiche. Saper ascoltare può portare alla creazione di un clima positivo. Genitori e insegnanti devono manifestare un ascolto di tipo attivo. Per quanto riguarda il bisogno dei ragazzi di essere guidati, è importante sottolineare che la mancanza di precise indicazioni su come affrontare determinati problemi può stare alla base di molti comportamenti inadeguati. A volte, però, il soggetto conosce i comportamenti adeguati ma non li mette in atto (si ribella) perché sono stati acquisiti in relazioni di tipo autoritario. Infine, i giovani vanno guidati senza, però, sfociare in rapporti di dipendenza verso gli adulti significativi. Le principali regole che un genitore o un insegnante deve seguire per promuovere il consolidamento di una nuova identità sono: - valorizzare le potenzialità di cambiamento; - guidare alle soluzioni autonome; - fare esercizi di autonomia. Gli adulti devono quindi favorire le esperienze di indipendenza pur assicurando il bisogno di poter contare su di loro.