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IL RUOLO DELLO PSICOLOGO

La legge n. 56 del 18 febbraio 1989 definisce che “la professione dello psicologo comprende l’uso degli
strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e
di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità”. Il
Codice Deontologico degli Psicologi Italiani (1989) specifica che lo psicologo è colui che promuove il
benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. Egli opera per migliorare la capacità della
persona di comprendere sé stessa e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace”
(art. 3).

L’attuale ruolo dello psicologo non può essere pienamente compreso se non all’interno dell’odierno
contesto sociale, culturale ed economico. Esso appare caratterizzato sempre più da un graduale processo di
“globalizzazione” che comporta una sempre maggiore interdipendenza delle economie, culture e politiche
nazionali, con un continuo flusso di scambi di informazioni su scala mondiale.

Nel campo collettivo, la nostra società si può sempre più definire come multiculturale. Sono nati nuovi
compiti lavorativi, ruoli e identità che rendono la società e l’economia molto più dinamica rispetto al
passato, con un forte tasso di incertezza e imprevedibilità. L’attuale ruolo dello psicologo si inserisce
dunque all’interno di questo contesto mutevole e dinamico.

Una professione – secondo Freidson (2001) – deve comprendere un sistema di conoscenze ufficialmente
riconosciuto, un programma formativo, un controllo sul mercato del lavoro, alcune forme esclusive di
prestazione e un riconoscimento sociale. Nell’attuale contesto sociale e lavorativo, in aggiunta a queste
caratteristiche, sono richieste allo psicologo anche alcune qualità specifiche.

Innanzitutto una spiccata flessibilità. Attualmente lo psicologo può occuparsi di psicopatologia ma non solo.
Altre importanti aree di intervento riguardano molteplici situazioni, personali e relazionali, che possono
essere fonte di sofferenza e disagio psicologico. Egli può essere chiamato ad accompagnare individui,
coppie, famiglie, organizzazioni in particolari momenti di difficoltà e fragilità. Può lavorare in molteplici
ambiti quali ad esempio scuola, aziende, ospedali, comunità, settori sportivi, residenze per anziani, studi
privati, consultori o tribunali. Si deve quindi formare, oggi più che mai, ad una certa flessibilità
occupazionale, resa possibile da competenze trasversali e dalla formazione continua, anche in settori
diversi.

In secondo luogo, lo psicologo odierno deve essere preparato a “lavorare in rete” cioè a mettere in
relazione conoscenze, competenze e punti di vista diversi con altre figure professionali. Lo psicologo è
sempre più spesso chiamato a cooperare all’interno di gruppi di lavoro multidisciplinari che affrontano da
diversi punti di vista situazioni complesse e non riconducibili a un solo aspetto. Secondo questa ottica
nessun professionista da solo può possedere una visione completa di una realtà complessa, e quindi è
necessario condividere diverse interpretazioni della realtà, scambiare informazioni e negoziare con altre
figure professionali possibili linee di azione.

Anche nel lavoro in rete, tuttavia, lo psicologo è chiamato a mantenere la sua specificità professionale e la
sua autonomia: egli possiede una cultura psicologica che ha personalmente rielaborato e che gli permette
una lettura articolata della realtà. Egli ha delle competenze proprie, definite anche dal codice deontologico,
che afferma: “Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di
intervento relative a processi psichici (relazionali, cognitivi, emotivi, comportamentali) basati
sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici” (art. 21). Sono proprie dello
psicologo tecniche quali l’intervista, il questionario, il focus group, i test, il colloquio, l’osservazione. Lo
specifico intervento dello psicologo, anche all’interno di un gruppo di lavoro, ne delinea l’identità e il ruolo,
nonché la sua autonomia, che, secondo il codice deontologico, egli è chiamato a preservare, soprattutto
nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici nonché della loro utilizzazione.

Un altro aspetto fondamentale e sempre più urgente nell’attuale esercizio della professione di psicologo è
quello della formazione permanente alla quale egli è tenuto. Essendo la scienza psicologica costantemente
in evoluzione, egli è chiamato ad arricchire in maniera costante le proprie conoscenze e competenze
professionali, al fine di operare in maniera sempre più competente per il benessere psicologico della
persona. Secondo il codice deontologico lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di
preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera (art.5).

Tenuto conto delle suddette considerazioni, poniamo ora il caso di uno psicologo che sia chiamato a
operare all’interno di una residenza per anziani. Egli dovrà possedere una salda preparazione nelle
discipline psicologiche, con particolare riguardo alle possibili fragilità legate alla terza e quarta età
(psicopatologia, patologie psichiatriche, psicologia del ciclo di vita). Dovrà possedere una certa flessibilità in
quanto il suo operato potrà svariare dal colloquio con gli ospiti, al sostegno dei parenti, al possibile uso di
test per la valutazione di funzioni cognitive. Dovrà certamente lavorare “in rete”, confrontandosi con la
figura del medico, dello psichiatra, del geriatra, degli infermieri, degli ASA, e partecipando a riunioni di
equipe multidisciplinare, redigendo, per la sua parte, il progetto di assistenza personalizzato per l’ospite
(PAI). Lo psicologo dovrà altresì preservare la propria autonomia professionale, valorizzando gli strumenti
propri del suo lavoro (per esempio colloqui e uso dei test). Sarà infine chiamato a una formazione
permanente sul tema della terza e della quarta età dal punto di vista psicologico, medico, culturale e
sociale.

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