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SEGNALI DISCORSIVI

1. Definizione

I segnali discorsivi (detti anche marcatori di discorso) sono


elementi linguistici (parole, espressioni, frasi), di natura
tipicamente pragmatica, diffusi in specie nella ➔ lingua parlata,
che, a partire dal significato originario, assumono ulteriori
funzioni nel discorso a seconda del contesto: sottolineano la
strutturazione del testo, connettono elementi nella frase e tra le
frasi, esplicitano la posizione dell’enunciato nella dimensione
interpersonale, evidenziano processi cognitivi in atto.

2. Caratteristiche generali

I segnali discorsivi costituiscono una classe non morfologica o


lessicale ma funzionale. Appartengono infatti a varie categorie:
congiunzioni (per es., ma), avverbi (per es., praticamente), forme
verbali (per es., diciamo, dai), clausole intere (per es., per così
dire).

Quelli che seguono sono esempi reali, tratti da conversazioni


quotidiane (1 e 2) e da Internet (3 e 4):

(1) ma non dire stupidaggini!

(2) praticamente sei un drago

(3) un filo invadente, diciamo

(4) l’occhio è per così dire l’evoluzione biologica di una lagrima

Caratteristica cruciale dei segnali discorsivi è la


multifunzionalità, che si presenta in due forme.

(a) PARADIGMATICA. Lo stesso segnale discorsivo può assumere funzioni


diverse, se non opposte, anche in base alla posizione,
all’intonazione, al volume di voce con cui è prodotto, e altri
elementi del cotesto e del contesto. Per es., diciamo in (5) segnala
incertezza e mitigazione, mentre in (6), lo stesso elemento,
caratterizzato da volume alto, posizione finale e pronome anaforico
aggiunto (-lo), segnala rafforzamento:

(5) si possono eh diciamo avere molte varianti

(6) ahah ti va riconosciuto questo merito ahah non è no diciamolo

(b) SINTAGMATICA. Uno specifico segnale discorsivo può, in un


enunciato parlato o scritto, portare più valori.

(a) I segnali discorsivi non contribuiscono in modo determinante al


valore informativo di quanto viene detto (cioè al contenuto
proposizionale). Talvolta essi possono essere cancellati, come
avviene nelle traduzioni, e come sarebbe in parte possibile negli
esempi (1-4), ma ciò sarebbe a scapito del valore pragmatico
complessivo. Infatti, dato che hanno un ruolo fondamentale dal punto
di vista pragmatico, cancellandoli si modificherebbe il valore
complessivo dell’enunciato: per es., si rafforzerebbe il contrasto in
(1) e lo si attenuerebbe in (3) e (4).

(b) Sono strettamente correlati alla situazione enunciativa, cioè al


momento in cui ci si trova nella conversazione; ciò vale soprattutto
per i segnali discorsivi usati nel parlato (i più frequenti). Tale
caratteristica risulta evidente dall’uso del presente dei verbi usati
come segnali discorsivi anche in enunciati riferiti a eventi passati,
come capisci in (7) in contrapposizione con il verbo che descrive
l’evento (potevo):

(7) capisci, non ne potevo più

(c) Spesso servono a indicare valori modali e a rivelare


atteggiamenti o stati psicologici dell’emittente (come stanchezza o
tensione), come in (8), tratto da un’intervista televisiva a un
sequestrato appena rilasciato (da Bazzanella 1995: 235):

(8) Più tardi, però, cioè, non so, il terzo giorno penso che qualche
mulo, mah anche lì, il mulo può andare bene non so per un’ora o due
al giorno, è impossibile poter andare, non so cinque o sei ore al
giorno

Quanto alle proprietà distribuzionali, i segnali discorsivi non hanno


una posizione fissa: possono trovarsi in posizione sia iniziale sia
mediana sia finale, modificando quindi a volte il proprio valore
pragmatico, come in (9) e (10), in cui guarda serve rispettivamente
per richiamare l’attenzione e per rinforzare l’enunciato

(9) guarda, non puoi sbagliare [dando un’indicazione stradale a un


amico]

(10) no, te lo meriti, guarda

Inoltre, i segnali discorsivi si ripetono spesso, non solo per via


della preferenza individuale per un elemento specifico, ma anche,
nello stesso enunciato, in forme diverse. Le forme riconosciute sono
le seguenti:

(a) cumuli: sequenze di due o più segnali discorsivi, ognuno con


funzione differente, come in (11), tratto da un programma radiofonico
(Bazzanella 2006: 455), in cui ma serve come presa di turno, e guardi
come richiesta di attenzione (tab. 1, I):

(11) ma guardi, io eh quello che posso dire è questo

(b) catene: sequenze di due o più segnali discorsivi che svolgono la


stessa funzione, normalmente come riempitivi (I, 2 in tab. 1), come
in (12), tratto da un’interrogazione d’esame (ibid.):

(12)
A: Mi parli dei neogrammatici!

B: Sì (–) dunque allora i neogrammatici cioè [silenzio].

3. Dimensioni sociolinguistiche

I segnali discorsivi possono variare secondo diverse dimensioni


sociolinguistiche.

(a) Età. I giovani usano spesso segnali discorsivi diversi da quelli


usati da altre fasce di età, e più velocemente mutevoli nel tempo. In
generale, i segnali discorsivi in funzione interazionale si
manifestano e tramontano abbastanza rapidamente; per es., i voglio
dire, frequenti un tempo, sono stati sostituiti da niente, e
successivamente da non esiste, dai (quest’ultimo frequente nei
giovani), caratterizzando usi generazionali diversi.

(b) Singolo individuo. Molto spesso un segnale discorsivo, usato come


riempitivo dalla parte del parlante (tab. 1, I) caratterizza una
persona, tanto che si può parlare di tic verbale: c’è chi ripete in
continuazione appunto, o diciamo, o insomma, o altro (per es., non so
in 8), senza neppure rendersene conto.

(c) Gruppo di appartenenza. Per es., capito? viene spesso usato dagli
insegnanti, sia come richiesta di attenzione che come segnale di
controllo della ricezione.

(d) Provenienza geografica. Per es., o basta là, evidenziato da


Umberto Eco:

(13) «Ma è in Inghilterra, è il cerchio magico di Stonehenge!! E che


altro?» «O basta là» disse Belbo. Solo un piemontese può capire
l’animo con cui si pronuncia questa espressione di educata
stupefazione. Nessuno dei suoi equivalenti in altra lingua o dialetto
(«non mi dica, dis donc, are you kidding?») può rendere il sovrano
senso di disinteresse, il fatalismo con cui essa riconferma
l’indefettibile persuasione che gli altri siano, e irrimediabilmente,
figli di una divinità maldestra (Umberto Eco, Il pendolo di Foucault,
Milano, Bompiani, 1988, p. 120).

(e) Mezzo usato, tipi di testo e di interazione. Gli usi


interazionali sono più frequenti nel parlato dialogico, quelli
metatestuali caratterizzano maggiormente lo scritto.

4. Una classificazione funzionale

Le difficoltà di classificazione dei segnali discorsivi derivano da


vari fattori: la varietà (sopra accennata) delle categorie cui
appartengono, l’alta multifunzionalità, la sensibilità e dipendenza
dal contesto, l’intersezione con altri fenomeni dai confini sfumati
(come modulatori, mitigatori, intensificatori, focalizzatori), che
vengono a volte considerati come classi separate, non incluse nei
segnali discorsivi, per alcuni usi specifici).
In una possibile classificazione dei segnali discorsivi si possono
distinguere tre loro macro-funzioni: interazionale, metatestuale,
cognitiva, ciascuna delle quali si articola in micro-funzioni.

Le funzioni interazionali sottolineano l’ancoraggio deittico


dell’enunciato al luogo, al tempo, alle persone relative
all’enunciazione, in particolare rispetto al parlante e
all’interlocutore, sottolineando la dimensione interattiva della
comunicazione e le sue funzioni.

Una funzione tipica dalla parte del parlante sarà quindi la presa di
turno (v. il ma nell’es. 11); simmetricamente, per l’interlocutore
sarà tipico l’uso di un segnale discorsivo per interrompere (v., in
tab. 1, rispettivamente I, 1a dalla parte del parlante e I, 1b dalla
parte dell’interlocutore). Tra i meccanismi di interruzione, oltre
allo stesso ma, spesso plurifunzionale, ricorrono: allora, scusa, un
attimo, insomma, ecc.

In (15) (da Bazzanella 1994: 157) si interrompe prendendo il turno


con cioè, che svolge anche la funzione di segnalare una
riformulazione (v. II, 3.1, in tab. 1) motivata dal ruolo di B, il
conduttore della trasmissione, che ripresenta al pubblico in altre
parole (peraltro forzandone il senso) il pensiero dell’ospite, A:

(15)

A: e oggi quello che io trovo grave è che abbiamo della gente con le
stellette (–) mi va benissimo curare i soldati (–) ma non avere delle
stellette sulle spalle! questo per me è è [sic] un tradimento di
grossi valori

B: cioè lei è contro qualunque prelato o prete o sacerdote che abbia


le stellette!

Ai riempitivi del parlante (per es., non so in 8) rispondono i


cosiddetti back-channels (per es., sì, davvero; I, 2b, in tab. 1),
che servono anche come conferma di attenzione (I, 3b, in tab. 1),
frequenti soprattutto al telefono per mantenere il contatto in
assenza di contesto di enunciazione comune.

I fatismi, dalla parte sia del parlante che dell’interlocutore (I, 4a


e I, 4b, in tab. 1), servono a sottolineare l’aspetto di coesione
sociale della comunicazione, evidenziando a volte (nel caso del
parlante), con sai, come sai, sapete, la conoscenza condivisa (o
presunta tale), come in (16), tratto da una conversazione familiare
reale (Bazzanella 1994: 148):

(16) sai (–) non ne posso più di queste riunioni!

Tra le micro-funzioni interazionali sono frequenti, in particolare


nel parlato faccia a faccia, anche le richieste di accordo e/o
conferma (date più o meno come scontate) (I, 7a, in tab. 1), come eh?
in (17), tratto da una conversazione tra amici (cfr. Bazzanella 1994:
154), e di accordo o conferma o rinforzo da parte dell’interlocutore
(I, 7b, in tab. 1), come esatto in (18) (molto diffuso tra i giovani,
usato come conferma neutra anche se di fatto comporta un elemento di
valutazione):

(17) non lasciatemi solo sulle nevi (–) eh?

(18)

A: se tu ascolti noi sai già cosa succede stanotte!

B: esatto!

Si possono distinguere tre gruppi di segnali discorsivi in base alle


micro-funzioni:

(a) i demarcativi, che servono ad articolare e delimitare le parti


del testo, a strutturare il rapporto tra gli argomenti del discorso,
a segnalarne le transizioni (per es., e, ora, poi, allora), le
digressioni (per es., comunque, a proposito), i cambi di argomento
(come in 19, esempio reale, in cui senti funziona come segnale
discorsivo di richiesta di attenzione ma soprattutto di cambio di
discorso), i rinvii interni, la conclusione o chiusura del testo o
dell’interazione (per es., dunque, allora, insomma):

(19)

A: Avete fatto buone vacanze?

B: Sì, grazie, ottime, in montagna. E voi?

A: Anche noi, grazie. Senti, avrei bisogno di un favore

(b) i focalizzatori, con cui si intende sottolineare un elemento, per


es., con ecco, proprio, come in (20), tratto da una conversazione
familiare:

(20) è proprio indisponente!

(c) i vari indicatori di riformulazione, come cioè in (15), mentre in


(8) e (12) cioè viene usato come riempitivo.

(21) allora era il segretario della Cisnal (–) oggi è senatore del
M.S.I.!

(22) alle 8 allora, ciao!

In (22) allora svolge una micro-funzione inferenziale: il parlante


PRE, proferendo allora in fine enunciato e con tono interrogativo,
richiede all’interlocutore CUS di compiere appunto un’inferenza circa
la pertinenza o meno della questione di cui si tratta:

(23) CUS [ . . . ] questa è una questione/che non c’entra ‹niente›

PRE ‹e adesso qui› c’è un altro mandato/allora?

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