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CAPPELLO A CILINDRO

Più di altri film, Cappello a cilindro rappresenta l’essenza del musical americano anni Trenta, quel perfetto
connubio di commedia sofisticata e musica che trova le proprie origini negli spettacoli di varietà
dei vaudeville ed è emblema della cultura popolare di quel tempo.

L’effimera trama legata al giovane ballerino americano Jerry in tournée in Europa intento a conquistare
l’indossatrice Dale Tramont, è l’espressione di quello spirito con cui gli Stati Uniti si affacciavano al vecchio
continente: una travolgente e irresistibile ventata di novità, spensieratezza e ottimismo a cui era
praticamente impossibile resistere.

Negli anni della crisi economica, la settima arte diventa il veicolo ideale di fantasie collettive, a cui il
pubblico si abbandona per dimenticare la dura realtà di tutti i giorni. Il musical si fa allora genere per
eccellenza del cinema a stelle e strisce, non solo perché naturale evoluzione dell’invenzione del sonoro
avvenuta in America solo pochi anni prima, ma perché incarnazione di quella leggerezza atta ad affrontare
con serenità e fiducia nel domani le sfide dell’oggi.

Non a caso, il lento processo di corteggiamento tra i protagonisti avviene proprio attraverso la danza,
espressione fisico-artistica delle rispettive interiorità. Come di tradizione, anche in questo film, se in
principio entrambi desiderano esprimere il rispettivo punto di vista e la propria indipendenza (No Strings), è
attraverso la reciproca conoscenza che il loro legame si consolida (Isn’t This a Lovely Day) fino al culmine, in
una danza di coppia espressione dell’unità finalmente raggiunta (Cheek to Cheek). Le musiche stesse di
Irving Berling, dunque, seguono l’andamento della trama, facendosi puntuale commento delle diverse fasi
dell’innamoramento, dai solo di tip-tap di Fred Astaire fino al romantico ballo finale sullo sfondo di una
Venezia arabeggiante e volutamente kitsch, luogo idealizzato in cui ambientare le frivole vicende di cuore
dei personaggi e dei comprimari.

A ben vedere, nulla in Cappello a cilindro pare da prendere troppo sul serio: una favola moderna in cui la
voglia di fuga, di evasione – paradossalmente dentro una sala cinematografica – è il vero motore, capace di
alimentare i sogni ad occhi aperti di numerose generazioni, ieri come oggi.

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