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La scoperta di nuovi mondi, cap. 8, pp.

158-166 del libro

1. La nascita e lo sviluppo dell’impero turco-ottomano :


- I Turchi ottomani erano un popolo nomade, mongolo, di religione islamica, che aveva
combattuto al fianco di Gengis Khan (1162 –1227) e i suoi successori.
- Quando l’impero mongolo aveva cominciato a vacillare, essi si ritagliarono un piccolo
territorio nel Nord-Est dell’attuale Turchia, dove fondarono un piccolo Stato, sotto la guida
di Othman (n. 1259 circa - m. 1326).
- Nel corso del XV secolo conquistarono i seguenti territori dell’impero bizantino: Penisola
balcanica; Serbia; Grecia, zone dal Mar Nero allo Stretto dei Dardanelli.
- Nel 1453 conquistarono la capitale Costantinopoli, determinando un fatto epocale: la
caduta dell’impero bizantino o romano d’Oriente.
- Dopo la conquista di Bisanzio-Costantinopoli, essi estesero l’impero alla Mesopotamia, alla
Siria, alla costa del Levante, all’Egitto.

2. I Turchi dopo il 1453 diventano arbitri del commercio nel Mediterraneo orientale :
- Dopo la conquista di Costantinopoli, essi divennero arbitri, nel Mediterraneo, dell’intero
commercio di spezie, seta e altri prodotti di lusso provenienti dall’Oriente.
- Essi però imponevano pesanti tasse doganali alle merci, danneggiando così non solo
l’economia di Venezia, Genova, che le commerciavano, ma anche della Spagna, che era il
principale acquirente di tali merci.

3. Nasce l’idea di sperimentare nuove rotte per le Indie:


- A causa di ciò, si cominciò a prendere in considerazione l’idea di arrivare nelle Indie
affrontando l’Oceano Atlantico: costeggiando l’Africa in direzione sud, si poteva girarle
intorno e proseguire in direzione est verso l’India. Carte, notizie dei viaggiatori e calcoli
matematici davano la certezza di poterlo fare.

4. Perché il Portogallo è il primo a sperimentare la “rotta orientale” per le Indie:


- I primi ad affrontare l’Oceano cercando la “rotta orientale” per le Indie sono i Portoghesi.
- Questo fu possibile per vari motivi:
1. il suo territorio era poco adatto all’agricoltura;
2. la sua posizione geografica era particolarmente favorevole alla navigazione;
3. avevano molta esperienza nel costeggiare l’Oceano Atlantico;
4. avevano appreso dai geografi ebrei e Arabi importanti nozioni scientifiche;
5. disponevano di carte geografiche, oceanografiche e portolani (mappe che
rappresentavano le coste, indicando la posizione di porti, approdi e quanto altro serve per
avvicinarsi in sicurezza a un litorale);
6. sapevano costruire bussole e astrolabi per calcolare la latitudine;
7. si servirono dei racconti di esperti di viaggi lungo le coste dell’Africa;
8. disponevano della caravella, un tipo nuovo di nave che era in grado di sfruttare i venti
senza dipendere dalla fatica dei rematori.
- Cominciarono così le prime esplorazioni della costa atlantica dell’Africa, che portarono, nel
1487, Bartolomeo Diaz a raggiungere l’estrema punta meridionale dell’Africa, il Capo di
Buona Speranza e, nel 1498, con Vasco de Gama, al raggiungimento dell’India.
5. Cristoforo Colombo propone la “rotta occidentale” per le Indie:
- Colombo era un capitano di mare che aveva lavorato sulle navi portoghesi e che era venuto
a conoscenza delle teorie del cartografo Paolo Toscanelli: quest’ultimo sosteneva che,
essendo la Terra rotonda, si potesse arrivare alle Indie senza circumnavigare l’Africa, ma
attraversando l’oceano in direzione ovest.
- Colombo scrisse pertanto una lettera al re del Portogallo, in cui chiedeva di affidargli una
flotta per esplorare una nuova rotta per le Indie, ma commise un errore di calcolo:
confondendo le miglia marine arabe con quelle bizantine, sosteneva che la distanza tra
l’Europa e l’Asia fosse di 4.400 kilometri, mentre non poteva essere inferiore a 16.000. Il
suo progetto, che prevedeva, tra l’altro, 40 giorni di navigazione in alto mare, venne
bocciato dai Portoghesi e poi dagli Inglesi, ma fu preso in considerazione dalla Spagna.
6. Perché la Spagna accetta di finanziare Colombo:
- I motivi principali che convinsero i sovrani spagnoli furono due: la fame d’oro e le
motivazioni religiose. Proprio il 2 gennaio 1492 infatti l’ultimo Stato islamico in terra
spagnola, l’Emirato arabo di Granada, fu espugnato dopo circa cinquecento anni di guerre.
In quell’anno di trionfo delle armi e della fede, la regina Isabella si convinse a compiere
un’opera mai riuscita: diffondere il cristianesimo nelle Indie e strappare decine di migliaia
di anime pagane alle fiamme dell’Inferno. Inoltre, in base al principio della “purezza di
sangue”, furono cacciati dalla Spagna Ebrei e Arabi e ciò scatenò un’ondata di fanatismo
che galvanizzò i sovrani spagnoli.
7. Colombo raggiunge l’America:
Il 3 agosto iniziò il suo primo viaggio e salpò da Palos; dopo due mesi arrivò nell’isola
caraibica di Hispaniola, credendo però di esser arrivato nelle Indie. Pochi anni dopo, un
altro navigatore, Amerigo Vespucci, capì che questo nuovo continente non era l’Asia e lo
chiamò Nuovo Mondo. Nel 1507 un geografo tedesco lo ribattezzò “America”.
8. La conquista di altri territori:
La scoperta della rotta orientale accelerò i preparativi portoghesi per il doppiaggio
dell’Africa; fu così che Vasco da Gama arrivò in India nel 1498.
I Portoghesi poi scoprirono il Brasile e nel 1519 Fernando Magellano, per conto della
Spagna, compì la circumnavigazione della Terra.
Intanto Francia e Inghilterra fondarono colonie nell’America del Nord: la Francia approdò in
Canada e l’Inghilterra esplorò gli attuali Stati Uniti.

La conquista dell’America
Cap. 9, pp. 170-178

La Spagna procede alla conquista dei territori americani


Quando divenne chiaro che le terre esplorate da Colombo non erano asiatiche, ma
facevano parte di un nuovo continente, la Corte spagnola decise di porre termine alla fase
delle esplorazioni e di passare alla fase della conquista affidando a piccoli eserciti,
comandati da capitani di piccola nobiltà chiamati conquistadores, il compito di occupare
militarmente il territorio e di domare le popolazioni native. I conquistadores avrebbero poi
ricevuto dalla Corona il titolo di governatore della provincia acquisita e avrebbero
preparato le strutture per accogliere i coloni spagnoli: centri urbani, servizi e manodopera
locale da impiegare nella coltivazione dei campi e nelle miniere. Gli obiettivi principali della
conquista, tuttavia, restarono quelli originali: la ricerca dell’oro e la conversione degli
Indios al cristianesimo.
I conquistadores erano hidalgos, i membri della piccola nobiltà spagnola rimasti
senza terra perché essa spettava solo ai primogeniti. Non erano uomini rozzi, anzi erano
colti e intelligenti, ma esercitati alla violenza guerresca fin da bambini e animati dal
fanatismo religioso che permeava l'intera società europea dell'epoca.
Il loro impatto con le civiltà sudamericane fu devastante. Non a caso gli storici
chiamano quelle civiltà precolombiane: dopo la scoperta di Colombo infatti esse
scomparvero. Anche coloro che sopravvissero fisicamente furono costretti ad abbandonare
i loro modi di vita e la loro religione, persero l'uso della scrittura, non produssero più la loro
arte. Da civiltà vive divennero così civiltà archeologiche.

Cortés nel 1519 sbarca in Messico


Il primo conquistador fu Hernàn Cortés, che sbarcò in Messico nel 1519 alla testa di
500 soldati e 100 marinai. Aveva 34 anni, un’età allora considerata più che matura, era di
modi cortesi ma gelido di carattere, sempre lucido e rapido nelle decisioni. Lo animavano
l'ambizione e la fede cattolica. Portava con sé armi da fuoco, cavalli (sconosciuti agli Indios)
e cani da combattimento.
Appena sbarcato, Cortés incontrò una comunità di Indios poveri e pacifici che lo
accolsero con cordialità e gli si sottomisero; il loro re svelò l’esistenza di un popolo potente
e terribile poco distante, che terrorizzava i popoli soggetti pretendendo vittime per i suoi
sacrifici umani.
Poi il re regalò una donna a Cortès che la fece battezzare e per gli Spagnoli essa fu
da quel momento donna Marina. Coraggiosa e intelligente, Marina divenne la compagnia
del conquistator, imparò lo spagnolo facendogli da interprete e fu lei a suggerirgli molte
delle astuzie che gli consentirono di annientare quel popolo da tutti gli altri ritenuto
invincibile: gli Aztechi.

Gli Aztechi dominano un impero e terrorizzano l’America centrale


Gli Aztechi o Mexica erano stati in origine un gruppo nomade guerriero in cerca di
una terra in cui stanziarsi. L'avevano trovata intorno al 1300 sull’altopiano dove ora sorge
la Città del Messico, una conca paludosa a oltre 2000 metri di altezza, circondata da vulcani
coperti da neve eterna, e vi si erano stabiliti assoggettando tutti i popoli dell'America
centrale.
Da circa due secoli, dalla loro capitale, Tenochtitlàn, dominavano un impero dal
quale pretendevano tributi, assistenza militare e manodopera per le loro grandi opere di
bonifica dell'altopiano: dighe per arginare gli straripamenti dei laghi salati a nord della
capitale, canali per bonificare e irrigare, strade sopraelevate per attraversare le paludi.
Come aveva detto il re, però, lo scopo principale della loro conquista era quello di ottenere
dai popoli soggetti una fornitura continua di uomini da sacrificare sugli altari dei loro dei.
La loro, infatti, era una regione ossessionata dal sangue e dal Dio della morte che doveva
essere continuamente soddisfatto per permettere alla vita, personificata dal Sole, di
continuare.

L’imperatore degli Aztechi Montezuma lascia che Cortés annienti il suo popolo
La società azteca era formata da una classe aristocratica di guerrieri e da una di
ricchi e potenti mercanti. Su tutti dominava un imperatore, assistito dal gruppo dei
sacerdoti incaricati di compiere sacrifici umani, interrogare gli astri per predire il futuro e
interpretare alcuni fenomeni prodigiosi, reali o immaginari, che ritenevano segni divini.
L'imperatore che visse e morì durante la conquista di Cortés si chiamava
Montezuma.
Da una decina di anni, il territorio azteco veniva impoverito da una serie di carestie,
alcuni dei popoli soggetti cominciavano a ribellarsi e diversi fenomeni straordinari venivano
interpretati da sacerdoti come i presagi di sventura. Proprio gli avvertimenti divini
trasmisero a Montezuma una fatale rassegnazione che lo indusse a non reagire
militarmente alla minaccia rappresentata dai conquistadores.
Quando i suoi guerrieri cominciarono ad avvistare Cortés che si arrampicava
faticosamente con i suoi compagni lungo i sentieri che portavano all'altopiano, sarebbe
stato facilissimo annientare dall'alto quella piccola schiera in difficoltà. Montezuma invece
la credette la scorta di Quetzalcoatl, un dio azteco che, secondo il mito, era partito dal
Messico promettendo di tornare per restituirgli la prosperità. Di conseguenza Montezuma
respinse i piani d'attacco dei suoi consiglieri e accolse amichevolmente il conquistador
offrendogli splendidi doni che avrebbero dovuto placarlo e che ottennero invece l'effetto di
raddoppiare la sua cupidigia.
Cortes arrivò fino al punto di prendere re Montezuma come ostaggio, ma,
nonostante ciò, egli continuò a frenare le decine di migliaia di Aztechi che, nonostante le
armi da fuoco, avrebbero potuto annientare 500 spagnoli. Alla fine, fu ucciso dai suoi stessi
guerrieri.
Ormai però era troppo tardi: donna Marina era riuscita a stringere un'alleanza con
uno dei popoli soggetti all'impero e Cortés aveva fatto arrivare rinforzi da un avamposto
spagnolo sulla costa. Tenochtitlan fu assediata e dopo tre mesi, quando ormai i suoi
difensori erano decimati dalla fame e dalle malattie, fu espugnata.
Per gli Aztechi non ci fu alcuna pietà: dopo avere assistito ai sacrifici umani, Cortés e
i suoi erano convinti di trovarsi di fronte al demonio in persona.

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Cortés assoggetta anche i Maya, un popolo ormai in declino, nella penisola dello Yucatan
Conquistato e presidiato l’impero azteco, Cortés si diresse nella penisola dello
Yucatan per attaccare i Maya, i quali, al contrario degli Aztechi, nel Cinquecento erano già
in piena decadenza.
Essi avevano raggiunto la grandezza molti secoli prima fa il 300 e il 900 d.C.
all'incirca all'epoca del nostro Alto Medioevo.
Non avevano fondato un impero, ma si erano organizzati in città-stato indipendenti,
avevano eretto templi in cima a ripide piramidi tronche e avevano coltivato e venerato il
mais, prima fonte del loro benessere.
Anche i Maya erano stati un popolo feroce e fiero e anch’essi a volte praticavano i
sacrifici umani e il cannibalismo, sebbene in misura molto minore degli Aztechi e solo in
circostanze di particolare in emergenza.
Le città, continuamente in guerra tra loro, avevano finito per esaurire le risorse
finché intorno al Mille gli abitanti, fortemente ridotti di numero, avevano abbandonato i
centri urbani e si erano sparsi nella foresta. A Cortés più facile domare quel popolo ormai
disperso, anche se ben vivo e ancora tenuto insieme dal cemento delle sue antichissime
tradizioni.
Assoggettati i Maya, la conquista proseguì estendendosi a tutto l'odierno Messico.
In pochi anni i re cattolici avevano guadagnato un territorio grande quattro volte la Spagna.
Pizarro marcia sul Perù, la favolosa terra degli Inca
Dopo la conquista del Messico dell'America centrale, nulla poté più fermare la
monarchia spagnola e i suoi conquistadores. Molti di loro si misero alla ricerca di una terra
favolosa che i popoli centro-americani chiamavano Virù: Perù, dove si diceva che le città
avessero i tetti interamente coperti d'oro e che gli Spagnoli identificarono con il mitico
paese dell'Eldorado1. Riuscì ad arrivarci per primo Francesco Pizarro, seguito da soli dodici
uomini; gli altri 150, esausti dopo una terribile navigazione che li aveva portati a sud
dell’equatore, si era ammutinati ed erano tornati indietro. I tredici gloriosi invece
riuscirono ad approdare vicino a una città ben costruita e ordinata che si rivelò l'avamposto
settentrionale dell'impero Inca.
Dopo averli incontrati, il nobile che governava la città scrisse al suo imperatore:
<<sono giunti uomini col viso interamente coperto di peli. Sono arroganti e non hanno
paura di nessuna cosa pericolosa perché il loro corpo è imbottito da vesti che li coprono dai
piedi alla testa. Hanno attraversato il mare su grandi case di legno.>>
Tornato in Spagna e ottenuta dal re l’autorizzazione a conquistare la terra appena
scoperta, Pizarro si recò nuovamente in Perù e nel 1532, con 170 uomini 62 cavalli,
cominciò a inoltrarsi del cuore dell'impero. Lì, intanto, due disgrazie si erano abbattute
sugli Inca: la prima era un’epidemia di vaiolo, diffusa dai membri della prima spedizione
spagnola, che aveva devastato le città del Nord uccidendo anche alcuni fratelli
dell'imperatore; la seconda era che queste morti avevano scatenato una guerra civile
guidata dai membri della famiglia imperiale che aspiravano alla successione. Le divisioni
interne, l'impreparazione psicologica di fronte ai Bianchi (ritenuti ora nemici ora dèi) e
soprattutto le malattie segnarono anche il destino degli Inca. Le armi da fuoco, i cavalli e i
cani feroci degli Spagnoli fecero il resto.

La guerra contro gli Inca si conclude con un altro sterminio


Pizarro capì subito quale obiettivo colpire per primo: sterminò l'Intera élite inca in
un unico scontro e fece prigioniero l'imperatore Atahualpa. In tal modo ridusse
all'impotenza i suoi soldati perché, come prescrivevano i loro riti, essi combattevano solo
finché scorgevano la lettiga imperiale, ricoperta d'argento, balenare al sole sul campo di
battaglia.
Atahualpa offrì di pagare come riscatto per la propria libertà tanto oro da riempire
una stanza di 6 m per 5 per un'altezza di 2½. Pizarro accettò e, in effetti, nel giro di due
mesi la stanza fu riempita con le oreficerie fatte arrivare dalle diverse città dell'impero.
Intanto, però, una nuova armata inca stava marciando contro gli Spagnoli. La notizia
terrorizzò Atahualpa che, accecato dai sospetti nei confronti del suo stesso popolo, la
ritenne una provocazione dei pretendenti al trono con lo scopo di farlo uccidere da Pizarro.
Per dimostrare la sua estraneità alla rivolta, Atahualpa ordinò il massacro di tutti i
suoi parenti, ma ciò non fece che rafforzare la posizione degli Spagnoli. Con il pretesto che
gli Inca avevano rotto la tregua, Pizarro lo fece strangolare con uno strumento chiamato
garrota2 e ne bruciò il corpo per impedire che i suoi lo mummificassero e ne onorassero le
spoglie.
1
Eldorado, abbreviazione di El indio Dorado, è un luogo leggendario di cui gli Spagnoli cominciarono a favoleggiare
dopo il primo viaggio di Colombo, ma le cui origini forse risalgono al Milione di Marco Polo. Lo si immaginava
traboccante d'oro, ma anche di ogni prodotto alimentare: era una nuova versione del Paradiso terrestre.
2
Strumento di supplizio usato in Spagna per l’esecuzione di condanne a morte. Consisteva in un palo cui erano fissati,
in basso, un panchetto su cui sedeva il condannato e, più in alto, un cerchio di ferro che, stretto mediante una
manovella a vite, stringeva il collo della vittima fino a strangolarla.
La resistenza degli Inca, tuttavia, durò oltre 35 anni. Quando fu tutto finito, tra
guerre ed epidemie, ne erano morti centinaia di migliaia.

La conquista cancella dalla storia le civiltà precolombiane e provoca un crollo demografico


L’impatto tra Europei e popoli precolombiani fu violentissimo e in pochi decenni
ebbe conseguenze tremende: non solo le civiltà precolombiane furono cancellate dalla
storia, ma gli Indios furono soggetti a un crollo demografico senza precedenti.
Bartolomeo de Las Casas, un colono spagnolo giunto in America durante i viaggi di
Colombo, dopo avere sfruttato per qualche anno una comunità india facendola lavorare in
una piantagione, ebbe una profonda crisi di coscienza ed entrò nell'Ordine dei domenicani,
divenne vescovo e dedicò il resto della sua vita denunciare i trattamenti bestiali riservati ai
vinti.
Per documentare questo scempio, scrisse lettere al re di Spagna e opuscoli per i
coloni e anche una monumentale Storia delle Indie in cui racconta, tra l'altro, che gli Indios
venivano convertiti per amore o per forza al cristianesimo e che chi rifiutava il battesimo
veniva torturato e ucciso.
Tutti erano sottoposti a ritmi di lavoro massacranti nelle piantagioni e nelle miniere
d'oro e d'argento, tanto che interi gruppi di Indios preferivano lasciarsi morire di fame. I
suoi resoconti erano talmente impressionanti che nel 1542 indussero Carlo V, imperatore
del Sacro romano Impero e re di Spagna, a modificare le leggi che regolavano l'impiego
della manodopera nei domini spagnoli d'America. I coloni bianchi però si rifiutarono di
obbedire e, per tutto il secolo e parte di quello seguente, le condizioni dello sfruttamento
restarono immutate.
Tra XIX e XX secolo l'opera di Las Casas divenne un vangelo per gli studiosi, i quali
accusano gli Spagnoli di genocidio ovvero della metodica distruzione di intere popolazioni
per motivi etnici o religiosi. Essi non sapevano però che, travolto dalla nobile missione di
difendere gli oppressi, il domenicano aveva esagerato tutte le cifre sia quelle della
popolazione originaria sia quelle dei massacri perpetrati dai conquistadores.
Ci sono voluti quattro secoli e la recentissima decifrazione delle scritture
precolombiane, con la conseguente lettura dei loro testi superstiti, per districare i misteri
della conquista spagnola e ristabilire la verità.

Non fu genocidio
L’errore di Las Casas consiste nel fatto che non furono gli Spagnoli i responsabili
diretti del crollo demografico della popolazione india, ma le epidemie di origine europea
che essi diffusero nel Nuovo Mondo: vaiolo, tifo, tubercolosi, varicella, morbillo, influenza.
I virus e i batteri responsabili di queste malattie erano completamente sconosciuti in
America; di conseguenza, mentre gli Europei, che da secoli convivevano con essi, avevano
sviluppato delle difese naturali, gli Indios ne furono colpiti in forma estremamente
virulenta: in una zona attaccata nessuno sfuggiva al contagio, nessuno guariva. A Cuba un
marinaio spagnolo malato non contagiò i suoi compagni, ma attaccò il vaiolo agli indios,
che, in cinquant'anni di epidemia ininterrotta, si ridussero da 112.000 a zero.
Ciò che accadde nell'America spagnola accadde anche nel Brasile portoghese e
nell’America settentrionale, dove intanto sbarcavano Francesi e Inglesi che pure, almeno
all'inizio non ebbero scontri violenti con i Pellirosse.
Oggi i demografi calcolano che il vertiginoso calo della popolazione sia dovuto per il 95%
alle malattie e solo per il 5%al la violenza delle armi e al lavoro forzato.
Uno scontro tra civiltà
Il ruolo devastante delle malattie non assolve gli Spagnoli dall’aver riservato un
trattamento disumano ai popoli precolombiani.
Tra i motivi che li spinsero a comportarsi con tanto disprezzo per la vita umana vi
furono certamente la violenza e la bramosia di denaro, ma la causa più profonda fu
l'atteggiamento di rifiuto che essi opposero agli Indios.
Alcuni costumi dei precolombiani apparivano così lontani dalla mentalità europea
che solo una fortissima volontà di studiare e la disponibilità a comprenderne i motivi
profondi avrebbe potuto collocarli nel loro giusto contesto. Uno di essi era la nudità, ma
quelli che segnarono la vera rottura tra conquistatori e conquistati furono i sacrifici umani e
il cannibalismo. Si trattava senza dubbio di atti orrendi che gli Spagnoli avrebbero avuto
dovere di far cessare. Avrebbero dovuto capire, però, che tali atti non erano dettati dalla
crudeltà e dal vizio, ma avevano la radici profonde nella religione e nei culti che
rappresentavano il collante che teneva insieme l'intera società.
Forse anche per lo shock subito da Cortés, l’intera visione india del sacro apparve
agli Spagnoli come il frutto di una religione satanica. Il dio azteco Quetzalcoatl, per
esempio, era raffigurato con un serpente che, per i cattolici, era uno dei travestimenti
preferiti del demonio; i sacerdoti bevevano misture o aspiravano fumi, atti che in Europa
erano imputati alle streghe; ogni comunità aveva il suo sciamano che sosteneva di parlare
con gli spiriti dei morti e di viaggiare senza che il suo corpo dovesse spostarsi e ciò apparve
frutto di un patto col diavolo. Di fronte a queste usanze, un sacerdote cattolico sostenne
addirittura che con la venuta di Cristo, Satana, costretto dal trionfo del cristianesimo ad
abbandonare l'Europa, si fosse rifugiato in America. Questo atteggiamento spiega anche il
perché di tante conversioni forzate: l’urgenza di espellere il demonio con il battesimo dal
corpo degli individui per il terrore di essere catturati, non ammetteva lunghe e pazienti
opere di convincimento.
Quei Bianchi, venuti a turbare società dotate di proprie regole e di un proprio
equilibrio, insomma, non fecero l'esercizio del comprendere, ma quello del giudicare e
conclusero che non era peccato torturare e uccidere perché nel Nuovo Mondo non
avevano trovato esseri umani ma creature animalesche, incarnazione del demonio.

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