2. I Turchi dopo il 1453 diventano arbitri del commercio nel Mediterraneo orientale :
- Dopo la conquista di Costantinopoli, essi divennero arbitri, nel Mediterraneo, dell’intero
commercio di spezie, seta e altri prodotti di lusso provenienti dall’Oriente.
- Essi però imponevano pesanti tasse doganali alle merci, danneggiando così non solo
l’economia di Venezia, Genova, che le commerciavano, ma anche della Spagna, che era il
principale acquirente di tali merci.
La conquista dell’America
Cap. 9, pp. 170-178
L’imperatore degli Aztechi Montezuma lascia che Cortés annienti il suo popolo
La società azteca era formata da una classe aristocratica di guerrieri e da una di
ricchi e potenti mercanti. Su tutti dominava un imperatore, assistito dal gruppo dei
sacerdoti incaricati di compiere sacrifici umani, interrogare gli astri per predire il futuro e
interpretare alcuni fenomeni prodigiosi, reali o immaginari, che ritenevano segni divini.
L'imperatore che visse e morì durante la conquista di Cortés si chiamava
Montezuma.
Da una decina di anni, il territorio azteco veniva impoverito da una serie di carestie,
alcuni dei popoli soggetti cominciavano a ribellarsi e diversi fenomeni straordinari venivano
interpretati da sacerdoti come i presagi di sventura. Proprio gli avvertimenti divini
trasmisero a Montezuma una fatale rassegnazione che lo indusse a non reagire
militarmente alla minaccia rappresentata dai conquistadores.
Quando i suoi guerrieri cominciarono ad avvistare Cortés che si arrampicava
faticosamente con i suoi compagni lungo i sentieri che portavano all'altopiano, sarebbe
stato facilissimo annientare dall'alto quella piccola schiera in difficoltà. Montezuma invece
la credette la scorta di Quetzalcoatl, un dio azteco che, secondo il mito, era partito dal
Messico promettendo di tornare per restituirgli la prosperità. Di conseguenza Montezuma
respinse i piani d'attacco dei suoi consiglieri e accolse amichevolmente il conquistador
offrendogli splendidi doni che avrebbero dovuto placarlo e che ottennero invece l'effetto di
raddoppiare la sua cupidigia.
Cortes arrivò fino al punto di prendere re Montezuma come ostaggio, ma,
nonostante ciò, egli continuò a frenare le decine di migliaia di Aztechi che, nonostante le
armi da fuoco, avrebbero potuto annientare 500 spagnoli. Alla fine, fu ucciso dai suoi stessi
guerrieri.
Ormai però era troppo tardi: donna Marina era riuscita a stringere un'alleanza con
uno dei popoli soggetti all'impero e Cortés aveva fatto arrivare rinforzi da un avamposto
spagnolo sulla costa. Tenochtitlan fu assediata e dopo tre mesi, quando ormai i suoi
difensori erano decimati dalla fame e dalle malattie, fu espugnata.
Per gli Aztechi non ci fu alcuna pietà: dopo avere assistito ai sacrifici umani, Cortés e
i suoi erano convinti di trovarsi di fronte al demonio in persona.
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Cortés assoggetta anche i Maya, un popolo ormai in declino, nella penisola dello Yucatan
Conquistato e presidiato l’impero azteco, Cortés si diresse nella penisola dello
Yucatan per attaccare i Maya, i quali, al contrario degli Aztechi, nel Cinquecento erano già
in piena decadenza.
Essi avevano raggiunto la grandezza molti secoli prima fa il 300 e il 900 d.C.
all'incirca all'epoca del nostro Alto Medioevo.
Non avevano fondato un impero, ma si erano organizzati in città-stato indipendenti,
avevano eretto templi in cima a ripide piramidi tronche e avevano coltivato e venerato il
mais, prima fonte del loro benessere.
Anche i Maya erano stati un popolo feroce e fiero e anch’essi a volte praticavano i
sacrifici umani e il cannibalismo, sebbene in misura molto minore degli Aztechi e solo in
circostanze di particolare in emergenza.
Le città, continuamente in guerra tra loro, avevano finito per esaurire le risorse
finché intorno al Mille gli abitanti, fortemente ridotti di numero, avevano abbandonato i
centri urbani e si erano sparsi nella foresta. A Cortés più facile domare quel popolo ormai
disperso, anche se ben vivo e ancora tenuto insieme dal cemento delle sue antichissime
tradizioni.
Assoggettati i Maya, la conquista proseguì estendendosi a tutto l'odierno Messico.
In pochi anni i re cattolici avevano guadagnato un territorio grande quattro volte la Spagna.
Pizarro marcia sul Perù, la favolosa terra degli Inca
Dopo la conquista del Messico dell'America centrale, nulla poté più fermare la
monarchia spagnola e i suoi conquistadores. Molti di loro si misero alla ricerca di una terra
favolosa che i popoli centro-americani chiamavano Virù: Perù, dove si diceva che le città
avessero i tetti interamente coperti d'oro e che gli Spagnoli identificarono con il mitico
paese dell'Eldorado1. Riuscì ad arrivarci per primo Francesco Pizarro, seguito da soli dodici
uomini; gli altri 150, esausti dopo una terribile navigazione che li aveva portati a sud
dell’equatore, si era ammutinati ed erano tornati indietro. I tredici gloriosi invece
riuscirono ad approdare vicino a una città ben costruita e ordinata che si rivelò l'avamposto
settentrionale dell'impero Inca.
Dopo averli incontrati, il nobile che governava la città scrisse al suo imperatore:
<<sono giunti uomini col viso interamente coperto di peli. Sono arroganti e non hanno
paura di nessuna cosa pericolosa perché il loro corpo è imbottito da vesti che li coprono dai
piedi alla testa. Hanno attraversato il mare su grandi case di legno.>>
Tornato in Spagna e ottenuta dal re l’autorizzazione a conquistare la terra appena
scoperta, Pizarro si recò nuovamente in Perù e nel 1532, con 170 uomini 62 cavalli,
cominciò a inoltrarsi del cuore dell'impero. Lì, intanto, due disgrazie si erano abbattute
sugli Inca: la prima era un’epidemia di vaiolo, diffusa dai membri della prima spedizione
spagnola, che aveva devastato le città del Nord uccidendo anche alcuni fratelli
dell'imperatore; la seconda era che queste morti avevano scatenato una guerra civile
guidata dai membri della famiglia imperiale che aspiravano alla successione. Le divisioni
interne, l'impreparazione psicologica di fronte ai Bianchi (ritenuti ora nemici ora dèi) e
soprattutto le malattie segnarono anche il destino degli Inca. Le armi da fuoco, i cavalli e i
cani feroci degli Spagnoli fecero il resto.
Non fu genocidio
L’errore di Las Casas consiste nel fatto che non furono gli Spagnoli i responsabili
diretti del crollo demografico della popolazione india, ma le epidemie di origine europea
che essi diffusero nel Nuovo Mondo: vaiolo, tifo, tubercolosi, varicella, morbillo, influenza.
I virus e i batteri responsabili di queste malattie erano completamente sconosciuti in
America; di conseguenza, mentre gli Europei, che da secoli convivevano con essi, avevano
sviluppato delle difese naturali, gli Indios ne furono colpiti in forma estremamente
virulenta: in una zona attaccata nessuno sfuggiva al contagio, nessuno guariva. A Cuba un
marinaio spagnolo malato non contagiò i suoi compagni, ma attaccò il vaiolo agli indios,
che, in cinquant'anni di epidemia ininterrotta, si ridussero da 112.000 a zero.
Ciò che accadde nell'America spagnola accadde anche nel Brasile portoghese e
nell’America settentrionale, dove intanto sbarcavano Francesi e Inglesi che pure, almeno
all'inizio non ebbero scontri violenti con i Pellirosse.
Oggi i demografi calcolano che il vertiginoso calo della popolazione sia dovuto per il 95%
alle malattie e solo per il 5%al la violenza delle armi e al lavoro forzato.
Uno scontro tra civiltà
Il ruolo devastante delle malattie non assolve gli Spagnoli dall’aver riservato un
trattamento disumano ai popoli precolombiani.
Tra i motivi che li spinsero a comportarsi con tanto disprezzo per la vita umana vi
furono certamente la violenza e la bramosia di denaro, ma la causa più profonda fu
l'atteggiamento di rifiuto che essi opposero agli Indios.
Alcuni costumi dei precolombiani apparivano così lontani dalla mentalità europea
che solo una fortissima volontà di studiare e la disponibilità a comprenderne i motivi
profondi avrebbe potuto collocarli nel loro giusto contesto. Uno di essi era la nudità, ma
quelli che segnarono la vera rottura tra conquistatori e conquistati furono i sacrifici umani e
il cannibalismo. Si trattava senza dubbio di atti orrendi che gli Spagnoli avrebbero avuto
dovere di far cessare. Avrebbero dovuto capire, però, che tali atti non erano dettati dalla
crudeltà e dal vizio, ma avevano la radici profonde nella religione e nei culti che
rappresentavano il collante che teneva insieme l'intera società.
Forse anche per lo shock subito da Cortés, l’intera visione india del sacro apparve
agli Spagnoli come il frutto di una religione satanica. Il dio azteco Quetzalcoatl, per
esempio, era raffigurato con un serpente che, per i cattolici, era uno dei travestimenti
preferiti del demonio; i sacerdoti bevevano misture o aspiravano fumi, atti che in Europa
erano imputati alle streghe; ogni comunità aveva il suo sciamano che sosteneva di parlare
con gli spiriti dei morti e di viaggiare senza che il suo corpo dovesse spostarsi e ciò apparve
frutto di un patto col diavolo. Di fronte a queste usanze, un sacerdote cattolico sostenne
addirittura che con la venuta di Cristo, Satana, costretto dal trionfo del cristianesimo ad
abbandonare l'Europa, si fosse rifugiato in America. Questo atteggiamento spiega anche il
perché di tante conversioni forzate: l’urgenza di espellere il demonio con il battesimo dal
corpo degli individui per il terrore di essere catturati, non ammetteva lunghe e pazienti
opere di convincimento.
Quei Bianchi, venuti a turbare società dotate di proprie regole e di un proprio
equilibrio, insomma, non fecero l'esercizio del comprendere, ma quello del giudicare e
conclusero che non era peccato torturare e uccidere perché nel Nuovo Mondo non
avevano trovato esseri umani ma creature animalesche, incarnazione del demonio.