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ALCHIMIA PRATICA

La Trasmutazione delle Emozioni Negative


Di
Francesco Giacovazzo

http://www.alchimiapratica.it
Uno studente Zen andò da Bankei e disse: “Maestro, non riesco
a governare la mia collera. Come posso curarla?”
“Mostrami questa collera” disse Bankei, “mi sembra qualcosa
degna di essere vista da vicino.”
“In questo momento non ce l’ho”, disse lo studente, “per cui
non posso mostrartela.”
“Allora” disse Bankei, “portamela quando ce l’hai.”
“Ma non posso portartela nel momento in cui mi capita di
averla” protestò lo studente, “sorge all’improvviso e
sicuramente mi passerebbe prima di arrivare da te.”
“In quel caso” disse Bankei, “non può essere parte della tua
vera natura. Se lo fosse, me la potresti mostrare in qualsiasi
momento. Quando sei nato non ce l’avevi, quindi dev’essere
giunta a te dall’esterno. Ti suggerisco una cosa: quando
sopraggiunge, colpisciti con un bastone fino a quando la collera
non regge più, e scappa via.”
“Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere.”
Khalil Gibran

Il piombo degli Alchimisti


Ma cosa cercavano veramente gli alchimisti? Nelle loro
solitudini, lavorando e rettificando le materie più impure
dell’universo, cercando e affrontando i demoni senza nessuna
pietà per se stessi?
Quella Pietra Filosofale che gli avrebbe garantito l’eternità, una
gioia senza limiti e la fine di ogni dolore. Gli alchimisti
cercavano l’anima, quel centro di gravità permanente che è
origine e sorgente di tutte le cose, e dà un senso alle loro vite.
Noi abbiamo perso l’anima. In verità non ce ne siamo mai
allontanati, piuttosto l’abbiamo dimenticata incastrandoci in
una personalità ipertrofica che da essere un mezzo
d’espressione del nostro Sé è diventata un despota, che si crede
originale, unica e indipendente da quella luce che l’ha generata
e vuole sopravvivere in tutti i modi a questa illusione.
Questo è l’archetipo di Lucifero, di quella goccia dell’oceano
che vuol sfidare il mare ma per quanto si sforzi di fare il male si
ritroverà suo malgrado ad operare per il bene.
Questo è un grande segreto che sanno gli alchimisti, i quali
invece di combattere contro il male e rinforzarlo lo usano per
svegliarsi, per purificarsi, per evolvere.
Ecco perché l’alchimia vince la sfida del tempo ed è sempre
attuale, ecco perché viene chiamata la Grande Opera, perché
conosce le regole dell’Infinito e sa come trasmutare il buio, il
piombo, in luce. Perché è questo che fa già la natura di suo se
non ci mettiamo di mezzo.
L’Alchimista allora cerca il dolore, cerca le proprie debolezze
non perché è un masochista o un pazzo ma perché sa che deve
passare dall’inferno per arrivare in paradiso e, per quanto
paradossale possa sembrare, questa è la via più sicura e più
veloce.
Molti presunti illuminati parlano di “luce”, di “Tutto è Uno”, di
“Amore” e anche gli alchimisti lo fanno quando parlano di
Alchimia Superior ma sanno che per ritrovarsi nell’Amore puro
e nella gioia infinita devono necessariamente superare prima
l’Alchimia Inferior.
Attraversare il buio delle emozioni pesanti e del dolore per
raffinare i sensi necessari a percepire e sopportare la bellezza
del mondo.
È possibile risvegliarsi improvvisamente e direttamente
all’Amore infinito, per carità, ma sono casi molto, molto rari.
La cosa più auspicabile sarebbe riuscire a percorre
contemporaneamente entrambe le Vie Alchemiche: ossia
vivere consapevolmente il dolore e allo stesso tempo nutrirsi
letteralmente di Bellezza.
E questo è un po’ l’intento folle di questo trattato. Parleremo
del dolore, della sua anatomia, della sua funzione nel lavoro
pratico su di sé e parleremo della felicità che può esistere
insieme al dolore.
Sembra paradossale ma tutta la vita lo è.
Tempo e dolore
Tutto il lavoro dell’alchimista consiste nel costruire una dimora
stabile per la sua anima e lo fa lavorando sulla propria
macchina biologica, la sua officina alchemica. Il suo compito si
esprime nello spostamento del centro di consapevolezza dalla
mente al Cuore.
Parallelamente agli sforzi sul ricordo di sé, che sono la base di
tutta l’opera, l’alchimista dovrà portare avanti un lavoro di
trasmutazione delle sue emozioni negative.
Rabbia, invidia, gelosia, senso di sconforto, senso di
inadeguatezza, paura, ansia, stress: sono il materiale su cui
dobbiamo lavorare per fabbricarci nuovi sensi per l’anima.
In ciò sta il senso di tutta l’Alchimia e per poterlo fare
dobbiamo ricordarci sempre di noi.
Tutte le volte che soffriamo ci stiamo dando una possibilità per
risvegliarci dalla nostra meccanicità perché la sofferenza nasce
da uno stato di sonno, da una mente disfunzionale che vuol
racchiudere il mare della vita in un bicchiere di ragionamenti e
soluzioni preconfezionate.
Pensiamo troppo, viviamo troppo di rimorsi e aspettative e così
perdiamo e sprechiamo l’unico tempo in cui possiamo essere
davvero felici: il presente.
Non può esistere dolore nel presente. Il dolore ha bisogno di un
passato dove rifugiarsi e di un futuro dove muoversi.

“Tempo e dolore sono inseparabili.”


Eckhart Tolle
La nostra mente è fatta di tempo: di ricordi, di memorie
passate attraverso le quali cerchiamo di affrontare le sfide del
presente e prevenire così il futuro.
I nostri pensieri sono frutto del tempo: nascono dalle
conoscenze e dalle nostre esperienze, che sono custodite nella
memoria. La maggior parte delle nostre azioni quindi si basa
sulla conoscenza, sul tempo, e rendono l’uomo uno schiavo del
passato.
Da qui, come vedremo, nasce il dolore.
“Ogni negatività è causata da un accumulo di tempo
psicologico e dalla negazione del presente. Disagio, ansia,
tensione, stress, preoccupazione (tutte forme di paura) sono
causati da un eccesso di futuro e da un’insufficienza di
presente.
Senso di colpa, rimorso, risentimento, rancore, tristezza,
amarezza e ogni forma di mancato perdono sono causati da
un eccesso di passato e da una insufficienza di presente. In
definitiva vi è un solo problema: la mente legata al tempo.”
Eckhart Tolle

Rispondiamo al presente con il nostro passato e da qui nasce la


prima forma di conflitto. Il passato non può cogliere la potenza
dell’adesso, può solo ridurlo a un mezzo per continuare ad
esistere.
Ci vuole tutta la nostra intelligenza per comprendere fino in
fondo questo concetto e l’intelligenza è pura presenza.
“La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di
osservare senza giudicare.”
Jiddu Krishnamurti
Come nasce il dolore

Partiamo dall’inizio.
Perché soffriamo? Cosa accade da un punto di vista energetico?
La sofferenza è una forma di resistenza al momento presente.
Soffriamo quando creiamo un gap tra la realtà di ciò che è, e ciò
che noi vorremmo che fosse.
Soffriamo quando neghiamo ciò che è.
La mia ragazza mi ha lasciato.
Questo è un fatto, questa è la realtà, e ciò che è accaduto. Non
c’è molto da dire, c’è solo da prenderne atto, accettarlo (che
significa semplicemente e solamente riconoscerlo) ed
esattamente come qualsiasi altro fatto rispondere partendo da
questa accettazione.
Ma noi, tutti noi, non rispondiamo alla realtà ma reagiamo ad
essa, e questo significa solo una cosa: in profondità, dentro di
noi, non abbiamo accettato l’accaduto.
Sembra una cosa assurda e stupida ma è esattamente questo il
meccanismo che è all’origine della sofferenza psicologica.
Chiarisco subito un punto: stiamo trattando qui
principalmente della sofferenza psicologica, non del dolore
fisico. Sofferenza è dolore sono due cose diverse.
Il dolore è naturale e necessario ed è una risposta fisiologica ad
un trauma sia fisico che emotivo. Il dolore per sua natura ha un
inizio, un picco ed una fine. Se riuscissimo a non ostacolarlo
farebbe il suo corso naturale esattamente come un temporale e
sparirebbe. Ma la mente ci ricama sopra una storia e da qui
nasce la sofferenza che è innaturale e deleteria.
La sofferenza è il rifiuto del dolore.
Ritorniamo all’esempio di prima. La mia ragazza mi ha
lasciato: fa male, sento un vuoto dentro di me; questo è
naturale. Questo è il dolore e durerebbe il tempo necessario per
prendere consapevolezza dell’accaduto. Ma ecco che la mente
comincia a farsi domande, a dare delle colpe, a giudicare il
tutto e tra ciò che è e il ciò che secondo lei (la mente) dovrebbe
essere si crea una resistenza, un contrasto, un’opposizione;
l’inizio di un conflitto.
Questo conflitto è a livello biologico una scarica elettrica nel
nostro sistema nervoso, un’energia, un fuoco che mi brucia. Il
nostro organismo è sostanzialmente una macchina bioelettrica,
un conduttore di elettricità, e più è grande il conflitto, ossia più
è la distanza tra ciò che è accaduto e la resistenza della mia
mente, più alta e intensa è l’elettricità che si crea.
Questa elettricità, questa energia, essendo un’alterazione
rispetto allo stato normale del mio organismo, io la percepisco
come dolore, sofferenza.
Il dolore a livello organico è essenzialmente un fatto
bioelettrico e come tale andrebbe trattato.
Quando proviamo dolore, ci troviamo a dover affrontare uno
sbalzo elettrico nel nostro organismo che ci mette a disagio e si
fa sentire come una sensazione negativa a cui la mente
attribuisce subito un nome.
Così nasce l’emozione negativa.
Emozione negativa = sensazione fisica di disagio + etichetta
mentale.
La mente non fa questo perché è cattiva o stupida ma
semplicemente perché questo è il suo compito. La mente
interpreta ciò che accade dentro di noi e fuori di noi attraverso
un database interno fatto di memorie, ricordi, conoscenze.
Questo meccanismo è utile per la sopravvivenza ma
disfunzionale come vedremo per le questioni esistenziali.
La vita è sempre nuova e la mente è sempre vecchia. Ogni volta
che interpretiamo il nuovo con il vecchio tradiamo la verità.
È fondamentale e indispensabile interpretare il verde del
semaforo per guidare o riconoscere il meccanismo di una porta
per entrare, ed è necessario saper riconoscere un sintomo o
una malattia per guarirla; sia chiaro.
Ma è altrettanto importante riuscire a vedere un fatto nella sua
interezza e purezza senza doverlo per forza distorcerlo con
delle interpretazioni. Posso vedere un arcobaleno e perdermi
nella sua bellezza senza dover capire necessariamente come si è
formato e perché. Posso amare una persona, provare
compassione senza nessun motivo in particolare. Anzi posso
dire che per provare certe emozioni superiori la mente deve
essere in uno stato di calma, di silenzio. E persino con il dolore,
come vedremo, è indispensabile una mente lucida, vigile che
veda il dolore per quello che è.

“È forse la paura ad impedirvi di intraprendere una azione?


In tal caso dovete riconoscere la paura, osservarla, rivolgerle
la vostra attenzione, essere pienamente presenti di fronte ad
essa. Così facendo spezzate il legame fra la paura ed il vostro
pensiero. Non lasciate che la paura si innalzi fino alla vostra
mente.”
Eckhart Tolle
A cosa serve il dolore
Abbiamo visto che la sofferenza sostanzialmente nasce da una
forma di non accettazione della mente ad un fatto. Questo crea
nel nostro organismo una resistenza elettrica, un picco di
energia che il nostro corpo deve in qualche modo trattare e
riportare in equilibrio.
Abbiamo a disposizione una certa quantità di energia e questa
energia è per l’Alchimista materia prima, piombo su cui
lavorare.
Questa energia, ricordiamocelo, è neutra: non è né positiva, né
negativa. È la sensazione che provoca al nostro organismo che
percepiamo come negativa, perché questo flusso di energia è
troppo elevato. La mente a sua volta dà un’etichetta a questa
sensazione e nasce l’emozione negativa.
Andiamo un po’ più avanti. Ora ci troviamo a dover
fronteggiare l’emozione negativa e la mente cosa fa? Quello che
sa fare: interpreta. Va a ricercare nel suo database memorie
che la riconoscono (quell’emozione) e noi cominciamo ad
associare altri pensieri legati a quell’emozione negativa.
Cominciamo a pensare in base a come ci sentiamo e questi
pensieri vanno ad alimentare nuovamente l’emozione negativa
creando un loop distruttivo.
Mi sento a disagio, la mente mi dice che questo disagio è
tristezza, comincio a pensare alla tristezza e mi ricordo di
quando mio padre mi ha abbandonato all’asilo, mi sento più
triste e penso alla mia ex che mi ha lasciato. Non mi sento più
triste… SONO diventato TRISTE.
Una sensazione fisica, un pensiero, un’emozione, sono
diventati uno stato d’animo.
Trattare una sensazione e un’emozione con un pensiero è come
voler spegnere un incendio con la benzina. Il dolore è un fatto
bioelettrico e come tale andrebbe trattato. La mente deve
mettersi al servizio di questa verità.
La mente è il problema e non può essere la soluzione. Ecco
perché Einstein disse:
“Non possiamo trattare un problema partendo dallo stesso
livello della mente che l’ha generato.”
Spero ora sia più chiaro tutto questo.
La mente può e deve avere un ruolo nel processo di guarigione
ma non è quello certo di trovare una soluzione a livello di
pensiero e ragionamento.
Questo è il motivo per cui un certo tipo di psicanalisi è fallito.
Portare una persona a elaborare e rielaborare un trauma non fa
altro che rinforzare il loop emozione-pensiero e consolidare
una storia che neurologicamente è un circuito sinaptico che
continua a girare riproponendo lo stesso dolore. Compito dello
psicologo o psichiatra dovrebbe essere quello di spegnere certi
circuiti e aiutare il paziente a costruirsene di nuovi e funzionali.
Un vero psicoterapeuta dovrebbe chiedersi non “cosa è
successo e perché?” ma: “cosa hai dimenticato di te”, e
soprattutto “dov’è che devi andare?”
In questa prospettiva il dolore ha una funzione importante:
Il dolore è un segnale che c’è un blocco e che non stiamo più
percorrendo la nostra strada.
Da questo punto in poi tutto è alchimia.
Come affrontare il dolore

“Quando c’è dolore, il sistema nervoso subisce un grande


shock, è un enorme colpo sia per la parte fisiologica che per
quella psicologica dell’essere. Di solito cerchiamo di vincere il
dolore prendendo qualche sostanza, dandoci al bere o
attraverso qualche forma di religione. Oppure diventiamo
cinici e accettiamo le cose come inevitabili. Possiamo
approfondire questa questione seriamente? È possibile non
fuggire affatto dal dolore?
Mio figlio è morto e c’è un dolore immenso, un grande shock, e
scopro di essere veramente solo. Non posso affrontare questa
cosa, non posso sopportarla, e cerco qualche fuga. Ci sono
molti modi per fuggire da questo stato: mondani, religiosi o
filosofici e questa fuga è uno spreco di energia. È possibile non
fuggire di fronte a nessun dolore? Il dolore della solitudine,
dell’angoscia, di uno shock, ma rimanere completamente con
l’evento, con questa cosa chiamata sofferenza, è possibile?
Possiamo sostenere qualsiasi problema, stare lì senza cercare
di risolverlo, cercando di guardarlo e di tenerlo fra le mani
come se fosse un bellissimo e prezioso gioiello? La bellezza di
quel gioiello è talmente affascinante, talmente magnetica che
continuiamo a guardarlo. Allo stesso modo, se potessimo
tenere completamente il nostro dolore, senza il minimo
movimento di pensiero o di fuga, l’atto stesso di non fuggire
da quel fatto porta a un totale scioglimento di ciò che ha
causato dolore.”
Jiddu Krishnamurti
Il dolore è energia. Ogni volta che soffriamo stiamo
affrontando un surplus di energia che in qualche modo
dobbiamo gestire.
Questa energia, ripetiamolo, in se non è né positiva, né
negativa: è neutra. Solo che noi la percepiamo come dolore
perché ha un’intensità molto elevata.
Tutte le volte che si attiva questa energia, la nostra macchina
biologica è sulla soglia di un risveglio.
Normalmente la nostra macchina biologica – il nostro apparato
psicofisico – lavora in modalità meccanica e semiautonoma
mentre la nostra anima si dice che è addormentata.
In realtà l’anima non è né sveglia né addormentata, è
semplicemente presenza allo stato puro, ma non riesce a
interagire con il nostro apparato psicofisico perché è questo ad
essere addormentato nelle sue abitudini.
Quando arriva uno shock, un evento imprevisto, l’apparato
psicofisico tende a portarsi in stato di veglia in maniera
spontanea. All’improvviso dobbiamo gestire un innalzamento
del livello di energia che il nostro organismo percepisce come
sofferenza.
Il nostro sistema nervoso viene attraversato da una piena di
corrente elettrica che non è abituato a sopportare.
Immaginate un circuito elettrico tarato per supportare un certo
voltaggio x di corrente che viene invaso da un voltaggio tre
volte superiore: il corto circuito che si crea nel nostro
organismo si chiama dolore.
Ma a differenza di un sistema elettrico, il nostro sistema
nervoso ha la capacità di adattarsi e gestire questa improvvisa
scarica di energia, almeno fino ad un certo punto.
Un’impennata improvvisa di energia emozionale che può
essere rabbia, paura ma anche euforia eccessiva, esaspera il
sistema nervoso che deve subito incanalare e gestire
quest’energia. Di solito noi pensiamo che la soluzione migliore
sia fuggire o allontanarsi immediatamente dalla causa esterna
scatenante ma così creiamo ulteriore resistenza mentale e solo
un momentaneo abbassamento della frequenza vibratoria.
In realtà se non opponessimo nessun tipo di resistenza mentale
e permettessimo al flusso di energia emozionale di scorrere
dentro di noi rimanendo testimoni silenziosi di noi stessi, il
nostro sistema nervoso risolverebbe in maniera intelligente e
rapida la marea elettrica emotiva.
C’è un solo modo affinché il nostro sistema nervoso faccia tutto
ciò: accettando e permettendo al dolore di esistere, senza
nessuna resistenza.
Il dolore è l’incapacità dei nostri binari energetici di supportare
un certo quantitativo di energia. Un alchimista lavora
direttamente sui suoi binari energetici aumentandone la
capacità e la resistenza e come lo fa? Imparando ad affrontare
volta per volta il dolore ogni volta che si presenta. Questa è la
sua strategia, questo è il suo potere.
Ad un alchimista non interessa cambiare il mondo fuori per
adattarlo alle sue esigenze. L’alchimista lavora per adattare se
stesso alle esigenze dell’universo e così diventa più forte.
Se ho paura di prendere l’ascensore e decido di affrontare poco
per volta la mia paura quest’ultima scemerà sempre di più. In
realtà sarà il mio apparato psicofisico che si adatterà alla paura
fino a trasmutarla in coraggio.
Non c’è nessun segreto, nessuna formula magica. Il dolore deve
essere accettato, deve essere osservato e vissuto senza giudizio.
La nostra consapevolezza silenziosa è la pietra filosofale che
trasmuta ogni cosa in luce.

“Focalizzate l’attenzione sull’emozione dentro di voi.


Accettate la sua esistenza. Non pensateci, non lasciate che
l’emozione diventi pensiero. Non giudicate o analizzate;
osservate. Diventate consapevoli delle sensazioni legate
all’emozione, ma anche di Colui che osserva, l’Osservatore
Silenzioso.”
Eckhart Tolle

Se riusciamo ad accettare ed osservare ogni emozione negativa


senza volerla cambiare, questa stessa osservazione la
trasmuterà in energia pura.
Tutto è una sola energia che vibra su diverse frequenze.
Un’energia positiva vibra più velocemente di un’emozione
negativa.
L’alchimista è colui che brucia un’emozione negativa sul fuoco
della propria consapevolezza aumentandone così la vibrazione
e trasmutandola in un’emozione superiore.
Così la paura diventa amore, la gelosia diventa passione, la
rabbia impeto guerriero.
Il dolore del passato

Non tutta l’infelicità deriva da una resistenza al momento


presente. Gran parte del nostro dolore viene dal passato ossia
da quelle emozioni negative che non siamo riusciti a risolvere a
suo tempo e che rimangono congelate nel nostro spazio di
inconscio.
Tutte queste emozioni irrisolte vanno a formare ciò che
Eckhart Tolle chiama il Corpo di Dolore:
“Qualsiasi emozione negativa che non sia completamente
confrontata e vista per quello che è nel momento in cui nasce,
non si dissolve completamente. Si lascia dietro un resto di
dolore. […] I resti del dolore rimasto da una qualsiasi forte
emozione negativa non affrontata, non accettata, e quindi
non lasciata andare, si uniscono per formare un campo
energetico che vive in ogni cellula del vostro corpo. […]
Questo campo di emozioni vecchie, ma ancora molto presenti
e che vivono in quasi tutti gli esseri umani, è il corpo di
dolore. […] Il corpo di dolore è una forma di energia semi-
autonoma che vive nella maggior parte degli esseri umani,
un’entità fatta di emozioni. Ha una sua intelligenza primitiva,
non dissimile dalla furbizia animale, diretta principalmente
alla sopravvivenza.
Come tutte le forme di vita, periodicamente ha bisogno di
nutrirsi, di prendere nuova energia, e il cibo che richiede
consiste di energia compatibile con la propria, un’energia che
vibra a una frequenza simile. Ogni esperienza emozionale
dolorosa può essere usata come cibo dal corpo di dolore; ecco
perché prospera con il pensiero negativo così come nel
dramma delle relazioni. Il corpo di dolore è dipendente
dall’infelicità.
Può essere uno shock quando comprendete per la prima volta
che vi è qualcosa in voi che periodicamente cerca emozioni
negative, cerca infelicità.”
Eckhart Tolle

Il corpo di dolore è l’insieme delle ferite emozionali, di tutte


quelle memorie che come parassiti circolano nel nostro
inconscio e sono la causa di gran parte della nostra sofferenza.
Ma vediamo da vicino come si formano.
Sono un bambino e sto cantando nel salotto di casa mia a
squarciagola. Con me c’è mia cugina che ride e si diverte.
Rincasa mio padre tutto nervoso perché gli si è rotta l’auto e ha
fatto ritardo al lavoro. Sbatte la porta e si butta sul divano. Io
corro da lui e grido come un matto. Mio padre impulsivamente
mi urla contro: “Stai zitto, cazzo che mi fai venire il mal di
testa!” e mi molla un ceffone in pieno viso.
La mia consapevolezza del momento è ovviamente limitata
vista l’età e ciò mi impedisce di comprendere quanto sta
accadendo e di rispondere adeguatamente. Il mio sistema
mente-corpo allora cosa fa? Congela l’esperienza in una
rappresentazione multisensoriale di tutto ciò che ho percepito
con i miei sensi: il profumo che aveva mio padre, come era
vestito, il suono della sua voce, il rumore dello schiaffo. In più
si aggiungono le mie reazioni: paura, blocco del respiro, pianto
inespresso.
Tutto questo è una memoria congelata che come un asteroide
orbiterà nella mia psiche.
Questa memoria è fatta di energia emozionale, che viene
letteralmente cristallizzata dalla mia limitata consapevolezza,
per poterla gestire in qualche modo.
Essendo fatta di energia elettromagnetica questa memoria
entrerà in risonanza con tutte le situazioni che ricordano
seppur vagamente l’evento che l’ha generata e attiverà tutta la
sua carica emotiva trattenuta.
Perché fa questo? Per essere sciolta e guarita. Ecco perché
attiriamo letteralmente certe situazioni dolorose nella nostra
vita: per guarire le nostre ferite.
Ed ecco perché la famosa “Legge dell’Attrazione” non sempre
funziona. Se voglio qualcosa, la mia emanazione mentale
collide con le mie memorie emozionali e queste ultime sono più
forti dei miei desideri. La legge di Attrazione – meglio dire, La
legge di Risonanza – funziona sempre che ci piaccia o no. Ma
per realizzare i nostri desideri, dobbiamo prima guarire le
nostre ferite e affrontare le paure che ne derivano perché
queste hanno una carica magnetica molto più forte.
Guarire il corpo di dolore

“Il corpo di dolore vuole sopravvivere, al pari di ogni altra


entità esistente, e può sopravvivere solo se vi induce a
identificarvi inconsapevolmente con esso. Deve alimentarsi
tramite voi. Si nutrirà di ogni esperienza che entri in
risonanza con il suo stesso tipo di energia, ogni cosa che crei
ulteriore dolore sotto qualunque forma: collera, capacità
distruttiva, odio, afflizione, dramma emozionale, violenza,
perfino malattia.”
Eckhart Tolle

In questo modo, come abbiamo visto, il corpo di dolore crea


nelle nostre vite situazioni che riflettono la sua frequenza
vibratoria, al solo scopo di trarne nutrimento. Il dolore può
alimentarsi solo di dolore.
La sua sopravvivenza dipende dalla nostra identificazione
inconsapevole con esso, e soprattutto dalla nostra tendenza a
evitarlo o reprimerlo. Se non lo affrontiamo saremo costretti a
riviverlo ripetutamente. C’è quindi solo una possibilità.

“Nel momento in cui lo osservate, ne avvertite in voi il campo


energetico e vi rivolgete la vostra attenzione, l’identificazione
è interrotta. Così avete raggiunto il potere di Adesso.
L’inconsapevolezza lo crea; la consapevolezza lo trasforma in
se stessa. San Paolo disse: 'Ogni cosa si rivela con
l’esposizione alla luce, e tutto ciò che è esposto alla luce
diventa a sua volta luce'. Se lo combattete creerete un conflitto
interiore e pertanto ulteriore dolore. Osservarlo è sufficiente.
Implica accettarlo come parte di ciò che esiste in quel
momento. Il corpo di dolore si compone di energia vitale
intrappolata che si è staccata dal nostro campo energetico
totale ed è diventata temporaneamente autonoma attraverso
il processo innaturale di identificazione con la mente.”
Eckhart Tolle

La consapevolezza è il rimedio, la consapevolezza è la risposta.


La consapevolezza è il Segreto.
Ecco dunque quello che possiamo e dobbiamo fare di fronte al
dolore passato e presente:
Focalizziamo l’attenzione sulla sensazione dentro di noi.
Non permettiamo che la sensazione diventi pensiero. Non
giudichiamo, non analizziamo, non creiamo un’identità su di
esso.
Rimaniamo presenti e osserviamo imperterriti ciò che accade
dentro di noi.
Diventiamo consapevoli non solo del dolore emozionale ma
anche di “colui che osserva”, l’osservatore silenzioso.
Questo è tutto ciò che occorre fare. Tutte le tecniche di rilascio
ed equilibrio emozionale sono supplementari a questo e
funzionano solo se applicate in concomitanza al lavoro di
consapevolezza.
Senza consapevolezza non esiste guarigione. Con la
consapevolezza e l’accettazione qualsiasi tecnica funziona.
Dove il dolore finisce

Non la sentivo da quasi un anno. Mi telefona con voce esitante


e mi chiede di vederci. Lei è una mia carissima amica che vive
nel mio stesso paese ma che per lavoro e altri interessi ci siamo
persi di vista.
Ha un terribile dolore alla spalla destra ormai da quasi due
anni; ha visitato ogni dottore, tentato ogni terapia
farmacologica, psicologica, energetica e spirituale, provato
diversi metodi, e meditazioni, persino l’autoipnosi. Aveva solo
ricevuto un sollievo temporaneo. Sa che mi occupo di EFT –
una tecnica di rilascio emozionale semplicissima e senza
controindicazioni che unisce in sé i principi dell’agopuntura e
della Psicologia Energetica – e vuole fare un tentativo; tanto,
dice, ormai non ha più nulla da perdere.
Vado a casa sua. Mi dice che il dolore è presente come un
sottofondo costante e l’accompagna per tutta la giornata.
Mi guarda, sorride; forse mi sfida. Le spiego brevemente cos’è
l’EFT e la informo che non faccio miracoli e non mi interessa
guarirla. Inarca le sopracciglia e crede sicuramente di aver
capito male.
Cominciamo il trattamento e le faccio fare un primo giro di
picchettamento facendole ripetere la frase: “mi amo e mi
accetto profondamente e completamente con questo dolore e
mi do la possibilità di lasciarlo andare.” Le chiedo di
descrivermi il dolore, che ha la forma di una palla fredda, di
colore verde acido, con delle punte, che lentamente gira nella
sua spalla.
Dopo il primo giro le chiedo come va. I suoi occhi sono rigidi,
impenetrabili: “sempre lo stesso, niente!” mi dice caustica.
Comincio un secondo giro con un’altra frase ma ad un certo
punto mi fermo e, dopo qualche attimo di silenzio, le dico che
non c’è niente da fare, non c’è possibilità che passi, che questo
dolore se lo porterà tutta la vita.
Mi guarda. Sostengo il suo sguardo. Vacilla, io no.
“Perché?” mi domanda con tutta la frustrazione che ha in
corpo. “Che cosa vuole da me?” I suoi occhi si inumidiscono.
“Cosa succede se non puoi allontanare questo dolore? Cosa
succede adesso?” le chiedo.
“Mi sento finire”.
“Finisci, allora”.
Finalmente piange.
“Che forma ha questo dolore? Che colore ha? Che sapore…”
“Ancora!”
“Sì, ancora!”
“Che forma ha? Che colore? Che sapore? Che consistenza? Che
succede se sta con te?”
“È rotondo, pieno di aculei e si muove, puzza di acciaio ed è
disgustoso.”
“Lascialo muoversi, crescere, bruciare. Tanto non hai più nulla
da perdere. L’unica cosa, respira…”
Immediatamente un’ondata di panico sgorga nel suo corpo
sotto forma di tremore. Un’atavica paura di essere sopraffatta,
di morire, di impazzire.
“Respira!”
Il suo intero corpo trema freneticamente.
“Respira, respiriamo insieme, fidati di me.”
Dopo qualche minuto, la paura si placa e lei chiude gli occhi. Il
suo viso ora è disteso, le sue braccia abbandonate lungo i
fianchi. Il dolore sembra sparito. Riapre gli occhi e mi fissa.
Cos’è successo? Dove è andato il dolore? Comincia a cercarlo
perlustrando l’intero suo corpo. “Già ti manca!” le dico e
ridiamo insieme.
Il dolore aveva trovato lo spazio necessario per esistere, fare ciò
che doveva fare e andarsene.
Siamo noi, senza volerlo, che lo tratteniamo ripudiandolo e così
lo incastriamo nei muscoli, tra i tendini, nelle ossa, negli
organi.
Quanta rabbia, quanta paura, quanta disperazione, quanti “no”
mai detti sono stati bloccati dentro di noi ogni volta che non ci
siamo dati il permesso di provare ciò che sentiamo.
Bisogna imparare a osservare ogni forma dolore senza nessuna
intenzione di volerlo mandare via. Bisogna accoglierlo come un
ospite, lasciarlo entrare senza chiudere la porta. Il dolore è
energia che ha preso una configurazione caotica a causa della
nostra inconsapevolezza e della nostra paura.
Possiamo rimanere con il dolore, senza fuggirlo, tenendolo fra
le mani come se fosse un ragno che potrebbe morderti? Ci
vuole coraggio, lo so ma è l’inizio di ogni guarigione. Possiamo
stare con il nostro dolore senza reprimerlo, senza
razionalizzarlo, senza cercarne le cause, ma guardandolo come
si guarda una tempesta in lontananza o un fulmine che spacca
il cielo e fa ammutolire la terra? È possibile scorgere la bellezza
nel dolore?
Continuando ad osservarlo con curiosità, passione, senza il
minimo movimento di pensiero o di fuga, l’atto stesso di
osservare, porta con sé serenità che, come un lenzuolo, inizia
ad avvolgere il dolore. E questo è l’inizio della fine. Il dolore
può prosperare solo dove c’è una qualsiasi forma di resistenza e
la resistenza nasce dal rifiuto, dalla non accettazione di ciò che
è.
Quando riusciamo a stare con il dolore senza nessuna
esitazione, quando lo abbracciamo con tutto noi stessi, il dolore
comincia a diminuire. E inizia la pace che porta quell’amore
che accetta ogni cosa senza condizioni. E dove c’è amore non ci
può mai essere dolore.

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