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Storia di Benevento
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La storia di Benevento comprende una serie di eventi che hanno interessato la città di
Benevento dall'antichità ai giorni nostri.
Indice
Origine del nome
La fondazione mitica
L'epoca preromana
Le guerre sannitiche e il periodo repubblicano
Il periodo imperiale
La città romana negli anni del massimo
splendore
Origini del cristianesimo
Dalla caduta dell'Impero Romano alla venuta dei Incisione di P.J. Gaultier su disegno di G.B.
Longobardi Natali raffigurante il cinghiale stolato, simbolo
della città di Benevento. Secondo la leggenda fu
Il periodo longobardo
l'eroe acheo Diomede a fondare Benevento e,
Il ducato
come segni di riconoscimento, lasciò alla città le
Zottone e Arechi I zanne del cinghiale caledonio che suo zio
Grimoaldo, Romualdo I e l'assedio di Meleagro aveva ucciso nei boschi dell'Etolia.
Benevento del 663
San Barbato, la conversione dei
Longobardi e la storia delle streghe
I successori di Romualdo I
Il principato
Arechi II e i suoi successori
La guerra civile tra Benevento e Salerno
Da Adelchi a Pandolfo Capo di Ferro
La fine del principato
La dominazione pontificia
Dal 1077 agli statuti cittadini del 1202
Dall'assedio di Federico II alla battaglia di
Benevento
Dal privilegio di Clemente IV agli statuti di
Eugenio IV
Dalla metà del Quattrocento alla metà del
Seicento
Il periodo orsiniano
Concili tenuti a Benevento
Papi venuti a Benevento
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Secondo la teoria di Raffaele Garrucci pare che il primo nome della città sia stato, in lingua osca,
Malies o Malocis, poi mutato in Maloenton (oppure Maloenta o Malowent). Questa tesi si fonda
sul ritrovamento di una moneta bronzea del IV secolo a.C. riportante la scritta Malies sull'esergo,
oltre ad una testa di donna con la capigliatura chiusa in un sakkos; sul rovescio sono raffigurati un
bue con volto umano, e in alto una testa barbata. Un'altra moneta, coetanea, porta raffigurato nel
rovescio un bue, ed in alto un elmo coi guanciali, e nel diritto una testa giovanile che si può
supporre essere quella di Apollo.[1]
Secondo un altro storico, Gianni Vergineo, il nome originario della città, Maloenton, è di genesi
greca. Malòeis, da Malon, variante dorica dell'attico Mèlon (questo aspetto dorico si collega con la
provenienza del mitico fondatore di Benevento, Diomede) che significa gregge di pecore o capre, è
una forma aggettivale il cui significato indica una zona piena di mandrie di pecore e di capre, con
evidente riferimento all'attività silvo-pastorale praticata largamente dai Sanniti. Vergineo, inoltre,
non esclude la derivazione di Maloenton da mallos (vello di pecora).[2]
Il genitivo di Malòeis esce in entos, quindi Malòentos. A causa della somiglianza del morfema
entos con iontos (genitivo del participio presente di iènai = venire), i Romani coglievano nel nome
originario di Benevento un "malum eventum". Solo con la vittoria di Pirro del 272 a.C. si ebbe la
trasformazione in Beneventum, ad indicare un buon auspicio.[3]
Un'ulteriore ipotesi vede l'origine del nome in un altro animale simbolo di Benevento, il toro,
simbolo dei Sanniti. Il poeta greco Teocrito, infatti, chiama il toro Malon.[2]
La fondazione mitica
La leggendaria fondazione di Benevento è legata alla figura mitologica di Diomede, acheo ricordato
nell'Odissea di Omero per la sua prodezza[4] e celebrato da diversi storici che gli attribuiscono la
fondazione di numerose città della Daunia.[5]
Stando al mito, Diomede, vittima dell'infedeltà coniugale, è costretto a lasciare la patria greca per
venire in Italia, dove fonda Arpi e aiuta il re Dauno in una guerra contro i Messapi. Il re gli nega il
premio promesso (una parte del regno) ma Diomede insiste, rivendicando il suo diritto. Interviene
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allora in veste di giudice un suo fratello naturale che gli dà torto perché innamorato della figlia di
Dauno, Evippe. L'eroe acheo si impadronisce di una parte del regno tracciando il confine con delle
pietre. Dauno le fa togliere ma esse ritornano al loro posto.[6]
La versione beneventana del mito è data da Procopio di Cesarea (VI sec.) il quale afferma che «la
città fu fondata da Diomede figlio di Tideo, respinto da Argo dopo la presa di Troia. Come segni di
riconoscimento lasciò alla città le zanne del cinghiale caledonio che suo zio Meleagro aveva ucciso
come trofeo di caccia: si trovano tuttora lì e sono uno spettacolo da vedere, con quella forma di
mezza luna e con quella lunghezza di non meno di tre spanne».[7]
Il cinghiale caledonio citato nella leggenda, in epoca medievale è diventato il simbolo di Benevento
tanto da essere raffigurato ancora oggi nello stemma comunale. A tal proposito uno storico
beneventano del XIX secolo racconta che della nobile origine di Benevento «fa piena testimonianza
lo stemma di marmo greco incastonato nel campanile dell'arcivescovado, rappresentante il
cinghiale caledonico ucciso da Meleagro, zio di Diomede, nei boschi dell'Etolia; e la stessa caccia si
osserva in un bassorilievo esistente nel palazzo arcivescovile».[8]
All'eroe Diomede è legata anche la fondazione di Argirippa (la città del cavallo). In due antiche
monete beneventane di epoca romana viene riprodotta la figura del cavallo con la scritta Malies,
nella più antica (IV sec. a.C.), e Beneventod, nella più recente.[9]
L'epoca preromana
La posizione strategica e le condizioni ambientali della zona hanno costituito un motivo di forte
attrazione per le popolazioni di varie epoche. Durante il corso degli anni in vari scavi occasionali
sono state trovate diverse tracce di insediamenti ascrivibili al periodo neolitico. Alcuni decenni fa è
stata rinvenuta nel corso di un'esplorazione archeologica nel giardino dell'ex-collegio La Salle in
piazzetta Vari una necropoli dell'orientalizzante antico (fine VIII - inizi VII secolo a.C.).
La prima grande fase della storia di Benevento, di cui poco è noto, è legata alle vicende dei Sanniti.
Il primitivo insediamento era collocato in contrada Cellarulo, alla confluenza dei fiumi Sabato e
Calore, in una posizione di confine fra il Sannio caudino e il Sannio irpino. Esso sorgeva su aree
piane e feconde, in terreni adatti alla pastorizia e all'agricoltura, in una posizione favorevole agli
scambi commerciali.[10]
Al IV secolo a.C. sono datate due necropoli sannitiche venute alla luce poco distanti fra di loro, una
ancora nei pressi dell'ex Collegio La Salle ed un'altra alla Rocca dei Rettori, caratterizzate dalla
presenza di tumuli di terra di forma diverse che coprono una o più sepolture. Notevole tra queste
una tomba realizzata in blocchi di tufi giallo e grigio, squadrati e connessi tra di loro a formare una
cassa chiusa da una copertura a baule; in essa è stata rinvenuta una scala di accesso realizzata
mediante la costipazione in gradini di scaglie di lavorazione dei blocchi. All'interno lo scheletro era
fornito di un corredo non molto abbondante ma di gran pregio rappresentato da una patera
bronzea che conteneva un coltello in ferro, due fibule in ferro e una fibbia in bronzo. Una necropoli
coeva è stata trovata poi alla periferia della città, in contrada Olivola, dove sono venute alla luce
tombe di guerrieri con cinturoni ed armi. Altri manufatti di ceramica e bronzo (VIII-VII a.C.),
rinvenuti in diverse campagne di scavo, si conservano nel Museo del Sannio.[11]
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I Sanniti, subito dopo la vittoria, aizzarono le altre popolazioni italiche del Centro e del Sud Italia
(Etruschi in primis) contro i Romani, dando vita alla Terza Guerra Sannitica (298 a.C. - 290 a.C.
circa). Stavolta però furono i Romani ad averla vinta, sconfiggendo uno ad uno tutti gli alleati dei
Sanniti e costringendo infine questi ad un trattato di pace intorno al 290 a.C. Sembra che
Maleventum fu presa dai Romani, anche se l'occasione precisa è ignota, divenendo colonia romana
nel 268. Di sicuro era nelle loro mani nel 275 a.C., quando essi domarono definitivamente i nemici
a seguito della vittoria ottenuta su Pirro, re d'Epiro, proprio a Maleventum.[12]
Nel 268 a.C., Benevento diventò definitivamente una colonia romana con i diritti delle città latine.
Durante la seconda guerra punica fu ripetutamente utilizzata dai generali romani come postazione
importante, vista la sua vicinanza alla Campania, e la sua resistenza come fortezza. Nelle sue
immediate vicinanze si ebbero due delle azioni più decisive della guerra: la battaglia di Benevento
(214 a.C.), in cui il generale cartaginese Annone fu sconfitto da Tiberio Gracco; l'altra nel 212 a.C.,
quando l'accampamento di Annone, in cui aveva accumulato una grande quantità di grano e altre
provviste, fu assaltato e preso dal console romano Quinto Fulvio Flacco.[13] E nonostante il suo
territorio fosse stato più volte lasciato desolato dai Cartaginesi, Beneventum era ancora una delle
18 colonie latine che nel 209 a.C. poterono e vollero immediatamente fornire la quota di uomini e
danaro richiesta per continuare la guerra.[14]
È notevole che non ci sia menzione di Benevento durante la guerra sociale (91-88 a.C.); sembra che
fosse scampata alle calamità che a quel tempo affliggevano molte città del Sannio, e verso la fine
della Repubblica romana se ne parlava come una città piuttosto opulenta[15], situata all'incrocio tra
la Via Appia e la Via Minucia (la futura Via Appia Traiana).[16]
Il periodo imperiale
Nel 42 a.C., sotto il secondo triumvirato, Lucio Munazio Planco dedusse a Benevento una colonia
per i veterani (Iulia Concordia Felix Beneventum; si narra che a distribuire i lotti sia stato un rozzo
centurione di nome Cafo, da cui la parola cafone). Il territorio della città fu parecchio allargato,
aggiungendovi quello di Caudium; una terza colonia vi fu stabilita da Nerone. Nelle iscrizioni del
regno di Settimio Severo, la città portava il titolo di Colonia Julia Augusta Concordia Felix
Beneventum.[17]
Da un punto di vista amministrativo, in epoca imperiale la città (unitamente alla vicina Irpinia) fu
definitivamente staccata dal Sannio e aggregata dapprima alla regio II Apulia et Calabria (ossia
alla Puglia) dall'imperatore Augusto, per poi passare alla Campania a seguito della riforma
amministrativa operata da Adriano[18]
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Pare inoltre che la Benevento romana sia stato luogo di grande attività letteraria, a cominciare dal
grammatico Orbilio Pupillo, che insegnò a lungo nella città nativa prima di trasferirsi a Roma, e fu
onorato con una statua dai suoi concittadini; esistono iscrizioni che danno onori simili ad un altro
grammatico, Rutilio Eliano, e a svariati oratori e poeti di celebrità locale.
Secondo una leggenda priva di riscontri documentali il primo vescovo di Benevento sarebbe stato
San Fotino, consacrato vescovo della città da San Pietro nel 40 d.C.[22]
Il primo vescovo di cui si ha notizia certa è San Gennaro, nato verso l'anno 272 a Benevento e
martirizzato nell'anno 305 ai tempi della persecuzione dioclezianea contro i cristiani.[23]
Nel 313 d.C. l'editto di tolleranza sancì la libertà di culto. Due secoli dopo, nel 526, fu eletto papa il
cardinale presbitero San Felice del Sannio, primo beneventano a succedere all'apostolo Pietro.
I Goti guidati, da Teodorico, nel 490 molestarono la città, ma poi ne furono scacciati da Belisario,
generale dell'Imperatore d'Oriente Giustiniano, tra il 536 ed il 537. Totila, approfittando delle
discordie intestine, alimentate da lui medesimo, tra i partigiani dei Goti e quelli dell'imperatore
d'Oriente, nel 545 la riprese, ne distrusse i migliori edifici e ne diroccò le mura.[11]
Narsete, altro generale dell'Imperatore d'Oriente, dopo aver sconfitto i Goti alle falde del Vesuvio, e
respinti i Franchi fuori d'Italia (ragion per cui venne nominato Esarca), aggrega violentemente la
città al dominio bizantino.[24] In seguito cadde in possesso dei Longobardi che, nell'anno 571,
fondarono il celebre ducato di Benevento.
La città, all'arrivo dei Longobardi comandati da Zottone (570), versa in una situazione spaventosa.
La popolazione, costituita da Sanniti originari, Romani delle varie deduzioni coloniali, Goti di
recente aggregazione, Bizantini di diversa estrazione, vive allo stremo, fra carestie e pestilenze, in
un tessuto urbanistico lacerato da decenni di eventi bellici.[25]
Il periodo longobardo
Il ducato
Zottone e Arechi I
I Longobardi fecero di Benevento la capitale di un potente ducato longobardo che, pur essendo
sostanzialmente indipendente, gravitò nell'area di influenza del regno longobardo dell'Italia
settentrionale. Primo duca fu Zottone che resse le sorti del feudo dal 570 fino alla sua morte
avvenuta nel 590. Durante i venti anni di governo Zottone, benché "ariano o pagano", riuscì a
stabilire delle relazioni con la popolazione locale e, forse, anche a riorganizzare il centro urbano e a
gettare i primi fondamenti amministrativi.[27]
Arechi I in punto di morte raccomanda come suoi successori i fedelissimi Rodoaldo e Grimoaldo,
ed esclude dalla successione suo figlio Aione, ritenendolo inadatto a guidare il ducato. Alla sua
morte tuttavia gli succede proprio il figlio Aione che riceve l'ubbidienza dei notabili longobardi,
compresi Rodoaldo e Grimoaldo. Dopo un anno e cinque mesi un esercito di Schiavoni minaccia i
confini del ducato e Aione, nell'assenza dei suoi fedeli militi, marcia verso i nemici per catturarli
ma cade da cavallo in una fossa scavata nel terreno. Aione viene quindi assalito e brutalmente
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ucciso ma la sua morte viene vendicata da Rodoaldo, che assume la guida del ducato nel 642. Nel
647 gli succedette Grimoaldo, che governò il ducato per ben venticinque anni in maniera energica
ma illuminata allo stesso tempo.[28]
Nel 662 Grimoaldo intervenne nella lotta per la successione del regno longobardo scatenatasi tra
Godeperto e Pertarito, i due figli di Ariperto I tra i quali il testamento del sovrano aveva ripartito il
regno. Grimoaldo, nel tentativo di imporsi su entrambi e salire al trono, approfittò della richiesta di
aiuto rivoltagli da Godeperto, che gli offrì la sorella in moglie. Sentendosi legittimato nella sua
pretesa proprio in virtù di questo matrimonio, affidò al figlio Romualdo il ducato e marciò verso
nord con truppe, oltre che del suo ducato, anche di quelli di Spoleto e della Tuscia. Giunto a Pavia,
eletta da Godeperto a capitale della sua porzione di regno, uccise il sovrano legittimo; a Milano
Pertarito, consapevole della sua evidente inferiorità, abbandonò a sua volta il regno e riparò presso
gli Avari. Grimoaldo divenne pertanto re dei Longobardi.[29]
A Grimoaldo succede nella guida del ducato Romualdo I che deve affrontare l'avanzata dell'esercito
bizantino guidato dall'imperatore Costante II. Dopo essere sbarcato a Taranto, Costante muove
vittorioso verso Benevento col proposito di liberare l'Italia dai Longobardi. Arrivato nei pressi della
città la circonda e la assedia con tutto il suo esercito. A Romualdo non resta altro da fare che
chiedere l'aiuto del padre, aiuto che non tarderà a venire anche se con non poche difficoltà dovute
alle numerose diserzioni. Frattanto Sessualdo (o Gesualdo), figlio di Grimoaldo, viene catturato dai
nemici. Questi, interrogato sulla sua provenienza, spaventa Costante, dicendogli che è in arrivo un
grande esercito guidato dal padre. Costante adotta uno stratagemma: mentre tratta con Romualdo
per poter raggiungere Napoli, fa condurre Sessualdo presso le mura di Benevento, sotto minaccia
di morte, perché dica agli assediati di non sperare nell'aiuto di Grimoaldo, trattenuto lontano.
Sessualdo, una volta sotto le mura, dice la verità e quest'atto di patriottismo gli costa la vita:
decapitato, la testa è gettata da una catapulta nella città, dove Romualdo la bacia in lacrime.
Costante è costretto a togliere l'assedio per dirigersi a Napoli ma a Capua viene fermato dai locali
Longobardi e sconfitto duramente.[30] Romualdo per celebrare le eroiche gesta di Sessualdo (o
Gesualdo) fece dono alla sua discendenza di un feudo posto lungo i confini meridionali del Ducato.
La figura di San Barbato, vescovo di Benevento, ha un alone di leggenda. Nel racconto di uno
storico del Seicento è scritto che Barbato ridusse al vero culto cristiano i Longobardi, con il loro
duca, i quali erano ancora legati all'idolatria mediante il culto della vipera e "altre indegnità".
Divenuto vescovo per uno spazio di ben diciannove anni, governò santissimamente la diocesi
invitando i Longobardi ad abbandonare le superstizioni e a concedersi interamente alla vera fede.
L'assedio di Costante II e i patimenti della guerra costrinsero i Longobardi ad abbandonare i culti
idolatrici e ad abbattere il noce, albero demoniaco attorno al quale avvenivano strani rituali.[31]
Secondo la leggenda mentre si estirpava l'albero «dalle sconvolte radici venne fuori uno squamoso
ed arido serpente, il diavolo».[32]
Attorno all'albero avevano luogo ricorrenti riunioni durante le quali i partecipanti solevano
saettare una pelle di caprone sospesa ad un ramo, per poi masticarne alcune parti al fine di
impossessarsi della forza in essa contenuta. Questo rito, di natura omofagica, non era altro che un
banchetto totemico in cui si mangiavano le carni crude dell'animale sacrificato.[33]
Da questa pratica primitiva, in uso presso i primi Longobardi, è nata la leggenda delle streghe, che
ha avuto origine nei secoli XII e XIII. Secondo la leggenda le streghe solevano riunirsi attorno al
noce per fare strane danze e magici rituali. Il protomedico Pietro Piperno in un suo libro illustra
minuziosamente una di queste adunanze: «Un certo Lamberto Alotario [...] alla vigilia del SS.
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I successori di Romualdo I
Dopo il breve periodo di Grimoaldo II la corona passa al fratello Gisulfo I che, approfittando della
lotta tra il papato e l'imperatore d'Oriente, annette Sora, Arpino, Arce e Aquino. Il successore
Romualdo II riceve da papa Sisinnio doni e concessioni e strappa al duca di Napoli la città di
Cuma.[36]
Nel 732, dopo la morte di Romualdo II (sposato ad una nipote del re Liutprando, dalla quale aveva
avuto un figlio, Gisulfo, ancora minorenne), una fazione autonomista, capeggiata dal gastaldo
Audelais si oppose alla successione. Il re Liutprando, intervenuto nella vicenda, depose
l'usurpatore e insediò come duca, in attesa della maggiore età di Gisulfo, un altro suo nipote
(Gregorio, già duca di Chiusi), portando il ducato sotto il suo pieno controllo.[37]
A Gisulfo II succede il figlio Liutprando di Benevento che appoggia la politica antipapale del nuovo
re longobardo Astolfo partecipando persino all'assedio di Roma del 756. Con la morte di Astolfo e
l'ascesa al trono di Desiderio, Liutprando si distacca dall'area di influenza della corte reale
longobarda intrecciando relazioni con i Franchi. In conseguenza, re Desiderio marcia su Benevento
e sostituisce a Liutprando, fuggito a Otranto, Arechi II, il quale aveva sposato la figlia del re,
Adelperga.[38]
Il principato
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Nel novembre 774, subito dopo essere stato solennemente incoronato principe, Arechi II decide di
inviare membri delle famiglie Cortisani e Baccari da Benevento ad occupare la zona mediana del
fiume Biferno.[41][42]
Alla morte di Arechi (787) diventa principe di Benevento il figlio Grimoaldo III che subito si mette
all'opera per ridurre l'influenza bizantina nell'Italia meridionale. In una violenta battaglia,
Grimoaldo sconfigge i Bizantini guadagnandosi l'ammirazione di Carlo Magno. Sotto il suo governo
si rafforza il potere dell'aristocrazia, la quale sarà decisiva per eleggere il suo successore,
Grimoaldo IV. Costui faceva parte del corpo di guardia del predecessore e governò il principato per
pochi anni a causa di una congiura di palazzo che lo vide vittima, architettata da Sicone, gastaldo di
Acerenza.[43]
Sicone I aggredì i ducati costieri (Napoli, Amalfi, Sorrento, ecc.) e spadroneggiò sulla città
partenopea; impose pesanti tributi e ricattò i napoletani dopo aver preso in ostaggio il corpo di San
Gennaro. Il figlio Sicardo I continuò la politica espansionistica del padre ma i napoletani lo
costrinsero a stipulare la pace il 4 luglio 836. A Lipari sottrae le preziose reliquie di San
Bartolomeo ai Saraceni e le porta a Benevento dove tuttora vengono custodite. Muore nell'anno
839 a causa di una congiura.[43]
È l'inizio della parabola discendente del principato. L'atto di divisione, formalmente, è un atto di
donazione fatto da Radelchi a Siconolfo. Benevento cede a Salerno i gastaldati di Taranto, Cassano,
Cosenza, Laino, Latiniano, Montella, Furculae, Acerenza (metà), oltre alla città di Salerno. A
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Benevento restano i distretti di Brindisi, Bari, Canosa, Lucera, Siponto, Ascoli, Bovino, Sant'Agata,
Telese, Alife, Isernia, Boiano, Larino, Biferno, Campobasso. Pochi anni dopo, nell'860, la
secessione del gastaldato di Capua strappa altri territori a Benevento.[44]
I nobili beneventani ben presto si stancano del loro nuovo principe perché mal sopportano il
declassamento della città di fronte a Capua. Essi acclamano il vescovo Pietro e lo vogliono alla
guida del principato, ma Atenolfo, al fine di sedare i ribelli, manda il vescovo in esilio a Salerno e
introduce una nuova forma di governo. Il nuovo sistema, nato per scongiurare guerre dinastiche,
vede la condivisione dell'opera di governo fra fratelli e figli. Atenolfo, inoltre, costituisce una lega
militare e sconfigge una potente colonia saracena che aveva devastato abbazie e monasteri della
Campania. Il figlio Landolfo I di Benevento chiede aiuto ai Bizantini per sconfiggere
definitivamente i Saraceni. L'imperatore Leone VI il Saggio gli concede l'ambito titolo di imperiale
patrizio ma, per non andare contro gli interessi dell'impero, rifiuta di concedergli aiuto. Landolfo
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però in pochi anni riesce a formare una grande lega militare di potenze locali patrocinata da papa
Giovanni X. Nel 915 l'assalto concentrico delle forze della lega cristiana riesce a sterminare
definitivamente gli invasori musulmani.[48]
Landolfo deve però affrontare i Bizantini che diventano sempre più agguerriti. Nel 921 approfitta di
una rivolta contro il governatore bizantino per conquistare parte della Puglia ma viene respinto. Gli
succedono Landolfo II di Benevento e Pandolfo Testadiferro. Quest'ultimo riunisce Capua, Salerno
e Benevento in un unico principato, aggiungendo anche altre terre. L'ostilità di Pandolfo alle
pretese papali lo avvicina all'imperatore Ottone I di Sassonia che gli concede anche il governo di
Spoleto e Camerino. Durante questo groviglio di interessi papali e imperiali, Benevento ottiene un
importante riconoscimento allorché nel 969 papa Giovanni XIII eleva la diocesi locale a sede
metropolitana.[49]
Alla morte di Pandolfo, Benevento passa al primogenito Landolfo IV che viene ben presto
spodestato e successivamente ucciso assieme al fratello durante una battaglia nel 982. L'autore
dello spodestamento di Landolfo, Pandolfo II, continua la politica filo-imperiale del predecessore e
offre continua ospitalità a Ottone III di Sassonia. Nel 1002 respinge eroicamente un'aggressione
saracena. A Pandolfo succede Landolfo V il quale deve combattere non solo i Bizantini ma anche i
nuovi conquistatori del Sud Italia, i potenti Normanni.
La politica filo-imperiale termina con Pandolfo III il quale nel 1047 ha il coraggio di chiudere le
porte della città in faccia all'imperatore Enrico III il Nero e al papa Clemente II, che lo scomunica.
Tale gesto clamoroso è dovuto al fatto che la dinastia beneventana si sente ormai accerchiata su
ogni fronte: da una parte l'imperatore dispone a favore dei Normanni di terre longobarde, dall'altra
il papa rivendica il possesso di Benevento. Man mano che i Normanni dilagano il principato si
stringe e ai principi beneventani non resta che assistere impotenti alla fine del loro dominio. La
conferma della scomunica da parte Leone IX accentua la pressione sulla città sino a creare
profonde spaccature all'interno della nobiltà. La fazione filo-papale riesce a prevalere sulle altre e,
dal 1050 al 1055, la città resta nelle mani del pontefice. I beneventani si ribellano e richiamano i
principi che tornano a governare Benevento dopo aver reso atto di vassallaggio alla Santa Sede, con
il trasferimento effettivo della città a dinastia finita. Morto (1077) l'ultimo principe longobardo
della dinastia capuana, Landolfo VI, si conclude la dominazione longobarda e inizia quella
pontificia.[50]
La dominazione pontificia
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Morti i due primi rettori, Anzone, figlio di Dacomario, assume il ruolo di rettore per investitura di
papa Urbano II. Il giovane mette in atto un colpo di stato al fine di restaurare il principato assoluto
ma, il celere intervento di papa Pasquale II, blocca l'azzardato tentativo di Anzone. Il papa affida il
governo della città a Rossemanno, uomo di sua stretta fiducia ed estraneo all'ambiente
beneventano. Questa decisione mette in subbuglio i beneventani, i quali eleggono un loro rettore e
mandano quasi cento nobili a Roma per convincere il papa. Il pontefice conferma Rossemanno e la
città si ribella aggredendo un rappresentante del papa. L'imminente assedio normanno (1112)
divide Benevento in due fazioni: una, aristocratica, è per la difesa della città; l'altra, popolare, vuole
trattare con il nemico. Con quest'ultima sta anche l'arcivescovo, Landolfo di Gaderisio, il quale si
trova impossibilitato a svolgere la sua funzione pastorale nei comuni della diocesi soggetti ai
Normanni. Il papa interviene nuovamente con fermezza e nomina Landolfo Della Greca rettore con
poteri eccezionali militari e giudiziari. Nuovi tumulti agitano la città e il nuovo rettore, ferito
gravemente, viene sostituito. Nel 1114 i cittadini, guidati dal vescovo Landolfo, arrivano alla pace
con i Normanni.[52]
Comincia un periodo cupo della storia di Benevento, fitto di stragi e di rivolte che culminano nel
1128 quando è brutalmente ucciso il rettore Guglielmo, e il suo cadavere viene ripetutamente
oltraggiato. Per due anni la città si autogoverna in autonomia resistendo alle pressioni pontificie
ma nel 1130 papa Onorio II spinge i normanni di Ruggero II a prendere la città in suo nome. La
restaurazione del governo pontificio avviene ad opera dell'antipapa Anacleto II in combutta con il
re normanno e si conclude con un breve periodo di pacificazione al quale segue una nuova
ribellione anti-normanna. La fazione popolare riesce a prevalere sugli aristocratici e si schiera con
papa Innocenzo II, pontefice legittimo, al quale i Beneventani guardano con speranza e fiducia. Il
papa ricambia la fiducia dando un ruolo di rilievo al capo della fazione popolare, Rolpotone, il
quale avvia un'aspra lotta contro gli aristocratici che, sostenuti da re Ruggero, alla fine prevalgono
e costringono Rolpotone all'esilio a Napoli assieme ad altri mille concittadini.[53]
Con il pontificato di Innocenzo III il potere della Santa Sede raggiunge l'apice. Questo lo si evince
dagli Statuti cittadini del 1202, nei quali "l'ispirazione ierocratica e monocratica ha il sopravvento
sulla ispirazione popolare". Gli statuti mirano al consolidamento del potere pontificio e si
propongono di devitalizzare qualsiasi movimento democratico e di imbalsamare le istituzioni in
modo che non diventino strumenti di manovre anti-pontificie. Significativo a tal fine è sia l'uso
della lingua, un latino aulico e ricercato, e sia il lungo procedimento di stesura e di approvazione
che si risolse solo nel 1230 quando papa Gregorio IX li ratificò.[54]
Il documento inizia con una premessa nella quale viene narrata l'origine degli statuti e la necessità
degli stessi. Seguono le varie norme procedurali divise in più parti. La prima constitutio stabilisce
che ogni giudizio doveva avvenire secondo le consuetudini e la legge longobarda o, in mancanza di
queste, secondo la legge romana. I giudici non potevano decidere nulla senza prima aver consultato
i consoli, e qualsiasi nuova decisione di interesse comune, doveva essere presa dal consiglio dei
notabili che riuniva i vari rappresentanti delle contrade cittadine. Seguono delle norme di natura
moralistica: gli avvocati dovevano giurare di portare avanti le cause in maniera fedele e di non farle
protendere a lungo con malizia; i magistrati dovevano onorare e amare il popolo, e viceversa; gli
atti giudiziari e notarili dovevano essere redatti in buona fede ecc. La prima constitutio è firmata da
24 giurati e 12 giudici. Segue la seconda constitutio che contiene norme di diritto costituzionale.[55]
Il nuovo pontefice Gregorio IX, uomo rigido e inflessibile, intima all'imperatore svevo Federico II
di Svevia di partire per una crociata in Terra Santa. L'imperatore, a causa di motivi di salute, non
può partire. Il pontefice, senza sentire ragioni, il 29 settembre 1227 lo scomunica. Inizia così un
decennio di tensione tra gli Svevi e il Papato che culmina nel 1241 quando la città, ridotta alla fame,
viene saccheggiata e distrutta dalle truppe di Federico II.[56]
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Benevento#La_fondazione_mitica 12/22
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Il successore di Gregorio IX, papa Innocenzo IV, nel 1245 convoca un apposito concilio ecumenico
nel quale scomunica nuovamente e depone Federico II. Il pontefice in una lettera del 18 luglio 1247
rivolta a frate Bonafede, francescano di fiducia, ammette l'esistenza di una forte fazione filo-sveva e
invita il destinatario a prendere in esame i casi di tradimento, e a liberare i cittadini filo-svevi dal
peso della scomunica previo loro pentimento. La fazione filo-papale segretamente avanza e
acquista sostenitori ma le autorità sveve reprimono duramente un tentativo di sommossa il 1º
gennaio 1250. Federico II muore poco dopo e Innocenzo tenta di assoggettarsi il Regno di Sicilia
finanziando la ricostruzione di Benevento che nel frattempo si era ripopolata. Ma presto il figlio di
Federico, Corrado IV, riprende possesso del regno e con questo anche di Benevento, che non ha
possibilità di difendersi. Con la morte prematura di Corrado (1254), la Chiesa tiene la parte
settentrionale del regno e concede quella meridionale a Manfredi di Svevia in qualità di vicario
papale; ma presto Manfredi riottiene la totalità dei territori.[58]
Il nuovo papa Clemente IV intanto si accorda con Carlo d'Angiò: rinunciato al dominio nel
Mezzogiorno, viene garantito solo il ritorno di Benevento al dominio pontificio, con la
reintegrazione dei diritti della città. Manfredi decide di affrontare in battaglia Carlo d'Angiò. La
battaglia di Benevento avviene il 12 febbraio 1266 proprio presso la città. Manfredi, complici anche
le diserzioni e i tradimenti, perde e muore. Con lui cade la casata imperiale degli Hohenstaufen. Il
suo corpo viene disperso nel fiume Calore:
A tal proposito lo storico Gianni Vergineo annota: "è la soluzione più logica, perché più coerente
con il senso di quella battaglia: non si consente neppure la conservazione delle reliquie. Una tomba
può essere un tempio. E un tempio significa un culto. Di Manfredi non si vuole che resti neppure il
ricordo, perché nessuno tenti di ripercorrere la stessa via. La dispersione delle spoglie mortali alla
pioggia e al vento è dunque nell'ordine naturale degli eventi. Ma non è nella logica del destino
storico del biondo imperatore. Perciò quanto più i persecutori delle memorie sveve si affannano a
cancellare ogni relitto sepolcrale, tanto più la luce della gloria, che è il sole dei morti, riempie quel
vuoto di un fulgore intemerato, che rende la figura di Manfredi sempre più pura e grande. Ed è in
questa luce che continuano a vederlo i posteri, mentre il suo vincitore appare in un velo fosco
d'infamia..."[59]
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Benevento#La_fondazione_mitica 13/22
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Carlo d'Angiò lascia libere le sue truppe di saccheggiare la città. Per ben otto giorni l'esercito mette
Benevento a ferro e fuoco ed opera omicidi, rapine e stupri. In un atto del notaio Marino de
Maurellis si legge: «L'esercito di Carlo inebriato dalla vittoria, devasta crudelmente Benevento
senza risparmiare né vecchi né fanciulli né sacerdoti. Così l'intera città, benché docilmente
sottomessa al nuovo re non riesce ad ottenere il benché minimo riguardo: molte case distrutte, le
mura della città rase al suolo, le vergini violate pubblicamente».[60]
Finalmente nel 1304 papa Benedetto XI riconosce che è la tracotanza dei rettori pontifici a
scatenare la reazione del popolo e concede il consenso all'elezione di magistrature civiche e alla
redazione di nuovi statuti, previa approvazione di Roma. Sostanzialmente, però, non cambia
molto. Il rettore continua a giudicare e a governare contemporaneamente, facendo il bello e il
cattivo tempo. La carestia del 1316 è la goccia che fa traboccare il vaso: i Beneventani, capeggiati da
Simone Mascambruno, assaltano la sede del rettore Ugo de Laysac, travolgono le difese,
incendiano i documenti di archivio e l'edificio. Papa Giovanni XXII reagisce duramente: scomunica
Simone fino alla terza generazione, lo fa squartare e poi decapitare in pubblica piazza davanti ai
suoi concittadini. Il pontefice ordina di costruire una nuova sede per i rettori in una posizione
meglio difendibile: nasce la Rocca dei Rettori che sostituisce la precedente residenza di Piano di
Corte.[63]
I rapporti fra i Beneventani e la Santa Sede restano tesi. Nel 1385 alcuni cittadini tentano di
impedire a papa Urbano VI di entrare nella città. La persistenza dei contrasti dimostra che il
popolo non si lascia emarginare, partecipa attivamente alle adunanze e finisce sempre col restare
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Benevento#La_fondazione_mitica 14/22
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Sotto il pontificato di papa Eugenio IV la città si dota di nuovi statuti, approvati fra il 1431 e il 1440.
La ragione di questa generosa concessione è oscura; forse va ricercata nella guerra di successione
per il regno di Napoli, scoppiata alla morte della regina Giovanna II fra Angioini e Aragonesi.
Infatti il pontefice, onde evitare il coinvolgimento volontario dei Beneventani nel conflitto,
elargisce nuove concessioni alla città. L'ordinamento civico eugeniano si basa su un consiglio
composto da dodici consiglieri, tre per ognuna delle quattro classi in cui è divisa Benevento
(nobiles, mercatores, artifices o ministeriales, massarii). Le riunioni si tengono ogni settimana e
sono previste delle pene pecuniarie per coloro che non vi partecipano o che abbandonano la seduta
prima della sua legale chiusura. Due dei dodici consiglieri sono delegati a giudicare i ricorsi contro
gli abusi dei funzionari pubblici. Non è obbligatoria la partecipazione del rettore alle riunioni
consiliari, ma nessuna deliberazione è valida senza il suo nulla-osta. Il rettore, scelto dal pontefice
fra persone di sua fiducia, non può assentarsi dalla città senza l'autorizzazione del consiglio e, al
termine del suo mandato, deve essere sottoposto a sindacato e deve rispondere di quello che ha
fatto. Altra figura prevista dagli statuti è quella del castellano che, oltre a curare la sicurezza e la
vigilanza della residenza del rettore, sovrintende anche all'apertura e alla chiusura delle porte,
operazioni che devono avvenire la mattina e la sera dopo il suono di un'apposita campana del
castello. Gode di numerose attribuzioni il tesoriere cittadino, eletto dai cittadini aventi diritto al
voto: esegue e cura l'inventario del dare e dell'avere, cura la manutenzione degli edifici pubblici,
esamina i ricorsi in materia fiscale, paga gli stipendi ai funzionari pubblici, appalta le gabelle, ecc.
Il sindaco, invece, rappresenta la civica amministrazione nelle liti e cura la manutenzione di strade,
ponti e mura.[65]
Negli statuti eugeniani la posizione della donna continua a rimanere in uno stato di inferiorità nei
confronti dell'uomo. La donna non ha capacità giuridica e non ha diritti; essa non può acquistare,
dare, ricevere, amministrare o curare la dote. Il marito la rappresenta in tutto, come, prima del
matrimonio, il padre. Viceversa le pene previste per l'uomo sono molto più severe di quelle previste
per la donna, e vanno dal carcere alla pubblica fustigazione, dalla relegazione al taglio del naso
(quest'ultima pena riguarda gli stupratori). La donna invece è soggetta per lo più a sanzioni
pecuniarie. Unica eccezione è quella dell'abbandono del neonato: «Qualunque donna abbia esposto
o fatto esporre il figlio in chiesa, in ospedale o in altro luogo, è punita con la pena dell'omicidio. Se
il figlio sopravvive, la donna sia fustigata e resti esposta per l'intero giorno sulla scalinata della
chiesa maggiore». Il regime sanzionatorio nel suo complesso ha il fine di "preservare la famiglia da
tutti i possibili fattori di disgregazione". La donna prostituta non ha tutela legale e il suo
violentatore resta impunito. La prostituzione è tollerata fuori dalle mura ma, all'interno della città,
è severamente vietata. Il capo famiglia ha il diritto di punire a suo piacimento i membri della sua
famiglia ma non può infliggere gravi lesioni. Per quanto riguarda le norme economiche esse sono
chiaramente influenzate dal diritto romano.[66]
Nella metà del Quattrocento Benevento conserva ancora la struttura urbana longobarda. La città è
divisa in contrade che portano il nome delle rispettive porte: Somma, Aurea, San Lorenzo, Rufina,
Nova, Gloriosa, Foliarola, Biscarda. L'edificio più prestigioso è senza dubbio la basilica di San
Bartolomeo, meta di numerosi pellegrini che vi giungono da ogni dove per venerare le prodigiose
reliquie del Santo. La basilica (rovinata a causa dei terremoti del giugno 1688 e del marzo 1702) si
presentava con tre grandi cupole erette nel XIV secolo. Le attività economiche e mercantili sono
floride anche se la ricchezza resta accentrata nelle mani dei monasteri e di poche famiglie. I
prodotti agricoli arrivano dalle campagne circostanti; la farina viene prodotta nei mulini situati
lungo i due fiumi che lambiscono il centro urbano; numerose sono le attività artigianali. La
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Gli anni che seguono sono fitti di furenti litigi fra la fazione filo-pontificia e quella anti-pontificia.
Non mancano omicidi, sommosse, tentativi di colpo di stato, occupazioni militari e svariati altri
crimini. Il rettore Mario De' Marii il 12 aprile 1525 indusse le due fazioni rivali a stipulare la pace,
con tanto di atto notarile stipulato nella Cattedrale, davanti all'altare maggiore, dove i
rappresentanti dei due partiti, Antonio Pesce e Alfonso Colluccella, giurarono sull'ostia consacrata
di rinunciare ad ogni ostilità. Lo storico Gianni Vergineo così commenta l'istrumento della
concordia: "Non c'è Cristo che basti a contenere gli odi o a disinnescare le micce della discordia. Il
terreno è troppo minato per essere bonificato del tutto. I giuramenti saltano in aria per un
nonnulla come i propositi di pace".[69]
Un duro colpo alla città avviene nel 1528 quando le truppe di Carlo V d'Asburgo sostano per tre
mesi a Benevento, dimorando, mangiando e bevendo gratis, spogliando i Beneventani di ogni
sostanza. Con la nomina a governatore di Ferrante I Gonzaga per la città inizia un periodo di
prosperità e di crescita economica. Il Gonzaga e i rettori che gli succedono non governano in
maniera oppressiva e lasciano alla civica amministrazione ampi spazi di manovra. Il nuovo corso di
concordia e di collaborazione fra i governatori pontifici e la popolazione è solido a prova di
sommosse: quando un certo Fracasso, di origine plebea, entra in città con alcuni ribelli per
occuparla, sono gli stessi Beneventani a far fallire il suo tentativo di sovvertimento e a consegnarlo
all'autorità giudiziaria.[70]
Papa Paolo III (già arcivescovo di Benevento) concede numerosi privilegi alla città e incarica
l'arcidiacono della Cattedrale, assieme ad altri probiviri, di redigere i nuovi statuti cittadini,
ratificati con breve apostolico di papa Sisto V nel 1588. Nei nuovi statuti vi è una dilatazione della
rappresentanza, dovuta al forte incremento demografico. Il consiglio consta di ben quarantotto
membri, nove per ciascuno dei ceti cittadini. Le elezioni avvengono ogni due anni in occasione
della festa di San Michele, nel mese di maggio. Il potere esecutivo è affidato a otto consoli (due per
ogni ceto), eletti ogni quattro mesi fra i membri del consiglio al fine di favorire l'alternanza al
governo di tutti i consiglieri. Il consiglio elegge i funzionari pubblici: due maestri per curare
l'ospedale dell'Annunziata; dodici capitani; il sindaco; il tesoriere; il procuratore fiscale; gli
ambasciatori.[71]
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La decisione di papa Pio V di cacciare tutti gli Ebrei dai territori dello Stato della Chiesa, eccetto
Roma e Ancona, viene applicata anche a Benevento dove tutti i cittadini di fede ebraica sono
costretti ad abbandonare il ghetto, che si trovava fra Piano di Corte e Porta Somma. Il 22 maggio
1617 i consoli della città propongono al consiglio cittadino di inviare una supplica a papa Paolo V
per chiedere il ritorno dei Giudei emigrati altrove, perché utili alla cittadinanza. Il consiglio
approva la mozione con 27 voti a favore e 5 contrari, ma del ritorno degli Ebrei non vi è nessuna
traccia nei documenti di archivio.[69]
Dopo l'anno degli statuti (1588) la città continua a crescere e a prosperare fino a ricevere due brutti
colpi con le epidemie di peste del 1630 e del 1656.
Il periodo orsiniano
Durante il suo episcopato, il 5 giugno 1688, un terribile terremoto si abbatte sulla città. I morti
sono milletrecentosessantasette. Il problema più grave è quello della rimozione dei cadaveri dato
che le chiese, quasi tutte rase al suolo, non possono accoglierli. Orsini a tal fine sceglie un terreno,
lo fa recintare e lo benedice. Contemporaneamente egli cerca di affrontare il problema dei
senzatetto e avvia immediatamente la ricostruzione, invogliando i Beneventani a non perdersi
d'animo. L'8 settembre 1694 e il 14 marzo 1702 altri due terremoti scuotono Benevento ma
l'arcivescovo procede secondo la rotta fissata e sovrintende tutti i cantieri religiosi della città.[74]
Il primo concilio in città risale al 1059; il canonico Stefano Borgia, autore di monografie locali, lo
vuole presieduto da Papa Niccolò II nella estinta chiesa di San Pietro. Il concilio fu tenuto
nell'interesse dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno (fondata da tre fratelli beneventani, Paldo,
Tato e Taso), occupata da Liutfredo abate.
Benedetto XIII, nel suo synodicon pubblicato nel 1693, ne enumera ventuno.
Questi attirarono presto l'antipatia popolare saccheggiando il tesoro del duomo. Governò la città
prima Andrea Valiante, poi Carlo Popp, che la dichiarò annessa alla Francia e vi importò le leggi
francesi post-rivoluzionarie, come l'abolizione della nobiltà e dei privilegi del clero. Procedette
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Con il Congresso di Vienna (1815), nella seduta del 4 giugno, a norma dell'articolo 103 si stabilì che
Benevento fosse restituita alla Santa Sede, insieme all'altro principato napoleonico di Pontecorvo.
In questo periodo il castello e la città furono presidiati dalle truppe austriache (23 maggio- 18
giugno 1815), e successivamente la città fu governata dall'intendente di Avellino Carlo Ungaro,
duca di Monteiasi, dall'11 giugno al 15 luglio 1815.
Il Risorgimento
Anche in città nel 1820 si costituirono un bosco e una vendita, e quando, nel luglio 1820, giunse la
notizia che in Napoli era scoppiata la rivoluzione ed era stata proclamata la Costituzione, anche i
Carbonari beneventani insorsero, chiedendo le medesime garanzie di libertà.
Il 3 settembre 1860, ancora prima che Garibaldi giungesse a Napoli, si ebbe una singolare
"rivoluzione", che non incontrò alcuna resistenza pontificia. Il beneventano Salvatore Rampone,
senza scorta, vestito in camicia rossa da colonnello dei garibaldini, si recò al castello per
comunicare all'ultimo delegato apostolico, Edoardo Agnelli, l'ordine di lasciare la città entro tre
ore. Il dominio papale era finito.
In cambio dell'incorporazione nel regno sabaudo, Salvatore Rampone ottenne che a Benevento
fosse creata una Provincia ad hoc che comprendeva anche alcuni territori dalle province del Regno
delle Due Sicilie più prossime (Principato Ultra, Molise, Terra di Lavoro, in minor misura
Capitanata).
A causa della sua centralità nelle comunicazioni ferroviarie fra Roma e Puglia, la città venne colpita
in maniera durissima dai bombardamenti angloamericani nel 1943.
Il 21 agosto gli Alleati
cominciarono a bombardare la città per stanare i tedeschi e spingerli a risalire la Penisola: il primo
obiettivo centrato fu la stazione ferroviaria.
L'8 settembre 1943 venne firmato l'armistizio di Cassibile, ma per la città non ci fu tregua: arrivò
un nuovo bombardamento degli angloamericani, questa volta nella zona intorno al Ponte
Vanvitelli. I bombardamenti continuarono nei giorni 11 e 12 settembre. Il 15 fu il giorno più funesto
per la città: cinque ondate di bombardamenti spianarono per intero Piazza Duomo e Piazza Orsini.
Duemila morti tra la popolazione civile, l'apparato industriale della zona ferrovia quasi annientato,
5.000 vani distrutti, quasi 4.000 fortemente danneggiati, fu il risultato delle incursioni aeree.
Qualche settimana dopo, il 2 ottobre 1943, i tedeschi lasciarono la città. Nel complesso i morti
furono centinaia, i vani distrutti il 38% di quelli esistenti. Gli sfollati, all'indomani della
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liberazione, erano 17.000, alloggiati in parte nelle baracche e in parte nei paesi circostanti. Per il
comportamento della cittadinanza in queste difficili circostanze, nel 1967 la città fu insignita della
medaglia d'oro al valor civile.
La vita politica riprese sulla base di due gruppi politici, uno liberale, guidato da Raffaele De Caro, e
uno democratico cristiano, del quale era leader Giambattista Bosco Lucarelli,. I due gruppi si
contesero l'amministrazione di Benevento per alcuni anni.
Pochi anni dopo la guerra, la terribile piena del fiume Calore del 2 ottobre 1949 portò ancora
vittime e distruzione.
Negli anni '50 la città fu amministrata da sindaci della destra monarchica o missina. In seguito si
affermò un predominio della Democrazia Cristiana, durato fino agli anni '90.
L'ampliamento della città, almeno sino agli anni settanta, non è stato governato efficacemente dai
pubblici poteri; una prima inversione di tendenza si è osservata negli anni ottanta, ma è negli
ultimi anni che Benevento è cambiata radicalmente. Da un lato sono sorti l'università e centri di
ricerca come il MARSec, dall'altro i numerosi interventi di riqualificazione e restauro del centro
storico hanno reso la città più ospitale.
Note
15. ^ Appiano, B.C. iv. 3; Strab. v. p. 250; Cic. in
1. ^ Garrucci. Verr. i. 1. 5
2. Vergineo, Libro I, p. 11. 16. ^ Italo M. Iasiello, Samnium: assetti e
3. ^ Vergineo, Libro I, p. 12. trasformazioni di una provincia tardoantica,
4. ^ Omero, Odissea (traduzione di Ippolito Edipuglia, 2007, p. 59,
Pindemonte), III, 233-235. ISBN 9788872284810.
5. ^ Secondo Virgilio, Plinio il Vecchio, Appiano 17. ^ Appiano l. c.; Lib. Colon. pp. 231, 232;
e Giustino, Diomede fondò la potente città di Inscr. ap. Romanelli, vol. ii. pp. 382, 384;
Argirippa (Arpi). Strabone gli attribuisce la Orell. Inscr. 128, 590
fondazione di Canosa e di Siponto, oltre che 18. ^ Antonio Canino, Campania, Touring club
di Arpi, e afferma che il Tavoliere delle italiano, 1981, pp. 11-12.
Puglie anticamente si chiamava Pianura di 19. ^ Rotili, p. 14.
Diomede. A Diomede lo storico Solino
attribuisce l'edificazione di Venosa e 20. ^ Sat. i. 5, 71
Venafro. 21. ^ Tacito Ann. xv. 34.
6. ^ Vergineo, Libro I, p. 8. 22. ^ Vergineo, Libro I, p. 22.
7. ^ Procopio, I, p. 76. 23. ^ G. Giordano, San Gennaro, illustre
8. ^ Zigarelli, p. 5. cittadino bandito e dimenticato, in Aspetti di
vita beneventana nei secc. XVII e XVIII,
9. ^ Vergineo, Libro I, p. 11. Napoli, 1976, p. 75.
10. ^ Vergineo, Libro I, p. 15. 24. ^ Vergineo, Libro I, p. 25.
11. Touring, p. 327. 25. ^ Vergineo, Libro I, p. 45.
12. Salmon. 26. ^ Vergineo, Libro I, p. 35.
13. ^ Livio xxii. 13, xxiv. 14, 16, xxv. 13, 14, 15, 27. Vergineo, Libro I, p. 48.
17; Appiano, Annib. 36, 37.
28. ^ Diacono, IV, 44.
14. ^ Liv. xxvii. 10.
29. ^ Diacono, V, 1-2.
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Falcone Beneventano, Chronicon de rebus aetate sua gestis in G. Del Re, Cronisti e scrittori
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Stefano Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, Roma, 1763.
Gianandrea de Antonellis, Storia di Benevento. Sintesi degli avvenimenti da Diomede ai giorni
nostri, Realtà Sannita, Benevento 2008, ISBN 978887661502
Paolo Diacono, Historia langobardorum.
Raffaele Garrucci, Le antiche iscrizioni di Benevento disposte in ordine e dichiarate,
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Procopio di Cesarea, La guerra gotica, Roma, Traduzione di F. M. Pontani, 1974.
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Voci correlate
Terremoti a Benevento
Sannio
Provincia di Benevento
Delegazione apostolica di Benevento
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