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Cimagalli - volume 3
GIOACCHINO ROSSINI
Il mondo musicale del primo Ottocento era diviso in due correnti principali, ciascuna legata a un
proprio repertorio e a un proprio tipo di ricezione. La prima era l’opera italiana di Rossini lo scopo
del compositore operistico era quello di creare un evento, ossia produrre una singola
rappresentazione operistica, collaborando con altri soggetti, come librettista, scenografo, etc., e la
partitura era un progetto che trovava una realizzazione di volta in volta diversa, adattandosi ad
esempio alle caratteristiche vocali di uno specifico
cantante. L’altra era la musica strumentale di Beethoven, le cui composizione ambivano a porsi
sullo stesso livello della poesia, ossia richiedeva uno sforzo di comprensione per decifrarne il
messaggio. Il testo prodotto dal compositore non era suscettibile di ulteriori modifiche, poiché era
manifestazione della sua
volontà perciò immodificabile. Il momento esecutivo retrocedeva a funzione secondaria, semplice
esplicitazione della partitura. Quelli impersonati da Rossini e Beethoven erano due modi di pensare
la musica antitetici: da una parte il centro focale della musica era fatto convergere sul concreto
evento sonoro, dall’altra veniva posto nell’astratto pensiero musicale del compositore. L’una è
musica immediata e di facile fruizione, l’altra nasconde tematiche non percepibile ad un primo
ascolto. Tuttavia entrambe le
correnti si collocano in un periodo storico particolare, quello della Restaurazione (Congresso di
Vienna 1815): periodo caratterizzato da desiderio di pacificazione, di disimpegno dalla passioni
politico-ideali e di ritorno alla quieta mentalità borghese. Dunque entrambi i compositori mostrano
un
atteggiamento distaccato e critico verso la loro realtà contemporanea.
Gioacchino Rossini nacque nel 1792 a Pesaro da una famiglia di musicisti. Compose la sua prima
opera a 16 anni, il dramma serio “Demetrio e Polibio” rappresentato solo nel 1812 al Teatro Valle di
Roma.
I primi sette anni della sua carriera operistica furono dedicati prevalentemente al genere comico:
capolavori scritti di getto, come “Il Barbiere di Siviglia”, “La Cenerentola”, “Il turco in Italia”.
La forza della musica di Rossini, definito da Stendhal “il Napoleone” della sua epoca, sta nel
rapporto tra parole e ritmo: non è il ritmo ad adattarsi alle parole, ma al contrario le parole sono
travolte dal ritmo musicale, si spezzettano in modo innaturale in fonemi senza senso, si
ricompongono in modo assurdo; il personaggio diventa un burattino, con effetto non realistico, ma
comico e allo stesso tempo inquietante. A Rossini in un primo momento non interessava
approfondire la componente psicologico-musicale dei personaggi, e questo gli permise di trasferire
interi pezzi chiusi da un’opera all’altra.
In ogni caso, il trattamento rossiniano della voce non prescinde dal contenuto delle parole (a
differenza del ribattuto dell’opera buffa), pur se ne deforma la dizione.
Dunque le voci umane si strumentalizzano, e viceversa gli strumenti si umanizzano: l’articolazione
fraseologica delle melodie affidate all’orchestra, soprattutto quelle delle sinfonie introduttive, è
decisamente vocale, parlante. Oltre ad opere buffe, Rossini si dedicò anche all’opera seria,
soprattutto tra il 1817 e il 1829 (dai 25 ai 37 anni): “Mosè in Egitto”, “La donna del lago”,
“Semiramide”, “Guglielmo Tell”.
Non solo le sue opere serie sono in numero doppio rispetto a quelle buffe, ma è la sua stessa
importanza storica ad essere maggiore nel campo serio rispetto a quello comico. Se nell’opera buffa
egli portò a perfetto compimento un genere musicale, decretandone quasi l’estinzione, fu proprio
nell’opera seria che avviò nuove convenzioni nell’opera italiana, soprattutto dal punto di vista
formale.
L’opera italiana, inoltre, subì l’influsso delle regole della “tragédie lyrique” dell’Opéra di Parigi:
maggiore presenza del coro, ricca orchestrazione, graduale abbandono del recitativo secco in favore
di quello accompagnato, tendenza a saldare le singole scene in grandi blocchi unitari. Rossini si
trovò a coagulare tutte queste novità nella sua opera seria:
1. Impiego anche nell’opera seria di arie in più sezioni di andamento contrastante. Struttura: scena
(recitativo accompagnato da coro o da spertichino), cantabile (aria lenta), sezione intermedia (coro
o spertichino) cabaletta (sezione veloce dell’aria ripetuta due volte)
2. Impiego del finale concertato: allegro, largo di stupore, stretta.
3. Incremento dei pezzi d’assieme rispetto alle arie che diminuiscono
4. Tendenza a costruire grandi scene unitarie, di ampio respiro
5. Uso dell’armonia diverso da quello germanico, non implicante un significato espressivo
6. Assoluta importanza conferita al ritmo: melodie molto brevi, ripetute
7. Progressiva abolizione del recitativo secco, a partire da “Elisabetta, regina d’Inghilterra” del
1815, in favore di un recitativo accompagnato sempre più drammatico
8. Scrittura per esteso delle fioriture vocali, non tanto per sottrarle all’arbitrio dei cantanti, ma per
esigenza della musica stessa
9. Importanza del coro, che in alcuni casi diviene un vero e proprio personaggio.
Queste tendenze furono più accentuate nelle opere che Rossini scrisse per il pubblico francese
dell’Opéra, con il “Guillaume Tell” (1828) Rossini varca i confini del romanticismo: soggetto
storico-patriottico, utilizzazione di elementi del folclore popolare (canti svizzeri di richiamo per le
vacche), totale
prevalenza degli “ensembles” sulle arie solistiche, grande importanza del coro che sposta il
baricenro dell’opera dalle vicende private alla rappresentazione della lotta per la libertà di un
popolo, infine la pervasiva presenza della natura. Guillume Tell costituisce uno dei primissimi
esempi del genere operistico
romantico francese: il grand opéra. L’azione drammatica del grand opéra, a differenza della tragédie
lyrique (che è una tragedia letteraria messa in musica), non è più condotta dal testo, che ormai
retrocede a funzione di libretto operistico, ma dalla pantomima e dai fastosi effetti scenografici.
La drammaturgia del grand opéra si basa su due principi fondamentali: 1) l’arrestarsi dell’azione su
grandi quadri corali, tableaux, cioè sontuose scene di massa; 2) improvvisi colpi di scena che
ribaltano repentinamente lo stato d’animo del pubblico e alternano un vasto campionario di
soluzioni musicali.
Rossini non si spinse oltre, poiché a soli 37 anni smise di scrivere per il teatro; le poche opere che
scrisse in seguito erano di destinazione sacra o cameristica. Sono i “Péchés de vieillesse” a
rappresentare meglio lo spirito dell’ultimo periodo di Rossini: sono bravi composizioni
cameristiche, cioè per pianoforte, di programmatica ingenuità musicale. Probabilmente Rossini fece
questa scelta di silenzio perché non volle accettare in toto l’estetica romantica, il suo era ancora un
mondo settecentesco in cui si tendeva ad un ideale estetico di bellezza assoluta; egli non amava il
nuovo stile vocalico declamato che andava diffondendosi. A contatto con il Romanticismo, dunque,
Rossini preferì tacere: la verosimiglianza drammaturgica, le emozioni
capaci di travolgere il compositore che è anche interprete e ascoltatore.
SCHUBERT E VIENNA
Schubert (1797 – 1828) visse la sua breve vita quasi interamente a Vienna, città fortemente legata a
Beethoven, dal cui confronto si rischiava di venire stritolati, mentre sul versante italiano come
dominatore incontrastato vi era Rossini.
Schubert riuscì soltanto a suonare e comporre per serate musicali di una ristretta cerchia di amici,
oppure in salotti nobiliari, destinazioni per le quali scrisse quasi tutti i suoi Lieder, cioè
composizioni per pianoforte a 2 o 4 mani. Egli visse in ristrettezze economiche, e gli vennero mosse
critiche riguardo al
suo modo di scrivere troppo complicato, troppo difficile tecnicamente, con modulazioni troppo
audaci e un accompagnamento troppo pesante. Nel 1825 la svolta alcune delle sue musiche vocali
furono eseguite
presso la Società degli Amici della Musica e al Conservatorio di Vienna. Nel 1827 fu ammesso
come socio della Gesellschaft e riuscì ad organizzare un concerto interamente dedicato alla propria
musica.
Oltre a musica sacra, danze per pianoforte, trii, etc. importanti sono le sue sinfonie.Schubert
compose sei sinfonie negli anni giovanili, poi dopo un periodo di crisi in cui non riusciva più a
comporre sinfonie complete (confronto con Beethoven), si incamminò verso la strada della grande
sinfonia; dal 1825 al 1828 compose la sinfonia in do maggiore, chiamata La Grande, che però non
fu mai eseguita quando lui era in vita, perché giudicata troppo difficile da realizzare.
Schubert riuscì a coniugare l’insegnamento del Classicismo viennese con le nuove spinte de
Romanticismo, tanto da essere stato definito “il classico della musica romantica”. Elementi classici
in Schubert egli non rinnega il concetto fondamentale del Classicismo, ossia il progetto di costruire
grandi forme basate sull’elaborazione motivico-tematica. Caratteristiche tecniche della musica
romantica che Schubert inserisce in composizioni che riescono a rispettare il principio fondamentale
del
romanticismo:
1. Tendenza verso un tono generale di tipo lirico-contemplativo
2. Dal punto di vista dell’armonia, esplora le modulazioni a gradi diversi dal V
3. Dal punto di vista della forma, sceglie liberamente il punto di climax, collocandolo spesso alla
fine della composizione, creando una forma sbilanciata
4. Dal punto di vista del ritmo, esso è uniforme e crea un progressivo accumulo di tensione che si
scatena nel climax
5. Dal punto di vista del rapporto fra le parti, si affievolisce l’equilibrio classico dello stile spezzato
o intrecciato, in favore di una polarizzazione tra melodia e accompagnamento
6. Dl punto di vista della fraseologia (nei classici viennesi era asimmetrica), essa è più regolare e
simmetrica, acquisendo la quadratura, cioè un periodare di gruppi di 4 battute e loro multipli.
Contemporaneamente il
discorso musicale tenderà ad una fluidità che verrà in seguito definita “prosa musicale”.