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Daniele Mansuino - Giovanni Domma

Massoneria del Marchio

GLOSSOPETRA

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© 2010
Glossopetra Edizioni - Via Palmaria, 9 - 16121 Genova

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Agosto 2010

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Indice

Prefazione (Claudio Bonvecchio).................................9

Nota introduttiva.........................................................15

1. Il Marchio e i suoi Side Degrees.............................21

2. Il Marchio operativo................................................65

3. Il Marchio speculativo............................................89

4. Dunckerley e il Marchio.......................................115

5. Il ritorno del Marchio............................................155

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6. Gli antichi rituali...................................................195

7. La riedificazione del Tempio................................228

8. Rituali del Marchio scozzesi.................................262

9. Il Marchio nella clandestinità................................293

10. La Bon Accord....................................................323

11. La grande illusione..............................................362

12. La Gran Loggia del Marchio...............................390

13. Lo scontro finale.................................................416

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Prefazione

Questo interessante, semplice e chiaro lavoro colma


una carenza nella letteratura riguardante la Libera
Muratoria: almeno in quella italiana. Infatti, non sono
molti – in Italia – ad essersi interessati all’antichissima
tradizione iniziatica del Marchio (era attivo in Scozia
sin dalla fine del 1500) e ad averla praticata. Così come
non molti sono in Italia coloro che conoscono,
approfonditamente, il significato del termine
«Marchio». Ossia cosa sono le Logge del Marchio e
quale sia la loro importanza nel cammino di
perfezionamento muratorio.
In proposito e per avvicinarsi all’argomento, si può
definire il Marchio una sorta di «rito»: di rito sui
generis, però. Ma, forse, è improprio chiamarlo –
secondo l’uso ed il lessico delle Massonerie
continentali e latine – un Rito: in quanto presenta un
ridottissimo numero di Gradi di Perfezionamento. Ma,
pur prevedendone soltanto due (quello del Mark Man e
del Mark Master Mason), non per questo è meno
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importante, dal punto di vista esoterico, di altre forme
di ritualità. Sarebbe, però, più corretto chiamarlo – e
considerarlo – una Obbedienza perché di una
Obbedienza ha tutte le caratteristiche fondamentali.
Come mostra la sua stessa titolatura inglese: Grand
Lodge of Master Mark Masons with its Districts and
Lodges Overseas. Ma soprattutto il suo impatto
simbolico che ne dà una immediata e complessiva
immagine.
Non a caso, il gioiello che lo esprime – pur essendo
una semplice pietra appesa ad un nastro azzurro
argento e cremisi – rappresenta la «pietra di volta» del
Tempio. Ciò che regge, cementa e salda – facendone
un tutto unico – l’intera costruzione. Riportandone il
valore simbolico alla Massoneria, significa il
compimento della trasformazione operata dal «lavoro»
muratorio: la chiave di volta di quell’uomo nuovo che
aspira essere il Libero Muratore, il singolo Libero
Muratore. Ed, infatti, il Marchio è particolarmente
attento al singolo Fratello di cui vuole esserne in un
certo senso «il sigillo».

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D’altronde, il termine «marchio» altro non è che
sinonimo di un «sigillo» personale. Dove sigillo, dal
punto di vista simbolico, rimanda ad una
identificazione: identificazione di un’opera d’arte come
il capolavoro dei maestri delle antiche Corporazioni di
Mestiere o identificazione di una vita, come il sigillo
portato sullo scudo o sull’anello «alla chevalière» degli
antichi cavalieri. Per questo, il Marchio si può
considerare – nell’ambito della Massoneria speculativa
– come l’espressione di un lavoro cavalleresco o, se si
preferisce, di una cavalleria del lavoro, dove la
cavalleria è l’aspetto illuminante ed il lavoro quello
trasformativo.
Entrambi rappresentano – nella loro strettissima unione
– il raffinato compimento non solo della scelta
cavalleresca originaria, avvenuta con l’Iniziazione, ma
anche della meta ultima del lungo lavoro dello
sgrossamento della pietra. Un lavoro che vede in
azione chi vuole essere operaio (il primo Grado del
Marchio) per diventare poi, con il secondo Grado,
veramente Maestro di una collettività iniziatica. Una
collettività che lavora individualmente, ma in parallelo
con gli altri: come si conviene alla pratica ermetica,
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tramandata dagli antient degrees. Come si conveniva
alla Cavalleria e come era proprio degli antichi Maestri
Muratori. Ẻ il motivo per cui, alchemicamente, i lavori
delle Logge del Marchio avvengono con la cadenza e
lo stile delle antiche Logge, di cui riprendono lo
spirito, la profondità ed il respiro sacrale: delle parole,
dei passi e dei gesti. Sono come il Sale che equilibra il
Mercurio e lo Zolfo.
Come si può notare – già da questi brevi ed episodici
cenni – lo studio storico, teorico, rituale ed esoterico
sul Marchio che viene qui svolto, si rivela
straordinariamente accurato ed intrigante. Ma il suo
pregio maggiore non è l’erudizione massonica: che
pure mostra – in maniera precisa e documentata – il
lungo cammino del Marchio attraverso contese,
diatribe, polemiche ed ostacoli di ogni sorta. Se così
fosse – senza nulla togliere alla sua importanza per la
Storia della Libera Muratoria – correrebbe il rischio di
essere fine a se stesso: come troppo spesso accade. Lo
scopo degli autori non è, infatti, quello di aggiungere
un tassello alla lunghissima bibliografia massonica. E
neppure quello di contribuire – in maniera narcisistica
– alla «mise en forme» di un tassello di
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quell’intellettualismo massonico che sta trasformando
lo speculativo in letterario e i Fratelli in professorini.
Gli autori vogliono ben di più. Mirano più in alto. Si
propongono – tramite un accurato lavoro
d’informazione storica – di rivitalizzare la Tradizione
Massonica, proponendo una via antica e sempre nuova.
Una via da fare propria e da interiorizzare: come
mostra, significativamente, il capitolo sulla Ritualità
del Marchio. Va da sé che la loro non è una impresa
facile. Ma proprio questa è la «sfida» che lanciano gli
autori. Si tratta di una sfida ambiziosa e coraggiosa di
cui la Libera Muratoria italiana ha bisogno. Anzi di cui
ha necessità e di cui l’introduzione, in Italia, del
Marchio sarebbe una tappa importante. Per questo agli
autori – Giovanni Domma e Daniele Mansuino – va il
più vivo e sincero ringraziamento di chi crede che la
Libera Muratoria non sia rigida e ossificata, ma vivace
e dinamica. E pronta a rispondere alle sfide della
società e degli uomini: per costruire un mondo
migliore.

Claudio Bonvecchio
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NOTA INTRODUTTIVA

Questo libro racconta la storia del grado massonico del


Marchio, dalle origini al consolidamento della Grand
Lodge of Master Mark Masons with its Districts and
Lodges Overseas (che chiameremo per brevità Gran
Loggia del Marchio), negli anni settanta del
diciannovesimo secolo.
In quel periodo, tanto il processo di evoluzione del
rituale quanto il dibattito su quale dovesse essere la
collocazione del Marchio nel quadro generale della
Massoneria poterono dirsi conclusi ; la successiva
storia dell’espansione della Gran Loggia del Marchio e
della progressiva diffusione del grado in ogni parte del
mondo è di sicuro altrettanto affascinante, ma è
un’altra storia, che andrebbe trattata a parte.
La nostra fonte principale è stata The Arch and the
Rainbow di Neville Cryer : indubbiamente la migliore
opera sulla storia del Marchio mai pubblicata finora. E’
un libro che, se ha un difetto, è quello dell’eccessiva

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mole di dati, che va decisamente a scapito della sua
leggibilità ; abbiamo cercato di rimediare
estrapolandone le informazioni più essenziali e
coordinandole tra loro, integrandole anche coi
contenuti delle circa tremila pagine sulla Massoneria
del Marchio disponibili in rete.
Un’altra caratteristica peculiare dell’opera di Cryer è
che la storia da lui proposta si discosta in alcuni punti
dalle ricerche sulla storia del Marchio svolte
nell’ambito della Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Per
chiarire meglio questo punto sono necessarie alcune
riflessioni.
Innanzitutto, non si può parlare di una storia ufficiale
del Marchio in versione Gran Loggia Unita
d’Inghilterra, in quanto il rapporto che lega
quest’ultima alla Grand Lodge of Master Mark Masons
riveste una natura piuttosto inedita agli occhi dei
Massoni italiani e “latini” in generale : tra i due corpi,
infatti, non esiste nessuna forma di accordo né di
riconoscimento, il che non impedisce ai Massoni della
Gran Loggia di frequentare le Logge del Marchio alla
luce del sole.

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Questo perché la Gran Loggia Unita d’Inghilterra - che
pratica soltanto i tre gradi azzurri e l’Arco Reale –
considera corpi massonici regolari solo quelli che
rispondono ai suoi stessi requisiti (diversamente dai
principali Ordini latini, che stipulano anche forme di
reciproco riconoscimento coi “Riti”), e soltanto a
questi concede o ritira il proprio riconoscimento.
Potrebbero quindi essere oggetto di sanzioni
disciplinari (in teoria) quei Fratelli inglesi che
frequentassero Ordini cui il riconoscimento inglese è
stato ritirato, come ad esempio il Grande Oriente
d’Italia; ma se invece frequentano la versione
britannica del Rito Scozzese o il Marchio, non corrono
il pericolo di incorrere in alcuna sanzione, perché per la
Gran Loggia Unita d’Inghilterra è come se queste
organizzazioni non esistessero.
Questo a livello ufficiale ; ma in pratica, oggi i rapporti
tra la Gran Loggia Unita d’Inghilterra e la Gran Loggia
del Marchio sono amichevoli, e la diffusione del
Marchio viene considerata un ottimo veicolo per
diffondere a livello internazionale la concezione
britannica della Massoneria. Proprio per questo,

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prestigiose Logge di ricerca come la Quatuor Coronati
pubblicano abbastanza di frequente pregevoli studi sul
Marchio, e per la stessa ragione… gli aspetti più
imbarazzanti dei rapporti intercorsi in passato tra la
Gran Loggia Unita d’Inghilterra e la Gran Loggia del
Marchio non vi compaiono mai.
Ai giorni nostri, il Massone medio inglese ama il
Marchio e ne conosce la storia abbastanza bene ; ma se
gli chiedete ad esempio quale sia l’origine della Gran
Loggia del Marchio, vi risponderà che sorse da una
costola del Supremo Gran Capitolo di Scozia dell’Arco
Reale, tacendo delle battaglie che dettero origine a
questa presunta gemmazione, proprio perché nessuno
glie le ha mai raccontate ; e allo stesso modo, vi dirà
che la sua fondazione fu preceduta da una fase
preliminare in cui il Marchio era stato riaccolto per
breve tempo in seno al Craft (noi diremmo all’Ordine),
ignorando del tutto come siano andate veramente le
cose.
Il grande merito di Cryer è di non essersi fermato alla
versione politically correct : da storico di razza, andò al
fondo di tutte le questioni, non tacendo di quelle verità

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che dal punto di vista della Gran Loggia Unita
d’Inghilterra… sono assai scomode.
Noi avremmo potuto ignorarle, e presentare al lettore
italiano la stessa versione edulcorata della storia del
Marchio che in Inghilterra oggi va per la maggiore ;
abbiamo invece pensato di rendergli un utile servizio
non tacendo di nulla, e lasciando che si formi egli
stesso la propria opinione.
Nel riportare e sintetizzare l’enorme mole di dati che
costituiva la materia prima di questo libro avremo
senza dubbio commesso qualche sbaglio, di cui
chiediamo scusa anticipatamente ; come si vedrà, la
materia trattata è assai complessa, e non avevamo a
disposizione nessuna opera italiana cui appoggiarci.
Preghiamo il lettore di credere che laddove possiamo
aver sbagliato è stato in buona fede, e ci dichiariamo
anticipatamente disponibili a prendere atto dei nostri
eventuali errori.

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1. Il Marchio e i suoi Side Degrees

La Massoneria del Marchio è un corpo rituale tra i più


caratteristici della Massoneria inglese, la cui funzione è
di rilasciare ai Maestri Massoni che ne fanno
richiestaun Marchio personale.
La tradizione narra che tale usanza risalga alla fabbrica
del Tempio di Salomone: tanto gli scalpellini che
lavoravano nelle cave quanto i costruttori usavano
apporre su ogni pietra il proprio marchio, uso che
consentiva ai sovraintendenti di conteggiare quante
pietre ogni compagno aveva lavorato e determinare il
suo salario.
Nell’ambito della Muratoria Operativa, il Marchio
veniva considerato un rituale protettivo volto a tutelare
dai pericoli dell’individuazione: ovvero in sostanza
dall’orgoglio, che minacciava i Compagni per la loro
abilità professionale e il Maestro della gilda per i suoi
privilegi.

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Mediante il rituale del Marchio, questo naturale
sentimento veniva incanalato in modo tale che non
fosse cagione di rivalità e contrasti, bensì uno stimolo a
integrare fruttuosamente il proprio lavoro con quello
degli altri.
In conseguenza di ciò, il Marchio è rimasto sempre il
corpo massonico dalle tradizioni più libertarie,
caratterizzato dal massimo rispetto nei confronti delle
opinioni eterodosse e delle diversità. Quando, nel 1895
Oscar Wilde – accusato di sodomia – venne bruciato
tra le colonne dalla sua Officina (la Loggia
universitaria di Oxford), la Loggia del Marchio di cui
faceva parte rifiutò di aderire al suo linciaggio morale,
e lo mantenne a piedilista fino alla morte.
In realtà, il grado di Maestro del Marchio (Mark
Master Mason – M:. M:. M:.) è un cammino iniziatico
di incalcolabile antichità, strettamente collegato alla
massoneria speculativa da almeno due secoli e mezzo.
Per quanto si tratti di un sistema di due gradi, non c’è
traccia del fatto che esso sia mai stato praticato
autonomamente al di fuori della massoneria: non si
tratta quindi – come è avvenuto in molti casi – di una

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scuola iniziatica sincretizzata con l’istituzione
massonica, ma di una parte importante e inseparabile di
essa. Più precisamente è una componente del
complesso di pratiche rituali che all’inizio del
Settecento furono conglomerate in quella parte della
massoneria detta Ordine (in inglese Craft), Massoneria
Azzurra o in certe nazioni Massoneria di San Giovanni.
Con l’andar del tempo, entrambi i gradi del Marchio –
in certi luoghi – furono aggregati alla Massoneria
dell’Arco Reale; vedremo più nel dettaglio come
questo avvenne e perché.
In Inghilterra e Galles, il grado del Marchio può essere
richiesto in qualunque momento un Maestro Massone
lo desideri; il Candidato deve far richiesta per
l’avanzamento a una Loggia del Marchio, ovvero a una
struttura indipendente dalla Loggia Azzurra che l’ha
elevato Maestro.
In Irlanda, il Marchio viene concesso esclusivamente
dai Capitoli dell’Arco Reale: dopo che il Candidato
viene ammesso a far parte di un Capitolo, una Loggia
del Marchio viene temporaneamente formata (e poi

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sciolta) espressamente per procedere alla sua
elevazione.
La stessa procedura viene seguita anche in Scozia,
dove però – nel caso eccezionale di Candidati che
desiderano ricevere soltanto il Marchio e non sono
interessati all’Arco Reale – anche le Logge hanno il
potere di conferirlo.
Per quanto le consuetudini siano diverse, la relazione
del Marchio con gli altri gradi massonici è piuttosto
chiara: possiamo collocarlo tra il Maestro e l’Arco
Reale, in quanto – così come oggi è strutturato – svolge
la duplice funzione di collegare tanto il grado di
Compagno a quello di Maestro quanto quello di
Maestro all’Arco Reale.
È sempre apparso strano che i Fratelli che vogliono
accedere al grado di Maestro del Marchio siano trattati
come Compagni, e accolti in una Loggia che pare
lavorare in tale grado, benché non possano accedere al
Marchio se non sono Maestri. Questo perché, nei due
gradi del Marchio originali, essi venivano prima elevati
Maestri secondo il Marchio (Mark Men in inglese,
Operai del Marchio in italiano) e solo successivamente
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diventavano Maestri del Marchio; l’usanza
contemporanea di somministrare entrambi i gradi in
una sola cerimonia rende in effetti questi due passaggi
piuttosto incomprensibili, ma è di fatto una
testimonianza della notevole antichità del grado e di
come i tratti del suo originale rito di trasmissione siano
stati fedelmente preservati.
La trasmissione del grado di Operaio del Marchio è
necessaria perché, sebbene nella Massoneria Azzurra il
Compagno sia stato provvisto degli attrezzi necessari
per squadrare la sua Pietra e lavorare all’edificazione
del Tempio, molte cose non sono ancora alla sua
portata: nessuno gli ha mostrato come usare la
Squadra, la Livella e il Filo a Piombo sulle pietre già
presenti nell’edificio, né conosce nulla della più
importante di tutte le pietre – la Chiave di Volta,
mediante la quale è possibile costruire un Arco.
Bisogna che impari tutto questo se vuole essere degno
di firmare con un Marchio il suo lavoro; è questo il
tema attorno al quale il rituale di iniziazione è
costruito.

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Quando poi il Candidato presenta con trepidazione e
fierezza la sua Pietra per l’ispezione, gli accade ciò che
a tutti noi capita di vivere nell’esperienza quotidiana: i
suoi sforzi non vengono riconosciuti, nessuno fa caso
al suo lavoro. Un’idea nuova, un contributo originale a
un progetto devono sempre cozzare contro l’ignoranza,
l’incomprensione, l’egoismo, la pigrizia di chi
preferisce non rischiare e affidarsi alla comodità dei
vecchi metodi.
Il grado del Marchio cerca di incoraggiare la fiducia
nel fatto che, se il nostro lavoro è veramente di qualità
e originale, alla fine ne avremo il giusto
riconoscimento; a condizione però che la lotta in favore
delle nostre idee sia portata avanti con pazienza, umiltà
e temperanza. In questo senso, esso ha veramente
«lasciato il suo Marchio» sull’intero edificio della
Massoneria Azzurra, il cui costrutto etico – non
soltanto nei paesi anglosassoni, ma anche nei paesi
latini – in grandissima parte dagli insegnamenti del
Marchio è ispirato.
Lo stesso vale per un altro importante messaggio del
Marchio, che da esso si è trasmesso all’intera

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massoneria: il Candidato che si avanza per far valutare
il suo lavoro, lo ha eseguito sulla base del disegno che
un Maestro Massone ha tracciato. In pochi altri rituali
della massoneria primitiva è altrettanto chiaramente
espressa l’idea che la realizzazione iniziatica non è
frutto del lavoro individuale, bensì di un lavoro di
gruppo, e non può essere perseguita se non tramite
l’azione collettiva dei Fratelli, in un’ideale Catena
d’Unione che si perpetua tanto nel tempo quanto nello
spazio; soltanto l’umile assimilazione di questa
primaria verità può fare apprezzare al massone
l’altissimo onore di poter firmare i suoi lavori con un
Marchio.
Guardando al Marchio in questa prospettiva, più di un
ermetista ha avanzato l’ipotesi che ai primordi della
massoneria la pratica dei suoi due gradi fosse collegata
a determinate funzioni di operatività magica collettiva
a livello sociale. Una rilettura del rituale del Marchio in
questo senso, in effetti, è possibile, come forse il lettore
avrà occasione di percepire rivivendo con noi gli
antichi rituali che abbiamo descritto. È stata una nostra
precisa scelta, tuttavia, astenerci da ogni speculazione
in tal senso, per non alienarci le simpatie dei Fratelli
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poco inclini a condividere questo genere di
interpretazioni. Anche su questo, al Grande Architetto
piacendo, avremo occasione di ritornare in un altro
libro.
Una Loggia del Marchio è presieduta da un Maestro
Venerabile come una Loggia Azzurra ed è requisito
normalmente richiesto che tale Fratello abbia già
rivestito tale dignità in seno all’Ordine, o che sia
comunque passato attraverso l’Arco Reale, considerato
equivalente alla dignità di Maestro Venerabile
Installato; anche un Maestro comune, tuttavia, può
ascendere alla dignità di Venerabile in presenza di una
dispensa che può essere rilasciata dalla Gran
Maestranza Provinciale.
Secondo il rituale attualmente in uso presso la Gran
Loggia del Marchio e le Gran Logge del Marchio
nazionali da essa riconosciute, i principali Ufficiali di
una Loggia del Marchio sono sei: Maestro Venerabile,
Primo Sorvegliante, Secondo Sorvegliante, Maestro
Sovraintendente, Primo Sovraintendente, Secondo
Sovraintendente.

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Altri nove però sono necessari per l’Apertura dei
lavori: Cappellano, Maestro del Sigillo, Direttore delle
Cerimonie, Primo Diacono, Secondo Diacono,
Assistente Direttore delle Cerimonie, Segretario,
Tesoriere e Copritore. Quindici è dunque il numero
minimo di Fratelli necessario per alzare le colonne di
un’Officina. Possono essere nominati anche un
Assistente Segretario, un Assistente Tesoriere, un
Elemosiniere, uno o più Economi, uno o più Maestri di
Casa e un Tegolatore.
I lavori vengono aperti al canto dell’Inno di Apertura,
cui segue l’Apertura vera e propria. Il dialogo tra il
Maestro Venerabile e i due Sorveglianti non si discosta
molto da quello in uso nelle Logge Azzurre, con le
ovvie differenze per quanto riguarda la costituzione
della Loggia, l’enumerazione dei suoi membri e le loro
funzioni. Il Cappellano invoca poi la benedizione del
Grande Sovraintendente dell’Universo e la Loggia è
aperta.
La maggior parte delle volte, i lavori consistono
nell’avanzamento al grado del Marchio di Maestri
Massoni che ne hanno fatto richiesta. Per questo sono

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necessari oggetti che ogni Maestro del Marchio ha ben
familiari: l’Inginocchiatoio, la Pietra Cubica, la Pietra
Parallelepipeda e la Chiave di Volta.
Il Tegolatore batte alla porta del Tempio a nome del
Candidato, presentato come un Fratello desideroso di
ricevere il grado del Marchio per essere qualificato a
presiedere una Loggia di Muratori Operativi. Il
Copritore si accolla il compito di trasmettere al
Maestro Venerabile il Toccamento di Passo e la Parola
di Passo in sua vece; accertatosi che questi sono esatti,
il Maestro Venerabile decreta che gli sia fatto indossare
il grembiule di Maestro e venga ammesso nel Tempio
sotto la scorta dei due Diaconi.
Dopo le formalità di ammissione, il Candidato viene
invitato a compiere un percorso nel Tempio,
fermandosi dinnanzi ai due Sorveglianti e salutandoli
con i segni di Apprendista e di Compagno. Si ferma
poi al cospetto del Venerabile salutandolo con il segno
del Maestro. Gli viene chiesto di dichiarare se egli
intenda perseverare fino al raggiungimento del grado
del Marchio e, alla sua risposta affermativa, lo si fa
inginocchiare. Il Maestro Venerabile gli spiega che,

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anticamente, era usanza attribuire un Marchio ai
Fratelli che venivano passati al grado di Compagno e
gli chiede se lo abbia ricevuto. Alla sua risposta
negativa, dispone che il Primo Diacono lo conduca dal
Maestro del Sigillo, presso il quale si supplirà a tale
mancanza.
Dopo la scelta del Candidato, il Venerabile si fa
mostrare il Marchio da lui scelto e lo approva,
nominandolo immediatamente Operaio del Marchio.
Gli mostra poi come il Marchio va usato e lo invita a
portarsi al cospetto del Primo Sorvegliante per ricevere
il Salario.
Il Primo Diacono lo conduce dal Primo Sorvegliante,
alla cui richiesta il Candidato – per giustificare il
proprio diritto – mostra il Marchio nel modo in cui gli
è stato insegnato. Il Primo Sorvegliante gli consegna
simbolicamente il Salario, poi si pone alla sua destra (i
due Diaconi a sinistra) e tutti si rivolgono nuovamente
in direzione del Maestro Venerabile, al quale il Primo
Sorvegliante chiede che il Candidato, avendo ben
lavorato, possa essere avanzato dal grado di Operaio
del Marchio a quello di Maestro.

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Il Venerabile approva e invita il Candidato a farsi
avanti. Il Primo Diacono lo istruisce su come egli
debba avanzare verso l’Oriente in questo grado,
mostrandogli i passi. Il Venerabile lo fa inginocchiare
su entrambe le ginocchia e gli fa pronunciare il
giuramento di Maestro del Marchio, che il Candidato
suggella accostando quattro volte le labbra al Libro
della Legge Sacra.
Sembrerebbe tutto finito, ma a questo punto il
Candidato viene informato che per meglio illustrare i
segreti di questo grado è necessario che egli ritorni
nelle Cave, per poi entrare di nuovo in Loggia come
Operaio del Marchio sotto la guida del Primo Diacono.
Dopo aver salutato il Maestro Venerabile in grado di
Compagno, il Candidato viene scortato dai Diaconi
fuori dalla Loggia. Gli viene tolto il grembiule da
Maestro e gli se ne dà uno bianco, da lavoro; grembiuli
simili vengono indossati anche dai Diaconi.
Prendono poi gli attrezzi da lavoro e bussano alla porta.
Viene loro chiesto chi sono e si qualificano come
Operai delle Cave desiderosi di sottoporre

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all’attenzione dei Sovraintendenti il frutto del loro
lavoro.
Il Maestro Venerabile dispone che si facciano entrare.
Entrano nel Tempio reggendo le Pietre che hanno
lavorato e, dopo un giro della Loggia, si fermano
dinnanzi al Piedestallo del Secondo Sovraintendente.
Questi esamina le Pietre portate dal Secondo e dal
Primo Diacono, le trova bene intagliate e sussurra a
entrambi la Parola di Passo che li autorizza a passare al
Cancello di Occidente. Esamina poi la Pietra del
Candidato. Essendo rimasto perplesso per la sua foggia
insolita dichiara di non poterla accettare. Rifiuta di
trasmettere al Candidato la Parola di Passo e rimanda i
tre al giudizio del Primo Sovraintendente.
La vicenda si ripete. Il Primo Sovraintendente, pur non
approvando la Pietra del Candidato per la sua strana
forma, ne apprezza tuttavia la qualità d’intaglio e, non
sentendosi di scartarla definitivamente, rimanda i tre al
giudizio del Maestro Sovraintendente.
Il Maestro non solo rifiuta a sua volta la Pietra, ma,
avendo appreso che il Candidato ha osato presentarsi a
lui senza conoscere la Parola di Passo, viene colto
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dall’ira e convoca seduta stante il Consiglio dei
Sovraintendenti. Dal loro conciliabolo emerge la
decisione che la Pietra debba essere immediatamente
gettata tra i rottami. Il Candidato viene informato che il
suo lavoro è stato scartato e, accompagnato dai
Diaconi, se ne torna mestamente al Meridione.
Intanto, è giunta l’ora che i Maestri del Marchio
ricevano il loro Salario. Essi si allineano a nord del
Tempio sotto la guida del Secondo Diacono, che li
conduce in processione intorno passando dall’Oriente.
Nel frattempo il Secondo Sorvegliante si è portato al
lato nord del Piedestallo del Primo Sorvegliante e il
Candidato – affidato al Primo Diacono – si accoda alla
processione.
Via via che ogni Fratello arriva al Piedestallo del
Primo Sorvegliante, presenta il Marchio all’apposito
sportello. Quando viene il turno del Candidato – che
ignora come tale gesto debba essere compiuto in grado
di Maestro – esplode il dramma: tra alte grida, viene
smascherato come impostore e una pena spaventosa gli
verrebbe inflitta dal Secondo Sorvegliante sul
momento, se il Primo Diacono non intercedesse

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tempestivamente in suo favore, appellandosi al
giudizio del Maestro Venerabile.
Il Candidato, affidato alla custodia del Primo Diacono,
viene portato dinanzi al Venerabile, che lo interroga.
Appurato che è solo un Operaio del Marchio e non
ancora un Maestro, il Venerabile lo riprende per aver
tentato di ricevere un Salario cui non aveva diritto;
rendendosi conto però che la sua condotta è stata
dettata da ignoranza e non da malizia, gli fa grazia
della terribile punizione e gli ordina di tornare alle
Cave.
A questo punto, colpo di scena: il Primo Sorvegliante
informa il Venerabile che i lavori sono sospesi, perché
non si trova la Chiave di Volta dell’Arco del Tempio di
Re Salomone.
Comincia l’inchiesta per ritrovare la preziosa Pietra. Il
Secondo Sovraintendente, esaminatone il disegno, la
riconosce nella Pietra portata dal Candidato. Il Primo
Sovraintendente conferma. Il Maestro Sovraintendente,
interrogato dal Venerabile, ammette con un certo
imbarazzo di avere ordinato che fosse gettata tra i
rottami.
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Allora il Candidato viene condotto dai Diaconi a
cercarla. La ritrova e la presenta trionfalmente al
Maestro Venerabile; questi si congratula con lui, e
dispone di ricompensarlo confidandogli i segreti del
Maestro Muratore del Marchio.
Dapprima gli trasmette il Passo, poi invita il
Cappellano a leggergli 2° Cronache 2:11-16 e glie ne
spiega il significato, insegnandogli così anche la Presa.
Illustra poi i Quattro Segni del Grado e la Stretta.
Il Cappellano legge un altro brano delle Sacre
Scritture, dopodiché il Venerabile trasmette al nuovo
Maestro del Marchio la Parola di Passo. Un’altra
citazione sacra, e il Primo Sorvegliante gli fa indossare
il Grembiule e il Gioiello; quest’ultimo gli dovrà
rammentare che le sue parole e azioni saranno
osservate e registrate dal Grande Sovraintendente
dell’Universo. Il Gioiello è un modello della Pietra
scartata dai costruttori, e sul suo rovescio sono incise
Otto Lettere. Il nuovo Maestro potrà farvi incidere nel
centro il proprio Marchio.
Infine il Venerabile gli presenta gli attrezzi del Maestro
Muratore del Marchio, illustrandogli anche di questi il
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significato, e la bolla della Gran Loggia del Marchio
per rassicurarlo circa la regolarità della sua iniziazione;
questo dettaglio abbastanza insolito venne introdotto ai
tempi delle grandi battaglie per la regolarità tra la Gran
Loggia e il Supremo Capitolo di Scozia, narrate
nell’ultima parte di questo libro.
Il Venerabile gli consegna poi due quaderni, il primo
dei quali comprendente le Costituzioni e Regolamenti
della Gran Loggia e il secondo i Regolamenti interni
dell’Officina; si congratula con lui e conclude con un
accorato sermone di raccomandazioni per la sua futura
condotta.
A questo punto il nuovo Maestro del Marchio viene
accompagnato dal Primo Diacono a occupare il suo
posto; si passa poi alla Chiusura, cui fa seguito il canto
dell’Inno di Chiusura.
Per giungere a questo rituale apparentemente semplice
e lineare, il cammino fu assai lungo; avremo occasione
di ricostruirne le principali tappe, inquadrandole nel
contesto di quell’affascinante romanzo che è la storia
della massoneria britannica, in Italia ancora in gran
parte sconosciuta. Non sarà quindi fuori luogo far
37
precedere la storia del Marchio da un breve sommario,
che valga a far comprendere lo schema generale in cui
va inquadrata.
È risaputo che la storia delle gilde muratorie nelle isole
britanniche si differenziò da quella di ogni altra parte
del mondo in seguito a un evento eccezionale: dopo
che il 13 ottobre 1307 i templari furono dichiarati in
arresto dal re di Francia, la loro potente flotta (che
batteva la bandiera detta Skull and Bones o
impropriamente Jolly Roger: il famoso teschio con le
ossa incrociate dei pirati) fece vela sulla Scozia, dove
contava sull’appoggio della famiglia Sinclair. I Sinclair
aiutarono i templari a sistemarsi e provvidero anche a
riorganizzarli militarmente: decisivo fu il loro apporto
alla battaglia di Bannockburn, cominciata il 24 giugno
1314, nella quale gli inglesi furono battuti e si aprì la
via all'indipendenza della Scozia, ottenuta sei anni
dopo.
È doveroso osservare che, sebbene generalmente
accettata in seno alle massonerie latine e avallata in
Inghilterra da autori del calibro di Lawrence Gardner,
la tesi dell’origine templare della massoneria non trova

38
oggi credito presso i corpi massonici della Gran
Bretagna; non almeno negli ambienti legati alla Gran
Loggia Unita d’Inghilterra, né (cosa più sorprendente)
presso la Gran Loggia di Scozia.
Abbiamo a lungo riflettuto se giustificare agli occhi del
lettore questa stranezza mediante la citazione dei
documenti favorevoli alla tesi templare, innestandoli
sulla storia dei tormentati rapporti tra Inghilterra e
Scozia; ma si sarebbe trattato di una deviazione
eccessiva dal tema del libro, mentre è molto più
semplice (e a nostro giudizio, più chiarificante)
spendere due parole sul dualistico atteggiamento delle
massonerie britanniche nei confronti dell’esoterismo.
Per quanto i tesori iniziatici contenuti nei rituali inglesi
siano a nostro avviso (con buona pace di Réné
Guénon) assai più consistenti di quelli che si trovano
nei rituali latini (o forse proprio per questo),
l’approccio della Gran Loggia Unita d’Inghilterra nei
confronti dell’esoterismo è sempre stato assai
pudibondo. L’uso britannico – universalmente diffuso
– di apprendere a memoria ogni parola e ogni gesto di
sistemi rituali assai complessi come l’Emulation (per

39
tacere del Taylor e di altri) genera infatti senza dubbio,
a livello di trasmutazione interiore, effetti assai più
duraturi e profondi di qualsiasi rituale latino
malamente leggiucchiato, con gli occhi velati dal
sonno, dopo estenuanti dibattiti sulle finanze
dell’Officina o su una Tavola; ma la parte teorica
dell’esoterismo viene dagli inglesi lasciata fuori e
interamente delegata all’iniziativa personale dei
Fratelli – assistiti semmai in questo da organizzazioni
paramassoniche, come la leggendaria Societas
Rosicruciana in Anglia.
Detto questo, è detto tutto: la Gran Loggia Unita
d’Inghilterra limita il proprio compito a mantenere
intatta l’ortodossia dei tre gradi azzurri e dell’Arco
Reale, nonché di preservare il buon nome della
massoneria tramite iniziative di carattere benefico e
sociale. Ogni speculazione recante il rischio di
suscitare divisioni va scoraggiata, salvo qualora (e non
è il caso del templarismo) prove storiche schiaccianti
non mettano fine a ogni disaccordo e ne impongano
l’adozione.

40
Del resto, anche in seno alle massonerie latine c’è chi
ha dubbi riguardo all’incontro dei templari con le gilde
muratorie scozzesi, perché non trova verosimile la
fusione di una forma esoterica guerriera con una
artigiana; a questo però si può obiettare che le relazioni
tra templari e costruttori presentavano il carattere di
una parentela di lunga data, della quale entrambe le
parti erano sempre state consapevoli.
È infatti alla figura di San Bernardo di Chiaravalle
(Bernard de Clairvaux: 1090-1153) che vanno fatte
risalire tanto l’origine dell’Or-dine del Tempio
(materialmente costituito da un suo stretto parente,
Hugues de Payns) quanto quella di una delle più
importanti gilde muratorie di Francia, i Figli di
Salomone; il corpus teorico di questi ultimi si fondava
sulla geometria sacra del Tempio di Gerusalemme, ed
era tratto da testi ermetici che proprio San Bernardo
aveva riscoperto e tradotto.
Dal punto di vista storico i Figli di Salomone non
durarono a lungo, ma abbastanza perché le loro
concezioni fossero adottate con entusiasmo da
numerose altre gilde di Operativi; si diffusero così in

41
tutta Europa e sicuramente anche in Scozia, che nel
tardo Medioevo era legata alla Francia da forti legami.
Niente di più facile quindi che i templari, ritrovandosi
in un paese straniero decimati di numero e con il loro
ordine disgregato, abbiano trovato naturale appoggiarsi
a organizzazioni delle quali condividevano gli interessi
culturali e che fornivano loro inoltre il vantaggio di
un’ampia rete di contatti già saldamente insediata sul
territorio.
A questo punto, era fatale che la maggiore ricchezza
dell’esoterismo templare rispetto a quello muratorio
causasse il sorgere di logge in cui esso veniva posto al
centro dei lavori; era ovvio pure che in logge di questo
genere le arti costruttorie dovessero presto decadere a
un ruolo marginale, fino al punto di non essere più
praticate. In esse, si delineò ben presto il sorgere di
sistemi di gradi più complessi dei soli due operativi:
erano questi gli antient degrees, antichi gradi, la cui
esistenza avrebbe avuto un ruolo cruciale – di
arricchimento da una parte, di confusione dall’altra –
nell’evoluzione della futura massoneria.

42
Per la maggior parte degli antient degrees, il legame
con la pratica operativa della muratoria era assai
indiretto. L’usanza era di praticarli nelle Logge
Azzurre come una sorta di scala al di sopra del grado di
Compagno, e ogni Officina si creava il proprio sistema.
Si trattava perlopiù di varianti dei gradi templari stessi
o di tradizioni iniziatiche legate al simbolismo del
Tempio di Salomone o ad altre parti dell’Antico
Testamento; tra queste, le più praticate erano l’Arco
Reale, i Gradi Noachiti e – appunto - il Marchio.
L’esistenza degli antient degrees è uno dei motivi per
cui, alle origini della massoneria, la funzione del
Maestro di Loggia non era consacrata mediante una
procedura rituale, godendo anzi di un patrimonio
simbolico assai limitato; infatti, il tesoro di conoscenze
esoteriche della muratoria era concentrato soprattutto
in questi gradi superiori.
A quanto sembra, la rete delle logge speculative ebbe
fin dal principio l’usanza di intrattenere con gli
operativi ben pochi contatti: per quanto da
testimonianze (anche molto anteriori al 1717) risulti
che effettivamente sono esistite anche logge miste, la

43
relativa scarsità del loro numero fa supporre che gli
speculativi si appoggiassero agli operativi solo fin
quando in un dato luogo non erano abbastanza
numerosi per poter procedere alla costituzione di logge
autonome.
Per arrivare fino a Londra, gli speculativi impiegarono
circa tre secoli: il primo londinese iniziato a una loggia
speculativa di cui si abbia notizia fu, nel 1646, il noto
storico e alchimista Elias Ashmole (1617-1692). Fu
proprio la scoperta del ricco patrimonio esoterico che si
celava negli antient degrees a entusiasmare oltre ogni
dire gli intellettuali londinesi del diciassettesimo
secolo, fino a suggerire loro l’idea di trasformare quel
dormiente complesso di antichi riti in uno strumento
magico in grado di influenzare la storia del mondo.
Nella visione dei fondatori della massoneria – tra i
quali possiamo annoverare personaggi del calibro di
Isaac Newton – l’idea di creare un’orga¬nizzazione in
grado di esercitare un’influenza sulla società non
entrava in nessun modo in contrasto con il loro
concetto di scuola esoterica: la loro fonte di ispirazione
erano le opere di John Dee e di altri grandi ermetisti

44
rinascimentali, per i quali realizzazione iniziatica e
affermazione sociale andavano insieme e il
perseguimento dell’una rivestiva la funzione di
potenziare l’altra. Il loro disegno era mettere a frutto le
potenzialità magiche dei simboli massonici, tramite cui
è possibile compiere operazioni nel microcosmo della
loggia suscettibili di ripercuotersi e causare effetti nel
macrocosmo del mondo.
Perché un simile piano potesse essere attuato con
successo era però necessario apportare alcune
fondamentali modifiche al modo in cui
l’organiz¬zazione muratoria era stata strutturata fino ad
allora. Infatti, in epoca operativa, la muratoria era
sempre stata gestita dal basso – per esempio, offrendo
agli Apprendisti e ai Compagni d’Arte la possibilità di
cambiare loggia in qualunque momento, ponendosi agli
ordini di un maestro scelto da loro. Quest’ultimo non
rivestiva un grado superiore (era anch’egli un
compagno scelto per la sue capacità, che qualora si
fosse rivelato inadatto al compito poteva essere
rimosso); e la stessa mitologia salomonica –
oggigiorno così spesso tirata in ballo a sproposito dai
nostalgici della presunta «regalità perduta» – rivestiva
45
in questo quadro una funzione che non è azzardato
definire antiautoritaria: il suo senso era quello di
ribadire con fierezza l’idea che le gilde dei Costruttori,
in virtù della loro perizia nel lavoro, non erano
asservite al potere e potevano anzi permettersi di
trattare alla pari con i potenti della Terra.
Tale impostazione, ovviamente, era in contrasto con
l’ambizioso programma di cui i massoni speculativi
londinesi erano portatori, che richiedeva una forte
politica di accentramento suscettibile di trasformare le
rimanenze operative in un’organizzazione forte e unita.
Contrariamente a ciò che si crede, furono dunque
proprio i modernisti a proporre ed attuare tutte le
principali riforme in questo senso: l’istituzione del
grado di Maestro, la creazione della figura del Maestro
Venerabile, il governo dell’Ordine affidato a un
sistema di camere superiori.
Nel 1725, la Gran Loggia d’Inghilterra decise di
delegare ai Maestri Venerabili di ogni loggia la facoltà
di creare i Compagni e i Maestri. Ciò aprì le porte alla
generalizzazione dell’usanza (già invalsa da tempo
nelle officine speculative) di creare più Maestri in seno

46
alla medesima loggia; la consuetudine sarà
definitivamente ufficializzata nel 1728, con
l’istituzione del terzo grado.
L’istituzione del grado di Maestro non fu certo solo un
modo per andare incontro alle ambizioni un po’ fatue
dei massoni speculativi londinesi: il suo vero
obbiettivo era la costituzione e il rafforzamento di una
élite intellettuale disponibile a porre in atto la
trasmutazione dell’antica muratoria in una forza
sociale, promuovendola e sostenendola anche sul piano
economico.
Emanazione ed espressione di questa élite sarebbe stato
il Maestro Venerabile. L’istituzione di tale figura è una
vera e propria creazione della massoneria speculativa,
perché il titolo di Worshipful Master – sebbene
utilizzato già da molto tempo in seno alla muratoria
operativa – aveva fino ad allora espresso un vago
significato onorifico suscettibile di essere attribuito a
ruoli e contesti molto diversi; furono proprio gli
speculativi londinesi i primi a conferirgli una funzione
precisa, interamente volta a rafforzare il loro progetto
di centralizzazione.

47
L’autorità del Venerabile – rafforzata dal Rito
dell’Installazione – avrebbe poi potuto esercitarsi non
solo in loggia, ma anche tramite la partecipazione alle
camere superiori: in questo modo, i Maestri di ogni
loggia venivano provvisti dei mezzi per poter
influenzare direttamente la gestione dell’ordi¬ne,
garantendo quella continuità che ai massoni modernisti
era necessaria.
Ma nell’applicazione di queste riforme rivoluzionarie, i
modernisti dovevano procedere coi piedi di piombo:
infatti la quasi totalità delle logge fuori da Londra
aveva il suo terzo grado o i suoi sistemi di antient
degrees, cui non era affatto disposta a rinunciare.
Non bisogna supporre che i Moderns avessero nei
confronti degli antient degrees un atteggiamento di
rigida opposizione: nel ripercorrere la storia del
Marchio incontreremo anche Moderns come Thomas
Dunckerley, che al loro studio e diffusione dedicò tutta
la vita. Era infatti loro ben chiaro come negli antichi
gradi si celasse un tesoro di simboli che nell’ottica del
progetto che avevano era un patrimonio da utilizzare, e
piuttosto che sopprimerli avrebbero preferito di gran

48
lunga salvaguardarli. Quello che non volevano
accettare era la loro disposizione in forma di scala
gerarchica sopra il grado di Compagno, che
concentrava le energie dei Fratelli nelle dinamiche
interne della loggia distogliendole dal sociale e le
disperdeva in futili competizioni e scontri per il
controllo dell’Officina (capita ancora oggi con tre soli
gradi, figuriamoci con sei o sette).
E c’erano anche molti altri inconvenienti: per esempio,
nelle Logge rurali, riuscivano ad accedere agli antient
degrees soltanto i Fratelli disposti a spendere di più –
viceversa, nelle metropoli, i Fratelli più eminenti erano
costantemente esposti al rischio di veder contestata la
propria autorità in base a un antient degree di presunto
rango superiore rilasciato da una loggia di qualche
sconosciuto paesino, ecc.
Quello che era in gioco erano insomma due opposte
visioni dell’istituzione massonica, vista dai Moderns
soprattutto come ordine destinato a muoversi e agire a
livello internazionale, dagli Antients come sistema
decentrato in cui era importante soprattutto la loggia, le

49
cui dinamiche interne si intrecciavano
indissolubilmente con la ricerca interiore.
Gli Antients, come è risaputo, secessionarono dalla
Gran Loggia d’Inghil¬terra nel 1751 e il loro successo
iniziale si spiega soprattutto con il fatto che essi
difendevano il diritto di ogni Officina di praticare
nell’ordine i gradi antichi da essa preferiti. Non solo:
per rafforzare il movimento in loro favore avevano
creato Logge Viaggianti che si spostavano da un paese
all’altro per diffondere gli antient degrees; una
soluzione alla quale – per un certo periodo della sua
storia – anche il Marchio dovette fare ricorso.
Dopo sessantadue anni di separazione e di conflitti, la
linea rigida adottata dalla Gran Loggia d’Inghilterra nei
confronti delle rivendicazioni degli Antients diede i
suoi frutti. L’accordo tra le due parti (comunemente
detto the Union; così noi lo chiameremo) venne siglato
il 27 dicembre 1813, e recita «la pura e antica
Massoneria consiste di tre gradi e non oltre:
Apprendista, Compagno d’Arte e Maestro,
comprendente il Supremo Ordine del Sacro Arco
Reale».

50
Insomma: quando i Moderns poterono finalmente
imporre agli sconfitti la loro legge, di tutti gli antichi
gradi che gli Antients avevano sostenuto accettarono di
accogliere nell’ordine soltanto l’Arco Reale (che venne
adibito all’Installazione dei Maestri Venerabili):
scelsero cioè il solo che potesse essere utilizzato nel
loro progetto di centralizzazione dell’ordine, e che –
rafforzando la figura del Venerabile con il prestigio
derivante da un antient degree – sarebbe valso a
consolidare il principio di autorità.
Rimase fuori il Marchio, che tra gli antient degrees
esclusi dall’ordine era di gran lunga il più amato e il
più praticato.
A due secoli di distanza da quelle tormentate vicende,
la Gran Loggia del Marchio è oggi il punto di
riferimento per tutti gli altri antient degrees ancora in
uso e, per quanto in questo lavoro abbiamo scelto di
non trattare la loro storia nei particolari – limitandoci a
quella del solo grado del Marchio –, è opportuno
tuttavia chiudere questo capitolo con un loro breve
elenco, per mettere il lettore in condizione di capire di

51
cosa stiamo parlando quando li troverà citati nelle
successive parti del libro.
Gli antient degrees che operano in collaborazione con
le Gran Logge Nazionali del Marchio sono detti side
degrees. Fino al diciannovesimo secolo venivano
chiamati side degrees quei gradi massonici che
avevano la caratteristica di poter essere trasmessi
personalmente da un massone all’altro, al di fuori cioè
dal regolare lavoro di loggia; ma dopo che molti di essi
cominciarono ad essere praticati in associazione alle
Logge del Marchio, la definizione passò a designare i
gradi che siano associati a un determinato corpo
massonico senza far parte del suo sistema iniziatico.
Può essere che per poter lavorare un dato side degree
sia richiesto di rivestire un dato grado nella gerarchia
del corpo ospitante, ma non per questo il side degree va
considerato di rango superiore: è laterale, appunto.
È da notare che, sebbene quasi tutte le organizzazioni
di side degrees associate al Marchio si autodefiniscano
Ordini, dal punto di vista della nomenclatura in uso
presso le massonerie latine sono Riti: la loro scelta di
definirsi Ordini recava in origine una sfumatura

52
polemica, in quanto esprimeva la rivendicazione del
diritto negato di praticare gli antient degrees in seno
all’Ordine (in Inghilterra, del resto, il termine Rito
nella sua accezione latina non ebbe mai corso).
Occorre anche precisare che, mentre il primo tra i gradi
di cui tratteremo – l’Ark Mariner – è praticato
all’obbedienza delle Gran Logge nazionali del
Marchio, i corpi rituali di cui si parla successivamente
hanno una struttura autonoma.
Per questo, l’Ark Mariner non figura abitualmente
nelle liste dei side degrees elaborate dalle varie Gran
Logge nazionali del Marchio ed è piuttosto
consuetudine trattarlo come una sorta di secondo grado
del Marchio stesso (benché questo non sia esatto); ma
poiché non aveva senso escludere proprio il side degree
più vicino al Marchio di tutti gli altri, ci siamo presi la
libertà di sorvolare su questa distinzione.
Come il nome del grado suggerisce, l’Ark Mariner è
legato alle circostanze che portarono al Diluvio e ai
vari atti compiuti da Noè nell’edificazione dell’Arca.
La sua storia è abbastanza oscura e le sue precise
origini non sono note: relativamente tardo è il primo
53
Verbale di tornata in cui risulta lavorato, a Bath nel
1790. Ma il mito del Diluvio era abitualmente messo in
scena nei misteri religiosi medievali e sta all’origine di
numerosi gradi e corpi rituali massonici (viene
spontaneo il riferimento a quella che è una vera gloria
della massoneria italiana: l’Antico Rito Noachita).
Un ruolo importante nella diffusione dell’Ark Mariner
fu rivestito da Thomas Dunckerley, un grande massone
dimenticato di cui parleremo a lungo più avanti.
Sappiamo che a partire dal 1793 egli rivestì la carica di
Gran Comandante della Society of Ancient Masons of
the Diluvian Order of Royal Ark Mariners e nominò
come suo successore Lord Rancliffe, ma questo primo
tentativo di conferire al grado una struttura autonoma
naufragò nel 1799.
Prima del 1813, il grado risulta essere abitualmente
praticato in numerose logge inglesi secondo vari rituali.
Alcuni suoi tratti sono rimasti parte del patrimonio
delle Logge Azzurre: per esempio l’usanza di associare
ai Diaconi il simbolo della Colomba recante il
Ramoscello d’Ulivo.

54
Nel 1843 John F. Dorrington fu protagonista del primo
tentativo di radunare le rimanenze del grado, ma
l’organizzazione da lui creata non riusciva a decollare.
Il suo successore al Soglio di Noè, Morton Edwards,
ebbe allora l’intuizione di porre la Grand Lodge of
Royal Ark Mariners sotto la protezione della Gran
Loggia del Marchio, e dopo alcuni anni i due corpi si
fusero.
Da allora, il Gran Maestro della Gran Loggia del
Marchio è anche Gran Comandante della Ancient and
Honourable Fraternity of Royal Ark Mariners e il
grado di Royal Ark Mariner può essere conferito
soltanto ai Maestri del Marchio.
Gli altri side degrees del Marchio sono:
Royal and Secret Masters – il Grand Council of Royal
& Select Masters of England and Wales si costituì nel
1873 su licenza americana, perché mentre in Inghilterra
la pratica regolare dei suoi gradi non era sopravvissuta
all’accordo del 1813, la filiazione americana – derivata
dalle «logge militari» britanniche – non aveva mai
interrotto i lavori.

55
Questo corpo rituale raduna quattro gradi aventi la
funzione di collegare il Marchio all’Arco Reale:
1 – Select Master: tratta dell’edificazione della Volta
Segreta.
2 – Royal Master: tratta dei Segreti in essa custoditi.
3 – Most Excellent Master: tratta del completamento
del Tempio e dell’in¬stal¬lazione dell’Arca
dell’Alleanza nel Santissimo.
4 – Super Excellent Master: tratta della distruzione del
Tempio ad opera di Nabucodonosor e della sepoltura
dei Segreti tra le macerie.
A questo insigne corpo rituale sono ammessi tutti i
Maestri del Marchio che siano anche Maestri dell’Arco
Reale da almeno un anno.
Quanto all’Order of the Secret Monitor – noto
nell’antichità come Order of David and Jonathan, si
ritiene che abbia origine olandese. Anche questo, per le
ragioni del precedente, fu reimportato in Europa
dall’America (nel 1875). Side degree per eccellenza,
consisteva in origine di un solo grado, che poteva
essere trasmesso da un singolo massone a un altro
56
senza alcuna formalità; ma la sua notevole complessità
e ricchezza – frutto di numerosi sviluppi apportati nel
corso dei secoli sul nucleo originale – portò nel 1887
alla sua scomposizione in tre gradi distinti, che al
giorno d’oggi non possono più essere conferiti ad
personam bensì in loggia.
I tre gradi sono:
1 – il Secret Monitor vero e proprio, fondato sulla
leggenda di Davide e Gionata.
2 – Prince, nel quale il massone viene simbolicamente
nominato Principe per premiare la sua sincerità verso i
Fratelli.
3 – Supreme Ruler, antica forma di Installazione unica
nel suo genere. Si tratta di un rituale lungo e complesso
che molti hanno definito, dal punto di vista estetico, il
più bel grado dell’intera massoneria.
Il grado di Maestro è sufficiente per entrare a far parte
del Monitor, ma vi si può essere ammessi soltanto per
cooptazione.
La Red Cross of Constantine è poi uno dei più tipici
sistemi di gradi di origine templare, sbarcato in Scozia
57
probabilmente nel quattordicesimo secolo. Istituito
nella sua forma attuale nel 1865, rivendica di
discendere dall’Ordine fondato nel quarto secolo
dell’era cristiana dal vescovo Eusebio per proteggere la
persona dell’imperatore Costantino e dei suoi
successori; in memoria del sogno che fu all’origine
della conversione di Costantino, questi cavalieri
recavano una croce di colore rosso sulla corazza.
In vero, prima del 1813, molti antient degrees templari
avevano per simbolo la croce, giustificandola con miti
diversi: il più diffuso – la Red Cross of Babylon o Red
Cross of Daniel, che vedremo più avanti – era legato
alla ricostruzione del Tempio. A nostro umile parere,
se c’è un antenato comune che li collega non va
ricercato in nessun avvenimento storico, bensì nei riti
sciamanici primaverili che sceneggiavano il
simbolismo della rigenerazione.
All’attuale Order of the Red Cross of Constantine
possono accedere solo i massoni dell’Arco Reale.
L’Ordine è diviso in tre gradi:
1 – Knight (of Rome), fondato sulla leggenda di
Costantino.
58
2 – Priest Mason, fondato sulla leggenda di Eusebio; dà
accesso laterale ad altre due forme di successione
cavalleresca detenute dall’ordine, i Cavalieri del Santo
Sepolcro e i Cavalieri di San Giovanni Evangelista.
3 – Prince Mason, riservato al Sovrano dell’Ordine,
che rappresenta Costantino.
C’è inoltre l’Order of the Allied Masonic degrees che è
riservato ai Maestri del Marchio. Fu fondato nel 1879,
su iniziativa di un gruppo di logge massoniche
indipendenti che non si erano piegate all’accordo del
1813 e continuavano a trasmettere la successione di
svariati antient degrees.
I cinque gradi attualmente trasmessi in Inghilterra
sono:
1 – (Master of) St. Lawrence the Martyr – non era in
origine un grado, bensì un rituale muratorio del
Lancashire, che pone l’accento sulla distinzione tra
speculatività e operatività. Interessante la sua leggenda,
fondata sul martirio di San Lorenzo.
2 – Knight of Constantinople – anche questo grado,
come il Monitor, poteva essere trasmesso ad personam

59
da un Fratello all’altro. L’origine è sconosciuta. Come
la Red Cross è basato sulla leggenda di Costantino,
dalla quale trae una suggestiva lezione di umiltà ed
uguaglianza.
3 – Grand Tiler of Solomon – in passato detto anche
Maestro Selezionato o Ventisette, somiglia molto al
Select Master. È incentrato sulle vicende di un
Muratore che viola, anche se per errore, la Volta
Segreta.
4 – Red Cross of Babylon – abbiamo già accennato alle
caratteristiche comuni delle numerose Red Crosses di
origine templare; tra queste, quella di Babilonia (nota
anche in passato come Red Cross of Daniel, o con il
nome scozzese di Babylonian Pass) era prima del 1813
la più diffusa, in quanto strettamente associata al
sistema dell’Arco Reale. Anche questa Red Cross era
legata al simbolismo della ricostruzione del Tempio:
un tema sviluppato per mezzo di sottili allusioni
ermetiche, facenti riferimento al lavoro di
trasmutazione interiore. La leggenda è incentrata sul
passaggio del fiume da parte degli ebrei che tornano a
casa (un tema che ritroviamo in alcune antiche forme

60
del grado del Marchio). Il dibattito che costituisce la
parte centrale della Red Cross of Babylon è tratto in
parte dal libro di Esdra.
In Irlanda e in America, la Red Cross of Babylon
forma un ordine indipendente, il cosiddetto Order of
Knight Masons. Nelle massonerie latine, il non
praticato 15° grado del Rito Scozzese Antico e
Accettato ne è una derivazione.
5 – Grand High Priest – è l’amalgama di due gradi
settecenteschi di antichissima origine, uno francese e
uno tedesco, che venivano un tempo conferiti a titolo
onorario ai Maestri che avevano presieduto un Capitolo
dell’Arco Reale. Questo grado molto suggestivo, che
riecheggia atmosfere teurgiche e martineziste,
costituisce una testimonianza tra le più importanti del
ricollegamento della tradizione massonica a quella
primordiale. Il rito è fondato sulla Benedizione di
Abramo e la Consacrazione di Aaronne e non può
essere praticato più di una volta all’anno.
Ulteriori antient degrees vengono praticati
all’obbedienza dell’Order of the Allied Degrees in vari
paesi del mondo. Negli Stati Uniti per esempio, oltre ai
61
cinque gradi inglesi già citati ci sono anche l’Ark
Mariner, il Secret Monitor e l’Order of Eri; in Francia,
oltre ai precedenti e tolto l’Ark Mariner (amministrato
dal Marchio), ci sono in più lo Holy Order of Grand
High Priest, il Master of Tyre, l’Architect e il Grand
Architect, per un totale di dodici.
In Irlanda l’Order of Knight Templar Priests, di
successione templare, chiamato anche Anahilt Union
Band, sul finire del diciottesimo secolo contava circa
una sessantina di logge (dette Bands), ben poche delle
quali aderirono al primo grande tentativo di riunire il
templarismo sotto gli auspici di Dublino (e Londra), il
cosiddetto Early Grand Encampment. Di fatto,
l’Anahilt costituiva una forma di libera unione, non
contemplante nessuna delle sovrastrutture che
contraddistinguono i corpi massonici moderni.
Nel 1807 l’Early Grand Conclave di Scozia, che
deteneva anche una linea di successione dei gradi
irlandesi, concesse per la prima volta a un
Encampment inglese la patente che consentiva di
rilasciarli. Poi, negli anni immediatamente successivi –
quando divenne chiaro che la possibilità di praticare i

62
gradi templari all’obbedienza della Gran Loggia
d’Inghilterra stava sfumando – i templari inglesi si
costituirono a loro volta in Early Grand Conclave, che
nel 1812 delegò la pratica dei gradi irlandesi al Royal
Kent Encampment di Newcastle-upon-Tyne.
Stiamo parlando di un sontuoso sistema in 36 gradi, cui
può accedere oggigiorno soltanto chi è Maestro del
Marchio, Maestro dell’Arco Reale e goda in più della
condizione di Past Master Installato. Poiché i Templar
Priests sono (a buona ragione) molto gelosi dei loro
misteri, ci limitiamo qui a fornire – senza alcun
commento – le sole denominazioni dei primi 33 gradi:
1. Knight of the Christian Mark; 2. Knight of Saint
Paul; 3. Knight of Pathmos; 4. Knight of Death; 5.
Knight of the Black Cross; 6. Knight of Bethany; 7.
Knight of the White Cross; 8. Knight of Saint John; 9.
Knight Priest of the Holy Sepulchre; 10. Knight Priest
of the Holy Order of Wisdom; 11. Holy and Illustrious
Order of the Cross; 12. Knight Priest of Eleusis; 13.
Knight of Harodim; 14. Knight of the North; 15.
Knight of the South; 16. Knight & Prince of the
Sanctuary; 17. Knight Grand Cross of Saint Paul; 18.
Knight of Saint John the Baptist; 19. Knight Rosae
63
Crucis; 20. Knight of the Triple Cross; 21. Knight of
the Holy Grave; 22. Knight of the Holy Virgin Mary;
23. Knight of the White Cross of Torpichen; 24. Grand
Trinitarian Knight of Saint John; 25. Knight Grand
Cross of Saint John; 26. Knight Priest of Jerusalem; 27.
Knight of Palestine; 28. Knight of the Most Holy
Cross; 29. Knight Priest of the Tabernacle; 30. Knight
of the Redemption; 31. Knight of Truth; 32. Knight of
the Red Cross of Rome; 33. Holy Royal Arch Knight
Templar Priest.

64
2. Il Marchio operativo

Secondo un’antica tradizione tedesca, i tagliapietre si


riunirono in fraterna associazione per la prima volta per
l’edificazione della Cattedrale di Magdeburgo, che
cominciò nel 1211; data curiosamente vicina alla prima
associazione documentata dei tagliapietre inglesi, per
la Cattedrale di Winchester nel 1202. È certo che tali
associazioni avevano rituali di iniziazione, segni di
riconoscimento e metodi di istruzione segreti e che, a
partire dalla fine del tredicesimo secolo, divennero
indipendenti dall’autorità religiosa che originariamente
le controllava.
Nel 1352, in un decreto di Edoardo III, viene usato per
la prima volta il termine freemasons e si ha il
riconoscimento ufficiale delle gilde muratorie
operative. Sono datati tra il 1390 e il 1420 i
regolamenti conosciuti di tali gilde (più avanti
denominate logge), e circa un’ottantina di questi sono
pervenuti fino a noi dal periodo compreso fra il
quindicesimo e il diciottesimo secolo.
65
Il grado di Apprendista durava in media sette anni, non
poteva durare meno di cinque e poteva raggiungere i
venti. Poi passava Compagno (detto anche
Journeyman, Viaggiatore, o Travelling Mason,
Muratore Viaggiante), ma si trovava ancora sotto il
controllo del Sovraintendente. Era libero di trovare
lavoro dovunque volesse, ma per provare la sua
competenza due requisiti gli erano richiesti: saper
rispondere a un toccamento e poter esibire un Marchio
con cui firmava il suo lavoro. Può essere interessante
citare il dialogo rituale con cui un Compagno veniva
accolto nelle gilde tedesche:
«Copritore: Qual è la vostra richiesta?
«Compagno: Vorrei che il mio onesto nome fosse
iscritto nel Libro di Loggia, come altri onesti
Compagni hanno ottenuto prima di me.
«Copritore: Straniero, siete un muratore improvvisato o
riconosciuto?
«Compagno: Sono un muratore riconosciuto.
«Copritore: Qual’era il nome del primo muratore?

66
«Compagno: Anton Hyeronimus (Adonhiram), e gli
attrezzi da lavoro furono inventati da Walkan
(Tubalcain).
«Copritore: Quante parole ha un Muratore?
«Compagno: Sette.
«Copritore: Qual è il segreto?
«Compagno: Terra, fuoco, aria e neve, attraverso i
quali vado al giusto avanzamento.
«Copritore: Qual è la parte migliore di un muro?
«Compagno: L’Unione».
Il Compagno poi prometteva alla loggia di non rivelare
il toccamento se non a chi ne fosse degno e di non
mettere mai nulla dei dialoghi rituali per iscritto. Ci
sono giunti anche molti interessanti particolari riguardo
a un rito che era praticato quando un Compagno
maldestramente rovinava una pietra, alla quale veniva
tributato un vero e proprio funerale (al termine del
quale il malcapitato Compagno… veniva bersagliato
di sputi dai colleghi); «cimiteri di pietre» sono stati
scoperti anche presso cattedrali di costruzione

67
relativamente recente, a dimostrazione che questi
rituali degli operativi si tramandarono almeno fino alle
soglie dell’età moderna.
Nel 1452 tutte le logge operative di Germania si
unirono in quello che viene considerato il primo Ordine
Muratorio, del quale il Fratello Jacob Dotzinger fu
eletto Gran Maestro. Nel 1459 i suoi regolamenti
vennero messi per iscritto, ottenendo l’approvazione
dell’imperatore Massimiliano nel 1498. L’incontro
annuale tra le logge era denominato Capitolo ed era
soltanto nel corso di esso che un Compagno poteva
essere elevato a Maestro.
L’articolo 25 dei Regolamenti dell’Ordine recitava: «Il
Compagno che ha imparato il lavoro può rivolgersi al
Maestro e, dopo che gli ha dato prova della sua
bravura, il Maestro può concedergli un Marchio».
L’articolo 26: «Il Maestro deve concedere il suo
Marchio al nuovo Muratore entro 14 giorni da quando
è diventato Compagno». L’articolo 30:
«All’Apprendista potrà essere concesso un Marchio
solo qualora non ci sia lavoro per lui in quel luogo, in
modo che possa andare altrove e ottenere un impiego».

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L’articolo 59: «Ogni Apprendista riceverà il suo
Marchio quando passerà Compagno». L’articolo 72:
«Tutto il lavoro di un Compagno sarà esaminato, e
nessun Marchio potrà essere impresso su una pietra che
non sia in armonia con il progetto. Se tuttavia il
Marchio viene impresso, allora il Muratore avrà diritto
a ottenere il suo compenso». L’articolo 109: «Se un
Muratore Viaggiante chiederà una pietra e un cesello
per incidersi il suo Marchio, gli saranno
immediatamente dati».
Queste testimonianze, provenienti da un ordine
muratorio altamente organizzato, gettano luce sulle
vicende quotidiane all’interno delle logge e
costituiscono le più antiche prove scritte dell’uso del
Marchio in muratoria.
Lo studio dei Marchi dei Muratori nel corso dei secoli
è uno sterminato e ancora in gran parte inesplorato
campo di ricerca. Ma ci sono tre elementi che è
necessario notare, perché destinati a ripresentarsi nella
attuale massoneria.
1 – Il primo è che il Marchio era sempre strettamente
personale. Qualsiasi artifizio grafico era consentito al
69
Muratore al fine di personalizzarlo ulteriormente; il suo
Marchio iscritto nei registri della Loggia era
attentamente esaminato in caso di controversia sulla
paternità di un lavoro e costituiva una prova
inappellabile. Gli Statuti Schaw – Regolamenti dei
Muratori Scozzesi, 1598 – prescrivono testualmente
che «quando una Loggia riceverà un Compagno o un
Maestro il suo nome verrà registrato, e il suo Marchio
sarà riprodotto sullo stesso registro».
Lo stesso William Schaw, che li compilò, andò oltre
questa regola, apponendo il suo Marchio anche a
suggello del verbale di un’Assemblea di Muratori che
presiedette nell’anno 1600. Il Marchio di un nuovo
Fratello che entrò a far parte dell’Officina è anche
contenuto nel Libro di Loggia della R:. L:. scozzese
Aitchison Haven, il più antico esistente al mondo,
risalente anche quello agli ultimi anni del sedicesimo
secolo; ci sono poi altri documenti a dimostrare che
quando le logge scozzesi incrementarono l’abitudine di
accogliere Fratelli non operativi, anche a costoro venne
concesso di scegliersi un Marchio.

70
Nel suo saggio The Mark Degree, Springett documenta
che, per quanto al Muratore fosse concessa la massima
libertà nella scelta del Marchio, tale scelta tuttavia non
era arbitraria: c’erano alcuni criteri che lo guidavano,
per esempio gli era concesso di ereditare il Marchio già
usato dal proprio padre o uno dei Marchi tradizionali
usati nell’antichità che in quel momento fosse vacante,
e se proprio voleva studiarsi un Marchio di propria
iniziativa doveva attenersi ad alcune regole non scritte
rigidamente osservate da tutti.
2 – La seconda caratteristica dei Marchi da considerare
è che si trattava di Marchi di approvazione. Come
abbiamo visto nei regolamenti tedeschi, era proibito al
Muratore imprimere il suo Marchio prima che il pezzo
fosse stato approvato dal Maestro di Loggia o dal
Sorvegliante, dopodiché esso veniva allineato con tutti
gli altri che il Compagno riusciva a terminare entro
quella giornata e dal loro conteggio gli veniva calcolata
la paga.
L’approccio originario verso il Marchio era dunque:
«devo marchiare la mia pietra se voglio riscuotere la
mia paga», piuttosto che «voglio firmarla»; il che

71
esclude a priori l’obiezione – formulata da autori
facenti capo a una corrente teorica della massoneria
contemporanea – secondo cui la pretesa di apporre un
Marchio alla propria opera costituirebbe per il massone
un peccato di orgoglio. È esattamente il contrario,
come abbiamo accennato in precedenza: l’apposizione
del Marchio venne sempre considerata una sorta di
scongiuro contro i pericoli dell’orgoglio.
Oltre ai «Marchi da riscossione» esistevano anche i
«Marchi di posizionamento», che sono spesso stati
confusi con i primi. Erano diffusi soprattutto in
Francia, dove il complesso simbolismo ermetico
relativo alla decorazione delle cattedrali faceva sì che
talvolta una data statua fosse erroneamente posizionata
dai Compagni nel luogo sbagliato. Sappiamo per certo
che tali inconvenienti si verificarono a Parigi nella
fabbrica di Notre Dame; fu allora elaborato un sistema
di Marchi che stabilivano in modo che non fosse
possibile sbagliare il modo in cui la pietra o la statua
dovevano essere collocate, ma non hanno nulla a che
vedere con i Marchi dei Compagni che le tagliarono o
scolpirono.

72
Questi Marchi di posizionamento venivano
generalmente impressi sulla base della pietra, quindi
sono oggi rintracciabili soltanto negli edifici in rovina;
fa eccezione la Cattedrale di Reims, nella quale molti
furono collocati in posizione visibile.
Il fatto che in molti edifici cui lavorarono le antiche
logge dei muratori siano presenti pietre sia marchiate
sia non marchiate ha sollevato molti dubbi. Si pensa
che ciò dipenda dal saltuario impiego di manovalanza
estranea alla loggia; l’impiego di questi muratori
«profani» (probabilmente pagati a ore) per le opere di
minore importanza è documentato, ad esempio, nella
Cattedrale di Cambridge.
3 – La terza caratteristica è l’esistenza, nei Marchi da
costruzione, di una sorta di linguaggio criptico. Questo
non accade sempre e dovunque: soprattutto i Marchi
del Medioevo sono frequentemente limitati a una più o
meno rozza raffigurazione del nome del Compagno.
Ma altrove i Marchi erano probabilmente imposti
dall’alto e le loro raffigurazioni rispondono a regole
che sono ben lungi dall’essere state completamente
comprese.

73
Springett cita a sua volta un autore tedesco,
Hoffemeyer, che affermò l’esistenza di una chiave
incisa nella Cattedrale di Strasburgo in base alla quale i
Marchi dei muratori tedeschi potevano essere decifrati:
questa chiave sarebbe stata riscoperta dall’architetto
Arnold di Strasburgo ed era anche riportata nelle
pagine di un antico libro appartenente a un massone di
Norimberga di nome Kirchner. Ma sfortunatamente,
l’opera di Hoffemeyer non è giunta ai nostri giorni.
Sir John Cockburn, grande studioso dei Marchi, vedeva
l’origine dei simboli in essi usati in quelle lettere degli
alfabeti greco e romano che più facilmente potevano
essere incise, come la A, la Z, il Delta, la N, la V, la H
e il Theta: riguardo a quest’ultimo, dalla sua forma più
antica (una sorta di O con un puntino nel mezzo)
sarebbe anche derivato il nome di Thoth, il mitico dio
egizio considerato l’inventore dell’alfabeto e il
fondatore dell’ermetismo.
F.G. Harmer suddivide i Marchi in due classi
fondamentali, quelli dei Sovraintendenti e quelli degli
Operai. I primi erano monogrammatici, mentre
l’intreccio di linee dei secondi raffigurava di solito

74
oggetti, anche assai curiosi, come maglietti, scarpe,
eccetera; secondo un’ulteriore distinzione, i Marchi dei
tagliatori (Straight Masons) erano collocati sul lato
interno della pietra, mentre i costruttori (Arch Masons)
piazzavano il loro Marchio sul lato esterno.
Soltanto gli Arch Masons erano abilitati alla
costruzione di edifici includenti archi (compresi i
ponti), che richiedevano molta maggior perizia. Questa
suddivisione dei muratori in due categorie è certamente
collegata allo sviluppo dei due gradi indipendenti che
troviamo saldati nell’odierno rituale del Marchio.
Certi studiosi hanno immaginato che la difficoltà di
tracciare linee curve con maglietto e cesello facesse sì
che i Marchi degli operativi fossero composti soltanto
di linee rette, ma i Regolamenti di un Capitolo
scozzese dichiarano espressamente che «le linee curve
sono permesse». Secondo Springett, l’uso di linee
curve nel proprio Marchio era riservato agli Arch
Masons, i Costruttori.
Ai nostri giorni, la derivazione della massoneria
speculativa dalle logge della muratoria operativa è un
dato universalmente riconosciuto; ma non molti sanno
75
che – per quanto possa sembrare incredibile – essa
venne negata fino alla seconda metà dell’Ottocento (ed
esiste tuttora in Inghilterra una corrente minoritaria di
Fratelli che la nega). Il primo documento semiufficiale
a rivendicarla esplicitamente è una History of
Freemasonry del 1865 e per il primo documento
ufficiale occorre attendere addirittura il 1911, quando
la Gran Loggia Unita d’Inghilterra diramò una Nota
Storica (storica in entrambi i sensi) che affermava: «il
rituale della Massoneria, per quanto concerne il Primo
e il Secondo Grado, è in parte (sic) derivato dalle
cerimonie delle antiche Gilde Operative».
Purtroppo, occorre ammetterlo, a questa assurda
riluttanza nel negare le proprie origini contribuiva un
miope spirito di classe, in parte spiegabile con le molte
energie profuse dalla massoneria dal 1717 in poi per
mietere consensi in seno alla nobiltà; ma ciò non toglie
che molti Fratelli di più larghe vedute non abbiano mai
perso coscienza della verità, sebbene in certi periodi
storici (incluso il nostro) l’abbiano ripetuta troppo a
bassa voce, contribuendo alla deplorevole separazione
che oggi purtroppo è in atto tra la massoneria e il
mondo del lavoro.
76
Nel 1883 un massone del Marchio di York, il Fratello
Whytehead, andò casualmente a visitare una delle
ultime confraternite tradizionali di muratori operativi:
umili e semplici artigiani che lavoravano al restauro di
un edificio. Rimase sbalordito nel constatare che presso
di loro l’usanza di collocare il Marchio dei tagliatori
all’interno e quello dei costruttori all’esterno – scoperta
da Harmer nei suoi studi sui Muratori dell’antichità –
era ancora applicata. Si recò poi nella loro sede e vi
trovò il Sovraintendente che istruiva i Compagni sul
piano di lavoro, collocato nel centro della stanza come
un Quadro di Loggia; nessun Fratello di York era a
conoscenza che queste usanze fossero ancora vive e
presenti nella città. Questo curioso aneddoto dà la
misura di quanto, nel corso della storia, la distanza di
classe che separa i muratori operativi dai massoni
speculativi abbia nuociuto ad una migliore
comprensione del simbolismo massonico.
Gli operativi avevano i loro catechismi, le loro letture e
i loro rituali, dai quali indubbiamente la massoneria
speculativa attinse molto. La maggior parte delle loro
logge non sopravvisse alla fine del diciannovesimo

77
secolo, ma nei piccoli centri alcune giunsero alla prima
guerra mondiale.
In una copia del quindicesimo secolo de La storia e le
regole della Muratoria si dice che «Salomone aveva
quarantamila muratori (Arch Masons) al lavoro per
l’edificazione del Tempio, e il figlio del Re di Tiro era
il suo Maestro Muratore».
Le Costituzioni della Massoneria di York del 1704
aggiungono che Salomone scelse tra quei quarantamila
«tremila che furono ordinati come Maestri e
Governatori del suo lavoro».
Un antico rituale dell’Arco Reale specifica inoltre che
altri quarantamila Straight Masons erano impiegati
nelle cave, per un numero complessivo di ottantamila,
e altri trentamila erano impiegati come tagliaboschi
nelle foreste del Libano. Questi 110.000 uomini erano
ordinati in 1100 logge con 3 Maestri in ogni loggia e i
3300 Maestri lavoravano a loro volta in 100 logge in
grado di Maestro, 33 per ognuna.
Ogni Compagno aveva un Marchio per distinguere il
proprio lavoro; Maestri e Sovraintendenti avevano
Marchi di genere diverso.
78
Quando un Apprendista entrava a far parte della loggia
(a partire dal marzo 1663 l’età minima fu fissata a 14
anni di età e dal dicembre dello stesso anno a 21; prima
entravano anche ragazzini di 12 o 13 anni), egli
sceglieva in quale delle due classi volesse servire. Se
sceglieva di essere uno Straight Mason gli veniva fatto
dono di una Squadra, se un Arch Mason di un
Compasso: è questa l’origine storica dell’immortale
simbolo che tanto amiamo. Il colore-simbolo degli
Straight Masons era il blu, quello degli Arch Masons il
rosso.
Nelle logge degli operativi i tre Gran Maestri sedevano
a Occidente, per fronteggiare il sole che sorge; il Primo
Sorvegliante a Est e il Secondo a nord. L’Altare era nel
centro della loggia e c’erano tre Diaconi, essendo
anche il Maestro di Loggia considerato tale.
Per l’iniziazione, l’Apprendista entrava in loggia
vestito di bianco, con un cordone blu intorno alla vita,
tenuto per mano da due Compagni, uno per parte; un
altro Compagno davanti e un altro dietro reggevano gli
estremi di un altro cordone blu annodato intorno al suo
collo. Così veniva formato un diamante a cinque punti,

79
il cui simbolismo si è conservato nella attuale
Massoneria del Marchio (e in forme leggermente
diverse anche in altri corpi rituali).
Per il passaggio al grado di Compagno, il Candidato
doveva preparare una rozza Pietra Squadrata come
campione del suo lavoro e il Sovraintendente ai
materiali doveva esaminarla prima che potesse entrare.
Doveva portarla con sé quando entrava nella loggia e
dichiarare che quella era tutto il suo lavoro. Gli veniva
chiesto il segno e la parola di passo: Banai, Costruttore.
Il compito che gli veniva assegnato in quella occasione
ci è stato tramandato da Robert Padgett nel 1686, in un
rituale ad uso di tutte e otto le «divisioni» degli
operativi in Inghilterra (Londra, Westminster,
Divisione del Sud, Bristol, Chester, Isole Minori,
Lancaster e York). Due delle sue prescrizioni sono
notevoli:
«Onorerai l’Altissimo e la Sua Santa Chiesa: non
aderirai a nessuna Eresia, Scisma o Errore nelle tue
Iniziative, né discrediterai gli insegnamenti degli
Uomini saggi.

80
«Manterrai Segrete le oscure e intricate Parti della
nostra Scienza, non dischiudendole a nessuno tranne a
coloro che già le studiano e le utilizzano».
Gli veniva poi consegnato un Regolo dell’esatta misura
di un cubito, e veniva indirizzato all’angolo nord-est
della loggia perché provvedesse a completare la
rifinitura della sua Pietra rozzamente squadrata;
dopodiché questa veniva riesaminata dall’Ispettore e
finalmente accettata, al che gli veniva comunicata la
parola di passo giblim (Muratore Esperto).
Dopo un anno da Compagno, si poteva accedere al
perfezionamento di Compagno del Marchio (detto
anche Superfellow, Super-Compagno), che corrisponde
quasi esattamente al grado speculativo di Operaio del
Marchio. Il Candidato veniva condotto intorno alla
loggia per tre volte e prestava giuramento
inginocchiandosi di fronte alla Pietra Squadrata che
aveva portato con sé.
Il rituale del perfezionamento successivo, (Compagno)
Costruttore, si differenzia tra gli Straight Masons e gli
Arch Masons su un punto importante: la pietra che nel
rituale degli Straight Masons risulta essere andata
81
perduta è la Pietra Angolare, mentre presso gli Arch
Masons è la Chiave di Volta come nel Marchio attuale.
È quindi lecito considerare a livello simbolico Pietra
Angolare e Chiave di Volta come equivalenti.
Tre soli Compagni per ogni loggia avevano diritto di
accedere alla dignità di Maestro. Venivano condotti
intorno alla loggia per sette volte e venivano loro
attribuite simbolicamente le identità di Salomone,
Hiram e Hiram Abif (come avviene ancora oggi, tranne
che in Irlanda, nell’Arco Reale). Sedevano insieme
all’Occidente, al sommo di una Scala di Sette Gradini;
sotto i Gradini stava il decano dei Maestri Passati
(Adonhiram), mentre all’Oriente c’erano le due
colonne in cui prendevano posto gli altri Maestri
passati – B… a sinistra e J…. a destra.
Quanto ai tre Maestri, essi sedevano sul Monte Moriah
(mentre B… era anche detta Monte Tabor, e J….
Monte Sinai). Questi nomi sono rimasti nella
massoneria speculativa e in Inghilterra e vari altri paesi
vengono usati nel rituale delle Gran Logge provinciali
e nazionali. In occasione dell’Assem¬blea Annuale
degli operativi, i tre Maestri non aprivano i lavori

82
privatamente, celati alla vista degli altri Fratelli da un
Velo come di solito, ma ciascuno si faceva assistere dai
suoi cinque Maestri Passati. I 18 Fratelli si radunavano
in 6 gruppi di 3, e salmodiavano la Parola Sacra
dell’Assemblea nelle sue tre sillabe: SAN - HE -
DRIM.
La struttura dei sistemi di gradi operativi contiene già
chiare predisposizioni del successivo sviluppo della
Massoneria del Marchio come corpo rituale separato;
tali gradi contengono inoltre chiari accenni a molte di
quelle che oggi sono diventate caratteristiche accettate
del Marchio.
Per esempio, nel rituale operativo di passaggio al
secondo grado, dopo che il Candidato ha imparato a
usare il Filo a Piombo e la Livella gli viene detto:
«prendete la Squadra con la mano destra, e verificate le
dimensioni della Pietra Squadrata, o Pietra Cubica».
Gli vengono poi spiegati i significati della lettera G e le
corrispondenze morali della Geometria:
«Amico mio, se volete essere parte di questa Fraternità
dovrete essere in grado di spiegare il significato della
lettera G. Dove essa sta collocata tra le Quattro Lettere
83
e le Cinque Scienze con debita arte e proporzione,
troverete la risposta […]. La nostra libera Scienza
forma una nobile ed enorme struttura: un punto, una
linea, una superficie e per ultimo un solido».
Al Candidato viene poi chiesto cosa siano un punto,
una linea, una superficie e un solido. Nelle Letture
Harodim, le precedenti spiegazioni sono integrate da
un lungo commentario storico, che comincia così:
«La Massoneria fu propagata in questo modo: quando i
nostri antichi Fratelli avevano terminato il Tempio di
Gerusalemme, viaggiarono in terre straniere e
stabilirono così nuove Logge, e crearono regolarmente
nuovi Massoni che erano operativi di professione […].
La Stretta del Compagno allude a una delle leggi penali
dell’antica Tiro, ed è emblematica della pena inflitta ai
responsabili di spergiuro, ai quali – quando
commettevano tale colpa per la seconda volta – veniva
mozzato il secondo dito della mano destra […]. Gli
Operai del Marchio hanno il compito di preparare le
pietre per il Tempio in modo tale che gli Erettori, nel
luogo del Tempio, possano sapere esattamente dove
ogni pietra deve essere piazzata, sapendo che queste

84
sono marchiate con pittura blu, mentre quelle destinate
alla Gilda dell’Arco sono marchiate in rosso […]. Nel
nostro rituale, gli Uomini sono le Pietre che devono
essere Marchiate – Pietre viventi. Quando un
Compagno deve essere ricevuto (nel Marchio), entra
nel Tempio mescolato insieme agli altri; quando poi
viene dato l’ordine “Ogni uomo al suo posto”, tutti i
presenti – essendo già Marchiati – sanno dove andarsi
a piazzare; il Compagno, che non lo sa, occupa a caso
un posto libero. Il Maestro dice poi che esaminerà se le
pietre ci sono tutte, e se sono perfettamente marchiate
per il lavoro del Tempio. Trova il Compagno, ed
esclama: “Qui c’è una pietra che non è stata preparata
come le altre e non è marchiata. Come siete entrato
qui?” Il Compagno risponde che è entrato dalla porta
insieme agli altri. Questo causa grande indignazione,
ma poi i Fratelli si placano, decidono che possono
riconoscerlo e lo marchiano. Così egli diventa un
Operaio del Marchio, e ha un Marchio indelebile
impresso sul corpo».
Per quanto riguarda gli Erettori: troviamo in certe gilde
un grado detto Bonai, i cui membri erano Collocatori
ed Erettori. Il rituale di avanzamento a questo grado era
85
uno dei più complessi in assoluto della muratoria
operativa, ma vale comunque la pena di darne alcuni
cenni.
Il Candidato dichiarava di essere una pietra marchiata e
di cercare avanzamento; dopo varie difficoltà, veniva
sollevato un velo che celava la parte occidentale del
Tempio e gli era dato finalmente di vedere i tre Gran
Maestri seduti all’Occidente fianco a fianco.
A quel punto, quattro forti muratori si disponevano a
quadrato: piede contro piede, spalla contro spalla,
ciascuno con una spada nella mano sinistra e un
diverso attrezzo nella destra. Si staccavano poi l’uno
dall’altro quanto bastava per raggiungere gli angoli di
un quadrato tracciato sul pavimento con entrambe le
diagonali; il Fratello col Filo a Piombo sospendeva il
suo attrezzo sul Centro e si comunicava al Candidato
che in questo modo erano stati formati i cinque punti.
Come in svariati altri rituali di «quarto grado», il rito
che seguiva era presieduto da Adoniram.
Notevole è pure che, nel rituale Bonai, la Pietra
Angolare è andata perduta, e il Maestro del Quarto
Cortile manda un messaggero ad avvertire i Fratelli del
86
Sesto Cortile che il lavoro è fermo a causa di questa
perdita. Allora il Primo Gran Maestro va a cercarla nei
primi Tre Cortili, e la trova infine subito fuori
dell’Arco del Quarto Cortile, dove l’avevano rifiutata
perché era squadrata, ma lasciata intatta perché era
erroneamente segnata con un Marchio rosso. Quando
l’uomo che aveva commesso l’errore viene scoperto,
viene gettato da un precipizio di trenta cubiti: il suo
sacrificio segna la consacrazione del Tempio.
I rituali degli operativi, come si vede, erano ben lontani
dall’insulso moralismo di certi rituali massonici di
oggi; ma il senso iniziatico, per chi voglia prendersi la
fatica di penetrarlo, era ben più profondo.
Ci sembra degna conclusione per questo capitolo un
breve frammento di Catechismo operativo in grado di
Apprendista:
«M.V.: C’è qualcosa in comune tra Voi e me?
«A.: Maestro Venerabile, c’è lo studio della
Massoneria.
«M.V.: Cos’è la Massoneria?

87
«A.: Lo studio delle scienze e la pratica della virtù
[…]. Essa comprende entro il suo cerchio ogni ramo di
conoscenza utile e degna di essere imparata, e imprime
un indelebile Marchio di preminenza su coloro che la
praticano sinceramente».

88
3. Il Marchio speculativo

Quando la Massoneria speculativa fu fondata nel 1717,


molte parti importanti della Muratoria operativa
vennero escluse dai nuovi rituali. Abbiamo già
accennato nel primo capitolo all’ambizioso piano che
guidava i fondatori dell’istituzione massonica e
l’accento da noi posto sull’aspetto ermetico della cosa
si integra assai bene con la lapidaria analisi di Carr:
«Anderson e coloro che erano associati a lui erano
soprattutto preoccupati di evidenziare quegli elementi
che avrebbero facilitato la trasposizione di simbolismi
e allegorie in senso morale».
Naturalmente, come sempre avviene i questi casi, la
sete di rinnovamento portò anche delle esagerazioni.
Per esempio, tutto ciò che si riferiva ai perfezionamenti
del grado di Compagno presso gli Operativi – ovvero
anche al Marchio – venne omesso; e magari ne avesse
sofferto soltanto il Marchio! Erano in realtà molte
essenziali parti del grado di Compagno che se ne
andavano per sempre.
89
Non si può prescindere da questa realtà se si vuol
comprendere le ragioni del dissenso manifestato verso
la Massoneria speculativa dagli Antients: proteste che
indubbiamente avevano una componente anacronistica,
ma muovevano dal legittimo malumore del massone
che si vede privato di una parte degli strumenti del suo
lavoro – perdipiù, nella prospettiva che di tali strumenti
sarebbero state private anche le generazioni successive.
Tra parentesi – dispiace notarlo, ma è doveroso –
l’odierna rilettura della scissione degli Antients da
parte di alcuni storici facenti riferimento alla Gran
Loggia Unita d’Inghilterra contribuisce non poco
all’incomprensione delle vere ragioni del dissenso: a
sentir loro, non si sarebbe neppure trattato di una
scissione, ma semplicemente di una ripicca – da parte
dei massoni scozzesi e irlandesi – per le
discriminazioni classiste di cui erano fatti oggetto
quando capitava loro di frequentare Officine inglesi.
Ora, minimizzare i dissensi va bene, e fa ancora più
piacere rilevare che nelle sue analisi storiche la Gran
Loggia non si limita a fare dell’ideologia ma tiene
conto anche dei fattori di ordine economico; non è
bene però che tali virtù siano applicate a una causa
90
sbagliata come quella di occultare le ragioni degli
avversari, soprattutto se questi sono scomparsi ormai
da quasi due secoli e non hanno più la possibilità di far
valere le proprie ragioni.
Da tutto questo si può intuire che, per quanto non si
possa definire errata la classica definizione del
Marchio quale preliminare dell’Arco Reale che si
affermò a partire dal 1717, si tratta tuttavia di una
definizione viziata in partenza da una carenza di dati:
ovvero, preliminare dell’Arco Reale sì, ma anche
perfezionamento e completamento del cammino di
Compagno, cioè vertice della realizzazione iniziatica
per quella grande maggioranza di Muratori operativi
che non erano tentati dalle lusinghe e dai rischi della
maestranza.
Sono queste le valenze che emergono dalla storia del
Marchio nella massoneria primitiva, che in questo
capitolo andremo rapidamente a rivisitare.
Nel 1677 la Compagnia dei Muratori di Londra passò
sotto il diretto controllo della corona e fu stabilito per
decreto che essa sarebbe stata governata da un Maestro
nominato a vita, da due Sorveglianti e da ventiquattro o
91
più Assistenti. Oltre che il monopolio delle attività
edilizie nella City, le veniva delegata la ricerca del
cattivo lavoro, ovvero la possibilità di individuare e
denunciare i lavori non eseguiti a regola d’arte o il
truffaldino utilizzo di materiali di scadente qualità.
Questo dettaglio riveste particolare interesse se si
pensa che proprio da quella Compagnia sarebbe uscito
il gruppo che nel 1717 diede origine alla massoneria
speculativa: la pratica del rigetto del lavoro di cattiva
qualità era al centro delle loro attività e delle loro
preoccupazioni e influenzò non poco le loro scelte nel
delineare quella che sarebbe stata la futura ortodossia
massonica.
Al di là di questo, il tema del rigetto del cattivo lavoro
fu senza dubbio determinante anche nel forgiare la
versione massonica del Marchio, differenziandola dalla
prassi dei Marchi operativi la cui esistenza abbiamo
trattato nel precedente capitolo.
Notiamo di sfuggita che lo stesso processo di
adattamento alle istanze speculative fu riservato al
simbolismo dell’Arco. Così, nelle Costituzioni della
Gran Loggia d’Inghilterra possiamo leggere che
92
«l’intero Corpo [della Massoneria] somiglia a un Arco
ben costruito: questo non è ovviamente un riferimento
ad alcuna particolare leggenda dell’Arco Reale, ma
all’intera panoplia della Massoneria, che fu pensata
come se culminasse in tre Archi ben arrotondati,
rappresentati dai tre Maestri».
Inutile osservare che l’idea di adattare il simbolismo di
un grado al corpo della massoneria anziché
all’evoluzione individuale del massone è Modern fino
al midollo ed è quasi sbalorditivo che una tale
interpretazione sia stata ammessa nelle Costituzioni già
dal 1723.
A fronte della rapidità con cui ebbero luogo tali
processi di adattamento dei simboli – destinati
successivamente a durare, nella nuova versione
acquisita in quegli anni, per secoli e secoli – possiamo
solo immaginare le furibonde battaglie in loggia che di
quelle trasformazioni erano alla base, nel turbolento
clima di fermento intellettuale – inconcepibile oggi per
intensità – che fu alla base della società moderna come
oggi la conosciamo.

93
Non c’è alcun dubbio che Marks and Signs, Marchi e
Segni, fossero le principali tradizioni operative che gli
speculativi, almeno in quel primo periodo
dell’istituzione, erano fermamente intenzionati a
conservare; le testimonianze scritte sono innumerevoli.
Per esempio un Catechismo, pubblicato in quello stesso
1723 dal giornale «The Flying Post», recita
«D: In che posizione il Maestro pone il Marchio sul
suo lavoro?
«R: Sull’angolo a sud-est».
C’è da restare perplessi se si pensa che nel 1723 il
Maestro non esisteva ancora come grado e si era
ancora al punto in cui tre Maestri venivano scelti tra i
Compagni. Ma in quel confuso periodo in cui l’avvento
del terzo grado era già nell’aria, si usava somministrare
loro – per distinguerli dagli altri membri della loggia –
il Marchio o altri analoghi gradi di perfezionamento di
origine operativa; una pratica volta anche a
neutralizzare i malumori dei fratelli per la tendenza alla
soppressione degli antichi gradi, nel vano tentativo di
scongiurare le tempeste che si sarebbero abbattute sulla
massoneria speculativa di lì a pochi anni. Durò poco;
94
ma il Marchio, per quei brevi decenni, svolse presso gli
speculativi esattamente quella funzione protettiva
contro i rischi dell’individua¬zione per cui era stato
concepito.
È datato 1725 un Dialogo tra Simon, Muratore di città,
e Philip, Muratore itinerante, che contiene una serie di
domande e risposte su come gli operativi si potevano
riconoscere l’un l’altro. C’è nel Dialogo una
interessante distinzione tra gli «antichi Muratori e i
Nuovi Muratori, sotto le Regole di J. T. Desaguliers»,
ed è sintomatico della transizione in atto che, sebbene
Simon e Philip siano entrambi operativi, il Maestro
della loro Officina sieda all’Oriente. L’opera
testimonia con eloquenza di quanto intensi fossero
divenuti i contatti e gli scambi tra operativi e
speculativi negli anni successivi alla nascita della
massoneria moderna : una tendenza giustificata
dall’eccezionalità del momento, che non trova
riscontro nei secoli passati e che purtroppo si sarebbe
esaurita presto.
È oggetto di discussione tanto la data quanto la
provenienza del Manoscritto Graham (1726?), che

95
riporta un racconto dell’adozione del Marchio presso
gli operai del Tempio di Salomone. Se, come è
probabile, la data attribuita è corretta, se il manoscritto
ha davvero origine inglese e non scozzese e se non si
tratta di una copia da qualche documento precedente,
potrebbe trattarsi di un reperto del dibattito polemico
che andava già in quegli anni delineandosi tra i
massoni sull’opportunità di conservare o meno il grado
del Marchio.
Così pure le citazioni di varie antiche forme del
Marchio, che in quegli anni sembrano stranamente
moltiplicarsi, come questa in Rivelazioni di un
Muratore (1727):
«Il giorno che un Apprendista si sottomette al
giuramento [ovvero diventa Compagno] può scegliersi
un Marchio da apporre sui suoi lavori per distinguerli.
[…] A questo punto gli viene insegnato a rispondere
alla seguente domanda: “dove hai avuto questo
Marchio?” e la risposta è: “Ne ho posato uno e ne ho
raccolto un altro”».
Da questi e altri documenti, due conclusioni
fuoriescono inevitabili:
96
1 – Che qualsiasi cosa sia successa nelle logge
speculative tra il 1725 e il 1740, era ancora ben chiara
la cognizione che in passato i muratori avevano
ricevuto un Marchio e che c’erano altre usanze
collegate all’uso della sua concessione. 2 – E, d’altra
parte, era altrettanto chiara l’indissolubile connessione
di questi riti con la suddivisione in gradi e con le
pratiche degli operativi, il che senza dubbio valse non
poco a rendere inviso il grado del Marchio ai
modernisti più accesi.
Questi ultimi potevano anche contare su validi
argomenti. Come A. Mackey ha correttamente rilevato,
né il fatto che la concessione del Marchio fosse
considerata un evento capitale nella vita di un muratore
(accompagnata da banchetti, festeggiamenti, ecc.), né il
fatto che essa fosse legata all’acquisizione di
prerogative ben precise possono ovviare alla completa
mancanza di documenti riguardo a rituali specifici o
cerimonie segrete degli operativi che si possano
collegare direttamente alla concessione del Marchio.
Sarebbe stato senza dubbio opportuno, in quei giorni,
approfondire il dibattito sugli aspetti teorici del

97
Marchio, per stabilire inequivocabilmente se di «rito»
o no si trattasse, ma non ci risulta che questo sia stato
fatto e la cosa è comprensibile: in una massoneria
speculativa tutta protesa nello sforzo di alleggerire il
più possibile i suoi rituali scaricandosi di tutto ciò che
poteva sembrare goffo folklore artigiano, per ogni
antica consuetudine la semplice mancanza di «pezze
d’appoggio» suonava già di per sé come
un’inappellabile condanna.
In quello stesso periodo si diffonde in seno alla Gran
Loggia d’Inghilterra il grado di Maestro, che – come
non molti sanno – nei primi tempi veniva praticato
soltanto in logge separate, le Masters’ Lodges; la
comparsa di queste ultime è accompagnata pressoché
dovunque dalla nuova usanza di ammettere all’Arco
Reale soltanto gli ex-Venerabili. Si tratta in entrambi i
casi di rivoluzioni talmente profonde che si stenta a
credere si siano potute attuare nell’arco di soli quindici
anni, e contemporaneamente il grado del Marchio
scompare dalla Gran Loggia d’Inghilterra, per
riapparire poi – come vedremo – soprattutto in un
contesto Antient, nella seconda metà del secolo.

98
Dal punto di vista dei tradizionalisti, nell’apparizione
del grado di Maestro c’era anche un lato buono: si era
aperta la porta al cambiamento e questo offriva una
speranza di riammissione nell’Ordine per molti antichi
gradi che i modernisti avevano frettolosamente fatto
fuori. Ma purtroppo il processo di assestamento non
doveva essere generato dal sereno confronto, bensì da
furibonde polemiche e scissioni.
Le prime scintille si erano già viste con l’istituzione
delle Masters’ Lodges, che – come molti osservarono –
violava il principio dell’uguaglianza tra i massoni
(nessuno immaginava ancora che, proprio in virtù del
precedente determinato da quel primo abbozzo di
«corpo rituale» destinato a durare ben poco, ne
sarebbero nati nei secoli successivi molti altri; la
maggior parte dei quali - ironia della storia – proprio a
opera di massoni tradizionalisti).
Già fin da allora ci fu chi propose di rimediare
incorporando nelle Logge Azzurre i gradi di
Apprendista, Compagno e Maestro più l’Arco Reale:
facendosi cioè paladino di un sistema di Logge Azzurre
«a quattro gradi» che da molte parti viene ritenuto

99
auspicabile ancora oggi. Ma i più chiedevano il ritorno
all’antico: soprattutto fuori Londra, dove era più
difficile rendersi conto che la strada imboccata era
tanto più irreversibile quanto più dilagava nel mondo lo
stupefacente successo della massoneria speculativa.
Nel frattempo, la pratica del Marchio proseguiva nella
massoneria scozzese, che l’aveva ereditata dagli
operativi locali senza polemiche e senza scosse, e la
manteneva come parte integrante del grado di
Compagno. Non manca la citazione del Marchio nel
Libro di Loggia di Kilwinning, dove nel periodo dal
1674 al 1720 viene fatta menzione della concessione
del Marchio a tre diversi fratelli: i loro nomi, per chi è
attento a questo genere di curiosità, erano John Smith,
James Law e William Montgomerie. Il 12 luglio 1720,
il Fratello Montgomerie ricevette il proprio Marchio a
credito, dichiarandosi debitore verso la loggia della
somma di un marco scozzese (due terzi di sterlina).
Dopo il 1736, però, in seguito alla fondazione della
Gran Loggia di Scozia, la somministrazione del
Marchio continuò solo in alcune logge, che la stavano
gradualmente abbandonando. Fu allora che l’Arco

100
Reale scozzese intervenne e incorporò il Marchio nel
suo sistema; vedremo più oltre la grande importanza
che questo dettaglio avrebbe rivestito nella futura storia
del grado.
La più antica loggia scozzese in cui è certificato si
praticasse l’Arco Reale è la Ancient Stirling, in cui i
più antichi documenti sull’Arco Reale risalgono al
1743, anche se i fratelli che ne fanno parte dichiarano
che la loro tradizione orale ne fa risalire la pratica a
ben prima. In questa Officina vengono tramandate due
placche di ottone sulle quali sono praticate incisioni
che farebbero pensare a un antico sistema di stampa a
ricalco: le tre principali sono palesemente riferite ai tre
gradi azzurri, quindi le altre potrebbero riguardare
gradi differenti.
In uno di questi, una Colomba sovrastante una Croce
sorvola un Vascello, simbolo che potrebbe essere
collegato all’Ark Mariner; un altro è una serie di sei
semicerchi che formano un Arco la cui Chiave di Volta
è particolarmente evidenziata, e questo è chiaramente il
grado del Marchio.

101
Già dal 1745, del resto, le Costituzioni della Gran
Loggia di Scozia prevedevano che nelle Officine «una
certa parte di tempo deve essere spesa nell’Istruzione
degli apprendisti dell’Arte Reale, in una forma che non
può essere messa per iscritto», e il XII Articolo dei
Regolamenti (datati 1758) della R:. L:. Doric
Kilwinning, N° 68 all’Oriente di Glasgow recita
letteralmente: «qualunque membro ammesso nella
Loggia e iniziato Apprendista dovrà pagare nove
scellini, […] uno scellino e sei pence per passare
Compagno, due scellini per ascendere a Maestro e uno
scellino e un penny e mezzo per essere fatto Maestro
del Marchio».
Il che ci rivela due fatti importanti: primo, che il
Marchio era già senza dubbio un grado; poi che veniva
somministrato ai Maestri e non più ai Compagni – una
decisione che, mano a mano che si diffondeva il grado
di Maestro, venne presa in tempi diversi ovunque il
Marchio fosse praticato.
In Irlanda, lo storico della massoneria deve fare i conti
con il problema della gran quantità di documenti che è
andata dispersa o smarrita nelle guerre civili: perdita

102
vieppiù grave in quanto è noto che fin dalla prima metà
del diciottesimo secolo ogni villaggio, anche il più
piccolo, aveva la sua loggia. Ma anche dal poco che è
rimasto si è potuto ricostruire senza soluzione di
continuità il transito dalle gilde medievali alla
muratoria operativa, la quale cominciò ad accogliere
membri speculativi almeno dal 1688. Lo si sa dalla
bozza di un discorso per il conferimento dei diplomi
annuali in un college di Dublino, dalla quale
apprendiamo che la scuola ospitava una loggia; in
quell’occasione l’autore del discorso, tale John Jones,
dopo aver trattato dei diplomi aggiunse pure che «ogni
[studente che fosse anche] Libero Muratore aveva
ricevuto il suo Marchio».
Da altri documenti successivi a quella data
apprendiamo che l’ammissione degli speculativi
generò nella muratoria irlandese un boom di adesioni:
dalle contrade più lontane centinaia di giovani
affluivano in quelle logge in cui si sapeva che gli
speculativi erano ammessi (il che ci aiuta a capire
meglio i cambiamenti che stavano verificandosi in
Inghilterra negli stessi anni), e senza dubbio per molti
decenni del diciottesimo secolo la loro iniziazione era
103
inscindibilmente accompagnata dalla concessione del
Marchio.
Ci fu un certo trambusto quando, sul modello
dell’Inghilterra, a partire dal 1725 fu creata anche in
Irlanda una Gran Loggia speculativa. Parecchie
officine operative rivendicavano il diritto di passare
all’obbedienza della Gran Loggia senza essere disciolte
e poi reinnalzate come logge speculative; questo a
causa della preoccupazione che la Gran Loggia volesse
imporre loro nuovi rituali e le tradizioni muratorie
locali andassero perdute.
Dopo infinite discussioni, molte officine l’ebbero
vinta: la Gran Loggia d’Irlanda rilasciava loro delle
dispense speciali che attestavano la loro continuità con
le tradizioni degli operativi.
A parte questi episodi, l’innesto della massoneria
britannica sul ceppo delle tradizioni locali fu, in realtà,
ben più rapido e indolore di quanto si potrebbe
supporre. È conservato ancora oggi lo stemma inciso
su pietra della loggia del paesino di Newry, che era
stata una delle più antiche e gloriose logge operative

104
d’Irlanda: datato 1738, è sovrastato dalle lettere
maiuscole H G M.
Questo è un richiamo, che non ci si aspetterebbe affatto
di trovare, alle Costituzioni di Anderson (a soli
quindici anni dalla loro emanazione e quando ancora la
loro accettazione era ben lungi dall’essere generale
nella stessa Inghilterra!), laddove esse attribuiscono ai
tre gradi azzurri i nomi ebraici di Harodim, Giblim e
Menatzchim. È chiaro l’intento dell’incisore di
manifestare, e immortalare nel tempo, l’assenso della
loggia al nuovo verbo della massoneria speculativa.
Quanto all’Arco Reale, la sua apparizione in Irlanda è
databile a partire dal 1730 circa. Ma c’è una cosa di cui
bisogna tenere conto: le tradizioni autoctone irlandesi
erano tanto ricche e complesse che quando nei
documenti si trovano riferimenti all’Arco e al Marchio
non si può mai essere sicuri se si riferiscano ai gradi
importati dall’Inghilterra o a qualche antica forma
locale. Per esempio, le cosiddette Masters’ parts – i
rituali riservati ai Maestri che vennero conglomerati
nell’Arco Reale inglese – erano in Irlanda
completamente diversi, frutto dell’evoluzione

105
autonoma dei rituali degli operativi del luogo, e il
diritto concesso a molte officine di praticarli anche
nella massoneria speculativa non ci è di molto aiuto per
capire di cosa si sta parlando.
Peter Crossle deplora che nessun manoscritto delle
Letture in uso nelle logge irlandesi operative venne
tramandato alle officine della Gran Loggia d’Irlanda:
c’è da chiedersi se questa omissione sia stata casuale o
deliberata, o se (come ipotizza lo stesso Crossle) in
molti casi le Letture non fossero altro che la
trasmissione di una tradizione orale (la tendenza alla
trasmissione orale dei rituali è un tratto molto
caratteristico della massoneria irlandese, che si
perpetua tuttora).
Proprio in seguito a questa caratteristica l’Irlanda (in
apparenza così frettolosa a ostentare consenso alle
innovazioni importate dall’Inghilterra) riservò al
problema della soppressione degli ancient degrees una
soluzione del tutto originale, definita da alcuni autori
Massoneria Azzurra allargata: come si faceva in
passato, continuarono per lungo tempo a tramandare i
gradi antichi a memoria, integrandoli poco per volta

106
nel nuovo sistema. Se anche gli Antients inglesi
avessero pensato a ricorrere a un metodo del genere,
molte sofferenze per la nostra istituzione si sarebbero
risparmiate.
Una traccia del processo di «allargamento» è
conservata negli antichi documenti della Gran Loggia
d’Irlanda, nei vari punti in cui si accenna ai gradi
sussidiari (diplomatica definizione!). Tra questi il
Marchio è più volte citato, come pure l’Ark e il
Wrestle; ma ce n’erano probabilmente – perlomeno a
livello di logge locali – parecchi altri. Per esempio su
un quadro di loggia del 1763 è raffigurata una Lastra di
pietra da rivestimento sovrastata da una Pietra Cubica e
una Livella (emblema che non corrisponde a nessun
grado massonico conosciuto) più una Cazzuola; e sullo
stendardo di un’altra officina troviamo la Chiave di
Volta sovrastata dalla sigla I G E (Irish Grand
Encampment, il che attesta la sussistenza di un rituale
del Marchio «nazionale» che veniva tramandato in
seno agli Encampments templari), un Arco Reale
sostenuto da Quattro Pilastri, l’Arca di Noè e
nuovamente la Cazzuola. Quest’ultimo simbolo, al di
là dei suoi ben noti riferimenti massonici, aveva in tale
107
contesto un significato che può essere sommariamente
tradotto: «lavori in corso» per quanto riguarda i gradi
qui raffigurati.
Sempre la Cazzuola era anche l’emblema dell’Ark, un
«rituale dell’Arco» di origine operativa che nel primo
periodo dell’Arco Reale in Irlanda era richiesto come
requisito per esservi ammessi: per questa analogia con
il Marchio, certi autori l’hanno definito «Ark near
Mark».
Nel 1725, quando Lord Rosse fu nominato primo Gran
Maestro della Gran Loggia d’Irlanda, i massoni
irlandesi gli fecero dono di una cazzuola d’oro con un
nastro nero (colore sul cui significato molto si è
discusso). Il gentiluomo fu poi iniziato al grado
dell’Ark, che purtroppo non durò molti anni: la sua
leggenda e il suo simbolismo sono andati perduti sia in
Irlanda sia in Inghilterra (dove, come vedremo,
probabilmente era stato trapiantato).
Anche il grado irlandese del Marchio in versione I G E
seguì purtroppo lo stesso percorso. Di esso ci è rimasto
ben poco: in pratica, solo il gioiello di un maestro del
Marchio il cui nome era James Sullivan, datato 1795.
108
Sul suo verso è impresso un Cerchio racchiudente la
raffigurazione di tre Asce più le Lettere H T W S S T
K S.
Ci sono poi alcune tardive descrizioni da parte di figli o
discendenti di massoni del Marchio, dalle quali
risulterebbe che il rito di iniziazione era incentrato
sulla posa da parte del Candidato di una vera Chiave di
Volta su un Arco incompleto, sostenuto da due Pilastri
posati sul pavimento della loggia. Sulla Chiave di
Volta erano incisi certi geroglifici che – secondo un
passaporto del 1788 riprodotto da Crossle –
significavano forse la parola inglese Glory riprodotta in
caratteri massonici; ma la corrispondenza non è certa.
Che in Inghilterra la massoneria allargata irlandese
fosse guardata con disapprovazione e considerata da
molti «irregolare» (ma non certo fino al punto… di
generare la scissione degli Antients, come alcuni oggi
vorrebbero) lo sappiamo anche dalla motivazione con
cui un maestro irlandese venne respinto da una loggia
londinese nel 1759: «la nostra associazione [Loggia
Azzurra] non è né Ark [allusione al near Mark], né

109
Arco Reale né Antica [antient], quindi Voi non avete il
diritto di partecipare della nostra carità [!]».
Al di là delle poco fraterne parole, ci colpiscono in
questo scritto la citazione degli antichi gradi
sopravvissuti in Irlanda, il loro accostamento agli
Antients e l’esplicita critica (corretta dal punto di vista
dei Moderns) del loro uso in seno all’Ordine: senza
dubbio un segno (questo possiamo ammetterlo
volentieri) che la situazione irlandese era un argomento
correntemente citato dagli Antients a proprio favore
nella loro polemica contro la Gran Loggia
d’Inghilterra.
Due anni prima il Gran Segretario della Gran Loggia
degli Antients – il grandissimo Laurence Dermott,
autore delle Costituzioni omonime – spiegava che il
grado Antient di Maestro dell’Arco Reale includeva
una semplice cerimonia chiamata «l’Ark» che «è
collegata con un Marchio». A nostro parere non può
trattarsi di nient’altro che dell’Ark near Mark irlandese,
poiché di nulla di simile si era mai parlato prima di
allora in Inghilterra: niente di più plausibile che gli
Antients, nel loro sforzo di intrecciare contatti con le

110
altre massonerie di orientamento tradizionalista, lo
avessero scoperto in Irlanda e poi collegato al loro
sistema.
Un ultimo dettaglio riguardo alla massoneria irlandese
che non può essere tralasciato è che furono gli irlandesi
gli inventori delle logge militari, che tanto avrebbero
fatto per la diffusione della massoneria nel mondo.
Manca purtroppo completamente uno studio sul
Marchio in tale ambito, ma non c’è da dubitare che la
generalità delle logge militari irlandesi lo praticasse
insieme agli altri gradi della massoneria allargata.
Le logge militari godevano la massima stima dei loro
ordini: vuoi per l’esemplare attaccamento
all’istituzione che le spingeva a portare avanti i lavori
anche in condizioni di estremo disagio, vuoi perché
tutti nella madrepatria erano consapevoli del loro
enorme valore propagandistico. Potevano quindi
godere di privilegi che a una normale officina erano
negati: per esempio quello di lavorare sotto l’egida di
più ordini diversi, in modo da consentire a tutti i
militari che ne facevano parte di sentirsi un po’ a casa.

111
Ce ne furono di quelle che lavoravano sotto gli auspici
sia degli Antients sia dei Moderns (un fattore che
doveva rivelarsi molto utile nel percorso di
riconciliazione), e senza dubbio questo giovò a far sì
che anche i Moderns più arrabbiati imparassero a
conoscere, apprezzare e praticare gli antient degrees
(Marchio incluso), irlandesi o meno che fossero;
perché proprio a causa della tolleranza esercitata nei
loro confronti, mentre in patria più o meno tutte le
Gran Logge cedevano lentamente alle pressioni
londinesi e mettevano gli antichi gradi da parte, nelle
logge militari essi continuarono a essere praticati e a
prosperare addirittura per buona parte del
diciannovesimo secolo (e difatti non è mancato chi ha
addossato alle logge militari la responsabilità del
presunto disordine delle massonerie latine in tema di
gradi, facendo notare che buona parte di queste ebbe
origine da civili del luogo iniziati da militari).
È a partire dagli anni cinquanta del Settecento che, in
seno alla massoneria inglese, si torna a parlare del
Marchio con una certa regolarità. Sappiamo per certo
che il Marchio operativo continuava a essere praticato
nelle logge operative inglesi ancora a quell’epoca; è
112
menzionato nei documenti delle logge operative di
Winlaton e di Hull.
Particolarmente interessante è ciò che avvenne in
quest’ultima loggia, dove a partire dal 1752 il rituale
operativo del Marchio venne rimpiazzato da quello
speculativo nella versione in due gradi; la cui
successione, i fratelli – superando la tradizionale
rivalità tra operativi e speculativi – si erano assicurati
nientemeno che da un’officina della Gran Loggia
d’Inghilterra.
Questo ci dice molte cose: primo, che gli operativi di
Hull apprezzarono la decisione – maturata in seno alla
massoneria speculativa – di dare vita a un rituale del
Marchio autonomo, come in seno agli stessi operativi
non esisteva più: probabilmente perché ravvisarono in
esso una forma di ritorno alle origini della muratoria.
Secondo, che probabilmente con questa scelta
intendevano dare il loro appoggio a quella parte degli
speculativi che si battevano per il mantenimento degli
antichi gradi; terzo, che è proprio a partire da quel
periodo che il Marchio cominciò a camminare con le
proprie gambe, calamitando interesse e attenzione

113
perfino al di fuori della massoneria speculativa. Ma è
comunque assai curioso che il più antico accenno
storico al Marchio speculativo in due gradi ci venga dai
documenti… di una loggia operativa.
Il secondo riferimento al grado del Marchio (e primo
per antichità in seno alla massoneria speculativa) è
invece rintracciabile nel Libro delle Costituzioni della
Gran Loggia Provinciale di Durham, dove in data
gennaio 1756, a proposito dei fratelli di una loggia di
Newcastle, si dice che «stanno prendendo in seria
considerazione che nessun membro della detta Loggia
sarà fatto Operaio del Marchio [Mark Mason] senza
pagare una quota [...] per l’elevazione del piedestallo».
La cosa più interessante è che in quello stesso Libro,
prima del 1756, ci sono molti accenni al Fratello Tale
che ha ricevuto il suo Marchio – implicanti il fatto che
egli aveva pagato per riceverlo –, ma nessun accenno a
una specifica cerimonia; inoltre, il termine Mark
Mason non era mai stato usato prima di questa
occasione, e ciò ci fornisce un’altra conferma – se mai
ce ne fosse bisogno – che il Marchio speculativo delle
origini era nettamente diviso in due gradi.

114
4. Dunckerley e il Marchio

Il 18 settembre 1759 la città di Quebec capitolò e il


dominio dell’In-ghilterra sul Canada fu assicurato.
Il numero di logge militari presenti in Canada durante
tutta la Guerra dei Sette Anni non è stato mai calcolato
con esattezza, ma doveva essere davvero molto alto:
basti dire che pochi mesi dopo, nella pausa invernale
delle operazioni, decisero di costituirsi in Gran Loggia
Provinciale del Quebec e darsi un gran maestro.
Non era mai accaduto prima che una nazione
massonica si sviluppasse con tanta incontrollabile
rapidità e le notizie che giungevano da oltreoceano
avevano posto la Gran Loggia d’Inghilterra in grande
allarme: se non si fosse fatto qualcosa, il Canada –
infarcito com’era di tradizionalisti irlandesi e scozzesi
– sarebbe certo diventato la roccaforte mondiale degli
Antients.
Infatti, poiché la maggior parte dei militari britannici
proveniva dalle campagne o da piccoli centri, le
115
simpatie delle logge militari andavano soprattutto agli
Antients, forti soprattutto in provincia. Nel 1759, già
da otto anni avevano secessionato dalla Gran Loggia
d’Inghilterra controllata dai Moderns e si battevano
perché la pratica degli antichi gradi fosse riammessa
nell’ordine.
In verità, le logge militari effettivamente
all’obbedienza della Atholl Lodge degli Antients erano
in minoranza rispetto a quelle all’obbedienza delle
Grandi Logge di Irlanda e di Scozia; ma queste ultime,
per quanto ufficialmente leali verso la Gran Loggia
d’Inghilterra, vantavano a loro volta molti antichi gradi
da difendere e, di conseguenza, erano di simpatie
Antient anche loro.
All’assedio di Quebec aveva servito come cannoniere
in forza alla nave Vanguard il fratello Thomas
Dunckerley, maestro venerabile della loggia della sua
nave: la n° 251 all’obbedienza della Gran Loggia
d’Inghilterra. Molti anni dopo, ricordando
quell’esperienza, avrebbe scritto:
«Reggere una Loggia su una nave affollata di uomini
può essere difficile, e trovare posto tra merci, vele,
116
munizioni e cannoni può essere un problema ancora
più grande. Era una fortuna che, a quei tempi, non
fossero ancora in uso le perambulazioni nel Tempio
che oggi sono diventate così di moda […]. Anche il
permesso del capitano non era sempre facile da
ottenere, perché un gran numero di membri
dell’equipaggio riuniti dietro porte chiuse a chiave
suggerisce sempre idee di ammutinamento».
A quei tempi, il trentacinquenne Dunckerley non
sospettava neppure lontanamente la svolta inattesa che
avrebbe segnato la sua vita neanche un anno dopo,
quando avrebbe appreso di essere figlio naturale del re
Giorgio II.
Era nato a Oldham il 23 ottobre 1724. Nei mesi
precedenti sua madre era stata a servizio in casa di una
nobildonna dove il principe del Galles, il futuro re
Giorgio II, soleva soggiornare.
Suo padre anagrafico era un dipendente del duca di
Devonshire. I genitori avevano tenuto nascosta al
ragazzo la sua vera origine e l’infanzia e l’adolescenza
di Thomas furono segnate da dignitose ristrettezze. Era
un ragazzo forte ed esuberante, segnato da un grande
117
amore per la lettura che presto sfociò in una precoce
vocazione massonica; pare non avesse ancora vent’anni
quando venne accettato dalla Three Tuns di
Portsmouth, che era una delle più antiche e autorevoli
logge britanniche. Ma poco dopo, come molti altri
ragazzi della piccola borghesia del suo tempo, aveva
scelto il mare.
Nei primi mesi del 1760 la Vanguard traversò
l’Atlantico per un breve soggiorno nei porti della
madrepatria. Dunckerley ne approfittò per andare a far
visita a suo padre, rimasto vedovo da poco, e in
quell’occasione ricevette lo choc di essere messo al
corrente sulle sue vere origini.
Non ci è dato di sapere quale reazione abbia avuto sul
piano psicologico, ma subito ripartì per Londra, dove
cercò di farsi ricevere dal re senza riuscirci.
Non ci furono invece problemi, nella sua qualità di
maestro venerabile di una loggia Modern, a farsi
ricevere da lord Aberdour, l’allora gran maestro della
Gran Loggia d’Inghilterra; il quale certamente, nel
sentire la storia che il giovane cannoniere aveva da
raccontargli, ebbe non poche occasioni di sobbalzare.
118
L’effetto che deve avergli fatto lo possiamo arguire dai
risultati. Dunckerley, infatti, uscì da quel colloquio con
in mano un incredibile passaporto il cui testo crediamo
non abbia uguali nella storia della massoneria: gli
conferiva «l’autorità di regolare gli affari della
Massoneria nelle Province del Canada appena
conquistate o in qualsiasi altra parte del globo che egli
possa visitare nella quale un regolare Gran Maestro
Provinciale non sia stato già insediato».
Quando poche settimane dopo la Vanguard fece
nuovamente vela alla volta del Quebec recava dunque a
bordo, nella persona di Thomas Dunckerley, il
castigamatti che la Gran Loggia d’Inghilterra aveva
scelto per mettere ordine nella turbolenta massoneria
canadese.
Il fratello Dunckerley, però, era destinato a rivelarsi un
Modern completamente anomalo: nella Three Tuns,
sua loggia madre, era stato iniziato all’Arco Reale (che
a quei tempi – ben lungi dal diventare il fiore
all’occhiello della massoneria britannica riconciliata –
era ancora l’antient degree più temibile e prestigioso,
che gli Antients propagandavano in contrapposizione al

119
terzo grado «hiramita»), e solo il caso – complici le
consuete mescolanze delle logge militari – lo aveva
portato a reggere il maglietto di un’officina Modern.
Non aveva mai nascosto le proprie simpatie nei
confronti degli antichi gradi e possiamo star certi che,
mentre la Vanguard vedeva delinearsi all’orizzonte le
tormentate coste canadesi, egli aveva già deciso che
avrebbe interpretato il proprio mandato in modo molto
personale.
C’è da chiedersi ovviamente perché la Gran Loggia
d’Inghilterra avesse deciso di dar fiducia a un uomo
così lontano dalle sue idee. Al di là delle sue…
peculiarità anagrafiche, una ragione valida è senz’altro
il carattere del personaggio: Dunckerley era un uomo
tutto d’un pezzo e la sua integrità e lealtà erano fuori
discussione. Inoltre, a parte le sue opinioni sui gradi,
concordava con i Moderns su un punto fondamentale
della loro politica: la centralizzazione del potere, con
l’obbligo delle logge di fissare una quota d’ingresso
uguale per tutti e piuttosto elevata.
In effetti, per quanto le schematizzazioni del ventesimo
secolo su modernismo e tradizionalismo abbiano creato

120
l’opinione che gli Antients fossero favorevoli a una
disciplina più rigida, le cose non stavano così: solo il
decentramento più estremo poteva dare la possibilità a
ogni loggia di praticare i gradi antichi secondo le
tradizioni locali e, in mancanza di un’autorità superiore
che trattasse tutte le logge su un piede di parità, era
invalsa la prassi di considerare più autorevole l’officina
che contava il maggior numero di fratelli a piedilista.
Questo incoraggiava il malcostume delle iniziazioni
selvagge, pratica che il disciplinato Dunckerley
disapprovava incondizionatamente: potremmo dire che,
da buon militare, era Antient nel cuore ma sicuramente
Modern nel cervello. Ed era anche un uomo saggio,
che a differenza di tanti lords pomposamente insigniti
non si faceva illusioni sulla futura supremazia della
Gran Loggia d’Inghilterra sulle Gran Logge coloniali.
Pur deciso a farsi rispettare dai canadesi, egli non
voleva alienarseli con eccessi di autoritarismo.
Appena sbarcato, potè rendersi conto che la sua forza
principale stava nel sostegno delle logge militari,
sorprese e inorgoglite che un umile fratello a fianco del
quale fino a poco prima avevano combattuto e lavorato

121
fosse stato imprevedibilmente insignito di un tale
onore. Fu soprattutto per merito loro (che erano, come
abbiamo già visto, in netta maggioranza) se la
neocostituita Loggia Provinciale del Quebec accettò di
sottoporsi all’autorità del nuovo arrivato, e anche
questo la dice lunga sulla lungimiranza con cui la Gran
Loggia d’Inghilterra aveva fatto la sua scelta.
Dunckerley, poi, aveva buone maniere e fascino
personale e, dopo le prime diffidenze, la buona società
gli spalancò le sue porte. Negli anni successivi, la
grande rapidità con cui le officine del Quebec
passarono tutte all’obbedienza della Gran Loggia
Provinciale la dice lunga sui suoi poteri di convinzione.
Quello che Dunckerley seppe fare della Gran Loggia
Provinciale del Quebec nei pochi anni della sua
permanenza fu una sorta di serra in cui conservare gli
antichi gradi, i cui rituali Antient aveva portato con sé
dall’Inghilterra: le officine facevano a gara per
studiarli, rilasciarli e praticarli e sembra che in alcune
di esse, addirittura, il cammino massonico dei fratelli
fosse scandito dal rilascio di un antico grado ad ogni
tornata.

122
Si batté poi con grande foga perché il rito di
installazione dei maestri venerabili fosse praticato da
tutte le officine in forma analoga a quello praticato
nell’Arco Reale, con tutto il suo apparato rituale di
gran lunga anteriore al 1717. Si schierò anche in favore
della pratica dell’Arco Reale in seno all’ordine e
perché le parti dei gradi azzurri che facevano
riferimento al simbolismo cristiano fossero mantenute.
Erano tutti questi argomenti che in Inghilterra venivano
sostenuti dagli Antients; ma forse neppure in seno alle
logge Antient (ognuna delle quali si batteva pro domo
sua) si poteva all’epoca trovare un tale integralismo
nelle questioni teoriche relative agli antichi gradi.
Non ci furono alle sue scelte reazioni negative in
Inghilterra; anzi, quando Dunckerley ristabilì nel
Quebec la pratica operativa delle Letture (che era
sempre stata uno dei principali spauracchi dei
Moderns) pensò bene di cautelarsi richiedendo
un’autorizzazione scritta e la lettera che arrivò da
Londra ci dà la misura della fiducia che l’uomo era
stato in grado di ispirare. Si dava infatti «piena facoltà
al Fratello Dunckerley di revisionare i rituali esistenti,

123
[anche] con il cauto inserimento [collation] delle forme
antiche [ed era la Gran Loggia dei Moderns a
scrivere!]».
Questa riforma, di cui andò sempre molto fiero, la
giustificò con queste parole: «l’arcaismo dei testi aveva
acquisito una tale solennità che a noi Massoni della
vecchia scuola la loro omissione sembrava quasi un
sacrilegio».
La Gran Loggia d’Inghilterra avrebbe insomma
dimostrato ben poco opportunismo se si fosse
pronunciata contro l’uomo che era riuscito
nell’impossibile compito di trasformare in pochi anni
la Gran Loggia del Quebec nella sua provincia più
popolosa, attiva e promettente. E poi, a parte le sue
idee sui gradi, su tutte le altre questioni Dunckerley era
un Modern più che ortodosso: amava definirsi un
liberal, il che nel linguaggio della politica di quei tempi
voleva dire né più né meno un uomo di estrema
sinistra. Alla Gran Loggia dovettero ridere parecchio
quando seppero che soleva recarsi come visitatore nelle
logge militari Antient e se trovava nei loro rituali
elementi che a suo giudizio facevano torto alla

124
tradizione si abbandonava a scenate memorabili,
rimproverando loro di non essere Antient abbastanza.
Nel 1764, a 37 anni, si congedò dalla marina e rientrò
in Inghilterra. Con un paragone un po’ azzardato, la
sua partenza dal Quebec può essere paragonata alla
scomparsa del maresciallo Tito nella ex-Jugoslavia: la
nave di Dunckerley non era ancora del tutto scomparsa
all’orizzonte che già nelle officine esplodevamo i primi
dissapori e in breve tempo cominciò l’incontrollabile
esodo della massoneria canadese verso gli Antients.
Tuttavia, ci sarebbero voluti ben 25 anni perché il suo
lavoro fosse cancellato del tutto; fu infatti solo nel
1789 che l’ultima loggia Modern superstite cambiò
bandiera.
Nell’anno 1792, all’apice del loro splendore, gli
Antients canadesi potevano contare su due Gran Logge
territoriali e il gran maestro di una di queste era
nientemeno che il principe Edoardo (padre della regina
Vittoria). Nelle logge Antient più integraliste si giunse
addirittura alla provocazione di negare l’accesso al
tempio ai fratelli Modern in arrivo dall’Inghilterra. La
Gran Loggia d’Inghilterra tuttavia, dimostrando ancora

125
una volta consumata abilità politica, si astenne
dall’assonnare la Gran Loggia Provinciale del Quebec
anche se in pratica non aveva più alcuna autorità sulle
officine: senza questa mossa preveggente sarebbe stato
ben difficile riprendere il controllo del Canada dopo il
1813. Per questo si può dire che il lavoro di
Dunckerley non fu vano.
Il suo rientro in patria era stato preceduto dalla sua
fama di impareggiabile conoscitore delle tradizioni
massoniche. Non fece in tempo ad arrivare in
Inghilterra per presenziare all’apertura di una nuova
loggia – la Geometric Lodge – che lavorava nei Gradi
Azzurri secondo un rituale da lui stesso messo a punto,
nei rari momenti di tempo libero dei suoi anni
canadesi.
Il sistema della Geometric Lodge, attualmente non più
in uso, rivestiva particolare interesse e ricchezza in
grado di Compagno. La sua particolarità consisteva
nell’essere un adattamento della cosiddetta Geometrick
fashion, una forma di Lettura di cui egli era
appassionato cultore.

126
Dopo il rientro, per alcuni anni la sua preoccupazione
principale fu di riuscire a farsi ricevere dal re. Ma solo
nel 1767, quando Giorgio II era passato a miglior vita,
ottenne finalmente di essere ricevuto da suo figlio, re
Giorgio III, che riconobbe le sue origini e gli garantì
una pensione di cento sterline all’anno.
C’è su internet una pagina ad opera di un discendente
di Dunckerley, il signor Philip Dunkerley, che ha
svolto ricerche sulla storia del suo illustre avo: egli
afferma che dopo quella svolta «various other favours
and many contacts with the most eminent gentlemen of
the land followed», e questo senza dubbio alla sua
carriera massonica non fece male.
Il compito che si era ritagliato – e a cui si sarebbe
dedicato con inesauste energie per più di un trentennio,
traendone poche soddisfazioni e un numero immenso
di sconfitte – era il più difficile e ingrato che all’epoca
si potesse immaginare: dedicarsi a tempo pieno al
lavoro di mediazione tra gli Antients e i Moderns.
Dal 1764 al 1767 divenne gran maestro della Gran
Loggia d’Inghilterra un suo amico, lord Blayney.
Questi era un Modern moderato, che condivideva le
127
vedute di Dunckerley sugli antichi gradi e soleva
incoraggiare gli Antients a conservare i loro rituali.
Uomo di grande intelligenza ma non sostenuto da una
buona salute, Blayney si era fatto promotore del clima
di conciliazione di cui in quel momento la massoneria
britannica sentiva un gran bisogno e fin dal primo
momento Dunckerley fu al suo fianco per dargli una
mano.
Nei primi anni si dedicarono soprattutto all’Arco
Reale, con l’obbiettivo di riuscire a reintrodurne la
pratica tra i Moderns. Entrambi erano coscienti che, se
la Gran Loggia d’Inghilterra non avesse fatto qualcosa
per neutralizzare il progetto degli Antients di costituire
un Arco Reale autonomo su scala nazionale, questo
avrebbe finito per attrarre a sé tutti i cultori degli
antichi gradi (che anche tra le file dei Moderns, come
abbiamo visto, non erano pochi), col risultato di far
crescere ancora l’influenza degli Antients e prolungare
la controversia ancora per chissà quanti anni (come di
fatto sarebbe avvenuto); inoltre speravano che, se
l’Arco Reale fosse stato riadottato dalla Gran Loggia
d’Inghilterra, avrebbe svolto la funzione di cavallo di

128
Troia per reintrodurre poco a poco gli altri antichi
gradi.
Dunckerley e Blayney dovettero combattere contro
l’irriducibile opposizione dei Moderns più oltranzisti,
la cui influenza andava rafforzandosi di anno in anno
con il crescere delle nuove leve di giovani massoni che
non era¬no emozionalmente legati ai vecchi sistemi.
Ma il 22 luglio 1767 riuscirono nell’im¬pre¬sa di
innalzare le colonne del primo Capitolo dell’Arco
Reale sotto gli auspici della Gran Loggia d’Inghilterra,
che pur sopravvivendo per molti anni assai
stentatamente sarebbe diventato la fonte dell’attuale
Supremo Gran Capitolo dell’Arco Reale. La gran
maestranza di lord Blayney volgeva ormai al termine, e
due dei suoi ultimi atti furono la concessione a quegli
Antients che erano rientrati all’obbedienza della Gran
Loggia d’Inghilterra di poter procedere
all’installazione dei loro maestri venerabili, nonché di
convincere Dunckerley ad accettare la gran maestranza
provinciale dello Hampshire, sua terra d’origine.
Nel 1769, superando ancora una volta ogni
opposizione, Dunckerley riuscì a dotare la sua loggia

129
madre (la Three Tuns aveva cambiato nome ed era ora
la Antiquity Lodge di Portsmouth) di un Capitolo
dell’Arco Reale. La documentazione relativa a quel
Capitolo ebbe una storia travagliata: le carte originali
furono… bruciate da una zia del fratello che le aveva in
custodia, convinta che la massoneria fosse opera del
Diavolo.
Ma del Libro di loggia esisteva anche una copia cifrata:
era scritta in un codice completamente sconosciuto,
tutto fondato su quadrati, angoli e triangoli. Nel secolo
scorso, il manoscritto venne ritrovato da un fratello che
ne fece dono alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
Appena lo ebbero in mano, gli storici della massoneria
si resero conto che un cifrario del genere doveva celare
qualcosa di molto segreto. Si impegnarono con
entusiasmo nel lavoro di decrittazione, ma per molti
anni non riuscirono a venirne a capo, finché a qualcuno
non venne l’idea di ricollegare i segni usati nel codice
al simbolismo del Marchio.
Dopo il riconoscimento da parte del suo fratellastro re
Giorgio III, Dunckerley era diventato un Royal
beneficiary: un titolo che dava diritto a vari privilegi,
130
tra i quali avere a disposizione un appartamento nel
centro di Londra (il suo era in Hampton Court) e
l’accesso alle biblioteche reali. Di quest’ultimo diritto
aveva approfittato soprattutto per approfondire una
passione che, a quei tempi, era parte integrante delle
qualità di un buon membro della Royal Navy: la
passione per i cifrari segreti. Aveva letto tutto ciò che
era disponibile a quei tempi su tale argomento e il
fiorito patrimonio grafico riscontrabile nella tradizione
dei Marchi operativi non poteva non essere – per un
esperto come lui – uno stimolo irresistibile a creare
qualcosa di più bello e di diverso di tutti gli alfabeti
massonici conosciuti fino ad allora.
Nei cinque fondamentali simboli utilizzati negli antichi
Marchi – il Quadrato, la Pietra Cubica, il Triangolo
Equilatero, il Diamante e la Svastica – vide la
possibilità di elaborare un sistema di comunicazione.
Quello che ne venne fuori dà la misura di quanto
fossero estese le sue conoscenze in materia: il
diagramma che ne fornisce la chiave è un Cubo che ha
al suo centro un Diamante formato da quattro Triangoli
Equilateri incastonato in un Quadrato, e (omaggio ai
suoi trascorsi nella Navy) è circondato da quattro
131
«semafori», strumenti usati in marina per le
segnalazioni.
Il limite di questo diagramma è che mancano i posti per
quattro lettere: la E, la G, la H e la O, che trovano
posto nella Svastica. Fu proprio questa l’origine
dell’alfabeto Dunckerley, cui gli esperti rendono
omaggio come al più bello e ingegnoso cifrario
massonico di tutti i tempi, anche se malauguratamente
al giorno d’oggi non viene più utilizzato.
Quando infine il verbale di Portsmouth venne
decifrato, le scarne parole conclusive vergate dal
Segretario furono una rivelazione:
«[Il fratello Dunckerley)] ci disse di questa maniera di
scrivere che deve essere usata nel grado che possiamo
trasmettere ad altri affinché i Compagni possano essere
Mark Masons e i Maestri Mark Masters».
Era proprio così: nel 1769, Dunckerley – non pago di
aver reintrodotto nell’ordine l’Arco Reale – aveva
trasmesso ai fratelli della Antiquity di Portsmouth
anche il Marchio.

132
Qui non ci troviamo di fronte a un vago e ambiguo
accenno a un pagamento del Marchio – espressione che
può avere molti significati – nei documenti di una
piccola loggia di provincia confusamente sospesa tra
antichità e modernità: è un preciso riferimento a due
gradi del Marchio, dotati perfino di un alfabeto, che
vengono trasmessi nell’ambito di un Capitolo
dell’Arco Reale «all’obbedienza della Gran Loggia
d’Inghilterra», da uno dei massoni più autorevoli del
suo tempo.
Riguardo all’origine del rituale Dunckerley, le teorie
espresse sono numerose. Elenchiamo qui le principali:
– veniva dalla Scozia;
– veniva dal nord-est dell’Inghilterra;
– dall’Irlanda;
– da una loggia militare;
– da una loggia Antient;
– dallo Hampshire;
– dall’America;
– l’aveva inventato lui.
133
Nessuna di queste opinioni è sostenuta da elementi
probanti. Riguardo all’ultima, è doveroso rilevare che
in tutta la sua documentatissima carriera di apostolo
degli antichi gradi Dunckerley non inventò mai nulla,
limitandosi a effettuare adattamenti laddove erano
indispensabili e avendo cura di sostenerli sempre con la
necessaria documentazione; anche il rituale che porta
più degli altri il timbro della sua individualità, quello
della Geometric Lodge, era frutto di un’opera-zione
tradizionale pienamente legittima, in quanto la
Geometrick fashion – un metodo di Lettura che non
alterava minimamente il rituale originario – era pratica
comune a York fin dai tempi degli operativi.
Come Oliver ha giustamente osservato, «Dunckerley
combattè gli Antients facendo uso dei rituali che erano
la loro bandiera, [rendendosi conto che] se un ponte
poteva essere edificato, tramite concessioni e
compromessi, attraverso il golfo delle divergenze nei
rituali, si poteva ben sperare che i ribelli (così li
considerava) lo avrebbero attraversato e sarebbero
ritornati all’originale Gran Loggia d’Inghilterra».

134
Se questo era il piano della sua vita – e null’altro può
spiegare i suoi comportamenti tanto anomali per un
capo dei Moderns – si può pensare che abbia rischiato
di metterlo a repentaglio cercando goffamente di
introdurre in un Capitolo due gradi Antient falsi?
È quindi d’obbligo supporre che egli avesse davvero
ricevuto una forma di Marchio in una loggia dove
prima del 1769 era praticato in due gradi, e che questa
loggia si trovasse in un’area geografica compatibile
con la pratica del Marchio in combinazione all’Arco
Reale: due requisiti che escludono lo Hampshire e il
nord-est dell’Inghilterra.
Quanto alla Scozia e all’Irlanda, non risulta che
Dunckerley ci sia mai stato. Del Marchio operativo
scozzese sappiamo troppo poco per poter giudicare;
invece in Irlanda veniva effettivamente trasmesso in
combinazione con l’Arco Reale, ma è davvero
un’ingenuità supporre che egli abbia introdotto a
Portsmouth un rituale proveniente da una zona non
controllata dagli Antients e quindi non riconosciuto da
loro – mossa inutile, che avrebbe completamente
vanificato il senso della sua pericolosa manovra.

135
Rimangono due possibilità, l’America e le logge
militari, che come abbiamo visto nel nostro resoconto
sulla giovinezza di Dunckerley possono essere
probabilmente messe insieme. Le logge militari lo
consideravano sempre uno dei loro e lui continuava a
frequentarle con piacere. Ma in quale è più probabile
che gli siano stati trasmessi i due gradi del Marchio?
Se è vera la nostra ipotesi che il grado gli sia stato
trasmesso poco prima del settembre 1769, deve trattarsi
di una loggia che si trovava in Inghilterra in quel
periodo. Questo esclude le logge del Ventesimo e del
Ventiquattresimo Reggimento di Fanteria, che
Dunckerley frequentava abitualmente nel Quebec: in
quel periodo erano di stanza a Gibilterra. Rimane la
loggia del Sesto Dragoni di Inniskilling, della quale
possiamo dire che ottempera a tutti i requisiti che
abbiamo fin qui esaminato con straordinaria
accuratezza: era formata in prevalenza da irlandesi,
adusi quindi a praticare insieme il Marchio e l’Arco,
ma all’obbedienza congiunta degli Antients (quindi, se
praticava il Marchio, era senz’altro in una versione da
loro accettata) e della Gran Loggia di York (quindi
poteva praticarlo nella versione Geometrick fashion ed
136
è più che probabile che l’Operaio del Marchio e il
Maestro del Marchio fossero gestiti separatamente,
secondo il vecchio York style). Dunckerley, inoltre,
aveva procurato loro anche il riconoscimento dei
Moderns, il che rendeva la trasmissione di un loro
grado al Gran Capitolo di Portsmouth assolutamente
«regolare».
Come se non bastasse, a partire dal 1765 il Sesto
Dragoni fu di stanza nel Sussex. Possiamo immaginare
che Dunckerley non sia andato a far visita ai suoi
vecchi e affezionatissimi compagni d’armi, visto che si
erano acquartierati così vicino? (Aveva anche ragioni
pratiche per andarli a trovare, visto che a partire dal
1770 il Sussex sarebbe stato inglobato nel territorio
della provincia da lui governata).
Ma ciò che rende questa ipotesi ben più di una
congettura è che nel 1852 – in pieno revival del
Marchio – la loggia militare del Sesto Dragoni di
Inniskilling fu incaricata di trasmetterlo alle logge di
York che erano rifluite nella Gran Loggia Unita
d’Inghilterra; le quali godevano di una dispensa che
autorizzava la pratica degli antichi gradi secondo la

137
Union – ovvero al di fuori dei gradi azzurri – analoga a
quella che era stata concessa alle officine ex-Antient
subito dopo il 1813. Non si vede perché, tra tante
officine ben più qualificate per questo onore, la scelta
sia caduta su una loggia militare nemmeno tra le più
insigni, se non perché in quel tempo fosse diffusa la
consapevolezza che il Marchio era stato introdotto
nella Gran Loggia d’Inghilterra proprio così.
Purtroppo, come è noto, le logge militari ben
difficilmente conservano le minute dei loro verbali,
quindi non sarà mai possibile trovare le prove
dell’avanzamento di Dunckerley operato nella
Inskilling, probabilmente nella prima parte del 1769.
Ma questo non toglie che gli storici del Marchio, anche
in assenza di prove, diano ormai per scontato che i
rituali Dunckerley e quelli della Inniskilling sono la
stessa cosa.
Ciascuno dei due gradi è costituito in prevalenza da un
lungo discorso, composto da un elenco di doveri e da
una Lettura. Il primo («Operaio del Marchio» – Mark
Man) ha come titolo alternativo «Sovraintendente
[Foreman] dei Compagni d’Arte».

138
L’officina viene aperta in grado di apprendista, poi si
passa in grado di compagno e il maestro venerabile
chiede: «Qual è la costante preoccupazione di un
Uomo del Marchio?» Il secondo sorvegliante gli
risponde: «Che la Loggia sia coperta contro coloro che
non appartengono a quel grado», dopodiché si reca egli
stesso alla porta e batte due colpi lunghi e due brevi.
Ritorna e dichiara che la loggia è coperta.
Il venerabile ordina allora «Fratelli, all’ordine di
Compagno d’Arte» e gli chiede: «Fratello Secondo
Sorvegliante, cosa occupa ora i Vostri pensieri?»
La risposta è: «La Grande e Sublime Scienza della
Geometria.
«Il Venerabile: Perché siete venuto qui?
«Il Secondo Sorvegliante: Per studiarla ed esercitarla.
«Il Venerabile: La Geometria è in verità un degno
oggetto di studio. È una Scienza in cui i vostri pensieri
hanno a disposizione un territorio più ampio, e va in
profondità e con maggiore certezza di ogni altra. È da
noi divisa in due generi: Operativa e Speculativa. La
Geometria Operativa applica le sue considerazioni al

139
proposito della Vita […], conduce il Soldato al campo
di battaglia e guida l’Uomo di Mare attraverso il
Selvaggio Oceano senza fondo […]. Poiché essa è di
tanto generale utilità, adoriamo l’Essere che predispone
la mente dell’Uomo a esercitare questa Grande
Scienza, pur non comprendendola interamente».
Il venerabile batte due lunghi colpi, il primo
sorvegliante un colpo breve e così pure il secondo. I
fratelli sono poi invitati a fornire la prova di essere
Operai del Marchio, e il maestro venerabile chiude
l’apertura così:
«Nel nome del Grande Geometra dell’Universo
dichiaro aperta la Loggia in grado di Operaio del
Marchio, per il proposito di Apprendimento e Studio».
Il candidato viene poi introdotto bendato, senza
nessuna preparazione particolare. Egli è uno, dice il
primo sorvegliante, che implora di essere creato
sovraintendente e le sue referenze sono buone. Viene
guidato intorno alla loggia, e dall’altare collocato a
Occidente il maestro venerabile gli rivolge una lunga
allocuzione, di cui citiamo due estratti:

140
«L’Uomo, ispirato dal suo Creatore, cominciò lo studio
della Gloriosa Scienza dai principi della Geometria.
[…] Questa Scienza può giustamente essere
considerata la Roccia su cui la fondazione del Tempio
dell’umana conoscenza sta eretta».
Poi, dopo aver parlato di astronomi, geografi, architetti,
ingegneri, del Nilo e della preminenza dell’Egitto, il
maestro chiude questa parte dicendo: «Poiché siete un
Compagno d’Arte, la Geometria deve essere già stata il
vostro studio particolare; tuttavia, per convincere
questa Loggia di Uomini del Marchio che ne conoscete
i principi, vi viene richiesto di dare una definizione di
queste figure che ora vi saranno mostrate».
Il primo sorvegliante colloca il candidato in un punto,
poi lo istruisce a fare quattro passi; dopo ogni passo,
prima di procedere oltre deve dare la risposta a svariate
domande del tipo «Cos’è un Punto? Cos’è una Linea?
Cos’è una Superficie? Cos’è un Esagono?» e così via.
Superata questa prova, il maestro venerabile riprende il
discorso con un’allocuzione assai simile a quella che
oggi è parte integrante del rituale di Ark Mariner:

141
«Ricordate, Fratello, che la strada per la virtù e per il
vizio è come la lettera Y. Un Punto rappresenta
l’Uomo nella sua infanzia, la cui mente non è divisa e
che quindi ha davanti a sé un solo cammino, lungo il
quale procede finché la sua mente non giunge allo
stadio in cui può distinguere le Superfici: allora si
espande, e l’Uomo diviene capace di distinguere la
Virtù dal Vizio. Qui dunque la strada, fino ad allora
facile e retta, si divide in due rami: uno conduce alla
Perfezione, l’altro all’oscurità, all’errore e alla
confusione. Scegliete ora quello che volete prendere,
rammentando che larga è la strada che conduce alla
distruzione e molta gente vi si può incontrare, ma
stretto e difficile da percorrere è il sentiero di destra, il
sentiero della verità. Questo sentiero, sebbene
accidentato, non è intransitabile né ostruito, e per
quanto i cancelli a cui conduce siano appena socchiusi
mentre quelli che conducono all’Inferno sono
spalancati, ciò malgrado moltitudini di persone sono
riuscite a superarli, e vi sono radunate».
Chiede poi al candidato di spiegare il «Solido» e
riprende il discorso esponendogli le vicende dei
massoni d’Egitto, di Euclide, Pitagora, Aristotele,
142
Cambise e Alessandro. Lo informa tra l’altro che
Euclide tradì la massoneria svelandone ai greci i
segreti; allora il Grande Geometra dell’Universo lo
castigò per mezzo di un’aquila che, avendo catturato
una tartaruga, cercava una pietra su cui farla precipitare
per romperle il guscio. Scambiò la testa pelata di
Euclide per una pietra, lo colpì e lo uccise.
«Confidando nella vostra fedeltà, e certo che voi non
seguirete l’esempio dei Greci, procederò ora a darvi il
Segno: come sollevare una pietra con una mano su un
Muro o su un Precipizio. Il Toccamento: è come la
Presa d’Apprendista, ma con le due dita piccole unite
insieme. La Parola: Mark Well» (veniva data in
ebraico). Questa parte del rituale era scritta in codice.
Nella conclusione di questa parte, veniamo informati
che «quando i Massoni si dispersero [dopo aver
terminato il Tempio di Gerusalemme], alcuni
migrarono all’Est e si insediarono in Cina, altri
vagarono per l’Europa, soprattutto nel nord, dove
presero il nome di Druidi, che purtroppo sono deviati
dai loro usi e costumi originari senza aver lasciato per
iscritto niente dei loro Segreti».

143
Nel Dovere seguente, il venerabile spiega che «il primo
uso del secondo grado fu prima del Diluvio Universale,
comunemente chiamato l’Alluvione di Noè».
Proseguendo tratta di Lamech, Ada, dei loro figli,
Nimrod Re di Babilonia, Trismegisto ed Ermete (sono
qui due personaggi distinti). Ermete «inventò la
scrittura sacra degli Egizi e i Geroglifici […] e portò
con sé i figli del Signore, insegnando loro la Scienza
della Geometria applicata al lavoro della Pietra e tutte
le Tecniche del Degno Lavoro che riguarda le
costruzioni». Ermete è lodato anche perché «insegnò
loro che dovevano chiamarsi l’un l’altro Fratelli, e che
per la loro retribuzione dovevano fiduciosamente
affidarsi al Signore, e anche al Maestro a cui si
prestavano; che non dovevano accettare nessuno che
avesse la tendenza a imbrogliare o non fosse versato in
Geometria come loro Sovraintendente per il lavoro del
Signore, perché il Signore sarebbe stato servito male, e
loro ne avrebbero provato vergogna». Ancora,
dovevano fare «il più degno tra loro Governatore del
Lavoro, e chiamarlo Maestro».
La seguente Lettura riepiloga tutto ciò che è stato fatto
per avanzare il candidato, e la chiusura consiste in un
144
appello ai fratelli a interrompere i loro studi. Le ultime
parole sono: «Fratelli, Fedeltà finché ci incontreremo
ancora».
Sorprendentemente, il rituale di Maestro del Marchio è
più breve. Adempiendo «il più essenziale dovere
nell’apertura della Loggia», per ordine del venerabile il
secondo sorvegliante va alla porta e batte un colpo
lungo, due corti e un altro lungo.
«M. V.: Fratelli, convincete i Fratelli Sorveglianti che
tutti Voi siete Degni di restare in una Loggia di Maestri
del Marchio, dando ognuno al Fratello più vicino il
Toccamento di un Maestro del Marchio».
Dopo questo, viene introdotto il candidato, che «ha una
Squadra e un Compasso infilati nella corda del
grembiule», e viene presentato così: «fatto
Apprendista, passato Compagno, elevato al sublime
Grado di Maestro Massone, ci prega oggi di essere
introdotto ai segreti di un Maestro del Marchio».
Mentre è guidato lentamente intorno alla stanza, il
venerabile legge 21 versetti della Bibbia, idealmente
collegati ai Sette Pilastri della Saggezza. Due di questi,
in particolare, sono importanti:
145
«Per mezzo della Saggezza una casa viene edificata, e
per mezzo della Conoscenza è stabilita.
«Marchia l’Uomo perfetto, e apprezzane la rettitudine
il cui frutto è la pace».
Il primo sorvegliante chiede al candidato come egli
possa provare di essere un Operaio del Marchio, e
questi gli indica «i simboli di Verità e Giustizia che
porto nel mio Grembiule», perché «questa era l’usanza
del nostro Gran Maestro Hiram Abif quando egli
contemplava il Tempio sorgente, e da questi Simboli il
suo Corpo venne riconosciuto quando fu scoperto».
«M.V.: Prima che si possa procedere oltre, sarà
necessario che Voi vi creiate un Marchio, il Distintivo
indossato da ogni Maestro del Marchio, un lato del
quale ornerete con qualche simbolo Massonico il cui
significato dovrete essere in grado di spiegare ai
Fratelli. […] L’altro lato dovrete lasciarlo vuoto, e sarà
in seguito riempito secondo le mie spiegazioni».
Nella Sala dei Passi Perduti, il primo sorvegliante
fornisce al candidato «gli strumenti con cui egli potrà
creare il suo Marchio» e, dopo che egli se lo è
preparato, viene riammesso e condotto all’altare, dove
146
depone il suo Marchio «sul quadro di Loggia che è
rappresentato dalla Sacra Bibbia» e fornisce le
spiegazioni riguardo al Marchio che si è scelto. Segue
una dichiarazione in cui promette: di non cambiare mai
il suo Marchio, di non adottarne mai un secondo e che,
se mai gli capitasse di incontrare un Maestro del
Marchio in difficoltà, gli corrisponderà una somma pari
almeno al «valore di un Marchio» o più.
Il candidato trascrive ora il suo Marchio sul libro di
loggia e il venerabile gli svela cosa deve scrivere sul
lato vuoto:
«Alla morte del nostro degno Maestro Hiram Abif il
Re Salomone, preso da un senso di gratitudine per i
servizi a lui resi da quell’illustre Artista, ordinò ai
Dodici Maestri Massoni Originali, sotto la direzione
del nobile principe Adonhiram, di preparare un
Monumento che avrebbe testimoniato alla posterità i
meriti dello Scomparso e la gratitudine dei suoi
contemporanei: quei 13, fieri per l’onore concessogli,
decisero di costituirsi in una Loggia di Marchiati e
Distinti Massoni, e adottarono i Segni, i Toccamenti e
la Parola che ora Vi rivelerò».

147
«Segno: come l’innalzamento di una Pietra con
entrambe le mani, fino a deporla su un Muro o un
luogo elevato. Toccamento: stringere le mani toccando
il Pollice, dire FORZA, poi ruotare le mani
intrecciando le dita. Parola: FORZA».
Gioiello: su un lato il Marchio del fratello, sull’altro H
T S W S S (Hiram of Tyre, Son of the Widow, Servant
of Solomon). La lettera T era formata mediante un
tratto verticale che partiva dalla metà di quello
orizzontale della H, riferimento al Triplice Tau dei
templari.
Il racconto si conclude con la notizia che il monumento
venne eretto nel giardino adiacente alla camera in cui
Salomone dava udienza, «reggeva il suo Capitolo» e
usava intrattenersi con Hiram re di Tiro e Hiram Abif
«su argomenti mistici».
La Lettura o Catechismo tra venerabile e primo
sorvegliante ricapitola molto di ciò che abbiamo già
detto, ma c’è questo passaggio particolare:
«M.V.: Cosa sostiene e abbellisce una Loggia del
Marchio?

148
«P.S.: Sette Pilastri.
«M.V.: Come si chiamano?
«P.S.: Saggezza, Segretezza e Onore sostengono la
Volta; Architettura, Ornamento, Scultura e Meccanica
abbelliscono l’Entrata.
«M.V.: A cosa si riferiscono?
«P.S.: All’eccellenza Morale e Professionale del nostro
scomparso Maestro».
Nel chiudere la loggia, il maestro recita una notevole
preghiera che non manca di riferimenti al nostro
racconto:
«Prima di congedarvi, vi raccomando di riporre la
vostra fiducia nell’Essere Supremo che è una Forza per
il bisognoso nella sua angoscia, un rifugio dalla
Tempesta quando le raffiche dei malvagi tempestano le
Mura, e possano le vostre vite rafforzate da questa
fiducia riflettere l’onore del grado di Maestro del
Marchio, e tramite la nostra integrità e la nostra
purezza fare di noi uomini in tutto simili al grande
Uomo il cui nome è inciso sul nostro Marchio».

149
È un compito davvero ingrato commentare due rituali
di così grande poesia e bellezza, in confronto ai quali
ogni parola in più appare stupida e vuota; ma alcune
osservazioni ci sembrano doverose.
Innanzitutto, si tratta di rituali nettamente distinti da
tutti gli altri riti del Marchio che stavano emergendo in
quella stessa epoca: se anche si accettasse il
presupposto (peraltro da noi non condiviso) che il
collegamento del Marchio a rappresentazioni rituali
specifiche sia opera esclusivamente della massoneria
speculativa, potremmo definirli propri di una fase di
transizione tra il Marchio operativo (configurato come
Lettura) e l’elaborazione di un vero e proprio sistema
rituale.
In secondo luogo, sono entrambi nello stile della
Geometrick fashion, e forse questo è l’indizio più
probante della loro possibile origine dunckerleyana.
Infine, come i lettori avranno notato, non c’è ancora
nessuna traccia della futura tendenza ad accorparli;
anzi sono molto diversi tra loro, in quanto il primo è
formulato nel semplice stile del grado di compagno
mentre il secondo guarda già nettamente al di là dei

150
gradi azzurri, introducendo il candidato allo spirito
solenne e maestoso dell’Arco Reale.
Riguardo alla domanda perché un purista come
Dunckerley abbia inserito due gradi di questo genere
nella tornata inaugurale di un capitolo dell’Arco Reale,
a nostro giudizio le risposte possibili sono due: o li
aveva a sua volta ricevuti già collocati in un tale
contesto – forse nel clima di mescolanza degli antichi
gradi che, come abbiamo visto, imperava nelle logge
militari (ma sembra improbabile, data la sua
competenza, che in questo caso non si fosse accorto
della stonatura) – o li aveva ricevuti da poco, magari
dopo il suo ritorno in Inghilterra e, rendendosi conto
della possibilità veramente unica di trasmetterli
regolarmente nell’ambito della Gran Loggia
d’Inghilterra, abbia deciso di metterla in atto alla prima
occasione propizia.
Se così andarono le cose, certo nessuna occasione
poteva essere più favorevole del Capitolo di
Portsmouth, espressione di un’officina che gli era
massicciamente leale.

151
Restava indubbiamente il problema che il Marchio
prima di allora, in Inghilterra, non era mai stato
praticato in combinazione con l’Arco Reale; era
necessario dunque che i suoi nemici non ne venissero a
conoscenza, perché se questo fosse avvenuto avrebbero
individuato nella pratica del Marchio il punto debole
per accusare di irregolarità l’intero sistema dei Capitoli
dell’Arco Reale da lui creati.
Proprio questo imponeva l’adozione di un cifrario, ma
non di uno qualunque: di un codice nuovo, che nessuno
– salvo i fratelli della Antiquity Lodge – fosse in grado
di interpretare.
Che cosa avvenne ai rituali Dunckerley negli anni
successivi? Sappiamo che egli tornò a Plymouth
diciotto anni dopo e fu felice di scoprire che il Marchio
era ancora trasmesso come aveva insegnato, e
l’alfabeto – malgrado le sue obbiettive difficoltà – era
ancora in uso nei verbali. Ma tutto era destinato a
scomparire senza lasciare traccia.
Gli studiosi contemporanei del Marchio stanno
considerando con particolare attenzione le aree
dell’Inghilterra che facevano parte del territorio da lui
152
governato: Glouchestershire, Herefordshire, Somerset,
Dorset, Wiltshire, Essex, Suffolk, Warwickshire e
Nottinghamshire. Si tratta di luoghi nei quali la pratica
del Marchio speculativo è molto antica: fu Dunckerley
a introdurlo? E se lo fece, perché in quei territori dei
rituali Dunckerley non è rimasto nulla? Queste
domande attendono ancora risposta.
In tarda età, i tributi di stima che giungevano a
Dunckerley da ogni parte cominciarono ad aver
ragione della sua viscerale opposizione per le alte
cariche. Finì per diventare gran maestro di otto gran
logge provinciali contemporaneamente, onore mai
toccato a nessun altro massone nella storia.
Morì nel 1795, e il suo funerale dovette essere più
volte rimandato per il gran numero di fratelli – sia
Antients che Moderns –, i quali, mano a mano che la
notizia raggiungeva i più remoti angoli del Regno
Unito, si ponevano in viaggio per Londra, recando gli
stendardi delle loro officine.
Se n’era andato con l’amarezza che negli ultimi anni la
sua voce – sempre instancabile ad indicare la via della
conciliazione nel binomio «ripristino dei gradi antichi e
153
centralizzazione dell’Ordine» – fosse ascoltata sì col
rispetto dovuto a un fratello che era ormai un mito
vivente, ma nella pratica regolarmente ignorata. Una
volta di più la politica si era messa di mezzo, e della
«storia infinita» dell’esecrabile controversia tra
Antients e Moderns il fratello Thomas Dunckerley non
visse abbastanza per vedere la fine.
Ancora oggi esistono in massoneria gli Antients e i
Moderns: opportunamente aggiornati per quanto
riguarda i nomi e il bagaglio ideologico, ma immutati
per quanto concerne l’attitudine psicologica di chi li
incarna. Per questo possiamo dire che il cammino di
mezzo pazientemente additato da Dunckerley per
sfuggire alla logica degli opposti riveste ancora una
bruciante attualità, e ciò è sufficiente a spiegare perché
tanto i massoni modernisti quanto quelli tradizionalisti
non abbiano molta voglia di sentir parlare di lui.

154
5. Il ritorno del Marchio

Non fu soltanto nel sud e nel sudovest dell’Inghilterra,


né solo per mano di Thomas Dunckerley, che la
massoneria del Marchio ricominciò a manifestarsi dal
1770 in poi. In questo capitolo effettueremo una breve
carrellata geografica per esaminare le modalità della
sua riapparizione nelle diverse parti del Regno Unito.
È del 1773 la testimonianza di una trasmissione del
Marchio nella Loggia Marchese di Granby all’Oriente
di Durham:
«Il Fratello Barwick è stato fatto Operaio del Marchio
(Mark Mason), e il Fratello James Mackinlay è stato
elevato a Maestro e fatto anche Operaio del Marchio;
entrambi hanno pagato».
Nella stessa loggia, altri due fratelli furono fatti operai
del Marchio nel 1774, altri due nel 1775 e un altro nel
1777. Interessante notare che tutti erano maestri e che
la Marchese di Granby era una loggia Modern; poiché
Thomas Dunckerley era gran maestro anche di quella
155
provincia, possiamo supporre che la cosa gli abbia fatto
piacere.
Risale al 1770 il primo riferimento a un grado del
Marchio in un documento emesso da un’officina
speculativa scozzese: la Journeyman Lodge di
Dumfries.
Questa loggia era stata innalzata nel 1753 e fin dagli
inizi aveva praticato l’Arco Reale. Il documento che ci
interessa è il passaporto rilasciato a un fratello elevato
a questo grado, che recita:
«In principio era il Verbo, e la Luce splendeva nelle
tenebre, e le tenebre non l’hanno ricevuta. […] Noi
Maestri, Sorveglianti e Fratelli della R:. L:. [ecc.]
certifichiamo e attestiamo a tutti gli uomini illuminati
che il detto Venerabilissimo Fratello [Worshipful
Brother], dopo essere stato elevato ad Apprendista,
Compagno, Maestro e Maestro del Marchio [Mark
Master Mason] è stato poi da noi eletto Maestro del
Trono [Master of the Chair] e poi da noi elevato al
Sublime Grado di Eccellente, Super-Eccellente e
Maestro dell’Arco Reale, e come tale ve lo
raccomandiamo».
156
La forma standard del passaporto mostra chiaramente
che non era il primo rilasciato in quei termini, benché
sia l’unico che abbiamo; e se avessimo a disposizione
il libro di loggia, troveremmo forse la prova che, nella
massoneria scozzese, il Marchio era praticato come
grado del sistema dell’Arco Reale già nel 1753.
Di sicuro il lettore avrà notato che anche qui, come nel
sud, la sua collocazione è dopo il grado di maestro e
prima del maestro del trono: a cosa può far pensare una
tale collocazione, se non ad un’aggiunta tardiva del
Marchio al sistema, quale grado che aveva una sua
storia autonoma e che a livello gerarchico… non si
sapeva dove infilare?
Ancora nel 1777, a Londra, nel libro della R:. L:. Saint
Thomas all’obbedienza degli Antients è riportato: «il
Maestro Venerabile e i seguenti Fratelli di questa
Loggia vennero fatti Operai del Marchio e Maestri del
Marchio». E in un’altra tornata cinque giorni dopo: «il
Maestro Venerabile, i Sorveglianti, il Segretario e il
Tesoriere hanno lavorato in primo e secondo grado.
Hanno fatto i seguenti Fratelli Operai del Marchio e
anche Maestri del Marchio». Da entrambe le

157
annotazioni risulta chiaramente che i due gradi del
Marchio erano separati. La seconda annotazione
sembra indicare che il Marchio venne tributato in grado
di compagno, ma i fratelli che lo ricevettero erano tutti
maestri.
Quello che comunque è ormai chiaro è che nella
seconda metà del Settecento esistevano rituali del
Marchio, amministrati (nella maggioranza dei casi)
dalle logge azzurre o – in alternativa – nei capitoli
dell’Arco Reale.
7 gennaio 1778, nordest della Scozia – R:. L:. St.John’s
Operative all’Oriente di Banff: «i Fratelli hanno poi
preso in considerazione […] che quei membri che
hanno voluto innalzarsi ai gradi di Operaio del Marchio
e Maestro del Marchio non hanno in passato versato
(per questo) nessun contributo alla Loggia. Quindi
hanno deciso che d’ora in avanti tutti i membri che
vorranno ricevere il grado di Operaio del Marchio
pagheranno un marco scozzese, ma non lo riceveranno
finché non saranno Compagni. E coloro che
prenderanno il grado di Maestro del Marchio
pagheranno uno scellino e sei pence al Tesoriere per la

158
cerimonia. Nessuno potrà accedere al grado di Maestro
del Marchio finché non sia Maestro».
Questa dettagliata annotazione prova che i gradi del
Marchio erano praticati anche prima del 1778.
Pensiamo che i lettori saranno d’accordo con noi nel
ritenere che le due precisazioni volte a limitarne
l’accesso ai compagni e ai maestri non vogliono
implicare che prima di quell’anno il Marchio fosse
stato concesso a chi non aveva quei gradi (il che
sarebbe assurdo), ma solo a specificare che il
versamento delle quote stabilite non esonerava dal
rispetto della gerarchia.
Una delle prime logge inglesi a praticare regolarmente
il Marchio fu la R:. L:. Minerva all’Oriente di Hull,
fondata nel 1782, che era spesso visitata anche da
mercanti e marinai stranieri. Alcuni di questi
rimanevano sorpresi nel constatare l’esistenza di un
perfezionamento che non conoscevano e chiedevano di
riceverlo; negli archivi della loggia è menzionata la
concessione del Marchio a candidati provenienti da
Brema, Amburgo, Lubecca, Stettino, dall’Olanda e
dall’America settentrionale.

159
Quello della Minerva – un’officina importante per la
nostra storia – è il più antico rituale del Marchio ad
essere praticato ancora oggi, sebbene la sua
accettazione da parte della Gran Loggia del Marchio
abbia implicato diversi aggiustamenti.
Ciò che colpisce immediatamente il visitatore è la
posizione dei sovraintendenti, che siedono «dando la
schiena ai piedestalli dei Sorveglianti», con solo un
piccolo passaggio che li separa da loro. Poiché il
venerabile ha un altare di fronte al suo piedestallo, il
maestro sovraintendente siede il più possibile vicino ad
esso. Sul loro piedestallo, i sovraintendenti hanno
dinnanzi a loro solo la squadra.
Poiché la Minerva era in origine una loggia azzurra,
l’apertura è caratterizzata dalla tegolatura di tutti gli
ufficiali. Termina con una preghiera recitata
alternativamente dai due sorveglianti, dopo una breve
introduzione del cappellano.
«O Creatore colmo di ogni bontà, Ti riconosciamo
come nostro Dio, ci prostriamo dinnanzi a Te come
nostro Re, Ti invochiamo e chiamiamo come nostro
aiuto in tutte le prove e difficoltà.
160
«A Te siamo debitori di ogni bene da noi posseduto, in
Te cerchiamo ogni bene a venire, a Te dirigiamo le
nostre richieste.
«Umilmente ti impetriamo di proteggere il nostro Re (o
Regina), la nostra Patria e il nostro Ordine, perché in
conformità ai suoi insegnamenti noi si possa sempre
confessarti la nostra Fede, essere rafforzati nella
Speranza e stabili nella Carità».
Quando la loggia è dichiarata aperta i fratelli (che
«indossano tutti i guanti»: è la prima volta che
troviamo in un rituale del Marchio questo dettaglio
espressamente specificato) danno il segno gettando la
mano destra sulla spalla sinistra.
Il candidato viene preparato facendogli indossare
un’ampia tunica e un grembiule da operaio del
Marchio. Il secondo sorvegliante dà per lui una parola
che significa «sotto la pressione del Maglietto», e
prima che la Minerva aderisse alla Gran Loggia del
Marchio lo introduceva «tenendogli un Cesello puntato
sulla fronte»; traccia di questo è rimasta nel segno che
viene richiesto al candidato dopo il suo ingresso, un
antico segno dell’operaio del Marchio consistente nello
161
stendere in avanti il pugno col pollice rivolto verso
l’alto e poi portare il pollice stesso alla fronte.
Seguono le tre perambulazioni, nel corso di ognuna
delle quali il candidato deve scambiare il segno di un
grado azzurro non solo con i sovraintendenti, ma anche
coi sorveglianti. Senza avere ancora ricevuto un
Marchio, viene poi presentato dal primo sorvegliante e
gli viene detto di fare quattro passi verso l’altare, dove
la Bibbia è aperta con la squadra e il compasso. Si
inginocchia, e il giuramento gli viene imposto due
volte: una con la Bibbia aperta e una con la Bibbia
chiusa.
Il candidato si ritira poi nelle Cave di Tiro e ne fa
ritorno accompagnato dal primo diacono, ognuno
atteggiandosi come se fosse oppresso dal peso della
pietra che sta trasportando. Il primo diacono presenta
una pietra cubica che viene approvata, ma quando il
candidato presenta la sua Chiave di Volta il giudizio
dei sovraintendenti è: «L’ho disposta in tutti i modi
possibili, [ma] non si adatta alla mia Squadra».
Sono soltanto il primo e il secondo sovraintendente a
provare la pietra, e quando relazionano sulle loro
162
difficoltà al maestro sovraintendente questi ordina al
candidato di ritirarsi, e ai suoi due colleghi di piazzare
la pietra difettosa nel centro della loggia. Tutti e tre si
dispongono intorno ad essa per esaminarla, e dopo la
solita discussione decidono di gettarla negli scarti,
distraendo l’attenzione del candidato perché non veda
dove viene posta.
Il secondo sorvegliante annuncia poi che i fratelli
reclamano il loro salario e la processione che si forma
vede i due diaconi davanti, seguiti dal candidato e
dietro di lui tutti gli altri. Fanno tre giri della loggia
cantando il solito inno, ma ciò che segue è originale:
non si aprono sportelli, non si scambiano segni,
nessuno riceve il salario, ma subito il copritore interno
impugna l’ascia e il primo sorvegliante riconosce nel
candidato un impostore.
Allora il primo diacono lo conduce al cospetto del
maestro venerabile, che lo sgrida severamente con
parole diverse da quelle usate altrove, e respinge le sue
proteste di non essere stato messo al corrente sulle
modalità legate al ricevimento del salario con la frase:
«Una ben misera scusa».

163
Tuttavia, mentre il candidato viene congedato perché si
deve decidere su quale castigo assegnargli, il secondo
diacono rammenta di aver veduto una Chiave di Volta
presentata all’ispezione, ma rifiutata; viene deciso di
cercarla.
Al candidato viene ora consentito di coprirsi le gambe
per «proteggerle dalle macerie», poi lui e il primo
diacono perlustrano la loggia in cerca della pietra.
Viene di solito ritrovata a nord-est, dietro alla sedia del
primo diacono, e barcollando ancora sotto il suo peso il
candidato la offre al maestro venerabile per l’ispezione
e l’approvazione; poi gli vengono dati la parola e la
stretta del grado e gli viene insegnato il modo di
ricevere il salario attualmente in uso.
Anche la parola Mark Well gli viene data,
accompagnata da una gesto che ricorda l’attuale segno
di riconoscimento: le «linee parallele» vengono
ricavate dall’aprire la mano sinistra con le dita stese e
incrociarle poi con tre dita della destra, in modo di
formare le lettere M e W. La «Grande Parola» gli viene
data in due forme: Socoroth o Kibroth. La prima deriva
dalla radice ebraica Sok, che significa nascosto, ed è

164
quindi legata in qualche modo all’occultamento della
pietra; per Kibroth, la traduzione più probabile è
«Coloro che stanno nascosti».
Quando il maestro venerabile investe il nuovo maestro
del Marchio del suo gioiello, gli spiega le Otto Lettere
come «Hiram The Widow’s Son Sought This Key
Stone»: «Hiram, Il Figlio della Vedova, Cercò Questa
Chiave di Volta», interpretazione diversa da quella
odierna.
Il primo sorvegliante fa indossare al candidato il
grembiule di maestro del Marchio al di sopra del suo
grembiule di operaio del Marchio; lo invita poi a
recarsi nuovamente nel punto dove la pietra è stata
ritrovata, e gli dice:
«Il grado di Maestro del Marchio è superiore a quello
di Operaio del Marchio, ed è mio dovere informarvi
che anche al di sopra dell’ottenimento di questo antico
grado c’è altro da ottenere, se Voi lo cercherete».
Abbiamo qui uno dei casi in cui nel rituale del Marchio
stesso è esplicitamente menzionata la possibilità di
allacciarsi al sistema dell’Arco Reale.

165
A questo punto, la Lettura tradizionale che ai nostri
giorni viene considerata un optional è inclusa nel
rituale Minerva in forma strettamente obbligatoria.
Dopo di essa, il candidato viene condotto al tavolo del
segretario e gli vengono spiegati gli attrezzi da lavoro.
Ritorna al centro della loggia e un Past Master gli dà
lettura di un dovere quasi identico a quello attuale.
Identica a quella attuale è anche la successiva chiusura.
C’è anche il resoconto della concessione del Marchio,
il 2 marzo 1814, a otto candidati, tra cui un fratello
svedese proveniente da Gothenburg (l’attuale
Goteborg), di professione nostromo. La loggia fu
aperta in secondo grado, e il fratello svedese fu
proposto, votato, iniziato apprendista, passato
compagno e poi maestro. A questo punto il maestro
venerabile annunciò che si costituiva una loggia di
operai del Marchio («a Mark Masons Lodge was
held») e il solo Past Master presente prese il maglietto.
Gli otto ricevettero il Marchio, poi i lavori vennero
chiusi senza tornare in Loggia Azzurra: operazione la
cui regolarità agli occhi dei moderni è dubbia, ma sulla
quale nessuno sollevò eccezioni.

166
Negli ultimi decenni del diciottesimo secolo il Marchio
cominciò a prendere piede anche in quelle zone
dell’Inghilterra che tradizionalmente non lo
praticavano, vuoi per scarsa presenza massonica, vuoi
per consuetudini massoniche diverse.
In Cornovaglia la prima iniziazione al Marchio di cui si
ha notizia è quella di John Knight – un eminente
massone di Redruth, intimo amico di Dunckerley –
nell’aprile 1777.
Per quanto riguarda invece Bath, che una forma di
Marchio esistesse nella zona fin dagli anni Settanta lo
sappiamo perché dopo il 1813, quando il Marchio fu
messo al bando dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra,
la R:. L:. Royal Sussex si ribellò e continuò a
praticarlo, attirandosi varie sanzioni.
La Royal Sussex era una Loggia cara a Dunckerley,
che la frequentò più volte, ed è probabile che il suo
Marchio provenisse dalla zona di York: infatti i
rapporti della Royal Sussex con le Logge di York
erano così intensi che l’Officina – come allora era
consentito – si era posta all’obbedienza anche della
Gran Loggia di York: non quella secessionista (Grand
167
Lodge of All England) ma quella «regolare» (York
Grand Lodge), come avevano fatto in Inghilterra molte
Officine che volevano testimoniare la loro solidarietà
con gli Antients senza per questo dover uscire dalla
regolarità.
Di conseguenza, il Marchio da loro praticato doveva
essere molto vicino (o addirittura identico) a quello
della Minerva di Hull: non il rituale Dunckerley, ma
qualcosa della stessa famiglia.
A Bristol, dopo la fissazione della Massoneria Azzurra
in tre gradi l’evoluzione era stata molto particolare:
aveva infatti preso forma l’ingombrante Rito di
Baldwyn, una variante dell’Arco Reale di origine
francese, che poneva l’accento sulla sua componente
cavalleresca e considerava orgogliosamente i tre gradi
azzurri alla stregua di un… primo grado. Era uno dei
principali incubi dei Moderns, che lo combatterono
senza tregua e ne ebbero ragione solo nel 1786; ma le
ferite erano dure da rimarginare, e non fu certamente
un caso che proprio nel 1813 i fratelli di Bristol
abbiano costituito una loggia del Marchio.

168
Notevole è che la nuova officina abbia presentato
subito regolare domanda di riconoscimento alla Gran
Loggia Unita d’Inghilterra e che questa sia stata
accolta: alla Gran Loggia decisero evidentemente che a
Bristol avevano già avuto abbastanza grane. Ma
ottemperava alle sue regole, di praticare nell’ordine
solo i tre gradi azzurri più l’Arco Reale e il Marchio a
parte? Non possiamo dirlo (come non sappiamo
esattamente che Marchio fosse), ma è molto probabile
che in spregio ai dettami londinesi il grado di operaio
del Marchio venisse conferito insieme al grado di
compagno, e il maestro del Marchio a quello di
Maestro.
A Nottingham la prima menzione del Marchio è del
1793, quando il Segretario della R:. L:. Newstead
annota in un verbale: «la Loggia venne chiusa in grado
di Maestro, e una Loggia del Marchio fu aperta, alla
quale tre Fratelli furono avanzati». In questo passaggio
gli ufficiali di loggia rimanevano invariati, ma proprio
in seno a questa officina nel 1802 fu aperta una loggia
di istruzione del Marchio (la prima di cui si abbia
notizia), e da quel momento la loggia del Marchio della
Newstead elesse i suoi propri ufficiali e tenne verbali
169
separati dalla loggia azzurra, benché per molti anni la
sua ammissione di nuovi membri restasse limitata ai
fratelli della Newstead. Abbiamo frammenti dei suoi
rituali, nei quali ad esempio il secondo sorvegliante
(che rivestiva anche la funzione di copritore interno)
dice al candidato: «è mio dovere apporre su di voi un
Marchio che allevierà la vostra fatica». Questa frase
giustifica la frase, di uso comune nel libro di loggia,
per cui i fratelli avanzati al Marchio venivano
«marchiati» (i marchi dei fratelli venivano registrati
sullo stesso libro di loggia e non in un libro a parte);
torneremo più avanti sulle origini di questa curiosa
espressione. Fu proprio da questa loggia di istruzione
che avrebbe avuto origine la prima loggia del Marchio
di Birmingham.
Nel Cheshire la massoneria speculativa ebbe origini
molto precoci, ma nel diciannovesimo secolo conobbe
un regresso in seguito al quale molte delle logge più
antiche chiusero i battenti: quindi non possiamo
disporre di niente che ci consenta di appurare se nel
secolo precedente il Marchio vi era praticato.

170
Attualmente l’officina più antica del Cheshire è la
Unanimity, che fu costituita «solo» nel 1754. Nel 1807
si trasferì alla sua attuale locazione all’Oriente di
Dukinfield, e già la seconda tornata – della quale
abbiamo il verbale – fu convocata allo scopo di
rilasciare i Marchi, presenti svariati visitatori di quattro
logge diverse, tra i quali cinque ufficiali della Minerva.
La cosa sorprendente è che non ci sono tracce di
attività del Marchio in questa loggia prima di quella
tornata: eppure tutti i fratelli della Unanimity che vi
parteciparono senza essere candidati dovevano per
forza essere già almeno operai del Marchio. Cosa può
significare?
Secondo Armstrong, ci troveremmo di fronte alla
prima testimonianza della famosa Loggia Viaggiante
del Marchio del Cheshire, la cui origine viene
comunemente collocata circa vent’anni dopo; invece
secondo uno storico locale, C.P. Noar, la Unanimity si
era trasferita a Dukinfield allo scopo di costituire un
polo informale di attrazione per i sostenitori di quegli
antient degrees – Mark, Link, Ark Mariner, Wrestle,
Red Cross, ecc. – la cui sorte in seno all’Ordine, da

171
come stavano procedendo le trattative tra Antients e
Moderns, appariva già segnata; se fosse rimasta nella
sua precedente locazione di Mottram, caposaldo dei
Moderns, questo compito non avrebbe potuto essere
svolto.
Se Noar ha ragione, la Unanimity potrebbe essere stata
la culla di un’altra loggia viaggiante di cui non è
rimasta una documentazione certa.
In effetti, la prima cosa che salta agli occhi dall’esame
del suo libro di loggia è il gran numero di visitatori, a
un livello tale che in una officina di un piccolo centro
non ci si potrebbe aspettare. Un altro piccolo indizio a
favore di questa tesi è che i fratelli della Unanimity
erano veramente grandi appassionati di gradi antichi e
in particolare del Marchio: prenderemo in
considerazione in un’altra occasione la tomba del
Fratello John Postlehwaite, che figura come Past
Master nel verbale sopra citato, famosa perché presenta
il primo esempio conosciuto di pietra tombale scritta in
gran parte nei caratteri cifrati del Marchio.
Nel Lancashire, per tutto il diciottesimo secolo la
pratica del Marchio è confinata alla parte meridionale
172
della regione. A Manchester e Salford la massoneria
stava appena nascendo e non c’era il minimo indizio
della crescita del Marchio che si sarebbe verificata a
Liverpool e a Preston nel corso del diciannovesimo
secolo.
Invece più a sud, tra il fumo dei cotonifici, molte logge
Antient e capitoli Moderns praticavano l’Arco Reale in
colorite forme locali intrise di cavalleria e templarismo.
Nel 1784 un registro dei Marchi fu adottato dalla R:.
L:. Tranquillity all’Oriente di Rawtenstall, dal quale
appare che l’annessa loggia del Marchio si riuniva
soltanto in occasione dei passaggi e continuò a farlo
fino al 1865.
Dopo quell’anno, la Tranquillity si trasferì all’Oriente
di Stackheads (dove esiste tuttora), mentre la loggia del
Marchio si staccò dalla loggia madre per portarsi a
Newchurch e dare vita a un Incontro preliminare per la
riforma e la costituzione di una Mark Masons Lodge.
L’intento era di confluire nella Gran Loggia del
Marchio, cosa che poi fece dandosi il nome di
Rectitude Mark Lodge.

173
Anche a Wigan e a Oldham, verso la fine degli anni
Ottanta, furono costituite logge che fin da subito
cominciarono a conferire il Marchio. Dati i tempi, una
diffusione così generalizzata del Marchio in una zona
massonicamente ancora arretrata come era il
Lancashire è sorprendente; Norman Rogers suggerisce
che possano entrarci qualcosa i mercanti irlandesi che a
quei tempi frequentavano i dintorni di Liverpool per
piazzare il loro lino (dall’unione di lino e cotone si
ottiene il fustagno). Infatti, nell’elenco dei visitatori
che parteciparono alla tornata inaugurale della loggia
di Oldham, sono elencati (oltre a un certo… Thomas
Dunckerley) parecchi irlandesi.
A Oldham l’elenco dei gradi conferiti in loggia era il
seguente: apprendista, compagno, maestro, Past Master
e maestro del Marchio per ultimo. Il grado di operaio
del Marchio era facoltativo e, salvo una sola eccezione,
risulta essere stato conferito sempre dopo il grado di
maestro.
A parte ciò, quel poco che si può intuire dai libri di
loggia rivela la tipica struttura di un Marchio
strettamente intrecciato al sistema della loggia azzurra,

174
ma concepito come funzione introduttiva all’Arco
Reale; difficile non riconoscere la mano di Dunckerley
in tale compromesso, che se fosse diventato regola
generale come egli sperava avrebbe prodotto un nuovo
modello di massoneria azzurra, accettabile tanto dagli
Antients quanto dai Moderns più moderati.
È da notare che anche nel Lancashire – come nel
Cheshire – ci sono testimonianze degli anni Venti del
diciannovesimo secolo riguardo a una loggia
viaggiante del Marchio, costituita a Bolton dai membri
di quattro logge cittadine: abbiamo i nomi di due di
queste, la Saint John (che, fondata nel 1797, praticò il
Marchio fin da subito) e la Anchor and Hope (fondata
nel 1732, nella quale si praticavano Marchio, Ark e
Wrestle).
Per concludere il nostro esame di questa regione, sono
ancora da citare la R:. L:. of Relief all’Oriente di Bury,
che cominciò a praticare il Marchio nei primi anni
dell’Ottocento, e la R:. L:. Fortitude di Hollingwood,
costituitasi intorno al 1790 all’obbedienza della Grand
Lodge of All England. È notevole che questa officina
iper-tradizionalista abbia cominciato ad elevare i propri

175
membri al Marchio poche settimane dopo la sua
costituzione e che addirittura – unico caso documentato
– la Grand Lodge of All England abbia concesso un
Marchio alla loggia stessa. Tutti i Marchi concessi
dalla loggia raffigurano una lettera dell’alfabeto
ebraico o di quello greco; in molti casi (ma non
sempre) l’iniziale del cognome del fratello.
Sulle basse e incantevoli montagne dell’Inghilterra
settentrionale, il Marchio fece la sua comparsa nel
dicembre 1799 alla R:. L:. Prince George all’Oriente di
Haworth e nel 1811 anche nell’altra Loggia di quella
cittadina, la Three Graces. In entrambe le occasioni il
grado viene definito Old Mark e per comprendere cosa
volesse dire è opportuno spostarsi nella vicina
Bradford, dove aveva la sua sede la R:. L:. Hope.
Questa officina, che vantava le proprie origini nel
diciassettesimo secolo, aveva lavorato per un certo
periodo all’obbedienza della Grand Lodge of All
England, poi si era assonnata. Risvegliata nel 1794, si
era autoproclamata loggia del Marchio, vantando il
proprio diritto all’emissione di Marchi in base a una
licenza concessagli dalla Grand Lodge nel 1713; il suo

176
problema era che l’originale della licenza era andato
perduto.
Nel dicembre 1813 una delegazione della Hope si recò
a Londra per partecipare all’atto definitivo della
riconciliazione tra Antients e Moderns e cogliere
l’occasione per veder riconosciuto ufficialmente il loro
diritto; furono fortunati, perché entrambe le parti
impegnate nella trattativa erano ansiose di far digerire
ai massoni del Marchio il duro colpo della sua
esclusione dall’ordine e, dopo essere stati colmati di
gentilezze, se ne tornarono a Bradford con una nuova
licenza, di pugno del gran maestro, che autorizzava la
Hope a continuare l’emissione di Old Marks!
Naturalmente anche in questo caso, come già a Bristol,
la condizione era che il Marchio venisse praticato fuori
dai gradi azzurri ed è altrettanto dubbio che sia mai
stata rispettata; ma erano ancora gli anni in cui la Gran
Loggia, ansiosa di pacificazione, preferiva in molte
occasioni chiudere gli occhi o ignorare.
Nello Yorkshire, un centro di cui bisogna far menzione
è Sheffield. Per quanto sia uno dei più antichi centri di
propagazione dell’Arco Reale, analoga antichità non è
177
dato di riscontrare per il Marchio. Indubbiamente una
sorta di integralismo in favore dell’Arco Reale
primitivo non è estraneo al fatto che il primo registro
dei Marchi fu regolarizzato dalla Britannia Mark
Lodge solo nel 1870; nel quale, peraltro, sono raccolti
tutti i Marchi concessi ai fratelli a partire dal 1792,
quando l’officina era ancora una loggia azzurra
all’obbedienza degli Antients e aveva il diritto di
rilasciare, oltre al Marchio e all’Arco Reale, anche il
grado di cavaliere templare.
Nel Northumberland siamo di fronte a un’analoga
carenza di documenti, salvo tenui indizi di un’attività
del Marchio negli anni cinquanta del Settecento. La
storia ufficiale del grado comincia con la loggia del
Secondo Reggimento della Milizia reale del
Lancashire, che nell’ottobre 1804 si ricostituì sotto gli
Antients con il nome di Knight of Malta Lodge,
all’Oriente di Newcastle.
Il reggimento passò poi a Sunderland, a Tynemouth e
infine a Hull, dove evidentemente smobilitò, perché nel
1812 la Knight of Malta viene registrata come loggia
civile. Nel suo periodo militare aveva praticato un Old

178
Mark, l’Ark e il Link, ma dopo la smobilitazione non si
parla più di nessuno dei tre: può darsi che alla Knight
of Malta, come in molte logge ex Antients dopo il
1813, il trauma relativo alla soppressione degli antichi
gradi abbia trovato sfogo in una rimozione del passato.
Nell’area di Newcastle, i più antichi Marchi reperibili
si trovano nei registri della Loggia del Marchio
Northumberland and Berwick-upon-Tweed e per
foggia e stile sono probabilmente da attribuire
all’azione della Loggia Viaggiante del Cheshire. La
stessa denominazione dell’officina, che copre due
comuni, suggerisce a sua volta l’esistenza di un corpo
di maestri del Marchio aduso a spostarsi per la contea
per coprire quelle logge azzurre in seno alle quali il
grado non poteva essere più praticato.
Esiste una copia del rituale del Marchio praticato a
Newcastle in quegli anni. Le sigle con cui vengono
designati gli ufficiali di loggia sono curiosamente
uguali a quelle usate in Scozia, ma tutto il resto può
essere riferito al Marchio irlandese; era questo dunque
l’Old Mark che veniva propagato dalla Loggia
Viaggiante del Cheshire. Ne abbiamo conferma dal

179
fatto che, quando la Northumberland and Berwick-
upon-Tweed si risolse infine a porsi all’obbedienza
della Gran Loggia del Marchio, troviamo nei verbali
grande resistenza da parte dei fratelli più anziani,
riluttanti ad abbandonare il loro Old Mark per un
rituale nuovo.
In altri nostri scritti, abbiamo biasimato l’usanza delle
Logge Viaggianti – utilizzate dagli Antients per
diffondere anche altri gradi – in quanto non
condividiamo la scarsa serietà della pratica di
diffondere gradi per puro spirito di proselitismo, spesso
trapiantandoli colpevolmente in contesti iniziatici ad
essi inadatti. Ma questo non implica che non si debba
rendere omaggio allo spirito di servizio di quei
dimenticati fratelli: in viaggio per migliaia di miglia su
strade polverose, con mezzi di trasporto che non erano
certo quelli di oggi, sottraendo centinaia di ore alle
proprie attività e ai propri interessi – tutto questo per
non consentire che le tradizioni dell’antica massoneria,
in cui credevano fermamente, andassero disperse.
Infine, nel caso particolare della Loggia Viaggiante del
Cheshire è doveroso notare che il suo contributo alla

180
storia del Marchio non si esaurì in questa fase. Seppe
bene adattarsi ai tempi e lungo tutto l’arco del
diciannovesimo secolo la sua luce illuminò le vicende
del grado nel suo periodo più buio; ma è del tutto
prematuro trattare ora di queste vicende, delle quali
parleremo nel nono capitolo.
A Norwich (East Anglia) sul finire del diciottesimo
secolo la Union Lodge (fondata nel 1732) conferiva già
Arco Reale, Cavaliere Templare, Ark e Marchio (non
si sa quale). Nel 1795 a questa si aggiunse la R:. L:.
Perseverance all’obbedienza degli Antients (tuttora
esistente), che ovviamente fin dall’inizio conferiva in
loggia azzurra tutti gli antient degrees.
In questa città è conservata una tavoletta di pietra
incisa alta circa sessanta centimetri, che raffigura da
una parte due colonne scanalate unite da un arco. La
parte inferiore dell’arco è formata da un semicerchio di
pietre con la Chiave di Volta in bell’evidenza, e sotto
di esso fa bella mostra di sé un appariscente Thistle
(emblema della Scozia: un fiore di cardo circondato da
due foglie). Ancora più sotto, tra le colonne, sono
raffigurati diciassette simboli: occhio onniveggente,

181
sole, luna e sette stelle, libro, maglietto e cesello
incrociati, squadra e compasso in grado di compagno
con la G, livella, mazza pesante, cazzuola, filo a
piombo e regolo, stella, martello, una scala su una bara
che raffigura teschio e ossa incrociate, tre candelieri.
Potrebbe senz’altro trattarsi di un quadro di loggia
portatile come quello utilizzato dalla Loggia Itinerante
del Cheshire, ma la presenza del Thistle suggerisce
piuttosto che si tratti di un quadro mnemonico
utilizzato per la trasmissione di qualche antico grado di
origine scozzese: il candidato ascendeva
progressivamente attraverso i simboli per presentarsi
alla soglia, rappresentata dall’arco ornato dal Thistle.
Doveva anche essere un grado interamente compreso
nel grado di compagno e l’evidenza della Chiave di
Volta fa supporre che potesse trattarsi di una forma
scozzese di Marchio: sono in effetti i rituali scozzesi
della massoneria di Norfolk quelli che sottolineano
maggiormente l’associazione tra Marchio e secondo
grado.
A Londra, roccaforte Modern, il Marchio non trovava
sicuramente il suo ambiente più congeniale, ma
182
approfondendo l’investigazione si scopre che vi era più
diffuso di quanto non si crederebbe. Quando nel 1856
venne istituita la Mallet and Chisel Lodge (futura n° 5
all’obbedienza della Gran Loggia del Marchio), i due
fratelli che ne furono i promotori – Richard Barnes e
Richard Edward Barnes, maestri di scuola –
provenivano dalla R:. L:. Kent, attualmente n° 15
all’Oriente di Londra e allora n° 8 degli Antients; se si
considera la grande estensione territoriale ricoperta da
quella importante officina, si può giungere alla
conclusione che il Marchio era praticato in almeno un
quarto della capitale.
Dal libro di loggia della Kent: «Domenica 12 gennaio
1794. All’incontro dei Maestri Massoni convenuti
all’obbedienza della R:. L:. n°8 […] sotto il Patronato
concesso da Sua Altezza Reale il Duca di Clarence ai
Venerabilissimi Fratelli [ecc.]: aperta alle 4, quando i
Fratelli Durisk, Colcott, Witherisk, Wilson e Lewis
furono consacrati Ark Brothers. Chiusa alle 6. Riaperta
nel Marchio, quando i Fratelli Durisk, Wilson e Lewis
furono consacrati Operai del Marchio [Mark Men] e
Fratelli del Marchio [Mark Brothers]. Chiusa alle 7».
Riaprirono poi ancora «negli Eccellenti ed
183
Eccellentissimi Alti Gradi», decorarono gli Ufficiali di
un «Vascello dell’Arca Reale» (?) e «chiusero alle 11
in Armonia».
Ad altri dodici fratelli venne concesso il Marchio il 15
gennaio 1800 e in quell’occasione si parla di Mark
Men per il primo grado e già di Mark Masters per il
secondo. Parecchi di questi fratelli nella vita profana
erano dediti alla filatura della seta e optarono per
Marchi ispirati ad attrezzi della loro arte; invece un
fratello marinaio scelse un’ancora e un birraio un
boccale.
Il rapporto tra la Kent e la Mallet and Chisel ci ricorda
che anche la futura n° 6 della Gran Loggia del
Marchio, la Adam’s Mark Lodge, derivò da una R:. L:.
Adam’s all’obbedienza degli Antients, innalzata nel
1797.
Irlanda: nel 1775, un passaporto rilasciato dai Cavalieri
Templari di Kinsale designa chiaramente uno di loro
come operaio del Marchio. Che questo grado fosse già
praticato è confermato da una lista di brindisi per
l’Agape del 1782 di una loggia di Belfast:

184
«n° 13 – A tutti gli Eccellenti Massoni dell’Arco
Reale;
«n° 14 – Che nessuno (indegno) possa mai diventare
membro di questa Loggia; ma se ne è degno, che sia
degno anche di ricevere il Marchio.
«n° 15 – A tutti i Massoni del Marchio sparsi per il
mondo.
«n° 16 – A tutti i Maestri Reali, che siano Pilastri l’uno
per l’altro».
Notevole è l’ordine dei brindisi: quelli dedicati ai
maestri del Marchio sono collocati dopo quelli per i
fratelli dell’Arco Reale e prima di quelli per i Royal
Masters, il pittoresco perfezionamento irlandese del
terzo grado che è fondato sulla leggenda di Zorobabele.
Questo ordine gerarchico dei gradi è esattamente
quello che nel 1810 sarà ufficializzato dalla Gran
Loggia d’Irlanda. La natura ufficiale del documento
presume che esso si riferisca a un uso in vigore da
tempo, e lascia quindi pensare a una pratica consolidata
del Marchio come grado almeno a partire dagli anni
Settanta del Settecento.

185
A quel tempo la Gran Loggia d’Irlanda si barcamenava
alla meglio tra le forti istanze in favore degli antichi
gradi che provenivano dal basso e l’evidenza che la
situazione internazionale stesse orientandosi in
direzione del tutto diversa. Fu senza dubbio per
cautelarsi contro il futuro che, con l’approvazione di
Londra, creò un organismo autonomo nominalmente
destinato al governo e all’amministrazione dei gradi
templari – lo Early Grand Encampment – al quale, in
pratica, delegò l’amministrazione di tutti gli antient
degrees.
Da notare che, quando fu creato nel 1786, lo Early
Grand Encampment fu dichiarato «risvegliato», il che
fa presumere che qualcosa di simile fosse già esistito in
passato; anche se, come al solito, per la storia
dell’antica massoneria irlandese ci ritroviamo alle
prese con la mancanza di documenti. Nel 1805 poteva
vantare alla propria obbedienza ben trentadue
Encampments templari, compresi alcuni situati in
Scozia e in Inghilterra.
Alcuni passaporti rilasciati dal Grand Encampment
rivestono un interesse storico eccezionale. In calce a

186
uno di questi (1791) è annessa una cronologia
dell’origine dei gradi massonici, che colloca la nascita
del Marchio e dell’Ark Mariner all’anno 2007 prima di
Cristo: al di là delle discordanze di questa datazione
con le corrispondenze archeologiche, la cosa
interessante è che l’origine del Marchio viene associata
al Diluvio, quindi alla Genesi, quindi molto prima del
Tempio di Gerusalemme.
Non è pensabile che qualcosa del genere sia stato fatto
senza appoggiarsi a qualche contenuto del rituale o a
una leggenda tramandata nelle Letture avente la sua
origine in qualche riferimento scritturale della Genesi.
Di cosa poteva trattarsi?
Un altro passaporto dello stesso periodo – rilasciato
dalla R:. L:. n° 854 «Dedicated to the Holy and
Undivided Trinity and under God» e all’obbedienza
dello Early Grand Encampment – suggerisce una
soluzione. In esso il maestro venerabile raccomanda un
fratello come Regular Mark’d Mason a tutte le Regular
Mark’d Lodges; da esso quindi apprendiamo che certi
maestri del Marchio irlandesi solevano autodefinirsi
marchiati. Dovunque questo sia avvenuto, il

187
riferimento scritturale d’obbligo (e talvolta dichiarato)
va ricercato nella leggenda massonica di Caino e
Abele:
«Quando il numero della razza umana aumentò, le loro
malvagie passioni entrarono in azione; e Caino,
influenzato dall’invidia, rinnegò i principi della
Massoneria, e tolse la vita a suo fratello. A questo
seguì il giudizio e la sentenza della Divinità […] e il
fratricida e la sua famiglia furono cacciati, Caino
essendo protetto da chi voleva esercitargli violenza da
un Marchio particolare che lo distingueva dal resto
dell’umanità. Sulla natura di questo Marchio molte
sono state le congetture degli antichi: alcuni hanno
immaginato che avesse impressa la parola ABEL, altri
che le quattro lettere formassero il Nome di Dio».
Da ciò possiamo avere idea di come si fosse formata e
quale natura avesse la variante irlandese del Marchio; o
meglio una delle varianti irlandesi, che purtroppo non è
giunta ai nostri giorni.
Al mito del Cain’s Mark sono collegati i cosiddetti
gradi della Red Cross: cavaliere della spada, cavaliere
d’Oriente e cavaliere d’Oriente e d’Occidente (presenti
188
anche nel Rito di Baldwyn), che nella massoneria
irlandese venivano praticati in stretto collegamento con
il Marchio. In un certificato rilasciato nel 1807, un
fratello della Red Cross viene raccomandato «a tutti i
Maestri del Marchio dell’Universo» e il testo presenta
varie espressioni familiari ai massoni del Marchio di
oggi, perché si ritrovano pari pari nei loro rituali.
E per concludere: l’America. Abbiamo già visto come
il Marchio abbia varcato l’Atlantico grazie alle logge
militari, nelle quali l’influenza Antient era prevalente.
Dal 1759 in poi numerosi antichi gradi venivano
praticati nel Quebec e qualche forma di Marchio era tra
questi; altre testimonianze ci vengono dalle carte della
R:. L:. St. John all’Oriente di Middletown,
Connecticut, che era stata innalzata all’obbedienza
della Gran Loggia d’Inghilterra prima maniera, ma
successivamente aveva aderito agli Antients – forse in
seguito alla costituzione di una Gran Loggia
Provinciale degli Antients a New York nel settembre
1781 – costituendo un capitolo dell’Arco Reale.
Il 13 settembre «dell’anno di Nostro Signore 1783», i
membri del capitolo si riunirono nella loggia:

189
«essendoci accuratamente esaminati l’un l’altro e
trovando che ognuno di noi è stato fatto Maestro del
Marchio [Mark Master Mason] nonché iniziato a
questo Sublime quarto Grado in una Loggia del
Marchio regolarmente costituita, per il fine di
Promuovere il Marchio come la Chiave dell’Arco
Reale decidemmo di costituirci in Loggia del Marchio
sotto gli auspici della R:. L:. St. John» (seguono le
firme).
Aprirono successivamente «in grado di Maestri del
Marchio e Guardiani del Marchio [Mark Wardens]» e
avanzarono quattro fratelli, che avevano pagato per
questo passaggio un dollaro e mezzo. Decisero poi che
«la Loggia del Marchio è e rimarrà per sempre
all’interno del recentemente costituito Capitolo
dell’Arco Reale», e che il Right Worshipful High
Priest, il Captain General e il Senior Grand Master del
capitolo avrebbero svolto la funzione di ufficiali della
loggia, mentre il tesoriere e lo scriba del capitolo ne
sarebbero stati rispettivamente tesoriere e segretario.
Il 29 gennaio 1784 la Loggia conferì il Marchio al
fratello Jared Bunce, un Royal Arch Mason; il Marchio

190
a lui concesso rappresentava un covone di grano. Oltre
al fatto, da noi già osservato in Inghilterra, che i
Marchi erano a quei tempi spesso ispirati alla
professione del ricevente, la cosa interessante che
emerge qui è che la concessione del Marchio non era
considerata un requisito necessario per il conferimento
dell’Arco Reale; viceversa, come risulta da un
certificato del 1795, per avere diritto al Marchio
occorreva essere installati.
Altri Marchi concessi nel capitolo di Middletown
furono: una mano nella mano, sette candelieri, cinque
punti, una nave, un’aquila calva, un pulpito, il Polo
Nord, una colomba recante un ramo d’ulivo, un torchio
da stampa, una sfera di cristallo e molti altri. In molti
casi, il Marchio era ornato anche da un motto: per
esempio, intorno al torchio da stampa era inciso
«combattere la parzialità, astenersi dall’anarchia». Il
più elaborato tra i Marchi concessi ai fratelli raffigura
una Bibbia, un cuore, un incensiere e la lettera G.
In Canada, come abbiamo visto, la pratica dei gradi
Antients andò avanti ben più a lungo che in Inghilterra;
questo per varie ragioni. La folta prevalenza numerica

191
di fratelli scozzesi e irlandesi; la difficoltà di
comunicazione tra le officine (spesso separate da
centinaia di chilometri di foresta); lo stato di continua
guerriglia, che si prolungò ben oltre il termine della
rivoluzione americana. Ebbe senz’altro anche un peso
l’autonomia ben maggiore della Gran Loggia
Provinciale del Quebec rispetto a quelle inglesi,
propiziata in parti uguali dall’insofferenza e dalla
distanza.
Innumerevoli sono i conferimenti dei gradi del
Marchio registrati dagli anni Novanta in poi e, sebbene
a partire dal 1809 i registri della Gran Loggia
Provinciale siano andati perduti, sappiamo che questa
situazione andò avanti almeno fino al 1833. Nel
verbale di un’officina datato 1805, l’aper¬tura della
loggia del Marchio viene registrata come «apertura in
quarto grado», e in puro stile irlandese il Fratello
elevato in quell’occasione «fu marchiato membro di
questa Loggia [was marked a member of this Lodge]».
La guerra che vide di fronte gli Stati Uniti e la Gran
Bretagna tra il 1812 e il 1815 segnò un periodo di
sospensione dei lavori delle logge civili, ma Graham ci

192
dice che alla riapertura l’attività massonica rifiorì
ancora più vigorosa di prima.
Fu una delle conseguenze di quella guerra che, al
termine delle ostilità, centinaia di soldati Moderns che
non avevano potuto praticare il Marchio nelle loro
logge madri se ne tornassero in Inghilterra con un
invidiabile patrimonio di esperienza riguardo alle sue
versioni più antiche.
Per quanto ne sappiamo, quella che abbiamo appena
terminato di esporre era la situazione del grado del
Marchio prima del 1813. Essa rivela un Marchio
rivestito di varie forme, profondamente radicato ma
altrettanto sparpagliato. Ci sono rimandi e similitudini
da un’area all’altra ed esiste ancora la contrapposizione
tra grado unico e Marchio in due gradi, sebbene il
primo stia visibilmente attraversando una fase di rapido
regresso.
Riguardo al modo di considerare questo grado, c’è un
ampio arco di opinioni che vede a un estremo chi lo
considera tout court un preliminare dell’Arco Reale e
all’altro chi vede in esso un’estensione dei gradi
azzurri. In certe aree viene somministrato
193
occasionalmente, in altre è un punto centrale dei lavori
di loggia: a fronte di tante e tali diversità, ci viene quasi
da chiederci se sia lecita la nostra ambizione di
rappresentare realtà tanto diverse in un quadro unitario.
Ma è una pretesa che trova la sua giustificazione dopo
il 1813, quando le gravi disavventure che il Marchio
era destinato a patire ebbero almeno un effetto
positivo: quello di fungere da lievito al processo di
unificazione.

194
6. Gli antichi rituali

Negli archivi della Gran Loggia del Marchio sono


conservate varie forme di Antichi Rituali. Nel presente
capitolo e nei tre che seguono prendiamo in esame i più
importanti, perché il lettore possa fare esperienza
insieme a noi del processo evolutivo destinato a
concludersi con il rituale del Marchio attualmente in
uso.
Negli anni ottanta del Settecento, in Giamaica e a
Charleston, i due gradi del Marchio venivano praticati
come 5° e 6° grado del Rite Ancien de York. Per il 5°
la loggia veniva addobbata con tendaggi blu e sedici
lumi e sull’altare veniva collocata una pietra circolare
di marmo sulla quale erano incisi due cerchi
concentrici e fra di essi le lettere H T W S J T K S;
sulla pietra erano posati una Bibbia, i compassi, tre
stelle e un pugnale.
Per questo rituale gli ufficiali comprendono due
diaconi, ma non ci sono sovraintendenti, e mentre i

195
diaconi svolgono il lavoro del copritore esterno, i
sorveglianti controllano che tutti i fratelli convenuti nel
tempio siano Mark Masons. Anche il tesoriere e il
segretario vengono tegolati.
Le risposte dei diaconi riguardo alla loro posizione
nella loggia rivelano un’impostazione simile a quella di
altre antiche forme di Marchio inglesi: dicono
«DIETRO di Voi, Fratello Primo Sorvegliante, o alla
Vostra destra se permetterete, per ricevere i Vostri
ordini dovunque Vi sembri opportuno».
Prima che la loggia sia dichiarata aperta nel grado del
Marchio, tutti i presenti danno i segni di apprendista,
compagno e maestro; vengono poi lette le ultime
entrate nel registro dei Marchi e il maestro chiede al
primo sorvegliante: «Quale proposito ci ha riuniti qui
oggi?» e la risposta è: «La Verifica del lavoro di quei
Fratelli che chiedono un aumento di Salario».
Il candidato attende nella sala dei passi perduti. Ha la
camicia arrotolata intorno alla cintola, è in pantaloni
corti senza né scarpe né calze, la testa spettinata e una
corda al collo. Spogliato dei metalli, è tenuto in
consegna dal Fratello Terribile, che lo istruisce su
196
come reggere «la pietra più grande che egli sia in grado
di alzare con il pollice e le prime due dita della mano
destra». Poi il Terribile bussa sette volte alla porta e
possono entrare.
Dall’Oriente, il venerabile gli chiede perché siano lì, e
la risposta è: «Per fare un nuovo avanzamento in
Massoneria, se ci troverete degni». La pietra viene
portata all’altare; il candidato è poi condotto quattro
volte intorno alla loggia, e nel corso di questi viaggi
deve rispondere a varie domande.
Nel corso del secondo giro, il venerabile chiede:
«Perché avete domandato un aumento di Salario?» La
risposta: «Per acquistare nuova luce, ed essere in grado
di corrispondere meglio alle esigenze dei miei
Fratelli». Il primo sorvegliante dà poi al candidato le
parole di passo. Al terzo giro la domanda del
venerabile è perché il candidato sia sprovvisto di
oggetti metallici. Risposta: «Perché ai giorni
dell’edificazione del Tempio di Salomone non si
poteva sentire alcun rumore causato dagli attrezzi di
lavoro». Al quarto giro gli viene chiesto perché sia
scalzo. Risposta: «Perché il pavimento che abbiamo

197
attraversato è terra consacrata, in quanto Dio disse a
Mosè: levati le scarpe, il terreno dove ti trovi è sacro».
A questo punto il venerabile, soddisfatto dalle risposte,
dispensa il candidato dagli ulteriori viaggi che avrebbe
dovuto compiere fino a un totale di sedici. Scende
all’altare, esamina la pietra portata dal candidato e la
dichiara imperfetta: gliela restituisce e il candidato –
alzatala con le mani – la butta via scagliandola dietro la
propria spalla sinistra.
Ora il venerabile chiede al candidato la somma di 13
centesimi; più tardi verrà specificato che questa somma
è l’ammontare di un giorno di paga, e per antica
tradizione nessun dono fatto alla loggia può essere
inferiore. Ma il candidato, privato dei metalli, non ha
con sé il denaro. Il venerabile lo rimprovera: «Che è
mai, Fratello mio? Rifiutare una così piccola somma
per il sollievo dell’umanità sofferente! Il Grande
Architetto dell’Universo ve ne chiederà conto».
Un diacono invita allora il candidato a stendere la
mano aperta sull’altare, in modo che gli sia corrisposta
la sua paga giornaliera e sia così in grado di
corrispondere il dono richiesto. Questi obbedisce, ma il
198
secondo sorvegliante brandisce un pugnale, gli graffia
il braccio ed è sul punto di tranciargli il polso quando il
venerabile lo blocca e chiede al candidato: «Siete
disposto a prendere un impegno?» Il candidato
risponde affermativamente e a questo punto il
venerabile sospende i lavori. Dopo un rinfresco, i
fratelli riprendono posto e il Fratello Terribile conduce
il candidato al trono del venerabile. Gli vengono forniti
parola di passo, parola sacra e svariati segni. Gli viene
insegnata l’arte di preparare il proprio Marchio, infine
viene fatto accomodare e il venerabile gli sottopone la
Lettura e il Catechismo del grado.
Come nel rituale Dunckerley, anche in questo caso il
grado seguente (6° grado, detto Marked Master –
Maestro Marchiato) è più breve e scarno; ma non per
questo meno interessante, in quanto è formato da tre
momenti di origine chiaramente molto antica, buona
parte dei cui contenuti non è più riscontrabile in nessun
rituale seguente.
Primo: il candidato, con una «corda annodata quattro
volte» attorno al suo corpo, porta «un pezzo
perfettamente lavorato» da sottomettere all’ispezione;

199
il pezzo viene «preso in consegna dal Secondo
Sorvegliante e da questi passato al Primo», che a sua
volta lo passa al venerabile. Quest’ultimo lo controlla
con squadra e compassi, ma si mostra dubbioso finché
il candidato non accetta di contrarre un impegno.
Secondo: ancora una volta gli viene chiesto l’importo
del suo salario sotto la minaccia di tagliargli il polso,
ma la dinamica dell’evento è diversa dal grado
precedente, come diverso è il segno del grado.
Terzo: viene istruito su come, in aggiunta al Marchio,
egli potrà ora utilizzare geroglifici incomprensibili non
solo ai profani, ma anche ai massoni dei gradi inferiori.
Ancora una volta possiamo rilevare non solo la
presenza di un cifrario, ma anche di un suo ben preciso
ruolo rituale – al candidato viene esplicitamente
comandato di impararlo e si specifica il motivo. È
questa un’importante caratteristica comune a tutte le
più antiche versioni del Marchio, anche se i cifrari
utilizzati sono spesso diversi tra loro.
In un taccuino del 1817 – il cosiddetto manoscritto
Watson – troviamo annotato un rituale di operaio del
Marchio che Hughan fa risalire agli anni Ottanta del
200
secolo precedente; difatti ritroviamo in esso varie
caratteristiche dei rituali di origine operativa. Sotto il
titolo operaio del Marchio, il trascrittore ha raffigurato
il simbolo formato dalla H e dalla T cui abbiamo
accennato a proposito del 5° grado di York; più in
basso c’è un rettangolo contenente otto lettere, con al
centro uno schizzo raffigurante un gioiello.
Sul gioiello stanno altre tre lettere: H A B, mentre
quelle intorno sono T W S T O D A N, ovvero The
Widow’s Son Tribe Of Dan And Naphtali.
Sembrerebbe la chiave di un cifrario analogo a quello
creato da Dunckerley, ma più semplice, e
probabilmente si trattava proprio di questo. Il fatto che
esso sia fondato su otto lettere differenti da quelle
ritualmente utilizzate a Charleston ci fa comprendere
che, a quei tempi, il simbolo delle otto lettere esisteva
già nei vari rituali del Marchio, ma ancora non si era
giunti a un accordo per fissarne una versione
universalmente riconosciuta.
Nel rituale Watson, la loggia del Marchio veniva
ancora aperta in grado di compagno, e – come nei
precedenti – il lavoro era svolto dal venerabile e dai

201
sorveglianti, che assicuravano anche la copertura
esterna e interna. Il fatto che l’apertura sia addirittura
seguita da una lunga Lettura in forma di Catechismo
farebbe sospettare un’origine di molto precedente al
1780, anche se sfortunatamente non abbiamo
sufficienti agganci per affermarlo con certezza.
Esistono invece svariate corrispondenze con un rituale
del 1820, il Carlile, nel quale il primo sorvegliante
descrive quanto accadde nei giorni del¬l’edi¬ficazione
del Tempio così:
«Mentre Re Salomone si stava congratulando con il
nostro Gran Sovraintendente Hiram Abif per aver
risolto il ben noto problema di Massoneria e
Geometria, una pietra preziosa cadde dalla sua corona,
e fu vista dal Maestro Anziano [Senior Master]
dell’Ordine degli Uomini del Marchio, che la raccolse
e la restituì al Re. Questa Pietra era un carbonchio, e
raffigurava la Tribù di Giuda e il nostro Salvatore. Era
stata lavorata nel grande e glorioso Nome, che Re
Salomone concesse [da allora in poi] di poter utilizzare
come Parola di Passo in questo grado». Sarà per questo
che sulla copertina del Watson è disegnato un gioiello?

202
Dopo l’apertura, il rituale Watson ci riserva una prima
sorpresa: il candidato viene introdotto abbigliato in
grado di compagno, ma «con le caratteristiche
addizionali di questo grado sul grembiule». Non è ben
chiaro se «questo grado» si riferisca al grado di
compagno o a quello del Marchio; fatto sta, comunque,
che le «caratteristiche addizionali» sono le seguenti: «i
dieci caratteri matematici che corrispondono con le
nove figure e cifre in aritmetica, la Sigla [Signature] di
Hiram Habif e il Marchio di questo grado».
Se, come sembra più probabile, l’espressione «questo
grado» va riferita al grado del Marchio, non si capisce
perché il candidato debba fare il suo ingresso nel
tempio abbigliato con le insegne di un grado che non
ha ancora ottenuto; se si riferisce al grado di
compagno, occorre ipotizzare che i caratteri, le
corrispondenze e il Marchio sopra citati rappresentino
una parte del¬l’antico simbolismo del secondo grado
oggi andata perduta e della quale non c’è traccia in
nessun’altra Lettura esistente.
Non chiariscono il dubbio le parole che il primo
sorvegliante rivolge al candidato per spiegargli come

203
mai è stato abbigliato in quel modo: «per sottolineare i
doveri ufficiali di questa classe di Massoni alla
fabbrica del Tempio di Salomone, e la scoperta fatta
dai Fratelli mentre stavano riparando il Tempio»; in
quanto ancora una volta l’espressione «questa classe di
Massoni» può valere per entrambi i casi. Ma un
notevole indizio è rappresentato dall’allusione alla
scoperta fatta dai fratelli «mentre stavano riparando il
Tempio», che ci apre le porte sul dibattito se l’origine
del Marchio debba essere fatta risalire alla prima o alla
seconda edificazione del Tempio.
È questo un interessante problema, sul quale né gli
storici né i mitologi dell’istituzione sono concordi. In
effetti, i rituali del Marchio fondati sulla riedificazione
del Tempio costituiscono un’importante famiglia a
parte, della quale abbiamo intenzione di trattare nel
prossimo capitolo.
Ma in quegli anni, non si trattava di un dibattito
puramente storico o accademico, perché un corollario
implicito del problema era se il Marchio fosse o meno
una parte legittima dell’Arco Reale, e dalla risposta a

204
quella domanda dipendevano le sorti di una sua
eventuale riammissione nell’or¬dine.
Così, senza dubbio, il fatto che l’allocuzione del primo
sorvegliante faccia allusione a entrambe le edificazioni
del Tempio è espressione di un compromesso
lungamente discusso e meditato. In esso potrebbe
rientrare anche la scelta di far entrare il candidato già
abbigliato con le insegne del Marchio, per attestare che
la loggia – considerando il Marchio un
perfezionamento del grado di compagno e non un
grado vero e proprio – si esprimeva in favore della sua
riammissione nell’ordine.
Trattando poi dei misteriosi dieci caratteri matematici,
il maestro venerabile chiede al primo sorvegliante:
«M.V.: Me li potete descrivere?
«P.S.: Con la tipica cautela dei Massoni, Vi incontrerò
sulla linea parallela per darvene una parte, lasciando
alla Vostra libera volontà come darvi la rimanenza.
«M.V.: Vi ringrazio, e vi invito a continuare».
Il primo sorvegliante si alza, saluta il maestro
venerabile con il segno, si porta dinnanzi a lui e pone
205
indice e medio su quelli del venerabile formando una
croce; dopodiché «forma l’indice dell’alfabeto segreto
[sic] congiungendo la parallela orizzontale a quella
verticale».
A questo punto, i lettori che conoscono l’attuale
cifrario in uso nel Marchio avranno senza dubbio
capito qualcosa di più; non si comprende tuttavia quale
sia esattamente il legame con i dieci caratteri
matematici, se non che questi dovevano a quei tempi
costituire una sorta di fonte del cifrario, ricollegabile
ad esso mediante una chiave consistente di due
parallele.
Nel Watson, questo tema ritorna anche nel toccante
resoconto sulle origini del Marchio, che qui
riproduciamo:
«Durante la fabbrica del Tempio di Salomone andò
smarrita la sua preziosa e originale Chiave di Volta,
contenente molti inestimabili medaglioni e le dieci
lettere nella forma di un lavoro di pietre preziose che
Hiram Abif aveva grandemente penato per allestire. Si
pensò che fosse stata rubata da qualche lavoratore, e
una ricompensa venne offerta dal Re Salomone per chi
206
l’avesse presto ritrovata, o per chi ne avesse fatta
un'altra da mettere al suo posto. Allora un ingegnoso
Apprendista ne fece una, e la collocò nel posto rimasto
vuoto sull’arco; ma quando i Compagni lo vennero a
sapere, considerarono un presagio di disgrazia per il
loro Ordine il fatto che un inferiore fosse riuscito a
superarli in quell’onore.
«In un accesso di gelosia, si impossessarono della
nuova Chiave di Volta e la gettarono nel torrente
Kedron, che scorreva vicino al Tempio. Un’altra
ricompensa venne offerta per chi l’avesse recuperata, e
questo accese il desiderio del Fratello che ne era
l’autore, che partì alla sua ricerca in compagnia di altri
due Apprendisti. Quando alfine la ritrovarono, la
ricompensa fu suddivisa egualmente tra di loro, e
venne loro conferita insieme al grado di Compagno.
«Il Fratello che aveva creato la Chiave di Volta fu il
primo ad essere ricompensato, e gli fu concesso l’onore
– insieme ai suoi due compagni – di ricollocarla nel
luogo da cui era stata strappata; ma prima di fare
questo, il Fratello incise sul suo retro la parola
AMASAPHUS, e oltre alla precedente ricompensa gli

207
fu concesso anche il grado di Operaio del Marchio, il
che venne fatto facendolo girare intorno alla Loggia in
grado del Marchio con le mani disposte come un
Compagno che attende il suo salario. Ma anche dopo
aver ottenuto questi onori egli era triste e smarrito,
perché avrebbe preferito di gran lunga togliere la sua
Chiave di Volta dall’arco e prendere a calci l’Anello
che nascondeva sotto terra la Pietra che Hiram Abif
aveva fatto con i giusti caratteri e i giusti disegni».
Se qualcuno dei nostri lettori conosce il rituale
dell’Arco Reale scozzese ha probabilmente intuito la
spiegazione di quest’ultimo passaggio, su cui
torneremo tra poco. Riguardo al termine
AMASAPHUS, il fratello che ha trascritto il rituale
ipotizzò – in base a una discutibile traduzione
dal¬l’ebraico – che significasse Ametista. Il procedere
del Catechismo ci fa com¬prendere come questa idea
possa essersi originata.
«M.V.: Qual è la principale Sigla [Signature] di questo
grado?
«P.S.: La prima è H A B, e la Parola è S T O D A N».
La parola sembra strana, ma è probabilmente cifrata,
208
come ci ha già suggerito l’esame della copertina del
taccuino.
«M.V.: Dove sono raffigurate in una Loggia di Operai
del Marchio?
«P.S.: Sulla superficie inferiore della Chiave di Volta
dell’Arco di Re Salomone, che si scoprì essere un poco
allentata, al tempo in cui si ispezionavano i passaggi
sotterranei per organizzare le riparazioni del Tempio.
«M.V.: Cos’altro scoprirono?
«P.S.: Intorno al cerchio che racchiudeva le lettere H A
B, e tra le altre lettere formanti il rimanente della sigla
di questo grado, scoprimmo parecchie iscrizioni in
ebraico».
A questo punto, chiunque abbia un po’ le idee chiare
riguardo alla riforma del 1813 sorriderà, perché è nel
grado dell’Arco Reale Scozzese che questo accade e lo
stesso vale per la precedente immagine dell’Anello,
che è attaccato a una lastra di pietra sotto l’Arco di una
camera segreta.
Riguardo a quante e quali interminabili controversie tra
ex-Antients ed ex-Moderns abbiano generato nella
209
sconosciuta Officina che praticava il rituale Watson
questo innesto senza precedenti, possiamo solo
immaginarle. Fu un compromesso? Una provocazione?
Un esperimento? Un messaggio avente per destinatario
la Gran Loggia Unita d’Inghilterra? Sfortunatamente,
non lo sapremo mai.
Non ci possiamo congedare dal rituale Watson senza
prima aver ricordato altre sue caratteristiche peculiari:
per esempio, è il primo in assoluto a fornire una
dettagliata descrizione di quell’antica valuta, il siclo,
nonché a citare il recipiente della manna, il bastone
fiorito di Aronne, le espressioni Siclo d’Israele e
Gerusalemme la Santa.
Inoltre è il primo in cui il segnale di pericolo del grado
di operaio del Marchio viene dato con la tromba e in
cui viene citata la «celebrata Casa di Luce sulla più alta
vetta del Monte Libano»: basterebbero questi due
dettagli, cari ai fratelli che studiano il simbolismo del
Marchio in una prospettiva di trasmutazione interiore,
per fare del Watson il più importante antico rituale del
Marchio dopo i due Dunckerley.

210
Neville Cryer si è chiesto per quale ragione il Watson
abbia avuto scarsa influenza nella formazione del
rituale della Gran Loggia del Marchio, avanzando
l’ipotesi che si tratti di una compilazione che, in realtà,
non veniva praticata in nessuna loggia.
Questo è certamente possibile; ma forse la vera risposta
sta nella data troppo vicina al 1813, e di conseguenza
nelle polemiche vivaci che probabilmente
accompagnarono per lungo tempo il suo uso, rendendo
la sua adozione politicamente sconsigliabile.
Per il prossimo passo nell’evoluzione di questa
famiglia di rituali dobbiamo rivolgerci all’Antiquity
Preceptory dei cavalieri templari e alla Royal
Cumberland Lodge, entrambi all’Oriente di Bath,
nonché alla Howe Lodge di Birmingham: i rituali di
grande bellezza che venivano praticati in questi tre
corpi massonici erano tanto simili tra loro che conviene
esaminarli insieme. La sola differenza di rilievo è che
la Royal Cumberland, a differenza degli altri due, non
faceva uso di un cifrario.
Dopo aver aperto nei primi due gradi, il maestro
venerabile apre una loggia di maestri del Marchio. La
211
doppia copertura ad opera dei sorveglianti e la loro
condivisione delle linee parallele con il maestro
venerabile ricalca quanto abbiamo già visto finora. La
preghiera è «Alla Gloria del Grande Architetto
dell’Universo» (alla Howe, del «Grande Geometra»), e
il venerabile dichiara la loggia aperta «per ricevere i
rapporti dei Sovraintendenti ai Lavori» (all’Antiquity,
«del Sovraintendente»).
Il candidato viene tegolato dal primo diacono nelle due
logge azzurre e dal secondo diacono nell’Antiquity; gli
viene poi detto di presentarsi «privo di attrezzi
ingombranti e pronto per il lavoro», ma mentre
nell’Antiquity la parola di passo (la stessa in uso oggi)
gli viene insegnata subito, nelle due logge è il primo
diacono a darla per lui. L’aspetto affascinante del
raffronto tra questi tre rituali è che possiamo vedere
con i nostri occhi in che modo le nuove forme si siano
evolute dalle antiche.
Una volta che il candidato è stato introdotto nel tempio,
il secondo diacono lo precede e, sotto la guida del
primo diacono, si reca prima di lui all’Oriente,

212
presentando anche lui una pietra cubica da esaminare;
al candidato viene detto di imitare tutto ciò che lui farà.
Arriviamo a questo punto alla più importante novità del
rituale, in quanto per la prima volta troviamo dei
sovraintendenti attivi. Nell’Antiquity sono già tre:
saggiano il lavoro che ad essi viene presentato
mediante una squadra e pongono obiezioni che a un
maestro del Marchio di oggi suonerebbero familiari.
Il diacono e il candidato presentano le loro pietre. La
prima, presentata dal diacono, viene rapidamente
saggiata dal 3° sovraintendente che la passa al 2°;
questi fa altrettanto e la passa al 1°. Il 3°
sovraintendente si dedica poi alla pietra portata dal
candidato.
«3°: La forma di questa Pietra è insolita, e non può
essere saggiata con la Squadra. Non posso approvarla
senza il consenso del mio Fratello Sovraintendente.
«2°: È lavorata in modo strano. Neppure io riesco a
saggiarla, ma devo consultare il Maestro
Sovraintendente. Fratello Maestro Sovraintendente, Vi
porto questa pietra stranamente lavorata perché io e il
mio Fratello Sovraintendente non siamo stati in grado
213
di provarla. La Vostra opinione riguardo al lavoro di
questo Fratello ci obbligherà.
«1° [rivolgendosi al Diacono che precede il
Candidato]: Andate a portare la Vostra Pietra al Primo
Sorvegliante, che Vi introdurrà al cospetto del Maestro
Venerabile. [Poi, rivolgendosi al candidato, saggia la
sua pietra ed esclama:] Non riesco a capire a quale uso
una simile Pietra sia applicabile. A cosa serve, e dove
ve la siete procurata?
«Cand.: È una Pietra che ho trovato per strada, qui
vicino. Questi caratteri...
«1° [interrompendolo bruscamente]: non sono il
Marchio di nessuno della nostra Loggia. Questa Pietra
non è stata lavorata da voi. È inadatta a qualunque
edificio. La rifiutiamo. Andate via, la vostra condotta è
indifendibile [le due Logge azzurre attenuano in
riprovevole]. Portate questo Fratello all’Occidente,
dove attenderà la sentenza del Maestro Venerabile».
Nel frattempo, il diacono ha consegnato la sua pietra al
maestro venerabile ed è stato da questo ricompensato
con una moneta (è la prima volta che tale dettaglio
viene menzionato in questa famiglia di rituali). Il
214
candidato cerca di imitarlo, ma la sua mano viene
bloccata per il polso dal primo sorvegliante, che grida:
«Fermo! Vi siete tradito. Chi è quest’uomo?»
«1°: È uno il cui lavoro è stato rifiutato [il primo
sorvegliante afferra saldamente il candidato per il
corpo, tenendolo fermo come se si volesse infliggergli
un castigo].
A questo punto – circostanza non insolita nel panorama
dei rituali antichi – sembra esserci un salto. Il maestro
venerabile ricompensa il secondo dia¬cono anche con
un gioiello, poi rimanda ulteriori ricompense perché
«importanti impegni lo attendono».
Chiede poi al 1° sovraintendente se si scorga qualche
difetto nell’edifi¬cazione finale del tempio, e questi gli
risponde che purtroppo un difetto c’è: «la volta di un
corridoio sotto il Santuario, sostenuta da impalcature
che non possono essere rimosse senza pericolo. Sembra
che qualcosa sarebbe necessaria per renderla sicura» [il
candidato cerca di parlare, ma viene subito zittito dal
primo sorvegliante, che continua a stringerlo].
Qui le due logge azzurre hanno un pezzo non incluso
(o tenuto nascosto) nel rituale dell’Antiquity: il primo
215
sorvegliante lascia il suo posto, invitando il secondo a
seguirlo. Si dispongono a nord e a sud del venerabile,
srotolano un progetto e tutti e tre cominciano a
parlottare: il venerabile e il primo sorvegliante
spiegano sottovoce al secondo la scoperta del principio
dell’Arco da parte di Hiram, e il suo uso. Poi ritornano
ai loro posti, e il lavoro riprende.
«M.V.: Questa parte dell’edificio era affidata al nostro
compianto collega, ed era riservata a lui per via dei
suoi collegamenti con i nostri misteri, e questo disegno
rappresenta una pietra che avrebbe completato la
struttura. È certamente stata lavorata da lui, e voi,
Fratello Sovraintendente, dovete averla vista».
È sempre più chiaro come questo rituale vada
progressivamente svelandosi come assai simile al
rituale del Marchio cui siamo abituati, anche se è da
rimarcare una maggiore vicinanza all’Arco Reale
rispetto ad oggi, vicinanza che è ancora più palese nella
parte del rito che stiamo per esaminare; questa
vicinanza risulta crescere gradualmente negli antichi
rituali mano a mano che ci si avvicina al 1813, e
regredisce poi bruscamente da quell’anno.

216
Il candidato-detenuto viene ora riportato al cospetto del
maestro venerabile, ma poiché il trattamento ricevuto
lo ha reso «del tutto incapace di parlare», le sue parti
sono prese dal primo diacono (dal secondo
nell’Antiquity):
«Questo bravo Compagno stava recandosi al Tempio
portando con sé il pezzo che aveva lavorato, quando
vide – semisommersa in un corso d’acqua – una Pietra
che evidentemente era stata lavorata da un Maestro.
«Il suo singolare monogramma e la strana forma
suggerivano che fosse stata studiata per collegare
insieme altre pietre e mantenerle ferme in posizione
curva… rendendosi conto delle numerose possibilità
operative che venivano dischiuse da questa intelligente
scoperta, decise di fondare su di essa la propria
richiesta di un aumento di salario, e non potendo
trasportare entrambe le pietre lasciò la propria,
decidendo di tornare a recuperarla dopo averci messo a
parte delle virtù della Chiave di Volta.
Essendo ora chiarite le ragioni del suo
comportamento, meriterebbe l’opportunità di
recuperare la propria Pietra o di prepararne un’altra; e
217
che si provasse a ovviare alle difficoltà che ci sono
state riferite provando a installare la Pietra da lui
ritrovata laddove è mancante».
Con l’approvazione del venerabile, il candidato viene
condotto dal secondo diacono in un lento giro della
loggia, per rappresentare la sua discesa dal Tempio alla
Valle di Giosafat. Arrivato al punto dove la sua pietra è
stata gettata, «strofina contro di essa il suo piede» e la
porta al cospetto del venerabile, che lo istruisce su
come incidervi dei caratteri e poi «collocarla
formalmente nella sua giusta collocazione sull’Arco».
Nell’Antiquity, la parola che il candidato deve incidere
è MASSON; alla Royal Cumberland è EMMESEKKA,
nella Howe sono le lettere Z S. Soltanto nelle ultime
due ci viene detto che, prima di compiere questa
operazione, il candidato deve «rimuovere dalla Pietra
un rivestimento che la occulta».
Sempre nell’Antiquity, il venerabile dice poi al
candidato: «Seguirete ora il mio Diacono, che Vi
condurrà alla Corona dell’Arco». Seguendo il diacono,
egli compie tre giri della loggia in compagnia dei due
sorveglianti; arrivano poi all’Oriente, dove
218
solennemente colloca la Chiave di Volta nello spazio
libero al sommo dell’arco.
Più dettagliata questa parte nelle due logge:
«M.V.: Poiché le impalcature sono state rimosse,
passerete da una scala a chiocciola.
Il candidato, con la Chiave di Volta (che regge per
mezzo di indice e medio), percorre tre volte avanti e
indietro l’asse Oriente-Occidente del tempio, lungo il
quale le tre luci sono disposte in linea retta, zigzagando
tra di esse in modo da compiere tre mezzi giri intorno a
ciascuna; dopo queste perambulazioni colloca la
Chiave sull’arco, posto davanti al trono del venerabile.
«Cand.: Il mio compito è finito e l’Arco è sicuro.
«M.V.: Avete provato la fondatezza della Vostra
pretesa, e ottenuto il merito necessario per il Vostro
avanzamento».
Un dettaglio svelatoci dall’itinerario seguito dal
candidato è che i sovraintendenti non dovevano restare
tutto il tempo seduti ai loro posti come avviene ora.
Sarebbe interessante avere conto dei loro spostamenti,
che nei tre rituali non sono riportati.
219
Vengono ora conferiti il Marchio e il Marchio Mistico,
e il segno è dato piazzando i palmi delle mani sulle
anche con i pollici rivolti verso il basso, come se uno
stesse contemplando dal basso un edificio. La mano
destra viene poi gettata in alto, «come se si ordinasse di
buttare le scorie accumulate nella valle al di là del
muro»; le due logge aggiungono «una volta che siano
state rimosse dai lavoratori».
Al candidato viene poi richiesto di scegliersi un
Marchio e andarlo apporre nel registro dei Marchi di
loggia; può essere scelta «qualunque figura di
geometria piana». Gli viene spiegato il senso cifrato
dei simboli e delle «linee parallele»; con queste nuove
conoscenze può ora presentarsi all’ufficio del primo
sorvegliante per ricevere il suo salario, cosa che fa
porgendo il palmo della mano destra reggente il
Marchio su indice e medio. Il primo sorvegliante pone
su di esso una moneta che il nuovo maestro copre con
il pollice, poi la mano viene ritirata e chiusa.
Il primo sorvegliante gli svela ora il Grande Cifrario,
alloggiato in due coppie di parallele che si intersecano
perpendicolarmente in modo da formare nove caselle:

220
contiene delle figure geometriche le quali, combinate
tra loro, possono raffigurare «i suoni fondamentali di
tutte le lingue del mondo». Questa rivelazione è anche
l’occasione per un ammonimento solenne riguardo alle
virtù e all’importanza del silenzio, e per tessere le lodi
del linguaggio dei segni e dei simboli che i massoni
coltivano e preservano. Gli mostra poi in che modo,
componendo i simboli del cifrario per mezzo di un
maglietto e di una squadra, il maestro del Marchio sia
in grado di comunicare con un altro fratello a
qualunque distanza, basta che il ricevente si trovi entro
il suo campo visivo. Un ulteriore cifrario – il Gran
Cifrario del Monogramma – gli viene spiegato per
ultimo: la sua chiave è il disegno raffigurato sul
gioiello del maestro del Marchio.
La Lettura che segue – assente nel rituale della
Cumberland – è molto interessante: la tradizione
afferma che, durante l’edificazione del Tempio di
Salomone, Hiram Abif scoprì come si crea un arco, e
«consacrò la propria invenzione agli usi più elevati,
impiegandola in una parte della Struttura preparata per
conservare la rivelazione scritta di Dio all’Uomo e i
simboli e le testimonianze della fede massonica da
221
smarrimento o distruzione». L’intenzione era di porre
in opera la Chiave di Volta dell’arco quando i
costruttori erano tutti andati via, e quindi la pietra fu
lasciata nel portico del tempio per usarla più avanti.
Venne trovata lì da quindici compagni, i quali
pensarono che lo strano monogramma inciso sulla
Chiave di Volta fosse il Marchio del maestro, che essi
disperavano di ricevere, perché (rituale Howe): «Re
Salomone, essendo desideroso di trasformare
Gerusalemme nella capitale sia della cultura che della
religione, e il Tempio nel centro da cui entrambe si
sarebbero irradiate, aveva disposto che tanto gli Ebrei
quanto i Massoni avrebbero dovuto farvi ritorno
numerose volte prima di poter ottenere un
avanzamento». Tre di loro, per gelosia, «rimossero la
Pietra e la nascosero», sperando di poterne contrattare
la restituzione con il suo creatore.
Dopo la sua tragica morte, Hiram – essendo soltanto
mezzo ebreo – fu bruciato per metà dentro e per metà
fuori il recinto del Tempio. Di qui venne il segno
penale del maestro del Marchio, «che divide il corpo

222
come se il sangue fosse diviso in due, e affida la
memoria di Hiram tanto ai Leviti quanto ai Gentili».
Dal ritrovamento della Chiave di Volta in poi, i rituali
divergono. La Howe si allaccia a un’altra tradizione,
che giustifica il rito precedente con la promessa di una
ricompensa a chiunque fosse stato in grado di creare
un’altra Chiave di Volta; quando un ingegnoso
compagno ci riuscì, i suoi fratelli per gelosia «la
abbatterono e la gettarono nel torrente Kidron».
La Chiave di Volta fu poi ritrovata dal suo autore, che
vi incise in ebraico la parola AMASACH (respinta);
comunque, la risistemò – con l’aiuto di due colleghi –
nuovamente sull’arco.
Dopodiché gli capitò di ritrovare la pietra originale e
rimediò al proprio errore togliendo la propria e
rimettendo quella originale al suo posto. La variante
della Howe si conclude con riflessioni morali sul
grado.
La versione della Antiquity ci dice che due gran
maestri e Adoniram (titoli che si riferiscono
ovviamente alla ritualità templare) si accertavano che il
candidato occupasse la posizione a lui dovuta, e
223
«sistemasse la Chiave di Volta in modo corretto, in
modo che – al termine del lavoro – risultasse essere la
Pietra Angolare della struttura». Seguono poi questi
curiosi versi:
«Questa è la Chiave di Volta che crea l’Arco / Le altre
che ne fanno parte sono nulla / Finché quella non viene
a collegare e a chiudere / Con il suo Marchio
trionfale».
La Lettura continua: «L’intenzione dei tre Gran
Maestri di conservare il Libro Sacro e il Simbolo al di
là di quell’Arco venne portata avanti dai Successori del
Re e da Adoniram, e in quel luogo dopo il trascorrere
dei secoli vennero ritrovati, come Vi è stato detto nei
nostri Supremi Misteri. Questo grado costituisce un
collegamento necessario per il completamento della
Catena delle Influenze massoniche, e un’interessante
illustrazione delle antiche usanze dell’Ordine. Per
quanto tra i Muratori operativi molte delle nostre
usanze non trovino più riscontro, quella di conferire un
Marchio esiste ancora. La Massoneria speculativa
sarebbe quindi incompleta se se omettesse proprio
quella che, delle usanze antiche, contraddistingue

224
ancora la sua genitrice operativa, benché purtroppo
dobbiamo dolerci che il rito del Marchio come ci è
pervenuto abbia molto sofferto dalla mano dell’Uomo
e dal tocco del Tempo. Ci siamo sforzati di
impartirvelo nella sua versione originaria, libera da
innovazioni moderne. È richiesto tuttavia che Voi ne
apprendiate qualcuna, per facilitare il Vostro rapporto
con quei Maestri del Marchio che le praticano».
A questo punto gli vengono forniti i segni del Marchio
attualmente in uso. Evidentemente in quegli anni c’era
ancora una certa confusione riguardo alle otto lettere:
da una parte gli si danno H T W S S T K S, dall’altra H
T S W S T K S.
La Lettura che abbiamo visto tradisce la
preoccupazione che ai rituali basati sulle usanze delle
gilde operative fosse andato affiancandosi qualcosa di
diverso: sarebbe tuttavia fuorviante interpretare tale
sentimento come una condanna nei confronti di
qualcosa di antitradizionale, in quanto abbiamo già
visto che gli stessi rituali delle gilde differivano a
seconda dell’ubica¬zione geografica, e la vera novità
di quegli anni era piuttosto rappresentata dalla loro

225
diffusione al di fuori dei territori di origine, il che
sovente poneva in contrasto tra loro le diverse
tradizioni.
Un altro rilievo fondamentale è che nella tradizione di
Bath – definizione in cui possiamo racchiudere i tre
rituali esaminati – il legame del Marchio con l’Arco
Reale è dato per scontato, al punto di presentare i miti
originari delle due tradizioni in una forma che li rende
del tutto inestricabili l’uno dall’altro.
Infine la chiusura, che citiamo in versione Cumberland:
«Prima di separarci, adoriamo il Grande Architetto
dell’Universo, padre di ogni bene. Possa egli estendere
a noi la Sua protezione, sostenerci con la Sua forza,
renderci capaci di resistere alla tentazione e di
glorificarlo nelle nostre vite […] nella ferma speranza
che quanto abbiamo espresso simbolicamente nel
nostro lavoro possa infine, attraverso la Sua
misericordia, essere ricevuto nel Tempio vivente, non
edificato dalla mano dell’uomo, che è eterno nei cieli».
Questa bella conclusione – vicina nel senso a quella
attualmente in uso – racchiude con precisione inusuale
quello che è il senso corretto del rapporto tra lavoro

226
operativo e speculativo in massoneria, ed è anche uno
dei primi esempi della sua esplicita formulazione in un
rituale, a testimonianza di quanto profondamente a quel
tempo il problema fosse discusso e sentito.

227
7. La riedificazione del Tempio

Prendiamo ora in considerazione un’altra famiglia di


rituali del Marchio che presenta maggiori caratteri di
compattezza e identità riguardo alla precedente, ma
ebbe vita breve. La sua terra d’origine è il nord-est
dell’Inghilterra, dove una particolare categoria di
antiche Letture, quelle dette Harodim, si evolsero
progressivamente in un sistema di insegnamenti
fondato sulla loro graduale drammatizzazione.
Tra i miti in esse contenuti c’era la leggenda biblica di
Daniele e una caratteristica comune a tutti i rituali della
famiglia è l’inclusione della vicenda di Daniele e
Nebucadnetsar o, più precisamente, della sua versione
cattolica, che prevede l’incontro tra il re e Daniele nella
Camera Reale. Questo episodio, che nella Bibbia
riformata non c’è, sta anche al centro del grado
irlandese della Red Cross of Daniel.
Un altro tratto tipico delle Letture Harodim in grado di
compagno è l’enfasi posta tanto sul mito

228
dell’attraversamento del Giordano quanto sull’episodio
storico dei figli di Efraim sconfitti da Jefta. In
un’antica leggenda irlandese, dodici pietre furono prese
dalle fondamenta del ponte di Gilgal e usate per
l’edificazione di due pilastri, uno lungo un torrente e
l’altro in un campo di granturco.
Su antichi quadri di loggia, a Swalwell e nel
Derbyshire, si ha una chiara raffigurazione di questo
ponte, i cui archi sono identici a quelli che si possono
trovare sui passaporti irlandesi relativi ai gradi che
includono questo evento. Si tratta ancora una volta di
una tradizione che resistette fino al diciannovesimo
secolo.
Una simile tradizione è presente anche nel rituale del
Royal Order, che ebbe origine nella prima metà del
diciottesimo secolo. Si trattava comunque di un mito
largamente diffuso, narrato anche in un libello di
autore ignoto circolante nell’area di Sheffield a cavallo
tra Settecento e Ottocento.
Un massone di Newcastle che si rivela assai erudito
riguardo agli aspetti simbolici della leggenda scriveva
nel tardo Settecento: «Non è importante stabilire se il
229
Ponte in questione corra tra un pontile e una nave o da
una riva all’altra di un fiume. Era un Ponte, e [i Figli di
Israele] dovevano attraversarlo per proseguire nel loro
viaggio verso casa. Qualcuno pensa che fosse un guado
di pietre, da attraversare balzando dall’una all’altra».
Un’altra componente presente nel primo rituale che
stiamo per esaminare è la sorprendente influenza di un
Encampment templare all’obbedienza dell’Early Grand
Encampment irlandese, che fu innalzato a Sunderland
nel 1807. Tra i gradi in esso praticati c’erano il
Babylonian Pass (o Red Cross of Daniel), il Jordan
Pass e il Royal Order.
Riguardo a questi gradi, che – oltre ad essere
contraddistinti da un’idea di «passaggio» del tutto
analoga a quella che caratterizza la leggenda sopra
citata – sono fondati tutti sul simbolismo della Croce, è
notevole che tutti e tre i diversi tipi di Croce su cui
sono incentrati si possono ritrovare in antichi sigilli
irlandesi; perlopiù accompagnati dalla dicitura Veritas,
o qualche volta Libertas.
Nel primo caso, la Croce era detta Croce della Verità,
con riferimento alla profezia di Isaia, 61: 1-44, che ben
230
si attaglia anche al caso di Daniele e Zorobabele con
Ciro (Daniele 9: 2, 10: 13).
Tutti questi riferimenti sono facilmente applicabili alla
politica, come allusioni alla causa dell’indipendenza
irlandese. È quasi incredibile che al¬l’epo¬ca
venissero accettati dai massoni inglesi senza proteste, e
questo ci fornisce una testimonianza non solo del
potere della fratellanza massonica, ma anche di come
agli inizi dell’Ottocento il rispetto dei massoni inglesi
verso la sacralità degli antichi gradi fosse lungi
dall’essere venuto meno.
Il rituale di Mark Mason di Sunderland non ha apertura
né chiusura. La scena è la stanza privata di un monarca
orientale e un camerlengo bussa alla porta. La guardia
interna risponde alla bussata e lo annuncia al re.
Una volta ammesso, il camerlengo riferisce di aver
bussato invano alla porta di maghi, astrologi e indovini
per ottenere l’interpretazione di un sogno che il re ha
avuto. Gli viene dato il compito di cercare ancora.
Un successivo rapporto induce la guardia interna ad
annunciare che un prigioniero della tribù di Giuda è

231
forse colui che può interpretare il sogno. Il suo nome
viene dato come GIBLUM. Il re fa un’offerta:
«L’Uomo che saprà dirmi il mio sogno e darmene
l’interpretazione sarà rivestito di porpora e scarlatto,
issato sul mio cavallo e proclamato dinnanzi a me la
terza persona più importante del Regno». Questa
dichiarazione veniva definita la Promessa.
Il camerlengo e il prigioniero sono ammessi e, dopo
aver reso omaggio al re, il camerlengo parla a nome del
suo compagno. Puntualizza: «il Sogno non viene da
me, ma da Colui che mi ha mandato» (riferendosi
chiaramente non al sogno ma alla sua interpretazione).
Va avanti descrivendo «un grande leone in agguato
dinnanzi al tuo letto, pronto a divorare te e la tua casa».
Il re si alza improvvisamente dal suo divano,
ammettendo che proprio quello era stato il suo sogno.
Ne chiede il significato. Il camerlengo gli dice che era
il leone della tribù di Giuda, che lo divorerà se non
consentirà «ai Figli di Israele di tornare a
Gerusalemme, per ricevere la promessa di un Operaio
del Marchio».

232
Dapprima il re rinnova la sua Promessa, ma il
camerlengo dice che non è ciò che lui aveva chiesto.
«E cos’è, allora?», chiede il re.
Camerlengo: «Che Tu consegni [pass] quest’uomo a
Tatnai, Governatore di questa riva del Fiume, e che
Tatnai lo passi a Shethar Boznai e ai suoi compagni
sull’altra riva del Fiume, e che Shethar Boznai lo
riporti a Gerusalemme per ricevere la promessa di un
Operaio del Marchio». Questa era detta la Richiesta.
Il re approva la richiesta, aggiungendo che egli avrà
grano, vino, olio e sale per la sua sussistenza «quando
aiuterà a ricostruire il Tempio e la Città Santa che ora
giacciono in rovina, e farà come i suoi antenati hanno
fatto prima di lui». È da notare che tutto questo si
riferisce alla seconda edificazione del Tempio e può
quindi ricollegarsi con la leggenda dell’Arco Reale.
Sempre in omaggio a questa cronologia, è tratta dal
Libro di Ester la punizione che il re minaccia per chi
non rispetterà il suo decreto: sarà impiccato e la sua
casa ridotta a desolazione. Questa era la Pena.
La scena si sposta sulla riva del fiume, dove il
camerlengo consegna il prigioniero al governatore
233
Tatnai e gli dice di passarlo a Shethar Boznai. Tatnai
esegue e il candidato passa il ponte, una piccola
piattaforma di legno collocata nella parte occidentale
della loggia.
Il camerlengo dice ora a Shethar Boznai di riportare
«quest’uomo» a Gerusalemme e Shethar Boznai ripete
i termini della Richiesta e della Pena.
Il candidato ora sceglie un Marchio, lo depone sulla
Bibbia aperta, lo copre con le mani e pronuncia il
solenne giuramento, «alla gloria del Grande
Sovraintendente della Squadra»; questa obbligazione
non può essere pronunciata «se non quando 3, 5, 7, 9 o
11 operai del Marchio siano presenti e il candidato
abbia pagato 13 mezzi penny per il suo Marchio»
(ancora oggi, nel nord dell’Inghilterra, il Marchio viene
scherzosamente detto «13 ha’pny’ degree»). La Pena in
caso di spergiuro era «troncarsi la mano destra e
scagliarla dietro la spalla sinistra, lasciandola ad
avvizzire e imputridire».
A questo punto, il re istruiva il candidato sul significato
del Marchio che si era scelto, e proseguiva con una
Lettura Storica. Apprendiamo che «Hiram Abif aveva
234
istituito un luogo nel quale i lavoratori potevano ritirare
il loro salario stendendo la mano, e un uomo stazionava
dietro alla porta pronto a recidere con la spada la mano
di quelli che non avevano il Marchio. Coloro che erano
scoperti se ne andavano vergognosi, scuotendosi la
testa con le mani in questo modo [il Re glielo mostra]
che è ancora oggi considerato il Segno dell’Operaio del
Marchio».
Il Rituale Sunderland si conclude con una serie di
domande e risposte che riecheggiano gli eventi sopra
esposti, più altre che riguardano vari aspetti del grado:
«D. Avanzate come fa l’Operaio del Marchio, e datemi
i Segreti.
«R. Segno: fate un passo regolare, con la mano destra
fate come se estraeste una spada dal fodero, e
terminate il gesto ponendo due dita dietro l’orecchio.
«Presa: (è la stessa attualmente in uso).
«Parola: Ekbetain.
«D. Quale altri privilegi avete come Operaio del
Marchio?

235
«R. Che tutti gli Operai del Marchio devono indossare,
nella quinta asola del panciotto o del gilè, un nastro
bianco cui è attaccata una medaglia.
«D. Perché nella quinta asola?
«R. Perché l’Uomo ha cinque sensi.
«D. Nominateli.
«R. Udito, Vista, Odorato, Gusto e Tatto [a questo
punto c’è una descrizione della Pena].
«D. Chi cercò di alterare il Decreto del Re?
«R. Haaman, il nemico dei Giudei.
«D. Cosa accadde ad Haaman?
«R. Fu sottoposto alla Pena.
Per fortuna disponiamo di varie copie del rituale
chiamato Old York, attivamente praticato nella Loggia
del Marchio di Bradford finchè non aderì alla Gran
Loggia del Marchio; in più, ne è stato recentemente
riscoperto a Newcastle un altro quasi identico. Neville
Cryer li ha esaminati congiuntamente, segnalando le
varianti da un rituale all’altro come OY e NC.

236
Il rituale OY era senz’altro già in uso nei primi anni del
diciannovesimo secolo e il NC è il manoscritto di un
fratello databile tra il 1812 e il 1830. Ciò che
apprendiamo da queste copie è che in quei tempi e
luoghi il Marchio era considerato collocabile tra il
Secondo e il Terzo Grado dell’Ordine. Una di esse
prescrive chiaramente che, dopo l’apertura in grado di
compagno, la loggia «venga dichiarata aperta in grado
del Marchio, e gli Ufficiali del Marchio prendano le
rispettive posizioni»; questo spiega anche perché la
maggior parte delle copie non fanno cenno ad alcun
rituale di apertura – semplicemente non ce n’era
bisogno.
Nell’OY il maestro venerabile diventava il re dell’est,
il secondo sorvegliante impersonava Tatnai e il primo
Shethar Boznai. Il ponte veniva disposto tra i seggi dei
due Sorveglianti. Il copritore esterno era detto guardia
esterna, il segretario scriba. Tutti i Past Masters che
fossero anche maestri del Marchio erano eleggibili a re
dell’est, Tatnai o Shethar.
Mentre il re e i due governatori conducevano la prima
parte del rito, le parti finali erano di solito svolte da un

237
Past Master. I fratelli indossavano il normale
abbigliamento dell’ordine, ma avevano il gioiello –
rappresentante un antico mezzo siclo – pendente da un
nastro bianco appuntato alla quinta asola.
Al termine, senza rituale di chiusura, la loggia del
Marchio era dichiarata chiusa; gli ufficiali della loggia
azzurra riprendevano i loro posti e i lavori venivano
chiusi in secondo e primo grado.
Il passaggio del ponte è stato criticato da Bridge come
una superflua aggiunta al rituale del Marchio. Non
bisogna tuttavia perdere di vista che, in quel periodo in
cui il riavvicinamento tra Antients e Moderns stava
giungendo a compimento, la diffusione delle forme
rituali irlandesi in Inghilterra tendeva a rafforzare
quella parte di leggende massoniche che si riferiscono
alle vicende del popolo di Israele dopo l’esilio (che,
come è noto, nel ricco patrimonio dei gradi antichi
irlandesi sono particolarmente belle e numerose) al fine
di facilitare l’integrazione del Marchio con l’Arco
Reale.
Appoggiandoci ancora a Cryer, passeremo adesso a
esaminare i rituali di un altro ramo della stessa
238
famiglia: quello in uso presso la R:. L:. Clough of
Perseverance (CP), il rituale Blackburn (BL) e un altro
molto simile detto rituale Dawson (DR).
Ci sono varie opinioni circa la datazione di queste
varianti, ma di certo il CP è il più antico, in quanto
ricorda molto l’Old York; siamo certi comunque che
tutti e tre vennero praticati fino al periodo 1850-70
nell’area del Lancashire.
La versione CP ci viene da un manoscritto nel quale
non è precisato a che punto dei lavori andasse inserito:
non sappiamo dunque se quanto segue fosse preceduto
o meno da un’apertura e in che grado.
Il rito si apre con un gruppo di prigionieri strettamente
legati che attendono in piedi fuori della camera del re.
Le bussate sono due lunghe e due corte; il copritore
Interno annuncia che «questi Prigionieri della Tribù di
Giuda chiedono udienza» al re Nebucadnetsar, e dopo
essere ammessi vengono portati all’Oriente.
Un diacono spiega loro che si sta cercando chi sappia
interpretare un sogno del re e si suppone che uno di
loro possa essere d’aiuto: il suo nome è Gobraim.

239
La Promessa del re presenta alcune varianti :
«Gobraim, ho fatto un Sogno, e colui che saprà
interpretarlo sarà rivestito di porpora e di scarlatto, gli
sarà fatto dono di un bracciale d’oro e sarà innalzato
sul cavallo del Re; sarà così condotto per le strade della
città, e i banditori annunceranno il suo nome. Così sarà
fatto all’uomo che il Re deciderà di onorare». Il sogno
è lo stesso di prima, ma la spiegazione è diversa: i figli
di Israele devono «ritornare alle loro case a
Gerusalemme, per ricostruire il Tempio e i santi
sepolcri che ora giacciono in rovina».
Il re conferma la Promessa e Gobraim (per bocca del
diacono) rinuncia alla ricompensa in cambio
dell’adempimento della richiesta contenuta
nel¬l’in¬terpretazione del sogno; questo gli viene
accordato, ed è solo ora che il re menziona il
«Passaggio del Fiume» che è necessario «per ricevere
il Giuramento di un Operaio del Marchio». Sarà
Gobraim, e non il diacono, a compierlo materialmente.
All’arrivo a Gerusalemme (simboleggiato dallo stare
all’Oriente dinnanzi al maestro venerabile), viene detto
ai prigionieri che se ognuno di loro darà prova della
240
sua abilità muratoria il re assegnerà a ciascuno una
parte del lavoro e «ammetterà coloro che saranno
trovati degni ai misteri e ai privilegi della Massoneria
del Marchio». Salutano (come compagni?) e si ritirano.
Ogni candidato ritorna e presenta una Pietra Grezza,
che viene rifiutata. Si ritira e porta dentro una Pietra
Perfetta. Il maestro viene informato dal diacono che
«qualche persona maldisposta ha portato via il vero
esemplare del lavoro del nostro Fratello e ha messo la
pietra grezza al suo posto» (traballante spiegazione:
come è possibile che il fratello avesse presentato la
pietra grezza senza accorgersene?).
Il re, comunque, la accetta senza problemi: «Avevo
supposto che dovesse esserci qualche errore. Questa è
una Pietra perfettamente squadrata e rifinita, e vi dà il
diritto di prestare giuramento come Operaio del
Marchio». Se ci sono numerosi candidati, l’intero
rituale viene ripetuto per ciascuno, dopodiché segue
una serie di domande e risposte.
Le prime risposte tendono a sottolineare come «la
capacità del Candidato di interpretare il sogno del Re
sia anche prova della sua capacità di conoscere sé
241
stesso», rendendolo quindi idoneo per l’ottenimento
del grado. Non è il caso di dilungarci a descriverle qui,
ma si tratta di un dialogo recante forti indizi di
un’influenza direttamente proveniente da una scuola
ermetica: cioè di riti creati specificatamente per agire
sul sociale, quegli stessi che affascinarono i fondatori
della massoneria al punto di trasformarla in uno
strumento volto a cambiare la storia.
Segue poi un passaggio che prova come il Gobraim o
Giblum di questo rituale sia effettivamente il profeta
Daniele :
«D. Come avete potuto spiegare al Re il suo sogno ?
«R. Ho pregato il Signore, Dio dei Cieli, ed Egli mi ha
rivelato il segreto in una visione notturna [cfr. Daniele,
2:19]».
È uno dei massimi motivi di interesse di questo gruppo
di rituali osservare come è stata gestita la presenza di
elementi mitici relativi alla costruzione tanto del Primo
come del Secondo Tempio. Sebbene abbiamo
specificato nell’introduzione di questo libro come non
sia nostra intenzione insistere sui significati ermetici
celati nei rituali del Marchio, è d’obbligo tuttavia
242
osservare che il raffronto tra le due edificazioni del
Tempio è in realtà una chiave – neppure di difficile
decifrazione – riguardo alla doppia possibilità di
applicare il simbolismo del Marchio tanto al lavoro su
se stessi quanto all’azione della massoneria sul mondo.
Ci sono chiare tracce storiche su come e quando tale
duplicità possa essersi determinata; ma resistiamo alla
tentazione di esporle qui, rimandando i lettori di
indirizzo esoterico a un altro libro.
Un buon sostegno per quanto abbiamo appena
affermato si può trovare nel raffronto fra i tre rituali :
BL svolge il rituale dopo aver aperto in terzo grado,
DR addirittura in quarto (Past Master), e già queste
sono testimonianze di una maggiore attenzione nei
confronti della mitologia salomonica relativa al Primo
Tempio, in piena sintonia con l’impostazione Antient
delle due officine.
Inoltre, la scelta della DR di svolgere il rituale in
quarto grado ci suggerisce un paio di cose: primo, se
viene considerato normale guardare all’in¬stallazione
del maestro venerabile come a un grado, ciò significa
che abbiamo a che fare con un rituale già in uso presso

243
gli Antients, ovvero ben più antico della metà del
diciannovesimo secolo; secondo, se era un passo al di
sopra del grado di maestro massone ciò significa che
anche questi rituali del Marchio erano usati in origine
come introduzione all’Arco Reale.
Nelle versioni DR/BL una loggia del Marchio viene
dichiarata aperta con il solito dialogo tra maestro
venerabile e sorveglianti, e il primo sorvegliante
circola poi per ricevere silenziosamente la parola di
passo da tutti i fratelli presenti, seguito dal secondo,
che dapprima dichiara il cesello e il maglietto come
strumenti del grado, poi chiede ai fratelli di mostrare il
segno. Fatto questo, il secondo afferma che ci sono tre
ufficiali principali, e il primo che ci sono sei ufficiali
assistenti: i due diaconi, i tre sovraintendenti e il
copritore interno. Si torna poi al presente, con le
risposte dei sovraintendenti e una preghiera, nella quale
il maestro venerabile «supplica una benedizione
dall’Altissimo [Most High God]».
Il candidato entra e gli viene data la parola di passo;
fornisce la prova di essere un maestro e acconsente a
prestare un giuramento, che viene ripetuto quattro

244
volte. Al presentatore (Conductor) viene richiesto di
preparare il candidato per la prossima parte del rito.
Il candidato rientra con una Chiave di Volta nascosta
sotto al grembiule. Viene guidato con quattro passi dal
secondo sovraintendente, che la esamina e dice:
«Vedete bene che questa pietra non è squadrata; sono
le pietre squadrate quelle che servono per questo
lavoro, e abbiamo ordine di non accettarne di altro
genere. Inoltre, non c’è nessun Marchio a me noto su
questa pietra; è un lavoro vostro?» Tuttavia, malgrado
queste obiezioni, il candidato viene autorizzato a
rivolgersi al primo sovraintendente e al maestro
sovraintendente per il loro giudizio.
Quest’ultimo strapazza per bene il giovane muratore e,
dopo aver chiamato a sé i suoi due colleghi, chiede loro
cosa si può fare; su proposta del secondo
sovraintendente e con l’assenso del primo, la pietra
viene respinta.
Il maestro sovraintendente ordina poi che il candidato
venga fornito di attrezzi, per mostrare ai fratelli «come
si comincia a lavorare su una pietra grezza per
trasformarla in una pietra squadrata».
245
Intanto è venuta la Sesta Ora del Sesto Giorno (netto
riferimento al simbolismo ermetico anche questo) ed è
tempo che i fratelli reclamino il loro salario. Si
dispongono in processione tre a tre. Il movimento
comincia dal primo sorvegliante (BL) o dal secondo
gran sorvegliante (DR) nel modo tuttora in uso.
Quando il candidato arriva davanti al maestro
venerabile questi nota la sua presenza e, dopo averlo
rimproverato per essersi mescolato agli altri senza
averne diritto, decide tuttavia di offrirgli un’altra
possibilità, invitandolo a portargli una pietra migliore.
Il candidato viene reintrodotto con una pietra
squadrata. Il presentatore spiega al maestro venerabile
che questa è la vera pietra del candidato: prima di
recarsi al tempio gli era caduta e non si era accorto di
aver raccolto per sbaglio un’altra pietra che
casualmente giaceva lì vicino.
Di qui in avanti, con uno stacco piuttosto stridente per
chi non abbia compreso il duplice simbolismo del
rituale, esso prende una piega del tutto imprevedibile.
Il maestro venerabile prende a raccontare la storia del
sogno di Nebucadnetsar e delle sue minacce di morte

246
nei confronti dei sapienti di Babilonia se non se ne
fosse trovato uno in grado di interpretarlo; il conduttore
chiede tempo per andare in cerca della persona e
portarla dal re.
Il candidato esce di nuovo con lui, e questa volta viene
reintrodotto in catene per rappresentare Daniele,
presentato come «il giovane uomo della tribù di Giuda
che è stato preso prigioniero da Arioch»; il catechismo
che segue è interamente basato sulla vicenda narrata
nella Bibbia.
«Presentatore: O Re, vivi per sempre. Abbiamo
setacciato i tuoi regni, e per timore che tu potessi
considerarci negligenti abbiamo anche cercato nelle
prigioni; in una di queste abbiamo trovato il nostro
Fratello perduto.
«Re: Sei tu Daniele, il cui nome è Beltashazar? Sei in
grado di dirmi quale fu il mio Sogno?»
Daniele risponde affermativamente e il re lo invita a
parlare. Lo fa con due lunghi monologhi che possiamo
riassumere così: Un Dio nei cieli che svela i misteri gli
ha mostrato il futuro. Il segreto è stato rivelato a
Daniele perché il re possa trarne insegnamento. Il
247
sogno era di una grande statua, alta e terribile. La sua
testa era d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il
ventre e le cosce di bronzo, i piedi parte di ferro e parte
di creta. Il re vide questo finché «una pietra venne
tagliata dalla montagna senza intervento della mano
dell’uomo», colpì la statua nei piedi e li ruppe in mille
pezzi. L’intera statua si disintegrò e fu spazzata via
come se fosse stata di paglia, ma la pietra che la ruppe
«divenne una grande montagna» e riempì il mondo
intero. Nell’in¬ter-pretazione, il re è la testa d’oro e i
successivi regni d’argento e bronzo seguiranno, finché
un regno di ferro li sottometterà tutti. I piedi di ferro e
creta mostrano un regno diviso. Dopo questi regni, Dio
ne innalzerà che non sarà mai distrutto e li sottometterà
tutti, e durerà «come la pietra tagliata».
Il re è impressionato e fa la Promessa (esclusa la
precedente offerta del suo cavallo). Daniele presenta la
Richiesta (senza la Promessa dell’Operaio del
Marchio). Ad Arioch viene affidato il compito di
portare Daniele oltre il fiume, fino a Gerusalemme.
A Daniele vengono conferite «la giusta Presa e la
Parola»; Arioch gli fa attraversare il fiume e poi – con

248
un altro passaggio brusco e inatteso – siamo di nuovo
nella loggia, dove i lavoratori non hanno la Chiave di
Volta per uno degli archi principali. Il solo maestro
sovraintendente spiega ciò che è avvenuto alla Chiave
di Volta precedente.
Quando questa viene ritrovata (non sappiamo da chi), il
maestro venerabile legge dal capitolo quarto degli Atti
degli Apostoli i versetti 1 e 2: l’inizio dell’episodio in
cui Pietro e Giovanni vengono condotti dinnanzi al
Sinedrio con l’accusa di aver predicato la resurrezione
dei morti (altro stacco significativo).
La lettura di questo passaggio è una caratteristica unica
e molto insolita di questi due rituali: è uno dei rari
momenti in cui il Marchio si collega con un concetto
interamente cristiano, quello della Resurrezione,
identificando totalmente il ritrovamento della Chiave di
Volta con la trasmutazione interiore. Si può senza
dubbio affermare che l’uso dell’espressione biblica
«una pietra rigettata dai costruttori» abbia significato
analogo; ma i molti esempi di questa definizione nel
Vecchio Testamento ci mostrano come essa possa
essere interpretata anche in altri modi. Qui invece

249
l’influenza neotestamentaria non può essere negata e
ciò non solo rende questi due rituali un caso unico, ma
testimonia probabilmente in favore della loro antichità.
Altre particolarità originalissime sono che nessun
Marchio viene scelto e che sulla pietra sono incise ben
diciassette lettere : S K O I S H A B W S T H K O T E
R. La Pena, il modo di ricevere il salario da una
finestra con la grata e gli attrezzi da lavoro hanno già le
loro spiegazioni odierne, ma nel riassunto che segue
del rituale appena svolto viene detto che il candidato
«ha trovato in una delle cave la Chiave di Volta, e ha
deliberatamente buttato via la propria Pietra». Anche
questa flagrante contraddizione di quanto affermato in
precedenza ci suggerisce che due diverse storie
tradizionali siano state mischiate; ma questa volta,
certamente, non per caso come può essere accaduto in
altri rituali che abbiamo già considerato.
Possiamo pertanto comprendere meglio le successive
parole del maestro venerabile: «la Chiave di Volta fu
trovata negli scarti e successivamente applicata all’uso
che per essa era previsto; di quale fosse non possiamo

250
informarvi ora, occorre che avanziate ancora nella
Massoneria per farvelo conoscere».
Come si vede, tutto ciò che abbiamo trovato nei rituali
precedenti riguardo a un rito dell’Arco viene in questo
caso taciuto; forse perché, nei giorni in cui questo
rituale fu concepito, ciò che riguardava l’Arco era già
diventato parte di un grado superiore il cui contenuto
non sarebbe stato conveniente anticipare. Un breve
approfondimento potrà aiutarci a chiarire questo
piccolo mistero. Come abbiamo già accennato, nei
primi anni dell’Ottocento massoni irlandesi o logge
militari comunicarono ai fratelli del Lancashire un
certo numero di antient degrees irlandesi disposti in
scala. Il più importante era la Red Cross of Daniel, o
Babylonian Pass; il quale secondo Crossle non era un
unico grado, bensì un sistema che includeva Ark, Mark
Fellow (ovvero il Marchio in grado di Compagno),
Link (detto anche Wrestle), Babylonian and Jordan
Pass e Royal Order (o Prussian Blue).
Ora, in Irlanda il blocco di gradi della Red Cross
veniva considerato parte del sistema dell’Arco Reale, e
fu senz’altro in questa veste che venne presentato e

251
introdotto in Lancashire e Yorkshire. La tradizione
persisteva in alcune parti di queste regioni e di qui la
bizzarra presenza del collegamento tra la sequenza del
sogno del re di Babilonia e i riti del Marchio.
Le cose cominciarono a cambiare solo quando i gradi
irlandesi furono riordinati dopo il 1810 e quando
intorno al 1820 la generalità delle logge inglesi
cominciò pigramente e tardivamente ad adattarsi agli
effetti dell’accordo tra Antients e Moderns; allora
l’antica usanza di collegare il Marchio tanto con l’Arco
Reale quanto con la Red Cross cominciò a perdere
terreno. Nel 1825, anche l’Early Grand Encampment di
Sunderland – pur non direttamente toccato dalla
riforma - presenta già tre rituali separati per l’Operaio
del Marchio, il Maestro del Marchio e la Red Cross of
Babylon.
La maggior parte delle componenti precedentemente
collegate andarono disperse, ma in Lancashire e
Yorkshire, e forse in altre parti del nord-est, gli antichi
costumi furono preservati e la strana combinazione
continuò ad essere praticata. C’è un’altra prova che

252
dimostra la correttezza della nostra interpretazione, ed
è quella che andremo a esaminare ora.
Negli anni Cinquanta, Norman Rogers attirò
l’attenzione su una rimanenza di antico rituale del
Marchio conservata in un vecchio manoscritto ritrovato
a York. Si sapeva che era appartenuto a David
Moncrieff, un massone del Lancashire scomparso nel
1834 il cui nome è legato tra l’altro al ritrovamento del
manoscritto Graham. Nelle sue carte fu trovato anche
un brevetto dell’Arco Reale, datato 1803 e rilasciato a
Blackburn dalla Loggia n° 310 degli Antients (ancora
oggi esistente come Loggia n° 226 a Littleborough,
dove si spostò nel 1845).
Il rituale di questo manoscritto fu certamente praticato
fino al 1834 e probabilmente oltre, perché ricorda
molto il CP che abbiamo esaminato sopra. La sua
peculiarità più interessante è un catechismo che ci
conferma come le forme CP, BL e DR possano essere
versioni tardive di qualcosa composto molto prima:
«Come foste preparato ad essere un Operaio del
Marchio?

253
«Ero uno dei Prigionieri di Giuda, e legato mani e piedi
fui mandato dinnanzi al Re Nebucadnetsar, perché egli
aveva avuto un sogno.
«Come riusciste a conoscere il suo sogno e fornirgli
l’interpretazione?
«Pregai il Dio dei Cieli di rivelarmi il segreto, cosa che
egli fece in una Visione Notturna, e lo feci sapere al
Re. Per questo egli mi separò dai miei compagni e mi
mandò da Fatna, Governatore di questa riva del Fiume,
e di lì a Gerusalemme, per prestare la mia promessa di
Operaio del Marchio.
«Quale fu la vostra promessa?
«Preservare i segreti del Marchio da chiunque non sia
trovato degno di riceverli».
Naturalmente, ci rimane la curiosità di sapere cosa
accadde al rituale irlandese originario dopo che fu
privato di tutti i collegamenti agli altri gradi. Per
rispondere a questa domanda, abbiamo a disposizione
un rituale degli anni cinquanta dell’Ottocento, il quale
riporta un Marchio irlandese riformato in modo tale da

254
avvicinarsi molto alla forma praticata in Scozia e in
Inghilterra a quei tempi.
L’apertura è dopo il 3°, e rispetto al rituale di oggi
lascia che il secondo diacono aggiunga ai propri doveri
anche quello di preparare e introdurre i candidati, e il
primo diacono abbia quello di ricevere e condurre i
candidati.
I sovraintendenti descrivono il loro posto come
«davanti ai cancelli sud-ovest-est», e il primo
sorvegliante termina la sua risposta con la frase «e
vedere che nessuno se ne vada insoddisfatto».
Inoltre, quando la loggia è dichiarata aperta i
sovraintendenti si pongono indosso «Collari rossi con
una Squadra appesa». Non si può che notare come
questo riecheggi l’usanza Antient di fare indossare
sciarpe rosse agli ufficiali di un capitolo e in effetti i
più antichi capitoli del Derbyshire e Devonshire usano
ancora oggi tali sciarpe per alcuni dei loro ufficiali:
significa che il lavoro sul punto di essere eseguito è
qualcosa che può essere collegato al sistema dell’Arco
Reale.

255
Al candidato viene chiesto di togliersi giacca, colletto e
cravatta e di arrotolarsi le maniche, ma non viene
vestito di alcun grembiule. Il secondo diacono gli dà
una Chiave di Volta da reggere, mentre egli stesso
porta una pietra rettangolare; ma il primo diacono che
li segue entrando non ha alcuna pietra.
Il fatto che i sovraintendenti siedano come nel rituale
Minerva ci fa suppor¬re che essi venissero toccati sulla
spalla da dietro. Il sovraintendente dice «Mo¬strate il
vostro lavoro»; quello del secondo diacono viene
approvato dal mae¬stro sovraintendente e depositato
sul tavolo del secondo sovraintendente.
Il maestro sovraintendente è poi dubbioso riguardo alla
Chiave di Volta e prorompe nella seguente
osservazione: «Fratello Primo Sovraintendente, questo
non è il suo lavoro [del Candidato]. Lo ha trovato nelle
cave e adottato come se fosse suo».
Chiama poi a sé entrambi i sovraintendenti e li
rimprovera: «Avete sbagliato entrambi», poi chiede
loro: «Cosa ne dobbiamo fare?» Decidono poi che la
Chiave di Volta sia scartata (non buttandola, bensì

256
passandola sopra la spalla destra del primo
sovraintendente).
L’episodio dei salari è uguale a quello descritto in
precedenza, con il secondo sorvegliante ora in veste di
esecutore, e quando il Venerabilissimo Maestro («Very
Worshipful Master»: un tipico tratto irlandese)
comprende che nessun insegnamento su come ricevere
il salario era stato fornito al candidato in precedenza, la
pena viene condonata.
Il primo sorvegliante osserva poi che manca la Chiave
di Volta «per il completamento dell’Arco principale» e
il venerabilissimo rammenta che era stata preparata
«dal nostro Gran Maestro Hiram Abif».
Segue la solita inchiesta. Il candidato ripresenta la
pietra e il cappellano di loggia declama il versetto «la
pietra che i costruttori avevano rifiutato…».
Quando il venerabilissimo dichiara che il candidato
deve ritirarsi per essere ammesso come maestro del
Marchio, sorge il sospetto che questo rituale potesse
essere preceduto da uno di operaio del Marchio;
sospetto di cui a breve avremo la conferma.

257
Il candidato rientra con una fune stretta quattro volte
intorno al corpo e di lui viene detto che è «passato
attraverso tutti i gradi dell’Antica Massoneria Azzurra
[Ancient Craft Masonry] e cerca ora fraternamente un
avanzamento». I colpi di Cesello sul lato sinistro del
petto sono quattro di numero e il cappellano prega il
grande sovraintendente dell’universo di concedergli «il
Marchio della divina approvazione, e finalmente di
essere avanzato a un posto onorevole nel Tempio
Eterno».
Il candidato viene tegolato nei tre gradi e, per
ottemperare a quella che era l’antica usanza dei
compagni, viene invitato a scegliersi «un Marchio fatto
di 3, 5, 7 o qualsiasi numero dispari di linee, o punti
collegati insieme»; cosa che fa recandosi al tavolo del
registro.
Non solo troviamo qui già messo in atto il rituale del
Marchio attuale, ma possiamo renderci conto di quante
antiche usanze siano in esso conservate e ripresentate.
Per esempio, dopo aver spiegato al candidato come un
maestro del Marchio riceve il salario, la risposta del
primo diacono alla domanda del primo sorvegliante su

258
chi gli presenti è: «Un leale Operaio del Marchio che
ha lavorato bene e fedelmente per sei giorni o meno».
La nozione di una cerimonia in due parti è di nuovo
con noi ed è ulteriormente confermata quando più
avanti, nel dare i segni, quello di operaio del Marchio e
quello di maestro del Marchio sono distinti; inoltre,
mentre il candidato si reca a prestare giuramento con
due passi lunghi e due corti, gli viene detto: «Con
questo giuramento, sarete ancora più strettamente
legato a noi di quanto già non siate».
C’è un ultimo rituale di questo gruppo cui vogliamo
rapidamente accennare, ed è quello ancora oggi
praticato nel Marchio irlandese. Non ci permetteremo
assolutamente di commentarlo: ci limitiamo ad
elencare alcune peculiarità della tradizione del Marchio
tramandatasi in quella splendida isola.
I sovraintendenti siedono come nel rituale Minerva, e
le loro porte sono tra la loro schiena e un sorvegliante;
il maestro sovraintendente dà la schiena alla parete
nord. – Gli oboli sono raccolti dai diaconi all’Apertura.
– I sovraintendenti dichiarano che i loro posti sono
davanti a un cancello. – Solo due pietre vengono
259
esaminate, una cubica presentata del secondo diacono e
una Chiave di Volta presentata dal candidato. –
Quando i due si avvicinano al cancello di un
sovraintendente, bussano alla sua spalla destra. – Per
essere approvata, la pietra è passata sulla spalla di ogni
sovraintendente. – Dopo l’approvazione del maestro
sovraintendente, la pietra cubica è portata al tavolo del
secondo sovraintendente. – All’indagine del maestro
sovraintendente, il primo diacono risponde che il
candidato «ha trovato la Pietra e l’ha fatta sua». – Tutti
cercano la Chiave di Volta, ma è il candidato che la
colloca sul piedestallo del Venerabilissimo Maestro. –
Il candidato ottiene in cambio la possibilità di prestare
giuramento, segni e presa, e gli viene spiegato come
riscuotere il salario.
Il candidato è poi investito, riceve il solito Dovere e gli
viene reso onore nell’angolo di nord-est.
A questo punto, è chiaro che siamo arrivati molto
vicini al rituale del Marchio destinato a prevalere in
ogni altra parte della Gran Bretagna.
Certo, i cambiamenti che si erano prodotti in Irlanda e
l’influsso di pratiche germogliate al di là dell’Atlantico
260
ebbero un impatto significativo nel determinare il
rituale che oggi ai maestri del Marchio è familiare; ma
non è ancora tutto. In Scozia, nel nord e nell’ovest
dell’Inghilterra un’altra grande famiglia di rituali del
diciannovesimo secolo era destinata a esercitare la
massima influenza nel fissare la versione definitiva del
grado del Marchio, ed è quella che stiamo per
esaminare.

261
8. Rituali del Marchio scozzesi

Nell’annuario Scottish Freemason del 1895, un fratello


Thompson di Ayr fornì alcune interessanti
informazioni sulle più antiche forme di grado del
Marchio in quella terra e soprattutto elencò le quattro
«sezioni» del Marchio che erano esistite in Scozia
almeno a partire dal primo quarto del secolo. Esse
erano:
Fellow Craft Mark (per compagni d’arte); – Mark
Master (per i maestri); – Fugitive Mark (per i
compagni dell’Arco Reale); – Hint to a Wayfarer, o
Christian Mark (per i cavalieri templari).
È opportuno concentrarsi sui primi due di questi gradi,
che in forma pressoché identica figurano anche come
5° e 6° dell’attuale Early Grand Scottish Rite: la
versione… scozzese del Rito Scozzese. L’Early Grand
divenne operativo all’incirca nel 1810 e nella versione
originale comprendeva 41 gradi, dei quali il Fellow
Craft Mark era il 2° e il Mark Master il 3°.

262
Il Fellow Craft Mark veniva aperto in grado di
compagno e il reverendo maestro venerabile assumeva
la veste di maestro sovraintendente, mentre i
sorveglianti diventavano primo e secondo
sovraintendente. Il lavoro era quasi lo stesso di oggi,
salvo che i giri di loggia compiuti dal candidato erano
tre e il giuramento veniva praticato subito dopo il
ritrovamento della Chiave di Volta intagliata da Hiram.
Segno, toccamento e parole erano gli stessi di oggi, con
in più anche la spiegazione del cifrario e un catechismo
supplementare.
Del Mark Master, la versione Early Grand era detta
Marked Master (maestro marchiato) e si apriva dal
terzo grado, del quale gli ufficiali conservavano i ruoli.
Più breve del precedente, comprendeva una prova di
abilità del candidato nel raffigurare il suo Marchio,
esibire una pietra squadrata ben rifinita e dare prova
dei segni e dei toccamenti di un operaio del Marchio;
poi prestava il giuramento e ascoltava una Lettura. È
qui che troviamo qualcosa di notevolmente originale,
che ben configura questa famiglia di rituali.

263
La Lettura riferisce che quando Hiram Habif ottenne la
supervisione dei lavori della Chiave di Volta vi trovò
già impegnato nel ruolo di sovraintendente un parente
di re Salomone e fu quindi costretto ad assumere un
ruolo subordinato. Un giorno, mentre dirigeva il
posizionamento di una grossa pietra al culmine della
Porta Nord del perimetro del Tempio, la pietra
precipitò sul sovraintendente, il cui nome era Cavelum,
e lo uccise. Re Salomone fu tanto afflitto da questa
tragedia da disporre che la Porta Nord fosse murata per
sempre.
Questo evento, si continua, fu la causa involontaria
della morte di Hiram stesso, perché se la Porta Nord
fosse stata aperta quando egli fu aggredito dai tre
Malvagi Compagni, sicuramente sarebbe riuscito a
fuggire. È da notare che l’osservazione è applicabile
solo al rituale di terzo grado scozzese, nel quale i
malvagi si piazzano alle porte sud, ovest e est; non così
in Inghilterra e Irlanda, dove sono disposti a sud, nord
e est. È anche da osservare che sud, ovest e est sono nel
Marchio scozzese le posizioni dei tre sovraintendenti.

264
C’è altro di notevole. La pietra squadrata portata dal
candidato viene paragonata al piedestallo dell’Angelo
dalla Spada Fiammeggiante che espulse Adamo ed Eva
dal Paradiso, e alla superficie dell’altare usato da
Abramo quando voleva sacrificare a Dio suo figlio
Isacco. La pietra squadrata fu anche la pietra su cui
Giacobbe riposava quando ebbe il suo famoso sogno, e
finalmente divenne la Pietra Angolare dell’angolo
nord-est del Tempio, su cui Salomone ordinò venisse
incisa la Quarantasettesima Proposizione di Euclide.
Sopra, vi sono incise le lettere M J F T B W G J (May
Jeovah Finish This Building With Great Joy) ), mentre
dalla parte opposta sono incisi Sette Occhi.
Valgono anche qui appieno le considerazioni sulle
valenze operative dei rituali del Marchio cui abbiamo
accennato nel capitolo precedente.
L’affascinante esposizione continua con la leggenda
che, alla riedificazione del Tempio da parte di
Zorobabele, questa pietra non fu impiegata (una chiara
presa di posizione riguardo alla polemica sul ruolo del
Marchio nell’Arco Reale) e divenne la Pietra del Fato
(o del Destino) degli antichi re Celti, che ora è

265
collocata sotto il trono dell’incoronazione nell’Abbazia
di Westminster.
Le rimanenti due facce della Pietra portavano i
simboli del Marchio in grado di Compagno, uno dei
quali è le Linee Parallele con le lettere W S K al di
sopra di un T su una H ; l’altro aveva quattro frecce
direzionali, formate da figure triangolari ornate da
fregi.
Nel 1842, il Supremo Gran Capitolo di Scozia prese la
decisione di rilasciare le sue patenti anche a tre officine
che passavano sotto il nome di Logge del Maestro del
Trono (Chair Master Lodges). Ben due di queste ci
hanno lasciato copie del loro rituale in perfetto stato di
conservazione: sono la R:. L:. Kinross e la R:. L:.
Edinburgh Defensive Band.
Questo rituale è noto come The Mark of Chair
Master’s Degree ed era stato in precedenza praticato
nel Kinrosshire almeno dal 1790: è questa perlomeno
la data di una copia analoga recuperata intorno alla
metà dell’Otto¬cento da William Punshon, maestro del
Marchio di Newcastle. Va sottolineato che si tratta di
un lavoro ben diverso dagli altri praticati nel nord-est
266
dell’Inghilterra che abbiamo esaminato nel precedente
capitolo, ma era comunque praticato nella R:. L:.
Newcastle and Berwick, che si sarebbe mostrata
estremamente riluttante ad abbandonarlo quando
contribuì alla fondazione della Gran Loggia del
Marchio e dovette accettarne i rituali.
Il Chair of Master’s Degree presenta caratteristiche per
le quali possiamo definirlo un rituale intermedio tra
quelli del capitolo precedente e quelli che esamineremo
più oltre. Delle tre versioni in nostro possesso, il rituale
della Edimburgh Defensive Band presenta alcune
caratteristiche peculiari, ma in linea di massima la
concordanza è quasi totale.
Come nelle forme più antiche, non ci sono diaconi e
l’apertura viene condotta da maestro e sorveglianti;
malgrado in questa versione ci sia un solo grado, la
loggia viene aperta in grado di maestro del Marchio.
Significative le parole del secondo sorvegliante
all’apertura : «È conveniente osservare il Sole al suo
meridiano [letteralmente: at High Twelve] e in base ad
esso regolare l’ora¬rio della Loggia».

267
Il candidato viene ancora introdotto come compagno,
per quanto già «desideroso di reggere una Loggia di
Muratori Operativi»; e sebbene venga ammesso nel
tempio «sulla lama del Cesello», il maglietto viene
sollevato ma non applicato al suo corpo. Condotto dal
primo sorvegliante, viene poi tegolato, e quando il
maestro risconta «la mancanza di pratica del Marchio
operativo» gli viene detto che «siccome queste parti
dell’addestramento al grado di Compagno vengono
spesso omesse, noi ora ovvieremo a questa lacuna».
Il giuramento è simile a quello di maestro, con qualche
caratteristica distintiva. Avviene «nel nome del Dio
Onnipotente», e include la frase «[Giu¬ro] che, quando
reggerò una Loggia di Massoni Operativi o di Operai
del Marchio, come Sorvegliante pagherò i Salari dovuti
e come Maestro mi impegnerò a premiare il merito e
sopprimere ogni gelosia», con chiaro riferimento a
quella parte del simbolismo del Marchio che viene
sviluppata nel rituale di iniziazione.
La presa del maestro del Marchio è come quella
odierna e le parole che la accompagnano sono tratte da
Ezechiele 44: 5; molte informazioni vengono date al

268
neofita in forma cifrata. Una lunga Lettura completa il
rituale, e nella parte in cui si tratta della fabbrica del
Tempio di Salomone va notata la frase «3300
Sovraintendenti o Maestri del Marchio, che vengono
ora chiamati Maestri e Primo e Secondo Sorvegliante»:
è la prima timida rivendicazione della necessità di
trasformare la figura del sovraintendente in quella di un
ufficiale, circa un decennio prima dell’effettiva
istituzione di questo ruolo.
Ci viene detto pure che la Gran Loggia costituita nei
giorni della fabbrica del Tempio aveva «Salomone
come Gran Maestro, Hiram Abif come Primo
Sorvegliante e il nobile Adoniram come Secondo»;
questa ripartizione delle cariche così lontana dai
riferimenti simbolici odierni ci lascia intuire
l’an¬tichità del rituale. Ancora, che i sovraintendenti
erano provvisti di un Marchio di approvazione e di un
altro per la sistemazione delle pietre nella posizione
corretta, da cui si vede che le usanze operative cui
abbiamo accennato agli inizi della nostra storia
vengono ora utlilizzate per creare nuovi aspetti del
rituale. C’è anche la prima menzione di Marchi formati
da 3, 5, 7, 9 o 11 linee «congiunte insieme per creare
269
qualunque figura che gli piacesse, eccetto quella di un
Triangolo, che allude all’essenza trina di Dio». Questa
frase era destinata a durare.
Il secondo sorvegliante – ancora chiamato Secondo
Harod – è descritto come piazzato sul lato sud del
cancelletto del maestro del Marchio. Il castigo che egli
poteva infliggere era «un’antica punizione in uso
presso i Tiri e i Sidoni», altro dettaglio destinato a
durare, che ci rimanda alla muratoria delle gilde.
La Lettura introduce anche altre parti del rituale
attualmente in uso, descrivendo come era «dovere del
Maestro del Marchio provare ogni pietra non soltanto
dal suono ma anche dalla rifinitura, e controllare che
fosse fatta in esatto accordo con il Piano di
Costruzione, del quale ogni Maestro del Marchio era
provvisto: se la pietra era considerata idonea da ogni
punto di vista, riceveva il Marchio del Maestro ed era
inviata al Tempio; sennò, era scartata e gettata da un
precipizio tra gli scarti». Impariamo ora che il segno
del primo sovraintendente venne da due compagni
quando buttarono via una certa pietra, che è il soggetto
della seguente storia: ogni sei giorni, i maestri del

270
Marchio si incontravano con Hiram Abif per ricevere i
piani di lavoro. Uno di questi era sbagliato, ma un
ingegnoso compagno comprese al volo ciò che
intendeva raffigurare basandosi sul lavoro
precedentemente svolto, e tagliò la sua pietra come
pensava andasse fatto. Mise il suo Marchio su di essa,
ma ovviamente andava approvato con il Marchio di un
sovraintendente, e quando costui la esaminò basandosi
sul disegno la giudicò un lavoro malfatto e una perdita
di tempo. Come prosegue la Lettura:
«Così, il Compagno in luogo di onori ricevette
nient’altro che parole adirate e rimbrotti […], e nel suo
accesso d’ira, il Sovraintendente ordinò che la Pietra
fosse gettata nel precipizio; cosa che fu fatta da due
uomini probabilmente assai compiaciuti per
l’umiliazione della vanità del loro Compagno».
Qui abbiamo virtualmente le direzioni di base della
futura pratica rituale. Ci vengono anche riportate le
parole del lamento dello sfortunato compagno, che
sono quelle in uso ancora oggi.
Di più, si apprende che la pietra respinta era destinata
all’Arco Segreto di Salomone, e quando non si poté
271
trovarla «il Sovraintendente dei Costruttori mandò il
Sovraintendente dei Tagliatori nelle cave che avevano
ricevuto i piani e gli ordini per quella parte
dell’edificio» (le suddivisioni in uso presso gli
operativi sono qui in bell’evidenza). Ma non si trovava
ancora e Hiram Abif in persona «non solo ridisegnò il
piano e le istruzioni scritte riguardo a quella Pietra, che
voleva rifinita in un modo particolare, ma li consegnò
di persona al Sovraintendente dei Tagliatori».
Dopo il ritrovamento della pietra, il pover’uomo sarà
non solo rimproverato, ma addirittura rimpiazzato dal
compagno che l’aveva tagliata (in questa Lettura, non è
però lui a ritrovarla).
La Lettura (e il rituale) terminano con queste parole:
«Un tempo, a questo punto, il nuovo Maestro del
Marchio veniva invitato a incidere sulla pietra –
intorno al suo Marchio e all’esterno di esso – 8 lettere,
riguardo alle quali c’è oggi qualche dubbio, dovuto al
fatto che la tradizione non ci è stata consegnata nella
sua lingua originaria». Si pensa che questa citazione si
riferisca alle lettere H T W S S T K S e che esse

272
venissero riprodotte non solo in ebraico, ma anche in
lettere samaritane.
Dopodiché la pietra «veniva trasportata al Tempio con
grande pompa e solennità, e quando era stata collocata
al suo posto» il nuovo maestro del Marchio, battendo le
mani e guardando verso l’alto, lanciava l’esclamazione
che ancora oggi è in uso.
Al tempo in cui questo tipo di lavoro fu usato per la
prima volta, molto di ciò che è stato menzionato era del
tutto nuovo. Tali aspetti del rituale del Marchio furono
continuati o furono adattati nelle altre «famiglie», e
dobbiamo ora accennare a come questo avvenne in altri
rituali scozzesi.
Abbiamo un rituale del Marchio del 1845 che fu
compilato da manoscritti più antichi per mano di
Hector Gairn, gran tesoriere del Supremo Gran
Capitolo di Scozia. Si tratta della primissima versione
del grado del Marchio adottato in questo corpo rituale,
sulla quale vedremo intervenire nel decimo capitolo
due importanti personaggi, i dottori Beveridge e Jones;
non solo, la sua importanza nella nostra storia è
ulteriormente accresciuta dal fatto che si tratta, con alto
273
grado di probabilità, della forma anticamente praticata
nella Inniskilling Dragoons.
Se questo è vero, c’è da stupirsi che ritroviamo varie
diversità dal rituale che Dunckerley imparò
probabilmente dalla stessa officina quasi un secolo
prima; d’altra parte, il rituale del 1845 è provvisto di
apertura e chiusura aggiornate, in sintonia con la
tendenza all’unificazione che imperava nel Marchio in
quegli anni, ed è quindi probabile che si tratti di
innovazioni, che non hanno tuttavia cancellato i tratti
più antichi.
Per esempio, non ci sono ancora i sovraintendenti:
venerabile e sorveglianti conducono l’intera cerimonia;
ancora, all’apertura il secondo sorvegliante dice «Per
osservare il Sole ad altezza dodici, mettere in guardia
gli impostori e castigarli».
Un conduttore si occupa del candidato, ma non ci sono
diaconi né pietre da presentare, e il Marchio non viene
scelto bensì semplicemente assegnato. L’enfasi sulla
tegolatura del candidato nei gradi precedenti, sul
giuramento, sull’ascolto di una lunga Lettura e la

274
solennità con cui i segreti vengono trasmessi sono
ancora le stesse dei rituali Dunckerley.
I tratti distintivi sono: – Il venerabile non chiede la
parola di passo al copritore interno. – Sottolineando
come le attuali logge di compagni non assegnino più
Marchi ai loro membri, il venerabile dichiara che
rimedierà a questa lacuna: «Andrete dal Primo
Sorvegliante, che vi insegnerà come disporre la mano
per ricevere il salario e vi darà un Marchio». Quando il
candidato l’ha ottenuto, lo porta al venerabile che gli
chiede: «Acconsentite che questo sia il vostro
Marchio?» Il candidato acconsente, fa tre giri della
loggia e avanza poi di quattro passi per prestare
giuramento. – Nel giuramento compaiono le parole:
«questa Loggia del Marchio all’obbedienza del […]
Capitolo dell’Arco Reale n° […], che nella mia qualità
di Maestro del Marchio riconoscerò per sempre come
Loggia Madre».
L’indissolubile legame tra Marchio e Arco Reale
esistente in Scozia è anche ribadito in una
raffigurazione della Chiave di Volta inserita
nell’opu¬scolo, che è ottagonale (l’opuscolo, tra

275
l’altro, contiene dopo il Marchio il grado dell’Arco
Reale di Excellent Master). È solo al giorno d’oggi,
dopo un secolo e mezzo di evoluzione separata dei due
rami, che queste interdipendenze possono apparire
strane o sorprendenti; per i massoni di allora, erano
parti dell’evoluzione armonica di un processo comune.
La Inniskilling Dragoons introdusse questa forma di
Marchio a York, ma c’erano anche altre varianti
praticate a Bolton (Lancashire centrale). Ognuno dei
quattro testi che abbiamo a disposizione per questo
rituale ha le sue peculiarità e, copiando ancora una
volta il metodo adottato da Cryer, le indicheremo con
sigle riferite ai loro titoli: Old Bolton (OB), Brockbank
(BK), Entwistle (EN) e St. John (SJ).
Gli ufficiali includono un sostituto maestro venerabile,
un conduttore, un copritore interno (che viene chiamato
cronometrista, Timekeeper) e un cappellano (BK e
EN).
La loggia viene aperta prima in 3° e poi come loggia
del Marchio; in quest’ultima occasione, il maestro
venerabile domanda l’attenzione e l’assistenza dei
fratelli.
276
In OB, il primo sorvegliante (in BK, EN e SJ i diaconi)
avvicinano tutti i presenti e chiedono loro la parola e la
presa di passo, prima di riferire al venerabile che sono
tutti maestri del Marchio.
In OB, solo i sovraintendenti vengono tegolati con la
richiesta delle loro posizioni e dei loro doveri e la
loggia è aperta «nel Nome dell’Altissimo Dio». In BK
e SJ tutti gli ufficiali vengono tegolati facendo loro
dichiarare il loro posto, in modo assai interessante:
«Cronometrista: [Il mio posto è] presso il Cancello dei
Lavoratori […] per ammettere gli Operai del Marchio
alla prova, per far passare i Lavoratori ed eseguire gli
ordini del Secondo Sorvegliante.
«Diaconi: Nel Sud [o Ovest], all’obbedienza [within
hail] del Secondo [Primo] Sorvegliante […] per portare
messaggi […], o altrove dove egli può dirigermi.
«Conduttore: All’Est, all’obbedienza del Maestro
Venerabile, per trasmettere tutti i suoi comandi ai suoi
Ufficiali, preparare i candidati per l’avanzamento e
condurli ai Sovraintendenti per l’esame.

277
«Secondo Sorvegliante: Come il sole a mezzogiorno
nel suo meridiano, del quale è la gloria del giorno, così
sta il Secondo Sorvegliante [continua secondo il rituale
odierno]».
È a questo punto che una notevole variazione va
menzionata: la sistemazione degli ufficiali all’apertura
è con il maestro sovraintendente collocato alla sinistra
del maestro venerabile e il conduttore alla sua destra.
Gli altri sovraintendenti e i diaconi siedono pure
rispettivamente alla sinistra e alla destra dei loro
sorveglianti. Come vedremo presto, è solo al momento
del¬l’esame che i sovraintendenti prendono posto sotto
e dinnanzi ai sorveglianti e al maestro venerabile,
dopodiché fanno ritorno ai loro posti originali, con le
spalle al muro.
È assai curioso il modo in cui questa famiglia di rituali
ha «fotografato» il momento in cui la figura del
sovraintendente venne creata.
Infine, i rituali BK e SJ hanno la seguente preghiera,
prima che la loggia sia aperta in forma dovuta e
conveniente (con la batteria di colpi attuale):

278
«Riconosciamo la nostra dipendenza dall’Onnipotente
Architetto e Gran Sovraintendente dell’Universo. O
Creatore Misericordioso [Most bountiful Creator], Ti
riconosciamo come nostro Dio, ci inchiniamo al Tuo
cospetto come al nostro Re, Ti invochiamo e
chiamiamo come nostro aiuto in tutte le prove e
difficoltà. A Te va ascritto ogni bene che possediamo,
a Te guardiamo per ogni bene a venire, a Te dirigiamo
le nostre umili petizioni, scongiurandoti anche di
proteggere la nostra Regina, la nostra Patria e i nostri
Fratelli ovunque siano dispersi sulla faccia della Terra
e delle Acque. Consenti che, in conformità con il
lavoro dell’Ordine, noi si possa continuare a confessare
la nostra Fede in Te, essere rafforzati nella Speranza e
stabiliti nella Carità verso il genere umano».
Nella prima parte del rito di iniziazione, il candidato
non veniva preparato in alcun modo, e si presentava
abbigliato da maestro massone; per l’esame, giacche e
colletti venivano rimossi, le maniche della camicia
arrotolate fino ai gomiti e i calzoni fino al ginocchio, e
gli veniva fatto indossare un lungo grembiule di pelle
«come quello di un normale scalpellino operativo».

279
In OB, il primo diacono svolge le funzioni di
conduttore, mentre negli altri rituali c’è un fratello
espressamente nominato per questo ufficio. La
tegolatura è limitata alle normali cognizioni di un
maestro in OB, cui si aggiunge un giro della loggia in
SJ e tre giri in BK e EN.
Di qui in avanti, OB e SJ seguono pressoché
esattamente il rituale odierno fino al giuramento, salvo
che in luogo della menzione dell’operaio del Marchio
viene citato un compagno, e che il Marchio scelto sotto
la guida del primo sorvegliante doveva ancora avere 3,
5, 7, 9 o 11 linee, benché il triangolo fosse ora già
definito «il Marchio di approvazione del Maestro del
Marchio».
In tutti e quattro i rituali, queste regole erano ancora
sottolineate come una parte degli insegnamenti del
grado di compagno andata perduta. In particolare, BK e
EN includono a questo punto una lunga allocuzione del
maestro venerabile, molto simile all’attuale Lettura,
che include questo paragrafo:

280
«È ancora oggi costume in certi luoghi, particolarmente
in Scozia, che al Compagno venga assegnato un
Marchio. Lo avevate ricevuto?»
Alla risposta negativa del candidato, il venerabile
riprende: «Allora sarà mio piacere fornirvi di un tale
Marchio», motivando tale decisione con la lode
dell’«Ordine, Armonia e Regolarità che il rituale
originario manteneva», e concludeva con una frase in
cui possiamo scorgere una critica, sebbene velata e
indiretta, alla pratica del grado di compagno in
versione moderna: «In senso morale, questo grado
implica – o dovrebbe implicare – un’interessante
allusione al grande giorno nel quale il lavoro di ogni
uomo sarà vagliato, e quello che non si accorda con la
squadra del Santo Lavoro di Dio sarà rigettato e
scartato: in quanto indegno del Grande Tempio
superiore, nel quale può essere ammesso soltanto ciò
che è giusto, perfetto e sincero».
Il giuramento non viene prestato a questo punto in BK,
mentre in OB e SJ il candidato viene introdotto agli
stessi passaggi dell’odierno rituale.

281
In preparazione dell’esame che segue, i sovraintendenti
muovono i loro scranni più avanti di quelli che fino a
quel momento erano stati i cancelli (analoga pratica
viene osservata ancora oggi nel rituale Minerva). Solo
in OB, quando la Chiave di Volta viene portata
all’esame il candidato fa quattro passi scivolati
nell’avvicinarsi a ogni sovraintendente.
In SJ vengono utilizzate per l’esame solo due pietre;
BK e EN seguono già il metodo attuale di presentare
tre pietre da parte di tre persone ugualmente abbigliate.
Il dialogo è quello attuale, salvo che i sovraintendenti
si riferiscono alla parola di passo per il cancello ovest
(o est), e in KS il primo sovraintendente definisce la
Chiave di Volta «completamente diversa, per forma ed
esecuzione, da qualunque altra sia mai stata sottoposta
al mio esame». In BK e EN, quando il maestro
sovraintendente dice al candidato «Lasciatemi il vostro
lavoro e mettetevi da parte», si alza e batte un colpo di
piede sul pavimento per convocare gli altri
sovraintendenti.
Infine, dopo che la pietra del candidato non ha superato
l’esame, riscontriamo modalità diverse nei quattro

282
rituali circa il modo in cui deve essere buttata via, e in
tutti e quattro i sovraintendenti ritornano a questo
punto alle precedenti posizioni. Dove BK e EN hanno
le usuali parole riguardo a «un’ulteriore dimostrazione
della vostra abilità», questa frase manca in SJ, e OB
riprende il rituale Dawson nel quale il venerabile
chiede al candidato di mostrare ai fratelli «come
procederebbe per trasformare una Pietra grezza in una
Pietra rifinita».
Poi i fratelli si portano rumorosamente al centro della
loggia, e va in scena la solita rappresentazione del
pagamento del salario. In OB vanno in processione tre
a tre, negli altri rituali come oggi. In BK e EN, il
secondo sorvegliante imbraccia un’ascia o una pesante
spada, e si raccomanda che il seggio del primo
sorvegliante sia munito di un cancelletto, chiaro segno
che nelle forme rituali precedenti questo accessorio
non era in uso.
In OB il candidato, avendo ricevuto una seconda
possibilità dal maestro venerabile, ritorna con una
pietra cubica che viene esaminata e accettata: questo in
aggiunta alla procedura usuale, senza alterare quindi la

283
successiva scoperta della mancanza della Chiave di
Volta ecc. È solo dopo il ritrovamento della Chiave di
Volta che si presta giuramento in BK e EN, preceduto
da nove passi.
Soltanto in EN ritroviamo un altro importante tratto: la
prova di carità, con il copritore che reca un messaggio
in cui si chiede al candidato di aiutare un fratello
caduto in povertà. Il candidato dichiara di non poterlo
aiutare perché suppone di non avere denaro e rimane
poi confuso quando scopre di avere in tasca uno
scellino.
È ora il momento del disvelamento dei segreti, svolto
in OB, da parte del primo sorvegliante anziché dal
venerabile. In BK ci sono un paio di tratti interessanti:
il primo è l’invito a soccorrere un fratello in difficoltà
«con almeno il valore di un mezzo siclo ebraico
d’argento, circa uno scellino in moneta inglese»,
singolare variazione del consueto rapporto 1/1½
espresso in altri lavori. Il secondo è l’informazione che
in Scozia e in America «la Parola del Grado viene
considerata sinonimo di Compagno del Marchio» (e
viene tradotta quindi al singolare anziché al plurale).

284
Questa parte del nostro lavoro non sarebbe completa se
non tenessimo conto di tre ulteriori caratteristiche:
1 – In BK e SJ c’è un’estesa Lettura del maestro
venerabile dopo il conferimento dei segreti. In essa
viene narrata la storia della Chiave di Volta sostituita e
copiata, dopodiché si rammenta al candidato che il
grado a lui concesso è all’obbedienza del Supremo
Gran Capitolo di Scozia e lo si diffida dal frequentare
logge del Marchio irregolari.
2 – In nessuno dei rituali c’è menzione di alcun tipo di
grembiule, mentre viene dettagliatamente descritto il
gioiello.
3 – In OB, BK e SJ il dovere del candidato è assai
vicino a quello odierno, ma termina in due modi
diversi: in OB, il venerabile conclude spiegando che «il
piazzamento della Chiave di Volta sull’Arco sarà
lasciato a un ulteriore avanzamento della sua
conoscenza massonica» – tema oggi familiare –,
mentre in BK e SJ, dopo le parole tuttora in uso
riguardo alla pietra che possiede qualità sconosciute, ci
si riallaccia ai rituali di Bath, con una breve digressione

285
sulla collocazione della Chiave di Volta in termini
simili a quelli in uso nell’Arco Reale.
Come abbiamo attratto l’attenzione sull’emergere
progressivo del rituale odierno, abbiamo notato che ci
sono anche momenti lontani dal Marchio di oggi. Per
colmare questa distanza dobbiamo guardare a un
ulteriore gruppo di rituali: i cosiddetti rituali Fuller, dai
quali gli odierni furono tratti direttamente.
I rituali Fuller possono essere divisi in due sottogruppi:
brevi e lunghi. Era un Fuller breve, originario del
Capitolo di Aberdeen, il rituale adottato dalla Loggia
del Marchio Bon Accord quando sarà fondata a Londra
nel 1851; in esso (come pure nell’altro breve in uso a
York) i sovraintendenti non compaiono di persona, ma
vengono soltanto citati dal primo sorvegliante nel
Catechismo.
L’adozione di un Fuller da parte della Bon Accord –
un’officina dalla quale, come vedremo, sorgerà la Gran
Loggia del Marchio – ci dà la misura dell’influenza di
questa famiglia di rituali nella formulazione definitiva
del grado.

286
L’apertura è esattamente come oggi, salvo che non
vengono poste domande ai Sovraintendenti e
l’invocazione è al Grande Geometra dell’Uni¬verso. Il
Candidato entra con il suo grembiule dell’Arco Reale,
il cui angolo destro è stato piegato all’insù, e viene
ancora annunciato come un compagno in cerca di
avanzamento.
La parola di passo non viene data al maestro
venerabile, ma al copritore interno all’atto dell’entrata.
La preghiera cominciava come quella in grado di
compagno, ma la seconda parte era uguale a un’altra
oggi usata per le consacrazioni.
Dopo l’affermazione del candidato di essere un
maestro del Marchio, il venerabile fa la seguente
dichiarazione:
«Poiché il grado di Maestro del Marchio non è
riconosciuto dal Supremo Gran Capitolo dei Massoni
dell’Arco Reale in Inghilterra (sebbene sia considerato
uno dei passi principali verso la Massoneria dell’Arco
Reale in Scozia), per prevenire la violazione delle
Costituzioni del Supremo Gran Capitolo dell’Arco
Reale d’Inghilterra, i Regolamenti della Loggia del
287
Marchio Bon Accord di Londra decretano che nessuno
può essere iniziato ai segreti e ai misteri di questo
grado senza essere già un Compagno dell’Arco Reale.
Vi siete Voi conformato a questo alto onore?»
Per dimostrare di esservisi attenuto, il candidato fa
quattro giri della loggia dando il segno appropriato
ogni volta, dopodiché il venerabile gli dice che può
scegliersi un Marchio con l’assistenza del primo
sorvegliante, purché esso «abbia un numero di linee
dispari»; e perché sia adatto ad essere usato come
sigillo, il Marchio deve anche essere «una figura
piana» formata da linee «corte e curve, come vi sarà
mostrato nel Libro del Registro».
Anche qui abbiamo il segno manuale presentato come
tale; viene poi usata la frase «Un fedele Compagno che
ha lavorato bene e degnamente sei giorni o meno», e
nel giuramento il riferimento al dovere di chi entra in
una loggia di massoni operativi. Dopo quattro passi, il
commento che segue è tratto da 2° Cronache: 11-16.
C’è anche la prima menzione dei Canti e la lettura da
parte del cappellano di Ezechiele 44, omettendo il
versetto 4. I segreti sono esattamente gli stessi, ma
288
l’antica parola del grado viene data rovesciata e il suo
significato è detto essere compagni del Marchio.
I sorveglianti provano il candidato ed egli viene
solennemente investito con grembiule e gioiello dal
primo sorvegliante, mentre il venerabile fornisce altri
insegnamenti sul grado appena ottenuto, rammentando
al candidato che esso «sarà riconosciuto e registrato dal
Gran Maestro del Marchio del¬l’Universo».
Nella Lettura troviamo parecchio materiale sia di ieri
sia di oggi e il lavoro di analisi e separazione sarebbe
lungo e noioso; ne emerge comunque che le vecchie
spiegazioni degli attrezzi di lavoro sono state
definitivamente accantonate e sostituite con quelle
ispirate al simbolismo dei gradi azzurri.
Un’interessante caratteristica di questo rituale è che
prima della chiusura il venerabile chiede al primo
sorvegliante se i salari sono stati pagati; poco dopo i
fratelli si schierano, cantano l’inno del Marchio e
vanno a riscuotere il salario, salutando il venerabile al
passaggio e tornando ai loro posti. L’antica usanza
dell’inno risulta in questo modo armonicamente

289
innestata sulle procedure del rituale di chiusura
odierno.
Per concludere, non rimane che esaminare i Fuller
lunghi, i quali includevano anche la versione attuale
dell’esame dei sovraintendenti. Ne fanno parte il rituale
Pirie del 1850, che chiameremo PR, e il rituale della
R:. L:. Friendship, n° 16 alle Cave di Devonport,
all’obbedienza della Gran Loggia del Marchio, che è
senz’altro copiato da un manoscritto anteriore; lo
chiameremo FP.
Secondo G.W.E. Bridge, questi due rituali potrebbero
essere la struttura di base da cui la Gran Loggia del
Marchio elaborò la sua versione ufficiale, quella cioè
che è in uso ancora oggi.
L’apertura in entrambi i rituali è quella di oggi, salvo
che i sovraintendenti siedono nelle colonne: una
rimanenza dei giorni in cui non erano ancora ufficiali.
Nella scelta del Marchio con la guida del registro, al
candidato viene ancora detto che dovrà essere
composto di un numero di linee tra 3 e 11; in FP,
un’aggiunta posteriore annota che questa usanza è stata
abrogata dalla Gran Loggia del Marchio nel dicembre
290
1864. La marcia del candidato verso est per il
giuramento presenta già l’attuale numero di passi, e gli
veniva poi insegnato come presentare la mano per
ricevere il salario. Veniva preparato levandogli la
giacca, lasciandogli nude entrambe le braccia e
facendogli indossare un grembiule di cuoio. Al suo
rientro, trovava i sovraintendenti nella posizione del
rituale Minerva e – a differenza dei rituali scozzesi che
abbiamo sopra esaminato, nei quali solo un Diacono
presentava una pietra insieme a lui – questo rituale
prevede già finalmente la presentazione di tre pietre.
Dopo la rappresentazione dell’esame, i seggi dei
sovraintendenti vengono rimossi ed essi tornano al loro
posto nelle colonne.
I segreti vengono comunicati come oggi, salvo che in
FP è ancora presente il vecchio modo di presentare la
mano con il palmo in basso, per rivolgerlo poi verso
l’alto al di là del cancelletto. La parola è Kebroath
come nei vecchi rituali scozzesi, ma a parte ciò segni,
prese e le altre parole sono come oggi, con in più (in
FP) le già viste dita incrociate, o linee parallele.

291
Il candidato viene poi lungamente tegolato dal primo
sorvegliante sulle nozioni del grado di compagno, e
questa parte sembra rimpiazzare la vecchia usanza
dell’allocuzione del venerabile. Dopo che il
sorvegliante si dichiara soddisfatto della preparazione
del candidato, gli viene dato un grembiule normale e
un gioiello che reca le usuali otto lettere. La
spiegazione fornita riguardo alle lettere è quella
odierna; non si trova riscontro, perlomeno in questo
rituale, all’affermazione riportata in un libello scozzese
sul Marchio, secondo cui «a Londra si usa dire che le
ultime quattro lettere significhino Sent The Key
Stone».
La Lettura che seguiva è la stessa di oggi; la chiusura
veniva fatta senza inno e con il dialogo attuale.
Siamo ora sulla soglia dei rituali che sarebbero
diventati ufficiali nel successivo secolo e mezzo, fino
ai nostri giorni. Essi sono il prodotto di circa un secolo
di esperimenti nella consacrazione di operai del
Marchio e maestri del Marchio, dai quali la prassi più
efficace emerse spontaneamente.

292
9. Il Marchio nella clandestinità

È ora il momento di uscire dal segreto del Tempio e


riprendere la nostra storia di come la massoneria del
Marchio stava espandendosi nel mondo. Abbiamo già
visto che il grado – o i gradi – del Marchio erano
diffusi in tutte le Isole Britanniche e in Nord America.
Tutti coloro che aderivano a logge Antient, e anche una
parte dei Moderns, contavano sul fatto che, quando le
divergenze tra le loro Gran Logge sarebbero state
appianate, sarebbe stato ancora possibile praticare
liberamente tanto il Marchio quanto gli altri antient
degrees in seno all’ordine.
Il 27 dicembre 1813 questi fratelli ricevettero un regalo
di Natale piuttosto sgradito. L’articolo 2 del Protocollo
di Unione tra le due Gran Logge era più che esplicito:
«la Pura e Antica Massoneria consiste di tre gradi e
non di più». C’era anche una clausola in base alla quale
era consentito a logge e capitoli che lavoravano «coi
gradi degli Ordini Cavallereschi» di continuare come
prima, ma poiché il Marchio non rientrava in questa
293
definizione la Union segnò la fine repentina e inattesa
della sua regolarità, perlomeno secondo quelli che
erano i canoni appena fissati dalla neonata Gran Loggia
Unita d’Inghilterra.
D’altra parte, poiché l’accordo riconosceva il diritto
degli ordini cavallereschi a operare secondo il loro
concetto di tradizione, restava aperta la possibilità che
questi ultimi adottassero il Marchio come uno dei loro
gradi, o – meglio ancora – come requisito di
ammissione all’ordine stesso.
È in un contesto di questo genere che la maggior parte
dei rituali del Marchio da noi esaminati continuarono a
essere tramandati dopo il 1813. Infatti, dopo la Union,
quasi tutti gli ordini cavallereschi – sebbene fino ad
allora molto più grandi e potenti del Marchio –
avevano accusato il colpo della predominanza
saldamente ottenuta dall’Arco Reale ed erano stati
colpiti da una preoccupante crisi; quindi tutti furono
lieti di ampliare i propri sistemi di gradi per accogliere
il Marchio, che almeno fino al momento dell’anatema
era stato un grado in piena espansione.

294
C’è anche da dire che varie intese tra la Gran Loggia
Unita d’Inghilterra e le singole logge – non
necessariamente in accordo con la Union –
consentirono per brevi periodi a officine regolari di
continuare la pratica del Marchio; è questo un tema che
abbiamo escluso dal nostro resoconto in quanto
paurosamente noioso, nonché denso di insidie ed
eccezioni. Comunque, la clausola che concedeva alle
ex logge Antient di continuare a praticare il Marchio
per un certo periodo di tempo purché al di fuori dei
gradi azzurri fu ampiamente sfruttata da varie officine,
spiegando molte delle situazioni sorprendenti che
illustreremo nel presente capitolo; questo è alla fonte
del periodo di apparente tolleranza nei confronti degli
antient degrees che durò a lungo dopo il 1813, finché
negli anni Quaranta-Cinquanta si giunse al grande
redde rationem che fu all’ori¬gine della Gran Loggia
del Marchio.
Sembra molto probabile che la sopravvivenza del
Marchio a Redruth, in Cornovaglia, sia avvenuta sotto
l’ala protettrice del locale Encampment di cavalieri
templari. Il libro dei Marchi della Rispettabile Loggia
St. John of Jerusalem n° 8 all’Oriente di Redruth
295
mostra che numerosi fratelli venivano creati operai del
Marchio, avanzati al grado di maestro del Marchio e
forniti del loro Marchio personale fino al 1826. Come,
secondo l’uso inglese, i due gradi del Marchio non
erano un requisito necessario per l’Arco Reale, così
probabilmente non furono considerati obbligatori per il
grado di cavaliere templare: difatti risulta che, su 71
templari installati dal 1806 al 1826, soltanto 30 erano
anche maestri del Marchio. Quello che importa,
comunque, è che non solo il Marchio continuava ad
essere praticato, ma che probabilmente lo si lavorava
coi rituali Dunckerley; e non solo nella St. John, ma
molto probabilmente anche nell’altra officina che
dipendeva da quell’En¬cam¬pment, la Druids’ Lodge,
i cui verbali sono purtroppo andati perduti.
A Davenport, invece, la Rispettabile Loggia del
Marchio Friendship preferì secessionare dalla Gran
Loggia Unita d’Inghilterra e proseguire il proprio
cammino come loggia indipendente: questa scelta ebbe
un’eco positiva presso molti massoni del Marchio della
Cornovaglia, che si recavano a lavorare nella
Friendship anche a prezzo di considerevoli
spostamenti.
296
Estremamente interessante fu l’iniziativa di un gruppo
di membri della Friendship – capitanati dal fratello
John Rogers – di aggiornare l’usanza Antient delle
Travelling Lodges alla nuova situazione: fu creata cioè
una Squa¬dra del Marchio Itinerante (non una loggia),
che si recava a visitare le officine della Cornovaglia
dell’est conferendo i Marchi in terzo grado.
Sono giunti ai nostri giorni due certificati rilasciati
dalla squadra, uno a Callington e un altro – datato 1846
– a un fratello della Rispettabile Loggia St Martin
all’Oriente di Liskeard.
Quest’ultimo riporta: «Noi W:. C:. [Worshipful
Commander] e Primo e Secondo Sovraintendente della
sunnominata Loggia CERTIFICHIAMO che Edward
Lyne […] è stato avanzato all’onorevole grado di
Maestro del Marchio; e avendo ricevuto prove della
sua capacità sufficienti a qualificarlo come degno della
Ricompensa che in passato era largita a chi è diligente
nel lavoro, lo raccomandiamo fortemente a tutti i
Maestri Massoni del Marchio ovunque soffi il vento e
l’acqua scorra nel Globo abitabile».

297
È riportato il Marchio scelto – un’ancora e un cavo: lo
stile di Dunckerley è ancora riconoscibile – e i
principali ufficiali aggiungono alla firma W:. C:. O:.
(Worshipful Commander Overseer: venerabile capo
sovraintendente).
In tutto 20 fratelli ricevettero il Marchio dalla squadra
in questa sola loggia, e tra il marzo 1846 e l’ottobre
1847 ben sei tornate furono convocate a tale scopo, in
quattro delle quali il venerabile cedette il maglietto a
John Rogers.
Incontri di questo genere erano ovviamente in
contrasto con il famigerato articolo 2 della Union e, se
fino agli anni Trenta la Gran Loggia era stata più
tollerante, negli anni Quaranta aveva già cambiato
politica. Nel novembre 1847, quando 22 dei 36 membri
della St. Martin erano massoni del Marchio, l’officina
ricevette una lettera di ammonimento; da allora in poi
il grado non venne più conferito e il nome di John
Rogers non figura più nell’elenco dei visitatori. Anche
dalla R:. L:. Fortitude all’Oriente di Plymouth sono
giunti fino a noi vari passaporti (uno dei quali del
1838) attestanti che il Marchio vi era conosciuto e

298
praticato, sebbene non molto spesso. Non diciamo
questo per avallare la tesi che una loggia del Marchio
fosse annessa a quell’officina (ancora oggi esistente) e
nemmeno che lavorasse ogni tanto in tale grado; ci
limitiamo ad affermare sommessamente che a
Plymouth la nobile figura di Dunckerley non era stata
dimenticata e che l’avanzamento al Marchio era
rimasto una parte importante della tradizione
massonica locale.
Se ne tornò a parlare nel 1954, quando la Fortitude –
diventata nel frattempo una Loggia del Marchio -
richiese alla Gran Loggia lo status di Times
Immemorial; ma le fu negato, in quanto le vestigia di
una sporadica pratica del Marchio nel secolo
precedente non costituivano, secondo i criteri della
Gran Loggia, un requisito sufficiente.
Senza entrare nel merito, a noi basta la conferma che
un quarto di secolo dopo l’estromissione del Marchio
dall’ordine la sua pratica era ancora viva anche in
quella parte del sud-ovest.
A Sidmouth abbiamo un esempio singolare della
presenza del Marchio dopo il 1818. Nel 1883, un
299
massone di quella città – il fratello Passmore – trovò da
un antiquario una pietra curiosamente incisa, recante
tra le altre cose il numero d’ordine di una loggia
massonica. Poiché non era lo stesso numero della sua
officina (la R:. L:. Perseverance, n° 164 all’Oriente di
Sidmouth), Passmore non si sentì obbligato a fargliene
dono e tenne la pietra per sé; sette anni dopo, quando
fu inaugurata una nuova casa massonica, decise di
offrirla perché fosse messa in esposizione.
La Pietra di Sidmouth rimase in una teca per quasi
mezzo secolo senza che nessuno fosse riuscito a capire
cos’era: l’ipotesi che si trattasse di una pietra in uso del
Marchio era pressoché certa, ma mancavano le prove.
Nell’aprile 1935 fu richiesto allo storico della
massoneria T.H. Andrew di indagare sulla sua origine.
Il più corposo indizio nelle sue mani era il numero
riportato sulla pietra, 268, che però nel secolo
precedente aveva corrisposto a una loggia del Marchio
ben lontana da Sidmouth: la R:. L:. Lathom all’Oriente
di Southport, West Lancashire, e né a Sidmouth né a
Southport si conservava la minima memoria di rapporti
massonici intercorsi tra le due città.

300
Anziché andare fino a Southport per rovistare negli
archivi del luogo, Andrew decise di seguire la sua
intuizione e concentrarsi sul passato della
Perseverance; non limitandosi ai libri, esaminò
attentamente anche gli arredi più antichi del tempio di
Sidmouth, finché sotto il basamento di un candelabro
non trovò inciso – in caratteri piccolissimi – il numero
268!
Dopo questa scoperta, Andrew comprese che era il
caso di dar credito a un anziano fratello, il quale
ricordava vagamente di aver sentito dire in gioventù
che la Perseverance non era stata fondata a Sidmouth,
bensì a Devon. Si recò là, spulciò gli archivi e riuscì
infine a stabilire che l’originaria Loggia di Devon era
stata all’obbedienza della Atholl Lodge degli Antients,
passando poi alla Gran Loggia (non ancora Unita)
d’Inghilterra nel giugno 1813: questa officina, il cui
nome non è giunto fino a noi, era l’antenata della
Perseverance e aveva innalzato le colonne a East
Stonehouse con il numero 213. Nel 1818 si era spostata
a Devonport – località che abbiamo già avuto
occasione di citare per la sua importante tradizione nel
Marchio – dove aveva assunto il numero 268; nel 1824
301
era passata a Exmouth e finalmente nel 1829 a
Sidmouth, dove aveva dapprima assunto il numero 190
per passare al 164 nel 1863.
Se abbiamo dato un po’ i numeri, è solo per
sottolineare un concetto: che la pietra, sebbene in uso
nel Marchio, portava il numero di una loggia azzurra e
questa è un’ulteriore conferma della sua datazione tra il
1814 e il 1832, periodo nel quale, secondo le deroghe
alla Union, le logge azzurre di origine Antient erano
ancora autorizzate a praticare gli antient degrees.
Il Marchio che vi è sopra raffigurato è un Marchio
scozzese, il che concorda con l’ipotesi che sia stata
incisa a Devonport, città di mare (in quel periodo, la
loggia si riuniva alla taverna The Golden Marine Inn)
tra il 1818 e il 1824.
Infine, il fatto che i due Antichi rituali del Marchio di
Devonport da noi conosciuti (il Pirie e il Friendship)
risentano palesemente di una forte influenza scozzese è
la conferma della bontà della nostra analisi; pietre
simili a quella sono infatti in uso ancora oggi nel
Marchio scozzese.

302
A Bristol, abbiamo già accennato altrove alle poco
chiare vicende – difficili da decifrare proprio per
l’originalissima evoluzione che la massoneria ebbe in
quella città – che proprio nel 1813 portarono alla
costituzione di una loggia del Marchio, indipendente
tanto dalla massoneria azzurra quanto dall’ordine
cavalleresco locale. Quando l’attuale Loggia del
Marchio di Bristol, la Canynges, venne fondata nel
1857, fu approvata una risoluzione per cui «I Fratelli
della vecchia Loggia del Marchio di Bristol [sic]
sarebbero stati regolarmente avanzati [significa
probabilmente: riavanzati] ai diritti e alla posizione di
Maestro del Marchio» (che avevano occupato nella
loro loggia), e che «l’usuale tassa di avanzamento di
due sterline» nel loro caso non sarebbe stata richiesta;
dal che si può dedurre che al momento di confluire
nella Canynges i membri della vecchia loggia erano
ancora numerosi.
La stessa vitalità del Marchio la si riscontra anche a
Bath, dove i rituali Antiquity e Royal Cumberland
costituivano un patrimonio cui nessun accordo operato
sulle loro teste avrebbe indotto i massoni locali a
rinunciare. Come abbiamo già detto, il rituale
303
Antiquity veniva praticato nel locale Antiquity
Encampment dei cavalieri templari, mentre la Royal
Cumberland Lodge viene citata in un verbale di loggia
della Howe di Birmingham come «una delle più
rilevanti Logge del Marchio della Nazione».
Questo premesso, non stupisce che la Royal Sussex
Lodge di Bath sia stata istituita nel 1812 all’obbedienza
degli Antients: al punto in cui erano le trattative tra
Antients e Moderns in quell’anno, era infatti già chiaro
che le logge Antient sarebbero state dispensate – per un
periodo di tempo che era ancora oggetto di discussione
– dal conformarsi alla riforma dei tre gradi, e tra le
ragioni della loro scelta i massoni di Bath
annoverarono senza dubbio anche quella di poter
ancora praticare il Marchio in seno all’ordine.
Che questo poi sia stato effettivamente fatto, è provato
dalla dichiarazione di un massone di Bath, il fratello
Samuel Lazarus, che nel 1857 dichiarò alla Gran
Loggia del Marchio di aver ricevuto il Marchio alla
Royal Sussex nel 1823; perché, specificò, essa a quel
tempo praticava «tutti i gradi della Massoneria secondo
gli antichi costumi».

304
Tra il 1830 e il 1840, la Royal Sussex si «regolarizzò»
poco alla volta, conformandosi (pare proprio senza la
minima fretta) all’articolo 2 e fu quindi fisiologico che
negli anni Quaranta la pratica del grado regredisse a
Bath fin quasi a sparire; non del tutto però, se è vero
che nel 1857 c’erano ancora in città abbastanza maestri
del Marchio per costituire una nuova officina
all’obbedienza della Gran Loggia del Marchio.
Dall’altra parte del sudovest, nello Hampshire, il
Capitolo Friendship di Portsmouth (Arco Reale di
Dunckerley) continuò imperterrito ad accogliere fratelli
nel Marchio almeno fino al 1844; per essere più
precisi, conferì in quel periodo 76 Marchi. Ne assegnò
molti a militari o ufficiali di marina di passaggio, ma
alcuni anche a fratelli di indirizzo esoterico
appassionati degli antient degrees, che si
sottoponevano volentieri a una trasferta fino a
Portsmouth per ricevere il Marchio prima di procedere
oltre nell’Arco Reale, sebbene alla luce dei nuovi
statuti non fosse più necessario.
Dal 1844 al 1868 i libri di loggia sono andati perduti;
ma sebbene in quel periodo si fossero ormai create

305
molte possibilità di praticare il Marchio altrove,
abbiamo indizi che il flusso dei pretendenti sia
continuato come prima. Doveva essere senza dubbio
un’esperienza attraente ricevere il Marchio... da un
Capitolo all’obbedienza della Gran Loggia Unita
d’Inghilterra!
Comunque sia, quando nel 1847 una loggia del
Marchio (per il momento autonoma) fu ricostituita a
Portsmouth, quattro fratelli dichiararono al cospetto del
maestro venerabile di aver già ricevuto il grado «nella
vecchia Loggia del Marchio», e poiché tutti e quattro
ne avevano i requisiti «furono da subito autorizzati a
rivestire il rango di Past Master».
Nell’Isola di Wight, i membri delle logge militari
acquartierati alle Albany Barracks avevano
fraternizzato con la popolazione a un punto tale che,
nel 1822, la loggia locale si era data il nome di Albany
e si era gemellata con una loggia militare irlandese: la
R:. L:. Minden, n° 63 all’obbedienza della Gran Loggia
d’Irlanda.
Nel 1848 la Minden propiziò la nascita di una loggia
del Marchio collegata alla Albany. Il suo verbale di
306
costituzione, manoscritto in calligrafia fine su carta
governativa azzurrina e sgualcita, è datato 26 giugno
1848.
«Gli Ufficiali che presiedettero in questa occasione
operarono in accordo con un brevetto rilasciato dal
Garante della Loggia del Marchio collegata alla
Minden Lodge, i cui membri fraternamente ci
provvidero dei necessari Ornamenti, Abbigliamento e
Gioielli per il rito, come pure della pregevole Chiave di
Volta scolpita che è il vanto dei Fratelli del 20°
Reggimento».
Piuttosto insolito era l’elenco degli ufficiali: tre
sovraintendenti, un conduttore dei lavori, un siniscalco,
due attendenti, un primo gran sorvegliante, un
copritore interno (Warder) ed uno esterno (Outer
Guard); non erano considerati ufficiali i due diaconi,
chiamati Stewards.
Per quanto i sovraintendenti fossero già considerati i
principali ufficiali, il siniscalco sedeva a nord, il primo
e secondo Steward alla destra dei rispettivi
sovraintendenti, il Warder all’interno e l’Outer Guard
all’esterno del cancello.
307
La riunione venne aperta da un’allocuzione del maestro
sovraintendente, il quale espresse il convincimento che
«dalla fraternizzazione con i Fratelli della R:. L:.
Albany n° 176 verranno alle Logge delle Corone
Sorelle sostanziali e permanenti vantaggi, perché
mentre la 176 fornirà comodi quartieri e gradevole
sistemazione la 63 ricambierà avanzando a questo
onorevole grado quei membri della Albany desiderosi
di partecipare alla Luce che sgorga dall’Isola di
Smeraldo».
In quell’occasione, la Chiave di Volta donata dalla
Minden alla Albany era stata portata alla casa
massonica dai maestri del Marchio del 20° Reggimento
al suono delle cornamuse. Fu un momento di grande
gioia, ma il seguito della storia è triste.
La Albany, non volendosi appropriare di un oggetto di
tanto valore la restituì al Reggimento, che partì per
l’India per fronteggiare la rivolta dei Sepoy. Mentre si
trovava in prima linea il nemico sfondò in un punto
imprevisto; gran parte degli effettivi fu sterminata e i
quartieri furono devastati. La patente della loggia, i
gioielli e la Chiave di Volta furono parte del bottino.

308
I fratelli superstiti, accolti da altre logge militari,
giurarono che le colonne della Minden non sarebbero
state rialzate finché i suoi tesori non fossero stati
recuperati; ma tutti gli sforzi in questo senso furono
vani e l’officina fu assonnata definitivamente.
Circa mezzo secolo dopo, la Chiave di Volta fu
ritrovata in un remoto villaggio e amorevolmente
restaurata da un massone locale. Appresa la notizia del
ritrovamento, la Albany Mark fece formale richiesta
per riaverla, ma la Gran Loggia del Bengala rifiutò di
consegnarla; ne seguì un processo massonico che sancì
il torto della Albany, con la motivazione che i suoi
diritti sulla Chiave di Volta erano decaduti nel
momento della restituzione.
La Gran Loggia del Bengala destinò la Chiave di Volta
Minden a ornamento del suo tempio e sarebbe
interessante sapere se si trovi ancora là.
Tra i numerosi documenti della Albany giunti fino a
noi, il più prezioso è il cosiddetto Rotolo dei Massoni
del Marchio, consistente in sei grandi fogli di
pergamena recanti le firme di tutti i fratelli di loggia
nel momento in cui si scelsero il Marchio: dal 1848 al
309
1876 sono ben 276, dei quali 58 soldati provenienti da
20 diverse logge reggimentali e – quel che è più
interessante – 218 civili «appartenenti a ben 53 Logge
diverse, che approfittavano del loro transito a Wight o
erano qui espressamente accorsi per ricevere il grado
del Marchio».
Sul Rotolo è riportato anche un breve testo cifrato, dal
quale risulta che tutti i militari membri fondatori della
Albany Mark avevano ricevuto il Marchio all’estero,
perlopiù in Canada, a Gibilterra o a Malta; da questo e
altri analoghi documenti ottocenteschi possiamo
arguire come dal secolo precedente la situazione delle
logge militari non fosse cambiata di molto – erano
sempre una roccaforte degli antient degrees come ai
giorni di Dunckerley – e il loro incalcolabile apporto
alla conservazione delle più antiche tradizioni
massoniche del Regno Unito non sarà mai valutato
abbastanza.
Nell’esperienza della Albany Mark troviamo anche un
altro fattore che ai fini della sopravvivenza del Marchio
doveva rivelarsi determinante: ovvero che in Irlanda e
in Scozia era sempre stato parte di corpi massonici

310
indipendenti dall’ordine, sui quali l’interdizione sancita
dall’articolo 2 poteva riverberare soltanto effetti
indiretti.
Stupisce perciò che l’escamotage scelto dalla Albany
sia rimasto un caso unico, non adottato da alcuna altra
loggia inglese; e le ragioni vanno ricercate
probabilmente nel fatto che il Marchio irlandese –
rituale arcaico e, come abbiamo già considerato, su
molti punti ben lontano dal Marchio inglese – non era
mai stato molto benvisto in Inghilterra.
Anche per questo, c’erano buone ragioni di temere che,
per una loggia del Marchio inglese, il giorno di un
eventuale riaccoglimento del Marchio in se¬no alla
Gran Loggia (o anche della sua ricostituzione in ordine
autonomo, pos¬sibilità che con il trascorrere degli anni
andava via via delineandosi come sempre più
probabile) un precedente riconoscimento da parte della
Gran Loggia d’Irlanda avrebbe potuto costituire non
una referenza, ma un ostacolo.
Tuttavia, se si guarda all’esperienza della Albany
Mark, questi timori appaiono del tutto ingiustificati.
Non bisogna credere neppure che il riconoscimento
311
della Gran Loggia d’Irlanda abbia mai implicato un
rapporto di sudditanza, perché la stessa vitalità che la
Albany espresse fin dall’inizio col gran numero di
adesioni si manifestò anche più volte in colpi di coda
nei confronti dell’autorità garante, che vennero sempre
accolti con la massima tolleranza.
Già il 7 marzo 1850 la Albany palesò alla Gran Loggia
madre la sua risoluzione di «riconsiderare il proprio
rituale e gli abiti che i Fratelli devono portare»: era un
primo e palese tentativo di venire incontro al flusso di
fratelli provenienti dall’Inghilterra offrendo loro un
Marchio più vicino alla tradizione inglese, così come
l’adunata dei massoni del Marchio del 1853 venne
tenuta – all’inglese – nella Cava. Ma d’altra parte,
proprio il verbale di quell’adunata ci fa sapere che i
pittoreschi titoli irlandesi degli ufficiali erano ancora in
vigore.
Insomma, per dirla in breve, ai fratelli dell’Isola di
Smeraldo la Albany Mark dovette procurare dispiaceri,
ma anche consolazioni, perché l’affe¬zione dei suoi
membri diventò leggendaria (circolano tuttora, tra i
massoni di Wight, barzellette sulla Albany incentrate

312
sulle lagnanze delle mogli per le continue assenze dei
mariti), e ancora oggi nella principale casa massonica
dell’isola è fieramente conservato il suo splendido
quadro di loggia.
Vorremmo chiudere questo capitolo con una vicenda
che è, in un certo senso, il paradigma stesso della storia
del Marchio nella clandestinità: la storia della
irriducibile Loggia Viaggiante del Cheshire.
Quando i venti di pace avevano cominciato a soffiare
tra Antients e Moderns, l’officina si era
malinconicamente rassegnata a non aver più una guerra
da combattere e aveva preso dimora a Dukinfield con il
nome di East Cheshire Mark Lodge. Ma non aveva mai
abbandonato una certa tendenza al nomadismo e dopo
il 1813 decise che era venuto il momento di rimettersi
sulla strada.
Per quanto i suoi primi registri non siano mai stati
ritrovati, le tracce delle sue visite nei verbali delle
logge azzurre spaziano dal tardo Settecento fino alla
metà del secolo seguente. Le sue carte più antiche oggi
disponibili partono all’incirca dal 1830 e ci dicono che
negli anni Trenta almeno venti officine la ricevevano a
313
rotazione; è impossibile azzardare un conto anche solo
approssimativo delle migliaia di Marchi che essa
conferì nella sua storia.
I documenti degli anni Trenta ne confermano la natura
non solo di Loggia Viaggiante, ma anche di
associazione attiva in numerosi campi della vita
profana: in poche officine nella storia i membri
risultano legati tra loro da un sentimento di amicizia
così stretto e indissolubile, cementato altresì
dal¬l’idealismo massonico più elevato.
Una delle ragioni per cui la Loggia Viaggiante
sopravvisse tranquillamente alla tempesta della Union
fu che i suoi fondatori (e anche gran parte dei suoi
successivi membri) venivano massicciamente
dall’ambiente delle logge militari: si erano quindi
formati in un modello di massoneria poco legato agli
ordini e alle loro vicende, che rifuggiva dalle ambizioni
di carriera, e in seno al quale l’irregolarità formale di
un’officina non faceva paura se i fratelli si sentivano
regolari di fronte alla loro coscienze e ai loro cuori.
La tradizione più accreditata riguardo alla sua
fondazione narra di un ufficiale che aveva ricevuto il
314
Marchio in India e, al rientro in patria – nauseato dalle
dispute che affliggevano i due ordini principali – ebbe
una sorta di rivelazione riguardo al potere del Marchio,
nella sua qualità di rito semplice e antico, di accendere
l’affetto nei confronti della vera tradizione massonica.
Radunò allora intorno a sé fratelli dell’East Lancashire
e West Yorkshire che la pensavano come lui e in modo
del tutto spontaneo – senza nemmeno aver pianificato
di creare una loggia – questi incominciarono a spostarsi
per le logge azzurre delle due contee, offrendo il
Marchio a chiunque sembrasse loro esserne degno.
Una curiosa fonte di informazioni sull’attività della
Loggia Viaggiante viene dalle pietre tombali con
iscrizioni cifrate sotto le quali riposano alcuni dei suoi
membri. Una di queste è la già citata lapide nella
Chiesa parrocchiale di Ashton-under-Lyne in memoria
di John Postlethwaite, «che sostenne i più elevati
Ordini della Massoneria senza inorgoglirsi». Egli morì
nel febbraio 1819, «preservato dall’indigenza dalla
bontà dei suoi amici della 562», ovvero della Loggia
Minerva; d’altra parte, Postlethwaite non era stato
soltanto maestro venerabile della Minerva, ma anche

315
primo maestro della Loyalty Lodge di Mottram-in-
Longendale, entrambe facenti parte del circuito della
Loggia Viaggiante.
Ancora più notevole è la lapide di Thomas Brierley.
Questi era nato nelle vicinanze di Strines e aveva otto
fratelli, che si impiegarono tutti nelle stamperie
consacrate alla tintura e decorazione del cotone calico
ancora oggi esistenti in quell’area. Thomas venne
iniziato alla Loggia Benevolence di Marple nel 1821 –
tanto questa quanto la Union di Ashton, nella quale
ascese al capitolo, facevano parte del circuito – e lo
storico di Marple Joel Wainwright lo ricorda come
«assai dotto e avanzato nei misteri della Massoneria».
Morì nel 1854.
Chiunque dubiti della preminenza assoluta rivestita
dalla massoneria del Marchio e dal suo codice cifrato
in quel tempo e in quell’area dovrebbe anche
esaminare – nel cimitero di Mottram – le lapidi dei due
Wilde, padre e figlio, e quella assai curiosamente
scolpita di Azariah Ollerenshaw, un altro eminente
membro della Loggia Benevolence.

316
Il cifrario utilizzato per tutte queste pietre tombali
venne usato esclusivamente dalla Loggia Viaggiante,
nel periodo in cui si chiamò Sunday Mark Lodge. La
lapide di Ollerenshaw mostra le due colonne J e B
sostenenti un arco (elemento non menzionato in alcun
rituale della massoneria azzurra) la Chiave di Volta del
quale riporta la lettera G, e sull’arco c’è in cifrato
l’ammonimento «TAKE FAST HOLD OF
INSTRUCTION».
C’è di più: la Loggia Benevolence di Marple conserva,
oltre alla documentazione su Brierley, un delizioso
disegno a penna incorniciato, noto agli storici della
massoneria sotto il nome di Johnson Diagram. Al
centro sono scritti in miniatura, nel cifrato della
Travelling Lodge, gli interi capitoli 5 e 6 del Libro di
Esdra; lo scritto è fiancheggiato da numerosi simboli
ed emblemi massonici, collegabili al Marchio e ad altri
gradi.
C’è un arco dalla Chiave di Volta molto sottile e sotto
di esso l’occhio onniveggente: viene spontaneo
chiedersi se questa non sia un’altra forma del
diagramma d’istruzione che abbiamo visto raffigurato

317
sulla lapide Ollerenshaw, e questa ipotesi è rafforzata
dall’esistenza di un altro diagramma analogo: il
Pickford Diagram, datato 1838. La sua pregevole
esecuzione e la na¬tura dei contenuti lo rendevano
simile al Johnson Diagram, ma con una importante
differenza: era interamente dedicato al grado del
Marchio. Lo scritto era nel cifrato della Loggia
Viaggiante e il Marchio del maestro veniva raffigurato
mediante un simbolo – la Piramide – usato in quel
senso solo da loro.
Purtroppo è andato perduto. Possiamo contare oggi
soltanto su una sua descrizione scritta, che recita così:
«Nella parte alta di questo diagramma, che misura
undici pollici e tre quarti per quindici, sono dipinti
dodici emblemi massonici su due righe. Da sinistra a
destra nella prima riga ci sono: il Vascello, la Squadra
e Compasso, la Livella, il Filo a Piombo, il Regolo da
Ventiquattro pollici, il Compasso, il Goniometro con
un Sole Radiante nel centro. Da sinistra a destra nella
seconda riga: Cesello, Scure, Scala a Tre Gradini,
Clessidra, Ancora, Chiavi Incrociate.

318
«Sulla terza riga è riportata la data in Annus Domini e
Anno di Vera Luce; sulla quarta un’esposizione in
forma di diagramma di tre tipi di cifrario del Marchio,
spiegate poi nelle righe cinque, sei e sette. Le righe da
otto a undici, decrittate, riportano:
«JAMES PICKFORD LODGE OF INDUSTRY N°
465 GRAPES INN GEE CROSS CHESHIRE
DECEMBER TWENTY FIFTH 1838.
«Le lettere in uso nella Loggia Viaggiante sono date
nella riga dodici. La linea tredici riporta i numeri da 1 a
0, insieme alla raffigurazione delle chiavi delle camere
del quattro e del nove, che richiamano alla mente degli
spettatori certi arcani collegati nell’antichità al cifrario
del Marchio [purtroppo non abbiamo idea di ciò a cui il
compilatore intendeva alludere].
«La posizione centrale delle righe quattordici e
quindici è occupata dal Monogramma del Marchio
della Loggia Viaggiante».
Un terzo Diagramma, sfortunatamente mal conservato,
è quello donato alla Loggia Viaggiante dal fratello
John Ford, un membro della Loyalty residente a
Glossop, che ne firmò il retro omettendo purtroppo di
319
apporre la data. È uguale al Pickford nelle prime due
righe; il resto del foglio è quasi completamente
cancellato, ma da alcune macchie di colore si può
stabilire che la sistemazione dei testi e dei disegni era
diversa. La più probabile ragione per cui entrambi i
diagrammi si aprono con la sequenza dei 12 simboli è
che essi fossero i Marchi dei sovraintendenti delle 12
Tribù di Israele.
Il più antico passaporto della Loggia Viaggiante oggi
disponibile è datato 18 aprile 1849 ed è curioso perché
il suo titolare – Charles Britnor – non figura
appartenere a nessuna Loggia Azzurra prima del
settembre dello stesso anno, quando fu inziato alla
Loyalty; non solo, ma risulta approvato e rilasciato al
fratello solo molti anni dopo, precisamente tra il
gennaio e l’aprile del 1858. Cosa può significare?
Nel 1858 numerose logge del Marchio inglesi
all’obbedienza del Supremo Gran Capitolo dell’Arco
Reale di Scozia passarono sotto le bandiere della Gran
Loggia del Marchio. I segretari di alcune, per evitare
contestazioni riguardo alla regolarità dei Marchi
concessi in passato, senza dir nulla ai fratelli interessati

320
fecero figurare che tutti lo avevano ricevuto in quello
stesso anno, ovvero in data posteriore al
riconoscimento da parte della Gran Loggia.
Non è detto, ovviamente, che qualcosa del genere sia
accaduto alla Loyalty; ma poiché le voci relative a
queste presunte irregolarità erano corse per le officine,
i fratelli stavano in guardia, e non c’è niente di più
probabile che Britnor – trovando sul proprio certificato
la data del 18 aprile 1858 – abbia protestato e preteso
che vi fosse apposta la vera data del suo ricevimento
del Marchio; ma il segretario, poco propenso a rovinare
il costoso foglio di pergamena con un’antiestetica
correzione, si limitò a cancellare le ultime due cifre
della data, sostituendo 58 con 49. La morale della
favola è un’utilissima lezione per gli studiosi di storia
della massoneria: non date mai per scontato tutto
quello che trovate scritto.
Grazie alla Loggia Viaggiante, ben tre delle più antiche
officine attualmente all’obbedienza della Gran Loggia
del Marchio si trovano nell’area un tempo coperta dal
suo circuito. Sono le Rispettabili Logge Joppa e

321
Fidelity alle cave di Birkenhead e la Benevolent alle
cave di Stockport.
Nel suo secondo periodo di attività, la sua influenza è
riscontrabile anche nell’Inghilterra settentrionale: si
spinse fino a Oldham, dove un anonimo storico della
massoneria racconta dell’arrivo del suo rappresentante,
una certa domenica mattina del maggio 1838 (in
risposta all’occasionale invito da parte di una loggia
azzurra, la Friendship Lodge), con al seguito un cavallo
stracarico di grembiuli, gioielli e attrezzi.
La Loggia Viaggiante del Cheshire non è mai morta.
Cambiò cinque nomi nel corso della sua storia:
Travelling Mark Lodge, East Cheshire Mark Lodge,
Dukinfield Mark Lodge, Sunday Mark Lodge e oggi è
conosciuta come Ashton District Mark Lodge,
all’obbedienza della Gran Loggia del Marchio.
Come i venditori di collane del Kula Ring delle Isole
Trobriand (forse la più antica organizzazione iniziatica
ancora attiva ai nostri giorni, viaggiante anche quella),
i suoi membri sogliono dire (non si sa quanto
seriamente) che quando la Loggia Viaggiante avrà fine,
anche il mondo finirà.
322
10. La Bon Accord

La genesi della Gran Loggia del Marchio è


strettamente collegata alle vicende della sua loggia
madre: la Bon Accord alle cave di Londra.
Un inciso è necessario per spiegare come mai al giorno
d’oggi, nella numerazione ufficiale delle Logge del
Marchio la Bon Accord non figura con il numero 1.
Tale numero, infatti, è assegnato alla The Mark (che
troveremo più avanti), ufficialmente considerata loggia
madre, mentre la Bon Accord e la Old Kent godono
dello status di Times Immemorial: sono cioè al di fuori
della numerazione.
Times Immemorial dovrebbero essere le officine le cui
origini sono talmente antiche da non essere
precisamente individuabili: non è di certo il caso della
Bon Accord, come dal seguito della nostra storia
risulterà evidente. E allora?
La risposta è molto semplice: si trattò di un
compromesso politico, generato dal fatto che alla Gran
323
Loggia Unita d’Inghilterra faceva comodo avallare – e
affidare alla storia – la tesi che la nascita della Gran
loggia del Marchio sia stata un processo armonico,
un’automatica derivazione della pratica del Marchio
all’obbedienza del Supremo Gran Capitolo dell’Arco
Reale di Scozia. In questo capitolo e nei seguenti
vedremo che le cose non andarono esattamente così.
La verità è che la nascita della Bon Accord fu
propiziata e sostenuta da fratelli aventi come disegno la
riunificazione e la regolarizzazione del grado del
Marchio a livello nazionale; ma riguardo alle modalità
secondo cui tali obbiettivi dovevano essere perseguiti,
le opinioni erano diverse. Ne venne fuori una vicenda
travagliata e ricca di colpi di scena, per seguire la quale
dal principio dobbiamo trasferirci in Scozia.
Nell’agosto 1817, la Gran Loggia di Scozia – dopo
feroci battaglie – riconfermò la posizione resa nota per
la prima volta nel maggio 1800: che, d’ora innanzi,
avrebbe riconosciuto soltanto «i tre Gradi Azzurri della
Massoneria di San Giovanni». Con uno zelo
strettamente imparentato con l’iro¬nia, le insistenti
pressioni di Londra affinché gli antient degrees fossero

324
banditi dall’ordine erano state accolte e… superate:
anche l’Arco Reale era fuori. La grande
contrapposizione che divide ancora oggi il mondo
massonico – quella fra tradizione inglese e tradizione
scozzese/latina – era ufficialmente nata.
Invero, il proclama del 1817 andava ben oltre la mera
circoscrizione dell’ordine ai tre gradi: per esempio,
proibiva a ogni venerabile che fosse nel contempo
anche ufficiale di qualche higher degree l’accesso alla
Gran Loggia, e questa è senza dubbio l’umiliazione più
bruciante mai inflitta ai fedeli degli antichi gradi nel
Regno Unito, soprattutto se si considera che l’allora
gran maestro della Gran Loggia d’Inghilterra, il duca di
Sussex, era anche gran maestro dei cavalieri templari.
Per quanto si possa immaginare la depressione che
serpeggiava tra i maestri del Marchio scozzesi in
seguito a questa scelta, purtuttavia l’esclusione
dell’Arco Reale era per loro un motivo di
consolazione. Non solo perché mal comune mezzo
gaudio, ma perché la nuova situazione, che aveva
sorpreso un po’ tutti (se ne era parlato parecchio, ma
ben pochi avevano creduto che la Gran Loggia di

325
Scozia si sarebbe decisa a un passo così estremo, che
non si sapeva come sarebbe stato accolto da Londra e
portava con sé concreti rischi di rottura) imponeva ad
Arco e Marchio la scelta obbligata di unire le forze; le
quali in Scozia non erano certo da poco.
In quegli ultimi mesi del 1817, la maggioranza dei
corpi massonici (capitoli, Encampments templari e
logge) che praticavano il Marchio in Scozia erano già
irregolari, sebbene la prassi di lasciare alle officine un
periodo di tempo per adattarsi alle innovazioni più
inattese e traumatiche consentisse loro di continuare
per il momento a lavorare all’obbedienza della Gran
Loggia.
Non tutti, però, si trovavano nella stessa situazione. Ne
erano immuni, per esempio, i circa cinquanta
Encampments di templari scozzesi che si fregiavano di
patenti rilasciati dell’Early Grand Encampment
d’Irlanda: di questi, più o meno una ventina
praticavano abitualmente il Marchio.
In verità, le patenti a suo tempo concesse dall’Early
Grand Encampment a fratelli scozzesi erano in tutto
sessanta. Nove di queste erano state rilasciate in bianco
326
al gran segretario provinciale di Edimburgo in modo
che potessero essere prontamente utilizzate nel caso
della costituzione di nuovi Encampments scozzesi, e da
questi erano state trasmesse nel 1809 al nascituro
Royal Grand Conclave di Scozia, che vantava come
patrono nientemeno che il duca di Kent. Con simili
natali, inutile rilevare che il nuovo corpo rituale dei
templari scozzesi era stato tempestivamente
riconosciuto dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra ed
era cresciuto in fretta, per cui tutti e nove i Charters
irlandesi erano stati utilizzati.
Di conseguenza, nel 1817 nove Encampments del
Royal Conclave lavoravano anche all’obbedienza
dell’Early Grand Encampment e potevano quindi
praticare il Marchio (e anche altri gradi antichi) nella
regolarità.
Già da parecchi anni il gran maestro del Royal
Conclave, Alexander Deuchar, doveva essersi reso
conto dell’eccezionalità della situazione e delle
colossali prospettive di sviluppo che essa offriva in
futuro qualora a Londra il vento nei confronti degli
antient degrees fosse cambiato; infatti una sua

327
balaustra del 1810 recita «i nostri progetti non devono
limitarsi alla sola pratica dei gradi templari, ma
comprendere tutti i gradi superiori della Massoneria,
come l’Arco Reale, l’Ark Mason, il Mark Mason, il
Cavaliere di Malta eccetera; in conformità con questi
piani, mi sono premurato di contattare per lettera tutti i
Capitoli dell’Arco Reale, e di chiedere il loro
sostegno».
Nel 1818 il Royal Conclave costituì un comitato per
censire i corpi massonici scozzesi che rilasciavano
anche i gradi supplementari e stabilire un’autorità
comune cui tutti facessero capo. Il comitato incontrò
meno resistenze di quanto si potesse aspettare e nel
gennaio 1819 fu concordata questa interessante
soluzione: che il Supremo Gran Capitolo dell’Arco
Reale di Scozia avrebbe governato 1 – Master Past the
Chair, 2 – Excellent Master, 3 – Super Excellent
Master, 4 – Arch, 5 – Royal Arch, 6 – Mark Mason, 7
– Ark Mason, 8 – Link e Wrestle, 9 – Babylonian Pass,
detto anche Red Cross of Daniel, 10 – Jordan Pass, 11
– Royal Order, detto anche Prussian Blue, 12 – High
Priest.

328
Ci pare il caso di soffermarci brevemente su questa
lista. Intanto, è opportuno precisare che il poco noto
grado di Master Past the Chair non era altro che una
rimanenza – già obsoleta negli anni in cui la lista fu
compilata – del tempo in cui l’Arco Reale veniva
conferito solo ai maestri passati, e quindi – nel caso di
una carenza numerica di Past Master in una data zona –
si rendeva necessario un grado specifico per abilitare
ulteriori fratelli.
La generosa accettazione del Master Passed the Chair
in qualità di side degree dell’Arco Reale è un segnale
significativo di quanto la Gran Loggia d’Inghilterra
fosse stata di manica larga con quei templari
regolarizzati; e un altro segnale ancora più importante è
che lo schema utilizzato per compilare la lista era il
sistema massonico in uso a quei tempi negli
Encampments templari.
Sono tutti questi indizi da non sottovalutare –
cronologicamente tra i primi – della politica di
pacificazione posta gradualmente in atto dalla
massoneria «regolare» dopo la Union. In verità, la
regolarizzazione di un Arco Reale separato dall’ordine,

329
del Link, del Wrestle, della Red Cross of Daniel e del
Jordan Pass – gradi e sistemi al centro della polemica
tra Antients e Moderns solo pochi anni prima – era
davvero di più di quanto ci si possa aspettare
rileggendo la storia a posteriori (si noti tra l’altro che i
templari scozzesi non godevano dei privilegi concessi
dalla Union ai loro colleghi inglesi, quindi a maggior
ragione le divergenze in atto tra Inghilterra e Scozia
avrebbero potuto giustificare un trattamento ben
diverso).
E, d’altra parte, in seno al Supremo Gran Capitolo
dell’Arco Reale di Scozia nessuno di quei gradi è
sopravvissuto fino ai nostri giorni, mentre tutti esistono
ancora nella forma di side degrees del Marchio; c’è
davvero qualcosa di… darwiniano in questo destino,
che mostra come – al di là delle decisioni ufficiali – sia
sempre lo spirito con cui il grado è vissuto e trasmesso
a determinare la sua legittima collocazione.
A parte tutto ciò, abbiamo in quella lista il primo
riconoscimento ufficiale in seno alla massoneria
regolare dell’esistenza di un legame iniziatico tra Arco
Reale, Marchio e Ark Mariner; ovviamente avevamo

330
già incontrato legami del genere in Irlanda e altrove,
ma non all’obbedienza di corpi massonici riconosciuti
dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
Fu dunque nell’ambito del Supremo Gran Capitolo
dell’Arco Reale di Sco¬zia che il Marchio trovò la sua
prima legittimazione, non più di cinque anni dopo la
Union; evento che non sfuggì all’ansiosa attenzione dei
massoni inglesi del Marchio, in cerca di una soluzione
per praticarlo nella regolarità.
Già fin da allora ci fu chi vagheggiò di costituire in
Inghilterra logge del Marchio alla sua obbedienza, ma
la rottura consumatasi a livello rituale tra le due gran
logge nazionali non più di un anno prima aveva
abbassato a tal punto le quotazioni della massoneria
scozzese in Inghilterra da rendere attuabile tale
progetto soltanto in teoria. Perché qualcuno pensasse
davvero a metterlo in pratica, dovevano passare né più
né meno trentatre anni.
Se ne ricominciò a parlare seriamente verso il 1850,
quando il consolidamento della riforma del 1813 aveva
prodotto in Inghilterra due risultati opposti. Da un lato,
una maggior apertura della Gran Loggia Unita
331
d’Inghil¬terra verso gli antient degrees per quanto
concerneva il piano della riflessione teorica; dall’altro
un più severo controllo sulle pratiche delle singole
officine, ovvero tolleranza zero verso quella pratica
abusiva del Marchio di cui fino agli anni Trenta
abbiamo esaminato diversi casi.
È appunto nel 1850 che entra in scena l’uomo della
Provvidenza; anzi, due. Il primo, la cui parte nella
nostra storia è più breve di quella del secondo, era un
medico di Aberdeen, il dottor Robert Beveridge.
Nel 1850 c’erano solo due capitoli dell’Arco Reale ad
Aberdeen, uno dei quali – quello della Loggia Saint
George – era stato elevato a Gran Capitolo nel 1817. Il
dottor Beveridge aveva ricevuto il Marchio dalla Saint
George e il Past the Chair, l’Excellent Master e l’Arco
Reale dal Gran Capitolo; quando poi la Saint George
diede vita a un secondo capitolo, il Bon Accord
Chapter, lo ritroviamo tra i suoi fondatori e animatori.
Fu proprio lui a stilare un manuale di istruzioni che fu
consegnato ai primi Ufficiali del Bon Accord, nel quale
si può leggere: «il Capitolo lavorerà soltanto l’Arco
Reale[…]; gli altri gradi – Marchio, Past, Excellent,
332
eccetera – saranno conferiti in tornate di Loggia tenute
dal Capitolo. Per questo, sarà bene che il Capitolo dia
mandato a un suo membro di organizzare e dirigere
una Loggia del Marchio».
Come abbiamo già visto trattando delle peculiarità del
Marchio scozzese, queste logge create per
somministrarlo venivano aperte nell’ambito del
capitolo stesso e chiuse subito dopo. È però il caso di
notare che questa è la prima occasione in cui se ne
incontra una testimonianza scritta, e siamo già nel
1850. Questo significa forse che, al di là delle esigenze
organizzative che stanno alla base dell’usanza (legate
soprattutto alla riscossione delle capitazioni), essa
venne suggerita anche dalla volontà di presentare una
situazione impeccabile sul piano dei regolamenti agli
amanti del Marchio che – ogni anno più numerosi – si
recavano dall’Inghilterra in Scozia per farsi conferire il
grado in forma regolare.
Il dottor Beveridge era stato nominato Master of the
Mark Lodge, responsabile anche di stilare e conservare
i verbali delle sue tornate in un libro a parte; sarebbe
stato proprio lui (con l’aiuto del suo collega dottor

333
Walker-Arnott, futuro gran maestro aggiunto della
Gran Loggia di Scozia) a ottenere che la funzione di
Master of the Mark Lodge fosse messa a statuto dal
Supremo Gran Capitolo, facendola così diventare uno
dei tratti caratteristici del Marchio scozzese.
Inoltre, poiché pensava che i rituali di origine templare
a lui pervenuti recassero delle incongruenze con la
nuova collocazione del Marchio nell’Arco Reale,
Beveridge decise di dedicarsi alla loro revisione.
Aveva da poco cominciato questo lavoro quando
conobbe uno dei tanti massoni inglesi che si recavano
ad Aberdeen per ricevere il Marchio: il dottor William
Jones di Londra. È lui il secondo dei nostri uomini
della Provvidenza, e lo spessore del personaggio
richiede che si faccia una breve deviazione per parlare
di lui.
Le prime tracce lasciate dal dottor Jones negli annali
della massoneria si trovano nei verbali della
Rispettabile Loggia Fortitude and Old Cumberland, n°
12 (che gode oggi dello status di Times Immemorial e
come poche altre officine del mondo può vantare una
storia ricca e affascinante). Il 13 gennaio 1851
334
leggiamo che nel corso dei lavori di 2° grado il fratello
Jones «lasciò il seggio di Secondo Sorvegliante per
andare a parlare al Primo», e il maestro venerabile lo
riprese: «Fratello Jones, con la vostra conoscenza della
Massoneria dovreste essere consapevole che è
altamente improprio lasciare vuoto il Seggio di
Sorvegliante nel corso dei lavori». Jones si giustificò
dicendo di essere stato chiamato, e per il momento la
cosa finì lì.
Più tardi, il primo sorvegliante – il fratello Norton, che
era un caro amico di Jones – criticò l’uso della loggia
di invitare all’Agape dei musicisti che suonavano una
musica di sottofondo. Il segretario e il tesoriere
risposero che si trattava di un’antica consuetudine,
confutando mediante la citazione di vari precedenti
l’opinione di Jones e Norton che si trattasse di una
pratica irregolare; i due, però, interruppero
ripetutamente i loro interventi.
Richiamato all’ordine dal venerabile, il fratello Norton
si rifiutò di ritornare al suo posto. Gli venne allora
ricordato che, a norma di regolamento, se avesse

335
rifiutato di obbedire per altre due volte, avrebbe potuto
essere espulso dalla loggia.
A questo punto Norton «si sfilò il gioiello di Primo
Sorvegliante e lo scagliò al suolo», dopodiché uscì dal
tempio a grandi passi. Poco prima della fine dei lavori,
chiese di rientrare e fu riaccolto; presentò allora al
maestro venerabile le sue dimissioni, che vennero
accettate.
Il venerabile rivolse poi ai fratelli il seguente discorso:
«Mi sono reso conto che fin quando consentirò al
Fratello Jones di indulgere ai comportamenti irregolari
cui si abbandona da qualche tempo, i lavori di questa
Loggia perderanno il loro carattere massonico per
cadere nel caos. Ho anche ricevuto da lui una lettera,
scritta in un inammissibile tono dittatoriale, che
contiene accuse infondate circa la regolarità del nostro
modo di procedere; tutto questo non può essere
tollerato, e prendo quindi la risoluzione di rimuovere il
Fratello Jones dall’ufficio di Secondo Sorvegliante».
La risoluzione, messa ai voti, venne accettata. Il
fratello Jones si alzò e si portò all’Oriente per rimettere
nelle mani del venerabile le insegne del suo ufficio. Gli
336
disse: «Maestro Venerabile, sentirete ancora parlare di
me». Sarebbe stato espulso il successivo 12 febbraio.
Era quest’uomo di carattere passionale e iracondo che
ricevette il Marchio e il Past Master dal Capitolo Bon
Accord il 7 agosto di quello stesso anno. Quella stessa
serata fu presentato da comuni amici al dottor
Beveridge, completamente assorto nel suo lavoro di
revisione del Marchio scozzese.
I due medici fecero amicizia e Beveridge rimase
impressionato dalla grandissima competenza di Jones
nella storia del Marchio, che avrebbe potuto essergli di
non poco aiuto. Avendo a disposizione un periodo di
ferie decise di andare a trovarlo, e non più tardi di una
settimana dopo era a Londra, con la prospettiva di
soggiornarvi almeno un mesetto. Ogni giorno
trascorreva parecchie ore in compagnia di Jones,
lavorando con lui, e nei momenti di tempo libero
girava per Londra da solo, recandosi talvolta a visitare
qualche officina.
Quando si recò a una tornata della Emulation Lodge of
Improvement, non aveva certo in mente che la sua
visita avrebbe cambiato la storia del Marchio: il suo
337
proposito era di aggiornarsi sugli standard della
regolarità massonica inglese. Rimase quindi sbalordito
quando il distintivo del Marchio che portava
all’occhiello attirò l’attenzione di «parecchi eminenti
massoni di Londra», che lo accolsero con grande
entusiasmo e lo tempestarono di domande; prima che la
serata finisse, alcuni lo presero da parte e gli
manifestarono «un vivissimo desiderio di ricevere il
grado».
È di sicuro una bella coincidenza che uno degli
eminenti Massoni non fosse altri che il fratello Norton,
il fedele amico di Jones che abbiamo appena incontrato
alla Old Cumberland, e sorge spontaneo chiedersi se il
disegno di Jones di fare ancora parlare di sé non
c’entrasse qualcosa.
Comunque il mattino dopo Beveridge ci pensò sopra e
realizzò fino a che punto un’opportunità del genere
fosse da cogliere al volo. Mandò una lettera al Capitolo
Bon Accord di Aberdeen, chiedendo ai fratelli di
autorizzarlo a trasmettere il grado.
La risposta – involontariamente umoristica – fu
affermativa, «a condizione che non ci sia interferenza
338
con nessun altro Gran Capitolo o Loggia del Marchio
scozzese, né alcun altro corpo massonico regolare in
Inghilterra che sia autorizzato a trasmettere la
conoscenza del grado del Marchio».
Non solo, ma per maggiore sicurezza gli scrupolosi
fratelli di Aberdeen non gli concessero di conferire il
grado sulla spada, decidendo invece di formare una
commissione che si recasse a Londra con il mandato di
trasmetterlo, sì, ma solo in loggia e «dopo i dovuti
accertamenti».
Di conseguenza, il 25 agosto 1851, il Capitolo Bon
Accord si riunì in tornata straordinaria e diede mandato
al fratello William Jones – già a Londra – e «a tutti i
Fratelli che vi si vogliano recare» di assistere
Beveridge «nel trasmettere il grado del Marchio ai
Candidati Fratelli Evans, Spencer e Norton».
La commissione scozzese giunse a Londra il giorno
seguente, 26 agosto, da cui si può desumere che o la
data del 25 agosto sul verbale della tornata è uno
sbaglio, o la fretta di cogliere l’imperdibile occasione
era in realtà molto maggiore di quanto non risulti dai
documenti.
339
Che i membri della commissione fossero stati istruiti a
fare le cose in regola fino allo scrupolo, si vede anche
dal problema che si manifestò appena arrivati: poiché il
dottor Jones – che era aveva ricevuto il Marchio l’8
agosto – non disponeva ancora del passaporto di
maestro del Marchio, gli fu negato di partecipare
all’iniziazione.
Ora, nel gruppo di fratelli accozzato in fretta e furia a
Aberdeen, di maestri del Marchio ce n’era uno solo;
con Beveridge facevano due, e per poter aprire i lavori
in triangolo ne mancava uno.
Si misero in caccia. Pensarono dapprima a due maestri
del Marchio scozzesi residenti nella capitale, i fratelli
Ramage e Duthie, ma erano entrambi irreperibili.
Cominciarono allora le ricerche, estese tutte le logge di
Londra, se ci fossero per caso da qualche parte maestri
del Marchio; nel corso delle quali constatarono che il
grado del Marchio era conosciuto da molti, e alcuni
asserivano anche di averlo ricevuto, ma sottoposti a
tegolatura si rivelavano incapaci di dimostrarlo.
Possiamo solo ammirare lo scrupolo e l’attenzione
infusi dai membri del Capitolo Bon Accord nella loro
340
missione, se rischiarono addirittura di metterla a
repentaglio ricusando la collaborazione di maestri del
Marchio regolari, che molto probabilmente non erano
in grado di dimostrare la loro qualifica solo a causa
dell’anarchia organizzativa che era piombata sul
Marchio inglese dopo la Union. Ma d’altra parte,
sapevano di aver puntati addosso gli occhi di tutti,
inglesi e scozzesi, e che la minima irregolarità o
trascuratezza nel loro modo di procedere non sarebbe
stata perdonata.
Si erano già inimicati un Trentatre del Rito Scozzese
per non aver considerato valide le sue risposte alla
tegolatura e un fratello di Midland Counties che «aveva
risposto alla tegolatura di Marchio, Ark, Link e Chain»
(dimostrando cioè che maestro del Marchio lo era
davvero) ma non aveva il passaporto neanche lui, e
stavano dissetandosi in un pub – nel vano tentativo di
combattere l’afa londinese, cui non erano abituati –
quando la loro sconsolata conversazione fu udita per
caso da un altro avventore. Era un massone delle
Bermude in possesso di un passaporto di maestro del
Marchio rilasciatogli dal Capitolo n° 1 di Edimburgo:

341
fu reclutato immediatamente e grazie alla sua
partecipazione fu possibile aprire i lavori.
La sera stessa di quel 26 agosto furono creati maestri
del Marchio Evans, Spencer e Norton, e altri due
londinesi – i fratelli Absolon e Graves – che si erano
offerti all’ultimo momento. Includendo anche Jones, si
superavano di un’unità i sette fratelli considerati a quel
tempo necessari per la costituzione di una loggia
azzurra; e poiché le logge del Marchio erano ancora
reputate tali, quando Beveridge e la commissione
ripartirono da Londra si lasciarono alle spalle la
Rispettabile Loggia del Marchio Bon Accord alle Cave
di Londra, all’obbedienza del Supremo Gran Capitolo
di Scozia – una loggia del Marchio regolare, qualcosa
che la capitale inglese non aveva più conosciuto da
quasi quarant’anni.
Rientrati a Aberdeen, si occuparono per prima cosa di
procurare i documenti a Jones e di inoltrargli la
documentazione per la regolarizzazione della nuova
officina, che reca la data del 6 settembre 1851.
Quando le carte giunsero a Londra, i membri della
Loggia Bon Accord erano già alle prese con sette nuovi
342
fratelli che chiedevano di farsi iniziare. Lo stesso
giorno, i sei maestri londinesi rivolsero al Capitolo Bon
Accord di Aberdeen una petizione di ringraziamento,
che Jones recapitò di persona con un altro viaggio
massacrante per arrivare in tempo alla sua elevazione a
Excellent Master, fissata la sera seguente.
Tornato a Londra con gli ultimi documenti necessari, la
prima tornata ufficiale della Bon Accord ebbe luogo il
18 settembre, con l’assegnazione del Marchio ai sette
nuovi candidati.
Il dottor Beveridge, a dispetto del suo lavoro di
adattamento del rituale scozzese – che era stato dettato
più dal suo attivismo che da intima convinzione – non
aveva mai digerito la situazione di sudditanza all’Arco
Reale patita dal Marchio in Scozia. Così, ora che un
imprevedibile destino sembrava aver fatto di lui la
figura di riferimento del Marchio in Inghilterra, la sua
intenzione era quella di imprimere alla storia del grado
un impulso ben diverso; consapevole, del resto, che
non sarebbe stato possibile riprodurre a Londra
l’esperienza scozzese senza cozzare contro la Union e
che quindi il solo mezzo per prevenire reazioni ostili

343
dalla Gran Loggia Unita d’Inghilter¬ra era di rimarcare
con decisione l’indipendenza del Marchio da essa.
Vedremo presto quanto egli avesse ragione e quanto la
Bon Accord di Londra avrebbe avuto ogni interesse a
non allontanarsi da questo principio. Ma anche se non
lo immaginava, la sua parte nella nostra storia stava già
per finire.
Un suo resoconto sulla nascita della nuova loggia uscì
nell’«Aberdeen Masonic Reporter» quindici giorni
dopo. Rammentava con discrezione che «l’origine del
Marchio non va ricercata nell’Arco Reale bensì
nell’Ordine» e faceva altresì notare che – in base al
regolamento del Supremo Gran Capitolo di Scozia –
nessun altro capitolo che non fosse quello della Bon
Accord di Aberdeen avrebbe potuto cogliere
l’occasione di creare una loggia del Marchio a Londra:
questo infatti era stato possibile perché il suo
regolamento prevedeva (grazie a lui) la possibilità di
conferire il grado per mezzo di una loggia provvisoria,
mentre in base alle leggi del Supremo Gran Capitolo il
Marchio poteva essere conferito soltanto dai capitoli
stessi.

344
Per quanti in Scozia sapessero leggere tra le righe, un
ragionamento del genere era già quasi un programma
di secessione o, perlomeno, un invito a prendere in
considerazione un cambio di regole che consentisse
alla neonata Loggia Bon Accord di far proseliti in
Inghilterra; ma come avremo occasione di renderci
conto ben presto, ai posti di comando di quel
venerabile organismo le teste pensanti non dovevano
essere numerose.
Nel dicembre dello stesso anno, l’inconveniente
segnalato da Beveridge si manifestò realmente: un
gruppo di fratelli di Newcastle, venuti a conoscenza dei
fatti di Londra, presentarono richiesta al Supremo Gran
Capitolo di Scozia di un brevetto per costituire una
loggia del Marchio nella loro città e il Supremo Gran
Capitolo fu costretto dai propri regolamenti a rifiutare.
Avrebbero potuto dirottare la richiesta sul Capitolo
Bon Accord di Aberdeen, ma non lo fecero, segno che
con Beveridge le ostilità erano già aperte.
Questa prima scaramuccia è forse la meno
documentata della lunga guerra che avrebbe visto
contrapposti la Bon Accord (e poi la Gran Loggia del

345
Marchio) da una parte e il Supremo Gran Capitolo di
Scozia dall’altra; ma lasciò già segni profondi, come è
attestato da un articolo che Beveridge scrisse
sull’argomento molti anni dopo.
Rievocando i dissensi che seguirono immediatamente
alla costituzione della Bon Accord, l’articolo di
Beveridge dà ragione al Supremo Gran Capitolo su
alcuni punti minori – per esempio condanna la pretesa
della neonata officina di poter somministrare il grado
di maestro del Trono, cui abbiamo accennato
nell’ottavo capitolo, in quanto sebbene fosse
regolarmente associato al Marchio scozzese era in
realtà estraneo alla tradizione storica del grado –, ma
respinge ogni insinuazione circa la regolarità della
loggia da lui creata, affermando che la prassi di
costituire nuove officine mediante logge provvisorie è
da considerarsi tradizionalmente corretta, qualunque
potessero essere le opinioni del Supremo Gran
Capitolo a tale riguardo.
Che avesse ragione su questo punto non c’è dubbio, ma
c’è da restare perplessi sulle parole da lui usate in
chiusura dell’articolo: che «un corpo rituale massonico

346
che sia andato avanti indisturbato per un gran numero
di anni a somministrare un dato grado o più gradi
acquisisce una sorta di diritto prescrittivo a continuare
a farlo, non importa quanto irregolare possa essere
stata la sua procedura all’inizio».
In realtà è probabile, anche se possiamo soltanto
intuirlo, che l’errore di Beveridge sia stato di premere
troppo presto l’acceleratore in favore dell’autonomia
della Bon Accord – per quanto la sua impazienza fosse
in un certo senso più che comprensibile, avendo egli
sperimentato di persona quanto fosse propizio il
momento per riconquistare al Marchio gran parte della
massoneria inglese. Era ben chiaro ai suoi occhi quanto
fosse importante muoversi alla svelta, prima che la
Gran Loggia Unita d’Inghilterra si destasse dal suo
torpore e intervenisse nel processo; ma ad Edimburgo,
a quanto pareva, da questo orecchio non ci volevano
proprio sentire.
Malgrado tali dissapori, un aperto distacco della
Loggia Bon Accord dal Supremo Gran Capitolo per il
momento non avvenne: i massoni del Marchio
londinesi erano troppo consapevoli del fatto che il

347
principale asso nella manica della loro officina era la
sua condizione di regolarità.
Per questo i lavori della Bon Accord continuarono a
essere aperti all’obbe¬dienza del Supremo Gran
Capitolo dell’Arco Reale di Scozia, anche se di fatto il
dialogo con Aberdeen era già interrotto.
Nei primi mesi di sospensione dei contatti, Beveridge
si affannò nel tentativo di rimediare, cercando di
mantenere vivi i suoi contatti personali con Jones e
Norton; finché il silenzio che ne ebbe in risposta non
gli fece capire che la Bon Accord aveva deciso di
marciare da sola. Respinto dalla sua creatura, messo al
bando dal Supremo Gran Capitolo per le sue impennate
autonomiste, l’intelligente medico scozzese – la cui
memoria attende ancora il riconoscimento del ruolo, da
lui disinteressatamente svolto, per il rientro del
Marchio nella regolarità – si rassegnò a uscire
prematuramente di scena.
Per i primi due anni la Bon Accord lavorò a Portman
Square in casa di Jones, che ne fu il primo venerabile:
non c’erano convocazioni regolari e le date delle
riunioni venivano fissate in base a un fitto passaparola.
348
Lavorando secondo il rituale scozzese non c’erano
sovraintendenti, i fratelli (inclusi i maestri) venivano
detti compagni e c’erano altre importanti differenze
rispetto alla tradizione del Marchio inglese; la
consapevolezza di questi problemi andava crescendo in
loro poco a poco, mano a mano che venivano visitati
da vecchi maestri del Marchio inglesi o dai loro figli o
nipoti, che con mano tremante dall’emozione ponevano
nelle mani di Jones sgualcite copie di antichi
Catechismi e rituali.
Interessante è il verbale del 12 ottobre 1853, dal quale
emerge che Jones installò il suo successore – il fratello
Surly – sulla spada: tutti i fratelli salvo Jones e Surly
uscirono dalla stanza e l’installazione avvenne in
privato.
Notevole è che Surly fosse un Trentatre dell’AAR,
Antient and Accepted Rite: il Rito Scozzese inglese,
che – come ha osservato maliziosamente Alessandro
Cerioli – «non si autodefinisce scozzese per non farsi
ridere dietro dagli scozzesi veri». Subito dopo la sua
installazione, il verbale menziona l’ingresso in Loggia
di un nutrito numero di cavalieri Kadosh, che vennero

349
accompagnati all’Oriente con i debiti onori e che
presero la parola formulando interventi augurali.
Questo ci dice innanzitutto che alla generazione dei
fondatori andava già affiancandosene un’altra formata
da fratelli bene introdotti sul piano istituzionale, segno
che le future potenzialità di espansione del Marchio
cominciavano a essere colte. Ci dice anche ovviamente
che dal punto di vista formale la Bon Accord rispettava
ancora le convenzioni dello scozzesismo, anche se
possiamo immaginare con quale umore i maestri del
Marchio londinesi guardassero all’Oriente del loro
tempio stipato di Kadosh.
A dispetto delle importanti cose che stavano
accadendo, la Gran Loggia Unita d’Inghilterra avrebbe
continuato a disinteressarsi del Marchio, non fosse
stato per una lettera arrivata da lontano: era una
petizione indirizzatale nel 1853 da un gran numero di
logge canadesi, che domandavano se e come fosse
lecito praticarlo in seno all’ordine senza per questo
essere estromesse dalla regolarità.
La petizione rimase per il momento senza risposta, ma
la Gran Loggia non se la sentì di ignorarla del tutto.
350
Era, in effetti, la manifestazione fino ad allora più
clamorosa di una serie di fenomeni tesi a sottolineare
una ripresa generale degli antient degrees, sotto una
veste ben diversa da quella del secolo passato: non più
elementi perturbatori dell’unità operativa
dell’istitu¬zio¬ne, ma forme di sviluppo e
arricchimento dell’esperienza massonica, che
attiravano soprattutto i fratelli più sensibili e
acculturati.
Il 28 agosto 1855, il gran segretario fece richiesta al
Board of General Purposes – l’organo preposto a
gestire le strategie dell’istituzione – di un parere sulla
posizione da adottare riguardo al Marchio, pericoloso
elemento di perturbazione della massoneria canadese.
Il Board of General Purposes creò un comitato per
studiare il problema, in termini che potremmo definire
di un’ambiguità magistrale: «se il detto grado di
Massone del Marchio [sic] possa essere considerato
una parte dell’An¬tica Massoneria». Secondo lo spirito
di chi la interpretava, questa frase poteva essere un
sanguinoso insulto nei confronti della conclamata
antichità del grado o una strizzatina d’occhio che

351
avrebbe potuto implicare aperture inattese; ma in
qualunque modo la si volesse intendere, l’inges¬satura
del tono burocratico non riusciva a celare il vivo timore
che una buona percentuale dei turbolenti ma
ricchissimi massoni canadesi secessionasse di nuovo.
Prima ancora che il comitato avesse avuto modo di
rendersi conto di quanto il lavoro cui era chiamato
fosse urgente e necessario, un evento improvviso si
incaricò di schiarirgli le idee. Infatti, i vertici della
Gran Loggia fecero un bel salto sui loro scranni (e il
gran tesoriere cominciò seriamente a pensare al
suicidio) quando, il 10 novembre 1855, si videro
recapitare un Indirizzo solenne dalla Grand Lodge of
Ancient, Free and Accepted Masons of Canada: la
paventata secessione si era verificata ben prima del
previsto, portandosi via il fior fiore delle logge
dell’Ontario.
Ce n’era già abbastanza perché i lavori del comitato
assurgessero a tema centrale dell’attività della Gran
Loggia Unita d’Inghilterra per il 1856; ma altri eventi
più vicini avrebbero ben presto movimentato le sue
riunioni, coinvolgendone personalmente i membri e

352
trasformandolo – in modo del tutto inatteso – in un
attore importante nella genesi del Marchio
contemporaneo.
La crescita della Bon Accord – che nel 1855 contava
già 120 membri – era stata propiziata anche da un paio
di articoli nella «Freemasons’ Monthly Magazine», che
l’aveva correttamente presentata come «all’obbedienza
del Supremo Gran Capitolo dell’Arco Reale di
Scozia», quale era ancora la sua definizione formale.
Ma quegli articoli avevano sollevato la protesta di
alcuni massoni scozzesi – a conoscenza di come
stessero realmente le cose – che si erano rivolti al
giornale negando che la Bon Accord fosse affiliata al
Capitolo Bon Accord di Aberdeen e chiedendo
addirittura a Jones e ai suoi di dimostrarlo rendendo
pubblica la patente dell’officina.
È probabile che questo attacco non abbia turbato i
fratelli della Bon Accord più di tanto: ormai da quattro
anni si trascinava la loro equivoca posizione, e senza
dubbio erano stati sempre consapevoli che prima o poi
sarebbe arrivata la resa dei conti – alla quale oramai,

353
con 120 fratelli a piedilista, potevano permettersi di
guardare con una certa filosofia.
Nel maggio del 1855 la patente fu pubblicata e si seppe
allora che non era più stata rinnovata negli ultimi tre
anni. A giugno, il Supremo Gran Capitolo dell’Arco
Reale di Scozia precisò in una lettera al «Magazine»
che William Gaylor – uno dei massoni scozzesi che
avevano dato inizio alla polemica, contestando la
legittimità dell’affiliazione – era un membro influente
del suo Supremo Consiglio; naturalmente, questo
equivaleva per la Bon Accord a un avviso che, se non
avesse regolarizzato al più presto la sua posizione, il
disconoscimento – provvedimento estremo e
infamante, che qualsiasi corpo massonico evita di
infliggere se può – non avrebbe tuttavia tardato ad
arrivare.
Il tono generale della lettera, però, denotava anche un
certo grado di incertezza. In effetti, i lettori del
«Magazine» avevano tutte le ragioni di chiedersi come
mai gli scozzesi non avessero lavato i panni sporchi in
famiglia prima che il giornale rendesse la situazione di
dominio pubblico, e allo scopo di prevenire tali critiche

354
il Supremo Gran Capitolo aveva elencato una serie di
ragioni per cui, in base al suo regolamento,
l’affiliazione poteva essere considerata valida. Questo
attenuava di molto la conclamata severità della lettera,
lasciando anzi intendere che l’idea di perdere il suo
avamposto londinese non gli piacesse affatto, e
porgesse alla Bon Accord una mano tesa che era quasi
una supplica.
Questa presa di posizione moderata non piacque a
Gaylor, un ambizioso fratello che puntava al seggio di
gran principale del Supremo Gran Capitolo (e come
vedremo, sarebbe riuscito a ottenerlo qualche anno
dopo). Non erano passati quindici giorni che al
«Magazine» giunse un’altra sua lettera, i cui punti
principali erano i seguenti:
La Bon Accord «aveva applicato il Regolamento del
Supremo Gran Capitolo in un modo talmente libero che
loro stessi si dimostrano incapaci di giustificare le
proprie azioni mediante argomenti». Era vero che «i
Capitoli possono rilasciare il grado del Marchio, ma
non possono delegare tale privilegio a nessun altro

355
corpo massonico, né delegare i propri poteri in alcun
modo e a nessuno».
La Bon Accord avrebbe quindi fatto bene a «rimettere
immediatamente al Supremo Gran Consiglio la propria
patente di affiliazione […] per evitare la necessità di
ulteriori e più gravi misure».
La Bon Accord non rispose subito, anche perché in
quel momento era concentrata su una faccenda ben più
importante: l’installazione del suo nuovo maestro
venerabile, lord William Henry Leigh di Stoneleigh.
In quel maggio 1855 lord Leigh aveva da poco
compiuto i trent’anni. Creato massone cinque anni
prima alla Rispettabile Loggia Light all’Oriente di
Birmingham, a meno di un anno dall’iniziazione era
stato nominato gran maestro provinciale del
Warwickshire. A differenza di molti membri della
nobiltà che consideravano tali cariche nulla più di un
onore simbolico, si era buttato nel lavoro massonico
con entusiasmo e responsabilità, guadagnandosi in
breve tempo notevole stima. Elevato all’Arco Reale nel
1853, aveva ricevuto il Marchio dalla Bon Accord il 9
luglio dello stesso anno.
356
La scelta di un massone tanto eminente sul piano
sociale la dice lunga su quelle che erano ormai le
ambizioni della loggia londinese; e infatti sarebbe stato
proprio quel giovane nobile a guidarla nella delicata
fase che avrebbe dato vita alla Gran Loggia del
Marchio.
Assolti i doveri istituzionali, nel mese di agosto la Bon
Accord partì al contrattacco con una lettera di Jones al
«Magazine»: rigettava le accuse di irregolarità
valendosi di numerosi esempi tratti dalla storia del
Marchio e attribuiva la colpa di tutto alle divergenze
tra Edimburgo e Aberdeen nell’in¬ter¬pre¬tazione dei
loro stessi regolamenti. La tesi era un po’ traballante,
ma poteva contare sulla testimonianza di W.H.
Absolon, membro emerito del Supremo Gran Capitolo
che figurava anche tra i fondatori della Bon Accord.
Oltre a Absolon, un altro influente amico era John
Hervey, membro del comitato del Marchio creato dal
Board of General Purposes nonché storico del grado;
ammesso nella Bon Accord a giugno, Hervey si era
subito dichiarato ben deciso a far valere nello scontro
tutto il peso della Gran Loggia Unita d’Inghilterra.

357
Dopo Hervey, come vedremo, anche un altro membro
del comitato messo in piedi dal Board sarebbe entrato a
far parte della Bon Accord. Anche dettagli come
questo dicono parecchio su quanto la situazione fosse
cambiata: grazie alla scossa che aveva ricevuto dai
canadesi, la Gran Loggia Unita d’Inghilterra aveva
ormai accettato l’idea che una loggia del Marchio
regolare operasse apertamente a Londra e stava
riflettendo se e quanto fosse consigliabile togliere di
mano il controllo del grado agli intrusi del nord, per
poterlo gestire a modo proprio e senza sorprese.
La lettera di Jones aveva mirato apertamente a gettare
divisione e scompiglio nel campo nemico e i risultati
andarono oltre le sue speranze. Ne nacque infatti uno
scontro tra il Supremo Gran Capitolo e il Gran
Capitolo di Aberdeen, in seguito al quale il Supremo
Gran Capitolo commise un errore di sorprendente
ingenuità: a settembre, di sorpresa, ritirò al Gran
Capitolo di Aberdeen il proprio riconoscimento, con
l’accusa di aver promosso la costituzione di una loggia
irregolare.

358
Come risposta, il Gran Capitolo di Aberdeen aveva una
sola scelta: rimpallare l’accusa sul Capitolo Bon
Accord, intimandogli di assumersi le sue
responsabilità.
Possiamo immaginare con che spirito i fratelli del
Capitolo Bon Accord abbiano accolto l’ultimatum. Era
solo in virtù della loro intelligenza e passione che il
Supremo Gran Capitolo di Scozia poteva fregiarsi di
una loggia nella capitale, con tutto ciò che questo
poteva promettere; ma non solo aveva negato alla loro
creatura l’autonomia che le era necessaria, rendendosi
responsabile della rottura dei rapporti: adesso,
addirittura, li rimproverava per averla creata! Con
sdegno risposero di non aver nessun errore da
ammettere e il Gran Capitolo di Aberdeen – altra scelta
obbligata – li scomunicò a sua volta.
Gli altri capitoli di Scozia presero tutti posizione in
favore dell’uno o dell’altro contendente e lo scontro –
interamente generato da reazioni automatiche e
inevitabili, che non si riesce a comprendere come il
Supremo Gran Capitolo non avesse previsto –
raggiunse ben presto un’estensione che minacciava di

359
mandare in pezzi l’intera struttura scozzese dell’Arco
Reale.
Questo disastro ebbe l’effetto di spingere il Supremo
Gran Capitolo a più miti consigli. Gaylor e l’ala dei
falchi furono zittiti precipitosamente ed ebbe nuovo
fiato chi si chiedeva se davvero fosse tanto difficile
trovare un modo per dare alla Bon Accord londinese
uno status di regolarità.
Un comitato creato ad hoc elaborò una risoluzione per
cui i capitoli potevano promuovere l’innalzamento di
logge «volte ad assumere la sovraintendenza del grado
del Marchio» in territorio straniero; a condizione che
queste ultime riconoscessero l’autorità del Supremo
Gran Capitolo dell’Arco Reale di Scozia finché non
avessero «la possibilità di costituire un Supremo Gran
Capitolo nel loro Paese».
Questa risoluzione attingeva regolarità da precedenti
importanti: gran capitoli scozzesi avevano promosso la
nascita di organismi fratelli in Belgio e in Olanda e, se
nessuno aveva messo in dubbio la loro facoltà di
trasmettere tutti i gradi, questo valeva a maggior
ragione per il solo grado del Marchio. Era insomma
360
l’uovo di Colombo e c’è davvero da chiedersi per quale
strano impulso masochista il Supremo Gran Capitolo di
Scozia si sia deciso solo obtorto collo – e in gran
ritardo – a tutelare quelli che erano i suoi stessi
interessi.
Da questa svolta in poi, il suo sforzo per assumere il
controllo del Marchio in tutta l’Inghilterra diventerà
più aperto. Sebbene già in parte dilapidato, il suo
vantaggio sui sostenitori dell’autonomia del grado era
ancora tale che nessuno, in quegli anni, avrebbe
puntato sulla sua sconfitta: eppure, come vedremo,
ancora molti errori e molte goffaggini sarebbero stati
propiziati dai suoi eccessi di rigidità.
Una coda imprevista della vicenda fu che il Capitolo
Bon Accord di Aberdeen non si mostrò disposto a
perdonare le accuse infondate che si era sentito
rivolgere per tanti mesi; cosicché nel febbraio del 1856
scaricò definitivamente il Supremo Gran Capitolo,
deliberando di porsi all’obbedienza di un Encampment
templare.
Se avesse voluto completare la sua vendetta con una
beffa, non gli sarebbe costato nulla comunicare alla
361
Bon Accord di Londra che d’ora in avanti doveva
anch’essa considerarsi all’obbedienza templare; se solo
lo avesse fatto, il provvedimento convulsamente messo
a punto dal Supremo Gran Capitolo per regolarizzarla
sarebbe diventato carta straccia e la storia del Marchio
sarebbe stata diversa.
Un simile cambiamento non avrebbe gettato nessuna
ombra sulla regolarità della Bon Accord, se è vero che
ancora oggi la quasi totalità degli Encampments, pur
avendo rinunciato a praticare i gradi estranei alla loro
tradizione, ne detiene la successione e il diritto di
garantirli.
Ma forse non gli venne in mente, o forse non volle
infierire, o era disgustato dal trascinarsi di quella brutta
storia. Così, paradossalmente, la Bon Accord si ritrovò
solidamente garantita dal Supremo Gran Capitolo
dell’Arco Reale di Scozia proprio nel momento in cui
volentieri avrebbe cominciato a farne a meno.

362
11. La grande illusione

Il periodo del breve flirt tra la Bon Accord e la Gran


Loggia Unita d’Inghilterra è, per lo storico del
Marchio, uno dei più ambigui e di difficile
decifrazione. C’è una lacuna a priori: non è possibile
infatti sapere con certezza quanto e in che misura la
Gran Loggia avesse influito sulla nascita e lo sviluppo
dell’officina, dai primi approcci tra Beveridge e Jones
fino all’in¬stal¬lazione sul soglio di venerabile di lord
Leigh.
Con un po’ di immaginazione, sarebbe possibile
tracciare tra questi avvenimenti un fil rouge che indica
la volontà da parte della somma autorità massonica – o,
perlomeno, di una fazione importante in seno ad essa –
di avviare un cauto discorso di recupero degli antient
degrees per sanare le molte ferite che la Union aveva
lasciato aperte; ma se un piano del genere davvero
esistette, fallì miserevolmente e i fratelli che vi
avevano posto mano furono abbastanza prudenti da
fare in modo che non ne restasse traccia.
363
Se tutto questo fosse vero, la nascita della Gran Loggia
del Marchio andrebbe interpretata come una soluzione
di ripiego attuata precipitosamente quando fu chiaro
che il tentativo di far riaccogliere il Marchio
nell’ordine non poteva riuscire; è soprattutto il
comportamento di lord Leigh che lascia la porta aperta
a questi sospetti, come pure la constatazione che un
aristocratico del suo spessore non fece in definitiva un
buon affare mettendosi a capo della Gran Loggia del
Marchio, mentre restando nella Gran Loggia Unita
d’Inghilterra avrebbe potuto ambire a ben più alti
onori. Di qui il ragionevole dubbio che la sua missione,
quando assunse il venerabilato della Bon Accord, fosse
in realtà un’altra – quella di pilotare il rientro del
Marchio in seno all’ordine, o perlomeno di dare vita a
un Marchio intrattenente con l’ordine – dall’esterno o
dall’interno – un rapporto analogo a quello intavolato
con l’Arco Reale.
Col senno del poi, è troppo facile sentenziare che tutto
ciò era impossibile: negli anni Cinquanta
dell’Ottocento molti fratelli ci credevano, eccome. Non
dimentichiamo che erano ancora viventi molti di quelli
che avevano appassionatamente sostenuto la Union e
364
molti di quelli che altrettanto tenacemente l’avevano
combattuta. I primi si dividevano tra soddisfatti – che
avevano metabolizzato la concezione Modern della
massoneria fino al punto da non riuscire nemmeno a
concepire un’impostazione diversa – e insoddisfatti,
che avevano aderito alla concezione dei 3 gradi azzurri
+ Arco Reale nella speranza che valesse a far replicare
all’istituzione i grandi successi politici del secolo
precedente, ed erano rimasti delusi nel vedere che poco
o niente era accaduto; i secondi, come un secolo prima,
si annidavano ancora a migliaia nelle piccole logge di
campagna, e con immensa nostalgia continuavano a
pontificare alle nuove generazioni di massoni sui tesori
iniziatici che con gli antient degrees erano andati
perduti.
Negli otto mesi trascorsi dalla sua costituzione, il
comitato formato dalla Gran Loggia d’Inghilterra per
decidere sui destini del Marchio aveva lavorato con
grandissima alacrità. Oltre al già citato Hervey, un altro
dei suoi membri – John Symonds – era entrato nella
Bon Accord nel novembre 1855, e nel corso dello
stesso mese un terzo – William H. White – aveva
organizzato una gita all’Isola di Wight, dove alcuni del
365
comitato avevano partecipato a una tornata della
Albany e ricevuto il Marchio; altri ancora l’avevano
ricevuto da altre logge, facendosi un’idea chiara delle
difformità rituali ancora persistenti a livello locale.
Tanto la Gran Loggia quanto il Supremo Gran Capitolo
inglese dell’Arco Reale – che era ovviamente il più
probabile candidato a ereditare la gestione del Marchio
dal confratello scozzese qualora l’idea di reintrodurlo
nell’ordine in grado di compagno fosse stata scartata, e
si fosse invece deciso di riservarlo ai maestri –
seguivano i lavori del comitato da vicino e con grande
interesse, attendendo con impazienza che producesse il
suo rapporto conclusivo. Quando quest’ultimo fu reso
pubblico, era già stato visionato e approvato dal gran
maestro; venne letto per la prima volta il 1° febbraio
1856, alla convocazione trimestrale del Supremo Gran
Capitolo dell’Arco Reale d’Inghilterra: «Il Comitato,
[…] in relazione al Grado del Marchio – essendosi
congiuntamente impegnato in un’inchiesta e
investigazione sull’argomento a lui sottoposto (nella
misura concessa dalla circostanza che non tutti i suoi
membri sono stati ammessi a tale grado) – è giunto alla
seguente unanime risoluzione: […] che […] il
366
cosiddetto Grado di Massone del Marchio NON
costituisce una parte del Grado dell’Arco Reale, e che
NON è un grado della Massoneria Azzurra, costituendo
in realtà UNA GRAZIOSA FORMA DI
PERFEZIONAMENTO DEL GRADO DI
COMPAGNO. Ma è dell’opi¬nione che non ci sia
nulla di obiettabile contro tale grado, né nulla che militi
contro l’Universalità della Massoneria […], e CHE
POSSA ESSERE CONSIDERATO».
Questo verdetto era tanto inaspettatamente sintetico e
misurato nella formula da far supporre che il comitato,
a causa delle diverse opinioni dei suoi membri, si fosse
alfine rassegnato a lasciare irrisolte alcune delle
competenze che implicitamente gli erano state
attribuite, come quella di fornire alla Gran Loggia
un’indicazione chiara sulla politica da seguire nei
confronti del Marchio d’ora in poi; vero capolavoro di
ambiguità era la chiusa, «che possa essere
considerato», che poteva significare tutto e il contrario
di tutto.
Se non c’era niente di obbiettabile contro il Marchio,
cosa sarebbe stato delle numerose officine che tuttora

367
lo praticavano? Potevano regolarizzarsi? Dovevano
attendere la pubblicazione di un rituale del Marchio
unificato? O nulla era cambiato per loro?
Stupì molti che i membri della Bon Accord facenti
parte del comitato avessero rinunciato a far valere la
storia della loro loggia come testimonianza dello stretto
legame tra Marchio e Arco Reale. La sola spiegazione
possibile era che avessero trovato opposizione da parte
di fratelli contrari non solo alla reintroduzione diretta
del Marchio nell’ordine, ma anche alla possibilità di
una sua gestione indiretta tramite l’Arco Reale; forse
che gli avversari del Marchio in seno alla Gran Loggia
avevano fatto includere tra i membri del comitato tali
fratelli per stroncare alla radice ogni possibile
innovazione?
Un altro aspetto non solo irrisolto, ma più inestricabile
di prima era quale dovesse essere il rapporto futuro tra
Marchio e ordine: come poteva il Marchio non farne
parte ed essere allo stesso tempo un perfezionamento
del grado di compagno? Si era ai limiti della
contraddizione, e la delibera del comitato si guardava
bene dal fornire indicazioni su come risolverla; con

368
tutte le evidenze, anche a questo proposito le sue
opinioni erano state ben lontane dall’unanimità.
Ulteriore punto oscuro: non solo non era chiaro cosa
l’espressione «perfezionamento del grado di
Compagno» avrebbe potuto significare (una Lettura
facoltativa che le logge azzurre sarebbero state
autorizzate a fornire ai compagni? Un rituale collettivo
che le logge avrebbero potuto praticare una volta ogni
tanto?), ma quell’inaspettato richiamo alla storia antica
del Marchio contraddiceva l’usanza, ormai largamente
maggioritaria, di somministrare il grado ai maestri.
Da quella frase, che era un autentico schiaffo
all’esperienza delle logge del Marchio indipendenti –
vere depositarie del processo di evoluzione storica del
grado – i pessimisti vaticinarono con largo anticipo (e
con ragione) che la causa del Marchio presso la Gran
Loggia fosse già perduta; ma la maggior parte dei
fratelli non volle rassegnarsi al messaggio di indizi così
tenui e nei giorni successivi alla pubblicazione della
delibera non furono pochi i maestri del Marchio a
leggerla e rileggerla soppesando ogni parola, nel vano

369
tentativo di comprendere dove la Gran Loggia
d’Inghilterra volesse andare a parare.
Insomma il responso del comitato lasciava più dubbi di
quanti ne risolvesse e soprattutto sembrava non tenere
conto che le questioni relative al Marchio non erano
astratte, ma si riferivano a logge e fratelli reali.
Ma il tempo dell’incertezza durò solo trentatre giorni,
per essere sostituito da quello dell’euforia, tanto più
viva in quanto inattesa. Al breve testo che abbiamo
citato, John Hervey – insieme a un altro membro del
comitato che era estraneo alla Bon Accord, il fratello
Peter Matthews – aveva proposto di aggiungere in
forma esplicita ciò che il verdetto – a leggerlo bene –
implicava: ovvero che «poiché il grado del Marchio
non è parte della Massoneria dell’Arco Reale, ogni
decisione riguardo alla sua introduzione in Massoneria
deve essere lasciata alla Gran Loggia d’Inghilterra».
La postilla era stata accettata e poco più di un mese
dopo – il 5 marzo – la Gran Loggia Unita d’Inghilterra
emanava a sua volta questa incredibile Risoluzione:
«che il grado di Massone del Marchio o Maestro del
Marchio […] non è in contrasto con gli antichi
370
landmarks dell’Ordine, e che il grado è un’aggiunta e
una parte anteriore [form part] della Massoneria
Azzurra, e che di conseguenza PUÒ ESSERE
CONFERITO DA TUTTE LE LOGGE REGOLARI E
RICONOSCIUTE, SECONDO LE REGOLE CHE
SARANNO APPRONTATE DAL BOARD OF
GENERAL PURPOSES E APPROVATE E
SANZIONATE DAL VENERABILISSIMO GRAN
MAESTRO».
Il documento proseguiva affidando al Board of General
Purposes il compito di elaborare i Regolamenti e la
futura posizione statutaria del grado del Marchio.
Dio o il Diavolo conoscono forse la strada che Hervey
e Matthews possono aver seguito per realizzare un così
fantascientifico colpaccio; lo storico non ne ha idea,
come pure la maggior parte degli increduli massoni
inglesi che il 5 marzo 1856 ne vennero a conoscenza.
Possiamo bene immaginare quali fossero le più
gettonate tra le mille domande che si posero in quel
momento: si era tornati a prima del 1813? La Union era
cancellata? Cosa ne sarebbe stato, adesso, degli altri
antient degrees?

371
Comunque, anche se l’euforia fu il sentimento
dominante, non tutti i maestri del Marchio impazzirono
di gioia. Al di là dell’incredulità, molti di loro si
sentirono scavalcati: cos’era questa novità di affidare
l’elaborazione dei loro regolamenti a un organo come il
Board, il cui comitato per esaminare la situazione del
Marchio aveva ammesso solo pochi giorni prima la sua
incompetenza? Alla Bon Accord si sentirono offesi un
po’ tutti; ma più degli altri, Jones e lord Leigh.
La scelta di affidare l’elaborazione dei regolamenti al
Board sembrava in effetti un gesto di autorità che la
Gran Loggia, se avesse voluto cominciare la sua
riconciliazione col Marchio col piede giusto, si sarebbe
potuta risparmiare; ma alla luce degli avvenimenti
successivi, ci sembra più corretto considerarlo un
tentativo di prolungare gli effetti del blitz, bruciando
sul tempo ogni possibile opposizione. Se il Board si
fosse sbrigato, sarebbe stato possibile far votare la
riammissione del Marchio alla sessione della Gran
Loggia di giugno, quando – a Dio piacendo – i nemici
degli antient degrees non avrebbero ancora avuto il
tempo materiale di unirsi in un fronte.

372
Al di là delle paure per quello che il Board avrebbe
potuto combinare, un altro rilievo negativo che offese
molti era l’ostinazione della Gran Loggia nel
classificare come un fenomeno marginale (così dai più
venne interpretata l’espressione form part) il grado che
da tempo immemorabile era stato al centro dell’attività
di centinaia di logge e il cuore dell’esperienza
iniziatica di migliaia di massoni. Ma, d’altra parte,
rimaneva il fatto incontestabile che il Marchio era stato
finalmente riconosciuto come legittimo; e con esso non
solo migliaia di fratelli, ma anche la sua gloriosa storia
– dalle Cave del Tempio di Salomone alle Cattedrali –
e il suo tesoro di simboli e riti rientravano a far parte
della massoneria universale.
Passarono i giorni, e nulla trapelava sui lavori del
Board: non si sapeva neppure se il Marchio sarebbe
stato conferito ai compagni o ai maestri, né quale
sarebbe stato il destino delle logge del Marchio già
esistenti. Solo quarantatre anni erano trascorsi
dall’infausto 1813 e non mancavano gli anziani fratelli
che, borbottando, mettevano in guardia i più giovani
dal farsi troppe illusioni, perché il Modern è traditore.

373
Erano scettici anche i partigiani del Supremo Gran
Capitolo dell’Arco Reale di Scozia, che in Inghilterra
erano molto aumentati di numero dopo l’uscita della
sua risoluzione che rendeva possibile l’innalzamento di
logge del Marchio in paesi stranieri. Per il momento si
tenevano in disparte, ma erano pronti a balzare allo
scoperto al primo errore del Board.
In realtà, quando la notizia era giunta a Edimburgo,
come si può immaginare erano stati in molti a mordersi
le mani. Erano tutti consapevoli di vedersi scappare di
mano il futuro del Marchio solo per gravi errori che
avevano dissipato una situazione altamente favorevole
e bruciavano dalla smania di rivalsa, stimando che un
ribaltamento fosse ancora possibile.
Questa possibilità rendeva estremamente incerto il
futuro della Bon Accord. Se il lavoro del Board non
fosse risultato soddisfacente e le logge del Marchio
indipendenti avessero ripiegato in massa sui
riconoscimenti scozzesi, allora la Gran Loggia
d’Inghilterra non avrebbe esitato un attimo a scaricarla,
passando a trattare direttamente con il Supremo Gran
Capitolo di Scozia e il destino della Bon Accord

374
sarebbe stato l’umiliazione del figliol prodigo, che
torna a bussare alla casa del padre da sconfitto.
Naturalmente non era un’opportunità realmente
praticabile per lord Leigh e per i molti insigni membri
che sulla scommessa del Marchio avevano messo in
gioco la loro carriera. Che cosa avrebbero fatto?
Fu senz’altro nei giorni di spasmodica attesa precedenti
all’uscita dei nuovi regolamenti che l’idea della
creazione di un Gran Loggia del Marchio indipendente
cominciò a travasarsi, dalla testa di quanti se la
portavano dentro, alle conversazioni quotidiane dei
membri dell’officina. Se i loro timori circa il lavoro del
Board si fossero rivelati ingiustificati, ci sarebbe pur
sempre stata la possibilità di tornare indietro; ma un
passo del genere avrebbe comunque garantito loro di
potersi relazionare con la Gran Loggia d’Inghil¬terra
da una posizione più forte.
È così che si arrivò alla fatidica tornata straordinaria
che venne convocata il 21 maggio 1856. In
quell’occasione, il dottor Jones tornò a rivestire la
carica di venerabile, e sua è probabilmente la postilla in
una diversa calligrafia aggiunta al verbale, che recita:
375
«è stato in questa tornata che furono compiuti i passi
conclusivi per la costituzione di una Gran Loggia dei
Maestri Muratori del Marchio, e il Venerabilissimo
Fratello Lord Leigh è stato invitato ad assumere la
carica di Gran Maestro della Massoneria del Marchio
per l’Inghilterra».
L’espressione i passi conclusivi suggerisce che la
decisione fosse oggetto di studio da parecchio tempo e
in effetti ci è noto che in aprile erano stati intrattenuti
contatti con le logge del Marchio più vicine per sapere
quale sarebbe stata la loro posizione se una Gran
Loggia del Marchio indipendente fosse stata eretta.
La sola risposta documentata – quella della St. George
di Bottoms – fu negativa; ma così non deve essere stato
per la Old Kent di Londra e la Old Cumberland di
Bath, le quali (anche se la loro adesione non fu
immediata) sostennero di fatto la Gran Loggia del
Marchio dall’inizio.
Tutto questo lascia supporre che gli ufficiali della Bon
Accord si fossero mossi in varie direzioni da subito
dopo la risoluzione di marzo, anche se probabilmente

376
nessuno era ancora certo su quale partito si sarebbe
preso alla fine.
Degna di nota, nella tornata del 21 maggio è anche la
concessione del Marchio a un altro ex membro del
comitato del Board: John Haver, di cui avremo ancora
occasione di sentir parlare. Con lui diventavano cinque
i membri della Bon Accord che, alla sessione
trimestrale del Board nel seguente giugno, sarebbero
stati chiamati a votare il regolamento del Marchio in
seno alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Stupisce
quindi che non fossero all’oscuro del piano di creare
una Gran Loggia del Marchio, e questa loro posizione
poco chiara fu la fonte, negli anni successivi, di
malevole insinuazioni.
C’è però anche da considerare la parte svolta da lord
Leigh nella faccenda. Il giovane gran maestro aveva
fama di uomo dal carattere sincero, molto amante della
famiglia e della vita ritirata: chiunque lo avesse
conosciuto respinse sempre con sdegno l’ipotesi che
avesse potuto prestarsi a un doppio gioco. È del resto
molto improbabile che un lord appassionato di

377
massoneria possa mettere a repentaglio così
stupidamente la sua reputazione.
Mettendo insieme ciò che sappiamo, un’ipotesi
possibile – cui certamente il lettore avrà già pensato – è
che sia stata la stessa Gran Loggia d’Inghil¬terra, nel
momento in cui la gran maestranza si era resa conto
delle reazioni negative che la risoluzione del 5 marzo
aveva suscitato, a suggerire alla Bon Accord la
possibilità di costituirsi in Gran Loggia autonoma del
Marchio come scappatoia onorevole; e che proprio a
lord Leigh – amico personale del gran maestro – fosse
stato affidato il compito di manovrare l’operazione.
Forse è possibile supporre che un lord destinato a una
luminosa carriera massonica avrebbe potuto, in
condizioni diverse, accettare la guida di una Gran
Loggia eretica esposta fortemente al rischio di un
fallimento? Noi pensiamo di no, come neppure è
possibile che tutti i membri della Bon Accord con alte
cariche nella Gran Loggia, nello scozzesismo e
nell’Arco Reale si siano lasciati trascinare dal folle
vento della sedizione: avrebbero viceversa insistito – e
nel verbale del 21 maggio ce ne sarebbe traccia –

378
perché la Bon Accord attendesse disciplinatamente di
prendere in visione il nuovo regolamento del Board
prima di azzardare qualsiasi decisione sul proprio
futuro.
Purtroppo non esiste nessun documento scritto in
favore di questa ipotesi: né tra le carte private di lord
Leigh (che sono oggi conservate al Registro massonico
di Stratford-upon-Avon) né in alcun documento della
Gran Loggia Unita d’Inghilterra. È notevole tuttavia
che la reputazione massonica di lord Leigh non sembra
aver sofferto in alcun modo della scelta secessionista,
se è vero che il suo nome figura più volte tra i
consiglieri esterni nominati dal gran maestro anche
negli anni successivi.
Molto significativamente, lord Leigh non era presente
alla sessione del Board tenutasi il 5 giugno 1856, che –
come ancora oggi in uso – si svolse in abbinamento
con la gran loggia conclusiva dell’anno massonico;
eppure era noto a tutti che il Board era riuscito a
concludere la sua fatica in tempo e che i nuovi
regolamenti del Marchio sarebbero stati presentati.

379
Questi regolamenti – che portano la data del 27 maggio
1856 – possono essere considerati il punto più alto del
percorso di riconciliazione tra la Gran Loggia Unita
d’Inghilterra e il Marchio. In essi vengono indicate al
dettaglio le procedure per il conferimento, la
registrazione e il pagamento del Marchio, nonché le
insegne del grado; se tutto fosse andato bene, erano
destinate a entrare in vigore quello stesso 5 giugno. Ma
non furono mai pubblicati.
Quell’anno, la partecipazione di fratelli alla gran loggia
è ricordata come superiore al normale; e poiché molti
non erano al corrente delle ultime evoluzioni del
dibattito sul Marchio, prima di passare all’esposizione
dei regolamenti fu deciso di rendere noti i passaggi
precedenti, tanto le conclusioni del comitato quanto la
successiva risoluzione.
Ma prima che ne fosse data lettura, l’ultraottantenne
presidente emerito del Board – il venerabilissimo
fratello Henderson – chiese a sorpresa la parola; a
sorpresa ma non per tutti, in quanto il precedente
oratore aveva pubblicamente lodato il suo ritorno in

380
seno alla Gran Loggia dopo una lunga assenza per
ragioni di salute.
Avuta la parola, Henderson – che era ancora un bravo
oratore – esordì rammentando i giorni in cui aveva
ricoperto l’ufficio di gran segretario, scelto per quella
carica dal gran maestro il duca del Sussex; che gli
aveva dato mandato – scandì bene queste parole – «di
vegliare affinché nessuna innovazione fosse apportata
all’Ordine». Invero, continuò, non poteva purtroppo
affermare che l’attuale gran segretario stesse
applicando il medesimo principio… Dopo questa prima
frecciata, si scagliò poi frontalmente contro il lavoro
del comitato, chiedendosi se si fossero resi conto di
quello che stavano facendo. Vaticinò che l’apertura nei
confronti del Marchio avrebbe aperto una breccia entro
la quale si sarebbero tuffati a pesce tutti i sostenitori
dei più improbabili antient degrees, creando il caos
nell’ordine. Ribadì fermamente che la Gran Loggia non
doveva consentire alcuna innovazione in tema di gradi,
negando che ne avesse il potere, e concluse che
«nessun uomo, nessun corpo massonico, nessuna
collettività di uomini potevano permettersi di operare

381
un’innovazione di questo genere, che avrebbe messo in
pericolo la stabilità dell’Istituzione».
Quando Henderson terminò, una vera selva di mani si
alzò per chiedere la parola e gli oratori a favore e
contro il Marchio si alternarono a lungo.
Il fratello Aria – che aveva l’età per farlo – rispose a
Henderson chiedendogli ironicamente se quando era
gran segretario avesse provveduto a far espellere
dall’ordine i fratelli che avevano innalzato nelle
giungle dell’India e nei più remoti e disagiati paesi del
mondo logge che praticavano il Marchio
all’obbedienza della Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
Il gran segretario Dobie, quello che Henderson aveva
chiamato in causa, dichiarò che non sentiva di non aver
fatto il proprio dovere, ma di essere pronto in
qualunque momento a rassegnare le dimissioni in
favore del fratello Henderson, se lui avesse voluto.
Ma numerosi furono anche i fratelli che si
proclamarono ben decisi a non sottoscrivere nessun
documento in favore del Marchio; tra questi a sorpresa
lo stesso gran maestro, il conte di Zetland, che dichiarò

382
di non voler mettere a repentaglio la concordia
dell’istituzione.
In realtà, se i sostenitori del Marchio avessero davvero
voluto dar battaglia, il loro argomento più
inoppugnabile – in base al quale, qualsiasi organo
giuridico della Gran Loggia gli avrebbe dato ragione –
era che il gran maestro aveva già legittimato il rientro
del Marchio quando aveva apposto la sua firma alla
risoluzione di marzo; di conseguenza, nessuno più
aveva il diritto di metterlo in discussione, né di negare
la necessità di regolamentarlo – si poteva semmai
discutere su come. Anche ammettendo che abbiano
evitato di giocare questa carta per paura di rievocare il
clima di scontro ante-1813, si trattava pur sempre di
una grossa forza contrattuale in loro favore, basandosi
sulla quale avrebbero potuto rimandare la votazione e
ottenere di ridiscutere con calma tutta la faccenda.
Invece accettarono di andare al voto, al termine del
quale con una maggioranza abbastanza ampia i
regolamenti del Marchio emessi dal Board vennero
respinti.

383
Questa rinuncia a combattere è un altro forte indizio
che la creazione di una Gran Loggia del Marchio
autonoma fosse stata già decisa. È probabile però che
non tutti fossero d’accordo: almeno qualcuno avrebbe
preferito battersi ad oltranza perché i regolamenti
fossero approvati.
Uno di questi era senz’altro John Symonds, che
nell’agosto seguente scris¬se al gran maestro una
lettera di protesta: «a termini di regolamento, nessuna
mozione che implichi la smentita di una Risoluzione di
una precedente Gran Loggia può essere presentata, se
non previo avviso al Comitato Generale secondo l’art.
8 par. 19 e seguenti […] e solo subito dopo che il
Verbale [della tornata di Gran Loggia] sia stato
definitivamente corretto».
Si trattava di una iniziativa individuale o di pochi
irriducibili particolarmente irriflessivi. Era chiaro
infatti che il conte di Zetland avrebbe potuto dare a
quella lettera una sola risposta: negare che una qualche
risoluzione precedente fosse stata violata, ovvero
negare che la risoluzione di marzo andasse interpretata
come una attestazione della regolarità del grado,

384
causando con questo al Marchio un danno ancora
maggiore. Difatti, non rispose.
Il 4 settembre fu John Haver a scrivere una lettera al
gran maestro, di cui era amico. Il tono è rispettoso ma
franco, e c’è un passo davvero interessante. Egli
informa il conte di Zetland che «Dobie si sente offeso
per essere stato scaricato [lett.: thrown overboard] da
Vostra Signoria nella faccenda del Marchio, dopo che
avevate approvato e firmato la Risoluzione. A questo
posso aggiungere che a suo tempo, nel Comitato creato
per relazionare riguardo al Marchio, mi ero trovato più
volte d’accordo con lui sull’assurdità della soluzione di
reintegrarlo nei Gradi Azzurri, e successivamente ero
rimasto sbalordito nel venire a sapere che era stata
portata in Gran Loggia con il suo e il Vostro
appoggio».
Sembra dunque che Dobie fosse stato indotto dal gran
maestro a promuovere il rientro del Marchio
nell’ordine sebbene questa fosse una soluzione in cui
non credeva; il gran maestro, evidentemente, era stato
in origine favorevole a tale scelta, ma non essendo

385
certo di riuscire a portarla a buon fine aveva preferito
mandare avanti il gran segretario.
È opportuno ricordare che Haver aveva ricevuto il
Marchio dalla Bon Accord nella tornata del 27 maggio,
cioè nel giorno in cui la proposta di creare una Gran
Loggia del Marchio era stata ufficializzata:
probabilmente era stato proprio lui – o Leigh, o tutti e
due – ad avvertire il conte di Zetland che la Bon
Accord si era ormai instradata nella direzione di un
ordine del Marchio autonomo, perciò non valeva più la
pena di affrontare rischiose battaglie in Gran Loggia
per difendere la causa persa di riportare il Marchio
nell’ordine. Quindi Haver non critica il gran maestro
per il suo voltafaccia: gli rimprovera soltanto il brutto
tiro giocato a Dobie.
È dunque certo che Haver e probabilmente anche un
buon numero di altri autorevoli massoni del Marchio
londinesi non avevano mai creduto a un ritorno del
Marchio nell’ordine; il che equivale né più né meno ad
affermare che non lo desideravano. A parte Haver
(vedremo più avanti come la pensava), gli altri
probabilmente si erano già mossi in varie direzioni

386
(Gran Loggia del Marchio autonoma, o garantita dagli
scozzesi); e quando, a dispetto delle loro previsioni, la
Gran Loggia d’Inghilterra era giunta a un piccolo passo
dal riaccogliere il Marchio, è ragionevole supporre che
abbiano fatto di tutto per impedirlo. Se questi risvolti
poco onorevoli della faccenda sono ancora
identificabili a un secolo e mezzo di distanza, è assai
plausibile che nel clamore dell’im¬mediato abbiano
sollevato un vero vortice di chiacchiere. Il 25
novembre, il gran maestro scrisse a Dobie per far la
pace e lo informò di star pensando alle dimissioni.
«Sono state adottate certe misure che disapprovo
decisamente, e preannunciate altre che potrebbero, se
adottate, essere di nocumento agli interessi dell’Ordine
e tagliare grandemente le prerogative del Gran Maestro
[…]. Ho visto che grandi inconvenienti possono
sorgere se un rappresentante del Gran Maestro in carica
interpreta i regolamenti in un modo e il Gran Maestro
ribalta la sua decisione alla successiva Gran Loggia,
sebbene io rivendichi che egli ha il diritto di farlo e che
il suo dovere lo obbliga a esercitare tale diritto se
l’altro ha contraddetto una decisone presa in
precedenza».
387
Era un timido, troppo timido, accenno di scuse.
Una vicenda di questo genere, nella quale una Gran
Loggia cambia i suoi piani all’ultimo istante riguardo a
un progetto che aveva concepito, promosso, sostenuto
e approvato sarebbe inconcepibile nella nostra epoca
dominata dai mezzi di comunicazione: oggi è possibile
sondare in precedenza (e all’occorrenza influenzare) le
opinioni di un gran numero di fratelli per determinare
in anticipo quale sarà l’esito finale, e quando si va in
Gran Loggia i giochi più importanti sono già fatti –
tuttalpiù si discuterà su qualche punto secondario in
precedenza trascurato. Ma, a quei tempi, i fratelli delle
logge più decentrate spesso giungevano a Londra
ignorando completamente quel che bolliva in pentola e
in più di un caso questo produceva ribaltamenti
spettacolari e imprevisti.
Quello che invece nessun voto contrario poteva
annullare – e che rimarrà fino alla fine dei tempi – è la
delibera della Gran Loggia d’Inghilterra per cui il
Marchio «è legittimamente da considerare una parte
della Massoneria Azzurra»: ben poco importa se non

388
venne mai applicata e se oggi nel mondo l’opinione è
che il Marchio sia un corpo rituale.

389
12. La Gran Loggia del Marchio

Ora che il burrascoso flirt del Marchio con la Gran


Loggia Unita d’Inghilterra era finito, tutti i piani
alternativi preparati fino ad allora in segreto entrarono
in azione. Mentre il progetto della Bon Accord di
costituirsi in Gran Loggia del Marchio andava avanti,
altri fratelli tornavano a guardare alla Scozia.
Nel settembre 1855 tre massoni londinesi di
professione giornalisti erano diventati membri del
Capitolo n° 50 di Glasgow, all’obbedienza del
Supremo Gran Capitolo di Scozia: i loro nomi erano
Warren, Simmonds e Sharman. Un quarto loro amico,
Huges, era già entrato a farne parte nel 1853 e lui e
Sharman avevano poi ricevuto il Marchio.
Appena venuti a conoscenza del risultato negativo
della Gran Loggia, il 18 giugno 1856 fecero richiesta al
Supremo Gran Capitolo di una patente per la
fondazione di una Loggia del Marchio a Londra, che fu
subito accordata. Nacque così la Rispettabile Loggia

390
dei Maestri Muratori del Marchio St. Mark, n° 1 alle
Cave di Londra, che si riunì per la prima volta il 15
agosto di quello stesso anno, come risulta dal verbale:
«I Fratelli di questa Loggia si sono incontrati la sera
del 15 c.m. alla Freemasons’ Tavern […]. Il lavoro
della serata è consistito nell’avanzamento di tre Fratelli
[…]. Testimonia in favore del progresso della Loggia –
e sottolinea il desiderio dei Fratelli nella loro totalità di
vedere il Grado del Marchio riconosciuto dalla Gran
Loggia d’Inghilterra – trovare che sono attualmente a
ruolo i nomi di 30 Fratelli benché la Loggia sia stata
fondata da soli due mesi. Alcuni di loro sono stati
avanzati nell’assemblea illegale che si autodefiniva
Loggia dei Massoni del Marchio Bon Accord, ma
hanno ritirato ad essa la loro adesione e si sono
formalmente uniti alla nuova Loggia [non si
comprende se furono ri-avanzati o meno]. Ci sono
inoltre altri 17 Fratelli già in lista per l’avanzamento
nella prossima tornata».
Poi in ottobre, all’Agape di una tornata successiva, un
non meglio identificato rispettabilissimo fratello Owen
rispose a un brindisi esprimendo la speranza «che il

391
successo della Loggia St. Mark diffonda il Grado per
questa contrada, e dimostri il fatto che la Massoneria
del Marchio è parte dell’Ordine; non solo una gradita
forma di perfezionamento del grado di Compagno
come era stato detto, ma una parte essenziale di esso,
nonché il legame che lo collegava con il terzo grado. In
tal modo i legislatori della Gran Loggia, la prossima
volta che la questione sarà portata davanti a loro,
potranno essere meglio informati sull’argomento che
saranno chiamati a votare, e non faranno come l’ultima
volta, che lo hanno respinto senza saperne niente».
Fino al marzo 1857 vennero concesse dal Supremo
Gran Capitolo altre due patenti per logge del Marchio
in Inghilterra. La prima – n° 2 – andò a un’officina già
esistente, la gloriosa St. John’s di Bolton; la n° 3
invece fu data a tre pentiti della Bon Accord che si
riunivano all’Hotel Radley di Londra, dai quali ebbe
origine la Loggia del Marchio Thistle.
L’invasione scozzese era cominciata e, secondo la
storia del Marchio come oggi viene narrata in seno alla
Gran Loggia Unita d’Inghilterra, la Gran Loggia del
Marchio sarebbe derivata da questo primo nucleo di

392
logge del Marchio regolari in territorio inglese come
una sorta di spontaneo processo di gemmazione; ma
nulla, come stiamo per vedere, è più lontano dal vero.
Nel frattempo, infatti (a metà giugno), il segretario
della Bon Accord William Collins aveva convocato
l’officina per il giorno 23 – vigilia di San Giovanni. La
convocazione risultava essere «a nome
dell’Illustrissimo Fratello Lord Leigh [sic], per
prendere in considerazione la possibilità […] di
istituire una Gran Loggia del Marchio per l’Inghilterra
e le sue Dipendenze».
La citazione del maestro venerabile in quella forma
curiosa e oggi desueta va forse collegata all’ordine di
ingresso alla scozzese ancora in uso alla Bon Accord,
che di regola titolava i fratelli in base ai gradi ricevuti
nei corpi rituali; ma a volte, per semplicità o per non
mescolare tra loro titoli appartenenti a contesti
iniziatici diversi, quand’erano chiamati (o, come in
questo caso, convocati) li si definiva semplicemente
Illustri o Illustrissimi.
La tempestività della convocazione dimostra che i
piani per fronteggiare questa eventualità erano già stati
393
preparati da tempo e il gran numero di Illustrissimi che
la ricevette ci fa riflettere ancora una volta sulla
stranezza che tanti importanti fratelli fossero disposti a
lanciarsi in una simile avventura.
Nel corso della tornata, lord Leigh resse il maglietto;
undici candidati vennero proposti e sette avanzati (tra
questi il conte di Amhurst). Dopodiché – recita il
Verbale – «alla conclusione di questo incontro i
membri della Bon Accord, con l’assistenza delle tre
Logge precedentemente menzionate, procedettero alla
formazione della Gran Loggia del Marchio».
Si trattò quindi – come il lettore non mancherà di
notare – di un’iniziativa assolutamente indipendente
dalle officine del Marchio di obbedienza scozzese.
Le prime quattro logge all’obbedienza della Grand
Lodge of Mark Master Masons of England and Wales
and the Dominions and Dependences of the British
Crown furono le seguenti:
Rispettabile Loggia dei Maestri Muratori del Marchio
Bon Accord, n°1 alle Cave di Londra, Loggia Madre –
Rispettabile Loggia dei Maestri Muratori del Marchio
Phoenix, n° 2 alle Cave di Londra (questa officina
394
vantava la successione del Capitolo dell’Amicizia
fondato da Dunckerley) – Rispettabile Loggia dei
Maestri Muratori del Marchio Keystone, n° 3 alle Cave
di Londra – Rispettabile Loggia dei Maestri Muratori
del Marchio The Mark, n° 4 alle Cave di Londra:
queste ultime due erano state fondate per l’occasione
da membri della Bon Accord, cui quindi spetterebbe –
di fatto e di diritto – il riconoscimento storico del suo
ruolo di Loggia Madre.
È anche da notare che, nei primissimi documenti
stampati, il nuovo corpo massonico viene definito
Grand Lodge of MASTER MASONS of England and
Wales and the Dominions and Dependences of the
British Crown.
Non è ben chiaro se l’espressione Master Masons sia
stata un lapsus o se ci fosse davvero tra i fondatori
qualcuno che voleva chiamarla così, per sottolineare –
con una punzecchiata alla Gran Loggia d’Inghilterra –
che il Marchio andava considerato a pieno titolo una
parte dell’ordine, quindi i veri Master Masons erano
coloro che lo praticavano. Gli avvenimenti anteriori a
questo passo rendono a nostro avviso tale ipotesi non

395
del tutto improbabile, ma se era così lord Leigh
provvide subito a richiamare all’ordine gli spiritosi;
difatti pochi giorni dopo troviamo già Master Masons
sostituito con Mark Masters.
In ogni caso, questo dettaglio sottolinea un’analogia
che prima di noi altri commentatori hanno messo in
luce: ovvero quella con la costituzione della Gran
Loggia d’Inghilterra, anch’essa fondata da quattro
officine in una taverna di Londra. Naturalmente le
differenze tra i due eventi erano molte, ma per molti
massoni dell’Inghilterra e del Galles il secondo fu
altrettanto significativo del primo, e in un certo senso si
potrebbe dire lo stesso per l’intera massoneria.
Ma procediamo con ordine. Lord Leigh fu nominato
gran maestro (avrebbe rivestito questa carica per
quattro anni, per essere poi sostituito da un altro
veterano della Bon Accord, il conte di Carnavon). I
membri della Bon Accord erano in quel periodo circa
150 e TUTTI i grandi ufficiali della nuova Gran
Loggia provenivano dai suoi ranghi. È strano che le
altre officine non avessero avanzato alcuna pretesa a
riguardo: è probabile che l’influenza sociale

396
eccezionalmente elevata di molti membri della loggia
madre avesse convinto tutti riguardo all’opportunità,
almeno in quel primissimo e difficile periodo, di non
interferire e lasciarli fare a modo loro.
Infatti, malgrado il tentativo di partire con un basso
profilo e dando scarsa pubblicità all’avvenimento, i
problemi non tardarono ad arrivare.
Già il 26 giugno una persona che si firmava Mark
Master scriveva alla «Freemason’s Magazine»: «ho
letto un’inserzione nel Times che annunciava la
creazione di una Gran Loggia del Marchio. Potreste
illuminare quelli dei Vostri lettori che sono interessati a
questo grado sul significato di questo annuncio
straordinario? Da dove è saltata fuori questa Gran
Loggia? Quali Logge del Marchio ne fanno parte?
Sono state mandate circolari o fatti annunci per mezzo
dei quali coloro che sono Maestri del Marchio fossero
convocati, e fosse chiarito nel contempo da quale
autorità massonica tale movimento sia sorto? Se è così
io, che leggo quasi tutto ciò che riguarda la
Massoneria, non me ne sono mai accorto. O è forse
qualche Gran Loggia improvvisata e autocostituita che

397
proclama la propria esistenza, fregiandosi di un
appellativo di Grande che non le spetta, perché è nata
da un atto di usurpazione, con l’intento di assumere il
controllo di questo interessante Grado in Inghilterra?
«Se potete darmi informazioni che dimostrano che tale
Gran Loggia è stata formata secondo le usanze regolari
dei Massoni, che è legittima e può legittimamente
rivendicare una patente, e che non è come sospetto
autoproclamata e quindi falsa e spuria, la valuterò
favorevolmente».
L’inserzione della Gran Loggia del Marchio che aveva
provocato questa sfuriata fu ripetuta il 12 e il 19 luglio,
con in più la firma del coraggioso William Collins in
qualità di gran segretario. Questo ulteriore chiarimento
su ciò che era accaduto intensificò il furore dei
sostenitori del Supremo Gran Capitolo di Scozia, che
consideravano la nuova creatura una «presuntuosa,
irregolare e arrogante piazzata ad opera di un’infima
una minoranza di Massoni del Marchio». Una citazione
biblica pubblicata da non si sa quale giornale piacque a
tal punto da essere ripresa da un gran numero di voci
critiche, fino a diventare una sorta di odioso ritornello:

398
la nuova Gran Loggia, si diceva, era «nata nel peccato
e cresciuta nell’iniquità».
Questo giudizio avrebbe dovuto essere perlomeno
ridimensionato se si fosse saputo in giro che il Capitolo
scozzese della cui patente si fregiava la St. Mark non
solo era tuttora sotto inchiesta per irregolarità, ma di
fatto non esisteva neanche più: i paladini della
regolarità avrebbero dunque fatto meglio a guardare la
trave nell’occhio proprio invece di cercare le pagliuzze
ne¬gli occhi degli altri (anche questi sono dettagli che
l’attuale versione edulcorata della storia del Marchio
ha completamente rimosso).
Senza contare poi – ma in quel clima di accese
passioni, chi mai poteva ragionare tanto sottilmente? –
che la Gran Loggia Unita d’Inghilterra aveva sancito
l’appartenenza del Marchio all’ordine; quindi non c’era
ragione per cui il diritto delle logge azzurre di
costituirsi e federarsi senza necessità di patenti non
dovesse essere applicato anche alle logge del Marchio.
Naturalmente c’erano anche quelli che sostenevano
vigorosamente la causa della Gran Loggia del Marchio
e i loro argomenti erano di tutto rispetto. A differenza
399
di Irlanda e Scozia, le massonerie di Inghilterra e
Galles non includevano il Marchio nell’ordine né
nell’Arco Reale: era quindi necessario dare al grado un
supporto solido per evitare che andasse perduto e a tal
fine cosa poteva essere meglio di un corpo
espressamente creato? E inoltre, che senso aveva
favorire l’espansione in terra inglese del Supremo Gran
Capitolo di Scozia, col risultato di spingere tanti fratelli
inglesi dell’Arco Reale a un’assurda doppia
appartenenza, che col tempo rischiava di creare
confusione amministrativa e di innescare pericolose
rivalità?
Per tutto il 1857 e buona parte del 1858 la polemica
divampò sulla stampa massonica inglese, giungendo
talvolta a toni così esasperati da richiamare a noi
moderni, più che la distaccata serenità di un dibattito
massonico, una zuffa tra i concorrenti di un reality
televisivo. A lord Leigh, persona di umiltà e gentilezza
quasi proverbiali, accadde di essere svillaneggiato per
strada dai sostenitori della fazione opposta, e ne uscì
tanto scioccato da far temere per la sua salute. Al
giorno d’oggi non è facile capire perché i massoni
vittoriani si sentissero tanto emotivamente coinvolti
400
nella questione del Marchio, che tutto sommato – per la
massoneria inglese almeno – era stato fino ad allora
considerato un problema secondario. La risposta va
ricercata probabilmente nella confluenza improvvisa di
un gran numero di questioni da lungo tempo represse: i
guai canadesi, la scomoda situazione dei numerosi
antient degrees che continuavano a essere praticati in
condizioni di semi-irregolarità, i vecchi rancori tra
Antients e Moderns mai del tutto sopiti, il difficile
rapporto della Gran Loggia d’Inghilterra con gli altri
corpi massonici del Regno Unito, le rivalità di
campanile, ecc. I più negativi effetti di questo clima
furono patiti dalla Gran Loggia del Marchio, che restò
a lungo nell’impasse: a dispetto delle reminescenze
attuali, la verità è che nel suo primo anno di vita
nessuna loggia del Marchio inglese volle aggiungere il
proprio nome a quello delle quattro fondatrici,
aspettando di vedere come sarebbe andata a finire.
Un peso non secondario nella diffidenza che
circondava il gruppo della Bon Accord era causato
dalla presenza di Jones e Norton: due fratelli che, a
dispetto dell’intelligenza e della capacità di lavoro che

401
gli venivano riconosciute da tutti, erano circondati per
il resto da ben poche simpatie.
In effetti, se ripensiamo al modo in cui condussero la
loro battaglia contro il maestro venerabile della Old
Cumberland, possiamo supporre che il loro carattere
non fosse l’ideale per conciliarsi l’affetto dei fratelli;
ma per il Marchio erano stati gli uomini giusti al
momento giusto, in grado se necessario di prendere
decisioni spregiudicate e di tirare – in senso figurato –
qualche gomitata o qualche cazzotto quando ce n’era
bisogno.
Ma avevano un po’ esagerato. Nell’ottobre 1856, con
Jones venerabile, Norton pronunciò un tremendo
discorso contro i fratelli Kennedy, Hawlett e Pass,
colpevoli di «aver scritto e pubblicato accuse contro
vari Fratelli della Loggia senza averle prima
comunicate direttamente a loro, né averle portate in
Loggia».
Lo scritto dei tre fratelli era una lettera aperta
indirizzata a lord Leigh, che diceva:
«Grandi irregolarità sono state praticate in Vostro
nome durante la Vostra Maestranza; Logge di
402
Emergenza sono state convocate per avanzare Massoni
al Marchio senza che la Loggia fosse stata avvisata:
solo Jones, Norton, Collins e pochi altri ne erano al
corrente.
«Quando gli scriventi membri della Bon Accord si
presentarono a una Loggia d’Emergenza convocata
dalla stessa Bon Accord senza avvertirli, Jones e gli
Ufficiali si ritirarono in un’altra stanza, e rientrarono
solo per procedere all’avanzamento dei candidati senza
che a loro fosse consentito di votarli. In
quell’occasione Vostra Signoria arrivò poco dopo, e
solo allora i lavori furono aperti regolarmente. Quando
protestammo con Voi, il Fratello Jones affermò che la
nostra presenza era un’intrusione. Eppure siamo
Membri della Loggia attivi e quotizzanti.
«Alla nostra richiesta che venisse reso noto alla Loggia
il risultato del ballottaggio dei candidati per verificare
se noi eravamo stati ammessi a prendervi parte, Jones
dichiarò che per esaminare le lagnanze dei Fratelli
sarebbe stata organizzata una riunione tra Maggio e
Ottobre. Quando ci appellammo ancora al giudizio di
Vostra Signoria, metteste la cosa ai voti. I voti di chi?

403
Degli uomini che avrebbero invece dovuto giustificare
la loro disdicevole condotta. Quando venimmo battuti
8 a 4, uscimmo dalla Loggia.
«Sicuramente il Maestro Venerabile, il Past Master e
gli Ufficiali dovrebbero essere buoni custodi dei fondi
della Loggia. Eppure dopo l’ultima tornata hanno già
avuto luogo due Logge d’Emergenza irregolari, e in
entrambe le occasioni i Fratelli hanno
abbondantemente banchettato a spese della Loggia.
Così non si può andare avanti».
La lettera finiva in questo modo:
«Abbiamo troppo a cuore l’onore e la prosperità
dell’Istituzione per essere testimoni dell’esistenza di
fatti del genere senza cercare di porvi rimedio, e poiché
essi hanno avuto luogo con l’avallo del nome di Vostra
Signoria in quanto Maestro Venerabile ci appelliamo al
Vostro senso di giustizia perché la legalità di questi
procedimenti sia senza indugio investigata; affinché
alla Rispettabile Loggia del Marchio Bon Accord alle
Cave di Londra sia risparmiata la condanna morale
che, in caso contrario, le verrebbe certamente tributata
da tutti i bravi Massoni.
404
«Questo a maggior ragione perché la nostra Officina fu
fondata originariamente, sebbene non deliberatamente,
in base a una patente irregolare, e ripudiata dal Gran
Capitolo di Scozia all’obbedienza del quale
proclamava di lavorare: e quindi, anche per evitare il
ripetersi di tali irregolarità, non possiamo trattenerci
dal ritenere che, almeno d’ora in avanti, la massima
circospezione dovrebbe essere osservata perché sia resa
piena giustizia a tutti i suoi Membri».
Non c’è che dire: non avevano avuto peli sulla lingua –
e in pubblico per di più, proprio nel momento in cui
ristabilire il buon nome della Bon Accord era vitale.
Nella discussione che seguì alla lettura della lettera in
loggia accadde di tutto. Malgrado non mancassero le
voci in difesa delle oneste intenzioni che avevano
mosso il governo dell’officina, la maggioranza dei
fratelli reclamò che i suoi poteri fossero più
chiaramente definiti per il futuro, e in tal senso fu
elaborata a tarda notte una delibera finale.
L’usanza delle logge d’emergenza venne drasticamente
limitata; anzi di fatto, almeno per quanto concerne la
Bon Accord (che non ne aveva reale bisogno, dato

405
l’elevato numero dei suoi membri) fu del tutto
soppressa.
Riguardo al dottor Jones e i suoi amici – per quanto
grandi fossero le loro benemerenze nel movimento di
creazione della nuova massoneria del Marchio – da
quel momento le citazioni dei loro nomi sul libro di
loggia cominciano a diradarsi progressivamente.
Ma come ben sanno i lettori che hanno una certa
esperienza di lavoro di loggia, la massoneria non
perdona e i nodi prima o poi vengono al pettine. In un
articolo nel «Freemasons’ Magazine» di quello stesso
mese apparve questo trafiletto:
«Lord Leigh, senza dubbio, viene considerato dagli
altri un sempliciotto. Nessuno che conosca Sua
Signoria gli accredita troppa dimestichezza con i
regolamenti massonici, e nulla oltre al suo rango lo
avrebbe accreditato per quell’ufficio. È vero, nessun
altro corpo di Fratelli ha altrettanto diritto di vendere
patenti [sic] del Marchio quanto Leigh, Methuen, Jones
e la loro combriccola; ma se non fosse per il prefisso di
Lord che orna i nomi dei primi due, il Board of General
Purposes li avrebbe già sospersi entrambi dalle loro
406
dignità massoniche. Tuttavia non c’è da aspettarsi
niente di simile, perché i due pasticcioni sono
entrambi membri del Board per volontà del Gran
Maestro, e possono quindi permettersi di ignorare le
opinioni dei membri espressi dalla Gran Loggia».
Era un attacco sanguinoso e ingiusto a un fratello
sincero e appassionato, che se si era macchiato di una
colpa era di aver lasciato troppa mano libera ai suoi
collaboratori. La malafede dell’attacco, del resto, è
chiaramente dimostrata dalla assurda presunzione che
lord Leigh potesse essere giudicato dalla Gran Loggia
Unita d’Inghilterra per quello che faceva nell’ambito
della Gran Loggia del Marchio: scorrettamente,
l’articolista mirava a montare contro di lui i lettori
meno informati.
Per quanto riguarda gli altri due fratelli citati, di lord
Methuen non sappiamo molto, salvo che lord Leigh lo
annoverava tra i suoi amici; ma certamente infondata
era l’insinuazione che Jones lucrasse sulla concessione
dei passaporti (erroneamente definiti patenti). L’uomo
aveva un brutto carattere, ma riguardo alla sua onestà
mai nessuno aveva avuto niente da dire. Nulla di più di

407
quell’articolo potrebbe valere a darci l’idea del punto
di esasperazione cui la polemica era giunta, e di quanto
i nemici della Bon Accord si stessero impegnando a
fondo per sabotare la neonata Gran Loggia del
Marchio.
Cominciò in questo modo il tramonto della Bon
Accord: un’officina che più di tutte aveva lavorato (e
continuò a farlo) per la restituzione al grado del
Marchio della dignità perduta, ma che – proprio perciò
– troppo aveva compromesso il suo nome nelle vicende
confuse e disdicevoli che precedettero il suo sviluppo
nella forma di corpo massonico autonomo. Presso i
massoni più avveduti, cominciò a circolare da allora la
parola d’ordine che ancora oggi non è mai venuta
meno: che per il bene della massoneria, il ruolo storico
rivestito dalla Bon Accord per quanto concerne la
genesi della Gran Loggia del Marchio doveva essere il
più possibile sminuito.
Cionondimeno, per quanto strano possa sembrare, le
ripercussioni sulla storia globale del Marchio dei guai
interni della Bon Accord furono – nei primi tempi –
positive. Quel gran profluvio di pettegolezzi si era

408
abbattuto sulla massoneria londinese in un momento in
cui la Bon Accord, sebbene fosse sulla bocca di tutti,
rappresentava una sorta di oggetto misterioso: tutti
avevano da dire la propria sulla questione della sua
regolarità, ma pochi sapevano effettivamente di che si
trattasse. Lo spiraglio apertosi inaspettatamente sulle
sue questioni interne portava dati in base ai quali
migliaia di fratelli, già avvezzi a vicende analoghe
avvenute in altre logge, potevano finalmente esprimersi
con cognizione, e divenne per molti la breccia
attraverso la quale mettere il naso per la prima volta
nell’universo sconosciuto della massoneria del
Marchio.
Intanto, fuori Londra, l’espansione del Supremo Gran
Capitolo di Scozia andava avanti con grandissima
rapidità. Alcune carte recentemente ritrovate nella
Masonic Library di Manchester raccontano della
fondazione di una nuova officina a Bolton: il fratello
G.P. Brockbank, un Past Master della Loggia St. John,
aveva redatta la richiesta di concessione di una patente
e l’aveva inviata al Supremo Gran Capitolo nel
dicembre 1856, specificando tra l’altro di aver già
ricevuto il Marchio anni prima, ma «in un modo che
409
Voi trovereste irregolare», e di essere quindi disposto a
riceverlo di nuovo.
Gli venne risposto che doveva recarsi a Londra o a
Edimburgo per prestare giuramento, dopo essersi
ritirato da tutte le organizzazioni del Marchio non
riconosciute di cui eventualmente facesse parte. Il 4
marzo 1857 Brockbank e alcuni altri ricevettero il
Marchio alla St. Mark di Londra e il giorno dopo la
patente era nelle loro mani. Altri quattro fratelli
giunsero da Bolton quello stesso giorno e ricevettero il
Marchio il 6, altri tredici il giorno 11.
In aprile la nuova officina contava già 34 membri e
stava per dare vita ad altre due officine, una a
Birkenhead e l’altra a Liverpool, mentre la loggia
Arnott n° 4 aveva superato i quaranta membri alla
prima tornata. Alla fine del 1858, le logge del Marchio
con patente scozzese in Inghilterra erano quindici: sei a
Londra, due a Liverpool e le altre rispettivamente a
Birkenhead, Bolton, Bristol, Cheltenham, Quebec,
Whitehaven e Woolwich.
Era ormai chiaro che il Supremo Gran Capitolo di
Scozia aveva vinto il primo round, riuscendo ad
410
accreditarsi come la sola autorità regolare per il rilascio
del Marchio. Proprio dal punto di vista della regolarità,
però, c’era molto da eccepire sulla sua rapida e quasi
sfacciata espansione sul territorio di una Gran Loggia
sorella; e anche se la Gran Loggia Unita d’Inghilterra
non aveva per il momento nessun interesse a
intervenire, non c’era dubbio che una volta chiaritesi
definitivamente le modalità dello sviluppo del grado
del Marchio i nodi sarebbero venuti al pettine e la
situazione avrebbe dovuto in un modo o nell’altro
essere risolta; anche per evitare che a un secolo di
distanza si profilasse nuovamente lo spettro di una
massoneria inglese spaccata tra due obbedienze
diverse. E c’era la possibilità che la spaccatura
diventasse ancora peggiore. Il 19 ottobre 1856
l’irriducibile Ashton Mark Lodge – che abbiamo già
conosciuto come Loggia Viaggiante del Cheshire –
aveva deliberato che non era più il caso di stare a
guardare un’autorità straniera e una Gran Loggia di
avventurieri contendersi rumorosamente il controllo
del glorioso grado che la Ashton stessa aveva tanto
grandemente contribuito a diffondere.

411
Si formò quindi un comitato «per esaminare la
possibilità di costituirsi in Gran Loggia», il quale alla
tornata del 18 gennaio 1857 riportò all’officina questa
conclusione: che per non creare nuove spaccature – e
per non rischiare di rimanere stritolati in un gioco
troppo grosso – si sarebbe dovuto cominciare con il
costituirsi in Gran Loggia Provinciale, dotando il
nuovo corpo di costituzioni e di un codice che
avrebbero dovuto essere accettati da tutte le future gran
logge provinciali che avessero voluto federarsi.
L’iniziativa era intelligente e ben congegnata e a molti
fratelli – ormai nauseati dallo scontro per il controllo
del Marchio che la «Massoneria di alto bordo» portava
avanti da anni al di sopra delle loro teste – questa
proposta di decentramento di inconfondibile stampo
Antient fece lo stesso effetto di una ventata di aria
pura. Il nuovo corpo fondato dalla Ashton si sarebbe
chiamato The Honourable United Grand Lodge of
Mark Master Masons of the Ashton-under-Lyne
District e prima ancora che fosse stato fondato già le
proposte di federazione da altre province cominciarono
a fioccare.

412
Per quanto non si sappia esattamente quante logge la
United Grand Lodge sia arrivata a governare, che
fossero composte da gente in gamba è dimostrato
anche dal fatto che riuscirono a portare avanti il loro
progetto fino al 1900.
Negli ultimi anni dell’Ottocento, a un’Agape congiunta
con i fratelli della Gran Loggia del Marchio – nella
quale di lì a poco sarebbero confluiti – un gran maestro
provinciale della United, il rispettabilissimo fratello
Taylor, dichiarò ai fratelli della Gran Loggia che la
United non era sorta con l’inten¬zione di opporsi a loro
(pur ammettendo onestamente che molti membri della
Ashton avessero considerato umiliante l’idea di
sottomettersi a un corpo massonico con pochi anni di
vita): quello che davvero li aveva fatti infuriare – e
aveva dato il la alla loro iniziativa – era stata la
definizione del Marchio ad opera del comitato del
Board: «un grazioso perfezionamento del Grado di
Compagno», in base alla quale avevano concluso
unanimemente che da Londra non ci fosse da aspettarsi
niente di buono.

413
Taylor, per dimostrare che le sue non erano solo parole
di circostanza, citò a memoria l’atto di costituzione
della United: «che pienamente consapevoli della
situazione disorganizzata e insoddisfacente della
Massoneria del Marchio in Inghilterra, e convinti che il
momento sia favorevole per effettuarne la
restaurazione alla sua antica e onorevole importanza,
approvano e raccomandano che si costituisca una Gran
Loggia di Maestri Massoni del Marchio per
l’Inghilterra».
In realtà, se non ci si sofferma troppo sul fatto che la
United e la Gran Loggia di lord Leigh erano iniziative
separate e contrapposte, né sulle indubitabili differenze
di concezione su ciò che una Gran Loggia del Marchio
effettivamente dovesse essere, appare evidente che – a
dispetto del notevole successo riscosso fino ad allora
dal Supremo Gran Capitolo sul piano dei numeri –
esisteva anche in Inghilterra un vigoroso movimento di
massoni del Marchio che non si sarebbe mai piegato
all’idea di lavorare con una patente scozzese. Tutto ciò
che occorreva era che la Gran Loggia del Marchio
riuscisse pazientemente ad accreditarsi ai loro occhi.

414
13. Lo scontro finale

All’inizio del 1857, il pacifico lord Leigh aveva ormai


accumulato abbastanza frustrazioni perché le sue
genuine qualità di leader massonico fossero stimolate
ad emergere. Cominciò con lo scaricare decisamente la
cricca dei capi della Bon Accord, disertando le sue
tornate e rifiutando di riceverli in privato. Da allora in
poi, le sue prerogative di gran maestro preferì
esercitarle solo attraverso gli atti ufficiali.
Nel maggio dello stesso anno, fece un certo rumore una
sua Lettera a tutte le Rispettabili Logge del Marchio
del Regno Unito, indirizzata quindi anche alle officine
indipendenti e a quelle soggette al Supremo Gran
Capitolo di Scozia. Lord Leigh apriva il testo con la
franca e umile ammissione di trovarsi egli stesso «né
più né meno allo stesso livello di ogni altro Massone
del Marchio che lavora per il bene della Massoneria, ed
è in questa qualità che io voglio parlarvi». Rivendicava
di non essere stato presente alla nefasta Gran Loggia di
giugno e che non doveva quindi essergli in nessun
415
modo imputato di aver collaborato al rinnovato bando
del Marchio dall’ordine; ribadiva la sua fede che il
Marchio fosse una parte della massoneria Azzurra, e
che quindi mai si sarebbe piegato al compromesso di
praticarlo sotto l’egida di un Gran Capitolo dell’Arco
Reale, spingendosi fino ad affermare che «nessuna
autorità è veramente necessaria per il governo e
l’amministra¬zione del Marchio».
Andava avanti attaccando senza peli sulla lingua quei
fratelli che «in cambio del discutibile privilegio di
praticare il loro grado al coperto di una patente»
avevano acconsentito a sottomettersi a chi «imponeva
loro improprie condizioni per il conseguimento del
grado»; giungeva addirittura ad addossare a quegli
imprecisati (ma non troppo) fratelli la responsabilità
per il rigetto del Marchio da parte della Gran Loggia
d’Inghilterra – accusa questa che lascia davvero pochi
dubbi sull’ipotesi del complotto, soprattutto se
pensiamo che non è formulata in una lettera qualunque,
ma nello scritto ufficiale di un gran maestro
solitamente molto misurato nelle parole.

416
Per rimediare agli errori di quegli indegni, pensava
fosse desiderabile che prima della prossima Gran
Loggia dei maestri massoni del Marchio (da lui fissata
per giugno) tutti i fratelli d’Inghilterra detenenti il
grado si riunissero in assemblea generale: «per
esprimere il loro parere se fosse meglio unirsi in un
corpo solo costituzionalmente eletto o continuare
nell’attuale stato di divisione: alcuni sotto la
Costituzione Inglese e altri sotto patenti Scozzesi,
Irlandesi o Americane, ciascuna relativamente
irregolare rispetto alle altre, che oltretutto non
garantiscono i diritti fondamentali del Maestro
Massone».
Nell’intero testo, la Bon Accord non era menzionata
neanche una volta.
Una lettera così congegnata doveva per forza
funzionare: perché, se presentata nei termini di una
dichiarazione in favore della sovranità delle logge (con
argomenti, oltretutto, che il reverendo Anderson senza
dubbio avrebbe avallato), la presunta irregolarità della
Gran Loggia del Marchio rifulgeva di nuova luce e le
rigide strutture amministrative del Supremo Gran

417
Capitolo di Scozia venivano implicitamente associate
alla degenerazione della massoneria in
un’incomprensibile labirinto di poteri l’uno con l’altro
contrastanti, immagine che nessun fratello «di base»
aveva mai completamente accettato. Infatti piacque a
molti e segnò un ribaltamento della situazione: lord
Leigh guadagnò punti e il Supremo Gran Capitolo ne
perse parecchi.
Poi il primo mise a segno un altro bel colpo: mentre
tutta l’Inghilterra del Marchio guardava a lui nell’attesa
che la promessa Assemblea Generale fosse convocata,
egli si concentrò sulle trattative con le logge
avversarie, convocando solo queste il 25 maggio 1857
alla Freemasons’ Tavern.
Si presentò alla riunione da solo e offrì loro le sue
dimissioni e quelle della sua giunta in cambio della
loro adesione alla Gran Loggia del Marchio e del loro
impegno per creare un governo del Marchio
«veramente autonomo e costituzionale»; qualora
invece avessero voluto rieleggerlo (nessun lord era
presente fra i massoni del Marchio filoscozzesi, né
alcuno che potesse contare sulle sue ottime relazioni),

418
egli si sarebbe impegnato a scegliere la nuova giunta
«tra i più eminenti membri della Massoneria Azzurra,
in base alle sole considerazioni del bene dell’Ordine e
della competenza specifica dei Fratelli a tale Ufficio
chiamati».
Di più non si poteva sognare. L’assemblea generale,
convocata finalmente per il 30 maggio, segnò la nascita
della moderna massoneria del Marchio come oggi la
conosciamo: da essa infatti la Gran Loggia del Marchio
uscì accreditata agli occhi di tutti come il legittimo
corpo massonico per il governo del grado.
Lord Leigh aprì i lavori con un’altra bella trovata,
chiedendo a tutti coloro che fossero già maestri
installati di raggiungerlo all’Oriente: in una tornata
normale sarebbe stato un atto doveroso cui nessuno
avrebbe fatto caso, ma in quel contesto assunse una
sorta di significato messianico. Non più di undici dei
settanta delegati presenti lo raggiunsero; ma la maggior
parte, come testimoniato dalle loro insegne, erano
ufficiali di logge all’obbedienza del Supremo Gran
Capitolo di Scozia o di logge indipendenti, e quando

419
tutti furono all’Oriente dall’assemblea partì un
applauso spontaneo.
Svariati fratelli sottolinearono l’importanza di
ristabilire la massoneria del Marchio come parte
dell’ordine, e tutto sembrava correre su binari ben
oliati verso il lieto fine quando ci fu un colpo di scena:
a sorpresa chiese la parola nientemeno che John Haver,
il consigliere di lord Zetland, presente in
rappresentanza della Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
Haver cominciò il suo intervento e la sua obiezione
agli oratori intervenuti prima di lui fu, in sostanza, solo
una: «che lui era contrario al grado del Marchio».
Molti dei presenti quasi non credevano alle loro
orecchie: finalmente, lo sconosciuto nemico che a
giugno aveva convinto Zetland a fare marcia indietro
era uscito allo scoperto, e le sue parole fecero ribollire
il sangue di quanti si ricordavano della sua elevazione
a maestro del Marchio nella tornata della Bon Accord
del 27 maggio.
Haver proseguì confutando le pretese di antichità del
grado: sostenne che «si trattava di un’invenzione
moderna che non aveva mai fatto parte dell’Antica
420
Massoneria». In sostanza affermò che il Marchio era
una pratica irregolare non soltanto nell’ordine, ma
ovunque, perché secondo lui contraddiceva il
giuramento prestato dal venerabile all’atto
dell’installazione.
Purtroppo non ci è pervenuto il testo del suo discorso,
che – sebbene assai discutibile quanto alla tesi
sostenuta – pare fosse documentato con ampie e
interessanti citazioni di antichi testi massonici inglesi
oggi perduti.
Passò poi a contestare l’affermazione – fatta da lord
Leigh nel suo intervento di apertura – che il Marchio
rivestisse un qualche peso nella storia della massoneria.
A questo punto alcuni fratelli, che con stoica disciplina
lo avevano fino ad allora ascoltato compostamente,
cominciarono ad agitarsi e a mormorare fra loro; ma a
lord Leigh bastò un formidabile colpo di maglietto per
riportare il silenzio.
Quando Haver in un clima glaciale smise di parlare,
lord Leigh lo ringraziò con calore e concesse la parola
solo a tre dei ventotto fratelli che volevano replicare,
scegliendoli tra i più moderati.
421
In effetti, giudicando a freddo, qualunque fosse la
ragione che aveva indotto Haver a quell’intervento ben
oltre i limiti della scortesia, lord Leigh ne era senz’altro
il principale beneficiario: di fronte all’evidenza di
un’ostilità tanto preconcetta e insormontabile, era
chiaro che non reggevano più le accuse finora rivoltegli
di non aver fatto il suo dovere nel sostenere la causa
del Marchio presso la Gran Loggia d’Inghilterra e la
giustezza della sua scelta di costituire una Gran Loggia
autonoma apparve ora chiara anche agli scozzesisti più
incalliti.
Dopo le risposte ad Haver, il fratello Burrell della
Keystone n° 3 volse il dibattito in altra direzione
facendo votare una mozione: che «questo incontro,
questa riunione di Fratelli che praticano il grado del
Marchio, è volto soprattutto a promuovere l’uniformità
del lavoro e il generale interesse del grado». Fu
approvata, e una seconda mozione che deplorava la
«divisione del Marchio sotto diverse autorità
massoniche» passò pure all’unanimità, anche se
qualche linguaccia non mancò di far notare che un
anno prima porre rimedio a questo problema sarebbe
stato più facile.
422
«Scaldata» in questo modo l’Assemblea, lord Leigh
tirò fuori dal cappello, per bocca del suo amico
Warren, la mozione più importante: «che è desiderabile
formare un Comitato per accertare e rappresentare le
vedute di tutti gruppi che praticano il grado in
Inghilterra, per stabilire quali mezzi debbano essere
adottati per promuoverne l’unità e l’uniformità, e che
tale comitato consiste dei seguenti sedici Fratelli».
Seguivano i nomi, e tra questi quelli di solo tre fratelli
della Bon Accord erano presenti: gli altri venivano da
tre logge all’obbedienza del Supremo Gran Capitolo e
da quattro indipendenti, tra cui la Albany e la Howe.
Ancora una volta la mozione fu votata all’una¬nimità,
e il nobile prestigiatore poté tirare un gran sospiro di
sollievo.
Il fratello Warren osservò che, poiché non era
pensabile che le conclusioni del comitato fossero
pronte prima della tornata di Gran Loggia del prossimo
10 giugno, lord Leigh avrebbe fatto meglio a evitare di
nominare i nuovi grandi ufficiali prima di quella data.
Lord Leigh acconsentì e si dichiarò «ansioso di
ascoltare i consigli dei Fratelli anche a questo
proposito»; si passò poi alla chiusura e l’Agape che
423
seguì viene ricordata come una delle più festose nella
storia del Marchio.
Alla Gran Loggia di giugno, il rapporto del comitato
non era ancora pronto. Fu quindi deciso di rimandare
ancora le nomine dei grandi ufficiali e anche di
stampare e diffondere il verbale dell’assemblea di
maggio, perché potesse giungere a tutti i massoni del
Marchio d’Inghilterra.
Furono inoltre avviati i lavori per l’elaborazione di una
costituzione comune, i cui punti essenziali erano i
seguenti:
Riconoscere la legittimità di tutte le logge del Marchio
che potessero attestare la propria esistenza prima del
giugno 1856. Le logge che fino ad allora avevano
lavorato all’obbedienza di un’autorità straniera erano
benvenute: sarebbe stato assegnato loro un numero
d’ordine in base alla data della loro patente e i loro
membri non avrebbero dovuto pagare nessuna tassa
addizionale. Tutti i Maestri che potevano provare di
aver governato una Loggia prima del giugno 1856
sarebbero stati riconosciuti come Past Masters.

424
I caratteri incisi sulla Chiave di Volta sarebbero stai
inglesi e non ebraici, secondo la versione proposta
dall’insigne ebraista fratello John Staples Keddell,
della Rispettabile Loggia del Marchio Adams n° 6 alla
Cave di Sheerness.
Si sarebbe lavorato per la costituzione di gran logge
provinciali.
Il rapporto del comitato arrivò cinque giorni dopo, il 15
giugno, con le seguenti raccomandazioni aggiuntive:
Che tutti i corpi che lavoravano il Marchio formassero
un’unione. Che questa unione, nelle persone dei
maestri di loggia, dei Past Master e dei sorveglianti, si
desse da sola i propri regolamenti. Che i Past Master
sarebbero stati i portavoce delle officine in tale
processo. Che tutte le logge desiderose di prendere
parte a questa unione comunicassero la loro intenzione
a lord Leigh.
Sembrava andato tutto a posto, ma un’ultima polemica
doveva accendersi quando il fratello Warren – che non
era soltanto amico di lord Leigh, ma anche maestro
venerabile della St. Mark e editore del «Freemasons
Monthly Magazine» – si risentì non poco per essere
425
stato tenuto all’oscuro dei lavori del comitato e di
averne preso conoscenza dalle colonne del concorrente
«Masonic Journal».
Non occorre essere indovini per capire che questa
scortesia consumata ai suoi danni era stata dettata dalla
preoccupazione di far giungere il minimo possibile di
notizie al Supremo Gran Capitolo (che, preso alla
sprovvista dalla rapidità dell’iniziativa, non aveva
ancora avuto il tempo di elaborare alcuna
contromisura). Per tutta risposta, l’offeso Warren
cambiava bandiera e attaccava pesantemente le
conclusioni del comitato, facendo notare come esse
equivalessero a una resa – del tutto ingiustificata alla
luce dei rapporti di forza – delle logge di obbedienza
scozzese nei confronti della Bon Accord.
Se non si fosse stati ormai nell’estate, senza dubbio il
Supremo Gran Capitolo di Scozia avrebbe avuto modo
di riarruolare Warren nelle sue file e di programmare
un adeguato contrattacco per l’autunno. Ma era troppo
tardi: anche nella scelta dei tempi l’iniziativa di lord
Leigh si era rivelata felice. Nulla più accadde fino a
dicembre, quando la successiva Gran Loggia del

426
Marchio conobbe la partecipazione di ben quindici
officine e il più grande problema che si trovò a
fronteggiare fu la pretesa delle più antiche logge
indipendenti di ottenere numeri d’ordine anteriori alla
Phoenix N° 2.
Narra la leggenda che quando il dibattito si accese su
questa futile questione, lord Leigh ruppe la marmorea
impassibilità che osservava abitualmente nel tempio e
si lasciò andare a una discreta risata: dopo mesi di
tensione, soltanto in quel momento si era davvero reso
conto che la partita era vinta.
Ma nell’ovest dell’Inghilterra, il Supremo Gran
Capitolo continuava a tenere duro. In quell’area le
logge del Marchio – che erano per la maggior parte
filiazioni della Canynges, cui facevano capo – avevano
in passato sofferto particolarmente la situazione di
instabilità londinese, di cui pativano gli effetti senza
riuscire a far sentire la propria voce; questo aveva
contribuito ad alimentare un dissenso di stampo
tradizionalista, che individuava nel Supremo Gran
Capitolo un’autorità più sicura.

427
Erano le stesse ragioni che conservavano tuttora
all’obbedienza scozzese ben sette logge di Londra e
un’altra dozzina sparpagliate qua e là; tenendo conto
anche di un numero imprecisato di logge indipendenti,
nel 1857 la riunificazione del grado del Marchio sotto
l’egida della Gran Loggia era ancora ben lungi dal dirsi
compiuta.
La principale ragione per cui il Supremo Gran Capitolo
di Scozia non voleva rassegnarsi alla perdita delle sue
logge del Marchio in Inghilterra risulta bene espressa –
nelle Comunicazioni della Gran Loggia del Marchio
del dicembre 1858 – con un’osservazione statistica
solo apparentemente innocente: che c’erano «più
Massoni del Marchio inglesi all’obbedienza del
Supremo Gran Capitolo che non Compagni d’Arte in
tutta la Scozia».
Da ciò conseguiva ovviamente che le quote da loro
pagate erano una delle principali voci attive del
bilancio del Supremo Gran Capitolo. Eppure, malgrado
questo – o, meglio, proprio per questo – qualunque loro
richiesta nel senso di una maggiore autonomia
operativa era stata sempre respinta.

428
Nel 1857 gli scozzesi avevano fatto partire una nuova
ondata di patenti per l’Inghilterra, le prime delle quali –
concesse a Peter Matthews, George Biggs e Henry J.
Thompson – riportavano sotto l’ala scozzese
nientemeno che la Old Kent. I giornali massonici si
erano dati da fare, scoprendo tra l’altro che la patente
della Old Kent risultava firmata dal Capitolo Esk
Daikelth di Aberdeen. Scoprirono pure che una nostra
vecchia conoscenza, William Gaylor (che nel
frattempo aveva coronato il suo sogno di diventare
gran principale) era venuto espressamente a Londra per
l’occasione.
Queste notizie avevano oltremodo ferito i membri della
Gran Loggia, anche perché il fratello Matthews era
stato uno dei suoi fondatori. Bisognava finirla con
questa situazione di eterna incertezza, con questo
incontrollabile via vai di fratelli dall’una all’altra
obbedienza. Ma che fare?
Anche la stampa massonica, ormai esasperata quanto
loro dal protrarsi della contesa, si era schierata questa
volta dalla loro parte. Lo stesso Warren, ormai digerita
la rabbia per l’affronto ricevuto, non si trattenne dal

429
commentare: «bisognerebbe che il Gran Capitolo di
Scozia ritirasse la patente concessa alla Old Kent, o la
reputazione della Massoneria scozzese ne soffrirà, e le
loro patenti a cui tengono tanto ossessivamente
finiranno per avere lo stesso valore della carta
straccia».
Avvenne poi che un Past Master della The Mark n° 4 –
il fratello Barnard – prendesse le distanze dalla mossa
del Supremo Gran Capitolo, raccontando ai giornalisti
che Gaylor, appena rientrato a Edimburgo, aveva
spedito ai massoni del Marchio londinesi che riteneva
di aver convinto patenti compilate alla cieca, in cui ad
alcuni fratelli venivano riconosciuti gradi che non
avevano conseguito.
Quando queste notizie cominciarono a circolare, il
disappunto dei fratelli londinesi nei confronti del
Supremo Gran Capitolo di Scozia fu unanime,
coinvolgendo anche quanti in precedenza lo avevano
sostenuto e soprattutto la gran massa dei neutrali, che
al di là delle vicende del Marchio ravvisavano in
questa condotta una mancanza di rispetto nei confronti
della massoneria inglese. Lo stesso fratello Matthews,

430
che sulle prime aveva sostenuto Gaylor, venne a
Canossa, porgendo a lord Leigh le sue scuse e
dichiarando di essere stato ingannato.
E tuttavia, poiché la Old Kent e altre due officine
avevano già formalizzato la propria obbedienza
scozzese, convincerle a fare marcia indietro non si
annunciava facile: sarebbe stata necessaria una
trattativa diretta tra la Gran Loggia e il Supremo Gran
Capitolo, che in quel momento non si trovavano certo
nella giusta disposizione per confrontarsi serenamente.
Nel gennaio 1858, però, l’indignazione era cresciuta al
punto di spingere alcune logge del Marchio inglesi a
indirizzare al Supremo Gran Capitolo una lettera aperta
nella quale gli suggerivano, per difendere la propria
onorabilità, di aprire un’inchiesta interna e sanzionare i
responsabili di quanto era accaduto; non facevano il
nome di Gaylor, ma l’allusione era evidente.
La richiesta venne accolta e se ne trova il riflesso in
una lettera del 4 marzo scritta da Gaylor al Capitolo
Esk Dalkeith in propria difesa. Questa lettera getta luce
su un triplice rimpallo di responsabilità: infatti, pur
ammettendo di essere stato l’autore materiale degli
431
approcci con le officine inglesi e delle patenti
incriminate, Gaylor affermava che l’intero Supremo
Gran Capitolo era consenziente e in tono supplichevole
esortava l’Esk Dalkeith a contribuire alla soluzione del
problema: essendo il corpo massonico che
ufficialmente le aveva emesse, poteva anche ritirarle.
Fortunatamente, il Capitolo di Aberdeen fece il suo
dovere e le patenti vennero ritirate pochi giorni dopo.
Niente più di questa disfatta avrebbe potuto convincere
le restanti logge all’obbedienza scozzese della
necessità di rivedere la propria posizione, e gli effetti
non tardarono a manifestarsi.
Così, il mese successivo, quando la Rispettabile Loggia
del Marchio Arnott all’obbedienza del Supremo Gran
Capitolo di Scozia dovette lasciare fuori dal tempio un
fratello il cui Marchio era stato rilasciato dalla Gran
Loggia, i suoi membri decisero che sarebbe stata
l’ultima volta. Il maestro venerabile, fratello Henry
Isaacs (futuro sindaco di Londra), denunciò l’assurdità
della situazione in una lettera al «Freemasons
Magazine» che si concludeva con queste significative
parole:

432
«a Lord Leigh, la cui autorità non riconosco, è tuttavia
dovuto un plauso per lo spirito molto fraterno e
conciliatorio con cui ha fatto il primo passo,
tendendoci la mano in un afflato di vera Fratellanza, e
penso che ora spetti a noi darci da fare nella stessa
direzione. Credo che in questo modo potremo
contribuire al consolidamento del nostro splendido
Grado, all’insegna del vecchio adagio dell’unione che
fa la forza».
A luglio scrisse alla rivista uno dei fratelli che
nell’ultima ondata di patenti scozzesi si era visto
accreditare gradi mai conseguiti: «piuttosto che
continuare a questionare sul passato, auspicherei
l’unione di tutti i Massoni del Marchio inglesi in un
prossimo futuro. Per quanto fosse discutibile la
regolarità della Bon Accord, credo tuttavia che debba
essere riconosciuto all’attuale Gran Loggia del
Marchio di aver fatto del suo meglio per legittimare la
propria posizione». I semi erano già due, e nel
frattempo nascevano le prime logge del marchio anglo-
scozzesi, a doppia patente: una a Cumberland e l’altra a
Cheltenham (e in quest’ultimo caso si ha la prima

433
testimonianza del rituale di consacrazione attualmente
in uso).
A settembre i maestri venerabili delle logge londinesi
all’obbedienza del Supremo Gran Capitolo inviarono ai
loro colleghi di tutta l’Inghilterra una lettera sul danno
per la massoneria del Marchio del continuare a operare
sotto opposte giurisdizioni, e li invitarono a unirsi a
loro nell’auspicare un rapido riavvicinamento.
Ma benché questo ormai lo volessero tutti, la proposta
dei venerabili di rifondare una nuova Gran Loggia del
Marchio (nella quale tirar dentro anche «le restanti
quattro o cinque logge indipendenti») non era più
praticabile: lo si era già fatto una volta e un’obbedienza
massonica seria non passa il tempo a disfarsi e
ricostituirsi a ogni soffio di vento.
Tra parentesi, per quanto le restanti logge indipendenti
non fossero affatto quattro o cinque ma molte di più,
quasi tutte avevano già intrapreso di propria iniziativa
un percorso di avvicinamento alla Gran Loggia: una
circostanza che rendeva assai poco realistica l’ulteriore
pretesa degli scozzesisti di contrattare. Tutto quello che
ormai avrebbero potuto fare era confluire senza
434
condizioni; una scelta che appariva troppo umiliante ai
loro occhi, ma che seri problemi come la difformità del
rituale e il diritto di vista negato contribuivano a
rendere di giorno in giorno più accettabile.
Dalla Scozia, Gaylor cercò di rianimare i propri fedeli
con una lettera ai giornali massonici nella quale
portava un attacco violento e volgare
«all’autocostituita, surrettizia e irregolare Gran Loggia
del Marchio»; ma non gli giovò l’essersi firmato con
uno pseudonimo e l’impressione che diede fu quella di
un tentativo disperato.
Dalla lettera dei venerabili si era dissociata una sola
officina londinese, la Thistle, coi soliti argomenti
riguardo all’arroganza di lord Leigh ecc. Ancora una
volta lord Leigh mise in atto la sua tattica di andare a
visitare proprio i suoi più acerrimi nemici; il risultato
fu che a dicembre la Thistle ci ripensò, motivando il
proprio cambio di opinione nei termini seguenti:
«La Gran Loggia del Marchio è intenzionata a riceverci
in base ad accordi giusti, chiari ed equi […]. Se
fossimo accettati da loro, avremmo pieno accesso a
tutte le loro attrezzature, libri, documenti, gioielli
435
eccetera, e verremmo anche ammessi
all’amministrazione dell’Ordine […]. L’unione
proposta avrà l’effetto di promuovere la diffusione del
nostro antico Grado, piazzarlo in una posizione più
elevata, consolidare una migliore comprensione di esso
da parte dei Massoni del Marchio, e allo stesso tempo
promuovere l’interesse della Massoneria nel senso più
ampio».
Nel febbraio 1859 la Thistle passò ufficialmente
all’obbedienza della Gran Loggia e la caduta di quella
che era stata la più irriducibile roccaforte scozzese a
Londra produsse sull’intera massoneria britannica una
forte impressione. Non ci fu alcun rito di consacrazione
o ridedicazione; il governo di loggia preesistente venne
riconfermato e tra i fratelli che ne facevano parte
troviamo il nome di Frederick Binckles – all’epoca
primo sorvegliante – che si sarebbe rivelato una delle
colonne della Gran Loggia per i successivi trent’anni,
rivestendo a lungo la carica di gran segretario.
Ci si aspettava che le altre logge londinesi seguissero a
ruota, ma non fu così: la loro scelta fu di sventolare la
defezione della Thistle come spauracchio in un estremo

436
tentativo di ottenere dal Supremo Gran Capitolo uno
status autonomo, che qualora ottenuto avrebbe loro
permesso di negoziare la propria adesione alla Gran
Loggia da una migliore posizione. Ma da
quell’orecchio gli scozzesi continuavano a non sentirci,
e ne sortì un braccio di ferro si protrasse per due anni
con conseguenze nefaste: nel 1861 la Woolwich e
addirittura la Saint Mark n° 1 dovettero assonnarsi a
causa dell’emorragia di fratelli che, stufi di aspettare,
passavano all’obbedienza della Gran Loggia di propria
iniziativa. Nel periodo dal 1862 al 1870, nove officine
indipendenti scelsero la Gran Loggia del Marchio.
Erano tutte piuttosto antiche: due di esse a Rochdale, le
altre a Hull, Bottoms, Devonport, Portsmouth,
Stockport, Rawtenstall e Hinckley. Ma solo una loggia
all’obbedienza del Supremo Gran Capitolo le imitò, la
Cheltenham & Keystone.
A partire dall’autunno 1864, per la prima volta da molti
anni lo spirito della fratellanza sembrò tornare a
insinuarsi nelle relazioni tra la Gran Loggia del
Marchio e il Supremo Gran Capitolo, e fu aperta una
trattativa. La Gran Loggia chiedeva di essere
riconosciuta come autorità massonica regolare ed offrì
437
in cambio la possibilità di negoziare l’unione a
condizioni che per gli scozzesi sarebbero senza dubbio
suonate più vantaggiose che non il dover fronteggiare
una progressiva e incontrollabile emorragia di fratelli.
Gli scozzesi si mostrarono interessati, ma – come era
logico – fecero notare che per poter accettare una tale
proposta occorreva preventivamente che la Gran
Loggia del Marchio fosse riconosciuta dalla Gran
Loggia Unita d’Inghilterra.
Si incaricarono loro stessi di tastare il terreno con una
lettera in cui chiedevano chiarimenti; ma nel giugno
1865 la Gran Loggia Unita d’Inghilterra rispose di
«non riconoscere il grado di Maestro del Marchio come
parte dell’antica Massoneria, e quindi di non poter
riconoscere neppure il corpo autodefinitosi Gran
Loggia dei Maestri Massoni del Marchio per
l’Inghilter¬ra, il Galles, le Colonie e i Possedimenti
della Corona inglese».
Al Supremo Gran Capitolo allargarono le braccia,
dispiaciuti ma non troppo, e senza ulteriori commenti
rinviarono la risposta alla Gran Loggia del Marchio.

438
I contatti si infittirono. Alla Gran Loggia del dicembre
1865, il gran segretario del Marchio relazionò
riservatamente su un suo informale viaggio in Scozia
contrassegnato da lunghi conciliaboli coi dirigenti del
Supremo Gran Capitolo. L’accoglienza era stata
fraterna, ma non si era riusciti a individuare una
soluzione immediata; si era quindi deciso di presentare
la vexata quaestio della posizione del Marchio rispetto
all’ordine ad altre autorità massoniche titolate ad
emettere un responso, nella speranza che la
presentazione di pareri diversi dal suo potesse spingere
la Gran Loggia Unita d’Inghilterra a rivedere la propria
posizione.
Null’altro di rilevante accadde nella seconda metà
degli anni Sessanta, salvo il passaggio dal Supremo
Gran Capitolo alla Gran Loggia del Marchio di altre tre
Officine: una di Cardiff – la Langley – e due di
Londra: la Southwark n° 11 e la risvegliata St. Mark.
Ma a dimostrare quanto i tempi fossero cambiati,
nessuna voce di protesta si fece udire dalla Scozia:
messi da parte i conflitti, ormai entrambe le parti erano
alacremente concentrate sul processo di unificazione.

439
Sul finire del 1869 Frederick Binckles andò a
Edimburgo in veste di gran segretario della Gran
Loggia del Marchio e fu ospitato dal Supremo Gran
Capitolo in una sessione ufficiale. La sua proposta –
accolta favorevolmente dagli scozzesi – era di
organizzare un congresso delle tre autorità del Marchio
del Regno Unito (al quale cioè avrebbe partecipato
anche il Gran Capitolo d’Irlanda).
Se la cosa fosse andata avanti, la storia del Marchio
avrebbe probabilmente cambiato strada; ma per
massima sfortuna, il già citato spirito della fratellanza
scelse proprio quel momento cruciale per andare a fare
un voletto altrove. Venne fuori che il Supremo Gran
Capitolo, rispondendo a una richiesta di chiarimenti da
un Capitolo d’oltremare, aveva consigliato di non
accogliere tra le colonne i maestri del Marchio avanzati
dalla Gran Loggia.
Era stata una direttiva dettata solo da ragioni di
sicurezza, ma alla Gran Loggia non potevano certo far
finta di nulla; quanto al Supremo Gran Capitolo,
avrebbe potuto fare qualcosa per riparare a un

440
infortunio così sciocco e involontario, ma
orgogliosamente non lo fece.
Così una nuova ondata di gelo scese tra Londra e
Edimburgo il tempo sufficiente perché la promettente
iniziativa fosse archiviata: vedremo tra poco quanto il
Supremo Gran Capitolo avrebbe dovuto pentirsene in
futuro.
Sei mesi dopo, appianato dal tempo l’incidente, il
nuovo gran maestro della Gran Loggia del Marchio
G.R. Portal rilanciò il dialogo alla grande, chiedendo
agli scozzesi se avessero qualcosa in contrario alla
creazione di una loggia del Marchio all’obbedienza
della Gran Loggia a Glasgow, in seguito alla richiesta
di alcuni fratelli del luogo. La risposta del Supremo
Gran Capitolo fu affermativa, accompagnata per giunta
dal grazioso auspicio che in futuro non ci fosse più
bisogno di chiedersi l’un l’altro il permesso.
Ma il 15 giugno 1870, lo spirito della fratellanza volò
via di nuovo: quel giorno il fratello Matier della St.
Andrews, n° 22 all’obbedienza del Supremo Gran
Capitolo, consacrò una nuova loggia del Marchio a
Barrow-in-Furness, che si andava ad aggiungere a
441
quelle già esistenti a Bolton e a Manchester, per cui ad
Edimburgo stimarono di aver raggiunto un numero
sufficiente di officine per costituire una nuova
provincia del Marchio nel Lancashire.
La reazione della Gran Loggia fu immediata: venne
convocata una Gran Loggia straordinaria in pieno
agosto, nella quale fu stabilito di opporsi con ogni
mezzo a questo aperto atto di sfida.
Il venerabilissimo fratello G.R. Portal aveva preparato
una lettera di protesta, nella quale si sottolineava
«l’inqualificabile aggressione di cui la Gran Loggia dei
Maestri Massoni del Marchio è stata oggetto negli
ultimi quindici anni», benché essa desiderasse un
onorevole accordo per porre rimedio alla frattura «oggi
pressoché insanabile».
Poi, brevemente, nello stile del suo predecessore,
tornava a tendere la mano all’avversario: «per quante
insignificanti differenze nel rituale possano mettersi di
traverso fra di noi, sarò sempre pronto a venire
incontro il più possibile ai Vostri desideri». Ma la
chiusa non lasciava dubbi: finché un accordo onorevole
non fosse stato raggiunto, nessuna delle ormai
442
numerosissime officine all’obbedienza della Gran
Loggia avrebbe mai riconosciuto un passaporto
scozzese.
Il 18 ottobre di quello stesso anno, le sei officine
all’obbedienza della Gran Loggia nel Lancashire si
costituivano a loro volta in gran loggia provinciale;
prima della fine dell’anno erano già diventate otto.
Davvero ormai non c’erano dubbi su chi fosse il più
forte, e probabilmente Portal aveva ragione
nell’attribuire (in privato) l’incomprensibile e
schizoide altalenare degli scozzesi tra amicizia e
ostilità al fatto che la struttura di un Supremo Gran
Capitolo dell’Arco Reale era forse adatta a governare
altri capitoli, ma non di certo un mutevole arcipelago di
logge.
La vittoria finale della Gran Loggia aveva già
cominciato a profilarsi a giugno, con l’intenzione
espressa ufficialmente dal Gran Capitolo d’Irlanda di
riconoscere in un prossimo futuro i passaporti della
Gran Loggia del Marchio. La dilazione era dovuta alla
necessità di assicurarsi il consenso del Gran Capitolo
d’Inghilterra, che si annunciava come niente affatto

443
automatico, anzi duro da ottenere; questo non tolse
tuttavia che la loro dichiarazione di intento fosse
vissuta a Edimburgo come la coltellata inferta a Cesare
da Bruto.
A ottobre fece seguito il riconoscimento del Gran
Capitolo canadese, e c’era senza dubbio una certa
ironia nel fatto che i primi corpi massonici a
riconoscere la Gran Loggia del Marchio fossero
proprio due Gran Capitoli dell’Arco Reale.
Nel giugno 1871 gli accordi con la Red Cross of
Costantine e l’United Order of the Temple, Hospital
and Malta inaugurarono un aspetto della storia del
Marchio di cui abbiamo accennato nel primo capitolo
di questo libro: la sua caratteristica di punto di
riferimento per tutti gli altri antient degrees. Dei gradi
esclusi dalla Union, il Marchio era stato il primo a
sapersi riorganizzare e darsi una struttura, e questo
avrebbe spinto tutti gli altri a federarsi
progressivamente con esso. Questo fenomeno, noto
oggi come side degrees, è a nostro avviso da
considerare il contributo più meritorio fornito dal
Marchio alla famiglia massonica universale.

444
Nello stesso mese, ai due riconoscimenti che abbiamo
citato si aggiunse anche quello del Supremo Consiglio
dei Trentatre d’Inghilterra (AAR). Tutti e tre insieme
generarono l’effetto di una massiccia adesione morale
alla Gran Loggia del Marchio da parte dei massoni
britannici legati in qualche modo allo spirito antient,
poco importava se anglofili o scozzesisti. Anche i
fratelli ancora all’obbedienza del Supremo Gran
Capitolo di Scozia videro chiaramente che la nuova
famiglia di corpi massonici in via di formazione – Gran
Loggia del Marchio più side degrees paritariamente
connessi – poteva offrire una decisiva possibilità di
sopravvivenza ai gradi da loro amati, molto più solida
di tutte le altre forme di aggregazione cui ci si era
adattati dopo il 1813.
Così, a furor di popolo, il Supremo Gran Capitolo di
Scozia venne instradato nuovamente verso l’accordo,
per ottenere il quale fu costretto ad appellarsi alla
mediazione di quel Gran Capitolo d’Irlanda che – dal
suo punto di vista – lo aveva tradito; in più, con il
rimpianto di aver lasciato cadere quella stessa
possibilità due anni prima, quando le condizioni
sarebbero state più favorevoli. In questo modo si arrivò
445
all’incontro del 3 e 4 aprile 1871, che ebbe luogo
presso la biblioteca della Freemasons’ Hall a Londra. Il
tema della riunione era La posizione del grado del
Marchio in Inghilterra.
La Gran Loggia di Scozia, il Supremo Gran Capitolo di
Scozia e quello d’Irlanda avevano mandato i loro
delegati; invece, da parte inglese, solo la Gran Loggia
del Marchio era presente. Erano stati invitati sia la
Gran Loggia Unita d’Inghilterra che il Supremo Gran
Capitolo d’Inghilterra, ma entrambi avevano declinato:
per quanto riguarda la prima, i rischi del doversi
esprimere una volta di più riguardo agli affari interni
del Marchio superavano di gran lunga – almeno per il
momento – i vantaggi, e quanto al secondo, nel caso di
forti contrasti tra le parti in causa, l’imbarazzo della
sua posizione sarebbe stato ancora maggiore.
Tuttavia il gran segretario della Gran Loggia Unita
d’Inghilterra, John Hervey – che abbiamo già
incontrato in qualità di membro della Bon Accord –
aveva inviato alla Gran Loggia del Marchio una lettera,
nella quale – pur rammentando che il grado del
Marchio era «non riconosciuto» (espressione curiosa

446
che, come nessuno mancò di notare, implicava la
possibilità di un futuro riconoscimento e sottintendeva
dunque un tacito schieramento in favore delle posizioni
della Gran Loggia del Marchio) – formulava anche a
nome del gran maestro, il conte di Grey e Ripon, i
migliori auguri per il buon esito della riunione.
Insomma, al di là delle un po’ squallide prudenze che
la diplomazia suggeriva, era ben chiaro che le massime
autorità massoniche d’Inghilterra guardavano a
quell’incontro con viva attenzione, pronte a fazre le
loro avances verso la parte che ne sarebbe uscita
vincente; e che nell’opinione generale, quella parte
sarebbe stata la Gran Loggia del Marchio.
Il mattino del 3 aprile fu Frederick Binckles ad aprire i
lavori, con un’allocuzione-fiume destinata a passare
alla storia. Si intrattenne in termini lusinghieri sulle
benemerenze storiche di tutti i corpi convenuti alla
riunione per quanto riguardava la diffusione del
Marchio, senza fare il minimo cenno alle polemiche
che si erano trascinate fino a pochi giorni prima.
Chiuse il discorso con un’abile pennellata diplomatica:
lo scopo della riunione, disse, era decidere se la Gran

447
Loggia del Marchio dovesse essere riconosciuta da tutti
in qualità di conservatrice del grado del Marchio per il
Regno Unito.
Ciascun corpo massonico presente aveva portato un
suo verbalizzatore di fiducia e la lettura
dell’allocuzione fu ritmata da un gran sfrigolio di
pennini. Per quanto ben più di uno dei fratelli
convenuti fosse esperto nella storia del Marchio (e
ognuno di questi fosse venuto a Londra pronto a
enfatizzarne gli aspetti che portavano acqua alla sua
tesi, soprattutto per quanto riguardava i rapporti tra
Marchio e Arco Reale), quando Binckles finì di parlare
nessuno chiese la parola per aggiungere qualcosa o
contraddirlo: ci fu soltanto un grande applauso della
durata di circa dieci minuti, che suonò come musica
agli orecchi dei fratelli della Gran Loggia del Marchio
presenti. Il testo integrale dell’allocuzione (circa 50
pagine) è tuttora conservato negli archivi del Supremo
Gran Capitolo di Scozia.
Il dibattito successivo si concentrò su un punto,
sapientemente sollevato da Binckles, la cui estraneità
all’oggetto della riunione era solo apparente: se fosse

448
giusto che ai massoni inglesi dell’Arco Reale in visita
all’estero fosse precluso di partecipare a tutti i gradi
dell’Arco Reale in Scozia e in Irlanda – un problema
legato alla diversa concezione amministrativa di cui
l’Arco Reale godeva nei vari paesi, che fino a quel
momento non era mai stato affrontato apertamente ma
piuttosto aggirato con varie forme di aggiustamenti. Si
trattava di una questione che poneva i delegati scozzesi
e irlandesi di fronte a un’imbarazzante alternativa: o far
fallire la riunione prima ancora che cominciasse o
allinearsi su una posizione conciliante, che
riconoscesse la libertà di accesso ai Capitoli da parte
dei massoni all’obbedienza delle Gran Logge. In
questo modo, la questione del diritto di visita avrebbe
potuto essere risolta una volta per tutte.
In base a tali premesse, e all’abilità con cui erano state
impostate, i risultati della riunione avrebbero potuto
essere decisivi; se così non fu, la principale ragione va
ricercata nello smarrimento degli scozzesi per la
rivelazione – resa lampante dalla loro assenza – che né
la Gran Loggia Unita d’Inghilterra né il Supremo Gran
Capitolo d’Inghilterra avevano alcuna intenzione di
prendere il Marchio sotto la loro ala.
449
A Edimburgo avevano sempre pensato che la storia
sarebbe finita così, con quella che per loro era la via di
uscita più dignitosa. La loro delegazione era arrivata a
Londra nella certezza di essere stata chiamata per
collaborare a tale processo, e una volta preso atto che il
vento soffiava in un’altra direzione non si sentivano
autorizzati a portare avanti una trattativa su premesse
diverse, né avevano portato alcuna proposta che le
contemplasse.
Con calore insistettero perché venisse sottoscritta una
richiesta alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra e al
Supremo Gran Capitolo d’Inghilterra di intervenire,
fino a che Francis Burdett – un anziano massone del
Gran Capitolo d’Irlanda cui era stato affidato il
maglietto per il secondo giorno di lavori –
bonariamente fece loro notare quanto irrealistiche
fossero tali speranze. Solo da quel punto in poi
cominciarono a emergere proposte più costruttive, ma
vaghe e appena abbozzate, e tutti si resero conto che il
processo di avvicinamento poteva dirsi appena
cominciato.

450
Infine fu stabilito che ogni parte rappresentata avrebbe
sottoposto ai propri organi direttivi la decisione di
«riconoscere un corpo massonico in Inghilterra
destinato a governare il grado del Marchio»; una
formulazione guardinga, in deprimente contrasto con il
clima di vera fratellanza che nel corso della riunione
tutti avevano assaporato. Per il resto, il Supremo Gran
Capitolo e la Gran Loggia del Marchio non erano
riusciti a raggiungere un accordo sul diritto di visita, e
meno che mai poteva dirsi risolto il problema degli
spiacevoli episodi di concorrenza avvenuti in passato.
Invece un passo avanti importante fu la proposta
inglese di unire sotto l’egida della Gran Loggia del
Marchio anche gli altri ancient degrees tuttora praticati
in Inghilterra – proposta a cui il Supremo Gran
Capitolo di Scozia avrebbe potuto opporre
innumerevoli obiezioni di carattere teorico, ma non
volle farlo. Possiamo quindi fissare a quel 4 aprile
1871 la data di nascita ufficiale dei side degrees del
Marchio.
In settembre, il Supremo Gran Capitolo alzò le colonne
di una nuova loggia nel Lancashire – la True

451
Friendship n° 26 di Cumberland – e per qualche giorno
sembrò che il clima di scontro frontale si fosse ricreato:
ma questa volta furono gli stessi maestri del Marchio
del Lancashire – spazientiti – a bypassare i vertici dei
loro corpi e intavolare negoziati. Per quanto non
esistano documenti riguardo a questa inedita trattativa
«di base», i risultati… furono assai migliori di quelli
ottenuti fino ad allora nelle alte sfere: il 4 giugno 1872,
la Gran Loggia del Marchio veniva informata con una
lettera che i maestri del Marchio del Lancashire erano
pronti alla fusione.
La data di quella che oggi viene ricordata come la
Lancashire Union fu il 2 ottobre 1872, quando si tenne
alla Freemasons’ Hall di Manchester una sessione della
Gran Loggia del Marchio. A lavori aperti, i due Grand
Past Masters provinciali del Supremo Gran Capitolo e
della Gran Loggia del Marchio rimisero solennemente
al gran maestro le loro patenti; nell’attimo in cui Portal
le ebbe in mano, la maggior parte dei superstiti maestri
del Marchio d’Inghilterra di obbedienza scozzese era
passata sotto l’ala della Gran Loggia.

452
Poi tutte le nuove officine presentarono lo stendardo al
gran maestro una per una: chiamati dal gran direttore
delle cerimonie, sfilarono gli ufficiali delle numerose
logge del Marchio esistenti tra Bolton, Manchester e
Barrow-in-Furness, mentre i fratelli tra le colonne
stentavano a dominare la forte emozione.
Dopo di ciò, il gran maestro comunicò con brevi parole
che tutti gli ufficiali e passati ufficiali già
all’obbedienza del Supremo Gran Capitolo di Scozia
venivano confermati nei loro ranghi e gradi; e già che
c’era, colse anche l’occasione per mandare un segnale
forte alle rimanenze del Supremo Gran Capitolo ancora
sparpagliate qua e là per l’Inghilterra, elevando alla
carica di secondo gran sorvegliante aggiunto tre fratelli
– uno ex Supremo Gran Capitolo e due della Gran
Loggia – che si erano particolarmente distinti nella
conduzione delle trattative.
Insieme a loro, fu elevato alla stessa carica anche
Binckles: un messaggio che – per chi voleva recepirlo
– era ancora più forte.
In effetti, guardando a questi avvenimenti da quasi un
secolo e mezzo di distanza, si fa fatica a capire il
453
comportamento del Supremo Gran Capitolo in quegli
anni: il tema ricorrente delle trattative ad alto livello
sempre disattese o interrotte – cui ogni volta facevano
seguito brucianti sconfitte sul campo – fa emergere con
chiarezza che, se la sua volontà di collaborazione fosse
stata espressa con maggiore continuità e senza
cedimenti, da un accordo ben negoziato con la Gran
Loggia del Marchio avrebbe potuto ottenere risultati
assai vantaggiosi.
Non dimentichiamo che una trattativa di quel genere
era priva di precedenti nella storia della massoneria:
mai si era verificato prima che un Gran Capitolo
dell’Arco Reale e un Ordine Sovrano entrassero in
competizione per la somministrazione di un dato grado,
e proprio l’eccezionalità del caso avrebbe autorizzato il
ricorso a soluzioni inedite, nell’ambito delle quali lo
storico legame tra Marchio e Arco Reale avrebbe
potuto essere codificato e preservato per i posteri. Il
fatto che ciò non si sia verificato – e che anzi le
modalità dell’unione abbiano sancito definitivamente
la separazione tra i due gradi – fa assumere in qualche
modo alla sequenza di avvenimenti che stiamo

454
narrando i connotati di un bizzarro copione scritto dal
destino.
Fa riflettere, per esempio, il fatto che alla sessione del
Supremo Gran Capitolo di Scozia tenutasi a
Edimburgo il 19 giugno le lettere delle logge del
Lancashire notificanti la propria secessione fossero
state lette e messe a verbale; ma «poiché nessun
delegato delle officine secessioniste era presente,
vennero archiviate senza nessuna ulteriore
discussione».
Cupio dissolvi? O semplice rassegnazione? O
addirittura un veto partito da Londra verso ogni
soluzione che potesse implicare il pericoloso
precedente di un accordo diretto tra Marchio e Arco
Reale?
Non lo sappiamo e non potremo mai saperlo, ma in
mancanza di dati emerge inevitabile la considerazione
che una volta di più il Supremo Gran Capitolo non fece
bella figura; e ancora meno l’avrebbe fatta tre anni
dopo, nel marzo 1875, quando innalzò le colonne di
una nuova loggia del Marchio a Fritzington, nel
Cumberland – notizia che fu accolta negli ambienti
455
massonici londinesi con reazioni molto vicine
all’ilarità. Sarebbe andata avanti sotto l’egida scozzese
per due anni e mezzo, prima di porsi spontaneamente
all’obbedienza della Gran Loggia del Marchio.
Nel novembre 1875, dopo una lunga corrispondenza
con il Supremo Gran Capitolo d’Inghilterra volta ad
assicurarsene il consenso, il Supremo Gran Capitolo
d’Irlanda poté riconoscere finalmente in forma ufficiale
non solo i passaporti della Gran Loggia del Marchio,
ma la Gran Loggia stessa. Nell’agosto del 1877 arrivò
il riconoscimento da parte del Gran Capitolo degli Stati
Uniti d’America; nel 1878 dai Gran Capitoli del
District of Columbia e del West Virginia, nel 1879 da
Illinois e Quebec, quest’ultimo il più gradito sul piano
sentimentale.
Il 18 giugno 1879 il Supremo Gran Capitolo di Scozia
alzò bandiera bianca. Il suo riconoscimento della Gran
Loggia del Marchio giunse a Londra freddo e inatteso,
senza essere stato preceduto da nessun abboccamento
preventivo. Era allegato a una dichiarazione di rinuncia
alla concessione di nuove patenti per l’Inghilterra, pur
con la riserva di valersi ancora di questo diritto in

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futuro. Con un apprezzato tocco di nobiltà, rivendicava
il proprio diritto a rilasciare patenti nelle colonie, «per
poter contribuire alla diffusione della Massoneria nel
mondo».
Trascorsero ben cinque anni prima che il Supremo
Gran Capitolo decidesse di inviare una propria
delegazione a una tornata di gran loggia: avvenne nel
giugno 1884, in occasione dell’installazione del nuovo
gran maestro, il conte di Kintore; non ne poteva fare a
meno, perchè Kintore… era il suo secondo gran
principale. Era scritto nelle stelle che anche l’ultimo
passo del percorso di riconciliazione fosse dovuto
avvenire per iniziativa della Gran Loggia del Marchio.

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