Introduzione
Il Disturbo dello Spettro Autistico, fino alla metà del ventesimo secolo non aveva un nome. Fu Leo
Kanner, del John’s Hopkins Hospital, nel 1943, in seguito ad uno studio su 11 bambini, a introdurre
nella lingua inglese la definizione di autismo infantile precoce (early infantile autisme). Nello
stesso periodo, Hans Asperger, un ricercatore austriaco, descrisse una forma più lieve di questo
disturbo, che venne, poi, coniato dalla psichiatra inglese Lorna Wing, in una rivista medica del
1981, come Sindrome di Asperger.
Questi disturbi attualmente sono catalogati, nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali, come due dei cinque Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, che attualmente sono più spesso
definiti come Disturbi dello Spettro Autistico (ASD Autism Spectrum Disorders). Le altre tipologie
di disturbo dello sviluppo sono: il disturbo disintegrativo dell’infanzia, la sindrome di Rett e il
disturbo pervasivo di sviluppo non altrimenti specificato (PDD-NOS).
Tutti questi disturbi sono caratterizzati da disabilità di gravità diversa nell’ambito delle capacità
comunicative e dell’interazione sociale, nonché da modelli di comportamento ristretti e ripetitivi.
Le strategie di intervento
Una volta diagnosticato un Disturbo dello Spettro Autistico, è importante conservare una copia
delle relazioni cliniche e i risultati delle valutazioni che sono state fatte al bambino, in modo da
documentarne l’idoneità a seguire i programmi speciali. Appare utile imparare il più possibile sui
programmi speciali per il bambino.
Varie sono le terapie proposte ma poche hanno un’evidenza scientifica, la psicofarmacologia può
trovare un utilizzo solo nel controllo di alcuni sintomi e nel trattamento delle complicazioni
psicopatologiche.
Gli interventi più utilizzati e validi sono quelli educativo-comportamentali, basati su un approccio
globale alla situazione individuale, familiare, scolastica del soggetto, allo scopo di individuarne le
risorse recuperabili e di facilitare cambiamenti adeguati dei contesti di vita.
I programmi di intervento cosiddetti ‘comportamentali’ sono finalizzati a modificare il
comportamento generale per renderlo funzionale ai compiti della vita di ogni giorno (alimentazione,
igiene personale, capacità di vestirsi) e tentano di reindirizzare i comportamenti indesiderati.
Un intervento riuscito dovrebbe consentire al soggetto autistico di restare il più possibile all'interno
della propria famiglia e della comunità, di acquisire l'autonomia personale e di veder rispettata la
propria dignità.