Sei sulla pagina 1di 8

1.3.

Teoria della creazione

Ci affrettiamo a osservare che l’appello alla nozione di creazione non è un sintomo di


fideismo, perché si tratta di una nozione raggiungibile dalla sola ragione naturale e, quindi, di
ordine filosofico.
La tesi creazionistica sostiene che la vita è stata creata dalla causa prima ed è apparsa
quando sono state poste le sue condizioni di possibilità. Non si pronuncia riguardo
all’apparizione immediata di tutte le singole specie o all’eventuale apparizione graduata di
diverse specie in momenti differenti.

* * *

Qui incontriamo lo spazio adatto per introdurre la celebre questione «creazione o


evoluzione». Occorre presentare subito i chiarimenti fondamentali a scanso di equivoci.

1. Prima di tutto bisogna dire che l’impostazione alternativa della questione («o
creazione o evoluzione») sbaglia COMPLETAMENTE il segno. Dà meraviglia qui la enorme
quantità di volte che si ripete lo stesso equivoco sia nei libri di scienze naturali che nei libri di
filosofia e anche nelle pubblicazioni di divulgazione. La creazione si pone a livello della
causa prima, ed è un rapporto della totalità della sostanza del creato al creatore, dell’ente
finito alla causa prima; la evoluzione è invece un processo intramondano e semmai fosse una
tesi attendibile, essa supporrebbe in ogni modo la creazione, perché dovrebbe supporre un
«materiale», la realtà corporea, appunto, da «evolvere». Di modo che opporre creazione ed
evoluzione significa non avere proprio idea dell’argomento che si tratta.

2. Perciò, quando l’evoluzionismo nega la creazione, non è più una tesi scientifica e si
converte in una tesi filosofica, giacché si pone non a livello dei fatti, ma a livello di
interpretazione dei fatti, nel senso che oltrepassa i dati dell’esperienza immediata e l’ambito
di competenza proprio della scienza empirica come tale. Questa precisazione è di un valore e
importanza insormontabili quando ci si accinge ad esaminare questi argomenti, perché sono di
solito gli «scienziati» coloro che sotto la scorza di conclusioni scientifiche altro non fanno che
introdurre i loro (molto rozzi) pregiudizi filosofici servendosi di una veste di scientificità.
Così facendo oltrepassano i limiti della loro legittima competenza, ingannando i lettori
ingenui e, molte volte, anche se stessi.

3. Dal punto di vista dei dati, abbiamo certe constatazioni innegabili. Una di queste è la
scala ontologica, per esempio, di carattere qualitativamente – non è detto che anche
cronologicamente – ascendente. Poi, la comparsa successiva di diverse specie.

4. Queste constatazioni però non parlano di derivazione. Non la prima, e neanche la


seconda. Bisogna avere molta cura per non cadere nel sofisma «post hoc, propter hoc».

5. In sede filosofica non è impossibile che la causa prima possa creare un mondo con un
disegno evolutivo. L’evoluzione così intesa non può sfuggire alla teleologia e si converte, in
questo modo, in un argomento in più a favore della causa ordinatrice, e forse più forte di
quanto non lo sia il fissismo.

6. Ciò che però l’autentica tesi evoluzionista-trasformista sostiene – nella misura in cui
vuol restare fedele ai propri principi: una eccezione è quella di coloro che ricorrono
all’azzardo – è chee la forma sostanziale dei viventi è intrinsecamente ordinata (finalizzata) a
modificare se stessa dando origine a partire dal proprio dinamismo a una forma sostanziale
di ordine superiore.

7. A questo si risponde che, dalla parte della materia, non ci sono obbiezioni perché essa
riceva per gradi delle forme ogni volta superiori: è potenza, appunto. Ma certamente è
impossibile che una forma sostanziale tenda da se, cioè a cagione della sua dinamica interna, a
modificare specificamente se stessa... a scopi di adattamento! Quello sarebbe la morte della
specie, non sarebbe adattamento. Pensare il dinamismo della forma come intrinsecamente
ordinato a modificare la forma stessa è pensare un ente in atto che agisca non in quanto è in
atto: se esso invece agisse in quanto è in atto, non potrebbe comunicare altro che il proprio
atto, cioè la propria forma.

8. Tuttavia è assolutamente impossibile che dalla potenza della materia venga fuori una
forma sussistente, una forma che abbia cioè l’essere indipendentemente dalla materia: la
sussistenza della forma trascende le capacità della materia e non c’è nessun agente che possa
quindi edurre una forma che superi quella capacità. Per questo la produzione dell’anima
sussistente è un effetto da attribuirsi direttamente alla causa prima. Questo è inoltre un punto
fermo e di fede: è precisamente uno dei casi in cui la fede funge da «norma negativa» per la
determinazione della verità di una proposizione filosofica.

2. L’origine della vita, dell’uomo e il problema dell’evoluzionismo

Detto ciò siamo in grado di fare qualche cenno all’evoluzionismo. Il termine


evoluzionismo deriva dal latino e-volvere che significa «muoversi in tondo». Indica la teoria
secondo cui la realtà progredisce costantemente, evolvendosi dalla materia inerte a quella
vivente, dalla vita vegetativa alla vita cosciente, dalla barbarie alla civiltà.

Le teorie evoluzioniste si sono sviluppate soprattutto nel XIX secolo, in un clima culturale
caratterizzato dal positivismo, e riguardano l’ambito cosmologico, biologico e antropologico.
Siccome per questi approcci soltanto l’empiricamente verificabile ha il diritto ad essere
ritenuto scientificamente vero, il concetto di evoluzione, presentato come scientifico e
positivo, venne utilizzato per spiegare la nascita dell’universo e della vita in sostituzione al
concetto di creazione – in quanto metafisico e non sperimentabile.

2.1. Cenni storici

Nel 1809 Jean-Baptiste Pierre Antoine de Monet, cavaliere di Lamarck (1744-1829)


pubblicò la sua Philosophie Zoologique, dove sosteneva che il passaggio da una specie
all’altra dipende dall’adattamento all’ambiente determinato dall’uso o dal disuso di certi
organi e dall’ereditarietà dei caratteri acquisiti: la funzione crea l’organo.
Nel 1859 Charles Darwin (1809-1882) pubblica L’origine delle specie in cui propone
l’ipotesi evoluzionista attribuendola al fattore della «lotta per la vita» e, più esattamente, della
selezione naturale: la natura tende a generare un numero di viventi molto superiore ai mezzi
di sopravvivenza disponibili, solo i più «adatti» riescono a sopravvivere grazie alle
caratteristiche che nella lotta per l’esistenza si rivelano dominanti e che trasmettono ai loro
discendenti; tutte le specie derivano da questo processo di mutazione-selezione casuale e
meccanicistico che esclude qualsiasi finalismo32.

32
K. Marx vedeva nella tesi di Darwin la «base scientifica per la lotta delle classi» (cfr. Lettera a Lasalle).
Con Herbert Spencer (1820-1903) l’evoluzionismo si allarga all’ambito culturale e
cosmologico. Secondo Spencer il compito della filosofia è di interpretare tutta la realtà alla
luce della legge dell’evoluzione che è la legge fondamentale della scienza: l’evoluzione è un
processo necessario che porta la materia «da una omogeneità indefinita e incoerente a una
eterogeneità definita e coerente, mentre il movimento conservato subisce una corrispondente
trasformazione» secondo un progresso anch’esso necessario.
Verso il 1930, viste le difficoltà e i problemi insolubili, sorse il Neodarwinismo o
dottrina sintetica (J. Huxley, T. Dobzhansky, Simpson e altri), che attribuiva l’evoluzione
trasformista non già al fattore della sola selezione naturale ma all’accumulazione di piccoli
mutamenti avvenuti a livello genetico durante lunghissimi periodi di tempo. Si contestavano
così le leggi dell’invarianza (Mendel 1900).
Le obiezioni dei matematici misero in serie difficoltà la dottrina, che ebbe un rilancio nel
1972 con Niles Eldredge e Stephen Jay Gould. Questi ipotizzarono il saltazionismo o
puntuazionismo: l’evoluzione sarebbe avvenuta tramite cambiamenti saltuari, discontinui e
bruschi, e ciò spiegherebbe l’assenza di forme intermedie fra i resti fossili. Ammettono
l’evoluzionismo trasformista ma non le spiegazioni gradualistiche del neodarwinismo. Gould
è così convinto dalla tesi evoluzionista, da affermare: «L’evoluzione è un fatto, come lo è la
caduta delle mele dagli alberi. Darwin propose una teoria, la selezione naturale, per spiegare il
fatto: la teoria di Newton sulla gravitazione fu superata dalla relatività generale; ma le mele
non fermavano la loro caduta a metà strada mentre i fisici discutevano la questione»33.

Che sia un fatto è appunto ciò che bisogna dimostrare. Prima di passare all’analisi
dell’argomentazione evoluzionistica facciamo alcuni rilievi critici di carattere sommario.
A proposito della teoria di Lamarck si può osservare che se non ci sono difficoltà logiche
nell’ammettere variazioni all’interno di una specie, risulta invece impossibile pensare che la
funzione, cioè l’esercizio, crei l’organo: la funzione suppone l’organo non lo produce; inoltre
la teoria di Lamarck non tiene conto del fatto che, alla luce delle conoscenze attuali, i caratteri
acquisiti non vengono ereditati.
Riguardo alla teoria di Darwin bisogna rilevare che la (ancora da dimostrare) selezione
trasformista non crea nulla, non determina le variazioni, ma sceglie tra quelle già esistenti.
Ma anche supposto che si determini una variazione che renda più adatto un certo soggetto alla
sopravvivenza, è possibile che essa compaia di colpo come struttura complessa, come organo
già formato e correlato agli altri? E se non è così, in che modo un abbozzo rudimentale può
risultare vantaggioso al suo portatore?
Le tesi di Spencer sono espressione di una ideologia materialista e non di una teoria
scientifica, perché le nozioni di movimento e di materia che vengono utilizzate sono nozioni
filosofiche.

2.2. I problemi posti dall’evoluzionismo e le sue argomentazioni

Le scuole evoluzionistiche si contraddistinguono dalla loro risposta affermativa alle


seguenti questioni: 1) Se un vivente possa sorgere dalla materia inorganica con un processo
esclusivamente naturale, cioè prescindendo da un intervento creativo della causa prima. 2) Se
un vivente possa essere generato da un vivente di specie diversa. Rispondendo alla prima
questione gli evoluzionismi radicali optano per la generazione spontanea in chiave
anticreazionistica; al secondo problema risponde la loro tesi trasformista, che esprime la
«differenza specifica» dell’evoluzionismo.

33
J. GOULD, «Enigmas of Evolution», Newsweek (29.03.82) 42.
2.2.1. Discussione della tesi trasformista e delle prove invocate in suo favore
Gli evoluzionisti sostengono che i mutamenti che stanno all’origine della derivazione
genetica trans-specifica avvengono lungo un molto-molto prolungato periodo di tempo,
magari di milioni e milioni di anni. Così, dopo una serie lentissima di piccoli mutamenti e
adattamenti all’ambiente, alla fine si arriva a un cambiamento così radicale da poter parlare di
trasformazione della specie. Vediamo le prove che adducono a difesa della loro tesi.
1) La prima prova è desunta dalla Tassonomia (e dall’anatomia comparata). Ritengono
possibile, dalle somiglianze riscontrate, risalire all’antenato comune.
2) Con richiamo all’embriologia si argomenta che il feto ripete, ricapitolando, tutte le
tappe dell’evoluzione della specie.
3) Ci si rifà all’ecologia per affermare che nelle diverse zone geografiche le specie
presentano caratteristiche diverse, prospettando così la soluzione trasformistica per motivi di
adattamento al medio ambiente.
4) Il punto più importante è però il richiamo ai resti fossili con la paleontologia.

Rispondiamo con ordine.


– Ad 1um) Non è un passaggio legittimo. La somiglianza non implica necessaria-
mente derivazione: la conclusione trasformista è un salto indebito.
– Ad 2um) La somiglianza è solo fenotipica e generica.
– Ad 3um) Non è argomento a favore del trasformismo, ma dell’adattamento all’am-
biente: si tratta di cose diverse. Dal punto di vista filosofico è ovvio che soggetti
diversi ricevono diversamente la forma.
– Ad 4um) Come vedremo, nessuna prova paleontologica si è mostrata fino ad ora
sufficientemente seria.

Consideriamo adesso più dettagliatamente alcune delle obiezioni più correnti contro
l’evoluzionismo trasformista.

La prima obiezione possiamo prenderla da Chesterton34. Infatti, per quanto lentamente io


possa proiettare una pellicola, non riuscirò mai a mutare l’argomento. Pensare che una forma
cambi la sua «programmazione» per il solo fatto di evolverla più lentamente è un’assurdità.
Qui è la fantasia con le sue illusioni a prendere il posto della scienza.

Molto note sono le obiezioni dei matematici. È stato ormai calcolato quanto tempo
sarebbe stato necessario all’evoluzione trasformista perché si giungesse alla situazione attuale,
partendo dalle forme di vita più elementari: per spiegare la situazione a partire dall’evoluzione
trasformista, progressiva e graduale, non basterebbe tutta l’età dell’universo35.
Non più ottimisti sono i risultati recati dal registro probabilistico. Monod, uno degli
evoluzionisti più intelligenti e convinti e del quale parleremo più avanti, riferendosi alle
possibilità reali di una combinazione di condizioni tali da permettere l’apparizione della vita
umana, afferma con giocosa ironia che il nostro numero è venuto fuori a Montecarlo36.

Dal punto di vista della morfologia biopaleontologica, se tutte le specie che noi oggi
vediamo fossero il risultato di una evoluzione trasformista progressiva, di una progressione,
se fosse vero che tutti gli esseri viventi fossero comunque protagonisti – anche oggi – di un

34
Cfr. The Everlasting Man, cap. II.
35
Cfr. G. GEROLA, «Il pregiudizio evoluzionista», Studi Cattolici, 237 (11/1980) 741-742. Per questo, come si vedrà più
avanti, è venuta fuori la dottrina del saltazionismo o equilibrio puntuato. Ma ciò distrugge completamente la teoria e altro non
è che cavarsela con un espediente apologetico poco serio.
36
Cfr. J. MONOD, Hasard e necessité.
grande, lento processo evolutivo, dovrebbe accadere un fatto, che invece non accade. Difatti:
dovremmo trovare intorno a noi un grandissimo numero di specie abbozzate, incomplete, che
si stanno formando, cioè evolvendo, in ritardo rispetto alla specie finale, alla specie finale
perfetta, verso la quale si stanno dirigendo, evolvendosi37. Invece, tutte le specie viventi che
noi conosciamo, tutte quante proprio sono, nel loro grado ovviamente, perfette, complete,
adattate all’ambiente. Non esistono, non vediamo, non ci sono, non conosciamo esseri viventi
– ma neanche specie – che siano incompleti, quindi che si stiano evolvendo.

L’evoluzionista dogmatico si difenderà dicendo che noi vediamo oggi l’ultima tappa,
quella definitiva, del processo.
Obiezione assurda e piena d’inganno. Prima di tutto, perché niente autorizza a siffatta
affermazione. Secondo, perché anche se fosse vero, le specie ormai perfette che allora si
evolvevano, avrebbero dovuto lasciare una quantità considerevole di tracce fossili
rudimentali. E non alcune, ma centinaia, migliaia..., perché per affermarsi un mutamento che
sia un tentativo di adattamento, stando alla tesi della selezione naturale che è alla base,
bisogna riconoscere che tantissimi altri non sono riusciti. Ma allora, le tracce?

Quindi, allo stato attuale delle ricerche scientifiche, la teoria evoluzionista non deve
essere considerata una tesi, una verità incontrovertibile, ma soltanto una ipotesi. Una ipotesi
che ha bisogno, per essere accreditata come vera, di altre prove, di altre ricerche, di altri dati.

2.2.2. Le fraudolenze pseudo-scientifiche di noti evoluzionisti


Tentativi, però, di accreditare l’ipotesi adducendo dei «fatti», non ci sono mancati.
Ognuno di noi ha sicuramente avuto opportunità di vedere nei libri di scuola e magari di aver
studiato l’immagine di quegli esseri che, secondo la teoria evoluzionista, avrebbero preceduto
l’uomo, i nostri progenitori: grandi animali, metà scimmia e metà uomini, in posizione eretta
ma talvolta curva, con lungo pelo, braccia penzoloni, muso allungato. Esseri che pian piano si
sono raddrizzati, hanno perso il pelo, accorciato le braccia, fino a diventare simili a noi.
Tutto questo non riflette fatti, ma immaginazioni di certi «scienziati». Non ci sono prove
che l’uomo derivi dalla scimmia, dallo scimpanzé, dal gorilla. Non ci sono prove che le ossa
di esseri viventi, presunti nostri antenati, quelle poche che sono state trovate, siano
appartenute ad esseri pelosi, ingobbiti, più simili alle scimmie che a noi. Le uniche prove
dimostrano che sono esistiti, uomini completamente fatti e finiti ed esistono, e sono esistite,
scimmie fatte e finite.
Gli evoluzionisti però hanno cercato di introdurre l’idea della specie intermedia, a metà
strada fra la scimmia e l’uomo. Fin dall’inizio si son messi con tutto entusiasmo alla fatica di
trovare l’antenato perduto, allo scopo di dare alla ipotesi un, seppur vago, sostentamento
scientifico: si sono dedicati alla ricerca delle ossa più di quanto non lo faccia il cane per
conservare il proprio. La passione però travisa delle volte l’intelletto.

a) L’uomo di Piltdown
È famosissimo il caso dell’uomo di Piltdown. Intorno agli anni 1909-1915 vennero
scoperti in Inghilterra i resti di un essere vivente, vissuto circa 300.000 anni fa, che fu
chiamato «uomo dell’alba». Finalmente era stato trovato l’anello mancante!

37
Ci si permetta osservare anche come l’ipotesi evoluzionistica si mostra «filosofica» dal momento che non può fare a meno
della nozione di «perfezione»: perché non concepire invece tutto come non-fisso e in movimento verso... verso «ché»? In una
dottrina coerente tutto sarebbe permanentemente «im-perfetto» e quindi «non-migliore» e quindi «non-evoluto». E allora è
crollata di nuovo.
La prova era data da una calotta cranica con capacità cerebrale superiore a quella di una
scimmia, ma inferiore a quella di un uomo moderno. Fu datata vecchia di 500.000 anni.
Accanto alla calotta cranica, fu trovata una mandibola: apparteneva certamente ad una
scimmia e tutti furono del parere che fosse stata una volta attaccata alla calotta. Poi furono
trovati denti di ippopotamo, ossa di animali estinti e pietre rozzamente lavorate.
Questi resti furono subito accolti solennemente nel prestigioso Museo Britannico e in
tutti i Libri anteriori al 1953 si scrisse che era stata trovata finalmente la prova che l’uomo
viene dalla scimmia.

Quale sorpresa quando, proprio in quell’anno, si scoprì che si trattava di una truffa. La
mandibola della scimmia non apparteneva a quel cranio. Questo cranio non aveva i 500.000
anni che gli erano stati attribuiti e i reperti «rozzamente lavorati» erano stati appositamente
limati e verniciati.

b) L’uomo di Cioukou-Tien (Sinanthropus pekinensis)


Prima del 1930 furono incontrati due molari primitivi, in una grotta 50 km lontana da
Pekino. I successivi scavi, nei quali svolse un ruolo di primo piano l’eretico sacerdote gesuita
Teilhard de Chardin, permisero di trovare un molare certamente umano e Davison Black,
professore di Anatomia a Pekino, soltanto con quella base, diede alla ormai nuova specie di
uomo il nome di Sinanthropus pekinensis. Subito comparirono più resti: frammenti di cranio,
di denti, di mandibole... fino a che nel ’29 si venne a scoprire un cranio completo e, un po’
dopo, pezzi di un altro che potè essere ricostruito.
Black morì nel ’34 e lo sostituì alla catedra Franz Weidenreich, i cui studi lo portarono a
concludere che si trattava di un vero uomo, sebbene primitivo, dal momento che camminava
in posizione eretta e anche a motivo di certe caratteristiche del cranio. Da rilevare anche il
fatto che nella grotta furono trovati insieme a queste ossa molti strumenti e dati che
permettevano di conoscere il modo del loro uso e del fuoco.
Weidenreich però inciampò in molti enigmi. Uno di essi erano i resti di sette individui
che sembravano morti di morte violenta, perché i crani erano stati perforati e presentavano
delle rotture. Inoltre, sebbene a pochi metri dalle altre grotte, sembravano di molto posteriori
all’uomo di Pekino, e si trovavano insieme ad un tipo europeo, uno melanesiano e uno
eschimese. Ma, più importante ancora, verso il ’41 i resti trovati erano più di quaranta e
scomparirono misteriosamente: furono messi in una scatola per inviarli in America, ma il
treno che gli portava fu fermato dai giapponesi e non si è mai riuscito a sapere che fine fecero
le ossa. Soltanto abbiamo le copie di alcuni crani che fece Weidenreich, morto nel 1947.
L’uomo di Pekino continua, comunque, ad essere sfruttato. Soltanto con la base iniziale,
venne detto che abitò da quelle parti da 460.000 anni fino a 230.000 anni fa. Aveva una
capacità craniana minore di quella dell’uomo attuale, ma uno scheletro somigliante. Non
sapeva produrre il fuoco, ma sì poteva conservarlo e usarne. Durante tutto questo periodo le
sue capacità craniche si sarebbero sviluppate di più. Verso 300.000 anni fa ci sarebbe stato
sicuramente un crollo del tetto della grotta e allora gli abitanti si sarebbero visti nella
necessità di uscirne, da dove si fecero diverse ipotesi riguardanti il loro regime di vita e di
caccia per il vitto… Tutto questo lo si può trovare in un articolo pubblicato da due scienziati
cinesi nel 1983, dove pretendono ancora di far credere che si tratta di conclusioni di lavori
fatti negli ultimi anni. Tutto bugia38.

38
Cfr. W. RUKANG – L. SHENGLONG, «El hombre de Pekín», Investigación y ciencia, 83 (8/1983) 48-57. Nella traduzione
spagnola fatta per Cuba di un manuale russo di antropologia degli anni ’80 ho letto e visto (!) le immagini dell’uomo di
Pekino.
c) La Rivista «National Geographic»
Nel novembre 1999 la National Geographic ha pubblicato la foto di una lastra minerale
dove si vedeva un dinosauro con ali e piume. Nell’articolo corrispondente, il biologo Barry A.
Palevitz affermava: «È la prova che gli uccelli si sono evoluti da questi antichi rettili». Subito
dopo, si è venuto a sapere che il «fossile» era un falso, composto da due fossili diversi (un
uccello e un sauro) incollati assieme, opera dei contadini cinesi della zona di Liaoning, che
sfruttano e vendono (sul mercato nero) i fossili di un giacimento locale.

2.2.3. La discussione sul DNA


Dal ’93 nella Boston Review (rivista della più avanzata università scientifica d’America)
si svolge una discusione fra biologi, matematici, paleontologi e biochimici sul dogma
evoluzionista. È un dibbattito svolto su solide basi scientifiche.

L’evoluzionismo sostiene che nel DNA avvengono di continuo mutazioni accidentali. Il


genetista James Shapiro ricorda invece che le mutazioni del DNA sono rarissime. Perché «il
DNA è fornito di molti apparati di “correzione di bozze”, su vari livelli, che riconoscono e
rimuovono gli errori occorrenti durante la replicazione del DNA». Il DNA dunque si difende
attivamente proprio da quelle casuali accidentalità, in cui i neodarwinisti identificano il
motore dell’evoluzione. Il DNA è una delle strutture più stabili dell’universo: fatto di
proteine, si riproduce sempre uguale, opponendosi in modo attivo al degrado di tutte le cose.
Ci sono, certo, mutazioni frequenti. Ma queste sono quelle provocate dall’uomo su
animali di laboratorio, con radiazioni nucleari o con diversi agenti chimici che sconvolgono
brutalmente la struttura del DNA. Soltanto che queste esperienze costituiscono un fatto che
depone innegabilmente in favore dell’invervento di una intelligenza superiore, che è ciò che
gli evoluzionisti vorrebbero negare.
Valga com’esempio il caso del moscerino della frutta (Drosophila Melanogaster), che è
uno degl’insetti preferito dai genetisti evoluzionisti perchè produce una generazione nuova
ogni mese. Studiato da 80 anni in tutti i laboratori del pianeta, è stato «torturato» a volontà,
soffrendo milioni di mutazioni. Tutte, nessuna esclusa, diminuiscono la sua attitudine alla vita
(mancanza di occhi, di ali, di zampe), di modo ché i poveri mutanti possono vivere solo in
laboratorio, grazie alle cure degli sperimentatori e in natura sarebbero morti prima di
trasmettere il loro patrimonio genetico ai discendenti. Meno che mai la drosofila ha dato
luogo ad altra specie. Inoltre, è stato trovata in maniera praticamente identica alla sua
condizione attuale nell’ambra del Baltico. Sentiamo un autorevole biologo della Sorbona:
«L’ambra è la resina fossile del pino: il moscerino è rimasto lì incollato da 50 milioni d’anni:
è lo stesso di quello che esiste oggi e, comunque, è un tipo di animale facilmente mutevole»339.

2.2.4. La complessità irriducibile dei viventi


Una nuova generazione di scienziati sostiene in base a questi fatti che gli esseri viventi
sono il frutto di un intelligent design. «È una teoria pienamente scientifica che formuliamo
come tale», ha scritto William Dembski, logico-matematico della Notre Dame University.
Il fondamento per questa asserzione è che troppi apparati delle creature viventi
presentano una complessità irriducibile. Michael Behe, biochimico della Leighton University,
propone come esempio di questa complessità irriducibile il caso della trappola per topi: è
costituita di cinque pezzi – una molla, la fagliela, il gancetto che tiene la tagliola, l’esca, la

39
R. CHAUVIN, La biologie de l’esprit, Monaco 1985, 23. Aggiunge immediatamente: «E c’è di più: la terra conta con un
elevato numero di animali pancronici, specie che sembrano di essere scappate al tempo giacché hanno perdurato senza
cambiamenti durante milioni di anni».
tavoletta su cui il tutto è inchiodato. È una macchina molto semplice, ma la sua semplicità non
può essere ridotta, cioè, se manca un solo pezzo, non è che la trappola funzioni meno bene:
non funziona affatto. Dunque, non può essersi formata a poco a poco, con aggiunte e
miglioramenti: essa è stata progettata fin dall’inizio così. Molti apparati di esseri viventi sono
ugualmente «irriducibili». Non funzionano se mancano anche solo di un componente.

A conferma di quanto è stato appena detto, presentiamo due casi. Il picchio ha una lingua
lunga 15 centimetri, quanto il suo corpo, arrotolata attorno al cranio, come una fionda. La
lingua parte dal becco all’indietro, gira attorno al cranio e ritorna al becco dalla parte opposta:
ora, non è possibile che una lingua così straordinaria si sia «evoluta» per gradi. Il solo fatto
che sia rivolta all’indietro avrebbe reso impossibile la nutrizione a generazioni di progenitori
del picchio, finchè l’apparato non avesse raggiunto la necessaria lunghezza.
Il secondo caso è quello dello limulus, una specie di granchio corazzato che vive sulle
coste dell’Atlantico. Lo si considera un fossile vivente, presente in strati fossili da 300 milioni
di anni (e sempre uguale). Di recente s’è scoperto che gli occhi del limulus, di notte,
aumentano il loro potere visivo di un milione di volte: altro che occhi «primitivi»! Sono più
sofisticati degli apparecchi elettronici a visione notturna usati per scopi militari.

2.2.5. Discussione della nozione stessa di evoluzione


Le definizioni di Evoluzione40, che si trovano nei vocabolari letterari, sono esattamente
quello di cui gli scienziati non vogliono sentir parlare. Il Devoto-Oli trae: «passaggio lento e
graduale degli organismi viventi da forme inferiori e rudimentali a forme sempre più
complesse». Sbagliato, dichiarano gli scienziati di Harvard: l’evoluzione organica è una
forma di adattamento locale che non implica alcuna forma di progresso. Poi ci ripensano e
concludono che «adattamento» non significa nulla: vuol dire «sopravvivenza», così che la
migliore definizione dell’Evoluzione è la «sopravvivenza dei sopravvissuti». Nei glossari dei
testi scientifici possiamo trovare come definizione di Evoluzione qualcosa del genere:
«cambiamento di frequenze geniche in una popolazione».
Ma allora che cos’è l’Evoluzionismo? È l’ovvietà secondo cui, se le cose ci sono, e un
tempo non c’erano, in qualche modo e a un certo punto devono pur essersi formate, e il modo
più banale e inoffensivo è quello di essersi formate un po’ per volta, graduatamente, passando
dall’una all’altra. Questo vale per le nebulose, per gli organismi, per le lingue, per le culture,
per gli strumenti musicali, per la tecnica, per tutto. Tale convinzione contiene l’ottimismo
dell’ignorante, secondo cui all’inizio c’era l’amorfo e l’approssimato e poi è venuta l’opera
raffinata; cioè l’idea che l’uomo sia nato dalla scimmia, un po’ per volta, per adattamenti, per
tentativi. Fatto di cui non esiste l’ombra d’una prova, e non esiste la facoltà di dubitare.

Concludiamo dicendo che sia il costante mutamento della nozione stessa, che il
succedersi delle ipotesi e dei tentativi di spiegazione, costituiscono non già una dimostrazione
della evoluzione delle specie, ma piuttosto una mostra pratica della evoluzione trasformista
della fede evoluzionista.

3. La produzione delle anime

La risposta al problema dell’origine della vita non sarà completa finché non avremo
studiato bene il problema dell’origine delle anime. Dobbiamo porci, dunque, la domanda
riguardante la produzione dell’anima, e in particolare quella riguardante la produzione
dell’anima umana.

40
In questo punto seguiamo quasi letteralmente il noto ricercatore italiano G. Sermonti.

Potrebbero piacerti anche