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RELAZIONE DI LAUREA IN
CHIMICA GENERALE E INORGANICA
(Matricola 941509)
INTRODUZIONE pag.3
CONCLUSIONE pag.35
BIBLIOGRAFIA pag.36
a. Pubblicazioni militari
b. Pubblicazioni non militari
c. Sitografia
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INTRODUZIONE
Tutti noi abbiamo visto almeno una volta in televisione o al cinema delle riprese
di esplosioni senza capire bene però come una piccola massa di esplosivo
potesse sprigionare un’energia simile in così poco tempo e in maniera così
distruttiva; molti ne sono contemporaneamente affascinati e spaventati da tale
fenomeno.
Nella mia relazione di laurea cercherò di descrivere come avviene un’esplosione
iniziando dalla scoperta della polvere nera migliaia di anni fa, fino ai moderni
esplosivi e scendendo nel dettaglio dei gruppi funzionali che li caratterizzano dal
punto di vista chimico.
Successivamente analizzerò i parametri che influenzano le prestazioni di un
esplosivo e dei saggi ed esperimenti che empiricamente hanno permesso di
misurare le suddette caratteristiche.
Il capitolo successivo è incentrato sulla classificazione degli esplosivi moderni,
con un approfondimento sul tritolo perché è forse l’esplosivo più diffuso tra le
forze armate di tutto il mondo e per concludere, l’ultimo capitolo è dedicato agli
esplosivi che si possono realizzare artigianalmente e che vengono utilizzati per
scopi terroristici.
Ho scelto di trattare questo argomento per 2 motivi: il primo è perché volevo
comprendere gli aspetti fisico-chimici del fenomeno esplosivo e il secondo è
perché in quanto Ufficiale dell’arma del genio, una conoscenza approfondita
delle caratteristiche degli esplosivi avrà un peso molto importante nel mio
bagaglio di conoscenze professionali.
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1. CENNI STORICI SULLA SCOPERTA DEGLI ESPOSIVI
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Nei secoli successivi gli studi e gli esperimenti portarono ad una rapida
evoluzione della polvere nera, anche se il concetto di base, sviluppato da molti
scienziati, era sempre lo stesso: rendere più potenti gli effetti della combustione
delle polveri a contatto con gli inneschi. Tra i prodotti chimici più usati c’erano il
nitrato di ammonio, la polvere di alluminio, il nitrato di potassio ma uno dei
problemi principali da risolvere era quello di rendere le polveri il più possibile
stabili, per evitare esplosioni accidentali. Soltanto verso la seconda metà
dell’Ottocento videro la luce altri esplosivi oltre alla polvere nera, soprattutto
grazie al notevole impulso che la seconda rivoluzione industriale aveva dato
all’industria chimica e grazie anche alle nuove opportunità di utilizzo che aveva
prodotto.
Fu di grande rilievo l’invenzione della nitroglicerina che erroneamente viene
attribuita al celebre scienziato svedese Alfred Nobel ma che in realtà è da
attribuirsi al chimico torinese Ascanio Sobrero. Egli fu avviato agli studi chimici
dallo zio Carlo Raffaele Sobrero che all’epoca era un generale di artiglieria e fu
anche comandante dell’arsenale di Torino; Ascanio Sobrero riuscì ad ottenere
la nitroglicerina in seguito a numerose ricerche sull’acido nitrico e riconobbe fin
da subito le eccezionali qualità esplosive e le attività vasodilatatrici, Il suo
esperimento fu pubblicato sui «Comptes Rendus de l'Academie de France» nel
1847 e lo possiamo considerare formalmente come l'atto di nascita di questo
composto. Tuttavia, nei primi tempi la nitroglicerina non aveva un utilizzo pratico
perché era estremamente sensibile agli urti e alle variazioni termiche, cosa che
ne rendeva la produzione altamente pericolosa; fu Alfred Nobel che ebbe il
merito di riuscire a stabilizzare il composto gelatinizzandolo e avviandone la
produzione sotto forma di candelotti che fecero grande fortuna nell’industria
mineraria e delle demolizioni. Ufficialmente il brevetto della dinamite fu
depositato agli inizi del 1867 ma essa continuò a progredire aumentando la
sicurezza di utilizzo e quindi di conseguenza anche gli ambiti di impiego ponendo
così le basi per lo studio delle sostanze esplosive che ha portato alla creazione
di esplosivi sempre più potenti e relativamente sicuri come ad esempio
l’esplosivo al plastico e il tritolo, la cui origine risale al 1880 grazie a H. Kropp e
nel giro di qualche anno inizia ad essere prodotto su scala industriale divenendo,
per le epoche a seguire, uno degli esplosivi più largamente utilizzati.
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2. DESCRIZIONE DEL FENOMENO ESPLOSIVO
Dopo aver fornito qualche cenno storico circa la scoperta di alcuni tra gli esplosivi
più comuni, passiamo dunque ad analizzare il fenomeno esplosivo vero e proprio
cercando di identificare gli elementi chimici e fisici di cui si caratterizza.
Per prima cosa è necessario capire cosa si intende per esplosione; secondo il
manuale “lezioni di esplosivi” della scuola del Genio, si intende il rapidissimo
spostamento dell’equilibrio fisico o chimico-fisico di un corpo o sistema di corpi
che si conclude in un grande aumento del volume iniziale. Tale fenomeno può
essere stato causato o dall’instabilità dell’equilibrio stesso o da cause esterne
come ad esempio l’evaporazione di un liquido surriscaldato, l’espansione di gas
fortemente compressi oppure ancora, un aumento di temperatura tale da
consentire trasformazioni chimiche ad alta velocità di reazione con la formazione
di un’elevata quantità di gas. Gli effetti dell’esplosione sono dovuti alla
trasformazione dell’energia posseduta dai gas in lavoro meccanico.
Pertanto, in base a tale definizione potremmo considerare come materiale
esplosivo anche una quantità di gas che viene compressa in un cilindro a tal
punto da causarne la rottura; è evidente però che il lavoro prodotto da tale
fenomeno non risulta sfruttabile sul piano pratico perciò tali esplosioni, dette di
indole “fisica”, non trovano applicazione. Diverso è il caso delle esplosioni di
indole “chimico-fisica” che sono prodotte da esplosivi detti appunto di tipo
chimico.
Questi esplosivi danno origine, nell’esplosione, a reazioni rapidissime di
decomposizione e combustione (ossido-riduzione) delle sostanze risultanti con
l’ossigeno che può essere contenuto nell’esplosivo stesso oppure preso
dall’ambiente, sono reazioni chimiche autosostenenti fortemente esotermiche in
grado di produrre sostanze gassose (CO, CO2, N2, H2O, H2 ecc.) finalizzate a
generare effetti:
• meccanici: sotto forma di onda diretta e onda retrograda che sommate
danno origine alla cosiddetta onda esplosiva ed inoltre una notevole onda
di pressione avvertibile acusticamente
• termici: dovuti alla produzione di calore ad alta temperatura
• luminosi: dovuti alla vampata di fuoco che si sprigiona.
Il termine autosostenente si riferisce al fatto che la reazione in presenza di
combustibile e comburente continua a propagarsi fino all’esaurimento di una
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delle due componenti, il questo caso la funzione di combustibile (riducente) è
svolta dalla porzione idrocarburica (C, H) e la funzione di comburente (ossidante)
è svolta dall’ossigeno presente nei gruppi esplosofori.
È interessante notare che l’energia sprigionata da una reazione esplosiva è dello
stesso ordine di grandezza di quella sprigionata da una comune reazione di
ossidazione, la differenza risiede nel fatto che nel primo caso essa viene
rilasciata in una frazione di secondo mentre nel secondo caso viene rilasciata
più lentamente, di conseguenza la reazione di esplosione sarà molto più potente
proprio perché è molto più veloce.
A seconda della velocità di reazione un esplosivo può dare origine a 4 tipologie
diverse di reazione:
1. Decomposizione lenta o corrosione: avviene a temperature normali,
fuori dal contatto con una fiamma o altro genere di inneschi, e può
impiegare un arco di tempo che va da qualche giorno fino anche a
qualche anno. Questa reazione è esotermica e porta l’esplosivo ad
attraversare stadi successivi di alterazione con la formazione di prodotti
finali completamente diversi d quelli a cui avrebbe dato origine una
deflagrazione o una detonazione; tuttavia essa può aumentare la sua
velocità fino a trasformarsi in esplosione se il calore che rilascia non viene
adeguatamente disperso nell’ambiente e porta ad un aumento di
temperatura della sostanza stessa.
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3. Deflagrazione: è una reazione che si propaga con una velocità
nell’ordine delle centinaia di metri al secondo e non supera i 1000 m/s.
questa reazione è tipica degli esplosivi che si presentano in polveri o grani
e provoca un aumento progressivo delle pressioni, cosa che permette di
sfruttare l’energia sviluppata come forza propellente. La reazione si
trasmette di strato in strato per accensione, poi per infiammazione ed in
fine per combustione, influisce notevolmente la superficie di ogni grano,
infatti essa viene scelta accuratamente in base alle velocità che si vuole
far assumere alla reazione. Essa ha inizio per un adeguata causa esterna
che piò essere una fiamma o un filo conduttore attraversato da corrente
elettrica, durante la prima fase (accensione) i grani entrano a contatto con
la sorgente di calore, quindi si verifica l’infiammazione istantanea di tutte
le particelle poste sulla superficie dell’esplosivo ed infine la combustione
si propaga per strati concentrici e paralleli dall’esterno verso l’interno.
Ipotizzando che l’infiammazione sia simultanea in tutti i grani, la
propagazione della reazione in ogni grano determina anche la velocità di
deflagrazione; basandoci su queste considerazioni possiamo enunciare
le 4 leggi della combustione:
a) Legge di Piobert: la combustione di ogni grano avviene per strati
concentrici e si propaga in direzione perpendicolare alla superficie
del grano stesso; infatti se avessimo la possibilità di fermare la
combustione, noteremmo che i grani hanno conservato la loro
forma originale ma con dimensione ridotta.
b) Legge di Vielle: la velocità di propagazione in ogni grano è
proporzionale alla pressione esercitata dai gas prodotti.
c) Legge secondo la quale la velocità di combustione cresce in
maniera esponenziale con l’aumentare della temperatura, perché
le costanti di velocità di una reazione chimica dipendono dalla
temperatura secondo una legge esponenziale.
d) Legge secondo la quale la pressione in ogni istante, è uguale in
tutti i punti della carica deflagrante.
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deflagrazione, in cui la velocità di reazione dipendeva principalmente da
parametri fisici come pressione temperatura dell’ambiente in cui si
sviluppa la reazione, nella detonazione la velocità dipende
essenzialmente dalle caratteristiche chimiche dell’esplosivo; un’altra
differenza risiede nel fatto che la reazione di accensione coinvolge
simultaneamente tutta la superficie del grano, e quindi la pressione e
temperatura dei gas che si sviluppano rimane costante in ogni punto,
mentre nella detonazione l’esplosivo tende a rimanere nel suo stato
iniziale finché non viene investito dal fronte di propagazione della
detonazione, che si propaga appunto come un onda d’urto a velocità
costante, pertanto si parla di onda esplosiva.
È proprio a causa di tale aspetto che per innescare una reazione
detonante non è sufficiente accendere l’esplosivo ma è necessario
scatenare l’onda esplosiva per permettere all’energia cinetica di
trasformarsi in calore e propagare la decomposizione dell’esplosivo che
darà luogo ad un altro urto innescando la reazione autosostenente. La
reazione si propaga in modo radiale dal punto in cui avviene l’urto
esplosivo e sarà tanto più rapida e più energica quanto maggiore è la
compattezza e la densità dell’esplosivo.
Gli esplosivi detonanti possono raggiungere il regime di detonazione in
fasi diverse della reazione esplosiva: alcuni lo raggiungono sin dall’inizio
poiché il calore liberato dalla decomposizione iniziale è sufficiente a
generare l’onda d’urto e questi esplosivi vengono detti innescanti primari;
altri esplosivi prima assumono un regime di deflagrazione che aumenta
progressivamente fino a raggiungere la velocità di detonazione che
rimane costante fino all’esaurirsi della reazione e questo tipo di esplosivi
vengono definiti esplosivi dirompenti. Tali passaggi avvengono in frazioni
di tempo rapidissime che si attestano nell’ordine di pochi microsecondi.
Il gruppo esplosoforo
Come abbiamo anticipato in precedenza, la reazione di esplosione è una
reazione di ossidoriduzione in cui una sostanza esplosiva si decompone nei suoi
costituenti chimici per poi ricombinarsi in sostanze con un livello energetico
inferiore a quello dei prodotti iniziali, per cui l’energia che si sprigiona è quella
assorbita inizialmente per rompere i legami.
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Affinché ciò avvenga, gli esplosivi devono avere legami di atomi con
elettronegatività simile o uguale e legami di atomi con elettronegatività molto
diversa in modo tale da permettere, una volta rotti, la ricombinazione in composti
caratterizzati da legami polari.
Gli esplosivi sono costituiti principalmente da carbonio, idrogeno, ossigeno e
azoto che presenta un’elettronegatività intermedia tra carbonio e ossigeno;
possiamo schematizzare una molecola generica esplosiva come:
parte combustibile (C, H) — ponte azoto (N) — parte ossidante (O)
Durante la reazione esplosiva si rompono i legami non polari del ponte azoto che
è il punto più vulnerabile della molecola, permettendo la reazione tra l’ossigeno
e la parte combustibile attraverso la formazione di legami polari. La molecola
esplosiva quindi comprende da un lato la catena di atomi di carbonio che può
essere aromatica o alifatica e svolge la funzione di combustibile; e dall’altro lato
alcuni gruppi funzionali ricchi di ossigeno che svolgono la funzione di
comburente e per i quali è stato coniato il termine di gruppi esplosofori: (elenco
tratto da “chimica degli esplosivi e dei propellenti”)
-O-NO2 Negli esteri nitrici e nei nitrati
-NO2 Nei nitrocomposti aromatici e alifatici
=N-NO2 Nelle nitroammine
-N=N- Nelle azidi
NºN--N+- Negli azotidrati
-NX2 X=alogeno
-O-N=C Nei fulminati
-O-ClO2 Nei clorati
-O-ClO3 Nei perclorati
-CºC- Negli acetiluri metallici
Me-C- In alcuni composti organometallici
-O-O- Nei perossidi
-O-O-O- Negli ozonuri
I gruppi esplosofori possono essere classificati in 2 macro-categorie: esplosofori
primari e secondari. Alla categoria dei primari appartengono gli esteri nitrici, i
nitrocomposti aromatici e alifatici ed infine le nitroammine; alla categoria dei
quelli secondari invece appartengono tutti i rimanenti. I gruppi primari sono
responsabili dell’elevata potenza e della brisanza dell’esplosivo a cui danno
origine, che sono massime nel caso in cui il bilancio di ossigeno sia positivo, ciò
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non avviene nei gruppi secondari in cui il bilancio di ossigeno è negativo e la
potenza è inferiore, perciò nella sintesi dei cosiddetti alti esplosivi vengono
utilizzati esplosofori primari.
Se su una molecola sono presenti più esplosofori primari il composto prende il
nome di ibrido e la sua potenza eguaglia o può addirittura superare quella dei
composti puri; questa caratteristica ha aumentato a dismisura la possibilità di
sintesi di sostanze esplosive.
Oltre ai gruppi esplosofori gli esplosivi contengono altre molecole che possono
modificarne le caratteristiche, questi gruppi vengono detti auxoplosivi e sono ad
esempio il gruppo ossidrile, carbonile, carbossile, amminico, solfidrico oppure un
elemento alogeno; questi gruppi possono influire positivamente sul bilancio di
ossigeno ma al contempo influire negativamente sulla potenza, essi vengono
utilizzati perché rendono più semplice la produzione degli esplosivi.
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3. CARATTERISTICHE DELLE REAZIONI ESPLOSIVE
Bilancio di ossigeno
Il bilancio di ossigeno esprime in % la quantità di ossigeno residua dopo che tutti
gli elementi che compongono la molecola o la miscela esplosiva sono stati
completamente ossidati.
Il bilancio di ossigeno può essere positivo, negativo o nullo:
- È negativo quando la quantità di ossigeno presente nella molecola non è
sufficiente ad ossidare completamente i reagenti, si esprime come
percentuale in peso di ossigeno ed è preceduto da un segno meno ( - ).
Rappresenta l’ossigeno che manca per completare l’ossidazione di tutti gli
elementi.
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- È positivo quando la quantità di ossigeno è maggiore di quella necessaria
ad un’ossidazione completa di tutti i reagenti, analogamente al caso del
b.o. negativo è espresso come percentuale in peso preceduta da un segno
più (+) e indica l’ossigeno che è avanzato dalla reazione.
- È nullo quando la quantità di ossigeno dei reagenti è esattamente quella
necessaria a completarne l’ossidazione.
Per gli esplosivi a bilancio positivo o nullo pur tralasciando le dissociazioni
dell’acqua, della CO2 e la formazione di ossidi di azoto, è più semplice scrivere la
reazione della decomposizione; mentre per gli esplosivi a bilancio negativo si
procede diversamente, se la quantità di ossigeno è tale da consentire a tutti i
prodotti di passare allo stato gassoso senza lasciare residui carboniosi solidi, si
stabilirà il seguente equilibrio:
CO2 + H2 ↔ CO + H2O - 10 kcal
Consideriamo adesso la reazione di esplosione generalizzata:
𝑫
CAHBOCND x CO2 + y CO + z H2O + u H2 + 𝟐
N2
Per bilanciarla è sufficiente ricavare i coefficienti stechiometrici delle seguenti
relazioni, fissando una temperatura in kelvin per la quale corrisponde un valore di
K nella tabella 1:
T(K°) K T(K°) K
1000 0,6031 2000 4,458
1100 0,8676 2500 5,86
1200 1,175 2800 6,52
1300 1,518 3000 6,96
1400 1,892 3500 8,02
1500 2,289 4000 8,15
1600 2,704 4400 8,25
1700 3,132 4800 8,35
1800 3,570 5000 8,40
1900 4,013
Tabella 1 - Valori della costante K a temperature comprese tra 1000 K° e 5000K° - tabella tratta dal volume
"CHIMICA DEGLI ESPLOSIVI E DEI PROPELLENTI" - pag. 44
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x+y=A
2(z + u) = B
2x + y + z = C
A questo punto se si esprimono le 3 incognite in funzione della quarta si ottiene:
𝒚∗𝒛 (𝑨 − 𝒙)(𝑪 − 𝑨 − 𝒙)
𝑲= =
𝒙∗𝒖 𝑩
𝒙( 𝟐 − 𝑪 + 𝑨 + 𝒙)
Se i risultati del calcolo non sono quelli attesi allora è necessario ripeterlo
basandosi su un valore più adatto della temperatura di esplosione.
Il bilancio di ossigeno incide sugli aspetti collegati all’efficacia degli esplosivi e
sulla tossicità dei gas prodotti, ad esempio esplosivi con un bilancio di ossigeno
positivo offrono prestazioni superiori rispetto a quelli con un bilancio negativo
perché l’ossidazione completa degli elementi combustibili sprigiona una quantità
maggiore di energia.
Sotto l’aspetto della produzione di gas tossici invece gli esplosivi con un bilancio
di ossigeno fortemente orientato positivamente o negativamente producono
rispettivamente ossidi di azoto o ossido di carbonio, per questo nei lavori da mina
a causa degli ambienti chiusi si preferisce utilizzare esplosivi con un bilancio di
ossigeno nullo o comunque tendente a 0 come ad esempio le dinamiti.
Calore di esplosione
Come abbiamo anticipato la reazione di esplosione è fortemente esotermica cioè
produce un’enorme quantità di calore; si definisce calore di esplosione la quantità
di energia termica rilasciata in condizioni adiabatiche (cioè quando il sistema non
scambia calore con l’esterno) e a volume costante da una quantità nota di
esplosivo, si esprime in kcal/kg oppure in joule/g.
Può essere determinato sperimentalmente mediante una bomba calorimetrica o
calcolato come la differenza della somma delle entalpie dei prodotti
dell’esplosione meno le entalpie dei componenti di partenza. Il calore di
esplosione si può misurare a volume costante e a pressione costante, la
differenza tra i due è dovuta al lavoro che si sviluppa nell’espansione a pressione
costante. Tale concetto è connesso con quello di potenziale che rappresenta
l’equivalente sul piano meccanico del calore di esplosione, perché teoricamente
quantifica il lavoro massimo svolto da un kg di esplosivo se si trasforma
completamente in lavoro.
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Temperatura di esplosione
La temperatura di esplosione rappresenta il valore massimo di temperatura
registrabile durante l’esplosione; concretamente è molto difficile da misurare
sperimentalmente la causa di 3 aspetti:
- Il tempo di reazione estremamente breve che si attesta nell’ordine di
millesimi di secondo
- Le enormi pressioni che si sviluppano dalla reazione, che superano le
200.000 atm.
- Valori di temperatura tra i 3000 e i 6000 K.
Sul piano teorico la temperatura di esplosione si può calcolare con un’equazione
dal calore di esplosione a volume costante e i calori specifici dei prodotti di
reazione:
𝑑𝑄#
𝐶# =
𝑑𝑇
È importante sottolineare che i calori specifici non sono costanti ma sono
suscettibili sia alla temperatura e sia alla pressione.
Potenziale
Il potenziale rappresenta il lavoro massimo che un kg di esplosivo potrebbe
compiere se si trasformasse completamente in gas e fosse possibile convertire
tutto il calore di esplosione in lavoro; chiaramente ciò si può verificare solo in totale
assenza di perdite energetiche.
Volume specifico
Il volume specifico esprime la quantità di gas che si sviluppa da un kg di esplosivo
in condizioni di temperatura e pressione standard, ovvero a 0 C° e 1 atm, si misura
in L/Kg.
A differenza dei parametri precedenti, è un parametro facilmente calcolabile e
misurabile sia in maniera sperimentale e sia in maniera teorica; sperimentalmente
si calcola utilizzando una bomba manometrica collegata ad un gasometro mentre
il calcolo teorico può essere svolto se si conosce la stechiometria della razione
mediante la formula:
𝒏. 𝒅𝒊 𝒎𝒐𝒍𝒊 𝒅𝒊 𝒈𝒂𝒔 ∗ 𝑽𝒎 ∗ 𝟏𝟎𝟎𝟎
𝑽𝒌 =
𝒎𝒂𝒔𝒔𝒂 𝒊𝒏 𝒈 𝒅𝒊 𝒆𝒔𝒑𝒍𝒐𝒔𝒊𝒗𝒐
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Vm è il volume molare standard ovvero il volume che occupa una mole di gas a
temperatura e pressione standard e vale 22,414 L/mol
Per esplosivi con un bilancio di ossigeno fortemente negativo il volume dei gas
dipende dalla pressione raggiunta a momento dell’esplosione e dalla densità di
caricamento ovvero il rapporto tra il peso dell’esplosivo e il volume del recipiente.
Prodotto caratteristico
Il prodotto caratteristico è un parametro che mette in relazione il calore di
esplosione ed il volume specifico e si ottiene moltiplicando tra di loro i due
parametri.
Si tratta di un parametro puramente teorico per rappresentare l’efficacia di un
esplosivo e viene utilizzato principalmente per effettuare un confronto tra esplosivi
diversi.
Stabilità
È l’attitudine di un esplosivo di resistere all’autodecomposizione chimica, è tipica
di ogni esplosivo e dipende dalla purezza delle materie prime di cui è composto;
è tanto più alta quanto accurata è la selezione di tali materie prime. Se la sostanza
esplosiva è un miscuglio per la stabilità globale del composto si considera quella
della sostanza con la stabilità minore.
Merita un’attenzione particolare il comportamento delle nitrocellulose perché esse
tendono a decomporsi già a temperatura ambiente con la formazione di prodotti
acidi e nitrosi o ossidi di azoto i quali fungono da catalizzatori e accelerano la
reazione. La velocità della decomposizione è aumentata ulteriormente dalla
temperatura e dall’umidità che comportano una situazione di pericolo sia
nell’utilizzo sia nello stoccaggio.
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permette di pressarli all’interno di fori e spazi stretti senza esplodere. Ciò è
possibile grazie a sostanze dette stabilizzanti o flemmatizzanti che
penetrano nella massa esplosiva e si frappongono tra le molecole
aumentando la stabilità; tale processo prende il nome di flemmatizzazione.
• Attrito: esplosivi sensibili all’attrito tendono a decomporsi quando la massa
esplosiva striscia su una superficie
• Calore: esplosivi sensibili al calore tendono ad esplodere in seguito ad un
aumento di temperatura che in primo luogo provoca l’accensione della
carica ma se la sensibilità all’esplosivo è alta, allora è molto probabile che
la combustione si trasformi in deflagrazione e detonazione; per
convenzione la temperatura media di accensione delle sostanze esplosive
si aggira intorno ai 300 C°
• Innescamento: indica la propensione di un esplosivo a iniziare la reazione
a causa dell’azione data da un cosiddetto mezzo di innescamento in quale
agisce con maggiore o minore intensità in relazione alla sensibilità
dell’esplosivo. I mezzi di innescamento per funzionare fanno leva sulla
sensibilità al calore o agli urti di un esplosivo, per esplosivi poco potenti
come la polvere nera, è sufficiente una fiamma per innescarli, se invece si
tratta di esplosivi altamente stabili potrebbe non essere sufficiente il
semplice detonatore ma necessitano di una carica intermedia di sensibilità
intermedia.
Igroscopicità
L’igroscopicità è la capacità degli esplosivi di assorbire o meno l’acqua con la
conseguenza di compromettere le sue caratteristiche esplosive, questa
caratteristica si manifesta prevalentemente negli esplosivi che contengono sali
deliquescenti o che sono parzialmente disciolti in acqua. Gli esplosivi che si
presentano in forma granulosa sono molto suscettibili all’assorbimento di acqua
mentre gli esplosivi plastici resistono molto meglio all’igroscopicità, cosa che li
rende particolarmente idonei ad essere impiegati nelle demolizioni subacquee.
I provvedimenti che possono essere adottati per ridurre l’igroscopicità consistono
nell’aggiunta di sostanze flemmatizzanti (vasellina, olio di ricino, ecc.) e l’utilizzo
di sistemi di confezionamento che impediscano all’acqua di entrare a contatto con
l’esplosivo.
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Velocità di detonazione
La velocità di detonazione indica la velocità con cui il cosiddetto “fronte d’onda” si
propaga all’interno della carica esplosiva, è un parametro indicativo dell’efficacia
di un esplosivo perché è direttamente collegato al tempo in cui sprigiona l’energia.
Si misura in metri al secondo(m/s) e la più alta mai registrata in un esplosivo è di
9000 m/s.
Nonostante non vi sia un metodo abbastanza preciso, la velocità di detonazione
può essere calcolata sperimentalmente, ma vi sono numerosissimi parametri che
la influenzano:
- Calore di esplosione,
- Natura chimica e stato fisico,
- Brisanza,
- Densità di carica,
- Diametro della carica,
- Grado di confinamento,
- Pressione esterna,
- Omogeneità dell’esplosivo,
- Tipo di innesco,
- Bilancio di ossigeno,
- Temperatura inziale della carica,
- Grandezza delle particelle,
- Additivi inerti,
- Presenza di campi elettrici o magnetici.
Alcuni esplosivi possono detonare a 2 velocità diverse, bassa e alta velocità, a
seconda del tipo di innesco che viene utilizzato; il tritolo ha persino una terza e
ulteriore velocità alla quale può detonare.
Tra tutti i parametri quello che influisce in maniera più rilevante è il diametro della
carica, infatti esiste una misura del diametro detta “diametro critico” che stabilisce
la misura minima del diametro di una carica, oltre il quale non potrebbe svilupparsi
una detonazione stabile ad alto regime o potrebbe anche interrompersi perché
l’onda esplosiva non avrebbe l’energia sufficiente ad autosostenersi. In
corrispondenza del diametro critico la reazione si propaga alla velocità minima di
detonazione che prende il nome di “velocità critica di detonazione”. All’aumentare
del diametro la velocità aumenta, ma non può aumentare all’infinito bensì può
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raggiungere un valore limite oltre il quale rimane costante o diminuisce; tale valore
prende il nome di “diametro limite” in prossimità del quale la reazione
procederebbe alla velocità massima di detonazione.
Energia specifica
L’energia specifica detta anche “pressione specifica” o “forza specifica” è la
pressione per unità di superficie sviluppata dall’unità di massa dell’esplosivo nel
volume unitario; si tratta di una grandezza fisica che mette in relazione pressione
espressa in atm, superficie espressa in cm2, massa unitaria che corrisponde a 1
g ed infine il volume unitario che corrisponde a 1 cm3.
L’energia specifica (f) si esprime in Kg/cm3 e si può ricavare dalla seguente
formula:
𝑷𝟎 ∗ 𝑽𝟎 ∗ 𝑻
𝒇 =
𝟐𝟕𝟑
In cui:
- P0 corrisponde alla pressione standard dei gas prodotti dall’esplosione di
una unità di massa di esplosivo, si esprime in cm3/g
- V0 corrisponde al volume specifico dei prodotti gassosi sviluppati
dall’esplosione di un’unità di massa di esplosivo a pressione e temperatura
standard
- T è la temperatura assoluta di esplosione.
La formula precedente è stata ricavata assumendo che i gas prodotti
dall’esplosione si comportino seguendo le leggi dei gas perfetti ma a causa delle
pressioni raggiunte, tale considerazione deve essere rivista perché i gas non
hanno a disposizione tutto il volume del recipiente(V) per espandersi, bensì deve
essere sottratto il volume della sfera del raggio d’azione delle molecole (a) detto
covolume. Perciò considerando il covolume nella formula della pressione
massima otterremo:
𝒇
𝑷𝒎𝒂𝒙 =
𝑽−𝒂
Adesso introducendo il concetto di densità di caricamento (Δ) ovvero il peso di
un’unità di massa di esplosivo (1 kg) fratto il volume del recipiente espresso in litri,
otterremo l’espressione di
Abel-Nobel:
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𝒇∗𝚫
𝑷𝒎𝒂𝒙 =
𝟏 − (𝒂 ∗ 𝚫)
Questa formula ci permette di calcolare la pressione specifica alle diverse densità
di caricamento.
Brisanza
È la capacità di un esplosivo di impartire energia ad un corpo metallico o di
accelerarlo, l’effetto prodotto dipende da 2 fattori ovvero la pressione statica
gassosa, che dipende dalla temperatura e dal volume dei gas prodotti, e la
pressione dinamica di detonazione che dipende dalla velocità di detonazione.
Al primo fattore è dovuto l’effetto di spinta che si manifesta lento e graduale,
mentre al secondo l’effetto di urto che si manifesta invece rapido e violento, infatti
è l’espansione dei gas che compie lavoro, mentre la pressione istantanea tenderà
a frantumare gli oggetti che incontra. L’effetto brisante deriva dalla
sovrapposizione di questi 2 effetti ed è descritto dalla seguente equazione detta
equazione della brisanza (o dirompenza) di kast:
𝑩=𝒇∗𝒅∗𝑽
In cui:
- B è la brisanza,
- F è la pressione specifica,
- D è la densità,
- V è la velocità di detonazione.
20
Per misurare la velocità di detonazione i metodi più comuni sono: il metodo
“Dautriche” e il metodo del cronografo.
Per calcolare la velocità con il metodo “Dautriche” è necessaria una cartuccia
dell’esplosivo di cui si vuole determinare la velocità che abbia un diametro di 30
mm e una lunghezza di 200 mm posta in un tubo di ferro o di cartone dello
spessore di 2 mm. La cartuccia verrà innescata da un detonatore detto n.81 e
altri 2 detonatori dello stesso tipo sono posti all’interno della cartuccia a distanza
di 100 mm che sono a loro volta collegati a 2 spezzoni di miccia detonante tarata
ad una velocità nota. Gli spezzoni di miccia sono lunghi uno 1000 mm e l’altro
800 mm, vengono legati insieme parallelamente con del nastro isolante in modo
da formare un segmento lungo 200 mm e poi poggiati su una lastra di piombo
spessa 5 mm. Facendo esplodere la carica iniziale, l’onda esplosiva si propaga
lungo i 2 spezzoni di miccia e a seconda della velocità si ricongiungerà in un
punto più o meno distante dal punto medio del segmento precedentemente
individuato, in quel punto l’esplosione lascerà un solco trasversale sulla lastra di
piombo. Si considera la distanza tra il centro del solco e il punto medio che
indicheremo con s, conoscendo la velocità di detonazione della miccia, si può
calcolare la velocità x dell’esplosivo in esame con la seguente formula:
𝒗∗𝒍
𝒙 = 𝒉-𝟐∗𝒔 Se il segno compare dal lato della miccia più lunga
𝒗∗𝒍
𝒙 = 𝒉/𝟐∗𝒔 Se il segno compare dal lato della miccia più corta
1
Il detonatore n. 8 è un congegno che contiene una quantità di fulminato di mercurio, un esplosivo
innescante altamente sensibile che dà inizio alla reazione di detonazione.
21
dal cronometro, espresso in secondi, otteniamo la velocità di detonazione
dell’esplosivo in esame.
Per misurare la potenza di un esplosivo esistono vari sistemi, tra i quali i più noti
sono: il saggio del blocco di Trauzl, il saggio di Hess e il pendolo balistico.
Il saggio del blocco di Trauzl consiste nel far esplodere una quantità di
esplosivo all’interno della cavità di un blocco di piombo tenero di altezza e
diametro pari a 200 mm detto blocco di Trauzl in onore del suo inventore.
L’accensione della carica avviene mediante detonatore elettrico, il volume che si
viene a formare in seguito all’esplosione, è misurato con dell’acqua ma affinchè
le misurazioni abbiano un senso è necessario stabilire un esplosivo di potenza
nota che funga da riferimento per gli altri.
Il saggio di Hess è anche conosciuto come saggio di schiacciamento e consiste
in 2 cilindri di piombo sovrapposti con altezza pari a 30 mm e diametro pari a 40
mm, sopra i quali vi è un altro blocco con uno spazio necessario ad alloggiare
50 grammi di esplosivo, tra i blocchi di piombo e il blocco superiore per
l’esplosivo sono presenti altri 2 dischi di acciaio che hanno la funzione di
proteggere i blocchi di piombo dall’esplosione. Per effetto dell’esplosione i due
cilindri di piombo subiscono una deformazione che confrontata con dei campioni
permette di valutare le caratteristiche dell’esplosivo in esame. Il saggio di Hess
mette in evidenza separatamente sia l’azione d’urto che si manifesta sul cilindro
superiore e sia l’azione di spinta risentita principalmente dal cilindro inferiore.
Il pendolo o mortaio balistico viene utilizzato per misurare la potenza di un
esplosivo, ha avuto particolare sviluppo nei paesi anglosassoni; forse a ciò si
deve l’utilizzo del termine “Strenght” come unità di misura. Il mortaio si compone
di un cilindro d’acciaio con due cavità anch’esse cilindriche, nella prima, più
piccola, viene fatta esplodere per mezzo di detonatore elettrico una piccola
carica da 10 g di esplosivo, mentre nella seconda scorre un pistone del peso di
16-17 kg.
Al momento dell’esplosione il pistone viene lanciato lontano ed al mortaio viene
impressa una spinta che provoca un’oscillazione in cui viene registrata
l’ampiezza massima proporzionale alla potenza dell’esplosivo. Il mortaio è
appeso mediante aste metalliche ad un robusto asse orizzontale in modo da
formare un pendolo che oscilla sul piano verticale. In genere gli esplosivi molto
potenti provocano un’oscillazione massima di ampiezza di 20°.
22
Per misurare l’effetto brisante viene impiegata la prova della piastra d’acciaio e
la prova di frantumazione della sabbia.
Il test della piastra d’acciaio viene svolto specialmente in ambito militare per
collaudare i detonatori e gli esplosivi dirompenti.
La prova viene effettuata su una piastra d’acciaio dolce di lunghezza 240 mm e
larghezza 90 mm appoggiata su dei supporti in legno posti alle estremità.
La carica cilindrica deve avere una lunghezza di 90 mm e va posizionata sulla
linea mediana della piastra, affinché la prova abbia successo la carica deve
tranciare la piastra in 2 parti.
Nonostante la prova sia molto semplice ci sono delle accortezze che è
necessario osservare scrupolosamente per non comprometterne l’esito:
• la carica non deve sporgere al di fuori della piastra
• la carica deve essere fissata alla piastra in modo che aderisca in tutta la
sua lunghezza
• il detonatore va infilato nella carica fino al limite massimo
• la piastra deve essere posizionata in egual misura su tutti i sostegni.
Più attendibile del test della piastra d’acciaio è senz’altro la prova di
frantumazione della sabbia, e consiste nel far esplodere 5 g di esplosivo in un
robusto involucro contenente 4 kg di sabbia silicea di una determinata
granulometria, opportunamente lavata con acido cloridrico e passata in un
setaccio da 0,5 mm.
La carica è attivata mediante un detonatore elettrico i cui fili passano attraverso
un foro situato sul coperchio, dopo l’esplosione si estrae la sabbia e, dopo averla
fatta raffreddare, di passa nuovamente a setaccio per individuare la sabbia
frantumata la cui percentuale corrisponde alla dirompenza dell’esplosivo.
23
movimento lunghi circa 2 m graduati a intervalli di 1 cm e tra i 2 assi vi è una
sbarra mobile che li collega, su cui è fissato un peso di 2 kg. Sulla staffa inferiore
è fissato un blocco di ferro detto incudine che presenta un foro destinato ad
accogliere l’esplosivo in quantità compresa tra 0,05 g e 0,2 g. Alcuni esplosivi
sono particolarmente resistenti agli urti perciò per effettuare questo test è
necessaria un’attrezzatura analoga ma più grande; chiaramente ciò va
specificato quando vengono raccolti i risultati.
Poiché si tratta di una prova empirica per ottenere dei risultati attendibili sarà
necessario ripetere l’esperimento più volte (almeno 20) per ridurre al minimo il
margine di incertezza.
24
solventi (acetone, alcoli, etere) o sostanze flemmatizzanti; il principio di
funzionamento su basa su un indicatore sensibile alla presenza dei prodotti acidi
di decomposizione dell’esplosivo. Si realizza introducendo 1 o 2 grammi di
esplosivo in una provetta insieme ad acqua addizionata con poche gocce di
soluzione alcolica contenente l’indicatore, poi si agita energicamente e si scalda
a 40°-50° finché il liquido non si sia colorato.
Se entro le 24 h il liquido ha assunto un colore giallognolo allora l’esplosivo non
si è alterato, se si colora di arancione significa che l’esplosivo è appena acido;
mentre se si colora di rosso allora l’esplosivo è acido e le sue caratteristiche
sono alterate.
Il metodo del saggio della cartina al tornasole viene utilizzato per determinare
nelle dinamiti stati avanzati di decomposizione e si effettua inumidendo con
acqua la cartina al tornasole azzurra e si pone tra 2 pezzi di esplosivo tagliato
fresco; se l’esplosivo è integro non produrrà variazioni di colore entro 10 minuti
dall’inizio della prova e a temperatura ambiente.
L’ultimo saggio che tratteremo sarà quello relativo alla misurazione del calore di
esplosione mediante la cosiddetta bomba calorimetrica di Berthelot-Mahler.
Lo strumento consiste in un contenitore di acciaio chiuso ermeticamente
all’interno del quale è presente una capsula contenente la sostanza da
analizzare. L’esplosivo viene innescato da un detonatore elettrico che attiva una
carica ausiliaria di fulmicotone. Il calore sviluppato dall’esplosione viene
assorbito da una quantità di acqua distillata all’interno della quale è immersa la
bomba, perciò nota la capacità termica della bomba e considerato il calore
specifico dell’acqua, applicando la legge fondamentale della termologia2
possiamo risalire alla quantità di calore emessa durante l’esplosione.
2
Legge fondamentale della termologia: esprime la quantità di calore che bisogna somministrare ad un
corpo di massa m per innalzare la sua temperatura dal valore iniziale t1 al valore finale t2. Si esprime con
la formula: Q = m * Cs * (t2 - t1).
25
per classificare gli esplosivi e per metterli in relazione gli uni agli altri. Il manuale
“lezioni di esplosivi” della Scuola del Genio individua 5 modalità di classificazione
in contesto militare e suddivide gli esplosivi in base a:
1. Costituzione chimica,
2. Stato fisico
3. Velocità di reazione
4. Bilancio di ossidazione
5. Impiego
26
solidi, liquidi e gassosi; dei quali però quelli solidi esistono in misura
preponderante e di cui è possibile fare un’ulteriore classificazione in:
• Solidi compatti: presentano una forma precisa e non possono
essere deformati.
• Solidi polverulenti: sono sciolti e con una granulometria molto fine.
• Solidi granulosi: sono sciolti analogamente ai polverulenti ma con
granulometria grossolana.
• Solidi gelatinosi: si presentano con un aspetto flaccido con fasi
solide più o meno consistenti disperse in gelatina.
• Solidi fangosi: presentano una fase liquida con solidi in
sospensione, possono essere scambiati per esplosivi liquidi ma in
realtà solo la parte solida è esplosiva mentre la parte liquida in
genere è acqua.
• Solidi plastici: caratterizzati dall’avere una forma malleabile.
27
• Ad ossidazione incompleta se il bilancio di ossidazione è negativo.
28
6. IL TRITOLO
Caratteristiche
Il tritolo è anche conosciuto come alfa-trinitrotoluene o più̀ precisamente
trinitrotoluene 2, 4, 6 ed ha formula chimica C6H2CH3(NO2)3
Allo stato puro si presenta come un solido cristallino di colore giallo paglierino e
dal sapore amarognolo, il punto di fusione si aggira intorno a 80,8°C e costituisce
un importante criterio di purezza del prodotto perché ne esistono 2 tipi; uno con
punto di fusione compreso tra 77 e 80° ed è quello di qualità più bassa, infatti
viene utilizzato per produrre le miscele, mentre l’altro con un punto di fusione
superiore a 80° è il più puro. Il tritolo è insolubile in acqua, poco solubile in alcool,
etere e tetracloruro di carbonio; è molto solubile invece in acetone, benzene e
toluene.
In ambiente saturo d’acqua ne assorbe circa lo 0,05% perciò si può considerare
come totalmente non igroscopico. È un prodotto ad alta stabilità, infatti se ben
lavato nella sua purificazione, al test Abel esso dà una stabilità che è superiore
alla sensibilità̀ intrinseca del test stesso.
Si può̀ conservare per tempo indeterminato anche a temperature elevate (40°
C).
Il tritolo non è molto sensibile al calore infatti anche se viene sottoposto ad una
temperatura di 150° C per un tempo di 4 ore non sviluppa prodotti gassosi di
decomposizione, per farlo è necessario aumentare la temperatura a 160° C,
mentre la temperatura di accensione è compresa tra i 290° C e i 330° C. Se
viene acceso con una fiamma brucia producendo un fumo denso e nero.
Se viene esposto alla luce diventa prima arancione poi sempre più scuro fino a
diventare bruno in seguito ai prodotti acidi che si formano; in questo stato la
sensibilità al calore aumenta leggermente mentre si abbassa il punto di fusione.
La sensibilità all’urto dipende dallo stato fisico, il tritolo fuso e risolidificato
fortemente compresso, al saggio di berta esplode per la caduta di una massa di
2 kg da 90 cm, mentre se è poco compresso esplode per la caduta dello stesso
29
peso ma da un’altezza di 60cm; come per gli altri esplosivi la sensibilità all’urto
aumenta con l’aumentare della temperatura.
Nella sua decomposizione teorica produce 780 litri di gas per kg e l’equazione
di decomposizione è la seguente:
Dall’equazione si intuisce che tra i prodotti della reazione sono presenti notevoli
quantità di residui carboniosi infatti il bilancio di ossigeno del tritolo è fortemente
negativo e corrisponde a -73,98%.
In base ai dati che abbiamo analizzato il tritolo non presenta proprietà
eccezionali né sotto il profilo della potenza dirompente né sotto il profilo della
spinta che è in grado di fornire; i motivi della sua popolarità e del suo impiego su
vasta scala risiedono nella facilità di caricarlo allo stato liquido per colata, nella
bassa sensibilità agli urti, nella sua incapacità di corrodere i metalli, nella sua
alta stabilità chimica, in una praticamente assente igroscopicità ed infine per una
facile e abbastanza sicura preparazione.
Processo di sintesi
Il processo che porta alla formazione del tritolo è una nitrazione che viene
condotta in 3 fasi rispettivamente mononitrazione, detoluazione e trinitrazione.
La nitrazione del toluene è molto più semplice di quella del benzene perché il
gruppo metilico favorisce le sostituzioni elettrofile nelle posizioni orto e para
perciò si ottiene quasi esclusivamente 2, 4, 6 trinitrotoluene, mentre la presenza,
anche se minima, degli altri 3 isomeri è dovuta alla formazione del
metanitrotoluene tra i prodotti della mononitrazione, come mostrato dalla
Figura 1.
30
Figura 1 schema del processo di nitrazione in 3 fasi
immagine tratta dal volume “CHIMICA DEGLI ESPLOSIVI E DEI PROPELLENTI”, PAG. 111.
31
di fusione superiore a 80° si fanno reagire gli isomeri con il solfito di sodio i cui
prodotti sono dei solfonati solubili in acqua e facilmente eliminabili.
La purificazione per solfonazione viene realizzata in 4 vasche di lavaggio
alternate ad altrettanti separatori, nella prima vasca il tritolo viene lavato con
acqua calda, nella seconda viene agitato a 60° per circa un’ora con una
soluzione al 17% di solfito di sodio e lo 0,3% di bisolfito sodico.
Nelle ultime 2 vasche viene lavato con acqua e lasciato ad asciugare.
Gli esplosivi sono tra i mezzi preferiti dalle organizzazioni criminali per perpetrare
i loro scopi proprio grazie all’energia che può sviluppare una carica esplosiva
che se utilizzata in un contesto urbano oltre al danno fisico infligge alla
popolazione un enorme danno psicologico.
L’utilizzo principale del nitrato di ammonio non è quello di essere impiegato come
materiale esplosivo, ma piuttosto per essere utilizzato nella paramedicina come
componente del ghiaccio secco e nell’agricoltura come componente di
fertilizzanti.
32
fuel oil, la realizzazione di tali composti non necessita di nessuna conoscenza
specifica in chimica né tantomeno di attrezzature da laboratorio particolarmente
ricercate, perché tali composti non si ottengono per nitrazione ma attraverso
mescolazione fisica delle due componenti; le uniche informazioni da conoscere
sono le proporzioni nelle quali i composti devono essere mescolati.
Nel caso dell’Anfo si tratta di nitrato di ammonio mescolato a gasolio che detona
con una velocità di reazione compresa tra i 3500 m/s e i 4200 m/s, la funzione
del gasolio è quella di aumentare la sensibilità e la potenza del composto e ciò
è dovuto al bilancio di ossigeno del nitrato di ammonio che sappiamo essere
ampiamente positivo, perciò il gasolio svolge la funzione di combustibile per
l’ossigeno in eccesso che altrimenti sarebbe rimasto inutilizzato, con un aumento
notevole di potenza.
Grazie alla facilità con la quale si possono reperire i suoi componenti l’anfo è
diventato tristemente famoso per attentati sanguinosi come quelli di Oklaoma
City del 1995 e di Oslo del 2011, e nonostante le restrizioni sulla circolazione
delle materie prime che lo compongono, esso risulta ancora massicciamente
utilizzato nei moderni teatri operativi per la fabbricazione di IED3.
L’altra miscela esplosiva che si può ottenere dal nitrato di ammonio è l’AN-Al
detto anche ammonal, si tratta di un esplosivo già utilizzato nella Prima guerra
mondiale ma tornato in auge grazie ai separatisti baschi verso la fine degli anni
Ottanta. Esso è prodotto dalla mescolanza fisica di nitrato di ammonio per il 72%,
polvere di alluminio 25% e carbone 3%, presenta caratteristiche simili a quelle
dell’Anfo per quanto riguarda la potenza ma rispetto a quest’ultimo è più stabile
e non può essere innescato semplicemente con una fiamma perché si
incendierebbe senza esplodere pertanto necessita di un detonatore.
3
IED = Improvised Explosive Device.
33
Esiste anche in una variante denominata T-ammonal che veniva utilizzata in
passato nell’industria estrattiva e contiene circa il 20% di tritolo.
34
CONCLUSIONE
dal punto di vista chimico sappiamo che l’esplosione di una carica è una reazione
di ossidoriduzione fortemente esotermica che avviene in un arco di tempo
rapidissimo, che ha effetti meccanici, termici, e luminosi; possiamo distinguere 2
tipi di esplosioni in base alla velocità con la quale l’energia viene sprigionata
ovvero le deflagrazioni e le detonazioni.
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BIBLIOGRAFIA
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- SCUOLA DEL GENIO, REPARTO ADDESTRATIVO, Cattedra di
Esplosivi e Demolizioni - LEZIONI DI ESPLOSIVI - ed. 2002
c. Sitografia
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- https://www.accademiadellescienze.it/storiaescienza/articoli/la_nitrogl
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- http://www.treccani.it/enciclopedia/polvere-da-sparo_(Enciclopedia-
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Italiana%29/
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acetone.html
- http://www.earmi.it/varie/perossido.htm
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