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DOMANDA 1:

Immanuel Kant nacque in Prussia nel 1724. Dopo la laurea divenne un


precettore un precettore domestico e dal 1755 iniziò ad insegnare dalla
matematica all’antropologia. Al periodo accademico risalgono opere
come: “Critica della ragion pura”, “ Critica della ragion pura”, “ Critica del
giudizio”. Kant morì nel 1804 nella sua città natale.
La novità del Settecento consiste nella capacità, da parte dell’uomo, di
avvalersi appieno del proprio intelletto.
«l’Illuminismo è l'uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve
imputare a sé stesso.» grazie all’illuminismo gli esseri umani si sono
liberati dal condizionamento e dalla mancanza di coraggio che per
anni hanno ristretto le loro potenzialità.
«Sapere aude! “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!
È questo il motto dell’Illuminismo”» Sapere aude è il motto del poeta
latino Orazio. Esprime l’audacia di pensare con la propria testa,
rifiutando i vincoli imposti da ogni principio d’autorità.

DOMANDA 2:

Gli Illuministi sono estremamente convinti che il confronto, ma anche la


condivisione, delle idee favoriscano la ricerca per trovare le risposte per
quanto riguarda l'attività intellettuale. Per approfondire l’accesso alla
cultura e per far sì che essa non sia che non sia riservata solo ai ceti
aristocratici, gli Illuministi svilupparono dei nuovi centri di incontro,
quali potevano essere: teatri, salotti e caffè che divennero i luoghi del
sapere. Per raggiungere un numero sempre maggiore di lettori, i
pensatori, principalmente inglesi e francesi, cominciarono ad utilizzare
la stampa e i giornali.
A Londra si aprono le prime “coffee houses”, nelle quali gli uomini più
importanti si ritrovano per sorseggiare delle bevande e scambiarsi le
idee. In Italia i luoghi di aggregazione rimasero sempre le accademie,
istituzioni di stampo aristocratico che cominciarono nel Settecento ad
evolversi e ad aprirsi a un pubblico borghese. Anche nella Penisola si
sviluppò il fenomeno del giornalismo. A Venezia, la madre della
tipografia, nacquero le iniziative culturali pronte ad offrire agli
intellettuali uno strumento di diffusione e dibattito di idee. Ricordiamo
che dal 1710 venne pubblicato il “Giornale de’ letterati d’Italia”. Nella
seconda metà del Settecento si sviluppa pienamente un giornale
d’opinione che interviene pure sulle questioni politiche e culturali, il più
importante è “Il Caffè” . Il titolo allude al luogo di incontro e discussione
per eccellenza. I temi che vengono trattati sono molto eterogenei; si
possono trovare temi che vanno dalla situazione economica Milanese,
fino alle questioni della lingua, che in questo secolo ritornano di grande
attualità.

DOMANDA 3:

Alla fine del Seicento si amplia nella lirica italiana un programma di


rifondazione tematica, che ha come unico scopo quello di riproporre
l’equilibrio della poesia classicista contro gli eccessi della letteratura
barocca. Questo orientamento mira a ripristinare un gusto riprendendo
la tradizione classica e del Canzoniere di Petrarca.
Nel 1690, dopo la morte della regina Cristina di Svezia, venne creata
un’accademia chiamata Arcadia, nome della mitica regione dell’antica
Grecia popolata da pastori amanti della poesia. La simbologia attinge
al repertorio pastorale. L’Arcadia si pone come centro d’incontro per i
letterati di molte città italiane. La produzione degli arcadi è molto vasta
ma poco significativa; non cercano originalità ma compongono un
numero infinito di versi d’occasione spesso accompagnati dalla musica.
La finzione pastorale si traduce con quadretti amorosi. L’amore non
coincide con la passione, infatti, il sentimento è purificato da ogni
tensione drammatica. Questa visione pacificata sarà il principale
motivo della loro condanna. La poesia degli Arcadi tende all’evasione
verso una dimensione rasserenante. La polemica contro il gusto
barocco impone di evitare le metafore, usando invece immagini nitide
alla ricerca di una delicata cantabilità.

DOMANDA 4:

Pietro Metastasio nacque a Roma nel 1698. A dodici anni è cadetto in


una bottega orefice, dove venne udito da Gian Vincenzo Gravina, il
quale lo adottò come figlio. Così facendo ricevette una solida istruzione
classica e una vasta cultura filosofica. Nel 1717 pubblicò le sue prime
poesie e l’anno dopo entrò in Arcadia. Nel 1730 si stabilì a Vienna come
poeta cesareo dove morì nel 1782. Metastasio fu il poeta italiano più
fortunato del Settecento. I suoi testi sono un’espressione del mondo
idilliaco e galante dell’Arcadia. Tra i componimenti più importanti vi
sono le sette canzonette. La gloria venne all’autore dal melodramma,
che egli innalza a livelli artistici superiori. Metastasio si ispira alla
tragedia greca, ma i suoi testi rimandano anche alla tragedia francese,
per la fusione dell’eroico con il galante. L’acme della passione sfocia
spesso nelle ariette finali che esprimono uno stato d’animo con estrema
precisione e semplicità. I melodrammi più famosi sono:
- Sirroe
- Catone in Utica
- l’Artaserse
- Demetrio
- l’Olimpiade
- La clemenza di Tito
- l’Attilio Regolo

DOMANDA 5:

Cesare Beccaria è l’autore di una delle opere più importanti della storia
mondiale.
Nel 1764 uscì in Italia un pamphlet di Beccaria che ebbe un successo
immediato in tutta Europa, tanto che ricevette l’ammirazione di molti
sovrani ed illuministi. Secondo uno stile prettamente illuminista, lui
sottoponeva al giudizio della ragione il sistema penale del suo tempo.
Cioè il modo in cui i processi funzionavano e arriva a conclusione che
ancora oggi sono di grande modernità e ponendo le basi del moderno
stato di diritto, là dove il cittadino è tutelato dal potere dello Stato.
Secondo Beccaria le leggi sono “ alcuni avanzi di un antico popolo
conquistatore” o “uno scolo dei secoli barbari”. Le leggi vigenti in quel
periodo non rendono omaggio alla civiltà che abbiamo raggiunto. Lo
scopo è quello di cancellarle e ricostruirle lottando contro i privilegi,
con la speranza di raggiungere la “massima felicità da raggiungere nel
maggior numero”.
Fin dall’inizio Beccaria mostra di avere le idee chiare; vuole una riforma
globale del sistema penale, che sottragga i giudici all'arbitrio
individuale. Occorre un codice di leggi chiaro e ragionato che si faccia
carico di tutelare tutti.
La pena di morte è un sopruso, ciò che non è lecito al pribato cittadino
non può essere lecito neppure allo Stato.
L’opera ha una precisa struttura argomentativa, scandita dalla
successione di 47 paragrafi. Il trattato si apre con un appello rivolto al
lettore che insieme all’introduzione rappresentano uno dei brani
fondamentali dell’illuminismo italiano ma anche europeo. Esaminando il
paragrafo 2, l’autore polemizza contro i magistrati e i giudici, che
dovrebbero applicare letteralmente la legge e non interpretarla.
Le leggi penali dovrebbero fondarsi sulla “proporzione fra i delitti e le
pene”, per cui a un delitto più grave corrisponde una pena più severa;
se questa proporzione non viene eseguita, di fronte a due delitti puniti
nello stesso modo, il reo opterà per quello gli dà maggior vantaggio (il
più grave per la società ).
Il criterio utilitaristico dà vita a una “Divisione dei delitti” cioè a una
classificazione dei reati relativa al “danno della società” e inoltre
bisogna avere la “fine delle pene”, cioè cercare la prevenzione dei delitti.
Vi è anche il paragrafo “Della tortura” in cui la tortura è definitivamente
e radicalmente rifiutata.
Arrivato alle battute finali, Beccaria approfondisce la sua visione della
condotta sociale degli esseri umani . Molto più utile alla prevenzione dei
reati è la lotta all’ignoranza, la diffusione del sapere e l’educazione alla
virtù.

DOMANDA 6:

Beccaria condanna senza appello l’istituto della pena di morte. Le idee


contrarie alla pena capitale erano state manifestate fin dal Medioevo,
ma queste posizioni di abolizione avevano sempre avuto scarsi risultati.
Beccaria affronta il tema della pena di morte nel paragrafo 28, e
l’autore osserva come l’atrocità dei supplizi sia contraria ai principi
dell’umanità. Egli sviluppa due argomenti, che basati sui principi del
contrattualismo e dell'utilitarismo, intendono dimostrare l’inutilità della
pena di morte. Il primo argomento afferma che questo tipo di pena è
giuridicamente illegittima perché non è prevista dal patto con cui venne
costituita la società. Il diritto di punire si basa su una delega che non
ha affatto concesso l’arbitrio di uccidere. Nella concezione di Beccaria,
la vita costituisce un diritto naturale indisponibile, quindi nessuno può
essere privato del diritto alla vita.
Con il secondo argomento, l’autore, intende dimostrare che la pena di
morte risulta meno efficace dell’ergastolo. Cesare Beccaria vuole anche
ricordare che la storia dimostra come la pena capitale non abbia mai
costituito un utile deterrente.

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