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Matteo Mancini

ANDREA MANTEGNA E IL CODEX ESCURIALENSIS:


RAGIONAMENTI INTORNO ALLA DIFFUSIONE DELLE
IMMAGINI DI ROMA NEL PRIMO CINQUECENTO

Quest’incursione nel complesso mondo di Andrea Mantegna e della


ancor più articolata relazione tra il pittore e Roma, nasce da alcune constata-
zioni di coerenza formale e cronologica tra i temi trattati in alcune delle opere
del pittore e le similitudini che è possibile riscontrare mettendo a confronto
quelle stesse opere con il Codex Escurialensis1. Anticipiamo fin da ora che è
estraneo a questo lavoro qualsiasi intento di attribuire ad Andrea Mantegna
l’autografia dei disegni del Codex Escurialensis, ciò che ci interessa è tentare
di ricostruire i termini di una ricerca, comune a numerosi artisti tra Quattro e
Cinquecento2, intorno al linguaggio formale degli Antichi, intesi come model-

1
In occasione del Convegno internazionale Mantegna e Roma. L’artista davanti all’antico
(Roma 8-10 febbraio 2007) questo testo – letto in versione di intervento – aveva il titolo provvi-
sorio di Andrea Mantegna e il Codex Escurialensis: una proposta di lavoro. Con l’occasione rin-
grazio il professor Leandro Ventura per aver accolto con entusiasmo la proposta d’intervento di
un neofito negli studi su Mantegna; infine mi preme ricordare che questa ricerca si iscrive nel-
l’ambito dei progetti del Grupo de investigación dell’Università Complutense di Madrid-Co-
munidad de Madrid, Arte, Arquitectura y Civilización de Corte en España (Siglos XV-XVIII).
2
La questione dell’assimilazione dei modelli degli Antichi nel Rinascimento è un tema
la cui estensione bibliografica non possiamo riassumere in questa sede, dove però ci inte-
ressa comunque segnalare i contributi di Ernst H. Gombrich, Lo stile all’antica: imitazione
e assimilazione, in Ernst H. Gombrich, Norma e Forma. Studi sull’arte del Rinascimento,
Torino 1973, pp. 178-188 (già pubblicato negli Atti del XX congresso di Storia dell’arte del
1961, Princeton 1963, pp. 31-42); Hubertus Günter, La rinascita dell’antichità, in Rinasci-
mento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura, catalogo del-
la mostra (Venezia 1994), a cura di Henry Millon, Vittorio Magnago Lampugnani, Milano,
Bompiani, 1994, pp. 259-306, dove, a parte le questioni generali, si presta una particolare

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lo da riprodurre per poter essere imitato e rielaborato nelle opere dei Moderni.
Ma andiamo per ordine e cerchiamo di restituire cronologie e contesti.

I.

In primo luogo verifichiamo i dati in nostro possesso riguardo alla storia


materiale del Codex Escurialensis. Si tratta di un volume di disegni che inizia
ad attrarre l’attenzione degli eruditi alla fine del Settecento. È infatti nel 1774,
quando Antonio Ponz ne cita l’esistenza tra i volumi della Biblioteca del
Monastero di San Lorenzo de El Escorial3, dove, il volume, viene elencato tra
i libri che compongono una sorta di varia avendo per soggetto: «frutas, ani-
males, dibuxos, estampas etc.»4. Detto in altri termini, una vera e propria mi-
scellanea catalografica dove riunire quei testi privi di una collocazione chiara
tra gli scaffali di qualsiasi biblioteca; quasi si trattasse più di oggetti preziosi
da collezionare che di volumi da consultare5. Un criterio che troviamo ripetu-

attenzione alla rappresentazione grafica dell’antico, citando numerosi album di disegni tra i
quali si include il Codex Escurialensis, pp. 276-283; in tal senso è interessante sottolineare
i legami che Hubertus Günter stabilisce tra i disegni degli album e i modelli vitruviani, inter-
pretandoli come parte del processo di assimilazione dell’antico. Per intendere il clima gene-
rale di quegli anni possiamo ricorre anche alla prima parte del saggio di Sylvie Deswarte-
Rosa, Antiquité et noveau mondes. A propos de Francisco de Holanda, in «Revue de l’Art»,
n. 68, 1985, pp. 55-72, particolarmente pp. 55-59.
3
Sulla Biblioteca dell’Escorial vedi: Louis Prosper Gachard, La Bibliothèque de El
Escorial, Brusselles, M. Hayez, 1844; Gregorio de Andrés, La Real Biblioteca de El Escorial,
Madrid, Aldus, 1970; José Luis Checa Cremades, La encuadernación renacentista en la bi-
blioteca del Monasterio de El Escorial: introducción al estudio de la decoración exterior del
libro en la España de Felipe II, Madrid, Ollero y Ramos, 1998; José Luis Gonzalo Sánchez-
Molero, La Real Biblioteca de el Escorial, hoy, in Federico Borromeo fondatore della Biblio-
teca Ambrosiana, atti del convegno (Milano 2004), a cura di Fanco Buzzi e Roberta Ferro,
Roma, Bulzoni, 2005 («Studia borromaica», XIX, 2005), pp. 139-190.
4
Antonio Ponz, Viage de España: o cartas, en que se da noticia de las cosas más aprecia-
bles, y dignas de saberse que hay en ella, particularmente del Escorial, tomo II, Madrid, Ibar-
ra, 1773, carta V, n. 9, p. 207; su Antonio Ponz e la funzione delle arti nel quadro dell’Illumi-
nismo spagnolo cfr. la recente (e inedita) tesi di Dottorato di ricerca di Daniel Crespo Delgado,
El Viaje de España (1772-1794) de Antonio Ponz, Madrid, Univerisidad Complutense, 2006,
particolarmente pp. 319-333, dove, si spiegano parte delle ragioni ideologiche che muovono il
Ponz alla stesura del suo volume, in tale contesto si offre una sintesi efficace per interpretare
la funzione che aveva la citazione di opere singolari, come il Codex, considerate uno strumen-
to efficacissimo per il recupero dei valori più alti del classicismo rinascimentale.
5
Un concetto perfettamente coerente con i criteri di classificazione esposti Arnold
Nesselrath, I libri di disegni di Antichità. Tentativo di una classificazione in Memoria del-

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Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

to nei suoi termini essenziali da Eugène Müntz nel suo articolo di presenta-
zione che diede al volume una dimensione critica a livello europeo6. In effet-
ti, la descrizione che Ponz riserva al Codex Escurialensis ricorre ripetuta-
mente a modelli e allusioni proprie di un oggetto da collezione7. In primo
luogo perché se ne cita immediatamente il proprietario principale8, don Diego
Hurtado de Mendoza (1504-1575), il celebre letterato, ambasciatore, politico,
collezionista e intellettuale spagnolo, a lungo presente in diversi scenari ita-
liani9, dove fu ben conosciuta la sua intensa attività di acquisizione di opere

l’antico nell’arte italiana, a cura di Salvatore Settis, tomo terzo, pp. 87-147, Torino, Einaudi,
1986, in particolare pp. 89-93, dove si propone una efficace distinzione tra Album e taccui-
no, rispondendo il primo alle esigenze del collezionista, e il secondo a quelle dell’artista in
quanto quaderno di appunti.
6
Posteriormente alle citazioni di Ponz possiamo individuare altri momenti fondamen-
tali nel processo di diffusione scientifica del Codex Escurialensis: il primo legato all’epilo-
go del celebre libro sulle antichità di Roma di Eugène Müntz, Notes sur un recueil de des-
sins du XVe siècle representant les principaux monuments de Rome in Les Antiquités de la
ville de Rome aux XIVe, XVe et XVIe siècles (topographie, monuments, collections), d’après
des documents nouveaux, Pargi, E. Leroux, 1886, pp. 157-161; intervento poi ampliato con
la introduzione di alcune immagini in: Idem, Les Arts à la cour des papes Innocent VIII,
Alexandre VI, Pie III (1484-1503), recueil de documents inédits ou peu connus, publié sous
les auspices de l’Académie des inscriptions et belles-lettres, Pargi, E. Leroux, 1886, pp. 157-
161. Il secondo passaggio chiave lo costituisce la pubblicazione dell’edizione di Hermann
Egger, Christian Hülsen, Adolf Michaelis, Codex Escurialensis. Ein Skizzenbuch aus der
Werkstatt Domenico Ghirlandaio, Vienna, Cloth, 1905-1906 (1975); dove si propone una
possibile attribuzione dell’autografía del Codex a Domenico Ghirlandaio su base stilistico-
formale attraverso una serrata collazione filologica dei diversi documenti grafici. L’intero
processo di attribuzione critico-bibliografica del Codex viene riassunto da Margarita
Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12. Libro de dibujos o antigüedades, Murcia,
Consejo General de la Arquitectura Técnica de España-Patrimonio Nacional-Consejería de
Cultura de la Región de Murcia, 2000, pp. 6-49, anche se con una chiara propensione verso
le tesi favorevoli all’attribuzione a Domenico Ghirlandaio.
7
Sul collezionismo nella Spagna del Cinquecento vedi José Miguel Morán Turina,
Fernando Checa Cremades, El coleccionismo en España: De la cámara de maravillas a la
galería de pinturas, Madrid, Cátedra 1985. Riguardo al Codex inteso come oggetto di colle-
zione dobbiamo far di nuovo riferimento al concetto espresso da Nesselrath citato alla nota 5.
8
«Hay otro que fue del insigne y doctísimo varón D. Diego Hurtado de Mendoza, Em-
baxador de España en Venecia, Roma, en el Concilio de Trento y otras partes»; cfr. Antonio
Ponz, Viaje de España, op. cit. a nota 4, tomo II, carta V, n. 10, p. 208.
9
Sulla figura di Diego Hurtado de Mendoza vedi Angel González Palencia, Eugenio
Mele, Vida y Obra de Diego Hurtado de Mendoza, Madrid, E. Maestre 1941-1943; Erika
Spivakovsky, Son of Alhambra, Austin, University of Texas Press, 1970; sul suo ruolo a
Venezia vedi Matteo Mancini, Tiziano e la corte di Spagna nei documenti degli archivi spa-
gnoli, Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, 1998, pp. 28-34; il problema dell’in-
troduzione del Rinascimento in Spagna in rapporto alla famiglia Mendoza in Fernando Marías

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d’arte. Si tratta della chiara manifestazione di un processo di identificazione


da parte di Ponz tra il contenuto del volume e quella che dovette essere una
parte essenziale della sua funzione primigenia, fino al punto di porre in un
secondo piano un altro elemento essenziale della storia materiale del volume
di disegni: il suo vincolo con Filippo II (1527-1598), principale promotore
delle raccolte escurialensi e della loro funzione ideologica dentro il Monastero
di San Lorenzo10. Una seconda riflessione la possiamo dedicare al fatto che la
descrizione del Ponz si sofferma con precisione sul contenuto del volume
identificandone con efficacia i temi e i soggetti principali. Entrambi hanno
come punto di riferimento costante (con alcune rare eccezioni) lo studio e la
riproduzione grafica dell’antico11. Quindi proprietario/i e contenuto sono, a
nostro modo di vedere, due elementi essenziali al momento di ragionare sulla
funzione del volume, della sua struttura e della successiva trasmissione dello
stesso, come avremo modo di verificare più avanti. Per questo motivo è neces-
sario ripercorrere le tappe che portarono i disegni del Codex da Roma (o
almeno dall’Italia) alle sale della Biblioteca del Monastero di San Lorenzo de
El Escorial.
Tra maggio e luglio del 1576 vengono inventariati e trasferiti al Monastero
di San Lorenzo de El Escorial i libri che componevano la biblioteca di Diego
Hurtado de Mendoza, come viene registrato nell’atto di consegna redatto da
Antonio Gracián. In quel documento esiste una ristretta categoria definita come
«libros de estampas y pintura» nella quale appare un volume definito come
«Libro de dibujos y antigüedades» che possiamo facilmente individuare come

Franco, Los Mendoza y la introducción del Renacimiento en España in Nobleza, coleccioni-


smo y mecenazgo, Sevilla, Real Maestranza de Caballerías de Sevilla, 1998, pp. 29-44.
10
Sul rapporto tra Filippo II e le arti vedi a cura di Fernando Checa Cremades, Felipe
II en el Escorial: la representación del poder real in «Anales de historia del arte», n. 1, 1989,
pp. 121-139; Fernando Checa Cremades, Felipe II. Un mecenas de las artes, Madrid, Nerea,
1992; e il catalogo della mostra a cura di Fernando Checa Cremades, Felipe II. Un monar-
ca y su época. Un Príncipe del Renacimiento, Museo Nacional del Prado, Madrid 1997,
Sociedad Estatal para las Conmemoraciones de los Centenarios de Carlos V y Felipe II- El
Viso; dove segnaliamo l’attribuzione del volumen a un anonimo florentino, secondo le
argomentazioni della relativa scheda di catalogo curata da Miguel Falomir Faus, “Codex
Escurialensis”, in Felipe II. Un monarca y su época, op. cit., pp. 628-630, n. 250.
11
«Contiene mas de setenta dibuxos hechos de pluma, de lápiz y de aguadas. En él se
ven plantas de edificios, bastimentos marítimos como liburnas, triremes, quadriremes: con-
tiene asimismo trofeos, frisos, excelentes grutescos, aras, teatros, vasos, estucos, el sepulcro
de Cecilia Metela, las columnas Trajana y Antonina, el Panteón, ó Rotunda, en diversas
vistas, con otras de varias ciudades de Italia y otras cosas más. Es un estimable libro, aun-
que no se note en el trabajo igual prolijidad que el antecedente»; cfr. Antonio Ponz, Viaje de
España, op. cit. a nota 4, tomo II, carta V, n. 10, p. 208.

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Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

1. Anonimo, Codex Escurialensis, “Pagina Iniziale”, segnatura 28-II-12, fol. 1, Biblioteca del Mo-
nastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio Nacional.

l’attuale 28-II-12, ovvero il Codex Escurialensis12 (fig. 1). Un volume che,


come abbiamo accennato in precedenza, proveniva dai beni compresi nelle col-

12
Il processo di inventario e di trasferimento viene perfettamente ricostruito a cura di
Gregorio de Andrés La biblioteca di Don Diego Hurtado de Mendoza in Documentos para
la Historia del Monasterio de San Lorenzo el Real de El Escorial, VII, Madrid 1964, CSIC,
pp. 235-323; in particolare le pp. 235-240 per quanto riguarda il processo d’inventario e le
questioni bibliografiche annesse, mentre p. 283, n. 591, per quanto riguarda il riferimento
diretto al Codex Escurialensis.

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lezioni di Diego Hurtado de Mendoza, come possiamo ragionevolmente pensa-


re in virtù della descrizione che ne viene fatta nel suo testamento, dove lo tro-
viamo citato come «Libro viejo de estampas de arquitectura y otras cosas encua-
dernado en tablas y cuero colorado de marca de pliego»13. Arrivati a questo
punto, le ipotesi scientifiche su come questo corpus di disegni possa essere arri-
vato a mano del Hurtado de Mendoza divergono e si fanno oggettivamente più
confuse. Un primo indizio ce lo offrono corrispondenze formali e costruttive tra
i disegni del Codex e alcuni elementi architettonici del patio interno del Castello
della Calahorra (Granada), dove si riprendono in modo assolutamente evidente
i modelli rappresentati nel Codex, in particolare ci riferiamo a alcune tipologie
di capitelli, decorazioni architettoniche e a grottesca14.
Il Castello della Calhorra, apparteneva a Don Rodrigo de Mendoza
(1468/1473?-1523) I marchese di Zenete e conte del Cid, che, oltre a essere il
responsabile della sua trasformazione “alla romana”, sarebbe stato anche il
precedente proprietario del Codex, proprio per quelle coincidenze e per il fatto
che alcune delle annotazioni presenti nel Codex possono essere riferite diret-
tamente al cortile interno del Castello della Calahorra15. Infine, la sua presen-
za in Italia, documentata, anche se in maniera frammentaria, tra il 1497 e il
1506, spiegherebbe ulteriormente l’ipotesi di una relazione diretta tra il libro
di disegni e Don Rodrigo de Mendoza16. Alla sua morte il Codex sarebbe stato

13
L’inventario si trova nell’Archivo Histórico de Protocolos di Madrid, ref. Rodrigo de
Vera, Leg. 494, fol. 844 e ss., come lo cita Fernando Marías Franco, El Codex Escurialensis:
Problemas e incertidumbres de un libro de dibujos de antigüedades del último Quattrocento,
in «Reales Sitios», XLII (2005), n. 163, pp. 14-35, in particolare mi riferisco alla nota 39, p.
32. Sulla trasmissione dell’eredità del Mendoza a Felipe II vedi Raymond Fulché-Delbosc,
Un point contesté de la vie de don D. H. de Mendoza. Appendice D. Aceptación par Philippe
II de l’Heritage de Mendoza in «Revue Hispanique», II (1895), pp. 208-303, particolar-
mente pp. 284-303 e il già citato Gregorio de Andrés La biblioteca di Don Diego Hurtado
de Mendoza, op. cit. a nota 12, pp. 253-240.
14
Su questo argomento rimandiamo al testo di Fernando Marías Franco dove si speci-
ficano dettagli e comparazione in modo sistematico; cfr., Fernando Marías Franco, El Codex
Escurialensis, op. cit. a nota 13, pp. 14-16, con amplia bibliografia sul tema alla quale ci
sembra interessante rimandare; mentre in relazione alla nostra prospettiva di ricerca è inte-
ressante citare il saggio di Oswald Mathias Ungers, Ordo, pondo et mesura: criteri archi-
tettonici del Rinascimento in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo, op. cit., (nota
2), pp. 307-318; specialmente per quanto riguarda la relazione tra la figura umana, le misu-
re architettoniche e i modelli tratti dall’antico, considerati come elementi essenziali nel pro-
cesso di elaborazione di architetture specifiche e coerenti con il significato simbolico delle
immagini rappresentate o della funzione dello spazio/edificio architettonico.
15
Fernando Marías Franco, El Codex Escurialensis, op. cit. a nota 13, p. 16.
16
Fernando Marías Franco, El Codex Escurialensis, op. cit. a nota 13, p. 14.

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Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

ereditato da Doña Mencía de Mendoza (1504-1554) II marchesa di Zenete, ma


di fatto non lo troviamo citato in nessuno dei suoi inventari; e da lei sarebbe
passato al cugino di secondo grado, Don Diego Hurtado de Mendoza. Questi,
d’altro canto, non avrebbe avuto occasione di includerlo nelle sue raccolte
prima del 1563, quando riuscì a entrare in possesso dell’eredità della cugina17.
All’ipotesi di una eredità lineare, si oppone il fatto che in un inventario dello
zio di Doña Mencía, Don Diego Hurtado de Mendoza (1474-1536) primo
conte di Melito e omonimo dell’anteriore, appare una descrizione che potreb-
be fare riferimento al nostro volume: «Otro libro grande cubierto de pergami-
no de dibuxos romanos»18.
Proprio in relazione alla relativa complessità della ricostruzione della sto-
ria del Codex – negli anni anteriori al 1576 – risiede, a mio avviso, una delle
questioni di maggiore interesse: la descrizione del libro, inteso come contenuto
e come contenitore, sono tanto generiche e comuni da poter corrispondere al
nostro volume o a un altro similare19, soprattutto se lasciamo da parte la ricerca
di un’autografia unitaria del volume, accantonando definitivamente l’ossessiva
ricerca di un nome, di un autore di spicco a cui attribuire il volume, la cui unica
finalità è quella di continuarne ad affermare l’unitarietà ideologica e funziona-
le. Posizione critica che non solo consideriamo non necessaria ma finanche
fuorviante rispetto alla possibilità che offre il Codex Escurialensis per la rico-
struzione di un momento estremamente significativo della formazione di quella
cultura dell’antico fondata sullo studio e riproduzione delle vestigia archeologi-

17
Fernando Marías Franco, El Codex Escurialensis, op. cit. a nota 13, p. 18.
18
In questo senso la proposta di Fernando Marías Franco, El Codex Escurialensis, op.
cit. a nota 13, p. 19. Assai diversa è l’interpretazione di questo stesso numero d’inventario
avanzata da dal Dodson che propone di identificarlo con uno dei volumi di architettura di
maggior diffusione e importanza nella spagna del Cinquecento: il celebre libro di Diego de
Sagredo, Medidas de lo Romano necesarias y oficiales que quieren seguir las formaciones
de las bases columnas y otros edificios antiguos, Toledo 1526; cfr., Trevor J. Dadson, Libros,
lectores y lecturas. Estudio sobre bibliotecas particulares españolas del Siglo de Oro, Ma-
drid, Arco,1998, in particolare, pp. 110-118 per le caratteristiche della sua biblioteca e, p.
330, n. 31, per quanto riguarda l’identificazione del volume.
19
In tal senso possiamo trovare problemi analoghi nell’attribuzione mantegnesca del
Codice Destailleur di Berlino; cfr. Luca Leoncini, Il codice detto del Mantegna. Codice
Desteilleur Oz 111 della Kunstbibliothek di Berlino, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1993,
in particolare pp. 27-29, per la straordinariamente simile vicenda storiografica; e pp. 71-72
per i problemi relativi all’identificazione storica della descrizione del volume. Una prospet-
tiva generale sul rapporto tra Mantegna le sue raccolte di disegni e le proiezioni artistiche
degli stessi in Giovanni Romano, Verso la maniera moderna: da Mantegna a Raffaello in
Storia dell’arte italiana. Dal Cinquecento al Seicento, parte II, vol., II, I, a cura di Federico
Zeri, Torino, Einaudi, 1981, pp. 5-83, particolarmente pp.12-17.

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2. Anonimo, Codex Escurialensis, “Vista di Roma con l’Arco di Settimo Severo”, segnatura 28-II-
12, fol 20., Biblioteca del Monastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio
Nacional.

che, che tanta importanza ebbe tra il Quattrocento e gli anni immediatamente
precedenti al “Sacco di Roma”. Proprio la molteplicità formale e estetica dei
differenti contributi grafici rappresenta l’elemento essenziale per comprendere
l’importanza contestuale del volume, trasformato, in tal modo, in un prezioso
strumento al servizio di artisti e collezionisti mossi da una medesima coerenza
ideologica nei confronti dello studio o del collezionismo dell’antico. Infatti, è
proprio attraverso l’analisi individuale di quei disegni, che possiamo verificare
come si tratti di una raccolta il cui minimo comun denominatore risiede nella
rappresentazione grafica di alcune delle anticaglie più rappresentative dell’im-
maginario rinascimentale (fig. 2). Con ragione, è attraverso le presenze o le
assenze di alcune di esse che una parte della critica ha provato a stabilire una
cornice cronologica per la realizzazione del Codex. Un insieme di proposte, che,
pur nella loro logicità non superano lo stato della ragionevole e solida conget-

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Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

3. Anonimo, Codex Escurialensis, “Dettaglio degli affreschi della Domus Aurea”, segnatura 28-II-
12, fol. 10v, Biblioteca del Monastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio
Nacional.

tura. Così, se sembrano irrefutabili le considerazioni sulla possibile data post


quem, in quanto alcune delle allora più recenti scoperte archeologiche, come la
Domus Aurea20 (fig. 3) o L’Apollo del Belvedere21 (fig. 4), vengono ripetuta-
mente citate nei fogli del Codex, sia in dettagli, sia in viste generali; di maggio-

20
Per questa cronologia è inevitabile rimandare alle preziose indicazioni di Claudia La
Malfa, The Chapel of San Girolamo in Santa Maria del Popolo in Rome. New Evidence for
the Discovery of the Domus Aurea in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes»,
LXIII (2000), pp. 259-270.
21
Riguardo alle cronologie dell’Apollo Belvedere e soprattutto delle sue differenti loca-
lizzazioni tra la fine del Quattro e l’inzio del Cinquecento vedi Deborah Brown, The Apollo
Belvedere and the Garden of Giuliano della Rovere in «Journal of the Warburg and
Courtauld Institutes», LXIII (1986), pp. 235-238. .

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4. Anonimo, Codex Escurialensis, “Apollo Belvedere”, segnatura, 28-II-12, fol. 64, Biblioteca del
Monastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio Nacional.

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Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

re complessità è la questione relativa all’identificare un limite ante quem


seguendo lo stesso criterio basato nel riflesso delle scoperte archeologiche. In
particolare, mi riferisco, alla possibilità di farlo utilizzando come argomento
scientifico l’esclusione della principale scoperta d’inizio secolo, il Laoconte.
Un’assenza considerata come significativa, ma che non può essere giustificata
in termini documentali. Comunque, fino a che non emergano nuovi dati in grado
di rifiutare quelli qui esposti fin ora, ci sembra logico accettarli e, quindi, iscri-
vere la realizzazione del Codex in un arco cronologico compreso tra il 1479 e il
1506/1509. Si tratta di un periodo di tempo molto esteso che, a nostro avviso,
rende praticamente impossibile attribuire l’autografia del volume a un solo arti-
sta, posizione difesa soprattutto dalla storiografia più lontana in contrapposizio-
ne alle più recenti revisioni critiche22. Queste ultime, pur nella solidità che cia-
scuna di esse dimostra, continuano perpetrando – in modo cosciente e inco-

22
Per quanto riguarda l’identificazione dell’autore ripassiamo rapidamente le più signifi-
cative posizioni critiche, che hanno oscillato da quella storiche a Giuliano e Antonio da Sangallo
del Hülsen a quella dell’Egger del 1906 a Domenico Ghirlandaio che trova fondamento nelle
indicazione di Condivi e Vasari sulla presenza a Roma dell’artista fiorentino e del suo suo stu-
dio sistematico delle antichità romane e anche per la somiglianza tra alcuni disegni del Codex e
quelli di Ghirlandaio. Più recenti le posizioni difese da Arnold Nesselrath che indicava come
alcune delle citazione classiche già apparissero in opere di Ghirlandaio anteriori al soggiorno
romano, risaltando inoltre il carattere di prodotto meccanico e storicamente secondario del
Codex. Seguendo questo ragionamento lo studioso argomenta che una parte del Codex corri-
sponde a Giuliano da Sangallo, un’altra vedrebbe l’intervento di Filippino Lippi, del quale
Cellini ricordava i libri disegnati delle belle antichaglie di Roma e una terza sarebbe di Baccio
d’Agnolo. Shearman, oltre ad aver identificato la presenza di tre quaderni che compongono il
Codex nel suo attuale stato di rilegatura, aveva proposto il nome di Raffaello per alcuni disegni.
Benzi più recentemente ha proposto il nome di Baccio Pontelli per la parte principale. Una pro-
posta fondata sulla la sua presenza a Senigallia, sulla somiglianza tra alcuni disegni del Codex
e quelli dipinti da Baccio nella cattedrale di Pisa e nel Palazzo di Urbino e sul legame araldico
tra alcune delle immagini rappresentate e la famiglia Della Rovere, alla quale era legato l’arti-
sta nel suo soggiorno romano. Inoltre questo autore procede a una dettagliata ricomposizione
delle differenti mani presenti nel Codex in modo molto interessante. Marías non entra diretta-
mente nella questione dell’autografia, pur contraddicendo in parte la tesi di Benzi, al sostenere
che il Codex è più opera di un artista figurativo che di un architetto, segnalando, inoltre, che nel
contesto degli anni ottanta del secolo, alcune delle viste rappresentate nel Codex risultano esse-
re assolutamente estrane alla tradizione romano/fiorentina. Ne è un buon esempio la vista di
Roma da Monte Mario, che «rivela la mano e l’occhio di uno specialista». Contemporanea-
mente e sulla stela di Nesselrath utilizza il Codex, e soprattuto alcuni dettagli, come punti di fu-
ga, tracce dell’uso del compasso per vincolar strettamente il libro alla trasposizione dei model-
li alla fabbrica del castello della Calahorra. Nello specifico dell’autografia sembra comdividere
la posizione di Nesselrath per giungere alla conclusione che la presenza dei nomi di Giuliano e
Antonio da Sangallo, Rafaello, Filippino Lippi, Baccio d’Agnolo «sembra vincolare il Codex
con le riunioni invernali nella casa fiorentina di Baccio ricordate da Vasari» e trasformarlo in un

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Matteo Mancini

sciente – l’idea vasariana del primato del disegno fiorentino rispetto ai contem-
poranei interessi degli artisti di altre scuole regionali italiane. Eppure l’insieme
degli studi filologici degli ultimi anni hanno dimostrato dal punto di vista tec-
nico, da quello stilistico e, soprattutto, da quello ideologico che anche gli artisti
del nord Italia erano profondamente interessati allo studio del disegno e allo stu-
dio dell’antico, i due elementi fondamentali e caratterizzanti del Codex. L’insie-
me di queste considerazioni ci spinge a mettere in discussione la matrice tosca-
na dei disegni del Codex praticamente mai messa in dubbio finora. E lo faremo
verificando le sue inquietanti coincidenze compositive e formali con numerose
opere di Andrea Mantegna, in altri termini verificheremo come molte delle
ragioni e degli argomenti di comparazione formale spesi per affermare l’origi-
ne fiorentina del Codex possano essere utilizzati con la medesima efficacia nei
confronti di un esponente di primo piano della pittura veneto-lombarda interes-
sato allo studio del classico.

II.

I pittori del nord Italia e quelli di scuola veneziana in particolare disegnava-


no e lo facevano con la stessa attenzione nei confronti della costruzione della pro-
spettiva o dell’interesse verso gli studi archeologici che i maestri delle scuole
centro italiane, fino al punto di raggiungere risultati in nulla inferiori a quelli dei
loro colleghi23. Ne troviamo testimonianza precoce in un certo numero di qua-

prodotto unitario per il suo carattere di copia meccanica e riflesso dell’intercambio intellettuale
e pratico tra gli artisti dei modelli che dell’antico che avevano raccolto tra Roma e Firenze; infi-
ne, la posizone della Fernández Gómez, che torna alla proposta unitaria identificado di nuovo
con «un artista toscano muy interesado por la Roma clásica, rasgos que no contradicen, sino,
por lo contrario respaldan la atribución a Domenico Ghirlandaio». La bibliografia di riferimen-
to rispettivamente in: Hermann Egger, Christian Hülsen, Adolf Michaelis, Codex Escurialensis,
op. cit. (nota 6); Christian Hülsen, Il libro di Giuliano da Sangallo. Codice Vaticano
Barberiniano Latino 4424, Lipsia 1910, ristampa anastatic Biblioteca Apostolica Vaticana, Città
del Vaticano 1984; Arnold Nesselrath, I libri di disegni¸ op. cit., (nota 5), pp. 123-124; John
Shearman, Raphael, Rome, and the “Codex Escurialensis” in «Master Drawings», XV (1977),
2, pp. 107-145; Fabio Benzi, Baccio Pontelli a Roma, e il ‘Codex Escurialensis’, in Sisto IV. Le
arti a Roma nel primo Rinascimento, Atti del convegno internazionale di studi (Roma 23-25
ottobre 1997), a cura di Fabio Benzi con la collaborazione di Claudio Crescentini, Roma,
Associazione Culturale Shakespeare and Company, 1997, pp. 475-496; Margarita Fernández
Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, pp.44-49.
23
In tal senso possono risultare importanti le note che Ferdinando Salomon dedica a
Mantegna e al rapporto dell’artista con i modelli formali proposti dall’artista e la loro somi-
glianza con quelli fiorentini «Dedicandosi occasionalmente all’incisione tra 1470 e 1500. le sue

108
Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

derni di disegni tra cui spiccano quelli di Jacopo Bellini24. In essi possiamo veri-
ficare non solo un rinnovato interesse nei confronti del disegno come strumento
di studio delle costruzioni in prospettiva e della collocazione delle figure nello
spazio in termini praticamente analoghi a quelli predicati da Leon Battista Alberti
nel suo trattato sulla pittura25, ma soprattutto possiamo verificare l’attenzione nei
confronti della rappresentazione di elementi architettonici, spaziali, decorativi e
gestuali tratti da differenti forme classiche o almeno intesi nella prima metà del
XV secolo come tali. Ci riferiamo a titolo di esempio al foglio 76 del quaderno
di schizzi di Londra, dove è rappresentata l’Annunciazione in un pregevole e
ricercato contesto di edifici rinascimentali; o la ancor più interessante ricerca di
un equilibrio formale tra gli elementi architettonici che compongono il Tempio
ebreo della Presentazione al foglio 68 dell’album appena citato. Lasciando le
composizioni generali e centrando la nostra attenzione nei confronti di alcuni
dettagli significativi, citiamo il foglio 39 del volume conservato a Parigi raffigu-
rante Cristo davanti a Pilato. Un disegno di gran importanza per quanto riguar-
da la tipologia iconografica dell’arco di trionfo che da passo al Palazzo del gover-
natore romano, dove spiccano per il loro classicismo due Vittorie alate, tratte
quasi direttamente dagli archi di trionfo romani e che ritroveremo rappresentate
tanto nel Codex Escurialensis26, quanto nei Trionfi di Mantegna27. Stesso discor-

stampe sono molto simili ai sui disegni, ricordano nel tratto le maniere larghe usate dai fioren-
tini, le figure sono piene di forza, aspre, in risalto, quasi bassorilievi» in Ferdinando Salomon,
Il conoscitore di Stampe, Torino 1961, Umberto Allemandi e C., (III ed. 1992), p. 46; ancor più
concreto, se fosse possibile, Giovanni Romano nella definizione del ruolo del disegno nella pro-
duzione di Mantegna e nella percezione/ricezione dello stesso dalle prime fonti che parlano del-
l’artista. In particolare mi riferisco alle considerazioni del Romano sulla Cronaca di Giovanni
Santi che identifica in «disegno e invenzione» gli elementi qualificanti dell’arte di Andrea; cfr.,
Giovanni Romano, Verso la maniera moderna op. cit. (nota 19), particolarmente pp. 6-7.
24
Su questo argomento rimando al volume di Otto Pächt, La pintura veneziana del
Quattrocento, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, in particolare mi riferisco al capitolo su
Jacopo Bellini e Mantegna e rispettivamente alle pp. 40-92 e 106-110.
25
Leon Battista Alberti, La Pittura, trad. di Ludovico Domenichi, Venezia 1547, Gabriel
Giolito de Ferrari, in particolare alludo al libro secondo, pp. 18-36 dell’edizione citata.
26
Concretamente ai fogli 46v e 47; cfr. Margarita Fernández Gómez, Codex Escuria-
lensis 28-II-12 a nota 6, p. 105.
27
Sui Trionfi di Cesare dipinti da Andrea Mantegna vedi Charles Hope The Triumphs
of Caesar, in Andrea Mantegna, catalogo della mostra a cura di Jane Martineau, Londra-
New York 1992, Thames and Hudson-Electa-Royal Academy of Art, pp. 350-356, con
amplia bibliografia essenziale; anteriormente dello stesso Charles Hope, The Chronology of
Mantegna’s Triunph in The Reinassance Studies in honour of Craigh Hugh Smith, a cura di
Andrew Morrogh – Fiorella Superbi Gioffredi – Piero Morselli – Eve Borsook, Firenze,
Giunti Barbéra,1985, vol. 2, pp. 297-316.

109
Matteo Mancini

so si può fare per la precisione nella maniera di rappresentare i capitelli, che


dimostrano un chiaro interesse verso la riproduzione di modelli tratti direttamen-
te da fonti classiche o su di esse misurati. Per quanto riguarda l’interesse di Man-
tegna nei confronti dei modelli classici non dobbiamo dimenticare alcuni detta-
gli della Cappella Ovetari e soprattutto le indicazioni rivelatrici che offre il dise-
gno preparatorio corrispondente al San Giacomo condotto al Martirio del British
Museum28.
È in tale contesto che possiamo e dobbiamo rileggere la relazione tra
Mantegna e Roma, ovvero, tra il pittore e i modelli dell’antico; relazione intesa
come parte di un processo di assimilazione di modelli artistici, sociali, e soprat-
tutto ideologici in grado di affrancare la figura del pittore/artista dalla condizio-
ne artigianale propria dell’attività pittorica. Un processo che inevitabilmente
deve tenere in considerazione episodi propri della biografia reale dell’artista che
convivono con il più ampio scenario determinato dalla riproposizione di model-
li topici inerenti al percorso di conoscenza e attenzione nei confronti dell’antico,
come possiamo verificare dalla simmetrica comparazione tra i dati biografici
relativi al soggiorno romano di Mantegna, e l’insieme delle motivazioni storico-
cronologiche che hanno determinato l’attribuzione del Codex Escurialensis a dif-
ferenti maestri centro italiani. Le circostanze del viaggio a Roma di Andrea
Mantegna sono ben note e vennero determinate dagli incarichi di Papa Innocenzo
VIII, interessato a ottenere un’intevento del pittore nella decorazione della sua
cappella al Belvedere. Un’opera d’arte, che, secondo la conosciuta descrizione
dell’abate Agostino Taja – anteriore alla rimozione del 1780 – doveva essere
simile nella struttura delle finte architetture alla Camera Picta di Mantova, con
una probabile maggiore presenza di prospettive illusioniste vincolate alle antiche
case romane. In tal senso è particolarmente interessante un passaggio di quella
descrizione per l’attenzione che presta agli elementi decorativi che rappresenta-
no direttamente una citazione visiva dell’antico: «Nelle piccole quatro pareti
divise dai loro pilastre pure a finta scorniciatura ed ai bei grotteschi, restano
dipinte alcune finte scansiette che sembrano custodire anche tutti i segreti arredi,
cioè i calici incensieri, mitra ed altro e nobile venerando strumento per l’eccle-
siastica»29. Di quella stessa cappella, in realtà, già aveva parlato Vasari nella
prima edizione delle Vite, ricordando la minuziosa attenzione che vi ripose An-
drea Mantegna. Ma Vasari è Vasari e deve essere letto e interpretato, non come
una fonte oggettiva ma come una parte in causa, come l’esponente di una fazio-

28
British Museum, Londra, n. 1976-6-16-I, citato in Otto Pächt, La pintura veneziana,
op. cit., (nota 24), p. 107, n. 101.
29
Agostino Taja, Descrizione del Palazzo Apostolico Vaticano, Roma, Niccolò
Pagliarini, 1750, pp. 43-44.

110
Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

ne, cosciente della sua storia e dei suoi limiti. Ecco allora che la cappella di
Innocenzo VIII è «più tosto cosa miniata che dipintura»30 e che le citazioni dal-
l’antico si trasformano in vezzi naturalistici del suo autore, pur trattando alcuni
dei topici iconografici di maggiore successo durante tutto il Rinascimento: «E fra
gli altri gli venne in capriccio di fare una figura che si cava una calza che per
essersi il sudore appiccicata alla gamba, colui la tira a rovescio, appoggiandosi
all’altro stinco, con tanta forza e disagio che e l’una e l’altro gli appare in viso,
cosa che fu tenuta molto in quei tempi in maraviglia e venerazione»31. Un sin-
golare vezzo naturalistico del quale lo stesso Vasari non riesce a occultare la reale
importanza, come dimostra l’ultimo capoverso nel quale si parla di meraviglia e
venerazione, due termini assolutamente appropriati in quanto definiscono bene
uno degli obiettivi fondamentali dell’imitazione dell’antico e del suo supera-
mento. Nella seconda edizione del 1568 il giudizio, sempre di parte è più pon-
derato rispetto alla precedente del 1550, riferisce di un Andrea capace di «cava-
re il buono dalle cose vive e naturali, che di quelle fatte dall’arte»32. Possiamo
facilmente intendere che l’arte alla quale allude lo scrittore aretino non è altro che
quella degli antichi per la sua capacità di riunire in un solo artefatto le migliori
parti delle proporzioni umane. Ce lo ricorda di nuovo Vasari al riportare l’opi-
nione di Andrea Mantegna, favorevole alla supremazia dell’antico rispetto allo
studio del naturale: «Ma con tutto ciò ebbe opinione Andrea che le buone statue
antiche fussino più perfette et avessino più belle parti, che non mostra il natura-
le»33. D’altro canto la vanità e/o l’incoscienza tradiscono Vasari che non riesce a
nascondere la qualità dei disegni del Mantegna, che, anzi, evidenzia con orgo-
glio, vanagloriandosi di possederne uno34.
Quindi, in una fonte di prima mano, come le Vite di Vasari, arriviamo ad

30
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Lorenzo
Torrentino 1550, p. 511; riferimento che rimane invariato nella seconda edizione, Idem, Le vite
de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Giunti, 1568, vol. I, p. 490.
31
Giorgio Vasari, Le vite, op. cit. a nota 30, Firenze 1550, p. 511; anche in questo la
considerazione di Vasari sull’opera di Mantegna si mantiene nella seconda edizione Giorgio
Vasari, Le vite, op. cit. a nota 30, Firenze 1568, vol. I, p. 490.
32
Giorgio Vasari, Le vite, op. cit. a nota 30, Firenze 1568, p. Firenze 1568, vol. I, p. 488.
33
Giorgio Vasari, Le vite, op. cit. a nota 30, Firenze 1568, vol. I, p. 489.
34
«Nel nostro libro è in un mezzo foglio reale un disegno di mano d’Andrea finito di
chiaroscuro, nel quale è una Iudith che mette nella tasca d’una sua schiava mora la testa
d’Oloferne, fatto d’un chiaroscuro non più usato, avendo egli lasciato il foglio bianco che
serve per il lume della biacca, tanto nettamente che vi si veggiono i capegli sfilati e l’altre
sottigliezze non meno che se fussero stati con molta diligenza fatti dal pennello, onde si può
in un certo modo chiamar questo più tosto opera colorita che carta disegnata». Cfr., Giorgio
Vasari, Le vite, op. cit. a nota 30, Firenze 1568, vol. I, p. 491.

111
Matteo Mancini

apprezzare l’interesse del Mantegna nei confronti dell’antichità classica fino al


punto di diventare uno degli elementi qualificanti della sua biografia, e lo dimo-
stra – di nuovo – la giuntina del 1568 attraverso il dettagliato riferimento alla
Madonna con Bambino degli Uffizi (la Madonna delle cave)35. Un dipinto nel
quale si manifesta – in maniera esemplare – l’interesse di Andrea nei confronti
della scultura, proprio per quel dettagliato sfondo paesaggistico che rappresen-
ta in modo tutt’altro che innocente una cava di pietra o marmo. Una citazione
tanto significativa e qualificante da determinare non solo il titolo del quadro, ma
anche una estesa digressione da parte di Vasari sull’argomento, trasformandolo
in un prezioso indizio sulla cultura antiquaria di Mantegna. Se poi spostiamo la
nostra attenzione verso il lato opposto del dipinto, verifichiamo, senza eccesive
difficoltà che lo sfondo destro è occupato dalla minuziosa descrizione prospet-
tico-topografica di una città di grandi dimensioni (reale o fantastica non ci inte-
ressa) che Mantegna dipinge con precisione, come già aveva fatto nel San
Sebastiano del Louvre – per esempio –, ma con una tecnica leggermente diffe-
rente e, soprattutto lo aveva fatto, tra ecfrasis e fonti varie, con la vista di Roma
o della città Umanista della “Camera picta”36. E non si doveva trattare di espe-
rienze isolate come dimostra il fatto che, sempre Vasari, ricorda l’abilità di
Andrea Mantegna nell’elaborare la relazione tra la figura umana e la prospetti-
va architettonico-spaziale attraverso gli scorci più azzardati37. Si tratta di un’in-
dicazione preziosa in quanto ci offre la possibilità di riflettere ancora una volta
sugli interessi di Andrea nei confronti dell’architettura, considerata come stru-
mentale alle necessità della pittura, un concetto che non è molto lontano, da
quello, attraverso il quale Fernando Marías giustifica le imprecisioni architetto-
niche dell’autore del Codex38, inteso come dilettante e non professionista. E, al

35
«Mentre che Andrea stette a lavorare in Roma, oltre la detta capella dipinse in un
quadretto piccolo una Nostra Donna col Figliuolo in collo che dorme, e nel campo, che è una
montagna, fece dentro a certe grotte alcuni scarpellini che cavano pietre per diversi lavori,
tanto sottilmente e con tanta pacienza che non par possibile che con una sottil punta di pen-
nello si possa far tanto bene; il qual quadro è oggi appresso lo illustrissimo signor don
Francesco Medici, principe di Fiorenza, il quale lo tiene fra le sue cose carissime»; Giorgio
Vasari, Le vite, op. cit. a nota 30, Firenze 1568, vol. I, p. 491.
36
Su Mantegna e Mantova vedi Leandro Ventura, Mantegna e la corte di Mantova,
Firenze, Giunti, 2006; e il cataloghi delle Mostre Mantegna a Mantova, 1460-1506, a cura
di Mauro Lucco, Milano, Electa, 2006; e, A casa di Andrea Mantegna. Cultura artistica a
Mantova nel Quattrocento, catalogo della mostra (Mantova 2006), a cura di Rodolfo
Signorini, Milano, Electa, 2006. Sulla “Camera degli Sposi” e le sue prospettive vedi Luigi
Coletti, La Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova, Milano, Rizzoli, 1959.
37
Giorgio Vasari, Le vite, op. cit. a nota 30, Firenze 1568, vol. I, p. 492.
38
Fernando Marías Franco, El Codex Escurialensis, op. cit. a nota 13, pp. 14-16.

112
Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

ripercorrere i monumenti rappresentati nella “Camera Picta”, riconosciamo,


senza eccessive difficoltà, le sembianze iconografiche essenziali delle Mirabilia
Romae: le mura Aureliane, l’arco di Tito (o più in generale l’arco di Trionfo), il
Colosseo (o un anfiteatro), la Domus Flavia in rovina, la piramide Cestia,
acquedotto di Claudio, Il teatro di Marcello, e, finanche, una statua anticha a
metà tra l’Ercole Farnese e l’atleta Vaticano. In altri termini, Mantegna già
conosceva l’immagine topografica di Roma, come del resto già conosceva l’an-
tico pur non avendo ancora visitato l’epicentro dei giacimenti archeologici. E,
se questo non fosse sufficiente, credo opportuno ricordare che Mantegna non
era l’unico a conoscere l’antico e ad avere brama di approfondirne gli aspetti più
interessanti: lo dimostra la corrispondenza su quest’argomento che pubblicò
Clifford Brown. In essa personaggi di rilievo assoluto nel mondo Mantovano e
Ferrarese, come Ludovico Gonzaga e Isabella d’Este, si occupano di un non
meglio precisato libro di «ritracto di certe sculture antiche», che, tra l’altro,
dovette passare per le mani di Andrea Mantegna come testimoniano le parole di
Ludovico. Un’indicazione capace di misurare l’importanza riservata all’antico
e alla sua riproduzione nei contesti storici e culturali nei quali si muoveva
Mantegna39. Tornando a Vasari, possiamo intendere meglio la sua ricostruzione
del soggiorno romano di Andrea Mantegna, se lo leggiamo da una prospettiva
meno parziale e lo liberiamo dai pregiudizi del pittore e scrittore aretino. Andrea
andò a Roma per conoscere de visu un repertorio formale e iconografico del
quale già aveva numerosi riferimenti, attraverso fonti indirette di diversa natura
(disegni, stampe, racconti orali) e che aveva utilizzato in anni anteriori al viag-
gio, come dimostrano le opere citate fino a questo momento. Il contatto diretto,

39
In tal senso merita di essere citata la corrispondenza tra il mercante Fiorentino
Angelo Tovaglia e Federico Gonzaga del 1476, in essa si riferisce di un libro di disegni, indi-
candone con precisione il contenuto chiaramente ispirato in modelli dell’antichità classica:
«uno libro del retracto de certe sculture antiche, le quale più parte sono bataglie di centauri,
di fauni et di satiri, così ancora d’uomini et di femmine accavallo et appiè, et altre cose simi-
li». Il Tovaglia ne vuole una copia indipendentemente dall’autore della stessa, ma il volume
era impossibile da reperire proprio perché Andrea Mantegna, secondo quanto raccontato dal
Marchese di Mantova nella sua risposta, l’avrebbe cedulo in prestito a un non meglio iden-
tificato artista locale; su questo episodio vedi Clifford M. Brown, Gleanigns from the Gon-
zaga Monuments in Mantua-Gian Cristoforo Romano and Andrea Mantegna in «Mitteilun-
gen des Kunsthistorischen Institut in Florenz», XVII (1973), n. 1, pp. 153-159; Arnold
Nesselrath, I libri di disegni, op. cit. a nota 5, pp. 123-124. Un segnale ancor più evidente
della cultura antiquaria di Mantegna, profondamente vincolata con la realizzazione, la circo-
lazione e il collezionismo di album di disegni tratti dai modelli degli antichi, la possiamo
riscontrare nell’attribuzione “storica” alla sua mano del Codice Desteilleur Oz 111 della
Kunstbibliothek di Berlino, esemplarmente presentato nel già citato volume di Luca
Leoncini, Il codice detto del Mantegna, op. cit. a nota 19, in part. pp. 71-82.

113
Matteo Mancini

la presenza “sul campo” gli avrebbe premesso di verificare le caratteristiche di


quelle «anticaglie» e di misurare la sua capacità di studio, assimilazione e riela-
borazione di quei modelli. Al ritorno da Roma, il classicismo di Andrea
Mantegna non dovette essere molto distante da quello anteriore al soggiorno,
ma era sicuramente più solido, più capace di trasformarsi non in una citazione,
come nel caso della “Camera Picta”, ma in una risorsa da reinventare e riutiliz-
zare come propria al servizio dell’invenzione personale. Ciò avviene anche nei
casi più significativi della produzione del Mantegna, e lo dimostrano le opere di
quegli anni40. Iniziando proprio da quell’esaltazione di “romanità”, ovvero di
classicismo, che sono i Trionfi di Cesare. Rappresentazione materiale ed effica-
cissima del legame ideologico tra l’antico e Mantegna attraverso la continua
citazione di gran parte delle meraviglie archeologiche che troviamo rappresen-
tante in modo sistematico nel Codex Escurialensis. Si tratta, come è possibile
verificare dal confronto di elementi di dettaglio o di parti più significative e
sostanziali, di fronte alla ripetizione di un vero e proprio repertorio d’immagini
e citazioni in grado di qualificare l’opera d’arte come frutto dello studio delle
fonti classiche.
Nel secondo Trionfo di Cesare41, la statua della divinità che porta il per-
sonaggio in primo piano vestito di giallo presenta una posizione che ricorda
la Demetra del fol. 54v42 del Codex Escurialensis (fig. 5): vi troviamo una
inversione del chiasmo e, allo stesso tempo, una interessante somiglianza nel-
la forma di sostenere il panneggio della tunica con la mano destra. In modo
simile possiamo mettere a confronto un dettaglio della colonna Traiana ripro-
dotto nel Codex con la scultura che viene trasportata sul carro all’estrema sini-
stra del Trionfo. Anche per quanto riguarda la posizione del cavallo non è dif-
ficile individuare nella colonna Traiana la fonte iconografica comune tanto ai
disegni dei fogli 6143, 62v44 e 64v45 del Codex, come alla pittura di Mantegna.

40
Una posizione analoga viene proposta attraverso cammini diversi dal già citato
Giovanni Romano, Verso la maniera moderna, op. cit. a nota 19, pp. 12-17; e, in termini più
generali, da Fritz. Saxl, La antigüedad clásica en Jacopo Bellini y en el Mantegna, in La
vida de las imágenes. Estudios iconográficos sobre el arte occidental, Madrid, Alianza,
1989 (ediz. or. Londra 1957), pp. 139-147.
41
Charles Hope, Canvas II: Captured statues and siege equipment, a representation of
a captured city and inscription (The Triumphal Carts) in Andrea Mantegna, op. cit. a nota
27, nota, pp. 359-360, n. 109. Hampton Court (1486-1500), tempera a colla (?) su tela, cm
268 x 278.
42
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 112.
43
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 121.
44
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 122.
45
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 123.

114
Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

5. Anonimo, Codex Escurialensis, “Demetra”, segnatura 28-II-12, fol. fol. 54v, Biblioteca del
Monastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio Nacional.

115
Matteo Mancini

Un accostamento analogo lo possiamo proporre anche per il portatore di ala-


barda del terzo Trionfo46 che ripete – invertiti – la posizione e il gesto del dise-
gno al foglio 10v47 del Codex Escurialensis (fig. 3). Un modello chiaramente
tratto dallo studio della Domus Aurea e di sicuro successo all’inizio del
Cinquecento in quanto trasposizione pittorica antica del canone di Policleto
impersonato dal Doriforo48. Nel quarto Trionfo49 spicca la dissimulata presen-
za, sotto le spoglie del personaggio maschile all’estrema destra del dipinto, di
una riproduzione dell’Apollo del Belvedere, che troviamo anche ai fogli 5350
e 6451 del Codex (fig. 4), dove la scultura viene studiata da due diversi punti
di vista. Le somiglianze tra il quinto Trionfo52 e i disegni del Codex sono mol-
teplici ed è possibile verificarli mettendo a confronto le diverse tipologie di
candelabri rappresentati in entrambi53. Nel seguente Trionfo54, il sesto, trovia-
mo di nuovo delle analogie. In particolare mi riferisco da una parte, alla scul-
tura del Marco Aurelio riprodotta sullo sfondo sinistro del telero e nel foglio
31v55 del Codex, ma anche all’armatura del primo piano, decisamente simile
a quella tratta dalla Domus Aurea e riprodotta al foglio 14 del Codex56. Nel
celebre settimo Trionfo, chiamato dei Senatori, che conosciamo attraverso una

46
Charles Hope, Canvas III: Trophies and bearers of coin and vases (The Trophy and
Bearers) in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27, pp. 361-362, n. 110. Hampton Court (1486-
1500), tempera a colla (?) su tela, cm 268 x 278.
47
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, pp. 63-64.
48
Su questi temi vedi Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, XXXIV, 49, traduzione e
note a cura di Antonio Corso, Rossana Mugellesi, Giampiero Rosati, Torino, Einaudi, 1988; Gian
Paolo Lomazzo, Scritti sulle arti, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Firenze, Marchi e Bertolli 1973,
vol. I., pp. 126-127 (Libro dei Sogni); Leopoldo Cicognara, Storia della scultura dal suo risor-
gimento in Italia fino al secolo di Canova, Prato, Giacchetti, 1823, vol. III, pp. 310-311.
49
Charles Hope, Canvas IV: Bearers of coin and vases, youths leading oxen, trumpe-
ters (The Vase Bearers) in Andrea Mantegna, op. cit., a nota 27, pp. 363-364, n. 111.
Hampton Court (1486-1500), tempera a colla (?) su tela, cm 268 x 278.
50
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6,
pp. 110-111.
51
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, pp. 22-123.
52
Chales Hope, Canvas V: Trumpeters, youth leading oxe, elephants with attendants
(The Elephant) in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27, pp. 365-366, n. 112. Hampton Court
(1486-1500), tempera a colla (?) su tela, cm 268 x 278.
53
In questo senso sono particularmente interessanti i confronti con quelli raffigurati al
foglio 18v.
54
Charles Hope, Canavas VI: Bearers of coin and vases, youths leading oxen, trumpe-
ters (The Vase Bearers) in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27, pp. 367-368, n. 111.
Hampton Court (1486-1500), tempera a colla (?) su tela, cm 268 x 278.
55
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, pp. 87-88.
56
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 67.

116
Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

serie di incisioni e un disegno57, appare sullo sfondo un tempio o mausoleo


che, senza troppe difficoltà è stato identificato come una versione ispirata alla
tomba di Cecilia Metella sulla via Appia. Il basamento di quell’edificio si
trova rappresentato in maniera praticamente analoga nel foglio 33 del Codex58
(fig. 6). Nel nono Trionfo59 dobbiamo centrarci sulla figura del protagonista,
Cesare, la cui maniera di incrociare le gambe è da mettere in relazione con il
disegno del foglio 10v60 (fig. 3), tratto anch’esso dalla sala Dorata della
Domus Aurea; mentre dalla colonna Traiana viene ripresa la posizione della
Vittoria alata che incorona il condottiero romano, anch’essa riprodotta in
forme similari al foglio 3161. Nello stesso telero troviamo un capitello dell’ar-
co di trionfo analogo a quello presente al foglio 2262 del Codex, mentre la
struttura generale dell’arco ricorda il disegno di quello di Tito, riprodotto al
foglio 4763 del Codex Escurialensis, soprattutto per la precisione nell’analo-
gia delle due Vittorie alate laterali i cui dettagli si trovano al foglio 46v64
(fig. 7), e la cui importanza – in termini iconografici – già evidenziammo in
rapporto al citato disegno di Jacopo Bellini.
Anche nell’attività di Andrea Mantegna posteriore al soggiorno romano65
troviamo analogie e similitudini con i disegni del Codex Escurialensis, secondo
le modalità che già sono state verificate (nella relazione modello-iconografia) in
opere anteriori a quell’esperienza, e mi riferisco – in termini di analogia fun-
zionale – al processo di elaborazione formale messo in atto attraverso la celebre
Zuffa degli Dei marini66, ripresa da un sarcofago romano in San Francesco a
Ripa in Trastevere e della quale, tra l’altro, troviamo un’interessante interpreta-
zione al foglio 5v67 del Codex. Per quanto riguarda le opere posteriori indichia-

57
David Ekserdjian, The Senator, in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27, p. 389, n. 125;
Suzanne Boorsch The Senator, in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27, p. 389, n. 125-126.
58
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 89.
59
Charles Hope, Canvas IX: Julius Caesar on his Chariot in Andrea Mantegna, op. cit. a no-
ta 27, pp. 371-372, n. 115. Hampton Court (1486-1500), tempera a colla (?) su tela, cm 268 x 278.
60
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 63.
61
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 61.
62
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, pp. 74-75.
63
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 105.
64
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 105.
65
Mi riferisco in particolare a quelle dipinte in grisaille, nelle quali l’interesse per i
modelli proposti da Andrea si estende alla sua bottega; cfr. Keith Christiansen, Paintings in
grisaille, in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27, p. 394-400.
66
David Ekserdjian, Battle of Sea Gods, in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27, pp.
285-286, n. 79.
67
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 57.

117
Matteo Mancini

6. Anonimo, Codex Escurialensis, “Mausoleo di Cecilia Metella, segnatura 28-II-12, fol. 33,
Biblioteca del Monastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio Nacional.

118
Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

7. Anonimo, Codex Escurialensis, “Arco di Vespasiano (sic. Tito), 28-II-12, fol. 46v, Biblioteca del
Monastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio Nacional.

119
Matteo Mancini

mo, a titolo esemplificativo, la già citata Demetra del foglio 54v68 (fig. 5) che
può essere assimilata alla Didone del Montreal Museum of Fine Arts, opera
datata intorno al 1500-1505; ma anche alla Giuditta con la testa di Oloferne69,
della National Gallery di Londra, la cui cronologia è di poco anteriore, verso il
1495-1500. Agli stessi anni si data il Giudizio di Salomone70 del Museo del
Louvre, un’opera che possiamo accostare al Giove Farnese, anch’esso studiato
in un disegno del foglio 5671 del Codex (fig. 8) e che, si trasformò in uno dei
principali modelli iconografici usati per la rappresentazione della maiestas in
trono, come dimostrano le opere prodotte in quegli anni da artisti tanto diversi
come Amico Aspertini, Jacopo Sansovino, Hemskerck, Martin de Vos o lo stes-
so Raffaello. Infine, una delle opere più tarde di Mantegna, la Calunnia di
Apelle72, che già di per sé è luogo comune dell’immaginario iconografico dei
pittori rinascimentali73, offre diversi spunti di comparazione con il già ripetuta-
mente citato foglio 10v74, ma anche con i fogli 51v75 e 5476 per quanto riguarda
posizione e gesti delle figure femminili.
Arrivati a questo punto si potrebbe iniziare a sospettare l’intenzione di
sostenere un’attribuzione a Mantegna dell’autografia del Codex Escurialen-
sis, soprattutto se, a quanto esposto fino a ora, aggiungiamo un dato ulteriore,
ricordando la coincidenza tra il soggiorno romano del pittore, solitamente fis-
sato tra il 1488 e il 1490, e le date nelle quali viene indicate per la realizza-
zione dei disegni che compongono il Codex Escurialensis. Si potrebbe tratta-
re di un’ipotesi più che sostenibile, date le stringenti prove filologiche, il

68
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 112.
69
Keith Christiansen, Judith with the Head of Holofernes e Dido, in Andrea Mantegna,
op. cit. a nota 27, pp. 411-413 rispettivamente n. 133 e 134.
70
Keith Christiansen, Judgment of Salomon, in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27,
pp. 405-407, n. 130.
71
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 116.
72
David Ekserdjian, The Calumny of Apelles in Andrea Mantegna, op. cit. a nota 27,
pp. 467-468, n. 154.
73
Un tema iconografico ampiamente inteso come parte del processo di dimostrazione
delle capacità intellettuali del pittore, secondo quanto indicato da Leon Battista Alberti, La
pittura, op. cit. a nota 25, p. 38: «Piacemi il pittore sia dotto, in quanto è possa, in tutte l’ar-
ti liberali; ma in prima desidero sappi geometria [...]. Lodasi leggendo quella discrezione
della Calunnia, quale Luciano racconta dipinta da Apelle. Parmi cosa non aliena dal nostro
proposito qui narrarla, per ammonire i pittori in che cose circa alla invenzione loro conven-
ga essere vigilanti» e come dimostrano le numerose repliche iconografiche, iniziando con
quella celebre di Botticelli.
74
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, pp. 63-64.
75
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 109.
76
Margarita Fernández Gómez, Codex Escurialensis 28-II-12, op. cit. a nota 6, p. 112.

120
Andrea mantegna e il Codex Escurialensis

8. Anonimo, Codex Escurialensis, “Giove Farnese”, segnatura, 28-II-12, fol. 56v, Biblioteca del
Monastero de El Escorial, San Lorenzo de El Escorial, Patrimonio Nacional.

121
Matteo Mancini

dimostrato interesse di Mantegna per l’antico, e la perfetta coincidenza cro-


nologica. In altri termini si potrebbe trattare dell’uomo giusto, nel posto giu-
sto e al momento giusto.
Eppure, ribadisco, è questo l’aspetto veramente di rilievo per la soluzio-
ne di ambedue i problemi: dell’autore e dell’origine dell’album di disegni?
Sinceramente, credo che ci siano questioni di maggiore interesse, che proprio
l’importanza del nome di Mantegna rimette in discussione. Mi riferisco, in
primo luogo, alla possibilità di seguire un percorso di comprensione dei con-
testi culturali legati alla pratica artistica il cui obiettivo principale era il recu-
pero dei modelli degli Antichi. In secondo luogo l’opzione eccezionale che,
offre il Codex Escurialensis, è rappresentata dalla possibilità di distinguere
con precisione, pur di fronte all’assenza di un’autografia certa, le differenti
fasi funzionali del volume. Tra di esse possiamo chiaramente indicarne tre: il
momento della creazione/realizzazione dei disegni, intesi in questo passaggio
come strumenti di studio e lavoro; il momento della loro acquisizione funzio-
nale sul mercato e per destinarli a svolgere un ruolo essenziale nella riprodu-
zione materiale dei temi formali lì rappresentati, e, infine, il momento di tra-
sformazione in parte di una raccolta collezionistica di disegni che come tale
venne intesa e trasmessa fino, praticamente alla data della citazione iniziale
del Ponz. Differenziare questi tre momenti permette di valutare con maggiore
attenzione cronologico/contestuale le caratteristiche dei processi di diffusio-
ne/ricezione dei modelli della classicità e quindi contribuire, in termini meto-
dologici, a una Storia dell’Arte intesa come una disciplina in grado di valuta-
re con precisione i fenomeni artistici delle società di Antico Regime.

Ara Jovis, 28 gennaio 2008, giorno di San Tommaso d’Aquino.

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