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Scultura Senese del Rinascimento: scoperte ed indagini al tempo di Bode

L'intervento tratta della scultura senese del Rinascimento e degli studi tra a fine dell''800 e i primi del
'900.
Nello stesso anno in cui Bode inaugura a Berlino Il museo dedicato all'imperatore Federico di
Germania, Corrado Ricci apriva a Siena la mostra dell'antica arte Senese nel 1904.

La capitale dello stato germanico dimostrava di poter competere con i grandi musei di Parigi e
Londra. Siena, invece, era una città provinciale che voleva riportare all'attenzione del pubblico
internazionale il suo grande passato di capitale artistica europea che Bode aveva ben presente. Fra le
opere più care al conoscitore tedesco vi era infatti lo Spiritello Tamburino realizzato nel 1429 da
Donatello per il fonte battesimale del Battistero che lui stesso aveva riconosciuto e donato al Museo di
Berlino.
Se nel museo berlinese la scultura era protagonista, nella mostra nel palazzo pubblico di Siena non
era da meno.
Ricci aveva ricomposto nella Loggia del palazzo le originali parti superstiti della Fonte Gaia di Jacopo
della Quercia. In occasione dell'esposizione i pezzi erano stati rimontati in modo da dare il più
possibile l'idea dell'originale della Fonte e mantenere l'esposizione en plein air. Soluzione di notevole
intelligenza che aveva il merito di rendere il primitivo effetto della Fonte.
Inoltre, alcune sale del Palazzo pubblico nel '904 erano state popolate da sculture dipinte, una foto di
allora testimonia come al disotto delle storie di Alessandro III affrescate da Spinello Aretino si
stagliassero una serie di figure che oggi sono ben note agli studiosi di scultura rinascimentale.
Occorre soffermarsi su alcune di queste per rendersi conto di quanto in alcuni casi le attribuzioni
fossero corrette e in altri no. A destra della foto, c'è Sant'Antonio Abate che fa parte del gruppo della
Madonna con Bambino e Santi di Jacopo della Quercia giunto al Museo del Duomo dalla Chiesa di
San Martino.
Nel catalogo della mostra del 1904 il gruppo ligneo policromo che in origine doveva stare dentro una
carpenteria gotica e apparire come un polittico tridimensionale è schedato con il giusto e niente affatto
scontato riferimento a Jacopo della Quercia.
Luciano Bellosi , più di una decina di anni fa, ha dimostrato l'attribuzione delle statue a Jacopo della
Quercia anche se per molto tempo molti non ne sono stati convinti.
Carl Cornelius, nel 1896, negò le sculture a Jacopo trovando non poco consenso.
Negli stessi anni il francese Marcel Remon pensava che Jacopo avesse intagliato solo la Madonna
lasciando i 4 Santi a degli aiuti.
Bode invece aveva capito che l'intero gruppo era di mano di Jacopo.
Grazie agli studi di Alessandro Bagnoli e Luciano Bellosi, oggi sappiamo che è un lavoro quercesco
come l'Annunciazione del Santuccio che era inedita quando fu presentata alla mostra del 1904 con
l'incredibile attribuzione a Neroccio di Bartolomeo. Questo è un maestro di una generazione
successiva nato nel 1447 quando le due sculture erano state intagliate da una ventina d'anni. Di
Neroccio era esposta poco lontano la Santa Caterina da Siena del 1474 per Il donatore della Santa in
Fontebranda come avevano dimostrato i documenti pubblicati da Gaetano Milanesi tra il 1854 e il
1856 e che erano noti nell'ambito dell’erudizione senese fin dal '700 .
Grazie a Scipione Borghese e Luciano Banchi nel 1898 erano stati ritrovati i pagamenti a Francesco
di Giorgio Martini per un San Giovanni Battista ligneo (1464) destinato alla compagnia di San
Giovanni Battista della morte. Tuttavia, sarebbe stato soltanto Enzo Carli a dimostrare nel 1949 che la
scultura di Francesco Di Giorgio esisteva ancora ed era da riconoscere in una statua che tutti
credevano del maestro Vecchietta.
Al tramonto del Settecento, infatti, questo Battista fortemente segnato dalla lezione del Donatello e
del Pollaiolo era finito in campagna nella Pieve di Fogliano.
Quando nel 1904 fu esposto nel Palazzo pubblico, si era persa la memoria dell'originaria provenienza
e lo si considera un inedito del Vecchietta. La successiva scoperta di Carli fu dovuta ad un restauro
che rivelò nella base della Statua lo stemma della compagnia.
La mostra del 1904 infatti rappresentò una straordinaria occasione per presentare un enorme
materiale in diversi casi inedito. Un materiale che comprendeva anche opere di privati che finirono sul
mercato e se ne andarono via da Siena.
Per la scultura del '400, mi piace ricordare la Madonna con il bambino (Giovanni di Stefano), che ha
alle spalle il modello della madonna del perdono di Donatello per l’altare della Madonna delle Grazie
nel Duomo di Siena che allora apparteneva al buon Costantino Turchi del Buonconvento. Ora, il
marmo si assegna con qualche cautela a Giovanni di Stefano e il suo aspetto attuale risulta assai
diverso da quello del 1904 testimoniato da una foto in possesso anche di Federico Zeri. Quando finì
sul mercato la scultura subì un drastico e sconsiderato intervento che vide l'eliminazione di ogni
traccia dei due Cherubini che contornavano la Vergine e la testa di quello dietro al bambino fu
rielaborata nella forma del nimbo del Cristo. All'apertura della Mostra del 1904, la scultura senese del
Rinascimento era un campo di studi non troppo battuto in Italia.
Le citate raccolte di documenti sulla storia dell'arte senese pubblicate nella II metà dell'800 da
Milanesi, Borghesi e Banchi contenevano una straordinaria mole di informazioni a cui attingere e che
ancora attendevano di essere in gran parte valorizzate.
Il volume sulla scultura del '400 di Adolfo Venturi sarebbe uscito solo nel 1908 e un nuova
generazione di studiosi era agli esordi (Giacomo de Nicola e Leo Bacci).
La storia dell'arte di lingua germanica era sicuramente più avanti.
Bode, in diversi contributi, dimostrato di avere buona familiarità con la scultura senese del
Rinascimento e per il museo berlinese aveva comperato un nucleo di opere del Quattrocento Senese
che Frida Schottmuller schedò fin dalla prima edizione del catalogo della scultura italiana del museo
data alle stampe nel 1913.
Tra queste di rilievo c'era un gruppo di Annunciazione in legno di Jacopo Della Quercia che si dice
proveniente da Santa Trinità a Firenze e della quale resta solo l’angelo e poi la Madonna con
bambino in mano di Francesco di Giorgio che Bode attribuiva però al Vecchietta.
Negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, il miglior contributo di rilievo sulla scultura senese del
Quattrocento si deve a August Schmarsow che fu tra i fondatori insieme a Bode dell'istituto tedesco
di Firenze. Nel 1889, Schmarsow resuscitò la personalità di Antonio Federighi maestro dimenticato da
Vasari giovandosi dei documenti editi dal Milanesi e comprendendo a pieno il talento dello scultore
all'antica, un talento tanto spiccato che nella Siena del settecento alcuni marmi federigliani erano stati
scambiati per frammenti archeologici tra questi l'Acquasantiera scolpita qualche anno dopo in san
Vittore nella Loggia della Mercanzia a Firenze. Schmarsow oltre ad offrire la giusta ricostruzione della
carriera del maestro vi riconobbe anche l'acquasantiera del Duomo di Orvieto risalente all'attività
svolta nella città umbra nel corso degli anni 50. Si tratta tra l'altro del primo esempio della
predilezione federighiana per l'antico che trova uno dei suoi vertici nel Bacco che passava per un
pezzo romano. Fu Schmarsow ad attribuirla a Federighi e che questa dovesse essere stata scolpita
nel '470. A noi appare come un marmo di sconvolgente modernità che anticipa non solo nel soggetto
ma anche nelle volontà di imitare diligentemente l'antico, il Bacco di Michelangelo.
Schmarsow può essere considerato dunque il vero padre degli studi sul maestro Federighi che
Roberto Longhi avrebbe poi individuato come il fondamentale tramite tra Jacopo Della Quercia e
Michelangelo e ormai ci appare come il migliore interprete della cultura umanistica di Pio II.
Lo scritto di Schmarsow sta del resto ancora alla base delle scoperte degli ultimi decenni che
comprendono altri eccezionali marmi di gusto antiquario come il Nettuno del Louvre o l'’inedita coppia
di busti di Bacco ed Ercole. All'intervento federigliano, fu dedicata un'appassionata recensione che si
trova nell'archivio storico dell'arte di Domenico Agnoli scritta da Cornelius von Fabriczy.
Cornelius von Fabriczy (1839, ingegnere), studioso validissimo ed instancabile si meritò la stima di
Bode, entrambi appassionati del rinascimento fiorentino. Nell'ultimo decennio di vita Fabriczy scrisse
anche su opere senesi.
Nella rivista all’arte diretta da Adolfo Venturi forni una bella novità agli studi su Francesco Di Giorgio.
Dal 1890 il Louvre possedeva un San Cristoforo di legno che era stato acquistato a Siena Nel 1858, e
allora si credeva del Vecchietta.
Fabriczy muovendo dalle testimonianze delle historiae senense di Sigismondo Tizio, dalle vite di
Vasari e dalle principali guide senesi dal XVII al XIX secolo seppe riconoscere che quella scultura
stava in origine nella cappella Bichi in Sant'Agostino a Siena in mezzo ad un complesso pittorico di
Luca Signorelli già allora smembrato. Nel 1984 Max Rider in un fondamentale studio sulla cappella
Bichi seguito dal restauro e recupero degli affreschi sulle pareti di Francesco Di Giorgio e bottega
propose una ricostruzione della Pala mista di pittura e scultura montando intorno alla struttura una
serie di dipinti di Signorelli. Egli ha pure dimostrato che l’impresa fu realizzata tra il 1488-90 su
commissione di Antonio Bichi uno dei membri più eminenti della fazione nodesca che aveva preso il
potere nel 1487.
Era stato tuttavia Fabriczy seguendo il suggerimento di Carlo Gamba a riconoscere il San Cristoforo a
Francesco di Giorgio per le indiscusse affinità che lo legavano nella costruzione del panneggio agli
angeli di bronzo in quegli anni per l'altare maggiore del Duomo.
La novità fu ovviamente inserita da Fabriczy nel suo ultimo lavoro, un accurato catalogo ragionato
delle sculture in legno e terracotta originarie della toscana pubblicato nel 1909 come supplemento
dello karlburg delle collezioni d’arte prussiane. Un lavoro che fu suggerito dalla mostra dell'antica arte
senese del 1904. Il catalogo diviso per scuole (senese, pisana …) ancora oggi sorprende per
accuratezza e impegno ed è uno strumento dove si possono trovare registrate e riprodotte qua e là,
sculture che incominciavano ad essere oggetto di studio come ad esempio la Madonna con bambino
di Volterra.
Egli non si limitò soltanto a ricordare le opere trovate dell'epoca ma anche quelle ricordate dai
documenti andate perdute o da ritrovare tra cui una serie di sculture attestate negli antichi inventari
conservati nell'archivio del Duomo di Siena (anticipando di un secolo la predilezione di Monica Buzzi
per questo tipo di documenti che nel 2012 ha pubblicato un volume contenente la trascrizione degli
inventari della Sagrestia della cattedrale senese e degli altri beni sottoposti alla tutela del Duomo dal
1389 al 1546).
Fabriczy aggiornò la bibliografia delle schede del suo catalogo pure con il primo libro dedicato alla
cultura senese del Quattrocento dato alle stampe a Berlino nel 1907 da un altro studioso tedesco di
nome Paul Schubring, "Die Plastik Sienas im Quattrocento"
Gli anni intorno al Novecento fu volontario nei musei di Berlino di arti decorative in pittura dove vi
evidentemente strinse rapporti di familiarità con Bode e si indirizzò verso lo studio della scultura con
un'inclinazione particolare per la scultura Senese. Nella pagina della prefazione del libro della pittura
senese del Quattrocento, S. accenna con entusiasmo alla mostra del 1904 che gli aveva permesso di
conoscere e confrontare tante opere e ricorda anche di essere andato alla scoperta del territorio
senese avendo tra le mani l'accurato inventario che Francesco Croce aveva compilato a ridosso
dell'Unità d'Italia tra il 1862 e il 1865 e solo per il territorio della provincia era stato pubblicato nel
1897.
Schubring tiene a riconoscere l'assoluto rilievo dei documenti pubblicati da Milanesi, Borghesi e
Banchi e il ruolo fondamentale avuto da Bode nella promozione della formazione degli Studi sulla
cultura del Rinascimento dichiarandosi grato anche del lavoro di Fabriczy.
Se leggiamo l'indice ci rendiamo conto di una certa completezza per quanto riguarda le personalità
artistiche della seconda metà del Quattrocento oppure dei primi del 500 (Federighi, Vecchietta,
Neroccio, Giovanni di Stefano, il problema del maestro della madonna Piccolomini, Francesco di
Giorgio etc).
Il primo '400 invece ruota attorno a Jacopo della Quercia e Giovanni di Torino perché altre 2
protagonisti come Domenico dei Cori e Pier Francesco Valdambrino che si dedicarono soprattutto alla
scultura lignea erano noti solo dai documenti, sarà poi Bacci a riscoprirne nelle opere.
Tuttavia alcuni di questi compaiono già nel suo volume come l’Annunciazione valdambrinesca di
Asciano che era stata rivelata al pubblico alla mostra del 1904.
S. ricorda pure l'Annunciazione di Jacopo Della Quercia a San Gimignano. Immagini però recano
nelle didascalie il nome di Martino di Bartolomeo che aveva lasciato la sua firma nella base della
Vergine.
Si trattava di un affermato pittore Senese che si era occupato di policromia .
Soltanto nel 1927, infatti, Bacci avrebbe reso noti i documenti che permettevano di riconoscere
Jacopo Della Quercia come l'autore dell'intaglio, poi, un restauro degli anni 70 avrebbe rivelato la sua
firma ai piedi dell'Angelo smentendo definitivamente chi sosteneva che il pittore lavorasse solo il
marmo e non il meno nobile legno.
Il volume di S. è costituito da medaglioni biografici con il limite di non contestualizzare bene alcuni
momenti cruciali e soprattutto di non sottolineare adeguatamente i passaggi di artisti non senesi ,
penso soprattutto al Donatello ma anche a Domenico da Magliano e il suo ciborio per la cappella
maggiore di San Domenico, manca anche Urbano da Cortona che si può considerare senese almeno
di adozione dato che una volta trasferitosi in città dagli anni 50 non si sarebbe più mosso.
Per tutto questo, però, c'è una adeguata ragione; ad Urbano da Cortona, Schubring aveva dedicato,
fin dal 1903, una monografia. In breve, S. mettendo insieme le scoperte archivistiche di Milanesi,
Boghesi e Banchi con le opere, aveva replicato in un libro il modello dell’articolo di Federighi di
Schmarsow che tra l’altro è stato il primo a riconoscere a Urbano da Cortona il bancale di sinistra
della Loggia della Mercanzia.
Nel ripercorrere la carriera del cortonese ha anche il merito di aver recuperato agli studi i frammenti
dello smembrato altare della Madonna delle Grazie in Duomo, la più prestigiosa impresa scultorea
della Siena del 400.
Quest’opera segnò il destino di Urbano perché ne evidenziò le debolezze inventive e qualitative tanto
che, con ogni probabilità, quando Donatello giunse a Siena sul finire del 1457 si limitò a scolpire la
Madonna del Perdono per il coronamento dell’altare.
Verosimilmente, su quel coronamento, doveva essere collocata la Madonna con bambino di Urbano
che si tende ad identificare con quella conservata al museo dell’Opera del Duomo a cui ho accostato
un tondo erratico di san Francesco conservato nella chiesetta di San Francesco all’Alberino di Siena
attribuibile a Urbano da Cortona che andrebbe ad arricchire le ricerche su questo maestro e
soprattutto scalpellino che in Schubring hanno il loro patriarca.
I volumi di Schubrig danno una visione assai completa di argomenti che fino ad allora non erano mai
stati trattati tutti assieme entro un arco cronologico tanto ampio. Questo basterebbe a dare conto
dell'assoluto rilievo degli studi di S. Sulla scultura senese del 400 molto da allora sarebbe stato
chiarito e nuovi scenari si sono aperti ma non si può trascurare il valore apriista da questi due volumi.
Passa più di mezzo secolo prima che studiosi italiani si cimentassero in studi simili.
Tra i suoi meriti di S.vi è quello di considerare la personalità di un artista anche quando si tratta di un
maestro eclettico operoso in più campi.
Mi riferisco in particolare a Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, figura chiave del '400 senese. S. ne
ripercorrere la biografia a partire dall'affresco del Pellegrinaio del 1441.
Il richiamo alle pitture è giustamente continuo nel profilo del vecchietta di Schubring.
C’è però qualche errore come l’attribuzione a Lorenzo dell’Assunta del rifugio a Siena, una rara opera
di Domenico di Bartolo e che nella mostra del 1904 era comparsa sotto il nome del Vecchietta.
Quanto alla scultura il catalogo vechiettesco è ricco ed oltre alle statue di marmo compiute per la
mercanzia intorno al 1460, comprende opere entrate negli studi da poco grazie all’impresa di Bode
sulla scultura rinascimentale della toscana (penso al sant’Antonio abate, al Bernardino ligneo di Narni
oppure al rilievo bronzeo con la risurrezione di Cristo datato 1472). Del resto, sulla scultura in bronzo
oltre a trattare delle sculture vecchiettesche del ciborio oggi sull’altare maggiore del Duomo e dei
redentori della chiesa della Santissima Annunziata, Schubring propone novità decisive per Francesco
di Giorgio risolvendo una disputa che andava avanti da qualche anno e aveva coinvolto i maggiori
conoscitori dell’epoca.
Tutto nacque da un articolo dell’archivio storico dell’arte nel 1893 pubblicato da Bode ed intitolato
“una tavola di bronzo di Andrea del Verrocchio”; la scultura in questione era una deposizione della
chiesa del Carmine di Venezia in cui tra gli astanti si riconoscevano il duca di Urbino Federico da
Montefeltro e il giovanissimo figlio Guidobaldo, nato nel 1472.
Un'opera in cui le forme e i caratteri delle immagini sono emerse con pochi tratti e al tempo stesso
con grande sapienza spaziale e un donatelliano effetto pittorico.
Ignorando la provenienza originale e guardando alla qualità altissima del manufatto, Bode si era
convinto che potesse spettare al Verrocchio, poco prima del soggiorno veneziano degli anni 80
dovuto all’impegno con il monumento di Bartolomeo Colleoni.
Il tenore elevatissimo e l’illuminazione in cui Del Rocca aveva lavorato, avevano indotto in inganno lo
studioso tedesco che tuttavia con notevole intelligenza si era accorto che alla stessa mano
appartenevano non solo il Giudizio di Paride ma anche lo stucco del Victorian Albert Museum di
Londra con la cosiddetta Discordia.
Questo rilievo deve avere avuto una parte nella scelta verrocchesca dello studioso berlinese perché
era entrato nel museo con il riferimento a Leonardo, il migliore allievo del Verrocchio.
Ovviamente, Bode affermava che "in tutta la plastica del quattrocento non esisteva alcun' altra opera
in cui la resa dello spazio fosse resa con tanta maestria, in cui la composizione avesse così tanta
potenza e ricchezza e lo stile insieme così tanta chiarezza, il corpo umano fosse riprodotto così
apertamente e con così tanta bellezza".
Un tale panegirico è sintomatico di un assoluto apprezzamento e la migliore premessa per un
successivo intervento dello stesso Bode che nel 1904 attribuì a Leonardo l'intero gruppo di opere.
Nel frattempo, Adolfo Venturi nel 1902 aveva ampliato la serie con la Flagellazione, un ennesimo
rilievo in bronzo perfettamente coerente in stile con la Deposizione.
Nell’occasione, Venturi mantenne il riferimento al Verrocchio ma poi nel volume sulla scultura del
'400 del 1908 volle credere che tutti questi lavori fossero da riferire al fiorentino Bertolo di Giovanni in
virtù di un indole profondamente caratterizzata dallo stile tardo del Donatello.
Frattanto però si era giunti alla soluzione definitiva.
Fabriczy nel 1906 si era accorto che la deposizione del Carmine di Venezia proveniva in realtà
dall’oratorio di Santa Croce a Urbino e sbagliando aveva pensato ad un lavoro del fiorentino
Francesco Simone Ferrucci.
Schubring capì subito invece che la provenienza urbinate era da mettere in relazione con Francesco
di Giorgio Martini e la sua attività per Federico da Montefeltro, a partire dalla seconda metà degli anni
'70.
Così tutto tornava.
Lo stile pittorico esuberante muoveva dalla familiarità con quanto Donatello aveva fatto a Siena
intorno al 1460 e la straordinaria cultura prospettica di questi rilievi corrispondeva perfettamente con
le predilezioni dell’ambiente urbinate e la preparazione matematica di uno dei migliori architetti ed
ingegneri del suo tempo.
Schubring apriva così la strada agli studi novecenteschi su Francesco di Giorgio scultore
presentandolo su un altissimo piedistallo dal momento che a lui si potevano riconoscere opere già
attribuite al Verrocchio o a Leonardo.
Per questa ragione S . affidò a lui addirittura il gruppo fittile del compianto della sacrestia
dell’Osservanza a Siena, un complesso statuario che si deve a Giacomo Mozzarelli, il più fedele
allievo di Francesco realizzò ormai nel primo decennio del 500 pur muovendo dai modelli compositivi
del maestro, quasi a grandezza naturale le figure della deposizione veneziana, ma con un
temperamento più naturale e citato dai moti dell’animo leonardeschi.
Il volume di Schurbing si conclude con Lorenzo di Maiano detto il Marrina che davvero può essere
considerato l’ultimo grande esponente della scultura senese del rinascimento.
Tra il 600-800 il nome dei marrini (bottega) era assegnato agli autori di marmi ornati all’antica con
fogliame di mani grottesche a partire dal prospetto della Pietà Piccolomini in Duomo scolpita sul finire
del '400.
Schurbing ha il merito di avere provato a recuperare per primo un'attività di statuaria del Marrini che
solo ai tempi nostri è risultata più chiara. Un documento trascritto dal Milanesi dimostrava infatti che il
Marrina aveva eseguito nel 1517 il busto in terracotta policroma di Santa Caterina da Siena ancora
conservato nella Contrada del drago. A quest’opera accostò l'Annunciazione dell’oratorio della
misericordia a Siena dando avvio alla costruzione di un corpus che con il tempo sarebbe diventato
piuttosto ricco.
Tuttavia questo non era coerente. Alessandro Bagnoli ha capito una ventina di anni fa che
l’Annunciazione della misericordia insieme a tante altre opere della serie sono da riconoscere a
Domenico Cafaggi, uno scultore fiorentino affermatosi con decisione nella Siena medicea del tardo
'500.
Mi piace dunque chiudere segnalando che scorrendo le pagine del volume di Schubring, balza agli
occhi un lavoro di Cafaggi a lungo dimenticato: è l'altare di marmo e legno dipinto che fino agli anni
'30 del secolo scorso dominava la Cattedrale di Pienza.
Schubring lo fraintendeva come opera del tempo di Pio II e lo produceva come precedente del
celebre allestimento pretruzzano dell'Altare Maggiore del Duomo di Siena dove il Ciborio del
Vecchietta è affiancato da coppie di angeli di Francesco Di Giorgio e Giovanni di Stefano.
Al contrario, si tratta di uno dei tanti altari di Siena e del suo territorio che deriva dall'allestimento di
quello del Duomo Senese. Veniva realizzato l'altare di Pienza nel 1600 da Antonio Maria di Pier
Giovanni e Francesco Cafaggi.
Così il volume di Schubring grazie ad un equivoco si rivela utile non solo agli studi sulla scultura
senese del Rinascimento ma anche a dipanare alcune ombre che si addensano su quella della fine
del Trecento.

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