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DIPARTIMENTO DI LINGUE

UNIVERSITÀ
E LETTERATURE
DEGLI STUDI
STRANIERE E
DI TORINO
CULTURE MODERNE

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN

LINGUE E LETTERATURE STRANIERE E CULTURE


MODERNE L-11

Dissertazione finale in
Letteratura Araba

L’Orientalismo nel Classicismo musicale europeo, con una


specifica attenzione al caso di Wolfgang Amadeus Mozart

Relatore Candidata
Prof.ssa Claudia Maria Tresso Cecilia Conte
Correlatore matr. 834197
Prof. Simone Bettega
Terzo relatore
Prof. Attilio Piovano

Anno Accademico 2018/2019



A Julio Cortázar e Johannes Brahms,
perché sono stati
l’inizio di ciò che ho ritrovato,
quando mi stavo perdendo.

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Indice

Introduzione…………..…………………………………………….…….….p. 7

1. L’Orientalismo nelle arti……………………………..………………..….p. 8


1.1 Il caso della letteratura…………..………….……………..……p. 12
1.1.1 Le Mille e una Notte…………………………………….p. 16

2. Orientalismo nella musica colta europea.………..……………….……p. 21


2.1 La musica strumentale……………………..………..….p. 24
2.2 La musica vocale………………………………….……..p. 30

3. Mozart e l’Oriente…………………………..………………………….…p. 36
3.1 Le turcherie……………..…………………………………………p. 38
3.2 Il ratto dal serraglio………………………………..…..………….p. 43
3.3 Il Flauto Magico…………………….………….…………..……..p. 57

Appendice iconografica………………………………….…………………p. 72

Conclusione…………..…………………………………………….…….….p. 84

Risorse…………………………….…………………………..…..….………p. 85

Volumi………………………………………………………………………..p. 85

Articoli………………………………………………………………………..p. 87

Sitografia……………………………………………………………………..p. 88

Incisioni di riferimento…………………………………………………..…p. 89

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Introduzione
Nel presente lavoro di tesi oggetto di studio è l’Orientalismo in rapporto al
Classicismo musicale europeo, con una specifica attenzione al caso di Wolfgang
Amadeus Mozart che, tra i principali esponenti del movimento in area tedesca,
viene unanimemente considerato il massimo esempio musicale del contesto
storico-culturale in questione.

Con la volontà di porre in luce l’interdisciplinarità dell’argomento, l’elaborato si


articola in tre parti così distinte:
in primo luogo si è inteso presentare una breve panoramica del concetto di
Orientalismo applicato alle arti in generale, esaminando sotto il profilo storico e
geografico i maggiori esempi nel campo delle arti visive e nel campo letterario, e
approfondendo il discorso inerente Le Mille e una Notte data l’ampia diffusione
dell’opera nell’Europa del XVIII secolo e l’indiscussa influenza che essa ha avuto
sul pensiero, il gusto e l’immaginario dell’epoca.

Successivamente, il secondo capitolo prende in esame il legame tra Orientalismo


e musica, esaminando le influenze attribuibili alla tradizione orientale nei
confronti dell’Occidente nell’ambito della musica strumentale e in quello della
musica vocale.

Addentrandosi poi nel caso specifico che si è voluto trattare, il terzo capitolo
esamina la produzione di W. A. Mozart in rapporto all’Orientalismo,
focalizzandosi sullo studio delle turcherie in ambito strumentale e sulle analisi dei
Singspiele Il ratto dal serraglio K 384 e Il Flauto Magico K 620, vero punto di partenza
da cui ha tratto origine l’idea dell’argomento di questa tesi.

La volontà di studiare i numerosi punti di contatto tra due mondi all’apparenza


notevolmente distanti, quali possono essere quello della musica colta europea e
quello della cultura e della lingua araba, nasce tanto dall’amore per entrambi i
mondi in questione quanto dall’intenzione di indirizzare il percorso di studi
personale verso la ricerca in campo etnomusicologico e, più nello specifico, verso
ciò che riguarda gli elementi di contatto tra la tradizione musicale colta europea e
quella propria delle culture arabofone.

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1. L’Orientalismo nelle arti
Parlare di Orientalismo, si sa, significa riferirsi a fatti molteplici, talvolta
storicamente e localmente circoscritti, talvolta di più ampia portata. Dalla
filosofia all’economia, l’Orientalismo trova una sua applicazione in un
considerevole numero di campi del sapere, connotandosi di volta in volta di
specifiche caratteristiche.
Per ciò che concerne il contesto artistico, parlare di Orientalismo significa
prendere in esame forse la più concreta tra le discipline oggetto della tendenza
occidentale di costruire un’immagine di Oriente che incarnasse il Diverso,
l’antitesi degli ideali estetici propri dell’Occidente. 1
Volendo applicare la prima definizione che di Orientalismo fornisce E. Said al
solo contesto artistico:

«L’Oriente stesso era in un certo senso un’invenzione dell’Occidente, sin


dall’antichità luogo di avventure, popolato da creature esotiche, ricco di
ricordi ricorrenti e paesaggi, di esperienze eccezionali. […] L’Oriente […] è il
concorrente principale in campo culturale; è uno dei più ricorrenti e radicati
simboli del Diverso. E ancora, l’Oriente ha contribuito, per contrapposizione,
a definire l’immagine, l’idea, la personalità e l’esperienza dell’Europa (o
dell’Occidente). Nulla, si badi, di questo Oriente può dirsi puramente
immaginario: esso è una parte integrante della civiltà e della cultura europee
persino in senso fisico».2

ciò che emerge con nitidezza è un’immagine di Oriente votato a incarnare tutto
ciò che Occidente non è.

«Quando si parla di “esotico”, 3 si vuole intendere da un punto di vista di


cultura generale, l’elemento straniero, forestiero, chiaramente riconoscibile
in quanto tale e, da un punto di vista più spiccatamente psicologico, il
complesso di sensazioni che il viaggiatore europeo prova al pensiero o alla
diretta conoscenza dei paesi e degli usi stranieri.
[…]Tre sono le costanti riconoscibili nella presenza dell’esotico nel mondo
occidentale:
1) la poetica della distanza suscitata dalla lontananza del paese
straniero;
2) l’elemento sensuale, presente in particolar modo nella
letteratura;

1Cfr. E. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente (1978), Milano, Giangiacomo Feltrinelli
Editore, 1999, p. 11.

2 Edward Walter Said (Talbiyye, 1935 - New York, 2003) fu studioso e critico letterario. Occupatosi
principalmente del mondo arabo, spesso contrastò apertamente le opinioni della maggioranza degli
intellettuali occidentali, nonostante la formazione statunitense. Con Orientalism (1978) evidenzia la
responsabilità degli orientalisti, del supporto alla colonizzazione materiale e culturale e ne
denuncia il contributo a formare un ampio corpo di idee stereotipare riguardanti l’Oriente. Cfr.
http://www.treccani.it/enciclopedia/edward-walter-said/.

3È bene specificare che, per quanto riguarda il periodo storico preso in esame, i concetti di
Orientalismo ed Esotismo vengono spesso a coincidere. Cfr. E. Said, op. cit., p. 157.

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3) la fuga dal quotidiano, dall’abitudinario, ricollegabile alla
prima di queste tre costanti».4

Rintracciare con precisione il momento storico in cui emerge in campo artistico


un chiaro interesse dell’Occidente per la cultura orientale è difficile, data la
considerevole antichità delle prime manifestazioni.5
Già nel Decameron 6 e nella Divina Commedia, 7 per citare due autorevoli fonti
letterarie, compare, ad esempio, il personaggio di “Saladino”,8 nel caso dantesco
inusitatamente ammirato, data l’impossibilità di salvezza per un pagano,
secondo i precetti della teologia cristiana medievale.
Di un secolo più tardo è l’esempio italiano, tra i più antichi, fornito nel campo
delle arti figurative: I Tre filosofi del Giorgione (tav. I p. 63), in cui uno dei tre
personaggi, simbolo della filosofia araba, è raffigurato con tratti fortemente
orientali e con il capo coperto da un turbante.9
Anche nell’arte manifatturiera è rintracciabile un certo gusto orientale, in
particolar modo nel settore tessile, che fa propri i moti floreali e geometrici tipici
dell’arte islamica. 10
Nella quasi totalità dei prodotti artistici occidentali è facile rintracciare
un’immagine ben definita di un Oriente stereotipato che, sempre citando Said:

«è un’idea che ha una storia e una tradizione di pensiero, immagini e


linguaggio che gli hanno dato realtà e presenza per l’Occidente. […]
L’Oriente è stato orientalizzato non solo perché lo si è trovato “orientale”,
soprattutto nel senso che a tale aggettivo è stato attribuito dagli europei del
secolo scorso, ma anche perché è stato possibile renderlo “orientale”. Non è di
consenso che si tratta, allorché dall’incontro di Flaubert con una cortigiana
egiziana nasce uno stereotipo letterario della donna orientale destinato ad
avere grande fortuna; ella non parla mai di sé, non esprime le proprie
emozioni, la propria sensibilità o la propria storia. È Flaubert a farlo per lei.
Egli è uno straniero di sesso maschile e di condizione relativamente agiata, e

4Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea. Dal Ratto del serraglio all’Italiana in Algeri.
Appunti del corso di Storia della Musica (1979), Università degli Studi di Torino, 1979, p. 9.

5 Ibidem.

6Cfr. G. Boccaccio, Decameron (1350-1353), Ed. di riferimento a cura di V. Branca, Torino, Utet, 1956,
p. 45.

7Cfr. D. Alighieri, Commedia (Inf., IV, 129), Ed. di riferimento a cura di G. Fallani e S. Zennaro,
Milano, Mondadori, 2016, p. 38.

8Nome con il quale è conosciuto in Occidente, il sultano di Egitto e Siria di fine XII secolo Ṣalāḥ al-
Dīn (Takrit, 1138 - Damasco, 1193) deve la sua fama all’aver, nel 1187, conquistato Gerusalemme,
distinguendosi come uno tra i più valorosi e pericolosi nemici delle forze cristiane durante la terza
crociata. Inizialmente presentato come un feroce nemico della cristianità, grazie ai romanzi
cavallereschi divenne progressivamente un eroe positivo, date la tolleranza e la liberalità che lo
caratterizzarono. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/saladino_%28Enciclopedia-dei-ragazzi
%29/.

9Giorgione, Tre filosofi (1506-1508), olio su tela (123,5x144,5 cm.), Vienna, Kunsthistorisches
Museum.

10 Cfr. G. Pestelli, op. cit., p. 10.

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tale posizione di forza gli consente non solo di possedere fisicamente
Kuchuk Hanem, ma anche di descriverne e interpretarne l’essenza, e di
spiegare al lettore in che senso ella fosse “tipicamente orientale”. […]
L’Orientalismo, quindi, non è solo una fantasia inventata dagli europei
sull’Oriente, quanto piuttosto un corpus teorico e pratico nel quale, nel corso
di varie generazioni, è stato effettuato un imponente investimento materiale.
Tale investimento ha fatto dell’Orientalismo, come sistema di conoscenza
dell’Oriente, un film attraverso il quale l’Oriente è entrato nella coscienza e
nella cultura occidentali».11

E se i primi accenni di Orientalismo in campo artistico muovono i propri passi su


un corpus di stereotipi non del tutto definiti ed universalmente condivisi dai vari
esponenti del mondo culturale europeo, con il procedere dei secoli e con
l’accrescersi dell’egemonia economica o culturale dell’Occidente, l’Orientalismo
va costituendosi con sempre maggior precisione e nitidezza, incontrando una
scarsa opposizione da parte dell’Oriente stesso.12

«A partire dalla fine del secolo XVIII, sotto l’etichetta generale di


“conoscenza dell’Oriente” è emersa, all’interno dell’egemonia occidentale,
una complessa concezione dell’Oriente suscettibile di essere insegnata e
perfezionata. […] Analogamente, l’approccio immaginativo a ciò che è
orientale ha preso le mosse da una sovrana coscienza occidentale, dalla cui
indiscussa centralità è emerso un mondo orientale conforme dapprima a
nozioni generali un po’ vaghe, poi a una logica più stringente e coadiuvata
non solo dalle nozioni empiriche che via via si accumulavano, ma anche da
una quantità di desideri, rimozioni, investimenti e proiezioni».13

L’Orientalismo in campo artistico non è, quindi, un volersi limitare a una banale


adozione di soggetti orientali, ma corrisponde a una più complessa volontà
ideologica di rappresentare quell’Oriente archetipico, specchio di un’immagine
antitetica dell’Occidente.14 È bene precisare che, nel parlare di “immagine
antitetica” e di “superiorità culturale” dell’Occidente, non si intende mettere in
relazione ai suddetti concetti l’idea di un giudizio di valore sempre negativo nei
confronti dell’Oriente. Anzi, spesso l’Oriente viene celebrato in quanto sede di
un’umanità magnanima, luogo in cui benevolenza e valori positivi trovano
spazio, lontani dalla corruzione e dall’immoralità occidentali. 15
L’immagine dell’Oriente, sul piano ideologico poi riflesso in campo artistico, è
dunque sì fortemente stereotipata, ma arricchita di infinite sfaccettature, spesso
discordanti tra loro, ma tutte accomunate dalla stessa volontà di rappresentare
uno scenario esotico lontano ed evocativo di una realtà opposta a quella di
appartenenza.

11 Cfr. E. Said, op. cit., pp. 15-16.

12 Idem, p. 17

13 Ibidem.

14 Cfr. E. Said, op. cit., pp. 90-91.

15 Idem, pp. 120-121.

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«Così, talvolta, la rappresentazione dell’Oriente può essere associata con le
prigioni di Piranesi, talaltra con l’atmosfera sfarzosa dei dipinti di Tiepolo, o
con il sublime esotismo di certi quadri di fine Settecento. […] Sensualità,
promesse, terrori, sublimità, piaceri idilliaci, indomabile energia: nell’Europa
tardosettecentesca, l’Oriente come tòpos dell’immaginazione preromantica e
pretecnologica era davvero una qualità camaleontica, definita dal campo
semantico dell’aggettivo “orientale”».16

16 Idem, p. 121.

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1.1 Il caso della letteratura
Nel contesto letterario del Settecento europeo tre sono i modelli testuali principali
in cui si manifesta l’Orientalismo: la letteratura didattico-enciclopedica, la
narrativa e il teatro.
Per quanto riguarda il primo modello, l’enciclopedismo illuminista e,
successivamente, i primi studi antropologici offrono innumerevoli esempi della
volontà occidentale di definire e catalogare un’Oriente prima in gran parte
sconosciuto, con l’esplicita esigenza di connotarlo di aspetti ben determinati,
facenti capo a pregiudizi necessariamente dipendenti da un Oriente archetipico
eletto a modello di riferimento e tendenti a unificare, sotto uno stesso gruppo di
idee, disparate caratteristiche dei popoli orientali, spesso con l’intento più o
meno esplicito di dilettare e affascinare il lettore, più che con quello di istruirlo.

«Nel campo della cultura enciclopedica e quindi della cultura illuminista,


prova dell’interesse per l’esotico è il capitolo dedicato agli “Usi e costumi”,
che doveva essere presente in tutte le enciclopedie perché fossero veramente
complete. Tali interessi, presenti evidentemente anche nell’Encyclopédie1 di
Diderot2 e D’Alembert,3 riguardavano gli usi e costumi di tutti i popoli, non
solo di quelli più noti e importanti. Questo studio era praticato con interesse

1 L’Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de
lettres, è nota per essere la prima grande iniziativa culturale enciclopedica della modernità. Si tratta
di una vasta e innovativa opera collettiva cui comparteciparono le più note personalità culturali
dell’epoca: Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Quesnay, etc. Si iniziò a pubblicare, in volumi
separati, dal 1751 e se ne redassero parti fino al 1772, raggiungendo un ampio corpus di 17 volumi
di testo e 11 volumi di tavole, per un totale di circa 60000 voci. Con l’esplicito intento di
promuovere e divulgare un nuovo sapere critico, l’opera si impone come uno tra i principali
contributi al sapere filosofico, politico, economico, sociale e critico dell’Illuminismo e come uno tra i
fattori essenziali alla creazione del clima intellettuale che diede avvio alla Rivoluzione francese. Cfr.
http://www.treccani.it/enciclopedia/enciclopedia/.

2 Denis Diderot (Langres, 1713 - Parigi, 1784) fu tra i maggiori esponenti dell’Illuminismo francese.
Dopo un breve periodo avviato agli studi ecclesiastici, operò in campo legale e didattico e contribuì
alla divulgazione di testi storici e medici inglesi. Autore di numerosi scritti apparsi anonimi ricchi
di laicismo e satira sociale, Diderot fu anche autore di studi sul linguaggio e di numerose
traduzioni. Dal 1747 tra i principali animatori del progetto dell’Encyclopédie, imprimendovi un
carattere spiccatamente politico che gli valse l’arresto nel 1749. Scarcerato, operò per una maggior
elusività dell’opera, elusività che ne consentì la progressiva pubblicazione a partire dal 1751. Fu,
oltre che redattore, autore di più di 6000 voci, dell’Encyclopédie la più parte riguardante temi
filosofici e descrittivi di arti e mestieri. Diderot è noto anche per la stesura di altre opere didattiche e
scientifiche e di testi teatrali, che contribuirono alla diffusione dell’ideologia e dell’ethos
illuministici. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/denis-diderot/.

3 Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (Parigi, 1717 - Parigi, 1783) fu fisico, matematico e filosofo.
Giovanissimo entrò a far parte dell’Accademia delle scienze di Parigi e, poco tempo dopo, fu
acclamato socio dell’Accademia di Berlino. Dal 1772 divenne segretario perpetuo dell’Accademia di
Francia. Si dedicò per tutta la vita agli studi, affiancando all’attività in campo scientifico scritti
filosofici e letterari, tra cui va ricordata la collaborazione all’Encyclopédie, di cui scrisse numerose
voci e, soprattutto, il celebre Discours préliminaire, vera e propria summa dell’enciclopedismo
illuministico. Celebre in campo matematico e fisico per le numerose scoperte inerenti l’algebra e la
meccanica, D’Alembert è noto soprattutto per il celebre principio della fluidodinamica che va sotto
il suo nome e per le scoperte in campo dinamico che trovarono successiva applicazione nelle
scienze astronomiche. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/jean-baptiste-le-rond-alembert_
%28Dizionario-di-filosofia%29/.

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addirittura spregiudicato, specialmente per quel che riguardava le cose più
bizzarre e inconsuete all’occhio europeo. In tal modo lo studio dell’esotico
veniva a costituire come un’evasione dalla razionalità illuministica, dalla
visione del mondo sub specie mathematica, regolato in tutte le sue
manifestazioni dall’esprit de géometrie tipico del razionalismo settecentesco
d’impronta cartesiana». 4

«Al massimo, l’Oriente “reale” fu lo spunto per la visione del poeta; quasi
mai ne guidò lo sviluppo. L’Orientalismo corrispondeva più alla cultura in
cui si era sviluppato che al proprio supposto oggetto di indagine, anch’esso
creazione occidentale. Così, la storia dell’Orientalismo possiede sia una
notevole coerenza interna, sia una serie di legami articolati con gli ambiti
limitrofi del sapere occidentale, creando una forte impressione di oggettività.
[…] Tenterò anche di mostrare come l’Orientalismo abbia spesso preso in
prestito, subendone l’influenza, idee e dottrine “forti” della cultura e della
società a esso contemporanee. Vi furono (e vi sono) in tal modo un Oriente
filologico, un Oriente psicoanalitico, un Oriente spengleriano, un Oriente
darwiniano, un Oriente razzista e così via. Qualcosa come un Oriente
oggettivo, in sé e per sé, non è mai esistito, così come non è mai esistito un
Orientalismo puramente scientifico e poetico, del tutto innocente e
disinteressato».5

«Limitarsi a dire che l’Orientalismo è una razionalizzazione del dominio


coloniale significa ignorare che spesso esso lo precedette, costituendone più
un incentivo che una giustificazione. Gli uomini sono sempre stati affascinati
dall’idea di dividere il mondo in regioni, caratterizzate per mezzo di aspetti
ora reali, ora immaginari. La netta separazione tra Est e Ovest, che Balfour6 e
Cromer7 considerano tanto ovvia, è in realtà il risultato di un processo
durato secoli. Vi contribuirono viaggi ed esplorazioni, commerci e campagne
militari. Ma oltre a questo, a partire dalla metà del secolo XVIII due fattori
influenzarono in modo particolare le relazioni le relazioni tra Est e Ovest. Il
primo è costituito dalla crescente, sistematica conoscenza dell’Oriente che si
andava diffondendo in Europa, cui diedero impulso la politica coloniale

4 Cfr. G. Pestelli, op. cit., p. 10.

5 Cfr. E. Said, op. cit., p. 31.

6 Arthur James I conte di Balfour (Whittinghame, 1848 - Woking, 1930) fu statista e primo ministro
britannico. Noto per la dichiarazione Balfour (1917), redatta durante l’incarico in veste di ministro
degli Esteri, in cui si dichiarava l’impegno del governo britannico nell’istituzione in Palestina di
una sede nazionale per il popolo ebraico, primo atto formale per la nascita del futuro Stato di
Israele. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/arthur-james-1-u00ba-conte-di-balfour/ e M.
Emiliani, Medio Oriente. Una storia dal 1918 al 1991 (2012), Bari-Roma, Giuseppe Laterza & Figli,
2019, p. 19.

7 Sir Evelyn Baring I conte di Cromer (Cromer Hall, 1841 - Londra, 1917) fu un diplomatico e
amministratore britannico. Nominato commissario alla cassa del Debito pubblico dell’Egitto nel
1877, ne dichiarò il fallimento e avviò una riforma finanziaria le cui conseguenze non ebbe modo di
vedere attuate, dato il trasferimento in India nel 1880. Nel 1883 tornò all’amministrazione egiziana,
sanò l’economia del Paese e istituì nuove normative giudiziarie, reprimendo ogni tentativo di
autonomismo. Nel 1896 diede avvio alla campagna di riconquista del Sudan. Fu autore di un testo,
Modern Egypt (1908) in cui motivò e giustificò la sua politica coloniale. Cfr. http://www.treccani.it/
enciclopedia/sir-evelyn-baring-iº-conte-di-cromer/.

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nonché la curiosità settecentesca per l’esotico e l’inconsueto, affiancate da
scienze quali l’etnologia, l’anatomia comparata, la filologia e la storiografia,
alle quali si aggiunse un consistente corpus di opere di romanzieri, poeti,
traduttori e viaggiatori».8

Per ciò che invece concerne la narrativa, spesso la penetrazione dell’esotico si


manifesta nelle forme del racconto fantastico. Indubbia è l’enorme influenza
dettata dalla pubblicazione della prima traduzione occidentale delle Mille e una
notte, (di cui si tratterà più approfonditamente in seguito), tanto sotto l’aspetto
tematico quanto sotto quello strutturale. 9
Anche nella narrativa, così come nei contesti precedentemente presi in esame,
l’Oriente è rappresentato secondo canoni estetici ben definiti, costituendo veri e
propri tòpos stilistici della letteratura romanzesca di soggetto esotico.
Dal punto di vista contenutistico, una iniziale e doverosa analisi merita
l’ambientazione dei racconti, spesso esplicitata e scelta tra un esiguo gruppo di
regioni e città mediorientali.

«Gli ambienti di questi racconti, commedie, libretti ecc. appartengono a


paesi compresi tra il golfo Persico e il Mediterraneo: la Persia (l’odierno Iran)
con la città di Isfahan, la Mesopotamia (l’odierno Iraq) con Baghdad; la Siria
con Damasco e la Turchia con Costantinopoli».10

Ciò che è interessante notare è la presenza di città, accanto a centri di potere


politico, economico e strategico del XVIII secolo quali Costantinopoli e Baghdad,
la cui importanza, sotto il dominio Ottomano venuta meno, è ascrivibile a un
passato lontano, quali il periodo dell’Impero Sasanide e poi Selgiuchide nel caso
di Isfahan e quello del Califfato Ommayade nel caso di Damasco.
La distanza, tanto geografica quanto storica, delle possibili ambientazioni
sottolinea quanto detto in precedenza, ovvero la superficiale conoscenza e la solo
parziale consapevolezza delle differenze esistenti in Oriente, delle molteplici
storie e tradizioni che, in ambito narrativo, convergono in un unico
approssimativo archetipo letterario.
Procedendo a esaminare i contenuti e la struttura del cosiddetto “racconto
orientale”, così spiega Pestelli:

«Nacque con funzioni didascaliche e critiche, poiché la sua struttura lo


voleva scritto da immaginari viaggiatori orientali, i quali, giunti in Occidente
e venuti a contatto con i suoi usi e costumi, esprimevano, per lo più in forma
epistolare, il loro giudizio, solitamente negativo, che condannava la società
occidentale come corrotta e basata su convenzioni e consuetudini prive di
valore e di significato».11

8 Cfr. E. Said, op. cit., pp. 45-46.

9 Cfr. G. Pestelli, op. cit., pp. 10-11.

10 Idem, p. 11.

11 Idem, p. 13.

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Poche righe di Canetti 12 sono invece sufficienti a sottolineare l’ampio perdurare
della suddetta struttura narrativa e dei citati intenti descrittivi di un Oriente dalle
fattezze di un “paradiso perduto”, rappresentante valori propri di una società
incorrotta dalla modernità e dalle abitudini europee:

«C’è aroma nei suk, e freschezza, e varietà di colori. L’odore, che è sempre
piacevole, cambia a poco a poco secondo la natura delle merci. […] Non si sa
mai quanto costeranno gli oggetti, né essi hanno infilzati i cartellini dei
prezzi, né i prezzi sono fissi. […] L’impressione di solidarietà tra questi
oggetti, che stanno uniti tra loro e ben separati da tutti gli altri oggetti di
diverso tipo, si ricrea nel passante, secondo il suo estro, ad ogni giro che
compie attraverso il suk. […] È sorprendente la dignità che acquistano in tal
modo questi oggetti fabbricati dall’uomo. […] il modo in cui sono presentati
è ancora quello di una volta. Accanto alle botteghe dove si vende soltanto, ce
ne sono molte altre davanti alle quali si può osservare come gli oggetti
vengono fabbricati. Così l’osservatore vede fin dall’inizio come si fanno le
cose, e questo lo mette di buon umore. Perché fa parte del nostro desolante
modo di vivere moderno l’esser costretti a ricevere in casa ogni cosa bell’e
fatta, pronta per l’uso, come uscita da magici e orribili congegni. […] È una
pubblica attività, è un fare che esibisce se stesso insieme all’oggetto finito. In
una società che tiene nascosto così tanto di sé, che agli stranieri cela
gelosamente l’interno delle sue case, la figura e il volto delle sue donne e
perfino i suoi templi, questa intensa ostentazione del produrre e del vendere
è doppiamente affascinante».13

«Poi parlò in arabo al marabutto, e intanto indicava me. […] Recitò per me
un versetto di benedizione che ripeté sei volte. La gentilezza e il calore da cui
mi sentii pervaso mentre lui parlava, non li ho mai ricevuti da nessun altro
essere umano».14

«Davvero in quel momento mi sembrò di essere altrove, di aver raggiunto la


meta del mio viaggio. Da lì non volevo più andarmene, ci ero già stato
centinaia di anni prima, ma lo avevo dimenticato, ed ecco che ora tutto
ritornava in me. Trovavo nella piazza l’ostentazione della densità, del calore
della vita».15

12 Elias Canetti (Ruse, 1905 - Zurigo, 1994) premio Nobel per la letteratura nel 1981, fu scrittore
bulgaro, nato da famiglia ebraica di lingua spagnola, noto per la corposa produzione riguardante i
viaggi e le lingue praticate. Autore di un’autobiografia in più volumi e di numerose cronache di
viaggio, nelle sue opere Canetti rifiuta il resoconto storiografico in favore di un significativo
intimismo e di una dimensione narrativa fortemente personalizzata. Cfr. https://en.wikipedia.org/
wiki/Elias_Canetti.

13 Cfr. E. Canetti, Le voci di Marrakech (1964), Milano, Adelphi Edizioni, 2018, pp. 21-23.

14 Idem, p. 38.

15 Idem, p. 57.

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1.1.1 Le Mille e una Notte

Volendoci soffermare più attentamente su alcuni esempi letterari di Orientalismo,


particolare attenzione merita il caso delle Mille e una Notte.

«Shahrazād, adolescente senza esperienza, ha appreso dai libri tutta la


saggezza degli uomini e delle nazioni. Sceglie di sposare Shahriyār. Questo
monarca, giusto di giorno, sposa ogni notte una giovane vergine e, una volta
consumata la loro unione, la condanna a morte al sorgere dell’alba, per
vendicarsi sulle donne del tradimento che ha subito dalla prima moglie.
Durante la sua notte di nozze, con la complicità della sorella Dunyāzād,
Shahrazād riesce ad appassionare il re con una storia di cui interrompe il
corso ogni mattina. La curiosità del re gli fa rinviare una prima volta, poi di
giorno in giorno, l’esecuzione di Shahrazād, che, ogni notte, prosegue i suoi
racconti. Verrà il momento in cui la collera del re si placherà e il suo affetto e
il suo rispetto per Shahrazād, che gli ha dato tre figli, si saranno consolidati,
al punto che rinuncerà al suo progetto di morte e vivrà con lei da monarca,
marito e padre appagato.
Questa è la storia cornice di ʾAlf layla wa-layla. […] Attorno al nucleo
indiano, passato in arabo attraverso il persiano,1 l’opera si è sviluppata con
l’aggiunta successiva di racconti nati a Baghdad […], poi di racconti nati al
Cairo, infine di racconti inizialmente elaborati e diffusi in maniera
autonoma, secondariamente e tardivamente incorporati nelle Notti».2

Le Notti si presentano dunque come un testo non unitario e facente parte della
letteratura popolare, spesso quindi affidato alla tradizione orale, che nel mondo
arabo si sviluppa accanto ad una fiorente letteratura dotta che, talvolta,
interagisce direttamente con quella popolare.3
Fatto estremamente interessante è poi rappresentato da quella che si potrebbe
definire la “genesi compositiva” dell’opera nel contesto occidentale, vista
l’enorme fortuna delle Notti nell’ambiente europeo: l’opera fu infatti oggetto di
traduzioni diffuse e frequenti, tanto che la si potrebbe quasi considerare un
prodotto della letteratura europea, benché nessuna delle versioni comparse in
Occidente si possa considerare effettivamente esaustiva. 4
Esistono, dunque, infinite versioni delle Notti, alcune tra loro fortemente
diversificate, sia per i problemi più strettamente legati alla traduzione dall’arabo

1 Il passaggio di un testo in sanscrito all’arabo attraverso il persiano e viceversa, così come allo
stesso modo vale per le traduzioni arabo-greco / greco-arabo attraverso il siriaco, era una prassi
diffusa nell’antichità; inoltre, chi si occupava della trascrizione dei testi in un’altra lingua, spesso
non si limitava alla semplice traduzione, bensì era solito arricchire il testo di partenza con elementi
appartenenti alla tradizione letteraria e alla cultura proprie del popolo di appartenenza.

2Cfr. H. Toelle, K. Zakharia, Alla scoperta della letteratura araba. Dal VI secolo ai nostri giorni (2003),
Lecce, Argo Editrice, 2010, pp. 187-188.

3 Idem, p. 183.

4 Cfr. R. Irwin, La favolosa storia delle Mille e una notte (2004), Roma, Donzelli Editore, 2009, p. 3.

!16
premoderno, 5 sia per l’assenza di un singolo manoscritto universalmente
riconosciuto come fonte. Da qui deriva l’infedeltà di quasi tutte le traduzioni
all’estremamente corposo 6 nucleo originario. 7
Riconosciuto essere il primo traduttore in una lingua europea delle Notti, Antoine
Galland8 pubblicò i racconti in tredici volumi, il primo dei quali comparso nel
1704, l’ultimo nel 1717; fonte, non unica, 9 dell’intero lavoro fu un originale
costituito da tre o quattro volumi, databile al XIV o XV secolo, oggi parzialmente
conservato alla Bibliotèque Nationale di Parigi e considerato il più antico
manoscritto delle Notti a noi pervenuto.10
L’influenza che le Notti di Galland ebbero sulla maniera occidentale di concepire
l’Oriente fu notevole, così come notevole fu il contributo dell’autore alla
creazione di un’immagine censurata o stereotipata, secondo l’eredità delle prassi
di traduzione già in uso in Francia nei secoli precedenti. 11

«La pubblicazione delle Notti inaugurò la moda delle storie orientali, sia in
traduzione che come opere originali. […]
Durante il Rinascimento francese, gli umanisti che traducevano i testi
letterari dell’antichità classica - che producevano le versioni cosiddette “belle
infedeli” - avevano sostenuto che il buon gusto dovesse avere la precedenza
su una rigorosa accuratezza della traduzione. L’intento decoroso di Galland
non fu tanto quello di riprodurre il vero tessuto della prosa medievale araba
quanto quello di distillarne gli elementi in grado di appagare le esigenze di

5Pare che le Mille e una notte non siano pervenute in arabo classico, bensì in quella varietà oggi
definita “medio arabo”, lingua in uso tra il XIII e il XVII secolo, fortemente influenzata dalle varietà
dialettali regionali e dal lessico turco e persiano. Idem, p. 4.

6 La sola versione Burton delle Notti vanta una cifra di 468 racconti, dai quali tuttavia mancano altre
favole rintracciabili in diverse traduzioni e altre ancora presenti negli originali arabi. Idem, pp. XIII-
XIV.

7 Idem, pp. 3-7.

8 Antoine Galland (Rollot, 1646 - Parigi, 1715) fu antiquario alla corte di Luigi XIV. Dopo una
formazione classica, cui affiancò lo studio della lingua ebraica, fu nominato ambasciatore di
Francia, incarico grazie al quale ebbe occasione di conoscere la cultura delle aree arabofone
dell’allora Impero Ottomano. Nel 1692 collaborò alla redazione della Bibliothèque orientale ou
Dictionnaire universal contenant généralment tout ce qui regarde la connaissance des peuples de l’Orient,
opera che conta al suo interno 8000 voci e che viene considerata essere il primo tentativo di
realizzazione di un’enciclopedia dell’Islam, ricca di elementi tratti da cronache ed enciclopedie
arabe, turche e persiane, ma anche di aneddoti e stereotipi dalla scarsa attestabilità. A partire dal
1701 intraprese la traduzione-stesura delle Mille e una Notte basandosi su fonti arabe e persiane. Cfr.
http://www.treccani.it/enciclopedia/antoine-galland/.

9 Mentre alcuni degli ulteriori elementi con cui è arricchita la narrazione presente nell’originale
sono attribuibili alla sola inventiva di Galland o a una probabile volontà di precisazione, di altri
dettagli si ha un riscontro in diversi manoscritti, ragione per cui si tende oggi a pensare che l’autore
abbia fatto riferimento a una o più versioni originali durante la traduzione. Si sa, inoltre, che
Galland non fece affidamento a sole fonti scritte: nel 1709 infami conobbe Hanna Diab, arabo
cristiano maronita di Aleppo giunto a Parigi, il quale fornì a Galland ulteriori spunti di racconti che
vennero successivamente inseriti nella versione francese delle Notti. Cfr. R. Irwin, op. cit., p. 10.

10 Idem, pp. 9-10.

11 Ibidem.

!17
gusto dei salotti francesi. Di conseguenza, quel che appariva barbaro o
eccessivamente esotico fu attenuato e soppresso. Quello che appariva
raffinato e suggestivo fu esaltato o creato ex novo. […] Oltre a eliminare gran
parte del materiale erotico, Galland decise di non tradurre la quasi totalità
dei brani poetici. Probabilmente pensò che non avrebbero incontrato i rigidi
canoni del gusto letterario francese del XVIII secolo. Galland, che solo
occasionalmente usò le note a margine, non esitò a inserire, all’interno del
testo stesso, commenti esplicativi su oggetti e istituzioni estranei al suo
pubblico».12

L’operazione di Galland, risulta evidente, consiste in una traduzione ampiamente


rielaborata, rispettosa del gusto dell’epoca e a sua volta partecipe nel delineare
nuovi caratteri del gusto per l’esotico tipico di quegli anni.13

All’edizione di Galland, cui fecero seguito altre traduzioni, quasi sempre tratte
direttamente dalla versione francese e spacciate per essere state condotte su
originali arabi, succede quella di Hammer-Purgstall, 14 orientalista austriaco. 15
La storia delle traduzioni delle Notti nel XIX secolo si arricchisce di ulteriori
interessanti versioni, alcune trattate con processi simili a quello di Galland, altre
sorte da nuovi ritrovamenti e nuove pubblicazioni di manoscritti. Sebbene alcune
di esse sarebbero meritevoli di un’approfondita trattazione, si è preferito in
questo capitolo soffermarsi sulle due sole traduzioni precedenti o contemporanee
al periodo storico-musicale trattato nel presente lavoro di tesi, rimandando ai
testi di riferimento utilizzati per un ulteriore approfondimento sulla genesi delle
edizioni delle Notti successive a quelle di Galland e Hammer-Purgstall.
Più utile è invece osservare l’esistenza nel contesto europeo di numerosi testi,
precedenti la traduzione di Galland, che con le Notti e con le altre fonti confluite
nella tradizione orale di esse presentano significative somiglianze.16
Il debito che l’Europa medievale ha nei confronti della narrativa araba è enorme,
grazie alle traduzioni effettuate a Bisanzio e grazie a Spagna e Sud Italia nelle

12 Idem, pp. 11-12.

13 Cfr. H. Toelle, K. Zakharia, op. cit., p. 189.

14 Joseph Freiherr von Hammer-Purgstall (Graz, 1774 - Vienna, 1856) è considerato essere uno dei
fondatori degli studi scientifici sull’Impero ottomano. Studiò turco, persiano e arabo, lingue alle
quali affiancò gli studi classici e la professione di interprete. Nel 1799 viaggiò per la prima volta a
Costantinopoli, mentre nel 1800 operò come traduttore in Egitto, nella campagna contro i francesi.
Nel 1802 tornò a Costantinopoli e fu in quel periodo che prese avvio la traduzione in francese dei
racconti delle Mille e una notte, forse da un manoscritto trovato al Cairo precedentemente, oggi
perduto, che lo occupò fino al 1806. Di questa traduzione, oggi perduta, si conserva una versione
tedesca su di essa condotta e pubblicata nel 1825. Dal 1807 interprete alla corte imperiale viennese
presso la quale, dieci anni dopo, divenne consigliere, Hammer-Purgstall in quegli anni curò la
rivista Fundgruben des Orients e si occupò di numerose traduzioni di opere orientali in tedesco. Cfr.
https://www.accademiadellescienze.it/accademia/soci/Joseph-von-Hammer-Purgstall.

15 Cfr. R. Irwin, op. cit., p. 12.

16 Idem, p. 80.

!18
vesti di principali canali di traduzione e trasmissione, sia della letteratura
scientifica, sia di quella d’intrattenimento.17
Interessante è poi notare come tale letteratura di intrattenimento sia confluita tra
il XII e il XVII secolo tanto in raccolte di racconti quanto in produzioni teatrali,
alcune delle quali considerate tra le più autorevoli opere delle varie letterature
europee e spesso fonte d’ispirazione per trame d’opera o balletti del periodo
Barocco e Classico. 18

«A questo fenomeno della sensibilità europea, da leggere in filigrana in tutta


la secolare storia dei suoi rapporti con l’Oriente, il Settecento si rivolse
dapprima nell’ambito della ricerca sugli usi e costumi: interesse
enciclopedico, ma anche curiosità per raffinatezze e bizzarrie, quasi un
compenso alla regolarità e alla simmetria del razionalismo. […]
Il racconto orientale, la “novella turca” si diffondono sempre più, dapprima
con prevalente funzione didascalica e satirica: […] l’antica concezione
dell’Oriente tollerante, le contraddizioni sociali e morali dei “civili” europei,
risolvono il parallelo a vantaggio degli orientali, e la purezza naturale dei
primitivi di solito trionfa della malvagità europea. […]
L’esotismo […] dell’opera seria barocca non andava oltre l’eccentricità dei
costumi e il fasto delle scene; la materia orientale penetra con più facilità
nell’opera di soggetto buffo, non solo nella caratterizzazione grottesca del
guardiano dell’harem o nell’abbondanza di serenate suggerite dalla donna
rinchiusa, ma proprio nella musica determinando un piccolo repertorio di
ricorrenze. […]
A questo aspetto di riproduzione positiva e localizzabile, adatta per lo più ai
ritmi rapidi dell’opéra-comique francese, del balletto o del pezzo strumentale
di genere (marce turche), doveva mescolarsi nella seconda metà del secolo
una nuova dimensione dell’esotismo, meno limitata agli usi e costumi e
interessata piuttosto ad approfondire il genere della fiaba verso favolose
lontananze e misteriose iniziazioni.
L’elemento fiabesco circola a Napoli nei libretti e nelle commedie di
Francesco Cerlone19 (1765), spesso desunte da Le mille e una notte».20

Oltre alla supposta circolazione di traduzioni precedenti quella di Galland delle


Notti, è fatto ormai noto che versioni a buon mercato della traduzione francese
circolassero in territorio francese e inglese già prima della sua avvenuta
pubblicazione completa, determinando un successo immediato dell’opera e un
corposo fiorire di imitazioni e parodie negli anni immediatamente successivi alla
sua prima comparsa. 21

17 Idem, pp. 80-81.

18 Idem, pp. 81-85.

19 Francesco Cerlone (Napoli, 1722 - Napoli, 1812) fu un librettista e drammaturgo italiano. Avviato
alla carriera di librettista nel 1750 a Roma, tornato a Napoli scrisse circa settanta opere tra
commedie e libretti, musicati, fra i tanti, da Giovanni Paisiello, Niccolò Piccinni e Domenico
Cimarosa. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-cerlone_(Dizionario-Biografico)/.

20 Cfr. G. Pestelli, L’Età di Mozart e di Beethoven (1979), Torino, E.D.T., 1991, pp. 58-60.

21 Cfr. R. Irwin, op. cit., pp. 219-220.

!19
Si stima che, solo nella Francia del XVIII secolo, le opere prodotte alla maniera
orientale sulla scia delle Notti di Galland fossero circa settecento,
successivamente tradotte in Inghilterra. Da qui derivarono ulteriori imitazioni e
rielaborazioni in lingua inglese, qualitativamente inferiori rispetto alle
contemporanee francesi e spesso scritte con intento unicamente edificante, ma
accomunate alle edizioni francesi dagli stessi tratti tipici dell’Orientalismo
settecentesco di cui si è in precedenza già largamente parlato.22

22 Idem, pp. 223-224.

!20
2. L’Orientalismo nella musica colta europea
La musica colta europea, è bene precisare, muove i primi passi nel campo
dell’Orientalismo senza operare alcuna sorta di distinzione basata sulla
consapevolezza dell’esistenza, in ciò che veniva definito Oriente, di diverse
culture e dunque di diverse tradizioni musicali.
Per l’universo eurocolto, “orientale” è tutta quella musica che ha in qualche
modo a che fare con l’elemento popolare, con il colore locale; “orientale” tutto ciò
che in musica risponde all’esigenza di creare una particolare sonorità peculiare e
di donare al brano musicale un carattere inusitato, strano e innovativo. 1
La musica europea, dunque, in qualità di fattore di organizzazione identitaria, si
pone in rapporto all’Oriente non con l’intento di osservare la diversità, bensì con
la volontà, pregna di ridondante Orientalismo, di rappresentare ciò che è altro da
sé mediante immagini o espedienti più o meno presenti effettivamente nelle
culture musicali cosiddette “orientali”.
Le considerazioni di studiosi 2 e testimonianze di musicisti occidentali dell’epoca
dimostrano l’abbondanza di pregiudizi e malintesi, per nulla propri di un
corretto approccio etnomusicologico, nel trattare ciò che concerne le abitudini
musicali e il gusto delle culture orientali.
Così, fra i secondi, si esprime per esempio nel 1751 Ch. Fonton,3 nel suo Essay sur
la musique orientale comparée à la musique européenne:

«Ciascuna nazione ha, fin nelle cose infime, alcuni tratti che la caratterizzano
e la rendono differente dalle altre. Gli Orientali pure fan parte a sé. Lontani
dai nostri modi e costumi in tutto, non ci si avvicinano maggiormente
neppure nella loro musica, che non tollera neppure il minimo rapporto con
quella di un qualsiasi popolo Europeo. Noi inoltre non abbiamo necessità di
conoscere a fondo la musica degli antichi per esser in grado di stimare che è
completamente la stessa cosa. Ma, almeno, c’è la possibilità di credere che se
son rimaste alcune vestigia di questa, dev’esser presso gli Orientali, presso
coloro la maggior parte delle cui arti si son preservate maggiormente quali
erano alle origini, quasi senza alcuno sviluppo o perfezionamento. Più di
un’opinione pare autorizzare questo parere. La semplicità e la naturalezza
che regna nella musica orientale; lo stesso gusto universalmente diffuso tra i
differenti popoli dell’Oriente; talune arie e talune danze di cui si parla in ben

1 Cfr. Stefano A. E. Leoni, L’Oriente: tutta un’altra musica. L’oltre-Bosforo come catalizzatore
dell’immaginario musicale occidentale alle soglie dell’età moderna (2004), Lucca, Musica/Realtà, Libreria
Musicale Italiana, anno XXV/75, novembre, 2004, pp. 99-101.

2“C’è stato un tempo, non così lontano, in cui l’incontro iniziale di un Occidentale con la musica
araba difficilmente generava amore al primo ascolto; l’esposizione a questo particolare universo
sonoro sovente ricordava all’ascoltatore non avvertito un latrar di cani. Nell’Agosto del 1648, il
viaggiatore francese M. de Monconys assistette a una cerimonia di dervisci al Cairo, che egli
descrive in termini raccapriccianti.” Cfr. A. Shiloah, Music in the World of Islam: a socio-cultural study,
Scolar Press, Aldershot 1995, p. xiii (trad. it. Stefano A. E. Leoni, op. cit., p. 102).

3 Charles Fonton (Costantinopoli, 1725 - Smirne, 1793) fu un orientalista, segretario reale e


interprete francese. Dopo gli studi a Costantinopoli viaggiò in Medio Oriente, dove ebbe modo di
conoscere da vicino le culture delle aree visitate e di redigere un saggio sulla musica orientale. Cfr.
J. Cler, http://dictionnairedesorientalistes.ehess.fr/document.php?id=308.

!21
noti autori antichi fino al giorno d’oggi dalla gente di queste terre. Tutto ciò
ci fa presumere che si possa considerare ciò, se non proprio una prova,
almeno come un tratto di somiglianza tra la musica degli antichi e la
moderna musica orientale.
Comunque sia, è un fatto assodato che questa musica non è poi tanto da
scartarsi quanto si immagina, e nemmeno è così sgradevole da non poter
essere compresa. Nel giudizio degli intenditori, essa ha la bellezza tipica del
suo genere. Ma è difficile dare un’idea corretta e precisa di questo, poiché la
musica è quel genere di cosa di cui si sentono gli effetti e non si esprimono.
Tutto quel che si può dire in generale, e a dispetto delle critiche, è che è
patetica e toccante. Ispira sentimenti e genera piacere. Adatta allo spirito
asiatico, è come questo popolo, molle e languido, privo di energia e vigore, e
non possiede né la vivacità né lo spirito della nostra. Il grande difetto di cui
può esser accusata è quello d’esser troppo monocorde. […] L’anima è
toccata, ma non in tutte le sue potenzialità. […] Questa musica eccelle nel
genere cromatico, cui è profondamente legata. Posso giurare che emoziona e
s’insinua in noi e fa in modo che ci si senta in una disposizione d’animo più
ricettiva, forse più di quanto faccia qualsiasi altra musica. È un piacere che
chiunque può esperire, ma è uno solo tra le migliaia di cui si possa far
esperienza. Anche questo piacere vien meno, in considerazione della sua
perduranza, e spesso degenera in una certa languidezza e in una
immancabile noia. […]
Ciò che contribuisce inoltre a questo intorpidimento in relazione a noi, è la
molesta effeminatezza della massima parte delle arie Orientali».4

Appare quindi evidente la necessità dell’Occidente di definire, anche sul piano


musicale, un Oriente la cui musica sia del tutto opposta ai canoni di quella
europea: con l’esplicito intento di ritrovare e costruire una propria identità
facente capo a valori quali il vigore, la varietà, la virilità, l’evoluzione, per citarne
alcuni.
Altro tratto caratteristico dei primi approcci musicali dell’Occidente nei confronti
dell’Oriente è la volontà di uniformare lo stile di comporre ed eseguire musica,
volontà specificatamente attribuita a un’idea di superiorità dell’uomo europeo
rispetto al “Resto del Mondo”. 5
Sempre volendo prendere in esame altri giudizi stereotipati in merito alla musica
orientale offerti dall’Occidente, sono interessanti le testimonianze offerte dal

4 Cfr. Stefano A. E. Leoni, op. cit., pp. 103-104.

5 Idem, p. 113.

!22
celebre orientalista E. W. Lane6 e da S. Romanelli 7 che così si esprime nel
descrivere una danzatrice nel contesto urbano della Tangeri del 1787:

«…lentamente, provocantemente, ella inverte la posizione delle braccia.


Pensavo che fosse folle, ma mi dissero che quello era il modo in cui danzano
nella loro città. Ciò fu accompagnato da giovani ragazze che battevano
dolcemente su tamburi a calice… il rullio era del tutto casuale, non seguendo
alcuna regola di composizione».8

Entrambe le fonti mettono in luce un altro carattere proprio dell’immagine che


l’Occidente crea di un Oriente sensuale e lascivo, privo di decoro e, come si
evince dalla descrizione di Romanelli, di ordine, di regole tanto nella musica
quanto nelle abitudini di vita.

6 Edward William Lane (Hereford, 1801 - Worthing, 1876) fu un traduttore e arabista britannico.
Studiò la lingua araba e, costretto per motivi di salute a spostarsi in un ambiente dalle temperature
più miti, nel 1825 si trasferì in Egitto, dove fu educato alla religione e al diritto islamico. Si adattò
perfettamente alla cultura araba, apprendendone e facendo proprie la lingua e tradizioni. Nel 1828,
una volta rientrato in patria, pubblicò un primo testo, arricchito di illustrazioni personali,
riguardante gli anni trascorsi in Egitto, cui fece seguito un secondo viaggio e una seconda
pubblicazione. L’accuratezza delle descrizioni offerte segnò l’immediato enorme successo
dell’opera di Lane. Celebre è la sua traduzione delle Mille e una notte, corredata di note e appendici
ed edita in tre volumi nel 1840. Cfr. https://www.loc.gov/item/ihas.200155942/.

7 Samuel Romanelli (Mantova, 1757 - Casale Monferrato, 1817) fu un poeta italiano di origine
ebraica. Fin dalla giovane età viaggiò per l’Europa e, nel 1787, in Marocco, dove redasse un’attenta
analisi della vita quotidiana delle comunità ebraiche residenti nel Paese. Molte delle sue opere sono
ancora conservate solamente in forma manoscritta. Cfr. https://www.jewishvirtuallibrary.org/
romanelli-samuel-aaron.

8 Cfr. Stefano A. E. Leoni, op. cit., p. 114.

!23
2.1 La musica strumentale
Come più attentamente si vedrà nel capitolo dedicato alle turcherie, nel corso del
XVIII secolo si vanno a delineare in maniera ben evidente determinati caratteri
stilistici propri della musica cosiddetta “orientale” o “alla turca”. 1
Quello che emerge, nel repertorio strumentale, è la presenza di una serie di
elementi ricorrenti, definiti turcherie, che così identifica Pestelli:

«[…] un piccolo repertorio di ricorrenze: intervalli eccedenti o diminuiti di


facile percezione nel regolare contesto di scale maggiori e minori, pesanti
movimenti cromatici di tutte le parti insieme, uso enfatizzato di seste
napoletane, crepitanti acciaccature in tempo veloce, taroccamenti in una
lingua turca immaginaria e soprattutto immediati segnali timbrici con
l’impiego di quella che si chiamava tout court “musica turca”, cioè il
pittoresco quartetto di grancassa, piatti, triangolo e ottavino. Da quando i
Turchi non furono più un pericolo reale per l’Europa (dopo l’assedio di
Vienna del 1683) si cominciò a guardare con curiosa simpatia anche alle loro
usanze musicali: la “musica militare” dei giannizzeri, guardia del corpo del
sultano, incontrò favore crescente e passò più tardi nelle bande militari degli
eserciti rivoluzionari e napoleonici».2

Rinviando al capitolo sulle turcherie per una più dettagliata analisi degli
accorgimenti stilistici utilizzati per imitare lo stile “alla turca”, come pure per una
più approfondita precisazione di elementi teorici, organologici e lessicali, ciò che
in questo capitolo si intende illustrare è il carattere turchesco e la sistematicità di
elementi ricorrenti già presenti in alcune tra le più celebri composizioni
strumentali “orientali” scritte in epoca precedente alle opere mozartiane di cui si
tratterà nei capitoli seguenti.
Primo esempio preso in analisi è la Sinfonia con cui si apre l’opera di Gluck Le
rencontre imprévue ou Les pèlerins de la Mecque, della quale si parlerà più
approfonditamente nel capitolo dedicato alla musica vocale. 3

«Fin dalla sinfonia, eseguita a sipario chiuso, appaiono elementi che fanno
parte della musica turca, o meglio della musica considerata “turca” dagli
europei, stando a quanto diceva lo Schubart».4

L’elemento tra i più evidenti è il ritmo di 2/4, tipico, come si vedrà nei seguenti
capitoli, della musica militare turca. Altro elemento turchesco è l’uso anomalo e
vistoso del re diesis nella tonalità d’impianto in la maggiore che, di norma, non
prevede il quarto grado alterato:

1 Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 735.

2 Cfr. G. Pestelli, L’Età di Mozart e di Beethoven, pp. 59-60.

3 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 40.

4 Ibidem.

!24
«Tale nota, estranea alla tonalità di base, provoca un intervallo di quarta
eccedente la - re diesis, usato con cautela nella musica operistica di soggetto
serio e quasi escluso dalla musica dotta in genere. Si tratta di un intervallo di
uso frequente nella musica popolare, che per la prima volta si fa strada nella
musica dotta proprio grazie alle opere di soggetto turco.
Il re diesis appare in quest’Ouverture fin dalla terza battuta, che occupa
interamente. Viene poi ripreso nel corso del pezzo in passaggi troppo rapidi
per renderlo distintamente avvertibile:

e infine per quattro volte in maniera chiarissima alla fine della sinfonia.

!25
L’effetto sugli ascoltatori contemporanei era certamente molto forte: una
nota decisamente extratonale come il re diesis nel la maggiore (non compare
neppure nel la minore) per un pubblico abituato alla regolarità estrema, al
razionalismo musicale dell’opera e della musica settecentesca in genere era
un elemento immediatamente avvertibile e caratterizzante».5

A questo proposito è doveroso specificare che l’utilizzo di intervalli insoliti verrà


rapidamente accolto nel gusto del pubblico europeo, dimostrando dunque la
forte influenza esercitata dalle innovazioni di carattere esotico anche sulla musica
non più legata al contesto orientale.6

5 Ibidem.

6 Ibidem.

!26
Compaiono anche le acciaccature, semplici e doppie, elementi ben accostabili alle
sonorità di piatti e triangoli, strumenti tipici - lo si anticipava più sopra - delle
bande di giannizzeri, accanto a una rapida formula dal carattere ripetitivo e
ostinato, inserita verosimilmente con l’intenzione di produrre un senso di
immobilità ipnotica nell’ascoltatore. 7
Altro esempio di Orientalismo nella musica strumentale, questa volta in ambito
austriaco, è dato da Michael Haydn, 8 fratello del più celebre compositore Franz
Joseph, che scrive la Sinfonia in re maggiore Zayre, detta anche Türkische Suite, in
quattro movimenti, composta nel 1777 a Salisburgo. 9
Qui l’elemento esotico consiste esclusivamente nell’impiego della banda turca
che ripete a guisa di ritornello alcuni temi dell’orchestra tradizionale,
richiamando la tecnica dell’alternanza tra tutti e concertino, tipica del concerto
grosso10 barocco e ripresa da F. J. Haydn 11 nella Sinfonia in sol maggiore n° 100 detta
“Militare”, anch’essa caratterizzata dall’utilizzo, talvolta, della banda turca nel
secondo movimento. 12

«Tutto ciò d’altra parte si ricollega a un aspetto importante delle musiche


turchesche, quello militaresco: la banda dei giannizzeri, che tante musiche
aveva ispirato in Occidente, altro non era in fondo che una banda militare,
celebre appunto per gli strumenti che usava».13

7 Idem, p. 41.

8 Johann Michael Haydn (Rohrau, 1737 - Salisburgo, 1806) studiò alla cantoria di Santo Stefano a
Vienna, per poi trasferirsi a Salisburgo, dove lavorò come organista e Konzertmeister in sostituzione
di W. A. Mozart. Autore di una vasta produzione, di Haydn si ricordano i numerosi lavori sacri,
orchestrali e cameristici, accanto a quelli teatrali nei quali emerge la sicura conoscenza delle
tecniche vocali. Nel 1777 compì un viaggio in Italia, che ne influenzò in parte lo stile compositivo.
Vanta, tra i suoi tanti allievi, C. M. Weber e A. Diabelli. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/
johann-michael-haydn/ e La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, pp. 339-340.

9 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 67-68.

10Sviluppatosi nel tardo Seicento, il concerto grosso venne a indicare una composizione orchestrale
in cui una parte di orchestra, generalmente rappresentata dagli esecutori più esperti, veniva isolata
di quando in quando, nel corso della composizione, creando un contrasto sonoro fra essi, definiti
“concertino” e il resto dell’orchestra, indicata con la medesima espressione usata per il tipo di
composizione, “concerto grosso”. Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 176.

11Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 - Vienna, 1809) fu uno tra i più celebri compositori austriaci
del Classicismo. Avviato fin dalla più tenera età agli studi musicali, si trasferì a Vienna all’età di
otto anni, dove si dedicò a ogni tipo di attività congeniale. Nel 1761 prese servizio presso la corte
degli Esterházy. Reso celebre in tutta Europa dalla pubblicazione delle sue composizioni, Haydn
ebbe come allievo, fra gli altri, lo stesso Mozart e, poco tempo dopo, Ludwig van Beethoven.
Recatosi a Londra nel 1790, dove soggiornò per due anni, lì scoprì le opere di Händel dalle quali fu
in parte influenzato. Della vastissima produzione di Haydn ricordiamo, accanto al corposo nucleo
di Sinfonie, opere teatrali di vario genere, i celeberrimi Oratori, le Sonate per fortepiano e un’ampia
produzione quartettistica. Haydn realizzò l’equilibrio formale e sonoro di sinfonia, sonata e
quartetto, generi musicali di cui è considerato il “padre” e nei quali è possibile ammirare tutta la
genuina genialità del compositore, che si traduce in un linguaggio elegante e fresco. Cfr. La nuova
enciclopedia della musica Garzanti, 1994, pp. 338-339.

12 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p.68.

13 Ibidem.

!27
Dei due esempi mozartiani, il Concerto per violino e orchestra in la maggiore K 219 e
la Sonata per pianoforte in la maggiore K 331, si tratterà qui solo il primo:
un’approfondita analisi della Sonata verrà affrontata infatti nel capitolo dedicato
alle turcherie.

«Nel 1775 Mozart, primo violino nell’orchestra del principe arcivescovo di


Salisburgo, scrive cinque concerti per questo strumento.
Composti in parte per sé e in parte per Antonio Brunetti, violinista italiano
assunto dal Colloredo, risentono del gusto galante tipico della musica
francese contemporanea: terminano infatti tutti con un rondò, spesso in ritmo
di minuetto,14 fatto abbastanza inconsueto in un concerto.
Le caratteristiche del rondò sono la circolarità e il ritorno di un elemento
costante, sintetizzabili nella formula: A - b - A - c - A - d - A…
Quello del Concerto K 219 ha una forma un po’ particolare: A - b - A - c - A - d
- A -b - A.
A è il tema del minuetto che ritorna in forma più o meno variata, b e c sono
elementi di diversità, ma almeno in una certa misura ricollegabili ad A, con d
invece le differenze si fanno chiaramente sentire perché Mozart fa ricorso al
vocabolario turchesco».15

Esaminando la sezione d, il primo elemento che emerge con evidenza va


individuato nelle agilità del violino, che presentano varie acciaccature, una delle
quali formata, non a caso, dall’intervallo di quarta eccedente già riscontrato
nell’ouverture di Gluck.16

14Danza francese in 3/4 di origine popolaresca, il minuetto fu introdotto nella musica colta da Lully
nel XVII secolo e finì per sostituire altri precedenti tipi di danza, imponendo un nuovo stile di ballo
più aggraziato che subito ebbe incredibile fortuna in tutta Europa. Dopo essere accolto nell’opera e
nel balletto, il minuetto fu inserito anche nella musica strumentale, dapprima nella suite, poi nella
sinfonia e nelle forme di sonata. Il minuetto è in forma tripartita: il minuetto vero e proprio, una
parte centrale detta trio in quanto, in origine, affidata a tre soli strumentisti e infine la ripetizione
della prima parte. Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, pp. 468-469.

15 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 73.

16 Idem, p. 74.

!28
All’intervento solista succede immediatamente la risposta orchestrale che si
compone di grandi salti e di una ritmica molto spiccata, che dà quasi l’idea dei
colpi di piatti della banda giannizzera:17

«Il comportamento del violino in d potrebbe anche essere assimilato al tono


tzigano-ungherese e, in effetti, occorre tener presente che per l’europeo
occidentale di quel periodo la musica che noi chiamiamo “turca” si confonde
con tutta la produzione musicale dell’Est, Europa compresa».18

Con il Concerto K 219, Mozart non si limita dunque all’utilizzo dell’elemento


turchesco, di cui farà poi largo uso nel Ratto dal serraglio, come si vedrà, ma
inaugura anche quella che nel Romanticismo sarà poi una prassi abitualmente in
uso, soprattutto per ciò che concerne il repertorio cameristico, ovvero la scelta di
inserire l’elemento zingaresco nel repertorio colto, aprendo il proprio sguardo e
quello del pubblico sulla corposa tradizione popolare, ora vista come
un’inesauribile fonte di innovazioni e di spunti finalmente ammessi anche nel
repertorio colto.19

17 Ibidem.

18 Ibidem.

19Cfr. C. Conte, La cultura gitana e la figura dello zingaro nel repertorio musicale cameristico, Milano,
Rassegna Musicale Curci, anno LXXIII, n° 1, gennaio, 2020, in corso di stampa.

!29
2.2 La musica vocale
Anche nell’ambito della musica vocale del Settecento l’Orientalismo segue canoni
ben definiti, soprattutto manifesti nella scelta di costumi e scenografie e nelle
caratteristiche del libretto d’opera.
Quest’ultimo, di norma proveniente dalla tradizione del racconto orientale, si
limitava a semplificarne l’intreccio e la durata, riadattando la narrazione alla
possibilità di messa in scena.20
Proprio come avviene per il racconto, anche il libretto d’opera presenta una serie
di elementi costanti.
Per quanto riguarda le costanti di tipo ideologico, l’Oriente è descritto come un
mondo religiosamente tollerante, facente capo a una legge morale condivisa
come unico elemento sufficiente per una società ordinata, in aperta
contrapposizione a un Occidente in cui imperversava la polemica illuminista
anti-clericale che condannava le guerre di religione, viste come uno sconvolgente
danno per l’Europa. 21
È sulla base di questa costante che se ne innesta un’altra, sempre di carattere
ideologico, così descritta da Pestelli:

«La manifesta inferiorità degli europei nel confronto con gli orientali: i
“civili” occidentali vivono tra mille contraddizioni morali e sociali, che
vengono regolarmente criticate dallo straniero che ne viene a contatto».22

Anche sul piano narrativo sono rintracciabili numerose costanti. Prima fra tutte è
l’ambientazione:

«Il luogo ove vengono ambientate le opere di soggetto orientale è per lo più
il serraglio. La parola serraglio23 indica propriamente la residenza del
principe orientale, quel complesso di costruzioni e giardini che formavano il
palazzo del sultano. Nell’uso comune, poi, la parola venne a indicare una
sola delle costruzioni, l’arem (sic!), cioè il luogo ove il sultano teneva
rinchiuse le sue mogli, il numero delle quali variava a seconda
dell’importanza del principe».24

A questo fa seguito un’altra costante, derivante da un luogo comune di stampo


settecentesco secondo il quale la donna è più incline dell’uomo a generare forti
passioni, ovvero il tentativo della donna musulmana, ancor più passionale

20 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 14.

21 Idem, p. 15.

22 Ibidem.

23 Dal persiano serāi, indica il palazzo dell’imperatore, la dimora reale o più semplicemente la
residenza di principi turchi. Cfr. https://www.etimo.it/?term=serraglio.

24 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 15-16.

!30
dell’europea poiché ancor più “prigioniera”, di fuggire dall’harem alla ricerca
della possibilità di soddisfare i propri piaceri e appagare i propri desideri. 25
Centrale e stereotipata è, accanto alla figura della donna orientale, anche
l’immagine della donna europea, in cui rintracciamo sia gli aspetti tipici del
racconto esotico sia una forte influenza della tradizione favolistica orientale:

«La donna europea cade nelle mani del sultano in seguito a un naufragio,
dal quale pochi si salvano, vengono catturati e fatti schiavi. Viene poi
rinchiusa nel serraglio e ciò le dà modo di usare tutte le astuzie di cui
dispone per tentare di fuggire e di riunirsi al fidanzato
Il fidanzato può giungere in due diversi modi: anch’egli in seguito a un
naufragio dal quale si salva con pochi altri per essere immediatamente fatto
schiavo; oppure giunge di proposito nella città dove la fidanzata è
prigioniera, travestito26 da mercante o da altro personaggio, in modo da non
essere riconosciuto, a volte neppure dalla stessa fidanzata».27

Proseguendo, altrettanto standardizzato è l’atteggiamento del principe orientale


di fronte alla donna europea e al fidanzato, atteggiamento spesso desunto dalla
tradizione satirico-didascalica anti-europea in cui la donna viene considerata
sciocca, frivola e superficiale, pertanto meritevole di allontanamento cui fa
seguito la concessione del ricongiungimento con il fidanzato.28
Il principe orientale si pone dunque a emblema di magnanimità, giustizia e
saggezza, ammirando nella donna europea la perseveranza amorosa e la fedeltà
verso l’amante e facendo mostra della propria bontà d’animo mediante un
significativo gesto di rinuncia.29
Sempre Pestelli, nella sua attenta analisi, rintraccia poi ulteriori interessanti
costanti, alcune legate ai personaggi, come nel caso dei guardiani dell’harem, 30
altre, quali il rapimento e la fuga notturna, legate a espedienti narrativi e altre
ancora ravvisabili in elementi la cui presenza produce un significativo esito sul

25 Ibidem.

26 Il tòpos del travestimento è tipico non solo del teatro musicale a soggetto esotico, ma, più in
generale, di tutta la tradizione dell’opera buffa europea del Settecento, basti pensare ai due
celeberrimi esempi mozartiani: Le nozze di Figaro, ossia la folle giornata K 492, riferendoci ovviamente
al paggio Cherubino, e ai personaggi di Guglielmo e Ferrando in Così fan tutte ossia la scuola degli
amanti K 588.

27 Ibidem.

28 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 17.

29 Ibidem.

30«I guardiani dell’harem sono solitamente gli eunuchi, personaggi tratteggiati esagerando le loro
caratteristiche buffe: la loro pinguedine viene grottescamente accentuata e sul turbante è applicato
un paio di forbici a indicare la spiacevole operazione da essi subita. [Ricorrente è anche] la mancata
osservanza da parte degli eunuchi e delle guardie del precetto musulmano che vieta l’uso di
bevande alcoliche: l’ebbrezza delle guardie e degli eunuchi provoca situazioni estremamente
comiche, delle quali spesso i due fidanzati approfittano per tentare la fuga.» Ibidem.

!31
piano musicale oltre che su quello della narrazione. Ne è un esempio, di questi
ultimi, la serenata31 notturna alla donna rinchiusa nell’harem.32
È bene precisare che, pur essendo dati elementi caratterizzati dalla ricorrenza
nella più parte delle opere a soggetto orientale, non sempre sono tutti
rintracciabili e né sempre conformi alle caratteristiche qui presentate.33
Volendoci ora soffermare più specificatamente sui principali autori europei di
opere basate su libretti a soggetto esotico, Lully 34 e Molière, 35 con Le Bourgeois
gentilhomme, 36 offrono un perfetto archetipo teatrale nel campo dell’Orientalismo
musicale.37 La suddetta comédie-ballet fu commissionata ai due artisti dal re Luigi
XIV che, secondo la testimonianza di Laurent d’Arvieux,38 aveva esplicitamente
richiesto un balletto turco, ricco dunque di tutti i caratteri tipici del mondo
orientale, adeguandosi alla moda turca che si stava imponendo in quegli anni: 39

«Sa Majesté m’ordonna de me joindre à MM. Molière et de Lulli pour


composer une pièce de théâtre où l’on pût faire entrer quelque chose des
habillements et des manières des Turcs. Je me rendis pour cet effet au village
d’Auteuil, où M. de Molière avait une maison fort jolie. Ce fut là que nous

31 Anche la serenata che l’amante canta all’amata, così come il travestimento e il rapimento
mediante inganno, rientra più ampiamente in buona parte della tradizione operistica europea, non
solo nell’opera del XVIII secolo. Tra le serenate più celebri ricordiamo la canzone del Conte
d’Almaviva “Se il mio nome saper voi bramate” nel rossiniano Barbiere di Siviglia, la serenata che ogni
notte Manrico canta a Leonora nel Trovatore di Verdi o quella che Leoncavallo scrive per la voce del
“tenero fido Arlecchin”, innamorato della bella Colombina, Nedda dell’opera verista Pagliacci.

32 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 17-18.

33 Idem, p. 18.

34 Jean-Baptiste Lully (Firenze, 1632 - Parigi, 1687) fu un compositore italiano naturalizzato


francese. Educato in giovanissima età alla musica in ambiente di corte, nel 1652 prese servizio in
qualità di violinista presso Luigi XIV, di cui si assicurò immediatamente il favore, tanto da
guadagnare la nomina di compositore strumentale di corte l’anno successivo e, dal 1661, quella di
sovrintendente della musica del re. Negli stessi anni iniziò una prolifica collaborazione con Molière.
Fissò la forma del genere della tragédie-lyriqye, conferì forma definita alla suite strumentale e
introdusse innovazioni nell’organico orchestrale, designandone una sonorità a lungo considerata
tipicamente francese. Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 427.

35 Pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin (Parigi, 1622 - Parigi, 1673) fu commediografo e attore. Le


ricche conoscenze musicali lo guidarono, affiancato da Lully, nella creazione della comédie-ballet,
genere che conferisce egual importanza all’elemento musicale-coreografico e a quello testuale. Cfr.
La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 473.

36Comédie-ballet in cinque atti, composta nel 1670 e rappresentata per la prima volta il 14 ottobre
dello stesso anno, nel Castello di Chambord. Cfr. https://operabaroque.fr/
LULLY_BOURGEOIS.htm.

37 Cfr. F. Attardi, Viaggio intorno al Flauto Magico (2006), Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2006, p. 15.

38Laurent d’Arvieux (Marsiglia, 1635 - Marsiglia, 1702) fu un viaggiatore e diplomatico, noto per i
suoi viaggi nel Medio Oriente. Visitò gli odierni Libano, Siria, Palestina e Tunisia, prima del suo
assegnamento in qualità di console ad Algeri e, successivamente, ad Aleppo. Durante i suoi viaggi
apprese l’arabo, il turco, l’ebraico e il siriaco. Collaborò con Lully e Molière alla stesura del
Bourgeois gentilhomme. Lasciò in eredita un manoscritto di memorie, in cui sono raccolti numerosi
aneddoti riguardanti i suoi viaggi. Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Laurent_d%27Arvieux.

39 Cfr. https://operabaroque.fr/LULLY_BOURGEOIS.htm.

!32
travaillâmes à cette pièce de théâtre. […] Je fus chargé de tout ce qui
regardait les habillements et les manières des Turcs. La pièce achevée, on la
présenta au Roi, qui l’agréa, et je demeurai huit jours chez Baraillon, maître
tailleur, pour faire faire les habits et les turbans à la turque.Tout fut
transporté à Chambord».40

Attenendosi alle cronache dell’epoca, il successo della prima rappresentazione fu


enorme, grazie anche ai costumi abilmente fabbricati sullo stile della moda
orientale dell’epoca (tav. II p. 64).

Di circa un secolo più tarda è anche Le rencontre imprévue ou Les pèlerins de la


Mecque, altro esempio di opera appartenente al filone orientale. 41
Composta da Ch. W. Gluck 42 nel 1764, 43 Le rencontre imprévue ou Les pèlerins de la
Mecque è un’opéra-comique, genere allora molto apprezzato dal pubblico della
capitale austriaca, città in cui Gluck operava. La scelta del libretto di
ambientazione mediorientale rispondeva pienamente al gusto viennese
dell’epoca, abituato alle esecuzioni cittadine delle bande dei giannizzeri e, come
si è detto e si dirà più approfonditamente, a un certo gusto per l’elemento
turchesco. Nel caso specifico dell’opera in questione, poi, l’accostamento
dell’elemento orientale al contesto comico svolgeva anche funzione esorcizzante
per il pubblico austriaco spaventato dalla minaccia ottomana ancora forte e
presente nelle aree di frontiera. 44
L’opera fu rappresentata nel gennaio 1764 al Burgtheater e venne accolta con
strepitoso entusiasmo, data la qualità senza precedenti sul versante musicale e

40Cfr. L. d’Arvieux, Mémoires du chevalier d’Arvieux, envoyé extraordinaire à la Porte, consul d’Alep,
d’Alger et Tripoli, et autres Eschelles du Levant (1735), https://operabaroque.fr/
LULLY_BOURGEOIS.htm.

41 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 14.

42 Christoph Willibald Gluck (Erasbach, 1714 - Vienna, 1787) fu un compositore tedesco. Della sua
giovinezza si sa ben poco: fu avviato agli studi musicali in tenera età e, iscrittosi nel 1731
all’università di Praga, intraprese studi matematici. Nel 1741 esordì come operista, dopo aver
ricoperto il ruolo di “musico da camera” presso la corte del principe Lobkowitz a Vienna e,
successivamente, presso quella del principe Melzi a Milano. Dopo un breve soggiorno londinese si
stabilì definitivamente a Vienna e lì proseguì con la produzione operistica sotto la spinta di
collaboratori italiani. Con Orfeo ed Euridice (1762) diede avvio a un progetto di riforma del
melodramma la cui considerevole risonanza permise a Gluck di raggiungere una discreta fama
anche in ambiente parigino. Modello cardinale della riforma è la tragedia greca, su cui il
compositore si basò per definire i tratti centrali del melodramma: l’unitarietà drammatica,
l’abolizione di ornamenti inseriti a piacimento dai cantanti, la scomparsa della differenza fra
recitativo e aria, l’assunzione da parte del coro della dimensione di personaggio e la riduzione dei
mutamenti di scena al minimo indispensabile. Alla corposa produzione teatrale, che consta di 50
opere e 5 balletti, affiancò composizioni vocali profane e sacre e pochi brani cameristici. Cfr. La
nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, pp. 312-313.

43 L’anno di composizione dell’opera permette di poterla inserire nelle opere post-riforma


gluckiana; si faccia dunque riferimento alla nota 23 per un accenno alle principali caratteristiche
strutturali e drammaturgiche.

44 Cfr. http://www.gbopera.it/2014/10/gluck-300-guida-allascolto-delle-opere-la-rencontre-
imprevue-ou-les-pelerins-de-la-mecque/.

!33
vocale e la vicinanza al genere buffo di stampo italiano, molto amato dal
pubblico viennese.45
Gluck nella sua Le rencontre imprévue ou Les pèlerins de la Mecque affida
principalmente alla vocalità dei personaggi buffi il carattere orientaleggiante, che
in questo caso si esprime con vigore e brillantezza quasi militareschi, passaggi
sillabati e un utilizzo della parola svuotata del suo significato, che riduce dunque
il testo a un puro gioco verbale ricco di nonsense. 46
Si rintraccia inoltre, tra i caratteri generali analizzati precedentemente, la figura
dell’uomo orientale nobile e generoso, figura presente anche nel sopracitato
lavoro di Lully.47
Di vent’anni più tarda è anche La carovane du Caire di A. E. M. Grétry, 48 comédie-
lyrique in tre atti, secondo 49 lavoro del compositore a tema orientale.50
Nel libretto sono rintracciabili tutte quante le costanti presentate
precedentemente, tra cui centrale è, ancora una volta, il personaggio del sultano
generoso che dà prova della propria clemenza segnando la conclusione della
vicenda narrata.51
L’immediato successo dell’opera, la cui prima rappresentazione di corte avvenne
il 30 ottobre 1783, e il successivo consenso duraturo, furono dovuti tanto alla
freschezza musicale, nonostante le inevitabili analogie con Le rencontre imprévue
ou Les pèlerins de la Mecque, quanto alla ricchezza spettacolare dell’allestimento. 52
È interessante notare, data la scarsa possibilità che si possa trattare di una banale
casualità, la ricorrenza dei nomi di alcuni personaggi delle tre opere appena
presentate: vi sono un Osman in tutti e tre i lavori e, negli ultimi due, un Osmin,
ove il cambio di vocale, dato il ruolo dei personaggi in questione, sottolinea
l’esplicito intento parodico.
E, ancora, nei nomi dei personaggi femminili orientali ricorrono spesso
consonanti quali la Z o la R, che, oltre a suonare particolarmente affini ai suoni

45 Ibidem.

46 Ibidem.

47 Cfr. G. Pestelli,“Cose Turche” nella musica Europea, pp. 14-18.

48André Ernest Modeste Grétry (Liegi, 1741 - Montmorency, 1813) fu un compositore di origine
belga. Dopo gli studi a Liegi e Roma, si trasferì nel 1767 a Parigi, dove si consacrò come
compositore teatrale a seguito dei primi successi. Le sue opere riflettono la spiccata sensibilità
scenica e la spontaneità melodica, così come riflettono i caratteri principali propri del gusto
dell’epoca. Compose circa 60 opere, musica sacra, inni patriottici romanze. Cfr. La nuova enciclopedia
della musica Garzanti, 1994, p 322.

Grétry si era già cimentato, nel 1771, in un’opera di soggetto orientale, Zémir et Azor. Cfr. http://
49

www.gbopera.it/2015/01/andre-ernest-modeste-gretry-1741-1813-la-caravane-du-caire/.

50 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 14.

51 Cfr. http://www.gbopera.it/2015/01/andre-ernest-modeste-gretry-1741-1813-la-caravane-du-
caire/.

52 Ibidem.

!34
della parlata araba, creano una particolare assonanza anche con il nome della
protagonista letteraria araba per eccellenza, Shahrazād. 53

53 Ibidem.

!35
3. Mozart e l’Oriente
Come si è accennato e come si vedrà con maggior precisione nei capitoli
successivi, nella produzione di W. A. Mozart è facile rintracciare spesso elementi
riconducibili alla moda turchesca diffusasi negli anni immediatamente precedenti
quelli in cui visse.1
Oltre all’aspetto strettamente musicale, dove elementi ereditati dalle bande
giannizzere si potevano riscontrare anche nelle istituzioni militari tedesche, 2
Mozart ebbe modo di conoscere la narrativa d’ispirazione orientale sia in
ambiente austriaco sia in quello francese.
Sappiamo infatti che il giovanissimo Mozart, nel 1763, fu a Parigi, 3 dove, oltre a
sbalordire musicisti e letterati per l’incredibile talento e la smisurata genialità, fu
presentato alle personalità più in voga dell’ambiente culturale francese, in quegli
anni fervidamente attivo e fortemente influenzato dalla moda della narrativa
orientale, con la quale Mozart entrò senza ombra di dubbio in contatto.4
Nel 1764, poi, durante il soggiorno dei Mozart padre e figlio a Londra, il
compositore conobbe l’opera italiana5 ascoltando melodrammi di Piccinni, 6
Galuppi,7 Tritto, 8 compositori i cui libretti furono spesso scritti dal già citato F.

1 Cfr. G. Pestelli, L’Età di Mozart e di Beethoven, p. 58.

2 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 18.

3 Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 484.

4 Cfr. R. Irwin, op. cit., pp. 219-220.

5 Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 484.

6Niccolò Piccinni (Bari, 1728 - Passy, 1800) fu figura centrale dell’opera italiana e francese del XVIII
secolo. Formatosi a Napoli, Piccinni debuttò nel 1754 con la sua prima opera, Le donne dispettose,
ottenendo un enorme successo e conquistando il favore del pubblico partenopeo. Nel 1760
rappresentò a Roma uno tra i suoi lavori più noti, Cecchina ossia la buona figliola, su libretto di
Goldoni, imponendosi sulla scena operistica europea. Trasferitosi nel 1776 a Parigi, dove fu
chiamato per contrastare il crescente successo di Gluck, iniziò a comporre opere in cui è fortemente
evidente l’influenza musicale francese. Considerato la maggior figura della scuola napoletana della
generazione immediatamente precedente Paisiello, Piccinni fa mostra di freschezza e sensibilità
musicali e da una giusta misura espressiva nel calibrare psicologicamente i personaggi dei suoi
melodrammi. Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, pp. 557-558.

7 Baldassarre Galuppi (Burano, 1706 - Venezia, 1785) fu un celebre compositore italiano. Dopo
essersi formato in ambiente veneziano, nel 1762 divenne maestro di cappella della basilica di San
Marco a Venezia. Nel 1765 si trasferì a San Pietroburgo presso la corte di Caterina II, facendo ritorno
a Venezia tre anni dopo. Fecondissimo, Galuppi scrisse un centinaio di opere teatrali, una trentina
di oratori e numerose altre pagine di musica sacra e orchestrale, ma è grazie all’opera buffa che
ottenne enorme fama. Galuppi è ricordato anche per essere stato, dopo D. Scarlatti, il più
importante autore italiano di musiche per strumento a tastiera prima di Clementi. Cfr. La nuova
enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 296.

8 Giacomo Tritto (Altamura, 1733 - Napoli, 1824) fu compositore e direttore del Teatro San Carlo di
Napoli. Autore di pagine di musica sacra, è principalmente ricordato per la produzione operistica,
che consta di una dozzina di melodrammi e di 38 altre produzioni fra drammi giocosi, commedie e
intermezzi. Particolarmente apprezzato tra i contemporanei, Tritto eccelleva nei concertati e in
quello stile iterativo e quasi parlato che verrà in seguito adottato da G. Rossini. Cfr. La nuova
enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 732.

!36
Cerlone, di cui, si è detto, è noto l’elemento fiabesco frequentemente adottato e
desunto dalle Notti. 9
Successivamente, fu grazie a Schikaneder, amico e librettista del Flauto magico,
che Mozart conobbe la raccolta di fiabe di Wieland, fruttifera fonte di ispirazione
per il celebre Singspiel, come si dirà, e al cui interno sono racchiusi molti elementi
ascrivibili tanto alla moda orientale creatasi nell’europa del XVIII secolo quanto
alla diffusione delle Notti di Galland, di cui si è già ampiamente parlato nei
precedenti capitoli.10
Risulta quindi indubbio che i contatti di Mozart con la narrativa d’ispirazione
esotica, l’opera di soggetto orientale e le turcherie siano stati frequenti e numerosi,
tanto da condizionarne fortemente lo stile in alcuni tra i più celebri lavori, che nei
prossimi capitoli si andranno più approfonditamente a trattare. 11

9 Cfr. G. Pestelli, L’Età di Mozart e di Beethoven, p. 60.

10 Cfr. F. Attardi, op. cit., p. 43.

11 Idem, pp. 15-16.

!37
3.1 Le turcherie

Parlare di Orientalismo nella musica colta del Settecento da un punto di vista


stilistico significa soprattutto parlare di turcherie, ossia di elementi in maniera
più o meno realistica propri dell’immagine che l’Europa aveva della musica delle
popolazioni appartenenti all’Impero Ottomano, genericamente definite turche,
sebbene, come è noto, appartenenti a gruppi etnici e culturali differenti.1
Ch. F. D. Schubart2 fu tra i primi studiosi a parlare di musica “alla turca”, 3
offrendone un’analisi dal punto di vista di un viaggiatore e descrivendo dunque
le impressioni suscitate all’ascolto, così esprimendosi:

«Da circa una quarantina d’anni la musica turca è stata introdotta nei
reggimenti tedeschi e ha quindi favorito lo studio degli strumenti musicali
turchi.4 Il carattere di questa musica è così guerresco da sollevare i petti
anche di coloro che hanno l’animo più vile.5 Chi ha avuto la fortuna di
ascoltare le bande dei giannizzeri, il cui numero varia dalle ottanta alle cento
persone, non potrà che sorridere ascoltando le scimmiottature che presso di
noi vengono spacciate come musica turca.6 […] Gli strumenti di questa
musica sono: pifferi,7 che i turchi per lo più costruiscono con lamiere per

1 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 18.

2 Christian Friedrich Daniel Schubart (Obersontheim, 1739 - Stoccarda, 1791) fu scrittore e


musicista. Figura tipica del musicista di area tedesca, non solo dedito agli studi musicali, ma anche
all’attività letteraria, didattica e politica, Schubart fondò nel 1774 la rivista Deutsche Chronik su cui
scrisse tanto di musica quanto di cultura in senso generico. Dopo l’arresto e la detenzione durata
dieci anni nel carcere di Hohenasperg, nel 1787 divenne poeta di corte e direttore del teatro di
Stoccarda, dove morì quattro anni dopo. Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 649.

3Nel testo Ideen zu einer Aesthetik der Tonkunst, raccolta di saggi scritti in carcere e pubblicati
postumi dal figlio di Schubart, compare, nel capitolo dedicato agli strumenti a fiato, un paragrafo
dal titolo: Die türkische Musik. Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 18.

4Il sultano turco era accompagnato da un drappello di guardie del corpo, celebre per la sua banda
giannizzera, i cui strumenti musicali risultavano insoliti alla vista e all’udito europei.

5 Nell’immaginario europeo l’Impero Ottomano era rappresentato da popolazioni violente e


bellicose la cui musica, guerresca, si credeva eccitasse gli animi al combattimento e al sacrificio
eroico.

6È interessante notare come, dal punto di vista stesso degli occidentali, le cosiddette turcherie non
corrispondano realisticamente a quella che è la musica turca, ma a “scimmiottature” spesso
costruite sulla base di elementi distintivi poi rielaborati in chiave europea e stereotipati.

7 Qui Schubart si riferisce quasi sicuramente al ‫اي‬## # # # # # ‫[ ن‬nāy], strumento antichissimo (raffigurato in
iscrizioni sulle piramidi e trovato negli scavi del XX sec. a Ur) tipico della musica araba, persiana e
turca. Consiste in un segmento di canna svuotata, di lunghezza variabile, cui vengono praticati dei
fori a partire da metà della lunghezza. Il numero dei fori varia a seconda della tradizione musicale
di appartenenza (6 fori per quella araba e turca, 5 per quella persiana) così come variano il tipo di
imboccatura e la tecnica labiale di emissione del suono. Le possibilità timbriche dello strumento
sono molteplici (effetti coloristici, variazioni microtonali, produzione di bicordi su intervallo di
ottava) consentendo così all’esecutore una versatilità che perfettamente si adatta alle necessità della
musica modale. Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 498.

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rendere il suono più penetrante; corni ricurvi,8 che nel suono assomigliano ai
nostri corni di bassetto; un grande e un piccolo triangolo; un cosiddetto
tamburello,9 che con lo scuotimento dei campanelli, i quali presso i turchi
sono d’argento, produce un bell’effetto;10 due piatti di puro bronzo oppure
di bronzo da campane che vengono battuti ritmicamente insieme; infine due
tamburi, uno più piccolo che rulla continuamente11 e uno più grande che
viene spolverato con una bacchetta felpata. […]
I tedeschi hanno rafforzato questa musica con fagotti e quindi l’effetto è
ancora più grandioso. Anche gli squilli delle trombe si inseriscono bene. In
breve, è la musica più bella e forse la più preziosa quando venga eseguita
secondo la sua natura e il suo fine eroico.
Dal momento che la musica turca non si suona secondo le note scritte,12 ma
semplicemente a memoria (anche se noi tedeschi abbiamo cominciato a
notarla) non c’è nulla da dire sulla sua teoria […]. Essa predilige
semplicemente la misura di 2/4, quantunque siano stati fatti tentativi felici
anche con altre misure. Nessun altro genere di musica ha un ritmo così
nettamente marcato e così fortemente definito, a tal punto che è impossibile
andare fuori tempo.13 Il fa maggiore e il si bemolle maggiore sembrano le
tonalità14 preferite dai turchi, poiché in questa estensione tutti i loro
strumenti suonano nelle condizioni migliori. Tuttavia noi tedeschi abbiamo
fatto buoni tentativi anche con il re maggiore e con il do maggiore, per cui la
musica turca ha aumentato ulteriormente la sua importanza».15

8 Non è possibile stabilire con certezza a quale strumento si riferisse Schubart: si potrebbe trattare
forse dello shōfār, strumento musicale tipico della tradizione ebraica, ricavato da un corno di
montone e dal suono simile a quello del flicorno, oppure di un più elaborato strumento ad ancia
singola, dal timbro simile a quello del moderno basso-tuba. Cfr. http://www.treccani.it/
enciclopedia/shofar/.

9 Di origine antichissima, è presente in tutte le civiltà antiche e, successivamente, si impone come


strumento proprio della tradizione popolare di tutta l’area del Mediterraneo. Il tamburello era
legato al culto lunare e ritenuto strumento tipicamente femminile. Cfr. La nuova enciclopedia della
musica Garzanti, 1994, p. 710.

10 Il caratteristico suono brillante del tamburello, particolarmente affascinante per il pubblico


europeo, consentì allo strumento un discreto utilizzo nel repertorio colto del XVIII secolo: lo
utilizzano tra gli altri Gluck e Mozart sia nel repertorio strumentale sia in quello vocale. Ibidem.

11 Si riferisce probabilmente al ‫دف‬


ّ [daff o duff], tamburo a cornice tipico del Medio Oriente, che
consta di una cornice in legno su cui è sottesa una membrana realizzata con pelle di pesce, di
bovino o di ovino, intorno alla quale sono agganciati piccoli sonagli. Le prime attestazioni si
riferiscono alla Persia sasanide e permettono di avanzare l’ipotesi di un utilizzo dello strumento in
contesto religioso. Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Daf.

12Tipico delle tradizioni musicali modali orientali è il carattere d’improvvisazione dell’esecuzione,


costruita su modelli basilari standard, da cui deriva l’assenza di una notazione codificata. Cfr. La
nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, pp. 882-884.

Schubart sottolinea il diffuso utilizzo di strumenti a percussione e il carattere spesso marziale e


13

militaresco della musica turca.

Quelle che Schubart chiama tonalità corrispondono verosimilmente a due specifici modi della
14

musica araba o persiana, probabilmente i più diffusi o forse i modi tipici della musica militaresca.

15 G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 40-41

!39
Volendo esaminare gli aspetti della musica considerata “turca” dagli europei, si
possono osservare alcuni elementi ricorrenti. 16
Il già citato ritmo binario, spesso così suddiviso: 17

ricorre con sistematicità, così come sistematica è la presenza dell’intervallo di


quarta eccedente, usato con cautela nella musica seria, ma già frequentemente
diffuso in ambito buffo o popolare, che si inserisce con maggior frequenza in
ambito colto proprio in qualità di turcheria: con lo specifico intento di catturare
l’attenzione dell’ascoltatore, abituato all’estrema regolarità dello stile classico, qui
sorpreso dalla presenza di una nota extratonale, che costituisce l’elemento
caratterizzante.18
Anche le acciaccature semplici e doppie sono tra gli espedienti più diffusi posti in
atto per connotare le turcherie:19 elemento da sempre accostato al contesto della
musica popolare, spesso zingaresca e d’improvvisazione,20 e dunque,
nell’immaginario del pubblico europeo, elemento tipico della tradizione musicale
degli ottomani.
Altra turcheria è la ripetitività di alcune formule, elemento che, creando un
carattere ostinato e trasportando il pubblico in una sorta di ipnosi,21 contribuisce
a creare quell’idea di misticismo orientale e di fascinoso rapimento
dell’ascoltatore nella musica, grazie alla musica stessa.
Quanto citato è ben evidente nel più celebre brano “alla turca”, il mozartiano
Rondò22 della Sonata K 331.
Il brano fu composto a Parigi nel 1778, ma pubblicato a Vienna nel 1784,
probabilmente a seguito dell’enorme successo di un Singspiel, altro capolavoro
dell’Orientalismo mozartiano, Die Entführung aus dem Serail K 384.
La scelta della tonalità, come spesso accade in Mozart, non è assolutamente
casuale: si tratta del la maggiore, lo stesso la maggiore del Concerto per violino e
orchestra K 219, 23 dai caratteri fortemente orientali, e del terzetto Seid uns zum

16 Ibidem.

17 Ibidem.

18 Ibidem.

19 Ibidem.

20 Cfr. C. Conte, op. cit.

21 Cfr. G. Pestelli,“Cose Turche” nella musica Europea, p. 41.

22La scelta stessa di un movimento di rondò non è ascrivibile alla rigorosa prassi strutturale della
sonata classica, che già andava disgregandosi in quegli anni, bensì è un più probabile richiamo al
concetto di ripetitività come elemento turchesco. Cfr. G. Pestelli, op. cit., p. 76.

23 Ibidem.

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zweitenmal wilkommen, 24 eseguito in Die Zauberflöte dai tre genietti, personaggi la
cui magia poco si scosta dall’idea di quell’Oriente incantato che ci offrono le
traduzioni europee delle Notti e le raffigurazioni pittoriche dell’epoca.
Esaminando il Rondò più nello specifico, già nelle prime battute è possibile
identificare due degli elementi turchi sopracitati: il tempo in 2/4 con, alla mano
sinistra, la battuta composta di quattro crome, di cui la prima messa in evidenza
tanto dall’accento ritmico quanto dalla legatura e dal rappresentare la tonica
nell’impianto armonico della battuta e l’intervallo di quarta eccedente la-re diesis.

Più avanti compaiono anche le acciaccature doppie

e triple, questa volta alla mano sinistra in forma di arpeggi:

Non essendoci giunto un manoscritto integrale del brano è difficile affermare con
esattezza quale fosse la prassi esecutiva prevista, è molto probabile però che nella

24Cfr. P. Gallarati, S. Sablich, Die Zauberflöte, https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/


Mozart-Flautomagico.html.

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coda fosse di norma utilizzato, accanto ad acciaccature e arpeggi, il cosiddetto
registro giannizzero 25

per rendere ulteriormente caratteristico l’effetto uditivo e non tralasciare nessuno


degli elementi tipicamente turchi, dall’ampio utilizzo degli strumenti a
percussione alla predilezione di melodie sinuose e “misteriose”, 26 come quella
presentata nell’esempio seguente:

25All’epoca di Mozart era diffuso l’utilizzo di pedali nel fortepiano che, se inseriti, alteravano il
timbro dello strumento o producevano una serie di effetti, come l’utilizzo di tamburi, piatti e
sonagli nel caso del cosiddetto registro giannizzero. Cfr. P. Rattalino, Storia del pianoforte (1982),
Milano, Il Saggiatore, 1982, pp. 46-48.

26 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 76.

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3.2 Il ratto dal serraglio
Il ratto dal serraglio (Die Entführung aus dem Serail K 384) è un Singspiel la cui prima
rappresentazione, il 16 luglio 1782 al Burgtheater di Vienna, riscosse un
incredibile successo. Oltre a collocarsi tra i maggiori esempi di teatro nazionale
tedesco, 1 di cui l’imperatore Giuseppe II in quegli anni si fece promotore, Il ratto
rientra a pieno titolo tra le principali opere per le quali si può parlare di
Orientalismo in campo musicale.2
Su libretto di G. Stephanie 3 e totalmente in linea con la moda turchesca
dell’epoca, Il ratto dal serraglio si apre con il più classico dei tòpos del teatro
musicale ad ambientazione orientale: il nobile Belmonte (tenore), spagnolo, si
trova presso il palazzo del pascià Selim (ruolo parlato) in cerca dell’amata
Costanza (soprano), rapita dai pirati. Subito si rivolge a Osmino 4 (basso) per
ricevere informazioni, ignaro del fatto che quest’ultimo sia il custode dell’harem
di Selim, in cui Costanza è prigioniera.5
Subito emergono, accanto alle costanti narrative precedentemente analizzate e
alle ambientazioni tipiche della moda turca settecentesca, elementi musicali
fortemente significativi in virtù di quanto finora detto per ciò che concerne
l’Orientalismo in campo musicale.
Prima di procedere con una più dettagliata analisi, è bene citare le parole di
Mozart stesso che, in una lettera indirizzata al padre, esprime apertamente
l’effettiva volontà di connotare Il ratto di elementi specificatamente orientali:

«Ieri Stephanie mi ha dato un libretto da mettere in musica… è molto


buono… il soggetto è turco e si chiama: Belmonte e Costanza oppure La fuga

1 La volontà di far nascere un teatro nazionale tedesco, in contrapposizione a quello in lingua


italiana, è obiettivo centrale nella produzione musicale di quegli anni. Precursore fu Ignaz Jakob
Holzbaurer (Vienna, 1711 - Mannheim, 1783) con il suo Günther von Schwarzburg, il quale, tuttavia,
di tedesco aveva solamente la lingua, trattandosi di un’opera composta su un libretto d’impianto
metastasiano e la cui musica è fortemente rivelatrice di un carattere tipicamente italiano. È con il
genere del Singspiel che si sviluppa l’opera tedesca, genere di cui Mozart fu un insigne esponente.
Va detto inoltre che Mozart, durante il soggiorno a Mannheim, ebbe modo di assistere a una
rappresentazione del Günther von Schwarzburg, da cui trasse ispirazione per la stesura dei cori del
Ratto dal serraglio, trattati altrettanto solennemente, ma arricchiti da una più viva brillantezza e da
un inconfondibile carattere turchesco. Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 78-79.

2 Idem, p. 78.

3 Johann Gottlieb Stephanie die Jünger (Breslau, 1741 - Vienna, 1800) fu un commediografo e
librettista tedesco. Giunto a Vienna come prigioniero durante la guerra dei sette anni (1756 - 1763),
Stephanie fu scelto fra gli esponenti del progetto di creazione di un’opera nazionale tedesca. La sua
fama è principalmente dovuta alla collaborazione con Mozart, per il quale scrisse il libretto del
Ratto dal serraglio, che gli valse, insieme alla fama, anche l’accusa di plagio. Cfr. https://
www.discogs.com/artist/688033-Gottlieb-Stephanie-Der-Jüngere?filter_anv=1&anv=Gottlieb
+Stephanie+The+Younger e La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 1033.

4 Probabile italianizzazione del nome arabo ‫[ عثمان‬Uthmān].

5 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 78-79.

!43
dal serraglio. La sinfonia, il finale del primo atto e la chiusa del coro li farò in
stile turco».6

Nell’Ouverture, in do maggiore, tripartita “all’italiana”,7 con cui si apre il Singspiel


emerge immediatamente, nelle due sezioni di presto, la caratterizzazione turca
mediante acciaccature

e, ancor più, l’elemento turchesco si esprime attraverso il fattore timbrico, data


l’orchestrazione che richiede l’utilizzo, accanto ad archi e legni, di ottoni e
timpani adatti a conferire un maggior vigore, quasi militaresco, e soprattutto di
triangolo, grancassa e piatti, strumenti, come si è detto, spesso accostati alle
sonorità proprie delle bande dei giannizzeri:8

6 Cfr. A. Albertini, Mozart. La vita, Le opere (2019), Milano, Streetlib, 2019, in https://
books.google.it/books?id=Q-6IDwAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=mozart+la+vita+le+opere
+albertini&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi_96OIj8bjAhWCYlAKHWcFDYQQ6AEIKDAA#v=onepag
e&q=mozart%20la%20vita%20le%20opere%20albertini&f=false.

7Nella produzione operistica del periodo esistevano due differenti modi di introdurre l’opera: uno,
propriamente detto “alla francese” (o “alla Lully”) che prevedeva una tripartizione in cui una
sezione rapida e fugata; era inserita in mezzo a due lente, l’altro, “all’italiana” (o “alla napoletana”)
voleva invece due sezioni veloci inframmezzate da una lenta. In entrambi i casi vigeva la regola
evinta dalle teorie di Gluck secondo cui compito dell’ouverture era quello di preparare il pubblico
all’ascolto dell’opera e avviarlo al carattere e ai temi delle vicende rappresentate. Cfr. G. Pestelli,
“Cose Turche” nella musica Europea, p. 80.

8Cfr. R. Mellace, Die Entfuhrung aus dem Serail K 384, https://www.flaminioonline.it/Guide/


Mozart/Mozart-Serraglio.html.

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Successivamente, nell’andante in do minore, estremo rilievo è dato agli strumenti
a fiato, che conferiscono così all’intero frammento quel carattere di serenata tipico
di certi concerti per pianoforte e orchestra e quell’aspetto lievemente sinuoso e
“misterioso” che, come visto in precedenza, richiama alla mente dell’ascoltatore
un vago sapore orientale.9

9 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 80-81.

!45
Un altro elemento orientale entra in scena, questa volta inserito da Mozart
tramite un più raffinato gioco di rimandi. Si tratta del Lied di Osmino, il quale fa
la sua prima comparsa sulla scena mentre, intento a raccogliere fichi nel giardino
del pascià, canta e mette in guardia gli innamorati da coloro che, seducendo le
amate, possono minacciarne la fedeltà. 10
Qui la scelta del compositore si avvale della memoria e della cultura
dell’ascoltatore, poiché egli inserisce nell’aria un esplicito rimando a un’altra aria,
“Castagno, castagna”, presente nel già citato lavoro di Gluck Le rencontre imprévue
ou Les pèlerins de la Mecque, anch’essa posta in apertura dell’opera, affidata a un
basso, 11 Calender, e caratterizzata dalla ricorrenza di un “lerola lerala”.

A questo motivo Mozart fa esplicitamente riferimento quando fa pronunciare a


Osmino “trallalera, trallalera”

su una linea melodica la cui rilevanza è data dalla scelta di presentarla già nel
frammento orchestrale con cui l’aria stessa si apre.12

L’elemento orientale in questo brano è quindi dato non tanto dalle turcherie
propriamente dette, quanto da un sottile gioco di rimandi e dal carattere stesso
del personaggio e del brano.

«In questo pezzo il “turco” inteso nel senso di intervalli eccedenti, strumenti
esotici ecc. non è presente: il suo carattere più evidente risiede in una certa
quale vaghezza, mollezza orientale, collocabile nell’ambito di quella

10 Idem, p. 82.

11 La scelta di affidare alla voce di basso il ruolo di personaggio buffo, in aperto contrasto con la
solennità che invece alla stessa voce veniva attribuita nell’oratorio (si veda in vece di significativo
esempio il ruolo di Gesù nelle Passioni) non è peraltro solo tipica del teatro mozartiano, bensì si
tratta di una consuetudine già in uso nell’opera barocca, poi destinata a perdurare ancora tra fine
‘700 e primo ‘800, ad esempio in Rossini e oltre.

12 Ibidem.

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nostalgia per i paesi lontani che sarà tipica della cultura romantica
(Schumann, Wolf). Confrontando quindi queste prime pagine del Ratto con
quelle corrispondenti dei Pellegrini alla Mecca, appare evidente come Mozart,
pur seguendo sostanzialmente lo schema di Gluck,13 si serva di un
trattamento musicale diverso. Mentre infatti Gluck mette in gioco l’intero
repertorio turco (armonie, costumi, linguaggio incomprensibile del
Calender), Mozart non usa alcun elemento esteriore (l’impianto armonico e
melodico è del tutto europeo), ricorrendo come si è detto alla carica
nostalgica per i paesi lontani».14

Proseguendo, Osmino incontra Pedrillo, servo di Belmonte, verso il quale


esprime il proprio risentimento dettato dalla gelosia e dalla volontà di
rimproverare l’abitudine dello spagnolo di insidiare continuamente le donne
dell’harem. 15
Anche la seconda aria di Osmino, “Solche hergelaufne Laffen”, offre numerosi
elementi tipicamente turcheschi: a cominciare dal gruppetto seguito dal
cromatismo, eseguito all’unisono con gli archi, del verso in apertura, che quasi
sembra voler richiamare alla mente il salmodiare dei muezzin.

Un altro elemento turchesco si ritrova nella tonalità che, nella seconda coda, passa
da fa maggiore a la minore, tonalità che rende inevitabilmente evidente
l’accostamento al celeberrimo Rondò “alla turca”.16
Sempre la coda, inoltre, evidenzia Pestelli:

13Gluck: Sinfonia - n. 1 Aria di Osmino - n. 2 Aria del Calender; Mozart: Ouverture - n. 1 Aria di
Belmonte - n. 2 Lied di Osmino. Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 83.

14 Ibidem.

15 Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 1033.

16 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 86.

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«È forse la parte musicalmente più ricca di tutta l’aria ed è caratterizzata
dall’insistenza ritmica e dalla presenza della banda turca, oltre che da un
basso incalzante tipico delle musiche turchesche».17

Terminata l’aria, segue una sezione in cui, dal dialogo tra Belmonte e il suo servo,
il pubblico apprende maggiori dettagli circa le sorti di Costanza. È interessante
notare come, tra le informazioni riferite da Pedrillo, emerga una delle costanti del
teatro musicale di ambientazione esotica, ovvero la benevolenza del sovrano
orientale, in questo caso del pascià Selim. 18

«[…] la notizia più preoccupante è che Costanza è diventata “l'amante


favorita” del pascià; ma per fortuna quest'ultimo è un uomo estremamente
gentile, non uso a costringere le donne ad amarlo».19

17 Ibidem.

18 Cfr. R. Mellace, op. cit.

19 Ibidem.

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Dopo aver progettato un piano di fuga, Belmonte si nasconde, dato l’imminente
arrivo di Selim accompagnato da Costanza. L’arrivo del pascià è sontuosamente
accolto da un coro di giannizzeri:,“Singt dem großen Bassa Lieder”. 20

«Si tratta del pezzo più “turco” di tutta l’opera: ha infatti tonalità di la
minore (che evidentemente per Mozart era associata alle turcherie), ritmo di
2/4 (reso ancora più efficace aprendo il pezzo con una sincope), acciaccature
e scala con il quarto grado innalzato […] per creare l’intervallo eccedente.
Parlando di questo coro, Mozart diceva nella […] lettera del 26 settembre
1781: “È tutto ciò che si può desiderare di meglio, breve e allegro e scritto
proprio per i viennesi21 ”».22

Volendo esaminare più approfonditamente il pezzo, nella prima sezione il coro


dei giannizzeri si esprime con un canto potente e accordale, supportato da
un’orchestrazione la cui solennità marziale è affidata alle percussioni e la cui
vivacità turchesca risuona nelle acciaccature degli archi: 23

20 20 Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 1033.

21Da qui appare evidente come le scelte musicali del compositore fossero in parte influenzate dal
gusto del pubblico contemporaneo e dalla moda dell’epoca.

22 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 89.

23 Ibidem.

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A una seconda sezione in scrittura contrappuntistica fa seguito una ripresa della
prima sezione

«[…] in cui viene ancor di più accentuato il carattere eroico, soprattutto nella
clausola finale accompagnata non solo dalla tromba, ma anche dalla banda
turca».24

Dando ulteriore prova di abilità nel variare i rimandi all’elemento orientale, dopo
l’intervento recitato di Selim, Mozart affida a Costanza un’aria quadripartita, in
cui la donna piange la triste sorte della propria prigionia, 25 che presenta un certo
parallelismo con l’aria “Ah! qu’il est doux de se revoir” eseguita da Rezia (soprano),
la protagonista femminile della già citata opera gluckiana.
Le affinità si possono rintracciare tanto nel virtuosismo vocale imposto alla
cantante, quanto nell’impressione di ampiezza e serenità trasmessa
all’ascoltatore.26

L’atto II si apre nel palazzo di Selim e più precisamente nel giardino, altro luogo
tipico tanto dell’opera buffa settecentesca quanto dei libretti di ambientazione
orientale. Qui Osmino discute con la cameriera di Costanza, Blonde (soprano):
con le sue argomentazioni, si fa portavoce degli ideali di libertà e indipendenza
della donna in terra musulmana; Mozart in questo caso decide dunque di fare
affidamento al libretto stesso per inserire l’elemento orientale nel Singspiel, dando
un’ulteriore prova di rifiutare la monotonia anche sul piano dei rimandi. 27
Successivamente Osmino abbandona la scena e compare Costanza, manifestando
a Blonde la disperazione di fronte alle pressanti profferte amorose del pascià,
seguite da minacce di atroci supplizi in caso dell’ennesimo diniego da parte della
donna.28
Nonostante parta da uno spunto narrativo legato a uno dei principali tòpos
librettistici dell’opera a tema orientale, l’aria di Costanza “Traurigkeit” ricalca
pienamente i valori espressivi dei passi mozartiani più ricchi di pathos, quasi a
voler assolutizzare il personaggio e andare oltre il contesto della narrazione e al
di là degli stereotipi.29
I tentativi di consolazione di Blonde vengono seguiti dall’ingresso in scena di
Selim, al quale Costanza si nega nuovamente, dichiarandosi pronta, nella

24 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 90.

25 L’aria in cui la protagonista femminile manifesta il proprio dolore si costruisce su madrigalismi


ed espedienti compositivi e testuali ben precisi, di cui si ritrovano precedenti analoghi nelle Passioni
e nelle Cantate di Bach (ad esempio l’aria “Zerfliesse, mein Herz, in Fluten der Zähren” dalla Passione
secondo Giovanni BWV 245 o la celeberrima “Erbarme dich” dalla Passione secondo Matteo BWV 244).

26 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 91.

27 Idem, pp. 92-93.

28 Cfr. R. Mellace, op. cit.

29 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 95-96.

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virtuosistica aria “Marten aller Arten”, a subire qualunque genere di tortura e
sopportare ogni sorta di dolore fino alla morte, pur di non concedersi al pascià. 30
Benché l’aria in questione sia ricca di aspetti estremamente interessanti sia dal
punto di vista musicale sia da quello vocale, non se ne affronterà qui un’analisi
approfondita, data l’assenza di elementi riconducibili alla componente orientale,
di cui si sta trattando.
Lo stesso valga per la scena successiva, in cui Pedrillo informa Blonde del piano
di fuga previsto per la notte: Osmino verrà addormentato con un sonnifero e
Belmonte, aiutato dal servo, rapirà Costanza e la sua cameriera.
Estremamente interessante sotto il punto di vista dell’immagine europea
dell’Oriente è invece il duetto in cui Pedrillo inganna Osmino offrendogli del
vino nel quale ha disciolto del sonnifero, “Vivat Bacchus, Bacchus lebe”:

«Si tratta della tipica chanson à boire presente nelle opere turche al momento
dell’ubriacatura del musulmano. […] Il canto si svolge per la massima parte
su un continuo, rapido movimento per sedicesimi, che potrebbe essere
connesso all’uso di temi rapidi nelle musiche turche».31

Ad arricchirne ulteriormente la vivacità, la brillantezza sul piano timbrico e


soprattutto la presenza dell’elemento turchesco, sull’ultima ripresa di “Vivat
Bacchus” Mozart inserisce la banda turca, richiamando alla memoria, data
l’evidente analogia ritmico-timbrica, le sonorità dell’ouverture e del coro del primo
atto. 32

30 Ibidem.

31 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 99.

32 Ibidem.

!51
L’elemento turchesco, oltre a conferire tipicità e colore al brano, offre la possibilità
di creare un forte contrasto con l’aria successiva, “Wenn der Freude Tränen fließen”,
in cui, una volta ricongiuntosi con l’amata, Belmonte esprime la propria gioia in
un canto carico di dolcezza che vagamente ricorda il canto popolare austro-
tedesco.

«Quest’aria ha la funzione di sospendere per un certo tempo l’azione in


modo da creare un clima di suspense proprio nel momento in cui tutto sta
procedendo verso il finale (la stessa funzione quindi delle arie di Vertigo nei
Pellegrini alla Mecca.) È estremamente tenera, ricca di quella profondità di
affetti di cui Mozart darà ampia prova in opere come Le nozze di Figaro e Il
flauto magico. Certamente questa carica affettuosa era già presente nell’opera
comica […], ma in questo pezzo assume un carattere diverso con l’uso di
melodie legate all’atmosfera del corale e del canto popolare sacro austro-
tedesco».33

L’atto si conclude con il ricongiungimento delle due coppie di amanti, in un


ampio e complesso quartetto che, anche in questo caso, non offre alcun elemento
di interesse sul piano orientalistico, benché si tratti di un pezzo di estrema
ricchezza sul versante espressivo e profondamente innovativo nella tradizione
del Singspiel tedesco, pertanto non se ne tratterà approfonditamente.

L’atto conclusivo del Ratto offre solo due brani ricollegabili alle costanti musicali
turchesche; tuttavia è comunque ricco di altri elementi che in qualche modo
rappresentano esempi di Orientalismo nel repertorio vocale del Settecento.34
Come l’atto precedente, anche il terzo si apre sul cortile del palazzo di Selim,
durante i preparativi per la fuga. Qui Pedrillo si appresta a dare il segnale,
cantando la sua aria “In Mohrenland gefangen was”, una serenata accompagnata
dal mandolino.35
Ecco il primo dei due brani dai tratti orientali presenti nell’atto III, su cui Pestelli
così si esprime:

«La melodia di Mozart non ha nulla di eccezionale: è piuttosto interessante


nell’uso dell’armonia, non “modale” in senso antico, ma certo estremamente
mobile, inquieta, continuamente staccata dalla sua tonalità d’impianto in si
minore. Abbondante è l’uso delle seste napoletane,36 ben mascherate però

33 Idem, pp. 99-100.

34 Idem, p. 103.

35 Cfr. R. Mellace, op. cit.

36 Si definisce “sesta napoletana” un accordo formato dalla terza minore e dalla sesta minore sopra
la sottodominante (quarto grado) per lo più del mondo minore, risolvente su accordo di dominante
(quinto grado). Così definita poiché associata alla Scuola musicale napoletana, spesso la sesta
napoletana si utilizza per sortire un effetto patetico o, come nel caso preso in esame, per
caratterizzare il brano di un particolare colore esotico. Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti,
1994, p. 663.

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nel tessuto armonico complessivo, e delle false relazioni.37 Per aumentare il
senso di magica sospensione, di fascino della lontananza che ha creato, il
pezzo armonicamente e melodicamente non conclude».38

Interessante notare come, un’altra volta, Mozart ci sorprenda utilizzando un


espediente ancora diverso da quelli usati sinora per conferire al brano un
carattere orientaleggiante. Questa volta non si affida al libretto o a determinati
abbellimenti e neppure all’elemento timbrico o, ancora, all’aspetto melodico,
bensì all’andamento armonico dell’aria per ricreare nella mente dell’ascoltatore
una ben precisa immagine di Oriente sì molto distante (da qui la scelta di un
richiamo al modalismo), ma pur sempre capace di essere accostato all’Occidente:
accostamento simbolicamente rintracciabile nell’uso del mandolino, strumento
tipicamente usato per accompagnare la serenata nell’opera italiana, ma anche
emblema della tradizione musicale iberica e relativamente simile all’ʿūd, 39
cordofono a pizzico simbolo dell’Oriente.40
Al termine della serenata gli amanti tentano il rapimento, ma Pedrillo viene
sorpreso da Osmino che, svegliatosi e accortosi della fuga, dà l’allarme e fa
arrestare i quattro, ordinando che vengano condotti davanti al pascià.
Una volta giunti di fronte a Selim, Belmonte implora pietà e, nel farlo, rivela di
essere figlio del comandante di Orano, nobile spagnolo acerrimo nemico del
pascià, colui che in passato lo privò di ogni cosa. 41
Ecco così che quanto apparentemente potrebbe definirsi come un normale colpo
di scena all’interno della narrazione, ci offre invece l’ennesimo spunto di
riflessione riguardo al rapporto tra Oriente e Occidente:

«Questa situazione si colloca nell’ambito di quel concetto che vedeva


l’Oriente come terra tradizionalmente tollerante e l’Occidente come terra di
conquistatori intolleranti».42

37Si definisce “falsa relazione” la successione di due note dallo stesso nome, l’una naturale e l’altra
alterata, in due parti diverse di due accordi successivi. Tipica di madrigali e mottetti di epoca
rinascimentale. Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, p. 105.

38 Ibidem.

39Definito per antonomasia “il liuto a manico corto” (lo stesso nome “liuto” pari derivi da ‫ود‬#‫ع‬# # # # # # ‫[ ال‬al-
ʿūd]) è uno strumento cordofono che parrebbe risalire al VII secolo. Sulla grande cassa armonica a
forma di mandorla e con fondo a doghe incollate poggia un manico terminante con un cavigliere
ondulato rivolto all’indietro. Monta da 5 a 7 cori di corde doppie che vengono pizzicate da un
plettro allungato. La tastiera è liscia e permette di ottenere intervalli inferiori al semitono. Inoltre, è
strumento solista tra i più importanti dell’orchestra classica araba. Cfr. La nuova enciclopedia della
musica Garzanti, 1994, p. 737.

40 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 105-106.

41 Idem, p. 107.

42 Ibidem.

!53
Belmonte e Costanza, timorosi della vendetta di Selim e dunque ormai convinti
dell’atroce punizione imminente, si apprestano alla morte, inneggiando al piacere
del poter morire insieme. 43
Anche questo passo, come molti altri, meriterebbe un più approfondito esame,
data l’altissima qualità musicale. Tuttavia, come si è detto in precedenza, non
presentando elementi turcheschi, sia sufficiente dire che la sublimità dei
sentimenti espressi sembrerebbe imporsi come preludio al successivo atto di
clemenza del pascià, altra costante del teatro musicale a tema esotico.44
È questo il punto di svolta che segna il lieto fine del Singspiel, in cui Selim
concede la libertà alle due coppie di amanti e dichiara la propria volontà di
ricambiare con il bene il male ricevuto.
L’epilogo vede tutti i personaggi gioiosi, eccezion fatta per Osmino, che esce di
scena infuriato, accompagnato dai tamburi e dai sonagli della banda turca e
offrendo agli altri la possibilità di trarre dal suo comportamento la morale del
Ratto dal serraglio, che alla vendetta sostituisce il perdono, qui sublimemente
esaltato.45

«L’opera si chiude con un vaudeville in cui tutti i personaggi cantano le lodi


della generosità di Selim. Il vaudeville era il finale tipico dell’opéra-comique;
era costruito su una melodia preesistente già nota al pubblico sulla quale
ciascun personaggio cantava nuove parole. Col successo e la diffusione
dell’opéra-comique i musicisti presero l’abitudine di comporre melodie
originali per i vaudeville, come fa appunto qui Mozart, pur lasciando
immutata la struttura circolare di rondò tipica del genere. Il vaudeville ha
carattere eminentemente conclusivo ed è infatti quasi sempre riservato al

43 Cfr. R. Mellace, op. cit.

44 Cfr. G. Pestelli, “Cose Turche” nella musica Europea, pp. 107-108.

45 Idem, p. 109.

!54
finale delle opere. Se nel finale del Ratto dal serraglio la sua tradizionale
struttura viene mantenuta, il trattamento musicale cancella però in parte il
suo carattere di passerella da rivista. Il tema musicale […] ha qualcosa del
Lied e del corale […]; si tratta di una melodia che in certo qual modo […]
vuole esprimere un ideale universale di perdono e di fratellanza.
[…] Terminato il vaudeville attacca, a conclusione dell’opera, l’ultimo pezzo
turco, il coro dei giannizzeri “Bassa Selim lebe lange”, la cui formulazione
musicale è leggermente diversa rispetto a quella del coro dell’atto I. Grande
possibilità di caratterizzazione ha, sulle parole “Seine holde Scheitel prange /
Voll von Jubel, voll von Ruhm”, un elemento rapido simile a quello della marcia
turca, avente una funzione per così dire incantatoria a sostegno di una
sezione piano del coro dotata di un eccezionale potere mimico».46

Il coro finale offre inoltre un compendio di tutti gli elementi musicali turcheschi
già comparsi in precedenza, dall’ampio impiego di determinati strumenti a
percussione al frequente utilizzo di trilli e acciaccature, in una figurazione ritmica
dal tono, ancora una volta, brillante e militaresco:47

46 Idem, pp. 108-109.

47 Ibidem.

!55
Il finale del Ratto dal serraglio è un brano che, data la solennità, ricorda i cori del
Flauto magico, quasi facendosi motivo anticipatore e filo conduttore dei principali
elementi comuni ai due Singspiel mozartiani. 48

48 Ibidem.

!56
3.3 Il Flauto Magico

Memore dell’invasione per opera dell’imperatore Solimano nel 1529, in campo


musicale Vienna, come in precedenza si è detto, vede svilupparsi negli anni
successivi un crescente interesse per l’esotismo, per l’immagine di un Oriente
pittoresco, sede di una cultura considerata agli antipodi della civiltà occidentale.
Viene così a crearsi una vera e propria moda turca, instauratasi in moltissime
composizioni di ‘700 e ‘800, che si riflette tanto sul piano contenutistico, offrendo
soggetti turchi, quanto negli intenti coloristici o umoristici 49.
Esempio forse tra i più celebri e complessi è, in questo campo, quello offerto dal
Singspiele mozartiano per eccellenza: Il flauto magico (Die Zauberflöte K 620) su
libretto di E. Schikaneder,50 la cui prima rappresentazione avvenne a Vienna,
presso il Theater auf der Wieden, il 30 settembre del 1791, anno della morte del
compositore.51
Mozart aveva inizialmente concepito l’opera seguendo alla lettera una fiaba, Lulu
oder die Zauberflöte, contenuta in una raccolta di “favole orientali”, attribuita a Ch.
M. Wieland,52 ma nella quale figuravano anche opere di altri autori, 53 intitolata
Dschinnistan.54 La vicenda narra di un giovane principe, Huon, chiamato a
salvare una fanciulla insieme a un compagno, Cherasmin, avvalendosi dell’aiuto
di un corno magico come protezione nei momenti difficili. Così in Lulu come nel

49 Cfr. F. Attardi, op. cit., p. 15.

50 Johann Emanuel Schikaneder (Straubing, 1751 - Vienna, 1812) fu impresario teatrale, attore e
librettista. Personaggio pittoresco e dall’incredibile talento mimico, nel 1780, grazie alla compagnia
ambulante di cui due anni prima era diventato direttore, conobbe la famiglia Mozart a Salisburgo.
Trasferitasi nella capitale dopo la sopraggiunta fama, nel 1784 la compagnia si sciolse e Schikaneder
lavorò per i due anni successivi come attore del Nationaltheater. Nel 1787 ottenne la direzione del
teatro di Regensburg, incarico di cui venne privato un anno dopo, date le critiche sortite a seguito
delle sue stravaganti esagerazioni. Rientrato a Vienna, nel 1789 divenne condirettore del Theater
aut der Wieden, dove con grande duttilità Schikaneder seppe adattarsi al gusto cittadino,
esercitando una forte influenza sullo sviluppo della produzione teatrale popolare successiva. È
proprio in questi anni viennesi che vi fu un progressivo riavvicinamento a Mozart, in un crescente
clima di familiarità che diede vita, nella primavera del 1791, al Flauto magico. Le costanti difficoltà
economiche, per lo più causate dal gusto di Schikaneder per la grandiosità e l’eccesso, lo
condussero progressivamente alla miseria e alla pazzia, fino alla morte, nel 1812. Cfr. La nuova
enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 643 e M. Mila, Lettura del Flauto magico (1989), Torino,
Giulio Einaudi Editore, 2006, pp. 30-36.

51Cfr. AA. VV. Il flauto magico, collana I Libretti, Torino, Fondazione Teatro Regio, n° 192, maggio,
2017, p. 87.

52 Christoph Martin Wieland (Achstetten, 1733 - Weimar, 1813) è stato un illuminista tedesco.
Studioso della letteratura inglese contemporanea e della Grecia antica e appassionato lettore degli
autori francesi, dal 1751 iniziò a dedicarsi alla scrittura, occupandosi di poesia. Conobbe Goethe,
Schiller e altri tra i maggiori autori del Romanticismo tedesco. Nel 1809 fu iniziato alla massoneria,
iniziazione che ne influenzò fortemente il credo e le opere e che fu probabilmente il canale tramite il
quale Mozart venne a conoscenza della raccolta Dschinnistan, pubblicata nel 1780.

53A tale proposito, è oggi un dato acquisito che Lulu oder die Zauberflöte non sia stata scritta da
Wieland, bensì da August Jacob Liebeskind (Weimar, 1758 - Weimar, 1793). Cfr. F. Attardi, op. cit., p.
43.

54 Ibidem.

!57
Flauto magico, il protagonista è chiamato a superare tre prove per potersi unire
all’amata. 55
Se una delle fiabe del Dschinnistan offre a Mozart dunque la trama del suo Flauto
magico, altri racconti della raccolta, anch’essi orientali, offrono l’ispirazione per
alcuni dei personaggi del Singspiel. 56

«La prefigurazione dei tre genietti è contenuta nella fiaba Die drei Knaben,
dove i fanciulli, seduti sotto delle palme dalle foglie d’oro, danno consigli al
contadino Salamoi partito alla ricerca della sua donna rapita da un tiranno.
La figura del perfido schiavo negro che tenta di sedurre la candida fanciulla
deriva dal racconto Adis e Dany.
In Neangir e i suoi fratelli, Argentina e le sorelle, troviamo il ritratto di una
fanciulla che dischiude il cuore del protagonista all’amore: da qui deriva
quasi sicuramente il testo della celebre “Aria del Ritratto” di Tamino.
Le scene dentro una piramide egizia con le prove di coraggio dell’eroe
sembrano derivare da Der Stein der Weisen.
L’apparizione della Regina della Notte è preannunciata in Corbeille, storia
orientale, anche se il modello più probabile fu Astromonte della Pietra
filosofale, che, da vero deus ex machina, appare a Nadir cantando dall’alto».57

Indubbiamente molti degli elementi comuni sono da intendersi come tipici del
genere fiabesco e dunque universali, tuttavia è bene tenere in considerazione il
fatto che determinate scelte di tipo letterario presenti nel Dschinnistan, e
successivamente riprese nel libretto del Flauto magico, sono riconducibili tanto
alle mode del secolo in cui fu scritto quanto all’indubbia influenza della
letteratura fiabesca europea degli anni precedenti e dunque anche delle Mille e
una notte di Galland. 58

«The European fairy tale began to receive the attention of serious writers in
the late Renaissance, in numerous prints, almanacs, chronicles, and histories.
It reached its zenith in the eighteenth century. Most European fairy tales are
from French collections. […] The appeal of fairy tales to literati as well as
their accessibility to popular understanding made for a rapid growth in
publication and dissemination. European nobility dressed à la Turque and
narrations of contes became common in the salons. The Orientalist school of
painting (e.g., Delacroix, Gérôme, Ingres) was also directly influenced by this
literary development with its fantastic and erotic associations.

55 Cfr. F. Attardi, op. cit., p. 45.

56 Idem, p. 47.

57 Idem, pp. 47-48.

58 Cfr. R. Irwin, op. cit., p. 88.

!58
The central source of contes for the German writers was the immense
collection, Le Cabinet des Fées59 (1785 - 89), which included many earlier
French works by Charles Perrault,60 the Comtesse de Murat,61 the Comtesse
d’Aulnoy,62 Antoine Galland. […] By the mid-18th century much of this
material was also available in German translations. […]
While fairy tales had been a source of inspiration well before the late
eighteenth-century, this period found German writers beginning to
acknowledge the singular value of Volksüberlieferungen63 in verse and prose.

59Le Cabinet des fées è una raccolta di racconti dei secoli XVII e XVIII, compilata tra il 1785 e il 1789,
comprendente quarantuno volumi in cui sono ordinati i testi di circa quaranta autori alcuni tra i
quali sono tutt’oggi considerati tra i più celebri esponenti della letteratura favolistica francese. Cfr.
https://fr.wikipedia.org/wiki/Le_Cabinet_des_féeshttps://fr.wikipedia.org/wiki/
Le_Cabinet_des_fées.

60 Charles Perrault (Parigi, 1628 - Parigi, 1703) fu Accademico di Francia dal 1671, dopo essere
entrato, nel 1663, a far parte della piccola accademia di artisti creata per il monarca Luigi XIV. Dopo
alcune opere poetiche, Perrault si dedicò, insieme ai fratelli, a un rifacimento parodistico di parte
dell’Eneide. Nel 1687 diede inizio all’accesa polemica letteraria nota con il nome di Querelle des
anciens et des modernes, parteggiando per i moderni. Noto soprattutto per la letteratura fiabesca,
sono attribuiti a Perrault alcuni celeberrimi titoli, tra cui ricordiamo La bella addormentata nel bosco,
Cappuccetto rosso, Il gatto con gli stivali, Cenerentola, Pollicino, etc. raccolti nel 1967 in un unico volume
il cui titolo, Histoires ou contes du temps passé, avec des moralitez, è comunemente noto sotto il nome di
Contes de ma mere l’Oye. Esempio di stile conciso e naturalezza, le fiabe di Perrault si avvicinano
molto alla semplicità delle favole mitologiche greche. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/
charles-perrault/.

61 Henriette-Julie de Murat (Parigi, 1668 - Château de la Buzardière, 1716) fu un’aristocratica e


scrittrice francese. Dopo aver sposato il Conte di Gilbertez Nicholas de Murat, iniziò a frequentare
gli ambienti culturali parigini e si dedicò alla scrittura, pubblicando, nel 1697, una raccolta di
memorie false, Memoirs of the Countess of M***, il cui successo fece sì che l’opera fosse tradotta anche
in inglese. Tra il 1698 e il 1699 pubblicò tre volumi di fiabe e uno di poesia, oggi purtroppo andato
perduto. Al centro di uno scandalo nel 1699 a seguito di accuse di libertinismo sessuale e
depravazione, fu allontanata dalla corte ed esiliata nel Castello di Loches, nella valle della Loira.
Quasi totalmente manchevoli dell’elemento folklorico, le fiabe di Madame de Murat sono
caratterizzate da una certa complessità narrativa e dai diffusi riferimenti alla mitologia classica e
alla letteratura epico-cavalleresca medievale. Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Henriette-
Julie_de_Murat.

62 Marie-Catherine d’Aulnoy (Barneville-a-la-Bertan, 1650 - Parigi, 1705) viaggiò attraverso l’Europa


per sfuggire alla condanna a decapitazione ricevuta a seguito di un tentativo di accusa rivolta al
marito con l’intenzione di abbandonare il matrimonio non voluto. Dopo aver soggiornato in
Inghilterra e Spagna, rientrata nelle grazie di Luigi XIV, nel 1681 divenne vedova e si trasferì a
Parigi, dove aprì un salone letterario. A partire dal 1690 pubblicò racconti nel gusto del suo tempo
e, dopo il successo dei Contes di Perrault si dedicò alla produzione fiabesca, pubblicando nel 1697
una prima raccolta dal titolo Les Contes des fées, cui fece seguito, l’anno successivo, Contes nouveaux
ou les Fées à la mode, opera che le valse la celebrità. Destinate al pubblico adulto della società galante,
le fiabe di Marie-Catherine d’Aulnoy sono fortemente influenzate dal teatro e dalla letteratura
pastorale, nonché dal vissuto personale dell’autrice, rielaborato in chiave educativo-morale. Cfr.
https://en.wikipedia.org/wiki/Madame_d%27Aulnoy.

63 Termine tedesco traducibile con “tradizione popolare”.

!59
After mid-century, influential writers like Herder64 and Wieland pointed out
the instinsic value of common “Voklssage, Märchen und Mythologie.” […]
The contes provided both French and Oriental elements to the German
writers».65

A ulteriore conferma dell’enorme influenza esercitata dal racconto orientale e


dalle Notti di Galland sulla raccolta di Wieland e, di conseguenza, dell’incidenza
dell’Orientalismo sul Flauto mozartiano, unanimemente considerato uno tra i più
celebri esempi del folklore fiabesco in area tedesca, ecco quanto aggiunge Buch:

«The title Dschinnistan refers to a mythical land 66 commonly mentioned in


“oriental” fairy tales. […]
In his prefatory remarks, Wieland introduces his fairy tales and discusses his
methods of translation, adaptation, and creation. He cites sources including
Le Cabinet des Fées, and the translations of Galland and Perrault. […]

64 Johann Gottfried von Herder (Mohrungen, 1744 - Weimar, 1803) fu un filosofo tedesco. Dopo gli
iniziali studi di medicina si dedicò alla teologia, interessandosi anche di questioni letterarie e
filosofiche. Dal 1764 si trasferì a Riga, dove iniziò la sua attività pubblicistica e saggistica. Giunse a
Parigi nel 1796 e lì conobbe Diderot e D’Alembert; durante il soggiorno parigino redasse un diario
frammentario in cui espone con chiarezza la propria concezione storica, teologica ed estetica.
Lasciata Parigi e nominato predicatore a Strasburgo, ebbe modo di conoscere il giovane Goethe con
il quale pubblicò nel 1773 l’opuscolo Von Deutscher Art und Kunst, ritenuto importantissimo per il
valore programmatico che assume all’interno del movimento dello Sturm und Drang, di cui Herder
fu il maggiore promotore. Nel 1772 propose un’interessante e innovatrice filosofia del linguaggio,
dai caratteri spiccatamente riconducibili alla concezione della parola e della parola poetica del
primo Romanticismo. La più celebre opera di Herder, la raccolta di Volkslieder del 1779, offre una
vasta testimonianza della poesia popolare, anche quella propria di gruppi posti o ritenuti a margine
dei grandi filoni culturali. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/johann-gottfried-von-herder/.

65 Cfr. D. J. Buch, Fairy-Tale Literature and Die Zauberflöte (1992), Basilea, Acta Musicologica,
International Musicological Society, Vol. 64, Fasc. 1, gennaio - giugno, 1992, pp. 36-38.

66 Il suffisso -stan, di origine persiana e traducibile con la locuzione “Paese di”, giustapposto alla
# ِ [jinn] identifica questa terra mitica con un ipotetico
parola Dschinni, riconducibile all’arabo ‫ ّن‬# # # # # # ‫ج‬
fantastico Paese dei Jinn. Nella cultura popolare araba i jinn sono spiriti dall’influsso benefico o
malefico che popolano la natura e influenzano la vita umana. Accolti anche nella tradizione
coranica, nella quale talvolta vengono identificati con i diavoli delle religioni giudaica e cristiana, i
jinn costituiscono una collettività presente sin dalle fasi più antiche della società araba preislamica.
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/ginn_%28Enciclopedia-Italiana%29/.

!60
We noted above that Die Zauberflöte was not the only work that Schikaneder
based on modified Wieland sources. Besides the earlier production of Der
Stein der Weisen, Schikaneder produced an adaptation of Oberon, and Das
Labyrinth. In the Oberon setting, we find a scene where the hero plays a magic
horn that causes the attaching Mussulmen to dance, rendering them
harmless - the direct model for the similar scene with Papageno’s magic bells
in Act 1 of Die Zauberflöte».67

Volendo esaminare con maggior precisione gli elementi del Flauto magico
riconducibili alla raccolta di Wieland, di cui segue l’indice:68
oltre agli elementi già evidenziati da Attardi, Buch, accanto ad altri analizzati da
E. Komorzynski,69 ne integra di ulteriori:

«Only one author, Egon Komorzynski, has demonstrated the close


relationship of Die Zauberflöte to Wieland’s collection as a whole, identifying
motifs borrowed from others stories in the collection. […] Yet Komorzynski
only identified some of these motifs and neglected many of the more
important ones. He mentions small details of language, plot, and locale, and
concentrates on the use of characters from other stories (e.g., the drei Knaben,
the repulsive Moorish slave, the Queen, the prince who wins his wife by
enduring initiation trials, and the wise, older mentor). […]
The first story in Dschinnistan, Nadir70 und Nadine, employs the same plot
reversal found in Die Zauberflöte. A seemingly evil magician steals away a
young woman, while an apparently good magician comes to the aid of the
young hero in pursuit. At a decisive point in the story it is revealed that the
magicians are not as they seem - the evil abductor turns out to be benevolent
and the magician who seemed helpful is actually the villain. […] The
librettist(s) had a most convenient model for their unusual twist of plot - the
model from the first story in Dschinnistan.
In this story we also read of a magic ring that is used at the conclusion to
bring Nadine back to Nadir. This may have been the inspiration for
Papagena’s return to Papageno at the end of Die Zauberflöte, through the use
of the magic bells.

67 Cfr. D. J. Buch, op. cit., pp. 38-40.

68 Idem, p. 39.

69 Egon Ritter von Komorzynski (Vienna, 1878 - Vienna, 1963) fu un musicologo, storico e critico
austriaco. Esperto conoscitore tanto delle discipline artistiche quanto di germanistica e di studi
filologici, Komorzynski è noto per le sue ricerche su Mozart e Schikaneder, meritevoli, nel 1953, di
autorevoli riconoscimenti da parte del Mozarteum e di altre importanti istituzioni culturali
viennesi. Tra i principali testi, si ricordano Der Vater der Zauberflöte (1948) e Mozarts Kunst der
Instrumentation (1906). Il figlio, omonimo, è stato un importante egittologo. Cfr. https://
de.wikipedia.org/wiki/Egon_Komorzynski_(Musikwissenschaftler).

70Il nome è di chiara origine araba, a ulteriore conferma del ricorrente elemento orientale nella
raccolta di Wieland. Tratto dal vocabolo ‫ادر‬## # # # # # ‫[ ن‬nādir], significa: pregevole, prezioso, inusuale, raro.
Cfr. E. Baldissera, Il dizionario di Arabo (2004), Bologna, Zanichelli editore, 2014, p. 275.

!61
While Komorzynski acknowledged the Monostatos character in Adis und
Dahy,71 he does not mention the remarkable similarity in plot - the hateful
Moor falls in love with the forbidden white maiden he serves, only to be
rejected. He then forms a vengeful plan that eventually will be thwarted.
[…]
In addition to the example mentioned by Komorzynski, we encounter wise,
magic Knaben in two other stories. In Timander und Melissa there is a small
vehicle with silver-plated72 oars, rowed on each side by “drei Knaben, schön
wie Liebesgötter.” This may very well account for the presence of a similar
vehicle in Die Zauberflöte. In Das Labyrinth four Knaben serve as guardian
spirits to a young prince who pursues the daughter of a queen, similar to
that in Die Zauberflöte».73

Servendoci ancora dell’indice dei titoli dei racconti presenti nella raccolta di
Wieland, già in precedenza definiti “orientali”, è interessante osservare come
numerose altre favole, oltre a quelle citate in precedenza, siano riconducibili
direttamente alle Notti francesi di Galland e, più largamente, alla tradizione
letteraria popolare orientale.

«Despite its exotic title, only some stories in the collection have an Oriental
character, such as Adis und Dahy, Neangir und seine Brüder, Der eiserne
Armleuchter, Der Greif vom Gebürge Kaf, and Der Stein der Weisen. Eastern or
pseudo-Eastern elements employed include magic objects, magic elixirs,
secret books, jinn, sultans, labyrinths, Oriental palaces, subterranean crypts,
and mystical and alchemist symbols. […] Some of the stories can easily be
related to the Arabian Nights, such as Der Greif vom Gebürge Kaf, in which a
huge griffin claims that he can prevent a predestined marriage between a
prince and a princess and concludes a bet with King Solomon. He abducts
the princess from her cradle and raises her in his nest on Mount Qāf.74 Many
years later, the prince goes out sailing, is caught in a storm, and is washed
ashore at the foot of Mount Qāf. There he finds the princess and decides to
rescue her. He hides himself in the hide of a dead camel and is carried by the
griffin to its nest. When Solomon summons the griffin to prove that he has

71 Anche i due personaggi del titolo di questa fiaba sono riconducibili alla letteratura popolare
orientale; il racconto infatti sembrerebbe essere ispirato alla storia di Sindibād, eroe di un ciclo di
racconti di viaggi leggendari in mare (al quale si ispirerà poi Rimskij-Korsakov per la sua Shahrazād
Op. 35) presente sia nelle edizioni delle Notti egiziane e di Calcutta sia nella tradizione di altre
letterature semitiche. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/sindbad-il-marinaio_
%28Enciclopedia-Italiana%29/ e U. Marzolph, R. van Leeuwen, H. Wassouf, The Arabian Nights
Encyclopedia (2004), Santa Barbara, ABC-CLIO, 2004, pp. 737-738.

72 L’utilizzo dell’argento compare nello stesso libretto alla prima apparizione dei tre fanciulli, con la
specifica indicazione “Fünfzehnter Auftritt - Drei Knaben führen den Tamino herein, jeder hat einen
silbernen Palmenzweig in der Hand”. Cfr. AA. VV. Il flauto magico, collana I Libretti, p. 128.

73 Cfr. D. J. Buch, op. cit., pp. 41-42.

74In arabo ‫اف‬## # # ‫بل ق‬## # # ‫[ ج‬jabal Qāf], il monte Qāf è una montagna misteriosa nota, nella tradizione araba,
come “il punto più lontano della Terra” e per questo spesso identificata con il Polo Nord. Montagna
che nell’immaginario cinge il mondo come una cupola di moschea e simbolizza l’espansione
infinita del cielo, il monte Qāf compare nel Corano, nel misticismo sufi e nei testi di autorevoli poeti
quali Ibn ʿArabī (1165 - 1241). Cfr. M. Chebel, Dizionario dei Simboli Islamici (1995), Roma, Edizioni
Arkeios, 1997, pp. 200-201.

!62
realized his boast, the griffin brings him the camel’s hide. When the hide is
opened the princess and the prince come out together.
In the story Der eiserne Armleuchter the theme of ʿAlāʾ al-Dīn75 is used». 76

Anche sotto il profilo musicale è interessante osservare come il Flauto Magico sia
strettamente legato al Dschinnistan: grazie a una serie di manoscritti restituiti alla
Germania dalla Russia nel 1991 è stato possibile rinvenire la partitura di Der Stein
der Weisen oder die Zauberinsel, Singspiel rappresentato nel teatro di Schikaneder
nel 1790 (dunque di appena un anno precedente il capolavoro mozartiano). 77
L’opera, tratta da una delle novelle raccolte nel testo di Wieland, fu composta da
vari compositori, tra cui lo stesso Mozart. 78 Vale la pena dunque soffermarsi su
alcuni frammenti del Singspiel per osservarne alcuni interessanti aspetti.

«La smagliante ouverture, attribuita a Johann Baptist Henneberg,79


Kapellmeister del teatro Auf der Wieden, risente nell’uso dei fiati delle
sinfonie e delle opere mature di Mozart.
Di Henneberg, futuro direttore del Flauto magico dalla terza replica, sono
pure la delicata aria di Nadine e quella di Lubano del secondo Atto, che
invita a non fidarsi troppo del bel sesso. […]
A Mozart sono attribuiti tre brani: il duetto dei gatti, […] il duetto “Nun,
liebes Weibchen”, già noto e catalogato come K 625 (K 592a), e infine il finale
dell’opera, fatta eccezione per la breve coda firmata da Schack80».81

75Il personaggio di ‫ن‬## # #‫دي‬## # #‫الء ال‬## # #‫[ ع‬ʿAlāʾ al-Dīn] è senza ombra di dubbio tra i più noti protagonisti delle
Notti di Galland. Non annoverata tra le novelle più importanti delle Mille e una notte, tanto da
essere persino esclusa in alcune versioni, il racconto di Aladino gode tutt'oggi di un enorme
successo che affonda le sue radici nella tradizione romantica, in cui il protagonista fu eletto a eroe
popolare simbolo dei popoli oppressi. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/aladino_
%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/.

76 Cfr. U. Marzolph, R. van Leeuwen, H. Wassouf, op. cit., pp. 737-738.

77 Cfr. F. Attardi, op. cit., p. 48.

78 Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Der_Stein_der_Weisen.

79Johann Baptist Henneberg (Vienna, 1768 - Vienna, 1822) fu un compositore e organista austriaco.
Kapellmeister del Freihaustheater dal 1790 al 1801, dal 1803 ricevette lo stesso incarico presso il
teatro Auf der Wieden. Successivamente, dopo aver ricoperto per qualche anno il ruolo di organista
presso la corte degli Esterházy, fu nominato organista della corte imperiale viennese. Compositore
di opere all’epoca molto popolari, Henneberg è oggi ricordato per il contributo che apportò alla
direzione del Flauto magico. Cfr. https://de.wikipedia.org/wiki/Johann_Baptist_Henneberg.

80Benedikt Emanuel Schack (Mirotice, 1758 - Monaco, 1826) fu un compositore e cantante, amico di
Mozart e primo interprete del ruolo di Tamino, il protagonista del Flauto magico. Fin dalla tenera età
avviato agli studi musicali in veste di corista della Cattedrale di Praga, nel 1775 si trasferì a Vienna
per studiare medicina e canto. Nel 1786 si unì alla compagnia di Schikaneder, personaggio grazie al
quale ebbe modo di conoscere Mozart e di prendere dallo stesso lezioni di composizione. Dal 1813
abbandonò la carriera di cantante è si trasferì in Baviera, dove morì. L’intima amicizia con il
compositore del Flauto è testimoniata dal carteggio con Costanze Weber: la vedova Mozart infatti,
in una lettera indirizzata al cantante, si rivolge a lui in occasione della stesura della biografia del
defunto marito, e lo annovera tra uno degli amici ai quali il compositore fu in vita più devoto. Cfr.
https://en.wikipedia.org/wiki/Benedikt_Schack.

81 Cfr. F. Attardi, op. cit., pp. 48-49.

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Esempio dei possibili parallelismi tra Der Stein der Weisen oder die Zauberinsel e Il
flauto magico, la maggior parte paradossalmente rintracciabili nelle parti non
attribuite a Mozart, è l’aria di Astromonte, composta da Schack, che presenta una
serie di vocalizzi e agilità che precorrono quelli eseguiti dalla Regina della Notte
nelle sue arie. 82
Figura di rilievo, di cui sinora poco si è detto, è anche il personaggio di
Papageno, simbolo del rousseauiano mito del “buon selvaggio” e, dunque,
archetipo di quell’ideale di umanità che, come si accennava nel capitolo
riguardante la letteratura, nel Settecento veniva tipicamente identificato nei
popoli orientali.83

«Tra il ‘500 e il ‘600 a seguito delle scoperte geografiche, e partendo dalla


letteratura francese, cominciava l’idealizzazione dei popoli primitivi e
l’apologia della vita “selvaggia”, ma è solo nel Settecento illuminista, con la
critica sociale ai costumi, che si accentua il mito e il gusto per una condizione
diversa da quella dell’uomo occidentale, con una forte attrazione per
l’esotismo.
L’opéra-ballet Les Indes Galantes 84 di Rameau, del 1736, che si conclude con la
danza del gran calumet tra i selvaggi d’America, ne è il prodotto spettacolare
più insigne.
Filosoficamente, colui che decreterà il ritorno allo stato di natura è Jean
Jacques Rousseau (1712 - 1778), musicista di professione, ma passato alla
storia come il filosofo del Settecento che affrancò l’Illuminismo dalla
tirannide della ragione, cui contrappose il sentimento.
Rousseau condanna l’ipocrisia sociale del suo tempo, in nome di quella
“natura” che a lui, nel soggiorno dorato di Chambéry, aveva riservato le
gioie più genuine. Nostalgico di un tipo di rapporti sociali improntato al
recupero dei sentimenti più veri dello spirito umano, propugna l’ipotesi
dell’”uomo di natura”, all’origine integro e tutt’altro che malvagio. La
natura per il filosofo ginevrino è l’archetipo d’ogni bontà e felicità, mentre la
menzogna, la maschera sono effetti di quelle sovrastrutture e deformazioni
che si sono via via accumulate nella società, e che hanno allontanato l’uomo
dai suoi bisogni e dalle inclinazioni originarie. […]
Mozart sicuramente non rimase estraneo alla suggestione di questa
affascinante teoria: ed ecco la creazione di Papageno, il Naturmensch del
Flauto magico, che sin dal suo primo apparire in scena con il costume di

82 Idem, p. 49.

83 Idem, p. 68.

84 Esempio tra i più noti nelle opere di Rameau riguardanti il rapporto tra Oriente e Occidente, Les
Indes Galantes trasporta il pubblico in un vero e proprio viaggio in terre esotiche, guidato dalla
mitica lotta tra Amore e Guerra. L’opéra-ballet in quattro atti e prologo rispecchia, tanto dal punto di
vista strutturale quanto da quello stilistico, il gusto dell’epoca: musica, azione e balletto appaiono
dunque equamente bilanciati; inoltre, temi quali gli intrighi amorosi, la fedeltà e la gelosia, la
crudeltà dei potenti, la magia di luoghi misteriosi e lontani, risultano essere ricorrenti in tutta
l’opera e contribuiscono a delineare con chiarezza la forte contrapposizione tra l’uomo occidentale,
colonizzatore che abusa delle terre conquistate sottomettendone gli abitanti, e l’uomo “esotico”,
simbolico portavoce degli ideali di bontà, amore e purezza verso i quali la società contemporanea
di Rameau ambisce a far ritorno. Cfr. https://www.staatsoper.de/en/productioninfo/les-indes-
galantes.html.

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penne, il flauto di Pan e la gabbia in spalla ci riconduce al modello
rousseauiano. […]
Papageno, come il bon Sauvage, suscita in noi la simpatia più istintiva,
proprio perché incarna l’archetipo dell’uomo-fanciullo, incontaminato da
sovrastrutture, alla cui “naturalità” tutto è perdonato».85

Risulta interessante soffermarsi, facendo affidamento alle due sole


rappresentazioni originali pervenuteci, l’una (tav. III p. 65), del 1791, presente
nella prima edizione del libretto e l’altra (tav. IV p. 66) e (tav. V p. 67)
appartenente alla raccolta di acqueforti a colori di Joseph e Peter Schaffer, sulle
caratteristiche del costume di Papageno.86
L’abito di piume, oltre a essere strettamente connesso alla professione di
uccellatore del personaggio, che richiede sia anch’esso raffigurato in veste di
pennuto, è riconducibile anche a ulteriori aspetti. 87
Il piumaggio ricorda le fantasie tessili mediorientali, tipicamente caratterizzate
dalla ripetizione di elementi naturali, si tratti di foglie, fiori o piume, e, come è
noto, riprese nell’Europa del XVIII secolo per ricalcare i costumi orientali secondo
quella moda stereotipata che andava diffondendosi anche sul versante
dell’abbigliamento.88 Si pensi, a questo proposito, anche al ritratto (tav. VI p. 68)
del già citato Rousseau in “costume armeno” e al pelo-piumaggio che ricopre
collo e capo del filosofo.89

«Il gentiluomo e la gentildonna europei del Settecento producono quindi


una loro interpretazione dell’Oriente attraverso una combinazione fantasiosa
dei vari capi che provengono da vari paesi e culture, affascinati dall’idea di
un guardaroba che considerano orientale».90

Il corpo totalmente o parzialmente ricoperto di piume, inoltre, ricorda alcune


tipiche raffigurazioni di determinate divinità appartenenti a culti di origine
orientale. Nell’antico Egitto, che si vedrà essere fonte di molti degli elementi
presenti nel Flauto magico, erano rappresentati come uccelli o come esseri umani
alati il dio Horo, figlio di quegli stessi Iside e Osiride che danno il titolo all’aria di
Sarastro “O Isis und Osiris” con la quale si apre il secondo atto del Singspiel, e la
dea Maat, simbolo di giustizia e di stato “giusto” della società, di massima
espressione dell’equilibrio naturale, dunque simbolo delle ambizioni che l’uomo

85 Cfr. F. Attardi, op. cit., pp. 68-69.

86 Cfr. M. Mila, op. cit., p. 81.

87 Ibidem.

88Cfr. S. Segre Reinach, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda. Volume IV,
Orientalismi (2006), Roma, Meltemi Editore, 2006, pp. 70-72.

89 Idem, p. 74.

90 Ibidem.

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europeo del Settecento vedeva incarnate nello stile di vita orientale, di cui
Papageno è l’emblematica sintesi. 91
Nella mitologia mesopotamica, invece, è Assur, dio principale assiro, nonché
forma divinizzata dell’omonima città, a essere frequentemente rappresentato con
ali coperte da un folto piumaggio o all’interno di una ruota alata, simbolo della
genuinità, della purezza e dell’essenza divina solare. 92
Anche nell’iconografia zoroastriana il piumaggio, rintracciabile nella figura del
Faravahar, alla quale sono attribuiti molteplici e spesso discordanti significati, ha
un importante valore simbolico, protrattosi anche oltre la conquista araba e la
diffusione dell’Islam.93
Venendo poi all’altro elemento ricorrente nelle rappresentazioni di Papageno, la
siringa o flauto di Pan, strumento aerofono popolare noto agli antichi greci e a
vari popoli asiatici. 94 Non solo la divinità di cui lo strumento porta il nome è
spesso associata alla natura, e dunque all’intima connessione che con essa il
“buon selvaggio” uomo-Papageno instaura, ma la siringa è anche lo strumento
più antico, di probabile origine mediorientale, la cui invenzione viene attribuita
addirittura a Osiride, secondo molte credenze. 95
Proprio grazie al personaggio di Papageno e al dualismo che con esso si instaura,
si delinea anche la figura del protagonista, Tamino:

«La trama si evolve secondo una moltiplicazione di percorsi derivati dalla


scissione di ognuno degli elementi, in una proiezione illimitata dei multipli
di due. […] Tamino è complementare a Papageno, che rappresenta un altro
status sociale e culturale, ma anche una dimensione primaria e istintuale che
lui stesso possiede e nella quale, in parte, si identifica.
Papageno (il lato infantile di Tamino) fa suo quell’aspetto comico. […]
Tamino è dunque principe orientale».96

Ecco dunque che, accanto a un Tamino raffigurato quasi come una sorta di
“realizzazione” di Papageno, si definisce anche un Tamino-Occidente che ben
completa il “buon selvaggio” comprimario:

«Il giovane principe viceversa è l’individuo destinato alla società, che dovrà
superare il proprio isolamento per affacciarsi, attraverso un’adeguata
iniziazione, alla vita di gruppo e divenire leader. Il passaggio dallo stato di
natura allo stato sociale produce nell’uomo un mutamento notevole
sostituendo nella sua condotta la giustizia all’istinto: questo concetto di

91Cfr. M. Tosi, C. Ruo Redda, Divinità dell’Antico Egitto, in https://www.academia.edu/4625880/


Divinita_Dell_Antico_Egitto.

92 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/assur/ e https://en.wikipedia.org/wiki/Ashur_(god).

93 Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Faravahar.

94 Cfr. La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994, p. 671.

95Cfr. L. Bramani, Mozart massone e rivoluzionario (2005), Pavia, Bruno Mondadori Editori, 2005, p.
272.

96 Idem, pp. 270-271.

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Rousseau segna la demarcazione tra l’uomo nature e l’essere sociale, fra
Papageno e Tamino. […]
Agli occhi di Rousseau, che qui si scontra con gli stessi illuministi e con
Voltaire in particolare, la società era l’appendice malata di una storia
dall’evoluzione decadente e superstiziosa. Le lettere, le scienze, le arti stesse
erano fondate su falsi presupposti, rinnegando quella genuina ricchezza
dell’uomo che era possibile percepire solo nell’individuo allo stato primitivo.
[…]
E nel Flauto magico, il messaggio della saggezza è inteso come liberazione dai
pregiudizi e dalle passioni, alla ricerca di un’armonia di sentimenti
controllati dalla ragione».97

Vale la pena infine soffermarsi, anche per quanto riguarda Tamino, sulla
rappresentazione che ne è data nelle acqueforti di Joseph e Peter Schaffer (tav. VII
p. 69), dove l’abito del protagonista, più che quello di un nobile principe europeo,
ricorda le tipiche rappresentazioni dei soldati ottomani del XVIII secolo (tav. VIII
p. 70).
Altro personaggio meritevole di precisazioni è Sarastro. Caratterizzata da
un’iniziale ambiguità, la figura di Sarastro è presentata dal Coro come quella di
un Saggio, di un Abgott, un semidio.98 Proprio la deità del personaggio, vicina ai
culti dell’Antico Egitto e a quelli zoroastriani, lo rende fortemente “orientale” agli
occhi dello spettatore. 99
In primo luogo il nome, Sarastro, che richiama volutamente quello di Zoroastro e
costituisce un’esplicita allusione alle fonti dell’antica saggezza orientale, creando
un legame di continuità con i caratteri, già evidenziati, della figura di
Papageno.100
Anche nel dualismo Sarastro-Monostato, poi, traspare un’ambivalente
presentazione dell’Oriente: alla saggezza arcaica del primo, per certi versi
sublimazione anch’essa del “buon selvaggio” Papageno, si contrappone la
malvagità del secondo, considerata in parte logica conseguenza della sua
condizione di schiavitù e trattata con un certo grado di umorismo: segno, questo
di una progressiva evoluzione dell’Orientalismo o di una molteplicità di visioni,
passo successivo rispetto all’immagine di Oriente presentata nel Ratto.101

97 Cfr. F. Attardi, op. cit., pp. 71-72.

98 Idem, p. 169.

99 Idem, pp. 164-165.

100Cfr. B. Rossi, Elogiando una ragione illuminata. Considerazioni su musica e massoneria nel Settecento in
G. Greco, D. Monda (curatori), Sarastro e il serpente verde. Sogni e bisogni di una massoneria ritrovata
(2003), Bologna, Edizioni Pendragon, 2003, p. 176.

101Cfr. F. Cardini, Il Turco a Vienna. Storia del grande assedio del 1683 (2015), Roma, Giuseppe Laterza
& Figli, 2015, in https://books.google.it/books?
id=inWODAAAQBAJ&pg=PT405&lpg=PT405&dq=sarastro
+orientalismo&source=bl&ots=iPRfF0DpKn&sig=ACfU3U03p1ope2zBlK1881LJSq_acUyy2A&hl=it
&sa=X&ved=2ahUKEwiu6tms1a_kAhWNDewKHXNnAzcQ6AEwAnoECAkQAQ#v=onepage&q
=sarastro%20orientalismo&f=false.

!67
«Di fronte alla saggezza egizio-mazdea e gnostico-solare di Sarastro, il suo
infido servitore moro Monostato sembra incarnare la decadenza sapienziale
d’un Oriente preda del regressivo bigottismo saraceno. […]
Un Oriente come seduzione, mistero, magia, […] che poneva in confronto e
in contrasto l’Occidente cristiano e cavalleresco e l’Oriente magico e
musulmano. […]
Usciti dal lungo incubo del turco che incatenava e impalava, del barbaresco
che saccheggiava e uccideva, ormai turbante e scimitarra potevano divenire
oggetti di scena, harem e moschee fondali di commedia e d’opera buffa».102

Proprio parlando di scenografie, Sarastro è forse il più “orientale” tra tutti i


personaggi del Singspiel. Appare doveroso a tale proposito soffermarsi
sull’ingresso dell’uomo nel secondo Atto, dove, dopo essere stato introdotto dalla
celeberrima Marcia dei Sacerdoti, il personaggio si presenta alle porte del tempio:
la scena, tanto nelle acqueforti Schaffer (tav. IX p. 71) quanto nelle incisioni
dell’Alberti (tav. X p. 72) mostra tratti fortemente orientali; dalle incisioni
geroglifiche all’abbigliamento dei Sacerdoti, tutto nelle raffigurazioni suggerisce
un’immagine ben definita di Oriente.103
Appare evidente in queste raffigurazioni anche l’ispirazione tratta dal Sethos,
historie, ou Vie tirée des monuments, anecdotes de l’ancienne Égypte, tradite d’un
manuscrit grec, 104 dell’abate J. Terrasson, 105 che si riflette nell’ambientazione (tav.
XI p. 73) così come, in parte, anche nella trama e nella chiave di lettura
pedagogica che al Singspiel si potrebbe attribuire.106

«L’altro filone da cui genera il Flauto magico è quello del Bildungsroman, il


romanzo pedagogico, con influssi provenienti soprattutto dal Sethos di
Terrasson. […]
Il libretto, e non solo l’opera, è rivisto secondo la nuova concezione sin dalla
prima scena: ce lo dimostrano tutti i simboli non presenti nella Lulu […]:

102Cfr. F. Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso (2007), Roma, Giuseppe Laterza & Figli, 2015,
in https://books.google.it/books?id=B4eODAAAQBAJ&pg=PT150&lpg=PT150&dq=sarastro
+ o r i e n t a l i s m o & s o u r c e = b l & o t s = L 5 u o h x d T y -
&sig=ACfU3U1CeGckPeZsGc1uJN8PU0wy9DMVxw&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiu6tms1a_kAh
WNDewKHXNnAzcQ6AEwD3oECAgQAQ#v=onepage&q=sarastro%20orientalismo&f=false.

103 Cfr. M. Mila, op. cit., p. 129.

104Pubblicato nel 1731, nel Sethos, si narra la vicenda, fittiziamente tratta da un manoscritto di un
anonimo greco, di un principe, Sethos, sottoposto a un rito iniziatico e, come nel Flauto magico,
chiamato ad affrontare prove di acqua, di aria e di fuoco. Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/
Jean_Terrasson e AA. VV. Il flauto magico, collana I Libretti, p. 17.

105 Jean Terrasson (Lione, 1670 - Parigi, 2750) fu un abate francese, scrittore e membro
dell’Academie. Nel 1721 fu nominato professore di lingua greca al College de France.
Principalmente noto per il Sethos, grazie al legame con il Flauto magico di Mozart, altri testi celebri di
Terrasson sono la Dissertation critique sur l’Iliade de Homère (1715) e La philosophie applicable à tous les
objets de l'esprit et de la raison ouvrage en réflexions détachées (1754). Cfr. https://en.wikipedia.org/
wiki/Jean_Terrasson.

106 Cfr. AA. VV. Il flauto magico, collana I Libretti, p. 87.

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l’episodio del serpente con il quale si apre l’opera,107 che non si trova nella
Lulu, bensì nel Sethos, di Terrasson».108

Dal Sethos, oltre alle prove e all’ambientazione nell’antico Egitto, Mozart e


Schikaneder riprendono anche il testo della celeberrima aria di Sarastro, “O Isis
und Osiris”. 109

«It is also revealing to compare what Sarastro has to say in his hymn “O Isis
und Osiris” performed in Act II, with a similar prayer in Terrasson’s Life of
Sethos. Sarastro asks the gods to protect Tamino and Pamina as they undergo
their initiation trials. He sings (in my translation of the original German
text):
O Isis und Osiris, schenket
der Weisheit Geist dem neuen Paar!
Die ihr der Wandrer Schritte lenket,
stärkt mit Geduld sie in Gefahr.
Laßt sie der Prüfung Früchte sehen,
doch sollten sie zu Grabe gehen,
so lohnt der Tugend kühnen Lauf,
nehmt sie in euren Wohnsitz auf! 110
Here is Lepsius’ translation of a similar invocation to Isis in The life of Sethos:

Isis, great goddess of the Egyptians, pour down thy spirit upon thy new
votary, who has gone thro’ so many perils and laborious trials to come
before thee: make him victorious also over his passions, by rendring him
tractable to thy laws, that he may be worthy to be admitted to thy
mysteries».111

Degno di nota è anche il personaggio della Regina della Notte, personaggio


antitetico a Sarastro; nella maggior parte delle rappresentazioni, ricorda una
figura femminile che compare nell’iconografia mesopotamica, soprannominata

107Nella prima scena dell’opera, ambientata in un antico Egitto immaginario con un tempio sullo
sfondo, il principe Tamino è inseguito da un serpente. Sfinito, egli cade svenuto, mentre dal tempio
escono tre dame velate che uccidono il serpente e, dopo aver ammirato la bellezza del viso del
giovane, si allontanano. Cfr. AA. VV. Il flauto magico, collana I Libretti, p. 65.

108 Cfr. A. Attardi, op. cit., pp. 51-56.

109 Idem, p. 78.

110“Oh Iside e Osiride, procurate / lo spirito di saggezza alla nuova coppia! / Voi che guidate il passo al
viandante, / rinvigoriteli indulgenti nel pericolo. / Fate che vedano i frutti della prova, / ma se dovessero
andare alla tomba, / allora premiate l’audace percorso di virtù, / accoglieteli nella vostra dimora!”. Cfr. AA.
VV. Il flauto magico, collana I Libretti, p. 143.

Cfr. D. Huckvale, The occult art of music (2013), Jefferson, North Carolina, McFarland & Company,
111

2013, pp. 30-31.

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“Regina della notte” e raffigurata come una divinità alata con zampe e artigli
d’aquila112 (tav. XII p. 74). 113
Approfondendo quanto in precedenza si è accennato, anche Monostato è un
personaggio fortemente caratterizzato nei suoi tratti più “orientaleggianti”.
Definito nel libretto ein Mohr, un moro, Monostato viene presentato come un
personaggio controverso, senza ombra di dubbio esotico, dai caratteri che molto
ricordano certi personaggi turcheschi di altre opere.114

«Come l’Osmio del Ratto dal serraglio, Monostato è una sorta di carceriere-
guardiano ai cui ordini sottostanno degli schiavi di origine africana. È
tuttavia difficile immaginarlo a guardia di un harem, non solo perché nel
libretto non se ne fa mai menzione, ma soprattutto perché questo mal si
concilierebbe con la severa morale di Sarastro e del suo ordine sacerdotale.
[…]
Monostato presenta fin dalla sua prima comparsa tratti indubbiamente
riprovevoli, spregevoli, tipici di un villain».115

È nella sua aria più nota, “Alles fühlt der Liebe Freuden”, che Mozart ben ne
evidenzia il carattere orientale:

«Si tratta di un’aria veloce, leggera, il cui stile alla turca è reso da Mozart per
sottrazione sonora per esigenze sceniche. Trattandosi di una scena notturna -
Monostato “si avvicina strisciando, lento e sommesso” recita la didascalia - il
compositore evita l’utilizzo di una strumentazione troppo rumorosa, tipica
di questo stile: tacciono ottoni e percussioni, rimane l’ottavino a infondere
un colore esotico alla scena».116

Il Singspiel mozartiano, già dunque solo nel libretto e nella costruzione di


scenografie e personaggi, è pregno di Orientalismo molto più di quanto si
sarebbe indotti a pensare. Orientalismo che, come ben identifica Said e come già
era stato manifesto nel Singspiel del decennio precedente, Il ratto dal serraglio, di
cui il Flauto sotto alcuni aspetti rappresenta il passo successivo, ribalta
l’immagine dell’Oriente nemico dei secoli precedenti collocandovi tutti valori
positivi quali benevolenza, eroismo, nobiltà d’animo.117

112La divinità, spesso raffigurata con un copricapo e con i simboli mesopotamici dell’entità divina
stretti in mano, è stata spesso identificata con la dea Ereshkigal, sorella e rivale di Ishtar e custode
dell’Oltretomba. Cfr. Etichetta giustapposta al Rilievo Burney, Londra, British Museum.

Cfr. https://www.ancient.eu/article/658/the-queen-of-the-night/ e https://en.wikipedia.org/


113

wiki/Burney_Relief.

114Cfr. C. Arbore, M. Maggioli (curatori), Territorialità: concetti, narrazioni, pratiche, in https://


www.academia.edu/35265196/LEgitto_a_Vienna_la_geografia_del_Flauto_magico_di_Mozart, p.
239-240.

115 Ibidem.

116 Ibidem.

117 Cfr. E. Said, op. cit., p. 121.

!70
«Permeato dal senso populista e pluralista della storia propugnato da
Herder e altri, l’uomo settecentesco poteva superare le barriere dottrinali
innalzate tra l’Occidente e l’Islam, e cogliere segreti elementi di affinità tra se
stesso e il mondo orientale. […]
Mozart, che nel Flauto magico (la cui simbologia massonica è frammista a
visioni di un Oriente benevolo), e nel Ratto dal serraglio colloca nel Levante
un’umanità singolarmente magnanima. Molto più della voga corrente della
musica “alla turca”. Fu questa consentaneità a suscitare la simpatia di
Mozart per l’Oriente».118

Il Flauto magico è dunque un’opera la cui unicità consta anche nell’aver saputo
condensare e sintetizzare in un solo spazio di rappresentazione un’interminabile
vastità di elementi:

«[alterna] linguaggi, tradizioni e generi provenienti da territori molto diversi


tra loro, componendo in un quadro unitario e coerente i mille rivoli della
cultura europea del XVIII secolo: lo Zauberstuck o teatro meraviglioso
d’ascendenza barocca e gesuitica, il repertorio fiabesco austro-tedesco,
l’esotismo e le turqueries, il poema epico cavalleresco e il teatro comico
viennese, la fascinazione massonica per i misteri e le ambientazioni egizie,
[…] ecc. Si tratta in estrema sintesi di guardare alle multiformi fonti letterarie
e musicali dell’opera per mettere a fuoco l’implicita geografia culturale di
cui questa si alimenta. Per fare questo dobbiamo però mettere da parte
l’approccio per così dire classico, in cui la cultura coincide con una serie di
insiemi spaziali omogenei e chiusi, dotati di ubicazioni e di proprietà
definite e statiche, secondo il principio per cui ogni cosa ha il suo posto; e
abbracciare un modello di rappresentazione paratattico e reticolare, nel
quale i processi culturali si manifestano a noi attraverso forme e modalità
che di fatto non sono ricavabili sic et simpliciter dalle proprietà metriche dello
spazio né appaiono necessariamente imperniate su relazioni gerarchiche».119

118 Ibidem.

119 Cfr. C. Arbore, M. Maggioli (curatori), op. cit., p. 242.

!71
Appendice iconografica

Tavola I: Giorgione, Tre filosofi (dettaglio), 1506-1508, olio su tela


(123,5x144,5 cm), Vienna, Kunsthistorisches Museum.

!72
Tavola II: Molière, Henri Wetstein, Frontespizio di Le Bourgeois Gentilhomme
(dettaglio), 1688, stampa, collezione privata di S. Whitehead.

!73
Tavola III: Ignaz Alberti, Emanuel Schikaneder nelle vesti di Papageno
(dettaglio), 1791, stampa, frontespizio dell’edizione originale del
libretto del Flauto magico.

!74
Tavola IV: Joseph e Peter Schaffer, Die Zauberflöte, Atto II, Scena 18, 1793,
incisione su rame colorato, Vienna, Internationale Stiftung
Mozarteum.

!75
Tavola V: Joseph e Peter Schaffer, Die Zauberflöte, Atto II, Scena 25, 1793,
incisione su rame colorato, Vienna, Internationale Stiftung
Mozarteum.

!76
Tavola VI: Allan Ramsay, A portrait of Rousseau wearing an Armenian
costume, 1766, olio su tela, Edimburgo, National Galleries of Scotland.

!77
Tavola VII: Joseph e Peter Schaffer, Die Zauberflöte, Atto I, 1793, incisione su
rame colorato, Vienna, Internationale Stiftung Mozarteum.

!78
Tavola VIII: Jean Baptiste Vanmour, Soldato Giannizzero, 1700 - 1737, olio su
tela, Amsterdam, Rijksmuseum.

!79
Tavola IX: Joseph e Peter Schaffer, Die Zauberflöte, Atto II, Scena 1, 1793,
incisione su rame colorato, Vienna, Internationale Stiftung
Mozarteum.

!80
Tavola X: Ignaz Alberti, Controfrontespizio, 1791, stampa, edizione originale
del libretto del Flauto magico.

!81
Tavola XI: Anonimo, Immagine tratta da Sethos, historie, ou Vie tirée des
monuments, anecdotes de l’ancienne Égypte, tradite d’un manuscrit grec,
1731.

!82
Tavola XII: Anonimo, Burney Relief, XIX - XVIII secolo a.C., altorilievo in
terracotta (49,5x37x4,8 cm), Londra, British Museum.


!83
Conclusione
Non vi è alcuna conclusione particolarmente significativa da trarre al termine di
questo lavoro, sorto con la sola intenzione di offrire una panoramica dell’ampia
gamma di influenze in cui l’Orientalismo si è manifestato nella musica colta
europea del Settecento e di come in essa, grazie soprattutto all’opera di W. A.
Mozart, è venuto delineandosi ed evolvendosi.

Il proposito futuro è, partendo dal presente testo, quello di approfondire in


un’eventuale lavoro di tesi magistrale ulteriori aspetti della relazione tra musica
colta e Oriente.

In primo luogo, si intenderà analizzare l’evoluzione del rapporto con l’esotico


nelle correnti estetiche della musica colta dei secoli successivi a quello qui preso
in esame: Romanticismo e Scuole Nazionali, Tardo-romanticismo e Novecento
storico, Novecento e Contemporaneità.

Secondariamente la volontà è quella di prendere in esame l’evoluzione della


musica in ambiente orientale, prima e dopo le influenze che su di essa
l’Orientalismo stesso ha esercitato.

Infine, una parte dell’analisi sarà dedicata alla ricezione della musica colta
europea nel Mondo arabo contemporaneo e alle reciproche influenze che i due
universi musicali continuano a esercitare uno sull’altro, anche in relazione allo
sviluppo dell’etnomusicologia moderna.

Si conclude dunque il presente lavoro con la speranza di aver esaustivamente


posto in luce la ricchezza culturale sorta dall’incontro tra due mondi
all’apparenza tanto lontani, nella cui conciliazione in parte risiede l’origine di
prodotti universalmente riconosciuti modello di Cultura ed esempio di Bellezza.

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Risorse

Volumi:

AA. VV., La nuova enciclopedia della musica Garzanti, 1994.

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