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Pedagogia generale 2021/2022

Educare= imparare a stare in relazione in situazioni di diverso tipo.


La pedagogia studia dal punto di vista scientifico gli aspetti dell’educazione. Cerca di porre interrogativi
laddove i dubbi non emergono nell’esperienza educativa corrente.
L’educazione è un fenomeno in continuo cambiamento, in quanto cambiano le condizioni sociali e culturali
alle quali l’educazione deve far fronte.

L’educazione si è articolata in tre aspetti fondamentali:


- educare (nutrire, alimentare, far crescere): l’educatore è il ‘protagonista’, che compie l’azione
fondamentale;
- educare (tratte fuori, condurre, allevare): l’educatore è presente, ma il protagonista è l’educando;
l’educatore deve far emergere le potenzialità dell’educando, conducendoli verso qualcosa;
- edocere (istruire, insegnare, ammaestrare): non si ha a che fare con la trasmissione passiva; il significato
di ‘ammaestrare’ indica la necessità di dare un indirizzo preciso ed indiscutibile a chi viene educato.

Se io nutro, allora non ammaestro: sono presenti delle antinomie che caratterizzano l’educazione (non è
lineare e quindi i suoi significati cambiano nel tempo). Un secolo fa l’educazione era concepita in modo più
gerarchico di oggi, facendo spesso ricorso alla violenza (fisica e psicologica).
La scuola insegnava ed insegna a stare in un contesto sociale diverso dalla propria famiglia, con degli
educatori diversi dai propri parenti, incontrando degli estranei.
I bambini non vogliono andare a scuola poiché i maestri si pongono come dei surrogati delle figure educative
che conosce. La scuola è il luogo dove siamo obbligati a frequentare altre persone, giocando le proprie
capacità e limiti.

L’oggetto della pedagogia generale sono:


- l’educazione, appresa dalla famiglia: è il luogo dove si apprende per imitazione e per azione educativa dei
genitori un modo di essere, un modo di guardare il mondo, attribuendo significato e valore alle cose.
L’esperienza educativa di colloca all’interno di un contesto culturale, influenzato dal tempo e dalla società
pin cui si vive. L’educazione nel mondo ha tradizioni millenarie molto diverse dalle nostre, per cui è
importante sottolineare l’influenza del contesto storico-sociale e culturale in cui si nasce. Ciò non si
comprende finché non si inizia a frequentare contesti socio-culturali diversi dal proprio. (Si suddivide in
familiare e sociale);
- l’istruzione riguarda i saperi, le conoscenze e le competenze che sono insegnate a scuola, ma riguarda
anche la scuola come istituzione: infatti in Italia si parla di sistema di istruzione. (Si suddivide in
dimensione istituzionale, educativa e didattica). La scuola è concepita così in funzione di un certo fine,
anche politico: tutti diventiamo detentori di un potere insito nel sapere. Nel secolo scorso, la scuola era
piena di propaganda politica: si nei singoli insegnamenti (bambine>faccende domestiche; bambini> forza
e fisicità), sia nei libri di testo elementari. In tempi di dittatura, la scuola fungeva da strumento di

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indottrinamento sociale. La scuola oggi punta ad offrire una pluralità di indirizzi. L’insegnante ha un
mandato istituzionale, ma non è un esecutore: non trasmette; il suo compito non è trasmissivo, in quanto la
trasmissione riflette prevalentemente una concezione passiva dell’apprendimento; è una concezione
subalterna dell’allievo. L’educazione non è un’erogazione del sapere, in quanto gli studenti non sono dei
vasi vuoti da riempire (metafora presente nel,a pedagogia medievale: l’educatore come c’era da plasmare).
L’educando non è un ricettore passivo: può scegliere durante il processo di insegnamento, in base alle
proprie attitudini ed interessi. Si punta a costruire una relazione educativa tra=insegnante e studente take
da far emergere le capacità dello studente.
- la formazione allude alla professionalizzazione (impariamo qualcosa per un fine preciso); in ambito
pedagogico ci si occupa della formazione della personalità individuale, cioè l’indirizzo che diamo alla
mostra intera esistenza. La formazione è fatta di esperienze e del significato che ciascuno di noi attribuisce
alle esperienze che fa. È fatta di scelte, di esperienze che subiamo e che ci portano ad essere che
scegliamo di essere.
Questi sono i tre concetti fondamentali della pedagogia.
La pedagogia studia come avviene il processo di formazione della personalità individuale:
- dimensione sociale( reazioni intersoggettive, ambientali, istituzionali > familiari, insegnanti, coetanei)
- dimensione culturale (relazione con saperi e conoscenze)
- dimensione estetica (creazione e sviluppo dei gusti personali, autorappresentazione e rappresentazione
della realtà > l’immagine di noi stessi che vogliamo costruire)
- dimensione interiore (sviluppo della consapevolezza individuale, progettualità, storie di vita > personale)
Tuti questi aspetti contribuiscono a fare di noi quello che noi siamo. Anche i mercati azionari e gli
intellettuali influenzano la nostra vita; sono presenti poi maschere sociali, che dobbiamo simulare, la
divisione e lotta tra dimensione razionale ed emotiva/sentimentale; la dimensione relazionale più intima
(amicizie, relazioni amorose), la dimensione relazionale pubblica (social); gli eventi sociali e la solitudine
(dove si rielabora quanto vissuto). Tutti questi aspetti influenzano la nostra personalità. Il mercato azionario
influenza le nostre disponibilità economiche e quindi le esperienze che ogni individuo può fare/vivere. Noi
siamo fatti di relazioni ed influenze che non subiamo passivamente, ma a cui diamo una direzione, una
progettualità personale.

Immaginario della scuola (secondaria): è costituito da insegnanti (positivi e negativi) ed alunni


(compagni>amicizie), voti, fatica (inutile), nerd (secchione), noia (studente svogliato), futuro, intelligenza
(>sexy).
[‘Charlie don’t surf’ opera di Cattelan: rappresenta la scuola come qualcosa di imposto, dogmatico e violento
(ha le mani inchiodate al banco)].
vs
[Sheldon: nerd sociopatico, ultimamente non è visto più come uno ‘sfigato’, ma come qualcuno che
comunque riesce a trovare la sua strada; non viene più discriminato ma normalizzato]
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Nell’immaginario collettivo, la scuola o è qualcosa di opprimente, o è qualcosa di esaltante.
L’educatore non deve porsi come un modello, ma deve offrire degli strumenti (i più importanti, selezionati
appositamente per il singolo allievo) affinché gli allievi possano scegliere in base alle proprie vocazioni. Un
educatore che si pone come modello è pericolosissimo: l’educando così facendo punta ad assomigliargli il
più possibile, ma così facendo non saprà mai chi è e chi vuole diventare.
L’insegnante è una figura culturalmente complessa, studiata da figura umanistiche extrapedagogiche ed è
una figura che cambia a seconda del contesto storico-sociale. È istituzionalmente complessa per coniugare
formazione e insegnamento.

La pedagogia generale è quella che racchiude tutti gli studi specialistici che hanno per oggetto l’educazione,
l’istruzione o la formazione.
Quando parliamo di pedagogia generale, parliamo di qualcosa che si è specificato con l’aggettivo generale a
partire dall’ultimo ventennio del ‘90; prima esisteva la pedagogia. La pedagogia esiste fin dalla cultura
greca: nell’Antica Grecia fino alla fine del ‘90l la pedagogia non era considerata una scienza, era una branca
della filosofia. Il suo oggetto era l’educazione.
Dalla fine dell’800-inizio ‘90, c’è stato un periodo di intontissimo dibattito culturale, le cui radici erano
presenti già nel ‘700: si è cercato di creare uno statuto della pedagogia, specificando i ruoli delle diverse
discipline pedagogiche. Ciò ha riguardato tutte le scienze, comprese quelle umanistiche e sociale. C’è stato
un intenso dibattito culturale sulla necessità che i saperi diventassero delle scienze. Questo dibattito è stato
molto vivace in Europa.
Ci sono degli aspetti che sono rimasti immutati dalla cultura greca, mentre altri sono mutati nel corso della
storia. Essi costituiscono un sedimento storico-culturale. L’idea di educazione che abbiamo oggi non viene
dal rifiuto delle idee di educazione precedenti: sono possibili solo perché ci sono state quelle precedenti.
Nell’Antica Grecia la Paideia era il sapere sull’uomo, che si articolava in una dimensione ideale ed in una
dimensione pratica. C’era un ideale di uomo per avvicinarsi al quale erano necessarie delle prassi educative.
Questo binomio teoria-prassi è un binomio che non è mai stato accantonato in tutta la storia della cultura
europea. Ci sono state epoche in cui si è dato più rilievo a uno dei due aspetti, poiché il tempo e la storia lo
richiedevano (è un continuo bilanciarsi: laddove si manifesta una predilezione per l’ideale, nel periodo
precedente o successivo ci si è sbilanciati sull’aspetto metodologico-prassi). La pedagogia è sempre stata
suddivisa tra dimensione teorica è prassica. Il binomio teoria-prassi è un binomio costituivo: nessuna
concezione dell’educazione può fare a meno completamente dell’uno o dell’altro; teoria e prassi
costituiscono l’educazione sempre, è un binomio costitutivo.

Per Socrate l’educazione nasceva e si sviluppava concretamente attraverso il dialogo tra allievo e maestro,
che svolge la maieutica (tira fuori le risposte dall’allievo). Il maestro viene interrogato dall’allievo e non
risponde mai, ma avvicina l’allievo alla risposta ponendogli delle domande a cui è in grado di rispondere: è
come se Socrate girasse intorno al problema avvicinandosi come in una spirale sempre di più al centro.
Questo lavoro di avvicinamento Socrate lo compie in maniera indiretta, servendosi dell’allievo e quindi
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contemporaneamente Socrate fa vedere all’allievo che lui è in grado di dare la risposta. Qui è implicita
un’altra caratteristica costituiva dell’educazione: la relazione educativa; non c’è educazione senza una
partecipazione di entrambi (educatore ed educando), solo così si ha come esito il processo educativo.
In qualche modo una forma di impronta i contesti educativi formali ed informali la danno sempre,
un’impronta che non sappiamo qualificare o descrivere in quanto implicita: non sappiamo classificare la
qualità ed il tipo di segno che lascia.
La differenza la fa l’intenzionalità: non basta la volontà, l’intenzionalità è costituita dalla volontà e
consapevolezza in quello che concretamente è praticamente si sta facendo; è presente un autogoverno del
processo di educazione. Si è presenti in un processo di relazione educativa, quando si educa
intenzionalmente, strutturando quindi la propria attività ed orizzonte progettuale in maniera intenzionale.
La relazione educativa deve essere reciproca: nessuno può riuscire a educare qualcuno, se quale qualcuno
non vuole essere educato. L’educatore agisce intenzionalmente e l’educando partecipa al processo educativo.
Il dialogo socratico è un modello educativo continuamente evocando nel corso della storia, anche tutt’oggi.Il
dialogo socratico si serve dell’ironia e dell’aporia, una riflessione nella quale ci sono due posizioni
contrapposte ed inconciliabili entrambe valide.
Socrate con i suoi allievi spinge il ragionamento anche su questioni complesse è difficili, anche irrisolvibili.
L’utilizzo della dialettica, fondamentale, (il modello più in voga al giorno d’oggi è il dibattito, molto
utilizzato nelle scuole secondarie con un grande successo)consiste nell’avere una posizione differente
dall’interlocutore, sapendo argomentare la propria posizione e convinzione, avere una capacità persuasiva
sull’altro (argomentare bene). Per argomentare bene non si deve avere solo una buona parlantina: quando si
argomenta in maniera persuasiva non tanto si hanno dati più evidenti a supporto della propria posizione, noi
stessi troviamo le ragioni a supporto della nostra argomentazione. Gran parte delle nostre convinzioni
vengono ereditate, acquisite dal mostro ambiente di appartenenza (famiglia, persone che conosciamo,…):
assumiamo le posizioni che ci sembrano simili e coerenti alla nostra personalità, senza porci questioni
incalzanti su ciò. Sacrate insegna all’allievo a non essere banale, a trarre lui stesso le proprie ragioni, talvolta
mettendo in difficoltà lo stesso Socrate nell’argomentazione.
L’ironia è una pratica molto importante (non è la comicità o il sarcasmo): è un’arte importante, è una lettura
tra le righe, che dice ciò che non dice, è un’attimo di tensione molto forte tra i due interlocutori. È l’esercizio
della parola che dice più cose contemporaneamente. È una soddisfazione comprendere e rispondere all’ironia
dell’altro, in quanto si avverte la complicità profonda, che non ha bisogno di parole per essere descritta.
Dal punto di vista metodologico, questa era l’educazione per Socrate. C’è un prevalere nell’educazione
praticata da Socrate, dell’importanza etica: l’educazione è una questione etica.
Con Platone le cose si completano e formalizzano: l’educazione di Socrate si contrapponeva al modello
educativo greco dei sofisti.
I sofisti erano i tecnici dell’educazione, il sofista era il maestro di professione, il pedagogo, cioè l’educatore
di professione, assoldato dalla famiglia benestante per l’educazione della prole. Si trattava di un bravo
pedagogo soprattutto quando insegnava l’arte retorica, cioè l’arte di persuadere l’altro: non era l’arte di
dibattere (la dialettica), ma l’arte di imbellettare il discorso. Si tratta di due modelli educativi contrapposti.
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Per Socrate l’educatore non deve ricevere denaro: non è un tecnico o professionista dell’arte retorica: deve
guadagnarsi sul campo il suo ruolo educativo e per educare davvero egli deve essere libero da qualunque
condizionamento (essere pagati da qualcuno significa esser vincolati da qualcuno, cioè ricevere un mandato
per educare in un certo modo, a qualcosa: è un vincolo, una dipendenza), per Socrate l’educazione deve
ambire alla libertà. Per i sofisti educare è talmente importante, è un’arte destinata alle classi dirigenti, che
devono condurre gli altri, ed è così importante da dover essere retribuita.
I modelli contrapposti sono un modello vocazionale (vocazione a educare) e l’educazione dei sofisti come
professione, come sapere tecnico. Questi due modelli si sono alternati frequentemente nel corso della storia,
senza trovare un punto di sintesi, neanche nei metodi.
Con Platone il processo di lotta intellettuale contro i sofisti si completa: porta avanti l’opera del maestro
Socrate, aggiungendo la dimensione politica dell’educazione (elemento importantissimo); educazione è stato
sono, nella repubblica di Platone, essenziali insieme e l’una non può stare senza l’altra. L’educazione serve a
garantire l’esistenza dello stato. Uno Stato senza educazione è morente. L’arco di pratiche che Platone
individua vede la comparsa della corporeità (elemento imprescindibile per l’educazione): dal guerriero al
medico, dalla ginnastica alla scienza medica, Platone mostra come la corporeità sia parte integrante
dell’educazione. Emerge con particolare intensità testimoniata dai testi con Platone. La legge è lo stato,
l’educazione e lo stato, il governo dello stato attraverso il sapere (tipicamente la medicina) e la difesa (i
soldati guerrieri). Era una dimensione conservatrice dello status quo. Da allora in poi non si educano più solo
le è,nei, ma anche i corpi: ciascun educando è anche un corpo.
I due aspetti sono sempre stati visti come complementari.
Con Aristotele si ha una visione dell’educazione come sapere enciclopedico, un intreccio di saperi. Per lui
l’unico aspetto dell’essere umano che merita di essere educato è la capacità l’logica cioè la capacità di sapere
e ragionare; vanno quindi insegnate solo le arti nobili.

Nella società latina invece emerge il concetto di umanitas: regna l’arte oratoria, che non ha l’eccezione
negativa odierna, cioè le capacità di testimoniare ed argomentare, che devono essere piacevoli per l’intelletto
e nell’esercizio della parola, nello stile. Nella cultura latina abbiamo l:incidenza di forma e sostanza.
L’eloquenza non è il contenitore bello di ogni argomento, ma la bellezza fa l’arte integrante della razionalità;
è il ragionare stesso ad essere bello. Nella cultura latina l’educazione non perde la sua caratteristica etica: è la
pratica etica dell’arte oratoria e dell’eloquenza, che sono delle virtù. L’umanitas è caratterizzata da una certa
tradizione culturale. La conservazione della tradizione dei propri sapere e conoscenze identitarie è
salvaguardata dall’educazione, per questo i territori e popoli che vengono riuniti solo l’egida dell’impero
romano conservano le proprie tradizioni, in quanto è una virtù (è una caratteristica propria dell’imperialismo
romano, del mos maiorum).

Nel Medioevo nuovi paradigmi educativi si impongono, quello della caritas (benevolenza) e della pietas
(rispetto), con l’aggiunta che vita mirale e religiosa coincidono: la virtù è l’adesione alla vita religiosa, ai
dettati ed al dogma Cristiano. L’educazione diventa meno un fatto sociale è molto più un fatto personale,
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interiore. Ciascun uomo, dopo essere stato guidato alla pratica religiosa da un maestro religioso, gioca la
propria pratica educativa in interiore homine, cioè con Dio (riferimento alle “Confessiones” di Agostino). Il
modello ideale è Dio: l’uomo è a immagine e somiglianza di Dio, ma essendo egli perfetto, l’uomo non potrà
mai raggiungere tale perfezione, ma dovrà tenderei per tutta la vita, in quanto l’uomo può perfezionarsi,
avvicinandosi a quell’ideale irraggiungibile. Per farlo caritas e pietas sono due paradigmi fondamentali. Il
modello è decisamente teologico. Viene meno la dimensione sociale; la dimensione delle prassi è ridotta alla
lettura dei testi sacri, che ha solo l’interpretazione ufficiale religiosa del maestro, che da dei precetti
(l’educazione è precettistica). Le uniche classi sociali che ricevevano un’educazione formale erano quelle
elevate.

Per questo motivo nel ‘400 ci si sbilancia dal lato opposto. Si assiste ad una rivolta a questo ideale. Il
modello precedente era tutto spirituale, poco incarnato.
Si ha una riscoperta delle umanaelitterae, per cui il bello, la dimensione estetica, torna ad interessare le
pratiche educative. C’è una nuova esigenza che nasce con la nascita delle città: il governo della città
funziona se c’è scambio tra i cittadini. Dal punto di vista culturale ciò che conta sono la scoperta di nuove
terre, l’idea stessa di avventurarsi e di sfidare le conoscenze scientifiche fino ad allora conquistate (è il
secolo della scoperta dell’Africa e dell’America: è un secolo caratterizzato da rivoluzioni geografiche ed
economiche, che portano al protocapitalismo). La figura emblematica chiave è Leonardo: egli mette insieme
scienza ed arte, lo studio scientifico delle forze naturali, dell’anatomia umana, dello sfruttamento delle
energie (fisica), insieme alla dimensione artistica. I suoi progetti protoingegnieristici erano figli dell’arte,
presente anche nella tecnica nel concepire questi prototipi. Questo è il secolo dell’homo faber: c’è una
tendenza opposta quindi a quella precedente; l’uomo pensa per ottenere qualcosa.

Nel ‘500 prende avvio la pedagogia moderna: diamo alla costituzione degli Stati nazione, alla necessità di
differenziare le classi sociali, anche dal punto di vista delle condotte (aspetto educativo). L’educazione qui è
un’educazione intenzionalmente di rottura con la dimensione ecclesiastica, cioè si laicizza, e poi diventa
l’educazione distintiva delle classi sociali migliori, che si devono distinguere dal popolo anche nei
comportamenti (il cortigiano, il galateo,…): c’è un’estetica del vivere bene. Ed in questo è padrone è sovrano
di se stesso l’individuo: l’educazione è individuale, ciascuno deve quindi educare se stesso. Si tratta del
secolo delle utopie, cioè il pensare, l’immaginare nel dettaglio, mondi non ancora esistenti, strutture sociali
capaci di autoalimentassi ed autorigenerarsi che non sono ancora esistenti (era assente l’accessibilità e
negativa attribuitagli oggi): Campanella e Moro spiegano che si tratta di ciò che non è ancora avvenuto, non
ciò che non può avvenire. È il secolo di uno sguardo in avanti molto ambizioso, la costruzione dei mondi
possibili, ideali sì, ma non impossibili. Quello diventa quindi l’ideale educativo, cioè un altro mondo da
costruire, verso il quale tendere.

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Il ‘600 è un secolo nuovamente caratterizzato dalla presenza religiosa, ma in termini conflittuali (riforma e
controriforma), continuano le scoperte geografiche (Magellano; si giunge in Australia); continua la
distinzione delle classi sociali, con l’aggiunta di una nuova classe sociale, la borghesia commerciale, che
cambierà la società. Lavoro e dovere vanno di pari passo; l’individualismo si accentua molto: il rispetto
corrisponde alla posizione sociale rivestita.
Il dovere ed il merito, il premio sociale costituiscono il raggiungimento della posizione sociale. Scienza ed
economia diventano dei saperi importanti, ma anche sul piano educativo, accompagnato ad un ideale
fortemente individualista, è certificato dal potere e dal denaro: l’importanza della materialità è molto forte.
La caratterizzazione più importante di questo secolo è l’emergere dell’ideale dell’uomo civile, che non solo
sa stare con gli altri, rispettando le regole civili, ma che sa anche far progredire la società. Il progresso
coincide con il potere e con il denaro.
Comenio ha una visione molto innovativa per quel periodo, ma anche stridente in quanto è il primo a
strutturare l’educazione sul piano universale: tutti devono essere educati. Scrive la ‘Didattica Magna’, cioè
l’educazione per tutti, la didattica universale. I primi cambiamenti importanti emergono in un periodo in cui
questo ideale era schiacciato dalle regole dell’economia del tempo.

Il ‘700 è il secolo dell’empirismo inglese e dell’ illuminismo francese: trionfano scienza e tecnica.
Con l’empirismo trionfano i dati di fatto: la scienza è data da fatti concreti opportunamente certificabili. La
cultura deve essere laica, così come l’educazione.
È il secolo in cui Rousseau, oltre ad essere un intellettuale della politica, è anche l’autore dell’ “Emilio”, uno
dei più celebri scritti pedagogici, in cui descrive l’educazione di un fanciullo, di cui è educatore, in cui
prospetta un ritorno alla natura: egli ritiene che l’uomo sia buono per natura, è la società a corromperlo.
L’educatore di Emilio lo isola dalla società, lo educa e gli insegna tutti i saperi che servono, cioè quelli che
suscitano la curiosità di Emilio (egli guarda il mondo è pone delle domande); tutto il resto è superfluo.
Quando Emilio sarà grande e forte abbastanza da resistere ai cedimenti moralmente deprecabili e correttivi
della società, egli sarà pronto per prendere parte alla società. La dinamica della lotta per il potere andava
contro l’agire etico nei confronti degli altri: nella società del tempo vedeva individualismo. Lo Stato per
Rousseau era autoritario: sceglieva al posto dell’uomo chi egli dovesse diventare. Ciò era profondamente
deformante e diseducativo
Nel ‘Contratto Sociale’ si pone l’obiettivo di riorganizzare la società.
Egli era convinto che l’educazione non fosse per tutti.

Nell’ ‘800 ci risposta nella dimensione morale. Emerge la figura di Kant, con l’educazione morale. La
morale con Kant non si costruisce con un ideale, ma con la capacità di giudizio. È un esercizio razionale
dell’uomo. È una rivoluzione senza precedenti nella cultura occidentale.
La morale non è un dogma religioso di nessuna religione: la virtù, il buono ed il bello si conquistano con la
capacità di giudicare, non dal divino. Per Kant l’ideale religioso non esaurisce la morale, data dall’
educazione e dalla capacità di costruire un giudizio, una costruzione individuale.
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Si passa da una concezione estetica, poi individuale, tecnica, ideologica, produttiva, utilitaristica, con le
contrapposizioni dei diversi ideali; essi trovano nell’ ‘800 un secolo in cui si inizia a parlare della formazione
dell’uomo completo, in cui si tiene conto di tutti questi elementi, dove la parola chiave dal punto di vista
educativo è l’armonia. La religione non coincide con la morale: si tratta invece della capacità di costruire un
giudizio individuale.
Per Kant le categorie del ragionamento guidano il pensiero, concentrandosi su come si svolge il
ragionamento, con la conclusione che il suo fine non è l’utile, ma la morale. Il testo chiave di Kant, oltre alla
“Critica del Giudizio” è la “Metafisica dei Costumi”: ciò che facciamo quotidianamente ha uno sfondo
morale. La costruzione morale deve essere libera dal dogmatismo religioso, secondo cui Dio è l’ideale a cui
somigliare il più possibile, compresi gli scritti in cui sono enunciati i riferimenti comportamentali (es. 10
comandamenti). Essi sono frutto di un ideale.
L’intento di Kant nel processo di laicizzazione della cultura è quello secondo cui esiste una dimensione
trascendete e spirituale dell’essere umano che non coincide con la religione. Esiste una morale che guarda a
degli ideali non necessariamente religiosi: esiste un’altra morale possibile, non meno elevata, che non è
correlata al divino.
C’è la dimensione romantica, spirituale, sentimentale, razionale, scientifica: esse vanno formate
nell’armonia, nella bildung, cioè una formazione armonica.
Il giovane Willhelm Meister di cui parla Goëthe viene formato a tutte le dimensioni umane, in quanto
l’uomo è costituito da tutte esse ed ognuna ha pari importanza nella dimensione morale.
La formazione armonica dell’uomo è concepita come un percorso che va dall’infanzia all’età adulta.
I bildungsroman sono i romanzi di formazione, in cui vengono esposti i dubbi del giovane in crescita,
finché non diventa pronto a rivestire il proprio posto nel mondo diventando adulto: costruisce la sua famiglia,
acquisisce una posizione sociale (un mestiere tipicamente); la giovinezza ha un suo compimento, finché non
inizia l’adultità (in cui l’armonia giunge a compimento).
Può esserci anche un finale tragico, in cui il giovane protagonista non riesce a coniugare lo sturm und
drang con le pretese della società e quindi soccombe (si suicida).
I romanzi di formazione non solo raccontano una formazione, ma hanno anche una precisa finalità
pedagogica. Il pubblico a cui sono rivolti è quello dei giovani. Gli autori puntano molto sulla mimesi del
lettore con il protagonista, essi hanno anche un intento dimostrativo: lo scopo pedagogico è costituito dal
mostrare come le vicende potrebbero andare a finire, nel bene e nel male. Questi protagonisti vengono
presentati come modello di giovinezza e riescono a presentare l’ambivalenza di un’età della vita in cui ci
separa dal mondo di provenienza, per creare il proprio mondo soggettivo, con tutte le difficoltà del caso.

Il ‘900 è un secolo molto complesso, ricco di contraddizioni. È un secolo in cui si arriva dall’ ‘800, con un
modello alla ricerca dell’armonia, e si passa a due guerre mondiali. È anche il secolo di grandissimo successo
dal punto di vista scientifico e medico, anche dal punto di vista di scoperte pericolose (es. Einstein e la
scoperta della scissione dell’atomo> bomba atomica).
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Le scoperte impensabili fino a poco prima diventano anche ambigue: iniziano riflessioni sulla bioetica
(clonazione, intelligenza artificiale), che aprono interrogativi enormi sulla parola umano e sul cambiamento
dell’umano (più che evoluzione). Si deve poi scegliere se questo cambiamento per noi umani sia o meno
desiderabile.
Sono questioni che investono direttamente l’educazione, che si fonda sull’idea di essere umano.
Nel ‘900 si interrompe in maniera definitiva, l’idea che possa esserci un modello educativo. Finora abbiamo
visto diversi modelli e principi guida dell’educazione.
L’antichità è l’epoca dell’etica pedagogica, la modernità è il tempo della scienza pedagogica e la
contemporaneità è il tempo della crisi della cultura europea, in cui sono venuti meno i fondamenti e le idee
consolidate nella coscienza culturale europea, tanto da non essere state messe in discussione da secoli; esse
vengono incrinate e rotte nel ‘900.
Si tratta però anche del secolo delle democrazie: nei Paesi occidentali nascono e si consolidano ovunque le
democrazie, caratterizzate dal pluralismo delle idee.
L’idea di bildung non sta quindi più in piedi, perché si moltiplicano i modelli di uomo e di formazione. Ci
sono diverse correnti culturali che producono modelli, tanto che si dice che il ‘900 è anche il secolo degli “-
ismi”: si modifica e frammenta l’idea dell’uomo.

L’idea non è l’ideologia: le ideologie sono prevalentemente quelle politiche; un sistema di pensiero è invece
un sistema di idee. Prima del manufatto, è necessaria un’articolazione di idee: la tecnica non è concreta, così
come l’idea non è astratta. Il marxismo, il socialismo, il fascismo sono tutte ideologie; le correnti di pensiero,
i pensieri filosofici sono tutte idee o sistemi di idee.
L’ideologia è una costruzione di un sistema di idee, che diventa struttura di pensiero e che si irrigidisce in
quella forma lì (il dissenso non è contemplato). È una concatenazione concettuale, tale per la quale se io
contesto un punto, finisco per fare decadere il tutto. La plasticità è assente.
Esse hanno trovato un terreno di cultura nelle masse, rovesciando le classi dirigenti: hanno un terreno in cui
affondare le radici, sono processi lunghi di cui è difficile riconoscere i sintomi. È fondamentale avere una
coscienza storica, che si acquisisce con la conoscenza storica.
L’educazione è sempre in relazione stretta con la dimensione politica e governativa, poiché il sistema di
istruzione ha un grande potere persuasivo.
Educazione e politica non sono però in un rapporto dominante-dominato: l’educazione non è per forza
subalterna alla politica ed accoglie i dettami di una certa idea di sviluppo politico di un Paese, ma c’è anche
la contropartita dialettica. L’educazione è l’unico strumento attraverso il quale si può uscire da una
dimensione di conservatorismo culturale.
L’educazione è contemporaneamente l’elemento che ci insegna a stare nella società con le nostre
caratteristiche singolari senza essere dei disadattati, integrando le peculiarità individuali in una socialità
collettiva, ed in questo l’educazione è conformatrice, in quanto ci rende adatti alla società del nostro tempo;
essa però è anche l’unica vera risorsa che abbiamo a disposizione per produrre cambiamento.

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“I giovani sono il futuro”: è uno scarico di responsabilità, una minaccia ed una visione paternalistica. Dal
punto di vista educativo, di tutto ciò non si sa niente. È vero che le generazioni più giovani costituiranno il
futuro, ma senza minacce e risentimenti: è una cosa da fare, non si sa quali esiti avrà il lavoro educativo. Gli
educatori ed insegnanti ci accompagnano per un certo periodo, ma poi svaniscono.
L’educazione ha come obiettivo l’autonomia sociale (lavoro, mestiere, famiglia o meno), ma anche
un’autonomia etico intellettuale (costruzione e divisione del mondo, non solo individuale ma anche
comunitaria, politica). Educare significa dare gli strumenti per vivere nella società e per cambiarla.
Ecco perché le teorie che affermano che il mondo in cui viviamo sia il migliore dei mondi possibili sono
pericolose: esse producono stasi storica, riproduzione sociale, conservatorismo. In questi casi l’educazione
viene divisa: rimane solo il fine di inserimento e non quello di autonomia.
Nel ‘900 la pedagogia muore, intesa come sapere unico rispetto all’educazione e formazione dell’essere
umano: muore l’idea e la validità di un modello di essere umano, muore l’idea che ci sia un ideale da
perseguire.

Nel ‘900 non si parla più di pedagogia ma di pedagogia generale, che si frammenta in tante scienze
dell’educazione e questa spinta, che riguarda tutte le discipline umanistiche e sociali, viene dall’esigenza
culturale del tempo di saldare i saperi a dati di fatto e non a idee, quindi partiture dai fatti, dotarsi di una
procedura lita di uno statuto, sul modello delle scienze dure, con l’idea che sia possibile parlare di scienze
umanistiche: non si parla più di pedagogia, generica e molto figlia della filosofia (posizione ancillare) ma ora
si autonomizza creando la pedagogia generale.
La pedagogia generale non è onnicomprensiva, ma è un sapere di saperi.
Cambiano poi le sue funzioni: la prima ipotesi è che sia un’introduzione alle scienze dell’educazione. Essa
non è un’introduzione alle scienze, ma si capisce che storicamente non sia stato così poiché essa, pur essendo
indipendente dalla filosofia, contiene uno stile ed articolazione tipici della filosofia.
L’altra posizione concepisce la pedagogia generale come sintesi delle scienze dell’educazione, che però non
rispecchia ciò che effettivamente è, in quanto non è generalità.
La pedagogia generale è dispositivo riflessivo trasversale: attraversa tutte le scienze dell’educazione, le
interroga e quindi la sua natura è indagatrice (oltre che di sintesi).
Ciò lo vediamo meglio nei suoi compiti: di osservazione della realtà sociale, di come avvengono i
cambiamenti sociali, guardando ai concetti di educazione e formazione. Non si tratta di una disciplina statica,
ma dinamica: i suoi stessi compiti cambiano al cambiare delle prospettive socioculturali. Poi ha un compito
generativo, poiché quest’osservazione da come esito il fatto che vengono individuati problemi, questioni
educative, oggetti culturali che la pedagogia generale indaga e pone come problemi alle specifiche scienze
dell’educazione.

Il bullismo è diventato un oggetto di studio dal punto di vista educativo, così come una parte importante di
studi pedagogici è dedicata oggi ai media, alla cultura visuale e alla cultura social.

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Pedagogia generale 2021/2022
Ci sono altri problemi generali che la pedagogia generale genera e pone alle scienze dell’educazione, come la
questione del soggetto: di chi parliamo oggi, se non esiste un modello ideale a cui ispirarsi, una pluralità di
visioni possibili su questo tema.
Si tratta della questione del soggetto: di quel soggetto parliamo oggi?
Poi tratta degli ambienti educativi (pedagogia della famiglia, della scuola, della formazione degli insegnanti,
pedagogia di genere, dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’adultità e della senescenza), tutti ambiti di studio
che si focalizzano su una questione specifica, dando una visione progettuale educativa. L’idea stessa di
famiglia è molto cambiata, a partire dalla composizione delle stesse: c’è una concezione diversa (es. figli di
genitori separati). Se cambia la concezione e l’esperienza della famiglia, cambia la concezione e l’esperienza
dell’educazione della stessa: cambia la genitorialità, ecc.
L’infanzia cambia. L’adolescenza è un’invenzione culturale recentissima (anni ‘40 del ‘900): prima c’erano
la pubertà e la giovinezza (che ora è assente). Da un giorno all’altro si passa dall’adolescenza prolungata
all’adultità.
La pedagogia generale si occupa di come cambiano i concetti istituzionali, i modelli educativi. Tratta di
oggetti culturali specifici, il significato specifico ed i fini dell’educazione radicati alla concezione culturale
(cambiano a seconda dell’area di riferimento).
Per questi motivi la pedagogia generale è un sapere interdisciplinare: ha uno statuto filosofico, con uno
sguardo attento alla sociologia, alla pedagogia e alla psicologia. Per questo si dice che ha una funzione di
raccordo di diversi saperi intorno agli oggetti culturali studiati.
Ha la funzione di essere un sapere critico-regolativo: mette in discussione posizioni diverse con un carattere
progettuale e regolativo (non è una scienza descrittiva, come la sociologia che descrive i fenomeni).
Stanziare un’idea di progettualità regolativa nei singoli ambiti, implica che ci sia una puntuale analisi
dell’ideale, che instaurava una polemica.
La costruzione di strutture ideali non riescono più a stare in piedi, poiché manca una parte. La progettualità si
fonda sempre su un’interpretazione del contingente. Si possono avere opinioni molto distanti, manca però la
dimensione dei fini, un problema grosso, poiché la pedagogia perché la funzione di indirizzo anche con la
politica.

Quali sono gli strumenti della pedagogia generale? Problemi, teorie e modelli.
La pedagogia generale pone dei problemi, che emergono dalla realtà, dai contesti e devono essere interpretati
e regolati, in maniera critica: devono essere descritti attraverso una serie di strumenti, le teorie, intese come
gli apporti che le diverse discipline e approcci scientifici offrono.

L’infanzia ha avuto i fari accesi come oggetto culturale nel corso del ‘900, svincolata dalla precedente idea
di adultità (bambini come uomini in potenza, idea che si rifletteva anche nel modo di vestire).
Il significato storico e simbolico del giocattolo e di come esso abbia sempre compreso la funzione di
strumento ludico ma anche educativo (i giochi ed i giocattoli non sono la stesa cosa), essi veicolavano
un’idea di come bisogni essere e di come bisogni comportarsi. Ora le grandi industrie dei giocattoli
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sviluppano giochi più neutri dal punto di vista del genere (es. la bimba che gioca con la bambola impara che
il suo ruolo di femmina è quello di riprodursi; crescendo quell’idea è difficile da scalfire in quanto l’idea
diventa un desiderio; i bambini invece crescono con l’idea di virilità).
Il ‘900 è il secolo dell’infanzia in quanto si iniziano a studiare questi fenomeni (antropologia, pedagogia,
psicologia), ma soprattutto è il secolo in cui si inizia a studiare dal punto si vista psicologico lo sviluppo
cognitivo dell’essere umano.

Per tutto un lungo secolo abbiamo ritenuto che l’essere umano si sviluppasse per stadi cognitivi (così come
esistono quelli biologici).
Gli stadi cognitivi, della mente, iniziano ad essere studiati nel ‘900: Jean Piaget ha diviso in fasi lo sviluppo
psicologico, per cui ha stabilito delle tendenziali fasce d’età unendole a capacità cognitive del bambino. Ciò
è importante poiché queste teorie dell’infanzia (insieme a Freud ed Erikson) testimoniano la tendenza di
circoscrivere la fase di sviluppo dalla fase di stasi ed ordinare lo sviluppo in diversi stadi o fasi dello
sviluppo.
Queste teorie erano anche molto diverse: Piaget e Freud erano in contrasto, Piaget considerava lo sviluppo
psicologico come indipendente dall’ambiente circostante ed emotivo; il suo sviluppo era cognitivo, la
capacita di svolgere operazioni mentali sempre più complesse. Secondo lui i concetti astratti erano riservate a
dopo i sette anni, quando ciò accade ben prima: quando il bambino prende dimestichezza con il mondo,
inizia a fare domande incredibili, come quelle sulla morte (perché accade, cos’è). L’adulto cerca si dare una
risposta con un senso logico, ma il bambino sta chiedendo un’astrazione, alla quale spesso l’adulto non sa
rispondere, in quanto la domanda è molto impegnativa.
Dal confronto tra teorie nasce un modello pedagogico: c’è l’intenzionalità pedagogica che le altre teorie non
hanno.
Nel fare questo non si creano dei modelli ideali, ma c’è una pluralità di modelli, in quanto c’è una pluralità di
prospettive possibili: essa è una garanzia di libertà.
Gli stadi non sono rigidi, ma molto mutevoli: sono presenti elementi di criticità nel modello.

L’importante per un educatore è essere autorevole, ma cosa vuol dire autorevole? Chi rende l’educatore
autorevole? Lo è per definizione o per ruolo sociale?
Non c’è educazione se non dentro la scissione tra autorità e libertà. L’intenzionalità rimane nascosta, così
come la responsabilità: c’è un’abitudine antropologico-culturale (le tradizioni sono comportamenti che si
sono sedimentati e che sono diventati fondamentali).

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Pedagogia generale 2021/2022
I paradigmi guida della pedagogia contemporanea
Sono diverse le teorie di cui la pedagogia generale si serve per comprendere i problemi in tutti i contesti
educativi contemporanei.
In particolare si sono imposte nel dibattito culturale contemporaneo, come approcci paradigmatici, tre teorie:
della complessità;
della differenza;
dell’ecologia.
Non sono teorie monolitiche, ovvero non c’è un solo autore di riferimento, ma sono approcci che
considerano come nucleo centrale appunto la complessità, la differenza e l’ecologia.

Complessità
Quando parliamo di “complessità” ci rivolgiamo ad un insieme di teorie che fondano il loro ragionamento su
un dato imprescindibile, ovvero la necessità di non ridurre la problematicità del tempo in cui viviamo ma di
assumerla così come essa emerge dal dato di relatà. Solo l’analisi dei fenomeni complessi consente di
comprendere in maniera appropriata e di intervenire. Sul piano epistemologico abbiamo la teoria di Edgar
Morin come riferimento. Morin ha strutturato il suo pensiero nella “teoria della complessità” che non isola la
conquista pedagogica delle altre. Quindi i problemi correllati a tutto un insieme di altri fattori che
costituiscono l’esperienza individuale e collettiva del nostro tempo. Quindi la pedagogia, in questo caso, non
è isolata ma è interdipendente alle altre scienze.
Parliamo di:
 Complessità del sapere, che non deve essere ridotto ad elementi parziali perché porterebbe ad una
riduzione della comprensione;
 Complessità della mente, che non è solo un fenomeno biologico, ma è anche un fenomeno che
interessa la psicanalisi e che è in relazione con l’ambiente e con i saperi di cui può usufruire.
 Complessità della soggettività/personalità. Nessuno di noi ha una personalità trasparente, semplice,
univoca e costante nel corso della vita. Le nostre soggettività sono frutto di un intreccio con
situazioni di vita, esperienze, saperi che rendono lo studio di essa spiegato dal paradigma della
soggettività.

Differenze
In questo tipo di approccio, si può considerare anche la psicoanalisi freudiani nata quando è affiorata l’idea
che l’Io non sia la parte esteriore della nostra personalità, né la parte razionale del nostro pensare, ma che sia
costituito da tre parti: l’Io, l’Es(crea equilibrio), il Super Io.
All’interno dell’Io, noi vediamo una stratificazione che fa delle nostre personalità, una realtà complessa
caratterizzata da differenze.
Si hanno poi anche differenze intersoggettive. Qui vi è il tema dell’alterità nel confronto con l’Io, con la
soggettività, e la percezione dell’alterità. Quest’ultima è fondamentale per il riconoscimento di sé e la sua

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differenziazione dall’Io ci consente di riconoscere noi stessi. Senza l’altro, non riusciamo a circoscrivere la
nostra identità soggettiva.
Si parla anche di differenze di genere. Oggi non si parla più di un riferimento al sistema binario di
eterosessualità maschile e femminile, ma si parla di identità di genere più complessi.
Un altro tema in cui il paradigma della differenza è centrale è quello dell’ “interculturalità”. Si parla di
differenze antropologiche-culturali, di tradizioni culturali, dialogo tra culture diverse.

Ecologia
Un altro paradigma guida è quello dell’ecologia.
Dal punto di vista più ampio si pensa all’ambiente e a quindi alla natura. Si parla anche di influenze pesanti e
decisive nei cambiamenti ambientali che hanno a che fare con un intervento artificiali, costituito da scelte sul
piano micro e macro-economiche.
Il paradigma dell’ecologia si struttura anche sulle scienze che lavorano per trovare un equilibrio tra uomo e
sistema ambientale.
Nelle scienze umanistiche, quindi ci riferiamo alle modalità delle relazioni tra soggetti e mondo, e tra
soggetti. Riguarda i modi in cui noi viviamo la socializzazione e quindi anche i modi in cui noi utilizziamo le
tecnologie e i media.
Questi tre paradigmi sono quelli fondamentali, non sono gli unici. Sono paradigmi che dialogano tra di loro,
sono interconnessi, anche se hanno teorie di riferimento differenti che spostano il baricentro su aspetti
diversi.
Edgar Morin: la sua idea è di rappresentare la complessità come un tessuto, che sono trame di fili. Il
complexus è formato da fili differenti che acquisiscono senso perché sono messi in relazioni tra di loro, i fili
sono eterogenei ma sono anche associati tra di loro. La teoria della complessità tiene insieme la molteplicità
e il singolo. Parliamo quindi di interdisciplinarità. La personalità individuale è un tessuto la cui trama è
costituita da diversi elementi che cuciti insieme formano l’io individuale. Allo stesso modo la complessità è
un insieme di fatti, determinazioni che costituiscono il nostro mondo fenomenico.
La conoscenza per Morin è lo strumento con cui noi mettiamo ordine tra i diversi elementi che costituiscono
la trama senza disperderli. Noi passiamo da una condizione di disordine e di ambiguità, ad il modo con cui la
trama è stata tessuta. Per Morin si tratta di distinguere senza disgiungere, cioè vedere i diversi aspetti del
complexus senza ridurre l’attenzione a qualcuno di questi aspetti ma vedere le loro differenze. Tutti i saperi
sono in dialogo tra di loro per vedere in maniera più chiara il complexus.

Sistema formativo integrato


 Educazione formale, che ha corso nelle istituzioni educative. È quella scolastica;
 Educazione non-formale, che si svolge in contesti non istituzionalmente deputati all’apprendimento,
che non esplicano intenzionalmente la loro vocazione educativa, ma che eppure sono agenzie

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educative formative in cui c’è un’ intenzione di partecipazione del soggetto informazione. C’è
l’intenzione di educarsi. È esplicita la scelta di partecipare a quello specifico contesto. Un esempio di
educazione non-formale sono le esperienze Erasmus. È connotata da un apprendimento partecipato;
 Educazione informale, che può essere anche inconsapevole. Nel rapporto con i media, per esempio,
non c’è nessuna intenzione di accedere alle informazioni per educarsi ma eppure esiste una forte
carica educativa che il fruitore riceve dai media. Un altro esempio è dato dagli spazi, dagli arredi,
dagli oggetti che ci circondano. Noi riceviamo visioni sul nostro status sociale. ( Pasolini scrisse
pagine per dimostrare quanto sia forte il potere delle cose per formare e deformare il nostro sguardo
sul mondo. Si ritrovano in “lettere luterane”).
Questi contesti educativi sono diversi ma ogni individuo li vive tutti e tre nella stessa giornata.
Queste tre educazioni non sono separate tra di loro: l’adolescente va a scuola (ed.formale); mentre torna a
casa ascolta la sua playlist preferita (ed.informale); nel pomeriggio fa altre attività (ed. non-formale).
In tutto l’arco della giornata l’adolescente educato secondo forme diverse, che sono più o meno consapevoli,
ma che costituiscono un “sistema formativo integrato”, ovvero un sistema che prende in considerazione
come qualunque forma di esperienza forma e condiziona le vite.
La forma di intrattenimento costituisce anche una base fondamentale ed è con questa che io vado a scuola e
partecipo ad un contesto formale.
L’intensità maggiore la dà il contesto di educazione formale nel quale noi trascorriamo la maggior parte della
nostra vita. Molta intenzione viene anche dedicata ai contesti informali e non-formali.

Che cos’è la pedagogia generale


La pedagogia è un sapere di saperi, una disciplina fortemente aperta al dialogo con le scienze d’educazione.
La pedagogia generale deve porre interrogativi e fungere da raccordo di tutte le scienze dell’educazione, in
questo senso si può dire che è un sapere che si alimenta di se stesso e del rapporto con altre discipline vicine.
È un sapere complesso, che tiene in conto posizioni diverse su uno stesso tema. Tuttavia essa è una scienza
autonoma, una scienza a se in quanto non ha rapporti di dipendenza con altre scienze.

Caratteristiche
L’antidogmatismo è una caratteristica fondamentale: la pedagogia generale non è un sapere prescrittivo, non
da informazioni circostanziate. Nel senso comune spesso si chiede alla pedagogia ed ai pedagogisti un
decalogo di azioni da compiere (es. come tenere l’attenzione degli studenti, come insegnare, ecc), ma la
pedagogia generale non è una scienza che da indicazioni dogmatiche. È l’idea stessa dell’educazione che non
può essere dogmatica. La pedagogia è un processo storico culturale, che vede l’idea di educazione cambiare
in continuazione. Essa non può essere dogmatica, in quanto non è dogmatica l’idea di educazione. Le
educazioni puntuali sono i corrispettivi della risposta a un problema: la pedagogia è una scienza umanistica e
non scientifica, pertanto non può esserci una risposta univoca, quando si parla di esseri umani (anche dal

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punto di vista biologico e medico: non si tratta di scienze esatte, ma di scienze che si migliorano sempre). Si
deve tenere conto di più variabili e la soluzione la può trovare solo l’insegnante in questione. La pedagogia
da degli indirizzi, delle piste di analisi e delle risorse per i diversi ambiti specifici, ma non da risposte certe. I
singoli hanno la capacità di formarsi per proprio conto compiendo delle scelte, per cui qualsiasi indicazione
puntuale non può essere adatta. L’educatore deve consentire a tutti di partecipare alla vita sociale e di
emanciparsi. Se la pedagogia desse delle educazioni dogmatiche, la parte della dimensione educativa
dell’emancipazione verrebbe meno. Si deve tenere aperta ma dimensione formativa educativa, tenendo conto
della complessità del tempo in cui viviamo e la problematicità (una qualità dell’educazione e non un limite:
ciò vuol dire far dialogare ed emergere, esplicitare, anche gli aspetti meno comodi dell’educazione (come
l’educazione conformatrice)). Se non si tiene conto della dimensione sociale, si genera un problema dal
punto di vista educativo, creando un individuo egocentrico, che costruisce una propria personalità ed etica
personale, tenendo in minor conto la dimensione partecipativa alla vita sociale. È vero anche che un
potenziale educatore che da il primato alla dimensione sociale e non cura quella individuale, compie un
errore educativo. Educare è problematico in senso positivo, in quanto tiene conto degli opposti, sviluppandoli
tutti. Negli anni ‘60 un educatore propose di eliminare la scuola dalla vita quotidiana, altri proposero pratiche
di liberazione del bambino, seguendo gli interessi del bambino e sviluppando quelli. Il lassismo genera dei
disadattati sociali, in quanto il bambino cresce con la convinzione di essere lui il centro del mondo: ciò
produce deviazioni, incapacità di mediare in un contesto sociale. La problematicità è per questi motivi una
qualità della pedagogia generale. Il linguaggio della pedagogia generale è critico, filosofico ed ha un suo
vocabolario specialistico (educazione diverso da istruzione). La riflessività è essenziale per la pedagogia
generale: non ci si accontenta degli strumenti operativi che si hanno già a disposizione, ma li si interroga
continuamente rispetto alla progettualità ed all’attualità del tempo presente. Uno dei motivi per cui la
pedagogia generale ha un ruolo centrale è che ha una dimensione prospettica: se la si toglie si rischia di
ripetere sempre gli stessi errori, di generare stasi. La pedagogia generale sottolinea la necessità di guardare in
prospettiva: se un metodo funziona bene oggi, non è detto che ciò valga anche per il futuro, anzi spesso non
sono adatti. Ci si deve sempre chiedere se l’educando che viene fuori da questa pratica è un cittadino
desiderabile o no. La pedagogia generale deve impedire possibili stagnazioni dell’educazione. La pedagogia
generale non ha perso del tutto la matrice filosofica: ora sono autonome, tuttavia la modalità con la quale la
pedagogia generale di argomenta, rimane di matrice filosofica.
Non ci si accontenta come studioso di pedagogia delle teorie pedagogiche che ho già a disposizione ma li
interrogo costantemente, interrogo la loro capacità di essere efficaci rispetto alla problematicità del tempo
presente.
(le scienze educativo hanno un approccio più descrittivo che riflessivo. Manca una visione prospettica. Se
viene meno essa, si genera il rischio di ripetere sempre gli stessi errori)
La pedagogia generale è riflessiva perchè non consente possibili stagnazioni dell’educazione.
La pedagogia generale non ha perso del tutto la sua matrice filosofica, anche se oggi è autonoma da essa. La
modalità con la quale la pedagogia generale si argomenta come scienza rimane filosofica.
Far dialogare e far emergere anche gli aspetti meno comodi dell’educazione.
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Se io educo la soggettività e non tengo conto della dimensione sociale, genero dal punto di vista educativo un
problema. Creo un individuo egocentrico, auto centrato, che costituisce la propria personalità non tenendo
conto della dimensione partecipativa.
È vero anche che l’educatore che dà più importanza alla dimensione sociale, compie un errore educativo.
(negli anni 60 sono emerse pedagogie per l’infanzia che promuovevano un’idea di educazione diversa
rispetto al passato. La descolarizzazione, per esempio, ovvero eliminare la scuola dalla vita quotidiana.
Nel momento in cui l’infanzia è diventata un oggetto di studio, si sono diffuse pratiche di “liberazione del
bambino”, ovvero si lasciava fare quello che volevano e l’educatrice doveva seguire questi desideri. Questa
pratica crea dei disagiati sociali perché il bambino pensa che sia il centro, che i suoi desideri devono essere
soddisfatti. Questo produce devianze, incapacità poi di mediare in un contesto sociale. Ecco perché la
problematicità è un aspetto fondamentale).
Il linguaggio della pedagogia generale è critico/culturale; filosofico; specialistico.
Formazione e soggetto postmoderno
Il soggetto post moderno ha a che fare con la crisi della cultura tradizionale europea. Questa crisi ha messo in
discussione i paradigmi di riferimento che fino ad allora erano arrivati a noi. Uno di questi paradigmi
prevedeva una concezione del singolo come di “un tutto organico”, composto da vari aspetti (dimensione
biologica, culturale…). Sul finire del 900, però, secondo il paradigma di riferimento del “postmoderno”, si
sostiene che questa concezione dell’uomo è risultata fallimentare e colpevole perché quello che si verifica è
che ogni soggettività è multipla, frammentaria. Ogni Io non è un Io armonico, e quindi ogni personalità ha il
suo interno molteplici declinazioni (dal punto di vista letterario, il primo che ha visto questa cosa è
Pirandello che ha inteso la soggettività come “una molteplicità di maschere” che noi indossiamo a seconda
delle situazioni).
(Goffman parla del mondo come “rappresentazione sociale”, cioè come una meta realtà già elaborata. Noi ci
adattiamo alle diverse situazioni impersonando una soggettività particolarmente funzionale a quella
situazione specifica. L’idea di fondo che è anche se c’è un Io essenziale, questo è inconoscibile per l’uomo).
“Chi sono io?” non ha una risposta univoca.
(La moltiplicazione dell’Io l’ha iniziata Freud che afferma che ci sia una parte sommersa, invisibile, di cui
non sappiamo da che cosa sia composta. Questa parte è l’inconscio. La nostra mente razionale è una piccola
parte, la punta dell’iceberg. Freud è stato criticato perché ha fatto traballare delle certezze sulla possibilità di
autogoverno, autocontrollo)
La molteplicità identitaria è oggi considerata qualcosa di fatto; è strano considerare oggi la soggettività come
un’unità completa.
Dal punto di vista formativo, però, sebbene questa sia la condizione di elaborazione culturale della
soggettività, rimane nei soggetti, non per motivi storici,un’ esigenza di unità. Ogni soggetto ha bisogno di
trovare una continuità nella sua vita, di potersi riconoscere a distanza di tempo, di avere caratteristiche
proprie, uniche e individuali. È un’ esigenza sana, dà un ancoraggio al proprio processo di formazione.

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Le implicazioni pedagogiche sono l’idea dell’educazione come processo di conformazione sociale, il cui
protagonista è l’adulto-educatore; educazione come processo di scoperta di sé e dei processi di
soggettivazione/assoggettamento.

Formazione:
 è un percorso di vita interno; è il percorso di vita che fa del soggetto quello che egli è (Nietzche);
 è la vita interiore. Noi non abbiamo tempo per essa, ma solo per l’azione. L’uomo è ridotto ad essere
un “uomo del fare” mentre l’esigenza di conoscersi viene sottratta dall’accelerazione temporale.
(quello che manca oggi al bambino è il tempo della “noia”, il tempo della creatività e della
rielaborazione. Per uscire da essa, il bambino attiva la fantasia per trovare qualcosa da fare. Se noi
sottraiamo al bambino o all’adulto un tempo di rielaborazione, si sottrae spazio alla conoscenza di sé
e dei propri limiti. Nell’800 c’era proprio uno spazio dedicato a questo tempo,come anche il Grand
Tour, un rituale di formazione dei giovani borghesi. Questo rituale era il tempo del viaggio,e quindi
si era lontano dall’abitudine, dell’inatteso e della contemplazione. Era un viaggio solitario, che
durava qualche mese, in cui ognuno rimaneva con se stesso, con la propria capacità di adattarsi a più
contesti perché si visitava tutta l’Italia. Si tornava a casa con una grande conoscenza di sé).
(l’educatore ci aiuta ad accedere a mondi ,che per ambienti socioculturali, non siamo propensi a frequentare)
 è un processo che tiene insieme interiorità e socialità, che le fa dialogare e che vede gli intrecci che
ci sono tra le due. Il processo di formazione diventa esplicito in un momento della nostra vita.
Lentamente incomincia il processo di autonomia dell’individuo da tutti quei vincoli che nella parte
iniziale della vita hanno caratterizzato la nostra vita. Dall’adolescenza inizia questo momento di
distacco da forme di dipendenza e di autoformazione.
(Il 21esimo secolo è considerato il secolo dell’educazione. L’elemento di continuità della formazione per
tutta la vita ha assunto un rilievo superiore rispetto al passato. Oggi si è tornati al termine “formazione” con
un accezione più ampia che vede coincidere questo termine con l’esistenza.
In questo senso si è recuperata l’accezione del 700 del termine e legata al termine “bildung”)
Noi abbiamo la capacità di distanziarci da quello che siamo e di guardare alla nostra vita con una distanza
riflessiva che ci consente di fare i conti con quello che siamo, che siamo diventati e che vorremmo diventare.
In sintesi la formazione è una costante tensione tra coscienza individuale e oggettività culturale.
Rapporto con l’educazione
Per educazione intendiamo “inculturazione”, la pratica spontanea con la quale assorbiamo degli
atteggiamenti, convinzioni dall’ambiente in cui cresciamo. Acquisiamo in maniera inconsapevole,
naturalmente; intendiamo “apprendimento” che è un’inculturazione strutturata. Noi apprendiamo da

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determinati saperi, determinati concetti; è fondamentale dal punto di vista della “socializzazione”. È
importante, per esempio, che i bambini siano messi presto in contesti sociali al di fuori della famiglia. Noi
impariamo a conoscerci grazie al rapporto con l’altro, tanto più quanto è vasto il nostro mondo di
riferimento. La socializzazione è un elemento fondamentale che in realtà solo la scuola può dare in maniera
appropriata.
L’educazione quindi è alla base della formazione e tra le due c’è un rapporto di continuità. La formazione,
inizialmente, è veicolata dall’educazione. La formazione costituisce però anche il nostro carattere,
personalità.
(la convinzione secondo cui noi abbiamo un certo carattere per aspetti del DNA, sembra essere una falsità.
La maggioranza delle attitudine, dei tratti del carattere, noi li acquisiamo per cultura e non per natura. Noi
apprendiamo indirettamente per imitazione, differenziazione, determinati gesti. Strappati dal nostro ambiente
di riferimento, noi acquisiremo tratti diversi. Più si va avanti con l’età però si sedimentano)
Dal punto di vista del polo della formazione, che si nutre dell’educazione ma che non si esaurisce in esse,
possiamo dire che è un superamento e rielaborazione dell’educazione che noi riceviamo.
In questo c’è discontinuità perché man mano che noi costruiamo la nostra personalità riusciamo a vedere
quali sono i segni che ci hanno caratterizzati. Questo è un passaggio importante, che richiede molto tempo.
(la memoria non è statica. Noi non ricordiamo mai l’evento esattamente come è accaduto perché tra noi e
l’evento c’è una mediazione e noi ricordiamo un fatto. Se un fatto non è rilevante, non lo ricordiamo
neanche. Questo è indice della mediazione del nostro vissuto di quel fatto. La nostra memoria, quindi, è
formata in realtà, non da una rassegna di fatti accaduti, ma da una serie di eventi rilevanti soggettivamente a
cui noi abbiamo attribuito un certo significato. È questo significato che cambia ed è per questo che la
memoria cambia)
Uno degli aspetti per cui la formazione crea discontinuità è perché nel corso del tempo noi diamo pesi diversi
a tempi diversi. Il processo di formazione è quindi instabile ma questa caratteristica è la sua forza perché
vuol dire che è in atto un attenzione specifica sul proprio percorso di crescita, vuol dire che noi consideriamo
spesso sul nostro percorso. Esercitiamo un monitoraggio riflessivo su quello che stiamo vivendo. Per fare ciò
è necessario maturità e una presa di coscienza di quanto sia importante autodeterminarsi.
Formazione ed educazione non sono sinonimo ma hanno un rapporto stretto: se noi non siamo educati, non
possiamo formarci.
Uno dei primi studi sulla pedagogia speciale, dedicata ai deficit, è stato fatto da un medico rispetto alla
scoperta, in una foresta della Francia, del “bambino dell’Ayveron” che non si sa come è cresciuto in cattività,
in un contesto completamente improprio per quello che noi consideriamo essere la civiltà. Quando lo hanno
trovato, nessuno sapeva niente, neanche quanti anni avesse. Questo bambino venne preso in custodia dal
medico che fece una sperimentazione educativa: lo porta nel contesto civile e gli insegna a stare nella civiltà
e quindi a sedersi a tavola, a mangiare con le posate, e soprattutto ad imparare a comunicare. Questo
ragazzino fa dei progressi ma quando arriva alla possibilità di continuare il suo percorso di civilizzazione, il
medico gli chiede di scegliere che cosa preferisce. Il ragazzo risponde di voler ritornare nella foresta.
Questo episodio è importante per diverse ragioni:
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1. il radicamento in quello che noi chiamiamo “casa”, è cosi forte nell’infanzia che difficilmente riesce
ad essere scalfito. La ripetizione della quotidianità è quello che ci fa sentire a casa;
2. il trattamento di civilizzazione, la giustezza del trattamento, sia un giudizio di valore che noi
attribuiamo culturalmente alle cose (il giudizio di valore del bambino era opposto: per lui era meglio
casa che la civiltà);
3. quando l’educazione è concepita come mero addestramento, e quindi perde il suo significato per il
soggetto, (addestramento: esercizio ripetuto per compiere dei gesti e non c’è un significato denso) è
inefficace.
Noi attribuiamo un significato forte anche al vissuto scolastico, familiare, educativo.

L’educazione trasmette e conforma, quindi tende a ripetere un modello di vita.


La formazione coltiva il soggetto, nutre la soggettività.
L’educazione è un processo articolato ma è più sbilanciata nella socializzazione; la formazione è più
sbilanciata sul versante della personalizzazione.

Lo stile saggistico della Pedagogia generale


Le argomentazioni portate dalla pedagogia generale sono di riflessivo-critico-problematico e quindi
filosofico educativo. È un sapere di saperi ma non è un sapere mixato. Interpreta e riporta la discorsività
delle altre scienze sul focus educativo e formativo. Quindi ha un focus tematico che detta anche il suo stile
argomentativo.
Riporta ciò che è utile e significativo le dinamiche educative e formative all’interno della discorsività
pedagogica.
Ci sono diversi approcci che non so autonomi perché si concentrano su un sottotema di educazione-
formazione, alcune volte senza neanche esplicitarlo. Il compito della pedagogia generale è anche di mostrare
la differenza tra gli approcci per mettere al vaglio non solo gli aspetti innovativi e significativi ma anche i
limiti di un approccio singolarmente preso.
Ci sono teorie pedagogiche però che vengono privilegiate.
Si ha una discussione critica aperta sulla problematizzazione e radicalizzazione. Radicalizzare vuol dire
“portare alle estreme conseguenze”. Il compito della pedagogia generale è di costante sorveglianza sulle
possibili derive (es. per alcuni economisti dell’istruzione le soft skills servono a monitorare quelle qualità
che chiamano relative al capitale umano, tutte quelle cose della nostra personalità che contribuiscono al
benessere personale. È stato dimostrato che in condizioni di benessere personale, si produce e si lavora
meglio. Le soft skills misurano qualità del carattere, capacità di lavorare in team o di socializzare, ecc… si
misurano quelle qualità che dal punto di vista pedagogico sono della personalità individuale.
Il modello azienda viene trasportato nel modello istruzione. Non si misura però il valore dell’uomo secondo
il valore del suo mood)

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Pedagogia generale 2021/2022
La pedagogia deve essere una libera costruzione della propria personalità. All’educatore interessa che ci sia
la capacità dell’individuo di far fronte ai sui limiti costitutivi.
La pedagogia generale non offre certezze e soluzioni ma li discute criticamente in modo aperto. Sorveglia le
possibili derive perché ha il compito di stressare una certa concezione dell’educazione.

Costruire la “forza del carattere”


Il “carattere” è un termine ambiguo perché è quello che noi riconosciamo come tratto della nostra personalità
indiscutibile, che dà continuità alla nostra identità, e che è a rischio di staticità.
C’è anche una dimensione di riconoscimento narcisistico: piace avere un’identità distinta, alternativa, non
convenzionale. Tutti pensiamo di essere unici, non conformisti. Questo succede perché c’è una forma di
attaccamento alla propria personalità perché difficile costruire la propria soggettività e quindi rivendichiamo
la nostra unicità. È vero anche che la personalità, nel tempo, muta molto velocemente. Noi abbiamo una
concezione della personalità continua ma in realtà siamo costituiti da un processo di unicità e continuità che
si legano. Cerchiamo di collegarci all’esperienze che stiamo facendo.
Quando parliamo di “carattere”, parliamo di “mettere a fuoco la nostra personalità”.
Il processo di costruzione del carattere, è un processo in cui ognuno di noi fa i conti con i propri limiti
(Camus).
Il percorso di formazione si compie attraverso le scelte, anche attraverso alle scelte che noi non facciamo. Il
carattere è coscienza di sé, significa essere “testimoni” di sé; noi siamo responsabili delle scelte che facciamo
e nel contesto sociale. Tutti i nostri comportamenti hanno delle conseguenze sociali. La nostra responsabilità
fa parte della nostra soggettività.
Questo è il secolo della formazione perché l’intreccio tra dimensione interiore e sociale si è allentato. È
necessario è riallacciare i fili tra dimensione interiore e dimensione pubblica. Allora ci sono una serie di
attenzioni educative come la “cura sui”, la capacità dialogica, l’ascolto, la comprensione e l’apprendimento.
(l’errore diventa formativo quando noi lo smontiamo).
Nell’età della giovinezza si manifesta l’esigenza di governo di sé: cioè sia conoscenza personale che cura
della propria identità, sia di orientamento dei propri stili esistenziali, relazionali.
Lavorare sulla “cura sui” è quello che si intende quando si dice “darsi forma”. È un lavoro soggettivo su se
stessi . Questo esercizio dura per tutta la vita e si fa nel momento dell’ autoformazione. Ha un ruolo motlo
importante anche la dimensione etica-individuale.
Il tempo della giovinezza è il tempo della scelta autonoma e della responsabilità; anche il tempo della visione
etica di sé e del mondo.

Svolta scientifica
In passato la pedagogia era un campo scientifico del sapere, inglobato nella filosofia. In realtà succedeva a
tutte le scienze perché la filosofia è l’amore per il sapere.

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Mentre in età moderna, le scienze dure si sono progressivamente staccate dalla filosofia perché c’è stata
un’automatizzazione dalla filosofia, però per le scienze umane questo processo è avvenuto nella
contemporaneità.
Si è trovata una formalizzazione delle diverse scienze che hanno individuato un loro statuto; mentre per la
pedagogia questo ha trovato il suo culmine nel “dibattito epistemologico”, cioè negli anni 70 del 900.
Diagramma di Visalberghi
Visalberghi è stato un pedagogista che ha partecipato attivamente al dibattito epistemologico.
Era un grande sostenitore della pluralizzazione delle scienze dell’educazione. Riteneva che non fosse più
possibile parlare di pedagogia in senso generale e che essa dovesse specializzarsi.
Nel suo immaginario le parti erano 4, erano i grandi ambiti delle diverse scienze dell’educazione (già
esistevano ma avevano isogno di essere formalizzate):
1. settore psicologico, nel quale rientravano la psicologia sociale, generale, dell’età evolutiva,
dell’apprendimento, differenziale (proviene dalle “classi differenziali”, per chi aveva deficit, i BES.
Questa denominazione arcaica fa capire che dal diagramma ad oggi molte cose sono cambiate;
2. settore sociologico nel quale rientrano la sociologia dei piccoli gruppi, generale, dell’educazione e
scolastica; politica dell’educazione; sociale e culturale; della conoscenza.
3. settore metodologico didattico in cui c’è la psicometria (branca della statistica); docimologia (la
scienza che studia la valutazione e quindi i processi di valutazione, le sue forme, sui diversi
contenuti e sulle diverse difficoltà. Tutta la programmazione didattica dovrebbe dipendere dal
risultato valutativo che si vuole raggiungere);pedagogia speciale; metodologia didattiche; tecnologie
educative; informatica e teoria dei sistema; logica.
4. Settore dei contenuti in cui troviamo storia dell’educazione, della materia di insegnamento; teoria del
curricolo (scienza quasi sparita che studiava la strutturazione dei curricula scolastici e come cambia
l’approccio nel corso del tempo); epistemologia generale; epistemologia genetica (nasce da Piaget).
In questo diagramma manca la pedagogia perché secondo Visalberghi è un sapere preliminare, necessario
alle scienze dell’educazione. Concepiva la pedagogia, quindi, come un introduzione.
Da Visalberghi a noi le cose sono cambiate. Prima la pedagogia veniva considerata un insegnamento
marginale. Le scienze dell’educazione si sono moltiplicate e ci sono stati cambiamenti all’interno dei settori
(l’antropologia si è automatizzata dall’ambito sociologico; le psicologie hanno rivendicato uno spazio
proprio; il settore metodologico si è sviluppato molto).
Le scienze dell’educazione hanno per oggetto l’educazione. Non tutte però sono saperi pedagogici ma sono
anche saperi extra-pedagogici.
La sociologia dell’educazione ha per oggetto l’educazione ma è di ambito sociologico. Stessa cosa, tra i
saperi extra-pedagogici troviamo, oggi, per la sociologia dell’organizzazione, della scuola; la psicologia
dell’infanzia, dinamica (evoluzione dello sviluppo pedagogico); dello sviluppo; dell’apprendimento (studia
meccanismo psicologico con il quale noi apprendiamo); antropologia culturale dell’educazione; economia
dell’istruzione; statistica; neuroscienze; ecologia: ecc…

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Mentre i saperi pedagogici sono la storia della pedagogia; la pedagogia generale; didattica; pedagogia
speciale; sperimentale; tecnologia dell’istruzione; docimologia; ecc…
La pedagogia generale ha una funzione:
 generativa
 regolativa
Questo per quello che è successo nell’800: l’imperativo è stato quello della specializzazione dei saperi. Il
mandato istituzionali dei sistemi di istruzione delle società occidentali è diventato quello di offrire non più
quello che era la cultura generale, ma di specializzarsi il prima possibile. Da qui la moltiplicazione degli
indirizzi della scuola secondaria.
Il processo di specializzazione dei saperi ha avuto origine negli Stati Uniti durante la Guerra Fredda quando
le due grandi potenze si affrontavano, non più sul piano bellico e neanche sul piano delle influenze
territoriali, sul piano della crescita economica. Gli Stati Uniti, avendo una struttura molto forte in difesa
della democrazia; L’unione Sovietica aveva una politica più scura da questo punto di vista.
Nel clima della Guerra Fredda, i russi lanciano per primi lo Sputnik nello spazio e quindi esibiscono una
potenza dal punto di vista della ricerca, cosa la quale gli Stati Uniti erano quasi completamente impreparati
perché il suo sistema educativo era improntato alla costruzione e al consolidamento della democrazia. Questo
significava che la scuola doveva formare la consapevolezza della cittadinanza democratica fin da bambini.
Era questo il mandato della scuola per l’influenza delle forti componenti multietniche della società per cui
era difficile creare un’identità nazionale.
I russi erano invece impegnati a coltivare le eccellenze. I russi ottimizzavano l’apprendimento: individuano
le attitudini personali e sviluppavano in particolari quelle.
Avviene un superamento grazie a Bruner che assume a pretesto scienze dell’educazione empiriche, che
misurano lo sviluppo cognitivo nelle sue diverse fasi, e cambia nella sua prospettiva lo scopo dell’istituzione
scolastica che ha come scopo quello di ottimizzare l’apprendimento, di moltiplicare le attività di studio, di
favorire l’accesso a ciascuna disciplina, di sviluppare poi meglio le proprie capacità cognitiva (aspetto che in
Dewey si perdeva). La scuola, quindi, si occupa di accelerare i processi di apprendimento individuali.
Questo comporta una specializzazione degli studi man mano che l’allievo cresce.
L’approccio di Bruner si chiama “Cognitivismo”: il cognitivo prende il sopravvento su tutto, anche
sull’ideale politico.
(nel secondo dopoguerra, in Italia, abbiamo sia il modello di Dewey che quello di Bruner. Nel frattempo si
studia anche Piaget. C’è un grande dibattito che tende verso la dimostrazione empirica del fatto: “più fatti
meno valori”. Le scienze dell’educazione vengono quindi anche fuori dall’esigenza di un controllo empirico.
Il nostro modello scolastico è figlio della svolta cognitivista)
Lo specialismo è una deriva perché tutte le scienze dell’educazione, attente al proprio campo di ricerca e
gelose del proprio specialismo, si parlano poco o non si parlano proprio. Manca una disciplina di raccordo.

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Il pedagogista generalista è colui che tiene conto di più aspetti insieme e li fa dialogare. Nel fare questo, la
pedagogia generale, assume i risultati delle scienze ma non lo fa in maniera passiva. Quindi la pedagogia
generale è critica nei confronti approcci che considera fuorvianti.
La pedagogia generale tutela il problema educativo da parziali risposte.

Gli ambiti pedagogici sono quattro:


pedagogia generale e sociale
storia della pedagogia
didattica e pedagogia speciale
pedagogia sperimentale

didattica
Studia le pratiche di insegnamento (obiettivi, metodi, strumenti) e la loro organizzazione.
Lavora sull’efficacia e sull’efficienza dei metodi (didattica per biettivi, didattica e progettazione per
competenze)…

Pedagogia sperimentale e Metodologie e Tecnologie dell’istruzione


Studia i tempi, procedure, metodi, strumenti dell’azione didattica.
Lavora sulla sperimentazione dell’efficacia e dell’efficienza dell’attività didattica in specifici contetsi di
apprendimento.
Le parole chiave sono: tecnologie, sperimentazione, ricerca-azione, ricerca empirica, certificazione delle
competenze.

Docimologia
Studia i sistemi di valutazione dell’apprendimento, ….

Pedagogia speciale
Studia i Bisogni Educativi Speciali.
In questo campo rientrano le disabilità ma anche le forme di disagio nel senso più ampio. Il disagio crea uno
sbilanciamento, uno svantaggio.
Nel campo della disabilità siamo più vicini ad un campo medico.
Lavora sul deficit per ridurre lo svantaggio e rendere l’individuo più autonomo possibile sul proprio progetto
di vita.
Le parole chiave sono: inclusione, Piano Educativo Indivuale, Piano Educativo Didattico, Certificazione,
Diagnosi Funzionale, Ricerca-Azione.

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Pedagogia dell’infanzia
Video: centrato sulla corporeità dei bambini
La gestione del tempo è la prima cosa su cui si può intervenire e concepire spazi in cui si interrompe la
necessità di fare qualcosa. Per fare quest ail genitore deve capire che lo spazio di noia sia uno spazio da
tutelare.
Nel video si parlava anche di “rimozione”, ovvero i genitori non si rendono conto di questa situazione e non
se ne danno una colpa. C’è una rimozione culturale e personale rispetto al ruolo del genitore.
Molto spesso c’è un meccanismo estremo di proiezione di sè sul figlio. C’è rancore verso la vita mancata
propria di adulto. Se questi rimpianti vengono proiettati verso una persona che ha diritto ad una propria vita.
Si considera il proprio figlio come un possesso.
Il punto cruciale di questo video è l’adultizzazione del bambino. Si è arrivati ad un livello di benessere e di
aperture di possibilità così ampia è quello che viene fuori dalla conversazione tra maestra e bambino.
Nonostante questo benessere siamo regraditi in epoche lontane in cui esistono ancora principini, damine,
piccolo contadine.
Esiste un consume infantile ma il mercato esiste, non perchè sia cattivo, ma perchè c’è la domanda.
È vero che le responsabilità degli adulti sono molto più important ma è anche vero che è venuta meno la
capacità degli adulti di prendere le distanze dai desideri, dalla volontà di prendere parte alla vita dei figli.
Abbiamo disimparato a guardare i bambini come tali; a vedere quail esigenze ha.
Questo atteggimento consumistico non è diverso da quello che succede in altri luoghi dove vengono sfruttati
i corpi dei bambini.
L’infanzia deve essere a misura dell’infanzia. Dal 900 in poi abbiamo capito che i bambini non sono angeli,
non sono innocenti. Il fatto è che il bambino non porta la responsabilità diretta di ciò che è e ciò che diventa.
Questa responsabilità è dell’adulto ma questo non significa sostituirsi al bambino. Significa tutelare la sua
possibilità di esprimersi nel miglior modo possibile.
La responsabilità è di tutela e garanza dello sviluppo libero del bambino.
Bisogna anche accrescere il livello di immaginazione del bambino.

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