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TEMA 1 - INTRODUZIONE

Non è semplice dare una definizione di multilinguismo, perché ci sono diversi termini per riferirsi
alla stessa cosa. Ad esempio, possiamo riferirci al multilinguismo come alla “capacità di un
individuo o di un gruppo etnico di usare alternativamente, e senza difficoltà, lingue diverse”;
possiamo anche parlare di plurilinguismo, ovvero “situazione di una comunità o di un territorio in
cui, per la posizione di confine […], si ha un uso di diversi registri linguistici”; oppure si può
parlare anche di bilinguismo, cioè “la capacità che ha un individuo, o un gruppo etnico, di usare
alternativamente e senza difficoltà due diverse lingue”. Ai fini del nostro corso, però,
multilinguismo = bilinguismo e la persona multilingue/bilingue è quella persona che è in grado di
usare attivamente più di una lingua.
Una definizione unitaria è tuttavia impossibile, per una serie di motivi:
• Cosa è una lingua? Il dialetto è una lingua?
• Che livello di conoscenza deve avere?
• Che tipo di competenza? Fonologica, grammaticale?
• Deve essere una competenza simili in entrambe le lingue?
• Quanto vengono utilizzate le lingue che conosce una persona bilingue?
• Dove sono utilizzate le lingue?
• Ecc.
Tutte queste domande fanno ben capire come una definizione unitaria sia difficile da dare; quello
che possiamo fare è soltanto essere consapevoli di questa variabilità.
Uno dei fattori importanti, però, è sicuramente quello dell’età di acquisizione linguistica (età in cui
si comincia ad essere esposti ad una lingua). Vi sono infatti diversi tipi di bilinguismo:
1. Bilinguismo simultaneo (bilingui precoci).
Termine per riferirsi a quelle persone che sono sposte a entrambe le lingue dalla nascita. Ma
anche si usa per quelle persone che acquisiscono la loro seconda lingua entro i primi 2-3
anni di vita.
2. Bilinguismo successivo (bilingue tardivi).
Persone sposte alla seconda lingua dopo che hanno acquistato la loro prima lingua. Ci
possono essere differenze se questo avviene prima o dopo il *periodo critico associato
all’apprendimento di una lingua
*PERIODO CRITICO
È stato proposto per la prima volta da Lenneberg (1967), il quale sosteneva un’ipotesi estrema,
ovvero che al momento della nascita gli emisferi cerebrali destro e sinistro fossero equipotenziali.
Secondo la sua teoria, entrambi gli emisferi potrebbero assumere il ruolo dell'altro e che la
lateralizzazione avviene come risultato della maturazione.
Tuttavia, l’idea più importante dell’ipotesi del periodo critico, comunque, è che la capacità di
acquisire il linguaggio, come qualsiasi altra capacità cognitiva, diminuisce con l’aumentare dell’età.
In particolare, è stato teorizzato che eventi biologici legati allo sviluppo del linguaggio possono
verificarsi solo in un precoce periodo critico. Ad es., la specializzazione emisferica negli uccelli per
controllare il canto (vocalizzazione) avviene durante il periodo critico, cioè nei primi giorni di vita;
negando l’esposizione al canto di altri esemplari, gli uccelli non acquisiscono bene la capacità di
cantare. Questo è rilevante per noi perché determinati eventi linguistici devono accadere al bambino
durante questo periodo affinché lo sviluppo (acquisizione) proceda dentro della norma.
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Nel caso del bilinguismo: si presuppone che perché il livello in una seconda lingua sia simile a
quello della lingua nativa i bambini devono essere esposti prima dell’adolescenza; altri autori
propongono prima dei 7 anni.
Questa è l’idea generale, ma bisogna tenere in considerazione anche altri elementi, perché non
possiamo dire che questo periodo critico sia rilevante per tutte le competenze linguistiche. Infatti, è
necessario tenere presenti che ci sono diversi aspetti dell’apprendimento linguistico e che questi
hanno avere diversi periodi critici. Questo è così perché diverse conoscenze linguistiche sono
sopportate da diverse strutture cerebrali che hanno diversi tempi di maturazione/plasticità. Ad
esempio:
- percezione auditiva: fondamentale per l’acquisizione del sistema fonologico; corso
temporale precoce (primi mesi/anni di vita);
- controllo cognitivo (aree prefrontale) fondamentale per imparare le regole grammaticale;
maturazione neurale di queste strutture cerebrali è più tardiva.
Quella di “bilingue” è una definizione impossibile per vari motivi:
• Competenza: Bilanciata – Sbilanciata
• Attrito linguistico – language attrition
Oblio o logoramento di una lingua per l’utilizzo di un’altra lingua. Normalmente fa
riferimento alla perdita delle competenze in L1 come conseguenza di una immersione in
contesto linguistico diverso (L2). Gli studi fanno riferimento quasi sempre ad adulti; ma non
solo.
• Frequenza di uso
– Additiva: le lingue si usano normalmente
– Sottrattiva: la nuova lingua imparata (L2) sostituisce la lingua nativa (L1); ad es.
immigranti
• Diverse motivazioni per imparare una lingua
• Tipo di apprendimento, scolastico, interattivo-sociale, ….
• Similitudine tra le lingue che conosce una persona multilingue (fonologica, grammaticale,
…)
• Differenze individuali
• Modalità linguistica
o Bilingui unimodale, persone che parlano lingue della stessa modalità. Ad esempio,
Italiano e Spagnolo
o Bilingui bimodali, persone che parlano due lingue di diversa modalità. Ad esempio,
Italiano e la Lingua dei Segni Italiana (LIS)
→ i due diversi tipi di bilinguismo implicano delle diversità a livello di processi cognitivi; la
cosa più importante è che un bilingue unimodale può usare solo una lingua alla volta, mentre
un bilingue bimodale è in grado di usarne due contemporaneamente (bocca e mani).
Rappresentazione neurale di più lingue
L’evidenza empirica raccolta fino adesso suggerisce che:
- le due lingue sono attive in parallelo
- le rappresentazioni e processi linguistici sono condivisi tra le lingue
- il grado di sovrapposizione neurale tra le due lingue dipende principalmente dalla
competenza nella L2 e dall'età di inizio dell'acquisizione della L2

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- alcune delle aree cerebrali coinvolte nel controllo del linguaggio sono reclutate in modo
differenziato durante l'uso della L1 rispetto a quello della L2 → questo è attribuito al
maggiore sforzo associato all'elaborazione della L2 piuttosto che a differenze nella
rappresentazione effettiva delle due lingue
Conclusione: queste evidenze suggeriscono che, nei bilingui, i circuiti neurali che "ospitano" le loro
due lingue sono simili.
Nonostante tutte queste difficoltà, due autori, Green & Abutatebi (2003), hanno cercato di andare
verso una definizione operativa di Bilinguismo / Multilinguismo. Gli autori sostengono che ci sono
diversi contesti interattivi:
1. Single-language context
Due contesti monolingui separati. In un contesto si parla una lingua ed in un altro contesto
separato si parla un’altra lingua.
2. Dual-language context
Contesto bilingue. Si usano lingue diverse con persone diverse ma nello stesso contesto. Si
passa da una lingua all’altra durante una conversazione, ma con parlanti diversi e mai
all’interno della stessa frase.
3. Dense code-switching context
Contesto mescolato, con frequenti cambi di codice. I parlanti mescolano le parole di due
lingue in una stessa frase, adattando le parole di una lingua al contesto dell’altra:
• Allora, esta noche cocinas tu o faccio io? • He olvidado las keys de casa

TEMA 2 - ACQUISIZIONE LINGUISTICA NEI BAMBINI BILINGUI


Il punto di partenza è costituito dal concetto per cui i bambini bilingui devono fare “qualcosa in
più” rispetto ai bambini monolingui. Per quanto riguarda l’acquisizione, infatti, vi sono:
- differenze quantitative:
i bambini devono apprendere due codici linguistici invece di uno solo (due sistemi fonologici,
due lessici, due sistemi grammaticali, ecc.). Inoltre, presumibilmente, l’apprendimento di
entrambi i codici linguistici deve essere raggiunto nel contesto di una ridotta esposizione a
ciascuna delle due lingue (poiché non c’è motivo di presumere che i genitori bilingui parlino di
più ai loro figli rispetto ai genitori monolingui).
- differenze qualitative:
i bambini bilingui devono essere in grado di percepire l’esistenza di più di un “tipo di parlato”
e, quindi di analizzare adeguatamente le informazioni corrispondenti a ciascun tipo di segnale
linguistico che ascoltano (cioè devono essere in grado di capire che ci sono due diverse
etichette linguistiche – ad esempio it. tavolo e sp. messa che fanno riferimento allo stesso
oggetto/concetto).
Ciononostante, l’acquisizione linguistica dei bambini bilingui sembra andare di pari passo a quella
dei bambini monolingui.
Per parlare di acquisizione linguistica dei bambini bilingui noi ci focalizzeremo su alcuni aspetti;
1. Discriminazione linguistica: processi cognitivi che permettono al bambino di discriminare un
codice linguistico da un altro
2. Acquisizione sistema fonologico: modalità in cui si acquisiscono i contrasti fonologici dei due
sistemi
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3. Acquisizione lessicale: modalità di acquisizione delle diverse etichette dei due sistemi
Per studiare queste cose sui neonati sono state utilizzate delle procedure sperimentali:
HEAD-TURN PREFERENCE: il bambino è seduto sulle ginocchia di un genitore. Davanti al bambino
c’è una luce verde, dietro alla quale c’è lo sperimentatore. Si accende la luce verde e a volte insieme
ad essa compare uno stimolo (foto pupazzo) per attirare l’attenzione del bambino. A questo
momento la luce si spegne e lo stimolo scompare. A questo punto si accende una luce laterale che
lampeggia insieme ad un suono, per cui il bambino gira la testa. La variabile è rappresentata dal
tempo che il bambino mantiene l’attenzione sullo stimolo uditivo. Si possono fare esperimenti in
rispetto alla tipologia di suono (per quanto tempo ha guardato verso il suono “va” rispetto al suono
“ba” ad esempio).
HIGH AMPLITUDE SUCKING PROCEDURE (HAS): Ciuccio attaccato ad un meccanismo che permette di
verificare quante volte il neonato succhia, per quanto tempo e con quanta forza (ampiezza). Si
divide in diverse fasi. Un altro aspetto interessante di questo paradigma è la preferenza: si
confrontano le diverse reazione in base al tipo di suono (L1 vs L2).
1. DISCRIMINAZIONE LINGUISTICA
I bambini sono sensibili alla regolarità del segnale del discorso; essi sono delle macchine statistiche
in grado di captare regole fonotattiche, informazioni tonali e le informazioni accentuali. Inoltre,
esiste evidenza di una certa predisposizione a processare il linguaggio parlato nel cervello del
neonato.
Esperimento - Sound and silence: An optical topography study of language recognition at birth
Esperimento fatto a Trieste con neonati di 4-5 giorni raccontando una storia e usando l’optical
topography (si misura in che parte del cervello si richiede più ossigeno durante un determinato
compito, per cui sappiamo che quella parte del cervello è rilevante per quel compito). La storia
veniva raccontata in due modi: forward e backward. Quando si ascolta il backward, tutta la prosodia
del parlato viene persa e non suona più come un linguaggio. Si osserva che, nella condizione
backward e silenzio non ci sono grandi differenze in entrambi gli emisferi, mentre con il forward
speech vediamo una maggiore attivazione degli elettrodi nell’emisfero sinistro.
Ovvero, le aree temporali dell’emisfero sinistro mostrano un’attivazione significativamente
maggiore quando i bambini sono esposti a un linguaggio normale “forward” che a un discorso
all’indietro “backward” o al silenzio. Si può concludere, quindi, che i neonati nascono con una
superiorità dell’emisfero sinistro per elaborare proprietà scientifiche del linguaggio (infatti i
bambini avevano 1-4 giorni di vita).
Per quanto riguarda i bambini bilingui, però, vediamo che essi non devono discriminare solo tra
linguaggio e non linguaggio (silenzio), perché nella loro competenza ci sono già due lingue diverse.
Quindi come avviene la discriminazione linguistica in questi bambini?
Sappiamo che già dalla nascita, bambini esposti in età prenatale a input monolingue o bilingue sono
in grado di distinguere tra due lingue, a condizione che suonino in maniera diversa. Questo
“suonare diverso” è importante perché ha a che fare con la prosodia.
A questo proposito Ramus, Nespor e Mehler (Cognition, 1999) propongono una classificazione
delle lingue in tre classi ritmiche in base all’alternanza tra vocali e consonanti nel parlato
(parametri: a. percentuale di intervalli vocalici; b. variabilità della durata degli intervalli vocalici; c.
variabilità della durata degli intervalli consonantici). Si distinguono questi gruppi:
- Stress-timed: sillabe complesse CCCVCC (olandese, inglese, …);
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- Syllable-timed: sillabe meno complesse CCVC (francese, italiano, …);
- Nira.timed: sillabe semplici CVN (giapponese, …).
In questo senso, quindi, “lingue diverse” vuol dire “lingue appartenenti a gruppi ritmici diversi tra
questi tre”.
Questo ci aiuta a dire che i neonati monolingui sono sensibili dalla nascita al ritmo della loro L1.
Essi mostrano più “interesse” verso la lingua L1 che verso una lingua di una classe ritmica diversa;
discriminano due lingue (anche se sconosciute) se appartengono a classi ritmiche diverse; ma non
riescono a discriminare tra due lingue appartenenti alla stessa classe ritmica.
Altri esperimenti:
ESPERIMENTO 1 – Metodo
- Inglese (stress-timed class) e Tagalog (syllable-timed class)
- Partecipanti: neonati da 0 a 5 giorni
o Monolingui inglesi
o Bilingui tagalog-inglesi
o Bilingui cinese-inglesi (gruppo di controllo)
- Stimoli: 8 frasi (4 inglese e 4 tagalog) che sono low-pass filtered (si toglie l’informazione
segmentale e rimane solo l’informazione prosodica);
- Paradigma:
o High amplitude sucking-preference procedure
o 10 minuti di audio alternando un minuto per ciascuna lingua
o Indice di preferenza = differenza di ampiezza di suzione tra una lingua e l’altra
I risultati mostrano che:
▪ i monolingui inglesi mostrano meno interesse al tagalog dei bambini bilingui tagalog-inglese;
▪ i bilingui tagalog-inglese sono ugualmente interessati alle due lingue e non ci sono preferenze
verso una delle due lingue;
→ il fatto che i bilingui sono interessati a entrambe le lingue in modo uguale è congruente con
l’ipotesi che abbiano imparato a riconoscerle durante il periodo prenatale. Tuttavia, è anche
vero che c’è la possibilità che i bilingui stiano riconoscendo le due lingue come la stessa
identica cosa, ovvero che non siano realmente sensibili al fatto che si tratti di due lingue
diverse.
▪ Il gruppo di controllo mostra una preferenza diversa rispetto agli altri due gruppi (a metà strada
tra gli altri due gruppi).
La conclusione è che i neonati sono sensibili alle lingue che hanno ascoltato durante il periodo
prenatale. Ma rimane ancora da rispondere alla domanda iniziale, ovvero: i neonati monolingue
possono discriminare tra due lingue se sono di diversa classe ritmica, e i bambini bilingui?
ESPERIMENTO 2
- Partecipanti: 3 gruppi di neonati
o Monolingui inglese
o Bilingui tagalog-inglese
o Gruppo di controllo: monolingui inglesi
- Stimoli: come Esp1
- Paradigma:
o High amplitude sucking-preference procedure
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→ Fase di habituation: 7 minuti di abituazione ad una lingua
→ Fase di dishabituation:
• Primi due gruppi: 4 minuti di un altro speaker in lingua diversa
• Gruppo di controllo: 4 minuti di uno speaker nella stessa lingua
I risultati mostrano che:
▪ I bilingui mostrano un’alta crescita di interesse al cambio di speaker e di lingua;
▪ I monolingui mostrano una leggera crescita di interesse al cambio di speaker e di lingua;
▪ Il gruppo di controllo esibisce una perdita di interesse al cambio di speaker.
Questi dati suggeriscono che i bilingui, quindi, sono sensibili non solo al cambio di speaker, ma
anche al cambio di lingua.
Si può concludere, quindi, che:
La discriminazione linguistica nei bilingui è un fenomeno robusto dalla nascita; questa
discriminazione riflette l’esperienza di ascolto alla quale il neonato è stato esposto durante il
periodo prenatale. Quindi, gli stessi meccanismi percettivi e di apprendimento che supportano
l’acquisizione nel neonato monolingue sono disponibili anche nell’acquisizione bilingue.
La capacità di discriminare tra lingue di diversa classe ritmica avviene nei neonati.
La capacità di discriminare tra lingue della stessa classe ritmica, invece, non è presente nei neonati e
si sviluppa più tardi, verso i 4-5 mesi di età, sia nei monolingui che nei bilingui, ma solo se sono
stati precedentemente esposti ad almeno una delle due lingue.

I risultati visti nella lezione precedente, rivelano che i neonati monolingue e i bambini bilingue
mostrano traiettorie di sviluppo simili in termini di discriminazione linguistica; tuttavia, ci possono
essere delle differenze nel modo in cui questa viene risolta.
Oggi vediamo quello che succede con dei bambini un po’ più grandi e andiamo ad indicare quelle
che possiamo definire come le “particolarità dei bambini bilingue”.
PARTICOLARITÀ 1
Studio: Barcellona 1997
Partecipanti: bambini di 4-5 mesi
o Monolingui
o Bilingui
- Stimoli: davanti al bambino c’è uno stimolo (ad esempio una luce) che attira l’attenzione del
bambino; ai lati ci sono figure di due donne (una a destra e una a sinistra del bambino) dietro
alle quali si trovano due altoparlanti dai quali provengono frasi nelle lingue interessate
- Metodo: visual orientation latency measure
misura del tempo necessario ad un bambino per iniziare una saccade laterale verso un
altoparlante.
Lo studio si divide in tre esperimenti.
Esperimento A
- Partecipanti:
o Monolingui spagnolo
o Monolingui catalano
- Stimoli: frasi in catalano e spagnolo
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Secondo i risultati, si osserva che i bambini orientano lo sguardo più velocemente verso quello che
è loro già familiare. Ad esempio, gli spagnoli si girano più velocemente quando la frase è in
spagnolo, rispetto a quando è in catalano.
Esperimento B
- Partecipanti:
o Bilingui catalano-spagnolo
- Stimoli: frasi in catalano e spagnolo
Secondo i risultati, si osserva che i bambini bilingui dimostrano un tempo di orientamento simile
per entrambe le lingue.
Esperimento C
- Partecipanti:
o Bilingui catalano-spagnolo
o Monolingui spagnolo
- Stimoli: frasi in lingua conosciuta (spagnolo o catalano) e lingua sconosciuta (inglese)
Per i bambini monolingui si osserva (come in A) che ci mettono di più a girarsi verso la lingua
sconosciuta. Per i bambini bilingui, invece, l’andamento è opposto: si osserva che ci mettono di
meno a girarsi verso la lingua sconosciuta, rispetto alle lingue conosciute. Questo è sorprendente, e
non c’è ancora una spiegazione rispetto a questi risultati.
Una cosa da osservare però è che l’inglese appartiene ad un diverso gruppo ritmico; bisognerebbe
vedere se funziona anche con una lingua sconosciuta ma dello stesso gruppo prosodico.Si è fatto
quindi un altro esperimento.
Esperimento D
- Partecipanti:
o Bilingui catalano-spagnolo
- Stimoli: frasi in lingua conosciuta (spagnolo o catalano) e lingua sconosciuta (italiano)
I risultati mostrano di nuovo che con una lingua sconosciuta, anche se di un gruppo prosodico
simile, i bambini bilingui si orientano più velocemente verso la lingua sconosciuta che verso quella
conosciuta.
→ Ricordiamo che nell’esperimento A con monolingue e lingue della stessa classe ritmica
l’andamento era opposto.
PARTICOLARITÀ 2
Effetto McGurk
L'effetto McGurk è un fenomeno percettivo che dimostra un'interazione tra l'udito e la vista nel
riconoscimento di una parola o di un singolo fonema. Questo suggerisce che il riconoscimento
linguistico è un processo multimodale, cioè che coinvolge informazioni da più di una sorgente
sensoriale. L’illusione viene esperita quando il video della produzione di una sillaba (ad es. ba)
viene doppiato con il suono corrispondente ad una sillaba diversa (ad es. ga): spesso, il suono
percepito è diverso sia dal suono reso dai movimenti nel video sia dal suono effettivamente prodotto
(ad es. da).
Sorgono due domande:
- I bambini bilingue riescono a discriminare le lingue in funzione dell’informazione visiva?
→ La risposta è sì.
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- Se sì, ci sarà qualche differenza tra i monolingui e i bilingui?
→ Esperimento
Esperimento pubblicato sul giornale Science – Visual Language Discrimination in Infancy
Partecipanti:
- Bambini
o Monolingui inglesi di 4, 6 e 8 mesi
o Bilingui Inglese-Francese di 6 e 8 mesi
- Stimoli: filmati dove attori bilingui inglese-francese producono delle frasi, ma la
presentazione al bambino avviene senza audio.
- Metodo: visual habituation procedure
inizialmente i bambini erano esposti ad un video silenzioso dove gli attori dicono frasi in
una sola lingua. Dopo che l’attenzione del bambino decade, allora si presentano nuove frasi,
che possono essere o nella stessa lingua o in una lingua diversa.
La domanda è se i bambini percepiscono il cambiamento. I risultati mostrano che i bambini
monolingui di 4 mesi si rendono conto del cambiamento; quelli di 6 mesi fanno la stessa cosa;
tuttavia, i monolingui di 8 mesi dimostrano una tendenza opposta. Questo sembra paradossale, ma
in realtà non lo è perché sappiamo che durante il primo anno di vita il bambino perde capacità di
discriminare le cose diverse da quelle in cui si sta specializzando. Per quanto riguarda i bambini
bilingue, invece, si vede che anche i bambini bilingui di 8 mesi riescono a rendersi conto del
cambiamento di lingua.
Quindi, i bambini monolingue e i bambini bilingue mostrano traiettorie di sviluppo simili in termini
di discriminazione linguistica; tuttavia, l’input bilingue potrebbe influenzare/modificare alcuni dei
meccanismi alla base di questa capacità.
2. ACQUISIZIONE SISTEMA FONOLOGICO
L’unica cosa che ci interessa è il cosiddetto “processo del Perceptual narrowing”: it is a
developmental process during which the brain uses environmental experiences to shape perceptual
abilities. This process improves the perception of things that people experience often and causes
them to experience a decline in the ability to perceive some things to which they are not often
exposed.
Nel caso dell’acquisizione fonologica, questo fa si che i bambini di 6 mesi riescano a discriminare
contrasti fonologici della lingua nativa, ma che a 12 mesi siano in grado di discriminare solo
contrasti fonologicamente nativi. Non sembra che ci siano grandi differenze tra i bambini
monolingui e i bambini bilingui. L’unica differenza è che i bilingui riescono a discriminare contrasti
fonologici di entrambe le lingue di esposizione.
3. ACQUISIZIONE LESSICALE
Ci sono diverse strategie attraverso cui un bambino può imparare delle parole. Qui ci soffermiamo
sulla strategia della mutua esclusività. La mutua esclusività è una strategia (euristica) che utilizzano
le persone per imparare nuovi nomi, cioè nuove associazioni parola-oggetto.
Test sperimentale: si presentano due oggetti, uno di cui l’individuo conosce il nome e l’altro il cui
nome e sconosciuto. Dopo aver ascoltato una parola nuova, i bambini tendono ad assegnare la
nuova parola all’oggetto che non conoscono.
Il problema/la domanda che si presenta con i bambini bilingui è: come fa il bambino bilingue a
comprendere che ci sono due etichette linguistiche per un singolo oggetto?
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STUDIO
- Partecipanti:
tre gruppi di bambini di 17-18 mesi
o Monolingui inglese
o Bilingui (medie: inglese 45% - altra lingua 52%)
o Trilingui (medie: inglese 36%, le altre due lingue 32% ciascuna)
→ altre lingue variavano (fino a un totale di 22)
→ la lingua usata per il test è l’inglese
- Stimoli: 4 oggetti di cui 3 conosciuti (ball, car, shoe) e uno sconosciuto (nil → inventato)
- Metodologia: eye-gaze
Vengono presentati due oggetti alla volta, insieme a frasi uditive che invitano il bambino a
spostare lo sguardo (where is the…?; look at the…; find the…). Si misura per quanto tempo
il bambino guarda l’oggetto (e si compara il tempo che il bambino guardava l’oggetto prima
che venisse nominato: nomino car e il bambino guarda per 1 sec e mezzo, mentre prima l’ha
guardata per un sec → tempo = 1 sec).
Ci sono due condizioni: una condizione è quella in cui ci sono due oggetti che il bambino conosce e
li si richiama uno alla volta. L’altra condizione (chiamata familiar) prevede l’inserimento del non-
oggetto nil. I risultati mostrano quando c’è condizione familiar tutti i gruppi guardano in modo
corretto l’oggetto nominato. Quando invece c’è la condizione non familiar vediamo che monolingui
e bilingui applicano il principio di mutua esclusività (i bilingui con un po’ più di difficoltà), ma i
trilingui no. Questo può essere spiegato dal fatto che probabilmente i bambini trilingui sono portati
a credere che l’etichetta inesistente nil sia solo un altro modo ulteriore per chiamare la scarpa.
→ tutti gli studi dimostrano che è vero che il bilinguismo ha delle conseguenze cognitivo-
linguistiche, ma esse sono nulle se paragonate ai benefici.

Perché è così difficile percepire i contrasti di una L2 che impariamo da adulti? Ad esempio:
• I giapponesi hanno difficoltà ad imparare il contrasto italiano /r/ - /l/  la lingua giapponese
utilizza solo un fonema liquido (non c’è distinzione contrastiva in giapponese tra /r/-/l/);
• Spagnoli madre lingua (anche se vivono in Catalogna) hanno difficoltà a percepire il contrasto
Catalano /ɛ-e/, che in spagnolo non esiste.
Ci sono anche altri tipi di contrasto, ad esempio il caso dell’informazione soprasegmentale. Si tratta
principalmente di informazioni riguardanti l’accento. L’accento dipende da diversi parametri che
ricadono sulla sillaba-vocale accentuata (F0, durazione, energia). L’accento ha anche funzione
contrastiva:
- Spagnolo: BEbe-beBE (lui/lei beve-neonato); SAbana-saBAna (lenzuolo- savana);
- Italiano: ANcora-anCOra.
Questo non vale per tutte le lingue. Ad esempio, nel francese l’informazione soprasegmentale di
accento non è contrastiva. Il Francese ha "accento" frasale, che è realizzato come allungamento
della sillaba finale, ma questo accento frasale ha una funzione demarcativa, non contrastiva.
Pertanto, contrasti come quelli in italiano tra ANcora-anCOra o in spagnolo SAbana–saBAna, non è
rappresentato da una caratteristica fonologica o fonetica contrastiva esistente in francese.

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Cosa succede quando un nativo francese adulto deve imparare una lingua dove l’accento è
contrastivo come lo spagnolo? In un primo esperimento si manipolava un’informazione fonologica
e in un secondo esperimento si manipolava un’informazione soprasegmentale.
ESPERIMENTO 1a e b
Gli stimoli erano caratterizzati da non-parole registrati da 6 parlanti, 3 nativi francesi e 3 nativi
spagnoli. Queste non parole erano caratterizzate da un contrasto minimo di consonante /fiku/ - /fitu/.
Si tratta di un compito di Memoria Breve termine.
All’inizio c’è una fase di allenamento dove si impara ad associare ciascuno stimolo a un tasto (1 o
2). Successivamente si passa alla fase del test vero e proprio. In questa fase si ha la presentazione di
una sequenza da 4 a 6 stimoli in modo completamente causale (ad esempio – /fiku/, /fitu/, /fitu/,
/fiku/ – /fitu/, /fitu/, /fiku/, /fiku/, /fitu/, /fiku/). Il partecipante deve riprodurre con i tasti la stessa
sequenza (– 1221 – 221121). Variabile dipendente: Numero di risposte corrette (tutta la sequenza).
Secondo esperimento → stessa procedura ma con l’accento. Ci sono altre due non-parole con la
stessa informazione fonologica, ma cambia la sillaba accentata: /NUmi/ - /nuMI/.
Partecipanti ad entrambi gli esperimenti: • 20 francesi di controllo • 36 francesi con diverso livello
di Spagnolo (beginner, intermediate, advanced) • 20 spagnoli di controllo.
Risultati: gli spagnoli avevano ottimi risultati in entrambi i test; i francesi facevano bene nel primo
esperimento, mentre nell’esperimento b c’era un crollo e questo vale per tutti i livelli di competenza
linguistica. Vediamo quindi che i francesi si dimostrano sordi all’informazione soprasegmentale.

TEMA 3 – CONSEGUENZE COGNITIVE


DELL’ESPOSIZIONE BILINGUE IN BAMBINI
Sono state fatte molte ricerche sull'esplorazione delle conseguenze del bilinguismo nello sviluppo
delle abilità linguistiche e metalinguistiche nei neonati, nei bambini e negli adulti. In questa lezione
studieremo le possibili conseguenze del bilinguismo nelle abilità cognitive dei bambini.
Bisogna fare una premessa: Il fatto che il bilinguismo possa influenzare lo sviluppo cognitivo (non
verbale) è basato su una premessa di base: la conoscenza linguistica e quella cognitiva (non verbale)
dovrebbero condividere le stesse risorse di un sistema di rappresentanza generale, e inoltre devono
essere in grado di influenzarsi a vicenda. È importante sottolineare questa cosa perché, ad esempio,
ci sono alcune concezioni teoriche sul linguaggio in cui si postula che la rappresentazione e
l'elaborazione del linguaggio siano completamente separate dagli altri sistemi cognitivi (Pinker).
La possibilità che il bilinguismo influenzi il funzionamento cognitivo non verbale richiede una
convergenza linguistica e non linguistica su un meccanismo cognitivo di base. Una possibilità di
questa convergenza potrebbero essere le funzioni esecutive (è una funzione cognitiva) →
meccanismo centrale responsabile dell'attenzione selettiva (non automatica, del tipo ‘sento un
rumore e mi giro istintivamente’), dell'inibizione e della pianificazione (Shallice e Norman, 1986).
Questo si vedrà più in dettaglio più avanti quando parleremo delle conseguenze del bilinguismo
negli adulti.
È importante parlare di funzioni esecutive in questo corso perché il bilingue, quando parla, deve
scegliere come parlare, in che lingua parlare; quindi, da una parte deve ‘attivare’ una lingua,
dall’altra deve ‘inibire’ l’altra lingua. Questo richiede una funzione esecutiva. Si tratta, in definitiva,
della capacità degli esseri umani di esercitare controllo sui propri pensieri e le proprie azioni, di

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dirigere e focalizzare l’attenzione su informazioni rilevanti per il compito e di inibire azioni o
stimoli inappropriati.
Detto questo vediamo cosa c’entra con il bilinguismo.
L’ipotesi cui stiamo facendo riferimento è che per maneggiare 2 lingue i bambini bilingui devono
controllare le due lingue e accedere solamente alle rappresentazioni della lingua target ed evitare
l’interferenza della lingua che non si sta utilizzando. Le domande che accompagneranno questa
ipotesi (anche nella prossima lezione sugli adulti) sono: Quali sono le conseguenze cognitive di
percepire ed elaborare 2 lingue? Esiste un coinvolgimento maggiore delle funzioni esecutive
(controllo cognitivo) nei bilingui?
Vediamo a questo proposito un esperimento di Kovàcs e Mehler (2009), Cognitive gains in 7-
months-old bilingual Infants. Si tratta di un esperimento che, di nuovo, di tipo ‘gaze’ con 2 gruppi
di bambini di 7 mesi – Monolingui (Italiano) – Bilingui (Italiano e altre lingue).
Nell’esperimento compare uno schermo con due finestre bianche, poi compare uno stimolo uditivo
del tipo ‘non-parola’ e, dopo un po’, compare uno stimolo visivo del tipo pupazzo-premio. Questo
avviene sempre sulla stessa finestra, finché il bambino non si abitua e va ad anticipare e va a fissare
la finestra sulla quale si aspetta che compaia il pupazzo. Quello che si conta sono il numero di
anticipazioni. Una volta che il bambino anticipa sempre la comparsa del pupazzo si va a cambiare e
il pupazzo inizia ad apparire sull’altra finestra. Il bambino dovrà quindi dimenticare quello che ha
imparato prima e riadattarsi al nuovo contesto. Questa capacità di cambiare la regola già acquisita fa
parte delle funzioni esecutive, perché dimostra la capacità di riadattamento.
Quindi:
• Fase 1 (pre-switch): I bambini imparano una risposta innescata da un segnale. Questo primo
apprendimento non dipende dalle funzioni esecutive;
Prove 1-9:
o Dopo la presentazione dello stimolo viene presentato un pupazzo in una delle 2 finestre
(sempre la stessa) per un totale di 9 prove
• Fase 2 (post-switch): I bambini devono imparare una seconda risposta conflittuale al segnale
imparato in precedenza → cioè, l'apprendimento della seconda risposta in conflitto richiede
l’inibizione della prima risposta e quindi coinvolgerebbe le funzioni esecutive;
Prove 10-18:
o In queste prove il pupazzo compare sempre nell’altra finestra
• Variabile Dipendete: Numero di anticipazioni verso la finestra dove comparirà la ricompensa
(il pupazzo).
L’esperimento si divide in tre prove.
Nella prima prova si utilizzano non-parole trisillabiche. Nei risultati si osserva che la proporzione
di anticipazione verso il target aumenta con il trascorrere delle prove (da 1 a 9), ovvero il bambino
anticipa di più nel corso della prova 9 piuttosto che nel corso della prava, diciamo, 3. Questo vale
sia per i monolingui che per i bilingui. Quando però si passa al post-switch, si osserva che i
bambini bilingui sono più veloci nel riadattarsi alla nuova regola.
Nella seconda prova si utilizza la stessa procedura, ma ora le non-parole seguono una regola AAB
nella Fase 1 (pre-switch) e una regola ABB nella Fase 2 (post-switch):
• Fase 1: /le-le-mo/ struttura AAB
• Fase 2: /zo-vi-vi/ struttura ABB
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In questa seconda prova vediamo che i bambini, in fase pre-switch, imparano velocemente, sia
bilingui che monolingui e, di nuovo, nella fase post-switch i bambini bilingui hanno meno difficoltà
a riadattarsi rispetto ai monolingui.
Nella terza prova invece gli stimoli cambiano in stimoli visivi. Non c’è più uno stimolo audio. Si
presenta un’informazione visiva, ovvero un pool di 9 figure geometriche
che si organizzano con una struttura AAB nella fase 1 e ABB nella fase 2
I risultati presentano la stessa conformazione delle prime due prove.
I risultati generali dell’esperimento mostrano che i bambini monolingue e
bilingue hanno imparato ugualmente che un segnale vocale o visivo prediceva la posizione di una
ricompensa visiva nella fase di pre-switch in tutti i 3 esperimenti. Ma si osserva un'importante
differenza comportamentale tra i 2 gruppi nelle rispettive fasi di post-switch. I bilingui
sopprimevano prontamente la risposta appresa in precedenza e aggiornavano le loro previsioni in
base ai nuovi requisiti dell'attività, mentre i monolingui non apprendevano così prontamente la
nuova risposta. Il rendimento migliorato dei bilingui non può essere attribuito a una differenza
sistematica nelle capacità di elaborazione delle informazioni generali perché il rendimento dei 2
gruppi è stato lo stesso nella fase pre-switch.
Conclusioni: La percezione e l'elaborazione di due lingue durante i primi mesi di vita migliora i
componenti generali delle funzioni esecutive ben prima che inizi la produzione linguistica.
Ora vediamo un altro esperimento che ha a che vedere con gli argomenti dell’altra volta (in
particolare sul controllo dell’attenzione), ma che è stato effettuato su bambini più grandi (4-5 anni).
Controllo dell'attenzione: processo mediante il quale l'attenzione è diretta selettivamente. Ad
esempio, nella risoluzione dei problemi richiede una focalizzazione intenzionale su alcuni tipi di
informazioni e l'esclusione di altri tipi di informazione. Questa attenzione selettiva è più difficile se
una risposta abituale o saliente contraddice quella ottimale e deve essere annullata, rendendo
l'inibizione una componente essenziale del controllo (Esempio: Denominare il colore dell’inchiostro
tavolo; rosso; verde).
L’ipotesi da cui partiamo è, di nuovo, che i bambini bilingui potrebbero differire dai monolingui
nello sviluppo del controllo dell'attenzione. La necessità di codificare, interpretare e associare
parole di due lingue con un concetto comune richiede il controllo dell’attenzione verso una lingua e
inibizione verso l’altra. L'esperienza costante nel prestare attenzione a una delle lingue e ignorare
l'altra potrebbe migliorare la capacità dei bilingui di prestare attenzione selettivamente ai segnali
appropriati e inibire l’attenzione verso gli altri.
Vediamo uno studio di Bialystok e Martin, Attention and inhibition in bilingual chilren: evidence
from the dimensional change and card sort task.
Compito: change card sort task. Si tratta di ordinare un set di carte/stimoli (a destra o a sinistra)
secondo una dimensione (fase pre-switch) per 10 prove; dopodiché si cambia la regola e i bambini
devono ordinare le stesse carte secondo una dimensione diversa (fase post-switch) per 10 prove. Di
nuovo, si tratta di imparare una regola in fase 1 e di adattarsi ad una nuova regola in fase 2.
Partecipanti: Bambini di età media 4.9 anni (36 monolingui inglese e 31 bilingui cinese-inglese)
Procedura: 4 compiti (di difficoltà ascendente) e 10 prove per ciascuna fase (pre-switch e post-
switch)

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Figura 1 - Le quattro prove
a) Colour Game: Ci sono cinque quadrati rossi e cinque blu. Sotto ci sono due tasti [x] oppure [o].
Il bambino ha il compito di premere [x] quando compare il quadrato rosso e [o] quando compare
il blu. Compare solo uno stimolo alla volta. Dopo 10 volte si cambia la regola e il bambino deve
premere [x] per il quadrato blu e [o] per il rosso (di nuovo per 10 volte).
b) Shape-Colour Game: Abbiamo cerchi rossi e quadrati blu. In fondo allo schermo si hanno due
“box” dove il bambino deve andare a mettere gli oggetti che compaiono (premendo il pulsante
sottostante al box). In una prima fase si mettono in un box tutto quello che è blu e in un altro
tutto quello che è rosso. In una seconda fase, invece, si deve prestare attenzione alla forma e,
quindi, mettere tutti i cerchi in un box e tutti i quadrati nell’altro.
c) Colour-Object Game: Si tratta della stessa cosa di b), ma qui si hanno degli oggetti che hanno un
referente nella vita reale (fiore e coniglio). Di nuovo, in una prima fase il bambino classifica in
base al colore e, in una seconda fase, li deve classificare a seconda dell’oggetto di cui si tratta
(l’unica differenza è che in b) si trattava di figure geometriche astratte, mentre sono concrete).
d) Function-Location Game: Qui si deve, invece, fare una distinzione tra la funzione dell’oggetto e
la sua location. Si tratta di vestiti oppure di giocattoli. Come prima regola, quindi, si tratta di
dividere da una parte ciò che serve per giocare e dall’altra ciò che serve per vestirsi. Nella
seconda fase, invece, bisogna distinguere gli oggetti in base alla loro location, ovvero se si tratta
di qualcosa che si trova dentro casa o se si trova fuori casa.
La variabile dipendente è costituita dal punteggio di risposte corrette in fase pre-switch e in fase
post-switch. Nella fase pre-switch si osserva che non c’è una differenza rilevante tra il gruppo
monolingue e il gruppo bilingue. Nella fase post-switch, invece, si osserva che i bambini bilingui
hanno più risposte corrette nei tre compiti difficili (b, c e d).
I risultati visti finora, ovvero il vantaggio dei bambini bilingue nelle funzioni esecutive, viene
messo però in dubbio. Chi afferma che non ci sia un vantaggio fa riferimento soprattutto a:
- Bias di conferma (si tende a ritenere più importanti le opinioni che rinforzano la nostra);
- Bias di pubblicazione (si tende a pubblicare solo le informazioni “sexy”);
- Status socioeconomico.

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TEORIA DELLA MENTE (ToM)
Andiamo ora ad introdurre un altro argomento, che in psicologia viene detto Teoria delle Mente
(ToM). Si tratta della capacità di ragionare sugli stati mentali altrui e di attribuirli. Capacità di
attribuire credenze, desideri e intenzioni a sé stessi e soprattutto agli altri e di prevedere e
interpretare il comportamento degli altri a seconda di questi stati mentali. → Test della falsa
credenza. La formulazione più famosa del test della falsa credenza è il Sally-Anne test.
Ai soggetti vengono presentate due bambole: una, Sally, porta un cestino e l'altra, Anne, ha una
scatola. Si mette poi in scena un gioco di finzione, in cui Sally esce a passeggio dopo aver messo
una palla nel proprio cestino e averlo coperto con un panno. Intanto Anne prende la palla dal cestino
e la nasconde nella propria scatola. A questo punto Sally torna con l'intenzione di giocare con la
palla e l'esaminatore chiede al bambino dove avrebbe guardato Sally per prendere la palla. A questa
domanda se il bambino risponde affermando il dato reale o di fatto, cioè che Sally l'avrebbe cercata
nella scatola di Anne, si può affermare che il soggetto non è in grado di formulare "false credenze",
ovvero non è in grado di conoscere gli stati mentali altrui. I bambini fino ai 4 anni fanno errori di
attribuzioni.
Il test della falsa credenza serve a verificare lo sviluppo della capacità meta-rappresentazionale 
ovvero lo sviluppo di una teoria della mente. Testa la capacità dei bambini di attribuire un
convincimento alla mente di altre persone. Il nodo cruciale consiste nel ruolo giocato
dall'attribuzione di una credenza falsa: infatti, prevedere il comportamento di un altro individuo,
fondandosi su di una credenza che il bambino sa essere falsa, costituisce la prova che non sta
banalmente proiettando la sua opinione della realtà sull'altro soggetto. Ciò significa che il
protagonista del test identifica quel particolare comportamento e lo considera "causalmente
determinato" da uno stato mentale "intenzionale" dell'altra persona. Questo stato mentale, che
coincide con la falsa credenza, esiste solo nella mente dell'altra persona e non in quella del
bambino, che pertanto è in grado di distinguerla ed attribuirla al prossimo.
Questa teoria è importante perché fa riferimento all’atteggiamento intenzionale. Per atteggiamento
intenzionale si intende «la strategia per interpretare il comportamento di un’entità (non importa se
persona, animale o artefatto) trattandola come se fosse un agente razionale che orienta la propria
scelta d’azione prendendo in considerazione le proprie credenze e i propri desideri» (Dennett).
Ora andiamo a vedere come si comportano i bambini bilingui e i bambini monolingui rispetto a
questa teoria. In particolare, la domanda è se possono esserci circostanze speciali che aiutano i
bambini a fare inferenze sugli stati mentali altrui?
Una risposta a questa domanda è stata cercata da Kovacs, la quale indaga se una di queste
circostanze speciali sia il crescere in un ambiente bilingue, ovvero va a vedere se l’ambiente
bilingue influenza la risoluzione di un test ToM. La sua ipotesi è che l'esperienza con diversi
contenuti mentali con cambio di lingua potrebbe aiutare i bambini bilingui a sviluppare competenze
per risolvere i test di ToM prima dei monolingui.
Kovacs fa un esperimento con partecipanti: 32 bilingui rumeno-ungherese (età media = 3,3 anni;
esposizione quotidiana alle due lingue) e 32 monolingui rumeno (età media = 3,3). I due gruppi
erano bilanciati per livello socioeconomico (genitori) e per intelligenza. Non avrebbe senso testare
bambini di età maggiore, perché un bambino di 7 anni, ad esempio, risolverebbe il compito a
prescindere.

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I risultati del test mostrano che a 3,3 anni i bambini bilingui risolvono meglio il false belief test
(ToM) rispetto ai bambini monolingue di 3,3 anni. La spiegazione che viene data da Kovacs è che il
bilinguismo porterebbe a un miglioramento delle capacità di controllo inibitorio necessarie per
eseguire con successo un tipico compito ToM.
Questo test, però, richiama le funzioni esecutive, come nei test precedenti. Sarebbe interessante,
quindi, vedere cosa succede in un test in cui non si attivano le funzioni esecutive. Vedremo ora due
lavori che fanno riferimento all’atteggiamento intenzionale e al suo utilizzo nel risolvere un
compito.
• Lavoro di Fan, Liberman, Keysar e Kinzler: The Exposure Advantage: Early Exposure to a
Multilingual Environment Promotes Effective Communication.
Le premesse da cui partono gli autori sono:
• I bambini bilingui hanno l'opportunità di tenere traccia di chi parla quale lingua, chi capisce
quale contenuto e chi può conversare con chi. Il monitoraggio dell'uso della lingua da parte di
altre persone può fornire ai bambini informazioni sulle prospettive, le relazioni sociali e gli
obiettivi comunicativi delle persone.
• I bambini bilingui hanno più pratica nella comprensione delle prospettive linguistiche di altre
persone.
• Inoltre, la lingua funge da forte spunto per l'appartenenza a gruppi sociali (si veda più avanti).
L’ipotesi, invece, è che l'esposizione precoce bilingue/multilingue può facilitare lo sviluppo di
strumenti socio-cognitivi (comunicazione efficace).
Partecipanti: Bambini di 4 a 6 anni (n=72) divisi in 3 gruppi
a. Monolingui (n=24) – entrambi genitori parlano inglese
b. Esposti (n=24) – con poca ma regolare esposizione a un’altra lingua
c. Bilingui (n=24) – con esposizione regolare a due lingue e competenza in comprensione e
produzione in entrambe le lingue

Due prospettive: i “coperchi” gialli coprono l’oggetto se tu sei seduto dietro (director’s view), ma
non se sei seduto davanti (participant’s view).
Procedura:
1. Prima del test reale ci sono 2 prove di allenamento dove il bambino è seduto con la prospettiva
del direttore (Director’s views) → lo scopo è far capire al bambino il suo compito, ovvero
chiedere alla persona seduta dall’altro lato di prendere degli oggetti e spostarli.

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2. Dopo le prove di allenamento, il bambino cambia posizione e inizia il test vero (Participant’s
view).
Le prove totali sono 12, ma sono 4 le prove critiche. La prova più importante è la seguente: «I see
the small car. Can you move the small car under the spoon» (detta da chi è dalla parte del Director’s
view). Il problema qui è che dal punto di vista del direttore ci sono solo due macchine, una più
grande e una più piccola (di media dimensione, cerchiata di verde in foto). Dal punto di vista del
bambino, invece, ci sono tre macchine, la più piccola delle quali non viene vista dal direttore
(cerchiata di rosso).
Le variabili dipendenti sono:
1. Numero di movimenti corretti
→ Percentuale di bambini che prendono la macchina corretta (ovvero quella cerchiata di verde).
I risultati mostrano che i due gruppi bilingual e exposure hanno migliori risultati del gruppo
monolingual.
2. Dove guarda per primo il bambino, l’oggetto focalizza per primo (ad. es., egocentric first look)
→ Percentuale di bambini che hanno come prima risposta uno sguardo egocentrico, nel senso
che inizialmente guardano la macchina cerchiata di rosso. I risultati mostrano che i monolingual
hanno maggiore tendenza a guardare l’oggetto di distrazione.
3. Numero di spostamenti corretti (da fissare l’oggetto distrattore al target → recovery) e sbagliati
(al contrario → incorrect switching)
→ Percentuale di bambini che guardano un oggetto per primo e poi cambiano (sia in una
direzione che nell’altra). Vediamo che i movimenti di “incorrect switching” sono minori nei
gruppi exposure e bilingui.
La variabile di controllo è:
➢ Le famiglie dei 3 gruppi di partecipanti sono bilanciate per livello socio-economico → (…)
differences in executive function cannot account for the observed differences in children’s
social communication abilities (page 6).
➢ Funzione esecutive dei bambini misurate con il Dimensional Change Card Sort task → non
hanno riscontrato nessuna influenza da parte delle funzioni esecutive nell’andamento dei
risultati. Quindi loro escludono che il loro risultato sia dovuto alla funzione esecutiva, al
controllo cognitivo.
La conclusione è che un ambiente che espone i bambini a esperienze multilingue può fornire
strumenti importanti per una comunicazione più efficace. Loro mettono l’accento sulla
comunicazione più efficace (nel senso della capacità di tener conto anche del punto di vista
dell’altra persona). Quando si parla di comunicazione efficace si deve fare riferimento alla
pragmatica.
«Le abilità pragmatiche si riferiscono alla conoscenza delle regole di adattamento ottimale di una
lingua al contesto, linguistico ed extralinguistico, entro cui la comunicazione ha luogo» (Valentina
Bambini) → per competenza pragmatica si intende la capacità di comprendere il messaggio
comunicato del parlante al di là del significato letterale del messaggio.
Esempi: “Sono morto” (sono stanco) – “Mi piace molto quando urli così forte” (ironia)
Questa capacità pragmatica è fondata sull’inferenza, che è l’operazione cognitiva che deriva una
conclusione sulla base dell’informazione disponibile. Quando si parla di linguaggio e
comunicazione, si tratta di informazioni dell’enunciato e informazioni del contesto.
Tutto questo si rifà al concetto di Comunicazione cooperativa, la quale vede la conversazione come
un comportamento cooperativo e, in tanto tale, guidato da scopi che sono in qualche misura

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condivisi tra i partecipanti I partecipanti ad una conversazione, infatti, aderiscono a un Principio di
Cooperazione articolato in diverse categorie di massime (Grice, 1989):
• Massima di quantità: dire niente di più o niente di meno di quanto è richiesto per lo scopo dello
scambio comunicativo
→ Cosa ti hanno regalato?
“un regalo” vs. “un pallone”
• Massima di qualità: dire la verità ed evitare affermazioni per le quali non ci sono prove
sufficienti
→ Hai visto il mio cane?
“Si, in cielo” vs. “Si, in giardino”
• Massima di relazione essere pertinente
→ Chi è il tuo migliore amico?
“Il mio migliore amico è Pietro. Lui indossa pantaloni” vs. “Il mio migliore amico è Pietro.
Lui va a scuola con me”
• Massima di modo: evitare ambiguità, confusione, e di esprimersi con oscurità
→ Che giochi ti piacciono?
“Il tuo nome” vs. “Il calcio”
• Massima di cortesia: essere educati
→ Ti piace il mio nuovo taglio di capelli?
“No, è orribile” vs. “Sì, è carino”
In riferimento a questo, l’ipotesi è che i bambini bilingui eccellono più nella loro sensibilità alle
massime conversazionali rispetto ai bambini monolingue.
→ Lavoro di Siegal, Iozzu e Surian: Bilingualism and conversational understanding in young
children
I partecipanti sono 3 gruppi di bambini di due fasce di età (3-4 anni; 5-6 anni): 43 monolingui
italiani, 41 monolingui sloveno e 38 bilingui italiano-sloveno.
Compito: Conversational Violations Test (CVT). Si tratta di brevi filmati con 3 personaggi, dove un
personaggio fa una domanda (ad es., ‘Ti piace il mio vestito’) e gli altri due rispondono. Una
risposta viola una delle massime (‘E’ bruttissimo’) mentre l’altra no. I bambini devono indicare il
personaggio che risponde qualcosa di sciocco o maleducato”. In totale c’erano 25 filmati, con 5
filmati per diverse massime.
La variabile dipendente è rappresentata dal numero di volte che il bambino risponde correttamente,
ovvero in accordo con il Principio della comunicazione cooperante (punteggio massimo per tipo di
massima: 5, come il numero di filmati).
Di nuovo viene effettuato il controllo delle Funzione Esecutivecon il Dimensional Change Card
Sort e il Day-Night tests e non viene riscontrato nessun effetto sui risultati.
Risultati: i bambini bilingui mostrano un vantaggio nel rilevare le violazioni delle massime
conversazionali. Ovvero, sembrerebbe che il bilinguismo possa essere accompagnato da una
maggiore capacità di apprezzare risposte comunicative efficaci.

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TEMA 4 - ACCESSO LESSICALE E BILINGUISMO (PRIMA PARTE)
In queste lezioni affronteremo le stesse domande delle lezioni precedenti, ma dal punto di vista
degli adulti. Prima però è necessario vedere alcuni passaggi riguardanti il modello monolingue, di
modo da capire cosa c’è di diverso dal parlante bilingue.
Innanzitutto, dobbiamo parlare di accesso lessicale in produzione e di accesso lessicale in
comprensione. Per produzione si intende soprattutto produzione di singole parole e si parla di quei
processi cognitivi che permettono alla persona di andare a recuperare le rappresentazioni lessicali
che vanno a denotare gli oggetti di riferimento. L’accesso lessicale in comprensione, invece, fa
riferimento al processo inverso, ovvero il processo che permette di riconoscere uno stimolo uditivo
come un elemento lessicale.
ACCESSO LESSICALE IN PRODUZIONE
Dopo il riconoscimento visivo dell’oggetto è necessario riconoscere a livello concettuale/semantico
lo stesso oggetto. Una volta riconosciuto l’oggetto in questo senso, la persona sarà in grado di
andare a recuperare l’etichetta linguistica (parola) che denomina l’oggetto. Infine, si dovrà accedere
all’informazione fonologica associata all’etichetta linguistica. Quindi i vari stadi linguistici
dell’accesso in produzione sono: concetti → parole → suoni.
I concetti sono le rappresentazioni semantiche. Esse
sono suddivise per caratteristiche semantiche
associate all’oggetto (ad es. macchina: ‘serve per
muoversi’, ‘ha le ruote’, ‘può trasportare più
persone’, ecc.). Queste caratteristiche si considerano
attivate dopo il riconoscimento visivo.
Le parole sono le rappresentazioni lessicali. Qui si
trovano le varie etichette linguistiche, ovvero il
nostro lessico. Una volta che recuperiamo l’etichetta
linguistica che corrisponde alle caratteristiche
semantiche saremo anche in grado di accedere
all’informazione fonologica.
I suoni sono le rappresentazioni fonemiche. Si tratta
delle informazioni fonetico-articolatorie della
parola.
Rete Semantica (Semantic Network)
Un concetto importante per questo modello è quello di Rete semantica, che ha a che fare con la
rappresentazione del significato. Il significato di un concetto (ad es., UCCELLO) – in funzione di
come il significato è incorporato (rappresentato) in una fitta rete con diverse caratteristiche
semantiche – dipende dalla sua relazione con altre caratteristiche semantiche con cui spesso
compare (ad es. volare, cantare, uova).
Questo è un esempio di rete semantica che fa riferimento all’immagine dell’uccello in alto a
sinistra. Quando vedo questo:
poi si attivano:

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Ovvero: vedo l’uccello e si attivano le caratteristiche semantiche associate ad esso (quelle più
scure), ma si attivano anche le caratteristiche semantiche associate a quelle più scure e così via.
L’idea è che la rete semantica sia interconnessa e che quando c’è l’attivazione di una caratteristica
essa si propaga alle altre caratteristiche collegate. L'attivazione, quindi, è una variazione continua di
quantità di connessione tra diversi nodi/unità/moduli di una rete. Parliamo di come l'attivazione di
una unità si propaga fino ad un altro punto di una rete, un po’ come l'elettricità scorre attorno a un
circuito, ma man mano che si allontana dal punto di attivazione perde di forza. Questo viene
spiegato con il seguente principio.
→ Principio della Propagazione (diffusione) di attivazione, Collins e Loftus (1975)
«L’attivazione tra rappresentazioni segue il principio della diffusione di attivazione, che postula che
l’attivazione che una rappresentazione propaga ad altre rappresentazioni collegate, è proporzionale
al suo livello di attivazione. L’attivazione propagata da una rappresentazione ad un’altra è inferiore
alla sua propria attivazione, e per questo motivo l’attivazione decade in quanto si allontana dal
punto di origine».
L’idea della propagazione dell’attivazione nella mente, e che il livello di attivazione di una unità
possa influenzare i livelli di attivazione di altre unità, sono concetti molto importanti in Psicologia
Cognitiva.
Questo è importante per noi perché l’idea è che:
• Qualsiasi rappresentazione semantica attivata propaga una certa quantità di attivazione alle
corrispondenti rappresentazioni del livello successivo (il livello lessicale);
• Qualsiasi rappresentazione lessicale attivata propaga una certa quantità di attivazione alle
corrispondenti rappresentazioni del livello successivo (il livello fonemico).
Possiamo dire che l’output di uno stadio funge da input per lo stadio successivo, per cui
l’attivazione di alcune unità di un certo stadio implica anche attivazione di altre unità di uno stadio
diverso.
Una prova a favore di questo modello è data dall’esistenza di errori semantici, i quali avvengono
durante il processo di selezione lessicale; tra tutte le parole che vengono attivate dalla rete, bisogna
sceglierne soltanto una e, a volte, il processo di recupero fallisce e si seleziona quella sbagliata (“mi
passi il sale? No, scusa, intendevo lo zucchero”).
Bisogna poi dire che l’attivazione di questi processi si propaga in tutte le direzioni:
→ Dall’alto verso il basso (feedforward);
→ Dal basso verso l’alto (backward).
Infatti, abbiamo due tipi di errori:
- errori misti: Errori di sostituzione lessicale basati sia sulla semantica che sulla fonologia
(ratto per gatto) → vicini sia a livello di categoria, sia a livello fonologico;
- bias lessicale: Quando produciamo errori, tendiamo a produrre parole piuttosto che non
parole con maggiore probabilità che se gli errori fossero casuali.
Questa è una infarinatura su questo modello, ci sono tante domande a riguardo del dibattito teorico
sull’accesso lessicale:
• Come avviene la selezione lessicale?
– per competizione
– per livello di attivazione senza competizione
• Come si propaga l’informazione tra i diversi livelli di rappresentazione del sistema di
produzione?
– modelli discreti (con restrizioni)

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– modelli interattivi (secondo il principio della propagazione di attivazione → senza
restrizioni)
• Architettura del sistema (rappresentazione dell’informazione grammaticale, livelli, ecc.)
• …
NEI BILINGUI
Ora vediamo cosa succede in caso di bilinguismo, ricordando che il sistema lessicale delle due
lingue è condiviso. Cioè ogni essere umano ha un solo sistema lessicale. Tuttavia, ciò che non è
unico è il sistema linguistico, per cui abbiamo due lessici diversi.

Le domande a cui cercheremo di rispondere sono:


• 1-Propagazione dell’attivazione: durante la produzione di parole (o frasi) in una lingua, le
corrispondenti rappresentazioni lessicali vengono attivate anche nell'altra lingua?
• 2-Meccanismo di selezione lessicale: che tipo di meccanismi cognitivi utilizziamo per
selezionare le parole nella lingua che vogliamo produrre ed evitare quelle dell'altra lingua?
Propagazione dell’attivazione
Vedremo diversi paradigmi:
1. Compito di monitoraggio fonologico (Colomé, 2001)
Viene presentata una lettera (fonema) e la persona deve dire se essa è presente nella figura che
viene mostrata subito dopo. Si tratta di fare una decisione ‘si/no’. I partecipanti sono costituiti da
bilingui competenti in catalano e spagnolo e la lingua del test è il catalano. Una cosa importante,
però, è che tutta la sessione sperimentale era in catalano, ovvero dall’accoglienza ai saluti finali il
contesto è catalano.
Target dell’esempio: ‘Taula’ in Catalano; ‘Mesa’ (tavolo)
Condizioni sperimentali
– T → lettera (fonema) presente nel nome catalano → Risposta SI
– M → lettera (fonema) non presente nel nome catalano ma presente nel nome spagnolo →
Risposta NO
– F → lettera (fonema) non presente in catalano né in spagnolo → Risposta NO
Ciò che si osserva è che le persone ci mettono sempre di più a dire no che a dire sì. Ma osserviamo
anche che le persone testate ci mettevano di più a dire di no nel caso di /m/ rispetto che nel caso di
/f/ e questo succedeva perché /m/ compare nel nome spagnolo, mentre /f/ no. Questo esperimento è
stato replicato più volte.

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Una critica che viene mossa a questo esperimento, però è: «the results could perhaps be accounted
by a noncontrolled variable or a strategy adopted by the participants that had nothing to do with
their bilingual status». Questa critica può essere risolta utilizzando dei monolingui spagnoli e
girando l’esperimento, nel senso che /m/ diventa risposta si, ecc. I risultati mostrano che i bilingui
avevano bisogno di più tempo per rifiutare che i fonemi facessero parte del nome dei disegni in
Catalano, quando quel fonema faceva parte della loro traduzione corrispondente in spagnolo
rispetto a quando non ne faceva parte. Questo risultato suggerisce che i bilingui attivano
simultaneamente rappresentazioni nelle loro due lingue
2. Effetto Cognate nella denominazione di figure (Costa et al., 2000)
Le parole cognate sono parole che condividono fonologia (~ 50%) tra le due lingue (tavolo-taula;
chitarra-guitarra; …), le parole non-cognate sono parole che non condividono fonologia (macchina-
coche; ginocchio-rodilla; …). Partecipanti: Bilingui catalano-spagnolo
• Compito: denominazione di figure
• Variabili dipendente: latenza di denominazione
• Materiali: figure che rappresentano parole cognate e non-cognate tra Catalano e Spagnolo
Vogliamo cedere se c’è attivazione della lingua non in uso. La loro predizione è che forse la
fonologia di gatto riceve attivazione non solo della rappresentazione lessicale che devo recuperare,
ma anche dall’attivazione in catalano.
Cognate: Gat e Gato → ricevono attivazione fino a livello fonologico
Non-cognate: Taula e Mesa → non ricevono attivazione fino a livello fonologico
I risultati mostrano che i bilingui erano più veloci a individuare le parole cognate che le parole non
cognate.
Le conclusioni di Costa sull’effetto cognate sono che esistono due possibili interpretazioni;
a) a livello fonologico – le rappresentazioni fonologiche ricevono attivazione extra nei cognate
b) a livello lessicale – la rappresentazione lessicale riceve attivazione extra (backward) nei
cognate
3. Facilitazione fonologica nel paradigma di interferenza figura-figura (Miozzo e Colomé,
2010)
Versione monolingue
Compito: ‘Denomina la figura in Rosso ed ignora la figura in Nero’

Si osserva un effetto di facilitazione fonologica per cui le latenze di denominazioni sono più rapide
per campana-cammello rispetto a campana-albero. L’effetto sembra suggerire che il nome della
figura distrattore viene attivato a livello fonologico (anche se non viene “prodotto”). Conclusione:
L’attivazione si propaga in modo automatico dalla figura distrattore fino la fonologia.

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Versione bilingue
Studio di Colomé & Miozzo (2010)
Partecipanti:
- Bilingui Catalano-
Spagnolo → denominano in
catalano
- Monolingui Spagnolo
(gruppo controllo) →
denominano in spagnolo
Materiali: figure con nome
non-cognate
1. Figura target: –
Armilla (Catalano) (in
spagnolo → Chaleco)
2. Figura distrattore,
condizione fonologicamente
relata: – Esquirol (Catalano)
– Ardilla (Spagnolo)
3. Figura distrattore,
condizione fonologicamente
non relata: – Bec (Catalano)
– Pico (Spagnolo)

Domande sull’accesso lessicale nel bilingue:


1-Propagazione dell’attivazione: durante la produzione di parole (o frasi) in una lingua, le
corrispondenti rappresentazioni lessicali vengono attivate anche nell'altra lingua? SÌ! Esiste
accordo sul fatto che il sistema concettuale attivi contemporaneamente entrambe le lingue del

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parlante, sostenendo l'idea che il flusso di attivazione dal livello concettuale ai livelli lessicale e
fonologico non sia specifico della lingua.
Esperimento Boutonnet e collaboratori (2012) sul genere grammaticale.
Hanno presentato due figure, pomodoro e sedano, e poi una terza figura. Il partecipante doveva dire
se c’era una relazione semantica tra l’ultima figura e le due precedenti.
Si hanno quattro condizioni:
1. semanticamente congruente e genere congruente
2. semanticamente congruente e genere incongruente
3. semanticamente incongruente e genere congruente
4. semanticamente incongruente e genere incongruente

Hanno testato due gruppi di partecipanti:


Bilingui Spagnolo – Inglese (L1-Spagnolo, L2-Inglese)
Monolingui Inglese
Luogo di esperimento: Regno Unito
Tutte le istruzioni erano in inglese e prima dell’esperimento i partecipanti compilavano questionario
sulla competenza linguistica.
Sebbene la manipolazione importante, in questo caso, è quella del genere grammaticale, il compito
era semantico. Nel primo caso e terzo caso il genere è sempre maschile, nel secondo e quarto caso,
invece, la terza figura è femminile e non concorda per genere con le prime due.
Quello che si osserva è che c’è un effetto di congruenza semantica sia nei bilingui che nei
monolingui, ovvero è identico in entrambi i gruppi. Nel caso del genere grammaticale, invece, i
monolingui non mostrano differenze tra le condizioni di genere congruente e genere incongruente.
Al contrario, nel gruppo dei bilingui si vede una differenza tra le due condizioni. È interessante
perché questo avviene anche quando si sta facendo il compito in inglese e su un compito semantico
e non grammaticale.
La conclusione degli autori è che ci sia un accesso automatico, inconsapevole e spontaneo al genere
grammaticale, anche quando questa informazione non è fondamentale. Gli autori suggeriscono
anche che questa sia una prova a favore del relativismo linguistico (vedremo più avanti).
Esperimento Thierry & Wu (2007) di co-attivazione fonologica
Bilingui:
– Cinese-Inglese (bilingui tardivi: Inglese acquisito dopo i 12 anni)
– 2 gruppi di controllo: Monolingui Inglese e Monolingui Cinesi (con materiali cinesi)
Compito di relazione semantica: giudicare se 2 parole in inglese hanno una relazione semantica
oppure no
2 esperimenti: uno in modalità uditiva e uno in modalità scritta → stesso andamento nei risultati
Stimoli:
- train – ham
- apple – table
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- ecc.
Per la metà delle coppie sperimentali, le parole avevano in cinese un carattere comune (erano
fonologicamente correlate) → Quindi il test è in inglese e le parole usate sono appunto inglesi, ma
nella traduzione in cinese esse potevano presentare o meno un carattere comune.
- train – ham → Huo Che - Huo Tui
- apple – table → Ping Guo – Zhuo Zi
Tutti i gruppi (monolingui inglesi, bilingui cinese-inglese e monolingui cinesi con materiale cinese)
mostrano una condizione di effetto semantico. Ma la cosa interessante è quello che succede nella
condizione fonologica. Nella condizione fonologica vediamo che: i monolingui inglesi non c’è
differenza tra le due condizioni; i monolingui cinesi con materiale in cinese c’è un effetto
fonologico; i bilingui cinese-inglese mostrano un effetto fonologico, nonostante stiano facendo il
compito in inglese. La conclusione di questo esperimento è che anche quando la persona sta
leggendo e facendo un compito in L2 (inglese) si attiva anche la fonologia e anche l’ortografia della
L1 (cinese).
Paradigma Visual Word Paradigm - Allopenna, Magnusson e Tanenhaus (1998)
È un paradigma molto noto, il quale utilizza i movimenti oculari. La persona
deve focalizzarsi su un punto di fissazione al centro dello schermo e intorno
al punto di fissazione compaiono diversi stimoli. Mentre la persona fissa il
centro sente la frase “take the beaker” e deve andare a cliccare sull’oggetto
che ha sentito. Questo serve per analizzare cosa si attiva dal punto di vista
uditivo. Ci sono degli elementi di distrazione: beatle (condivide la prima
sillaba), speaker (condivide la sillaba finale), carriage (stimolo di controllo,
non condivide fonologia). L’esperimento va a misurare lo spostamento oculare (dove guardiamo) e
la manipolazione è di tipo fonologico (si può fare lo stesso esperimento manipolando la relazione
semantica). La cosa rilevante è rappresentata dal numero di volte in cui la persona guarda gli oggetti
sbagliati e quanto ci mette ad andare verso il target. I risultati mostrano che all’inizio, quando si
comincia a pronunciare la frase “take the beaker” si guardano tutti gli stimoli per lo stesso tempo.
All’inizio della prima sillaba, la persona comincia a guardare di più “beaker” e “beatle”, infine
guarda solo il target. Durante la seconda sillaba guarda un pochino anche ‘speaker’, ma non in
modo rilevante. ‘Carriage’, invece, non lo guarda mai se non all’inizio. Lo stesso esperimento è
possibile applicarlo in un contesto bilingue per controllare se c’è attivazione fonologica della lingua
non in uso.
Esperimento: Cross Talk between native and second languages: partial activation of an irrelevant
lexicon, Spivey & Marian (1999)
Subito dopo l’esperimento dell’altra volta ne è stato fatto un altro con partecipanti bilingui russo-
inglese. Metodologia: eye-tracking experiment. Compito: eseguire ordini in russo tipo “Poloji
marku nije krestika” (“Put the stamp below the cross”). Variabile dipendente: Tempo di fissazione.
Condizione: Interlingual-distractor-present
La traduzione del nome dell’oggetto distrattore inglese (lingua non utilizzata nel compito) era
fonologicamente correlato con l’oggetto target in russo
Distrattore: flomaster (marker)
Target: marku (stamp)
Condizione: Interlingual-distractor-absent
Senza relazione fonologica
Distrattore: lineika (ruler)
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Target: marku (stamp)
I risultati mostrano che i partecipanti fissavano di più il ‘marker’ che il ‘ruler’. Di nuovo si tratta di
una prova a favore della co-attivazione fonologica durante la comprensione del linguaggio parlato.
Ci sono anche prove a favore della co-attivazione in ortografia e lettura che però non affrontiamo.
Esperimento: When deaf signers read English: Do written words activate their sign translations?,
Morford, et al. (2010)
Ora andiamo a vedere anche se esiste co-attivazione fonologica tra diverse modalità linguistiche,
come possono essere le lingue orali e le lingue segnate. In questo caso la fonologia della lingua
orale non può essere influenzata dalle lingue segnate, perché i sistemi sono completamente diversi.
Si tratta di un compito di decisione semantica, in cui i partecipanti devono decidere se due parole in
inglese sono semanticamente correlate o meno (father-mother, movie-paper, heart-brain, baby-
lion). La decisione si fa attraverso un tasto Sì / No- I partecipanti erano bilingui Sordi ASL
(American Sign Language) – Inglese.
Per ‘fonologicamente correlata’ nella lingua dei segni si intendono parametri tipo: la
‘configurazione’, ovvero la forma della mano; la posizione in cui si segna (una stessa
configurazione significa cose diverse se attuata in posti diversi es: sul petto, vicino all’orecchio,
davanti al viso, ecc.); il movimento (verso alto, verso basso, ecc.).
Quindi nell’esperimento abbiamo due condizioni: correlazione semantica father-mother e heart-
brain e mancanza di correlazione semantica movie-paper e baby-lion. Tra queste, le etichette
father-mother e movie-paper sono fonologicamente correlate nel linguaggio dei segni, mentre le
altre non lo sono:
Quello che viene osservato,
innanzitutto, è che le risposte
‘sì’ (father-mother, heart-
brain) sono più veloci delle
risposte ‘no’ (movie-paper,
baby-lion). In secondo luogo,
vediamo che i partecipanti
erano più veloci a dire ‘sì’
quando la coppia era anche
fonologicamente correlata
(father-mother), rispetto a
quando non lo era (heart-
brain). Il gruppo di controllo
monolingui inglesi, poi,
dimostra nuovamente che si è
più veloci a dire ‘sì’ che ‘no’,
ma qui non vediamo l’effetto
della fonologia.

TEMA 5 - Accesso lessicale e bilinguismo (seconda parte)


All’inizio della quarta lezione avevamo posto due domande, ovvero:
• 1-Propagazione dell’attivazione: durante la produzione di parole (o frasi) in una lingua, le
corrispondenti rappresentazioni lessicali vengono attivate anche nell'altra lingua?

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• 2-Meccanismo di selezione lessicale: che tipo di meccanismi cognitivi utilizziamo per
selezionare le parole nella lingua che vogliamo produrre ed evitare quelle dell'altra lingua?
In questa quinta lezione andremo ad analizzare la seconda domanda. Abbiamo visto che esiste co-
attivazione delle diverse lingue, ma ora dobbiamo analizzare come il parlante bilingue seleziona le
parole nella lingua adeguata.
Per analizzare la questione, parleremo di due modelli:
- Modello di controllo inibitorio: inibizione del linguaggio non-target (Green, 1998) →
L’attivazione delle rappresentazioni lessicali della lingua che non si usa viene soppressa o
inibita.
- Modello di selezione specifico della lingua (Costa et al., 1999) → L’attivazione delle
rappresentazioni lessicali della lingua che si utilizza non è considerata durante il processo di
selezione lessicale.
Vediamo le principali differenze tra i due modelli:
Controllo inibitorio:
- tutte le lingue sono attivate
- le lingue competono durante la selezione lessicale
- il lessico della lingua non-target è inibito mediante un meccanismo di controllo cognitivo
(inibizione)
Selezione specifico:
- tutte le lingue sono attivate
- non c’è competizione della lingua non-target
- il lessico della lingua non-target è inibito
Andiamo a fare un esperimento: The language switching task in picture naming
I partecipanti bilingui devono denominare stimoli in entrambe le lingue, passando dall’una all’altra.
Istruzioni:
- se il colore della figura è rosso bisogna dire il nome della figura nella propria L1 (es.
italiano)
- se il colore della figura è blu bisogna dirlo in L2 (es. inglese)
Ci sono quattro condizioni sperimentali:

- senza cambio di lingua


o da L1 a L1(leaf-table)
o da L2 a L2 (formaggio-cane)
- con cambio di lingua
o da L2 a L1 (table-carota, window-formaggio)
o da L1 a L2 (carota-window)
La variabile è la latenza di denominazione. I risultati mostrano che le prove che implicano uno
switch linguistico richiedono più tempo. Ciò che è interessante, però, è che nelle condizioni di
switch si osserva che, contrariamente a quanto ci si aspetta, è più facile attuare uno switch da L2 a
L1 che da L1 a L2, ovvero nella prima condizione di switch i tempi di latenza sono più brevi.
Questo viene spiegato dagli autori con la teoria per cui quando io parlo L2 ho molte più necessità di

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inibire L1 rispetto alla situazione contraria, per cui, successivamente, ci vorrà più tempo a disinibire
L1 che L2. Questo è un dato empirico a favore del modello dell’inibizione.

Andiamo ad analizzare in modo più approfondito i due sistemi accennati nella lezione precedente e
lo facciamo attraverso due compiti di selezione lessicale:
- paradigma interferenza figura-parola (Costa, Miozzo e Caramazza, 1999)
- paradigma di cambio di lingua (Meuter e Allport, 1999)
(integrare con slides lezione 5)
Paradigma interferenza Figura-Parola
Ci mettiamo di più a denominare l’oggetto
‘macchina’ quando la parola di distrazione è un
correlato semantico (‘aereo’). Questo perché la
competizione lessicale che si attiva tra macchina
e aereo è maggiore di quella che si attiva tra
macchina e aceto
Questo tipo di fenomeno è stato dibattuto molto
in psicologia del linguaggio per cercare di capire
come avviene la selezione lessicale in generale.
L’interpretazione più nota e accreditata di questo
fenomeno è che la selezione lessicale avviene per
competizione. Un’altra proposta è che la
selezione lessicale avvenga per attivazione. → materiali supplementari
Questo esperimento può essere fatto anche in modo tale
che l’elemento di distrazione sia in una lingua diversa.
Ci sono tre condizioni:
- nessuna relazione semantica
- c’è relazione semantica di tipo categoriale
- traduzione della parola
In questo ultimo caso vediamo che si riceve
attivazione sia dalla figura che dalla parola (gatto-
cat).
Se la selezione avviene per competizione e questa
competizione coinvolge le due lingue, allora mi aspetto
un effetto di interferenza semantica. Questa cosa,
secondo il modello del controllo inibitorio, avviene anche con la terza condizione, quindi entra in
gioco anche il lessico della L2.
I risultati, invece, mostrano che solo nella condizione di coordinate c’è interferenza e nell’altra
condizione c’è facilitazione. Il modello di controllo inibitorio non riesce a spiegare questo
fenomeno di facilitazione. Il modello di selezione specifico, invece, spiega questo effetto perché, sì
“cat” attiva il lessico inglese, ma questo non entra in gioco durante la selezione, perché esso va ad
attivare la stessa rappresentazione lessicale della figura che si deve denominare.
Quindi si tratta di una critica al modello inibitorio. Tuttavia, altri studi mostrano evidenza a favore
dell’esistenza di un controllo inibitorio durante la produzione orale nei parlanti bilingui, come nel
paradigma di switching che abbiamo visto l’altra volta, dove abbiamo dimostrato che i costi per il
cambio di lingua è un fenomeno asimmetrico. Questo però avviene con degli studenti. Ma cosa
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avviene con dei bilingui bilanciati? Con i bilingui bilanciati osserviamo che invece c’è simmetria,
ovvero non c’è differenza a livello di costo di latenza nel cambiare da L1 a L2 o da L2 a L1.
C’è un’altra manipolazione sperimentale che possiamo fare: cosa succede con un bilingue bilanciato
quando, invece di parlare una L1 e una L2 in cui sono bilanciato, devo parlare una L1 e una L3 in
cui non sono bilanciato. Ci aspettiamo che torni l’asimmetria, ma contrariamente alle previsioni i
bilingui bilanciati non mostrano costi di cambio asimmetrici neanche quando eseguono l’attività di
cambio lingua in una situazione simile a quella dei bilingui sbilanciati.

Prima di approfondire le differenze tra bilingui bilanciati e bilingui sbilanciati, andiamo a vedere un
modello di accesso lessicale sul bilinguismo. È uno dei modelli più importanti ed è di Green e
Abulatebi (2013). La loro proposta è chiamata Adaptative Control Hypothesis.
La loro proposta è che il tipo di controllo che il bilingue esercita sul sistema linguistico è modellato
dal tipo di esperienza di bilinguismo. Quindi, sappiamo che il bilingue deve fare qualcosa in più del
monolingue, perché c’è questa coattivazione, ma i due studiosi dicono che il tipo di controllo che
deve fare il bilingue dipende dall’esperienza del bilinguismo, ovvero dal contesto bilingue in cui ci
si trova.
Loro propongono i seguenti contesti interattivi:
- single-language context
Due contesti monolingui separati. In un contesto si parla una lingua ed in un altro contesto
separato si parla un’altra lingua. Non si passa spesso da una lingua ad un’altra.
- dual-language context
Contesto bilingue. Si usano lingue diverse con persone diverse ma nello stesso contesto. Si
passa da una lingua all’altra durante una conversazione, ma con parlanti diversi e mai
all’interno della stessa frase.
- dense code-switching context
Contesto mescolato, con frequenti cambi di codice. I parlanti mescolano le parole di due
lingue in una stessa frase, adattando le parole di una lingua al contesto dell’altra
Gli obiettivi del loro studio sono:
a) identificare i processi di controllo del linguaggio che supportano la conversazione nei
diversi contesti interattivi (individuare i processi);
b) articolare le richieste dei contesti interattivi su questi processi di controllo (dire cosa fanno);
c) precisare le basi neurali di questi processi (cosa succede nel cervello). → non lo
approfondiamo
I processi di controllo cognitivo che possono essere identificati sono:
1) Goal maintenance.
Proactive control processes: è il tipo di controllo necessario per mantenere la concentrazione al
fine di portare a termine un compito (e.g., parlare una lingua)
2) Interference control: conflict monitoring and interference suppression.
Reactive control: è un processo di controllo che ha lo scopo di inibire la possibile interferenza
di altre rappresentazioni (e.g., inibire l’interferenza della lingua che non si sta parlando)
3) Salient cue detection.
Si tratta della capacità di individuare i segnali conversazionali rilevanti a livello di scopo
comunicativo. Questa capacità è fondamentale per il successo della conversazione. In un
contesto dual-language, ad esempio, l’arrivo di una nuova persona può essere funzionare da

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segnale per il passaggio ad un’altra lingua, che è quella solitamente parlata con il nuovo
arrivato.
4) Selective response inhibition.
Il compito di questo processo è quello di interrompere l’uso della lingua che si stava
utilizzando.
→ smettere di parlare
5) Task disengagement.
È collegato con il processo 4. Mentre il processo 4 si limita ad interrompere il parlare in una
certa lingua, il processo 5 comporta il mettere da parte, l’abbandonare quella lingua.
→ non usare più quella lingua
6) Task engagement.
È collegato ai processi precedenti, perché permette di attuare lo switch dalla lingua precedente
alla nuova lingua che devo utilizzare.
→ passaggio all’altra lingua
7) Opportunistic planning.
È il processo che permette di utilizzare ciò che, in un dato momento, è più utile per raggiungere
lo scopo comunicativo.
→ è utile nel contesto di code-switching, perché in questo contesto la persona che sta parlando
sa che anche l’interlocutore conosce entrambe le lingue

In funzione del tipo di contesto i meccanismi di controllo sono richiesti in diverso modo:

Questi processi cognitivi possono essere osservati attraverso alcuni studi/esperimenti, entriamo
quindi nella parte meno linguistica e più cognitiva del discorso.
Testing: Salient cue detection
Chiedono diversi tipi di compiti di produzione (fluenza verbale, dialogo con la fotografia di una
persona, denominazione di figure, ecc.) e loro
presentano delle cues congruenti o incongruenti
con il contesto culturale del parlante. In questo
caso la cue era una foto di una persona asiatica
oppure di una persona caucasica. Il colore della
cornice diceva se usare l’inglese o il cinese.
Possiamo parlare di cue culturali, ad esempio:
A- Immagini iconiche/facce:
Gli autori presentavano segnali che potevano
essere congruenti o incongruenti con il contesto
culturale della lingua parlata dall’intervistato. Gli
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intervistati (bilingui cinese-inglese) dovevano fare un semplice compito di picture-naming.
Insieme alla figura c’era anche la faccia di una persona, la quale poteva avere tratti asiatici o tratti
caucasici.
Il colore della cornice indicava la lingua che doveva essere utilizzata.
Si avevano, quindi, quattro possibili contesti:
- Lingua cinese e persona asiatica → contesto coerente;
- Lingua cinese e persona caucasica → contesto incoerente;
- Lingua inglese e persona asiatica → contesto incoerente;
- Lingua inglese e persona caucasica → contesto coerente.
I risultati mostrano che c’erano degli effetti di coerenza/incoerenza. In particolare, l’uso di una
lingua orientale è inibito quando viene presentata una immagine iconica della cultura occidentale
(es. Statua della Libertà) o una faccia di una persona caucasica anziché una immagine della cultura
asiatica o una faccia asiatica (Zhang e coll., 2013)
B- Bandiere
Conosciuto come il ‘flag-language congruency effect’. In un compito di decisione lessicale
generalizzata (decidere se una stringa di lettere è una parola in francese o in inglese) viene
presentata una bandiera francese o inglese 50ms prima della stringa di lettere. I risultati mostrano
che i tempi di risposta sono più veloci nella condizione congruente tra la bandiera e la lingua dello
stimolo (Grainger et al. 2017)
La critica che viene mossa a questi studi è che sono ‘utili fino ad un certo punto’, nel senso che
sono sicuramente interessanti, ma – soprattutto nel caso delle bandiere – raramente rispecchia una
situazione di comunicazione reale. Andiamo a vedere, perciò, un altro studio sulla cue detection.
L’identità linguistica dell’interlocutore, Molnar et al., 2015; Martin et al. 2016
È uno studio che va ad indagare sul ruolo dell’identità linguistica dell’interlocutore a livello di
comprensione cognitiva del linguaggio. Per identità linguistica dell’interlocutore si intende la nostra
conoscenza riguardo le sue competenze linguistiche di diverse lingue. Si tratta dell’ipotesi per cui se
so che una persona parla correntemente sia l’inglese che l’italiano (come me), il mio compito di
inibizione sarà meno controllato rispetto a quando parlo con qualcuno che sa solo l’italiano o solo
l’inglese.
La domanda di partenza dello studio è: “Durante la comprensione del linguaggio parlato, i bilingui
si adattano ai contesti interazionali basati sulla conoscenza degli interlocutori oppure no?”.
Esperimento:
- Partecipanti: Bilingui Bilanciati Spagnolo-Basco (altamente competenti)
- Procedura:
o Familiarizzazione:
Presentazioni di 6 parlanti. Vengono presentati 6 video di circa 2 minuti; in questi
video, 2 monolingui spagnoli, 2 monolingui baschi e 2 bilingui raccontano la loro storia.
o Audio-visual lexical decision task
Gli stessi interlocutori (volti) che hanno raccontato la loro vita ora dicono parole o non-
parole. Il partecipante preme un tasto per la parola e un altro tasto per la non-parola.
- Condizioni:
o Interlocutori spagnoli: per il 75% delle volte produrranno parole e non-parole in
spagnolo e per il 25% in Basco (cambio di lingua).
o Interlocutori baschi: per il 75% delle volte produrranno parole e non-parole in Basco e
per il 25% in spagnolo (cambio di lingua).
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o Interlocutori bilingui: per il 50% delle volte produrranno parole e non-parole in
spagnolo.
- Variabile dipendente: tempo di reazione.
- Condizioni sperimentali:
o Congruente (frequenza: 75%)
→ interlocutori che si sono presentati come monolingui spagnoli dicono parole e non
parole in spagnolo
→ interlocutori che si sono presentati come monolingui baschi dicono parole e non
parole in Basco
o Incongruente (frequenza: 25%)
→ interlocutori che si sono presentati come monolingui spagnoli dicono parole e non
parole in Basco
→ interlocutori che si sono presentati come monolingui baschi dicono parole e non
parole in spagnolo
o Interlocutore bilingue (frequenza: 50%)
Gli autori, prima del test, fanno delle predizioni sui risultati:
- Per gli interlocutori monolingui
Se la attivazione di una lingua si adatta all’identità dell’interlocutore  ci si aspettano tempi
di reazione maggiori per le prove incongruenti (interlocutori spagnoli che producono parole
e non parole basche e interlocutori baschi che producono parole e non parole spagnole) che
per le prove congruenti
- Per gli interlocutori bilingui
Gli interlocutori bilingui producono sempre prove congruenti → cioè, la lingua in cui le
parole e le non parole verranno dette è imprevedibile (a differenza della condizione
monolingue).
Davanti a un interlocutore bilingue non ci sarà adattamento linguistico → Per questo i tempi
di reazione dovrebbero essere maggiori delle prove congruenti dei monolingui.
Si sta testando il controllo proattivo (la domanda è io mi adatto all’interlocutore?)
I risultati mostrano che:
1. I partecipanti bilingue competenti hanno risposto più rapidamente alle prove condotte nella
lingua precedentemente associata con interlocutori monolingue (prove congruenti prevedibili)
rispetto alle prove con una discrepanza tra la lingua dello stimolo uditivo e la lingua associata
dell'interlocutore (prove incongruenti);
2. I partecipanti bilingui rispondono più lentamente nella condizione bilingue (non predicibile e
congruente) rispetto alla condizione monolingue congruente.
I risultati, quindi, vanno a confermare le previsioni degli autori.
Conclusioni:
• Bilingui competenti sono in grado:
– di adattare le loro strategie di comprensione della lingua parlata basandosi su segnali (cues)
non linguistici forniti dall’identità dell’interlocutore
– di stabilire connessioni tra gli interlocutori e il loro background linguistico, inteso come
parte del contesto di interazione
• Come dimostrato nella teoria del controllo adattivo, gli interlocutori possono funzionare come
segnali (cues) salienti per supportare i meccanismi di controllo del linguaggio
• L'effetto dell’interlocutore potrebbe derivare da un’automatica attivazione di un Language
schema a partire da un volto.
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• Diversi studi nell'area del controllo cognitivo generale (non relativo alla lingua) hanno
dimostrato che in compiti simili a quello applicato nello studio attuale, il sistema cognitivo non
solo risponde alle richieste di compiti in modo reattivo (alla presentazione dello stimolo), ma
formula previsioni prima della presentazione dello stimolo (quando c’è un cue che indica cosa
fare), in modo proattivo.
La lezione di domani sarà incentrata invece su un’altra cosa che deriva da questo studio, ovvero:

C’era un effetto di congruenza per cui, quando la parola viene prodotta da un interlocutore
monolingue, il partecipante era più veloce a fare il compito di quando l’interlocutore era bilingue.
In quest’ultimo caso, infatti, il partecipante non può sapere che lingue parlerà questa persona e
questo si rifletteva nel tempo di risposta.
Un’altra cosa importante di questo paradigma è quello che succede prima che la persona cominci a
parlare. Possiamo andare a vedere se l’adattamento proattivo del partecipante avviene prima che lo
stimolo/la parola sia pronunciato?
Esiste una tecnica chiamata dei “Potenziali Evocati”, che ci permette di registrare l’attività
neuronale. Si tratta di una risposta elettrica alla presentazione di uno stimolo. Lo stimolo sarebbe la
presentazione dell’interlocutore. Quindi, fisso il punto di fissazione, poi compare la faccia
dell’interlocutore: questo è il potenziale evocato. Mi interessa vedere la diversa risposta
elettrofisiologica di un monolingue rispetto ad un bilingue.
I risultati mostrano che:
- Quando l’interlocutore era un monolingue basco o spagnolo non ci sono differenze;
- Quando l’interlocutore era bilingue c’è una differenza.
Questo dimostrerebbe che avendo informazione sull’identità linguistica del nostro interlocutore ci si
può preparare ad ascoltare quello che stiamo per sentire. Questo succede anche in assenza di
informazione linguistica. Abbiamo, quindi, una preparazione diversa davanti ad un interlocutore che
sappiamo che è monolingue, rispetto a quando sappiamo che l’interlocutore è bilingue.
Quello che c’è da ricordare è che la risposta fisiologica è diversa in base al fatto che l’interlocutore
sia bilingue o monolingue e questo accade prima che l’interlocutore cominci a parlare.

TEMA 6 - CONSEGUENZE LINGUISTICHE DEL BILINGUISMO


L’esperienza bilingue non ha effetti drammatici sulle capacità linguistiche. Esistono persone
bilingue altamente competenti in entrambe le lingue. Esistono però minime differenze linguistiche
tra monolingue e bilingui; queste piccole particolarità sono molto rilevanti per capire i processi
cognitivi sottostanti al linguaggio.
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Prima differenza.
È stato fatto un esperimento di denominazione di figure con monolingui inglesi e con bilingui
spagnolo e inglese, dove la maggior parte dei bilingui ha affermato che l’inglese era la loro lingua
dominante. Tutti facevano parte della stessa università. Si voleva calcolare la latenza di risposta tra
il tempo di comparsa della figura e il tempo di denominazione (in inglese). I risultati mostrano che i
monolingui sono più veloci dei bilingui nei tempi di risposta. Per esperimento di controllo si fa un
esperimento di classificazione semantica, in cui vengono presentate le stesse figure e i partecipanti
devono decidere, premendo un pulsante, se la figura è un animale o meno. In questo caso non ci
sono differenze significative. Questo significa che si nota una differenza solo nel parlato. La
conclusione, quindi, è che i bilingui sono più lenti nell’accesso lessicale rispetto ai monolingui.
Uno studio successivo ha ripetuto questo esperimento ma ha preso studenti di diverse università. I
partecipanti monolingui erano di Madrid, mentre quelli bilingui di Barcellona (la cui L1 è
spagnolo). La denominazione avveniva in spagnolo. I risultati mostrano di nuovo che i bilingui
sono più lenti dei monolingui (di pochissimo, ma comunque più lenti, anche nella loro L1). La
motivazione sta in una questione di frequenza.
Seconda differenza.
È un esperimento di fluenza verbale che può essere:
- Fonologica: si tratta di un compito in cui viene chiesto per un minuto di dire tutte le parole
che le vengono in mente con una determinata lettera dell'alfabeto, evitando i nomi propri.
Inoltre, non sono considerate valide parole derivate come i diminutivi. Tutto il resto va bene:
verbi, aggettivi, sostantivi ecc.
- Semantica: stesso compito, ma dicendo parole di una determinata categoria semantica
(frutti, animali, ecc.)
I risultati mostrano che i bilingui recuperano meno parole rispetto ai monolingui (sempre di
pochissimo).
Terza differenza
Quando prendiamo in considerazione l’effetto “punta della lingua” vediamo che capita più spesso ai
bilingui. Capita con le parole di bassa frequenza e non-cognate (a meno che non siano state
imparate da piccoli, perché per il lessico appreso in prima età le connessioni neurali sono più forti).
Ricapitolando:
Questi esperimenti dimostrano un leggero svantaggio linguistico dei bilingui, nel senso che i
bilingui:
– sono più lenti nella denominazione di figure;
– accedono a meno parole nel compito di fluenza verbale;
– sperimentano maggiormente il fenomeno sulla punta della lingua (tip of the tongue).
Vocabolario recettivo infantile
Parleremo del lavoro di Bialystok, che è stata la psicologa più importante per la ricerca sul
bilinguismo, in cui viene misurato il vocabolario recettivo infantile
Nello studio viene utilizzato il cosiddetto Peabody Picture Vocabulary Test (PPTV); si tratta di un
test molto diffuso in psicologia linguistica. È un test studiato appositamente per misurare il
vocabolario recettivo uditivo di bambini tra i 3 e gli 11 anni. In questo senso è un test di
apprendimento poiché mostra l'estensione dell'acquisizione del vocabolario italiano. Fornisce una
stima veloce di uno dei maggiori aspetti delle abilità verbali dei soggetti. La versione italiana è stata
curata da G. Stella, C. Pizzoli e P. Tressoldi.
Il test funziona così:
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• L’esaminatore dice una parola e mostra 4 figure di cui una sarà il target. Il bambino può
indicare (o dire il numero corrispondete alla figura per i bambini più grandi) che considera
corretta;
• Ci sono 175 prove/parole suddivise in diversi set (nella versione inglese 204 prove in 17 sets
di 12 prove ciascuno);
• L’ordine di difficolta dei set è crescente. Il test continua fino a che il bambino non fa un certo
numero di errori in un set (fino 8 errori nella versione inglese).
Bialystok ha utilizzato il test per testare 1738 bambini (3-10 anni), di cui 772 erano monolingui e
966 erano bilingui. Tutti frequentavano scuola in inglese (educazione e paese di residenza Stati
Uniti), quindi tutti parlavano l’inglese; i bambini bilingui parlavano a casa una lingua diversa. I
genitori dei bambini bilingui erano tutti bilingui e fluenti in inglese (quindi le realtà
socioeconomiche familiari erano simili per tutti i bambini bilingui e monolingui). Lo scopo è di
vedere se c’è qualche differenza nel vocabolario recettivo dei bilingui rispetto a quello dei
monolingui.
I risultati mostrano in modo chiaro che i bambini bilingui hanno un vocabolario recettivo minore.
Una possibile spiegazione di questo fenomeno potrebbe essere di nuovo quello della frequenza di
esposizione, ma una spiegazione forse più corretta è data dal fatto che le parole che fanno
riferimento ad un contesto scolastico sono più utilizzate in inglese, perché sono parole che sono
utilizzate solo in quel contesto, mentre le parole di altre categorie (nel test venivano usate parole di
qualsiasi categoria: sport, giardinaggio, casa, ecc.) sono maggiormente utilizzate dai bambini
bilingui in un contesto non scolastico, quindi non in lingua inglese.

TEMA 7 - CONSEGUENZE COGNITIVE DEL BILINGUISMO:


FUNZIONI ESECUTIVE
Se ci presentano la fotografia di un oggetto, non abbiamo difficoltà a denominare l'immagine in
meno di un secondo. Come facciamo a denominare oggetti in modo così rapido e senza errori? Per
rispondere a questa domanda bisogna parlare di funzioni esecutive, ovvero controllo cognitivo.
Per funzioni esecutive (o controllo cognitivo) si intende la capacità degli esseri umani di esercitare
controllo sui propri pensieri e le proprie azioni, di dirigere e focalizzare l’attenzione su informazioni
rilevanti per il compito e di inibire azioni o stimoli inappropriati.
Si tratta di un insieme di processi, come:
– pianificazione strategica,
– cambio di strategia in risposta a cambiamenti negli obiettivi o cambiamenti nell'ambiente,
– attenzione
– memoria di lavoro
– ricerca organizzata
– soppressione delle risposte prepotenti
– monitoraggio dei compiti
– aggiornamento delle rappresentazioni della memoria di lavoro
– …
L'orchestrazione tra questi diversi processi sarebbe ciò che consente agli esseri umani di controllare
e regolare il comportamento Districare ognuno di questi processi di controllo esecutivo, però, è
estremamente difficile dato che molti di essi cooccorrono; ciononostante, diversi paradigmi
sperimentali sono stati sviluppati come strumenti di valutazione di alcuni dei processi esecutivi.

34
Vedremo alcuni paradigmi che cercano di studiare i processi di: guida dell'attenzione; cambio di
attività; elaborazione del conflitto.
1. Guida dell’attenzione
Si tratta di dirigere l'attenzione allo stimolo bersaglio ignorando stimoli irrilevanti che, pur non
generando conflitto, creano distrazione. Molti degli esperimenti in questo campo sono stati fatti
attraverso stimoli visivi, perché sono più facili da controllare. Questi compiti di ricerca visiva
consistono nel dovere decidere qualcosa in base ad uno stimolo visivo (che è uno dei processi di
controllo cognitivo); tra questi stimoli, alcuni sono irrilevanti e fungono da elemento distrattore.
Questi elementi distrattori possono essere più o
meno simili allo stimolo target.
Compito sperimentale: Il compito è quello di
trovare lo stimolo inclinato con la linea obliqua
presente nel display e indicarne la direzione
(destra o sinistra). L’attenzione è estrinsecamente
guidata per mezzo di un distrattore irrilevante
saliente unico per colore e forma.
Ci sono tre condizioni, rappresentate dalle tre immagini in figura e si considera:
– Prove valide = il distrattore contiene il target (immagine più a sinistra);
– Prove non valide = il distrattore è presente nel display ma non contiene il target (immagine
centrale);
– Prove neutre = non è presente un distrattore nel display (immagine a destra).
I risultati mostrano che i tempi di risposta, ovvero di corretta individuazione del target sono più
facili quando il distrattore contiene il target. In scala, i tempi di risposta vedono: Prove Valide <
Prove neutre < Prove non valide.
2. Cambio di attività
Cambiare attività (ad esempio, interrompere la digitazione sul computer per rispondere al telefono)
implica il passaggio tra diversi set mentali (cioè, modelli di associazione stimolo-risposta). È un
processo che comporta un costo a livello delle risorse di controllo esecutivo. È quello che abbiamo
già incontrato nella lezione 3, quando i bambini di Byalistok dovevano classificare delle carte in
funzione del colore e, poi, a metà dell’esperimento doveva cambiare e classificare in base alla
forma; si era dimostrato che il compito era più facile per i bambini bilingui.
Con gli adulti si è scelto un compito diverso, più difficile; i
partecipanti devono abbinare la carta bersaglio (choice card)
con una delle quattro carte (key cards) in funzione a due
possibili regole:
• abbinare per colore
• abbinare per forma
Durante il test, uno stimolo visivo compare in modo
imprevedibile, indicando ai partecipanti di cambiare la
regola oppure di continuare con la stessa regola di prima.
Con questo esperimento possiamo misurare il costo locale,
ovvero i tempi di risposta (TR) nel passaggio chiave, ovvero quello in cui mi arriva lo stimolo che
mi dice se cambiare o mantenere la regola. I risultati mostrano che i tempi di risposta sono più
lunghi quando cambio la regola, rispetto a quando devo mantenere la stessa regola. Ad esempio:
a) forma-forma-forma ~ colore-colore-colore → TR più lunghi

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b) colore-colore-colore ∫ colore-colore-colore
C’è anche un altro tipo di costo, il costo di riavvio: si calcolano i tempi di risposta in una condizione
di mantenimento della regola. Si confrontano però due tempistiche: nel momento di denominazione
subito dopo al cue visivo di mantenimento e nel momento di denominazione successivo. Ad
esempio:
a) colore-colore-colore ∫ colore –colore-colore → TR più lunghi
b) colore-colore-colore ∫ colore–colore-colore
3. Elaborazione del conflitto
Si verifica quando uno stimolo irrilevante compete con lo stimolo bersaglio. È quello che abbiamo
visto con il Compito Stroop (1935) e con il Compito Simon (1967).
Nel compito Stroop è chiesto ai partecipanti di denominare il colore dell'inchiostro delle parole
scritte a colori. Il risultato tipico è che i partecipanti sono molto più lenti nel denominare il colore
dell'inchiostro di parole di colore incongruenti (ad es., dire “rosso” alla parola blu scritta con
inchiostro rosso, BLU) che nel nominare il colore dell'inchiostro di una riga di X neutre (ad es.,
XXX) o parole di colore congruenti (cioè, ROSSO).
Si hanno, quindi, due possibili effetti:
• Effetto d’interferenza (o conflitto): riflette il costo temporale dell'impegno dei processi di
controllo esecutivo per risolvere il conflitto tra due risposte concorrenti: quella corretta
(“rosso”) e quella irrilevante (“blu”).
• Effetto di facilitazione: riflette il beneficio ricevuto da distrattori irrilevanti che, invece di
distogliere l'attenzione dalla risposta corretta, aiutano a rispondere al bersaglio poiché
entrambi suscitano la stessa risposta di quello bersaglio (cioè, “rosso”).
Nel compito Simon, invece, due bersagli sono associati a differenti risposte spaziali; ad es., rispondi
con la mano sinistra a un cerchio rosso e con la mano destra a un cerchio verde. Lo stimolo può
apparire nella posizione destra o sinistra dello schermo. Il colore dello stimolo è la dimensione
bersaglio; mentre che la sua posizione è la dimensione distraente. L'effetto Simon consiste nella
seguente osservazione: i tempi di reazione sono più rapidi (RT) quando la risposta richiesta dalla
dimensione target corrisponde alla posizione dello stimolo sullo schermo (prove congruenti; ad es.,
cerchio rosso presentato a destra dello schermo) rispetto a quando non lo fa (prove incongruenti; ad
es., cerchio rosso presentato sulla sinistra dello schermo). Questo effetto rivela il tempo necessario
per risolvere il conflitto tra le due risposte spaziali contraddittorie suscitate dal bersaglio e le
dimensioni del distrattore.
Un altro compito che si basa anche
sull'uso di informazioni spaziali in
conflitto è il Compito Flanker (1967).
Nel compito viene chiesto ai
partecipanti di determinare la direzione
di una freccia centrale. Intorno alla
freccia target, ci sono frecce che
puntano alla stessa direzione (prove
congruenti →→→→→) o opposte
(incongruenti prove →→ ← →→). I
risultati mostrano che le prove
incongruenti portano a tempi di risposta più lenti rispetto a prove congruenti (l'effetto del conflitto),
rivelando il costo del tempo associato alla risoluzione del conflitto.

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Particolarità del bilingue
Ormai sappiamo che la padronanza di due lingue ha importanti implicazioni per l'elaborazione del
linguaggio, per i processi cognitivi sottostanti all’utilizzo del linguaggio. Ma perché il bilinguismo
dovrebbe avere un impatto sui processi di controllo esecutivo, su un processo cognitivo generale?
Risposta: Lo sviluppo funzionale e strutturale della cognizione non è solo legato a vincoli di
maturazione (sviluppo) ma è anche influenzato da fattori ambientali.
Questa cosa era già stata dimostrata per i bambini da Bialystock, come visto nella lezione 3. Ora
vediamo alcune prove per gli adulti.
Prove con adulti
Sempre Bialystock ha eseguito un compito Simon con gli adulti, andando a vedere le differenze tra
monolingui e bilingui.
Le prove con adulti tra 60 e 88 anni mostrano alcuni
importanti risultati importanti:
- Se analizzo il fattore prova posso dire che la latenza di
risposta è minore nelle prove congruenti rispetto alle prove
incongruenti;
- Se analizzo il fattore gruppo posso dire che il gruppo
dei bilingui ha latenza di risposta minore rispetto al gruppo
dei monolingui;
- La cosa più importante è che questi due fattori
interagiscono: l’effetto di conflitto delle prove incongruenti
era maggiore per i monolingui che per i bilingui.
È stato poi controllato quant’è la differenza di latenza di risposta in base all’età ed è stato
dimostrato che, man mano che si sale con l’età, il distacco tra monolingui e bilingui cresce. Questo
significa che, mentre c’è poca differenza tra bilingui e monolingui nella fascia d’età tra i 30 e i 60
anni, c’è una differenza crescente tra bilingui e monolingui nella fascia d’età tra i 60 e gli 88 anni.
Unendo questi risultati a quelli del test dei bambini, Bialystock conclude che si tratta di una
questione di sviluppo e declino. I bambini stanno ancora sviluppando le loro funzioni cognitive e il
bilinguismo aiuta in questo compito; allo stesso tempo, il declino delle funzioni cognitive negli
anziani è più lento per i bilingui rispetto ai monolingui. Queste osservazioni hanno portato
Bialystok a proporre che gli effetti del bilinguismo sui processi di controllo esecutivo non sono
rilevabili nella giovane età adulta a causa del fatto che sia i bilingui che i monolingui sono al
culmine della loro efficienza cognitiva. In altre parole, quando le capacità di controllo esecutivo
lavorano alla loro massima capacità, non c'è spazio per il bilinguismo di esercitare alcun vantaggio
notevole nelle funzioni di controllo cognitivo.
Costa: I giovani adulti
Le conclusioni di Bialystock sui giovani adulti sono state indagate da Costa, il quale ha cercato di
capire se i giovani adulti bilingui e monolingui effettivamente differiscono nelle loro capacità di
controllo cognitivo.
Nel suo primo studio Costa compie un Flanker Task con giovani di età media di 22 anni. Si tratta
di:
- 100 bilingui bilanciati Catalano-Spagnolo;
- 100 monolingui Spagnolo.
I risultati mostrano, come ci si aspetta, che sia per i monolingui che per i bilingui i tempi di risposta
sono maggiori nelle prove incongruenti, quindi c’è un effetto di conflitto. Un secondo risultato

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mostra che c’è un effetto di ripetizione generale, ovvero tutti i partecipanti tendevano a migliorare
man mano che l’esperimento proseguiva.
Tenendo in considerazione che le prove sono state affrontate in 3 blocchi (un pezzo di prova, poi
pausa, poi un secondo pezzo di prova, poi pausa, poi terzo blocco), la cosa importante è che è stata
registrata una tripla interazione tra i tre fattori di conflitto, ripetizione e gruppo (questo significa che
l’effetto di conflitto è diverso tra bilingui e monolingui e questa differenza dipende dal blocco preso
in considerazione): i bilingui subiscono meno conflitto dei monolingui nei primi blocchi, mentre nel
blocco finale la differenza non era significativa.
I risultati contrastanti rispetto a quelli di Bialystock hanno portato ad un approfondimento attraverso
un secondo studio.
In questo secondo studio è stata manipolata la percentuale di prove congruenti e incongruenti. Così
facendo è possibile variare la predicibilità del tipo di prova; in questo modo il partecipante può
monitorare il compito. Infatti, se faccio un test in cui le prove sono al 90% incongruenti il mio
monitoraggio di quello che sto per vedere sarà diverso rispetto a una situazione in cui ho un
esperimento al 50%. Cioè hanno preso in considerazione il monitoraggio come una variabile.
Hanno quindi fatto due esperimenti:
1. Il primo è diviso in due parti: una parte in cui le prove erano congruenti nel 92% dei casi (prova
1) e una in cui solo l’8% dei casi erano prove congruenti (prova 2). I risultati mostrano che
abbiamo un effetto di esperimento e un effetto di conflitto. Vediamo anche che c’è
un’interazione tra questi due, per cui l’effetto di conflitto è maggiore nel primo esperimento
rispetto al secondo. La cosa interessante è che non c’è effetto di gruppo: bilingui e monolingui
si comportavano allo stesso modo, perché c’è poco o niente da monitorare (è quasi tutto
congruente o incongruente).
2. Il secondo è diviso anch’esso in due parti: nella prima parte mettono il 75% di casi congruenti
(prova 3) e nella seconda parte il 50% (prova 4). Viene osservato che non c’è un effetto di
esperimento significativo e che c’è effetto di conflitto. Quello che è interessante però è che in
questo caso abbiamo effetto di gruppo: i bilingui sono più veloci dei monolingui, perché c’è
molto più da monitorare.
Riassunto:
Oltre l’elaborazione/risoluzione del conflitto ci sarebbe anche un processo che consiste nel
monitoraggio. Il monitoraggio sarebbe una valutazione costante della situazione, servirebbe a
regolare il comportamento attivando o disattivando meccanismi specifici di risoluzione del conflitto
(come ad es., l’inibizione).
Il vantaggio bilingui in adulti giovani dipende dall’interazione tra i processi sottostanti al
monitoraggio e i processi sottostanti alla risoluzione del conflitto, per questo talvolta si osserva e
talvolta no. Se l'attività richiede poche risorse di monitoraggio, il vantaggio bilingue nell'effetto del
conflitto può non essere rilevabile (Esp.1 e 2); questo perché la risoluzione dei conflitti è troppo
facile e la maggior parte delle prove è congruente o incongruenti. In questo caso, quindi, il
monitoraggio non entra il gioco e gli effetti del bilinguismo potrebbero non essere rilevabili.
Tuttavia, quando il numero di prove congruenti e incongruenti è simile (Esp.3), il reclutamento del
sistema di monitoraggio è massimo. In questa situazione emergono le differenze tra monolingue e
bilingue:
– i bilingui sono complessivamente più veloci dei monolingui;
– l’essere più veloci fa così che la quantità di conflitto sia minore rispetto ai monolingui.
Conclusioni di Costa:
Cosa fanno i bilingui:
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1- I bilingui hanno bisogno di lessicalizzare le parole nella lingua desiderata (selezionare il giusto
‘schema linguistico’) prevenendo al contempo l’interferenza dall'altra lingua: Meccanismo di
controllo (inibizione).
2- I bilingui monitorano continuamente nella loro conversazione che lingua si sta parlando, con
che persona e quando devono cambiare o no lingua: Meccanismo di monitoraggio.
La cosa interessante di questa proposta è che fa la seguente predizione: i parlanti bilingui in
ambienti sociolinguistici diglossici in cui le due lingue sono utilizzate principalmente in contesti
diversi (ad es., la lingua A al lavoro e la lingua B a casa) potrebbero non mostrare vantaggi nei
processi di monitoraggio!
Per esempi di questo tipo di bilinguismo si veda Adaptative Control Hypothesis – Green &
Abutalevi (Lezione 5)

TEMA 8 - CONSEGUENZE COGNITIVE DEL BILINGUISMO: DECISIONE


Tutti noi, ogni giorno, dobbiamo fare delle scelte, prendere delle decisioni. Le nostre decisioni
dipendono dai giudizi che, più o meno esplicitamente, formuliamo circa la probabilità di un evento.
Secondo la teoria della scelta razionale, noi prendiamo decisioni scegliendo le alternative che
hanno la maggior probabilità di produrre i migliori benefici.
È stato provato, però, che la teoria della scelta razionale, in realtà, non rende conto di come
prendiamo le nostre decisioni. Gli psicologi Kahneman e Tversky hanno dimostrato che la teoria
della scelta razionale non funziona per spiegare le decisioni delle persone.
Procedure Euristiche
Le decisioni razionali si basano sulla statistica e sulla stima corretta della probabilità. Questo
implica:
– eccessivo carico cognitivo;
– conoscenze specifiche.
Quindi, in realtà, quello che facciamo è prendere delle ‘scorciatoie mentali’; in altre parole, le
nostre stime probabilistiche sono basate sull’applicazione inconsapevole di alcune procedure che
hanno il vantaggio di essere cognitivamente economiche, ma lo svantaggio, in qualche caso, di
produrre valutazioni erronee. Queste scorciatoie mentali sono chiamate procedure euristiche.
Esempio
Data la seguente descrizione: “Laura ha 31 anni, non è sposata, è estroversa e brillante. Ha studiato
filosofia. Quando era studentessa, era molto interessata ai temi della giustizia sociale e l’ecologica.
Ha anche partecipato a diverse dimostrazioni ecologiche”, mettete in ordine di probabilità i seguenti
enunciati riguardanti la situazione attuale di Laura:
a) Laura lavora in banca
b) Laura lavora in una libreria e prende lezioni di yoga
c) Laura lavora in banca ed è membro di Legambiente
d) Laura lavora come insegante in una scuola elementare
e) Laura lavora come estetista e prende lezioni di yoga
Se è stato valutato come più probabile l’enunciato:
c) Laura lavora in banca ed è membro di Legambiente
che l’enunciato
a) Laura lavora in banca
allora si è violata la regola della congiunzione, secondo la quale la probabilità della congiunzione di
due eventi non può essere superiore alla probabilità di uno di questi eventi. Nello specifico:
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(Banca+ Legambiente) è meno probabile che (Banca) unicamente. La fallacia della congiunzione
dipende dalla rappresentatività: ovvero, pensiamo che se una cosa è più simile a quello che ci
aspettiamo allora è anche più probabile.
Le procedure euristiche, quindi, non garantiscono la soluzione corretta. Anzi, in alcuni casi, il loro
uso genera errori sistematici di giudizi (biases). Kahneman e Tversky sostengono che le persone
violano sistematicamente alcune regole elementari del calcolo delle probabilità e anche i decisori
esperti incorrono in errori di giudizio, ovvero mostrano questi biases.
Le ‘procedure euristiche di giudizio’ si dividono in: rappresentatività (origina la fallacia della
congiunzione) -disponibilità; ancoraggio; effetto cornice (framing effect).
1. Rappresentatività: più simile allora più probabile
Una moneta non truccata è stata lanciata un certo numero di volte, quale delle due sequenze è più
probabile?
1- T T T T T C C C C C
2- T T C T C C C T T C
la seconda sequenza è considerata più probabile, Sebbene le due sequenze siano equiprobabili. Le
risposte, infatti, sono basate sulla valutazione di quanto le due sequenze sono rappresentative del
concetto di “evento casuale”, quindi sembra che sia ‘più casuale’ la seconda sequenza. Viene
valutato il grado di similarità tra l’evento che deve essere stimato e il processo che l’ha generato o
la categoria di riferimento.
2. Disponibilità: più facile da ricordare allora più probabile
Considerate la lettera R. È più probabile che La lettera R compaia in una parola del vocabolario
inglese in prima o in terza posizione?
2/3 delle persone stimano che è più probabile che R compaia all’inizio della parola, anche se in
realtà è più frequente in terza posizione; ovvero, basano il giudizio sulla quantità di esempi evocati.
Vengono in mente più parole che iniziano con R che parole con R in terza posizione.
3. Ancoraggio: la stima viene fatta in funzione di una informazione che fungerà da ‘ancora’
Esempio immobiliario: Agenti immobiliari devono esprimere una stima di una casa sulla base di
una serie di informazioni contenute in un pacchetto fornito dai ricercatori. Il pacchetto di
informazioni conteneva descrizioni tecniche della casa e il prezzo della casa. Ad un gruppo di
agenti veniva detto che il prezzo era 65.900 $, mentre all’altro gruppo veniva detto che il prezzo era
83.900$. Il resto delle informazioni era identico.
Gli agenti dovevano stimare il prezzo della casa:
- Media della stima degli agenti che avevano visto prezzo più basso: 63.751 $
- Media della stima degli agenti che avevano visto prezzo più alto: 72.196 $
4. Effetto cornice – framing effect
Le decisioni che prendiamo quotidianamente sono speso influenzate dal modo in cui le questioni ci
vengono poste o da come ci rappresentiamo i dilemmi decisionali.
La valutazione dei rischi dipende dal formato con cui l’entità dei rischi viene presentata:
1) Rischio assoluto: valori numerici associati all’occorrenza del fenomeno
2) Rischio relativo: confronta due entità di rischio
Esempio: Problema della malattia asiatica
Gli USA si stanno preparando ad affrontare la diffusione di una nuova malattia molto contagiosa
che potrebbe provocare la morte di 600.000 persone.
Tenendo in considerazione che i due gruppi non conoscono le possibilità date all’altro gruppo, ad
un gruppo viene chiesto di scegliere tra:
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- Medicina A: 200.000 persone si salvano
- Medicina B: 1/3 di probabilità di salvare tutti e 2/3 di probabilità di non salvare nessuno
All’altro gruppo viene chiesto di scegliere tra:
- Medicina C: 400.000 persone muoiono
- Medicina D: 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità che muoiano tutti
I risultati mostrano che nel primo gruppo il 72% ha scelto A e il 28% B; nel secondo caso il 22% ha
scelto C e il 78% ha scelto D. Le alternative, pur essendo strutturalmente equivalenti, sono
presentate in maniera differente.
Abbiamo un’avversione al rischio per i guadagni e una propensione al rischio per le perdite. È la
cosiddetta teoria del prospetto, per cui quando prendiamo decisioni in condizioni di incertezza:
- se le opzioni sono presentate in termini di possibili benefici e conseguenze positive (frame
positivo) preferiamo situazioni certe (siamo risk averse);
- se le opzioni sono presentate in termini di possibili perdite e conseguenze negative (frame
negativo) preferiamo situazioni rischiose (siamo risk seeking).
L’effetto cornice (frame) è spiegato della teoria del prospetto, ma non da quella della scelta
razionale, secondo la quale il decisore ideale non è influenzato da elementi superficiale come, per
l’appunto, differenze apparentemente minori nella descrizione di un problema.
La malattia asiatica in Bilingui
Keysar, Hayakawa, & An (2012) → studiare anche il paper
Partecipanti: 3 gruppi di bilingui (sbilanciati) con diverse L1 e L2:
1- 121 studenti universitari americani che studiano il giapponese come seconda lingua da quando
hanno 17 anni;
2- 144 studenti universitari coreani che hanno studiato l’inglese a partire dai 12 anni;
3- 103 studenti inglesi che studiano in Francia e hanno iniziato a studiare il francese a 16 anni.
Ogni gruppo è diviso in due sottogruppi, uno dei quali è presentato con il frame di guadagno e
l’altro con il frame di perdita; quindi, abbiamo 6 gruppi in totale. I risultati mostrano che, quando il
test è presentato in L1, i gruppi presentati con il frame di guadagno scelgono l’opzione sicura
(medicina A) nel 70-80% dei casi; i gruppi con frame di perdita scelgono l’opzione sicura nel 40-
50% dei casi.
In maniera interessante, quando il test è presentato in L2:
- L2 giapponese:
o Frame guadagno: scelta sicura scende al 45%
o Frame perdita: scende di circa 10 punti percentuali
- L2 inglese:
o Frame guadagno: scelta sicura scende al 50%
o Frame perdita: sale di circa 10 punti percentuali
- L2 francese:
o Frame guadagno: scelta sicura scende di poco e rimane circa al 70%
o Frame perdita: scelta sicura sale all’80%

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Quello che i risultati mostrano, in parole povere, è che quando il test è presentato in L2 non c’è
effetto di frame. Questo effetto è detto Foreign language effect.
The foreign language effect
Questo effetto mostra che le persone si affidano più a processi sistematici/analitici quando prendono
decisioni in una lingua straniera che quando prendono decisioni nella loro lingua nativa. Questo
risultato è apparentemente paradosso perché l'uso di una lingua straniera aumenta probabilmente il
carico cognitivo e un carico cognitivo extra potrebbe minare il pensiero sistematico/analitico. I
risultati però contraddicono questa intuizione.
Ipotesi di distanziamento:
L'effetto della lingua straniera sul processo decisionale è molto probabilmente determinato da
molteplici fattori che aumentano la distanza psicologica e/o promuovono la deliberazione (pensiero
sistematico/analitico).
Questo significa che l'uso di lingue straniere indebolisce gli effetti dei processi intuitivi e affettivi
(Sistema 1), promuovendo invece i meccanismi controllati dalla cognizione che supportano
decisioni più deliberate, analitiche e utilitaristiche (Sistema 2). In questo modo, le decisioni prese in
lingue straniere possono sfuggire all’influenza dei processi intuitivi e affettivi, ma questa influenza
rimarrebbe quando la decisione è presa in una lingua nativa.
Le euristiche di giudizio riflettono, quindi, un doppio sistema nel processo decisionale (Kahneman).
• Il Sistema 1 funziona automaticamente e rapidamente, con uno sforzo minimo o nullo e
senza alcun senso di controllo volontario:
o Rilevare che un oggetto è più distante di un altro
o Orientare l’attenzione verso la fonte di un suono improvviso
o Completare una frase come ‘pane e …’
o Fare una 'faccia disgustata' quando viene mostrata un'immagine orribile
o Identificare l'ostilità in una voce
o Risolvere 2 + 2
o Leggere parole su grandi cartelloni pubblicitari
o Guidare un'auto su una strada vuota
• Il Sistema 2 si attiva con processi mentali impegnativi e richiede attenzione. Le operazioni
del Sistema 2 sono spesso associate all'esperienza soggettiva di azione, scelta e
concentrazione:
o Prepararsi per il segnale di via in una gara
o Cercare di capire la voce di una persona in una stanza affollata e rumorosa
o Mantenere una velocità di camminata più veloce di quanto sia naturale
o Monitorare l'appropriatezza del tuo comportamento in una situazione sociale
o Contare l'occorrenza della lettera ‘a’ in una pagina di un testo
o Parcheggiare la macchina in uno spazio ristretto
o Comparare i prezzi di due lavatrici
o Compila un modulo fiscale
o Controllare la validità di un argomento logico complesso

TEMA 9 - CONSEGUENZE COGNITIVE DEL BILINGUISMO:


THE FOREIGN LANGUAGE EFFECT
Le nostre decisioni sono guidate da due diversi sistemi. Uno automatico e intuitivo, l'altro più
deliberativo. L'uso di una lingua straniera (bilingui sbilanciati ma con una buona competenza)

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influisce sui contributi del sistema intuitivo e di quello deliberativo: foreign language effect. Ci
sono diversi contesti in cui si è osservato il foreign language effect.
L’elaborazione nella lingua straniera:
1. porta a una riduzione dell’avversione alle perdite e al rischio (Lezione 8, articolo: The Foreign
Language effect: thinking in a foreign language reduces decision biases, Keysar et al. 2012);
2. riduce le correlazioni illusorie. Ad es. errore della mano calda (hot-hand fallacy): la tendenza
ad aspettarsi un esito positivo dopo una serie di esiti positivi precedenti, anche quando gli
eventi sono indipendenti;
3. suscita scelte morali più utilitaristiche (cioè, meno deontologiche).
Punto 1: Keysar et al. 2012
Risonanza Emotiva
Minore risonanza emotiva nella lingua straniera, questo riduce il bias di avversione alla perdita. Se
il framing effect nasce a causa di pregiudizi guidati dalle emozioni, le decisioni in una lingua
straniera sarebbero meno influenzate dagli effetti di framing.
La risonanza emotiva si riferisce all'emotività suscitata da un dato problema. Ad esempio, quando
un problema coinvolge decisioni di vita o di morte, la reazione emotiva al problema può variare a
seconda che le persone coinvolte nel problema siano note al partecipante.
Presupposto: la risonanza emotiva suscitata dal parlare una lingua straniera sembra essere inferiore
a quella suscitata dalla lingua madre. Ad esempio:
• parlare di argomenti imbarazzanti è più facile in una lingua straniera che in una lingua
madre;
• parolacce provocano una risposta fisiologica minore quando sono dette in lingua straniera;
• la ampiezza della conduttanza cutanea (studi che utilizzano il monitoraggio elettrodermico)
si riducono quando parole emotive sono presentate in lingua straniera;
• …
Attenzione: la risonanza emotiva in una lingua straniera sembra essere influenzata da fattori come
competenza, età di acquisizione ed esposizione.
L'effetto della lingua straniera sul processo decisionale è molto probabilmente determinato da
molteplici fattori che aumentano la distanza psicologica e/o promuovono la deliberazione (pensiero
sistematico/analitico).
Keysar difende l’ipotesi che sia una riduzione della risonanza emotiva (più distanza psicologica) a
spiegare il foreign language effect, ma non esclude il fatto che ci possano essere anche altri fattori.
Ad esempio:
- Fluidità cognitiva
Ad esempio, contesti familiari, conosciuti, facili, … come quelli che possono avvenire in L1
richiedono uno sforzo cognitivo ridotto rispetto, ad esempio, a contesti in una lingua
straniera (FL). Kahneman (2011) sostiene che qualsiasi fattore, qualunque sia la sua origine,
che aumenti la tensione cognitiva e quindi riduca la fluidità cognitiva, stimolerebbe i
processi del Sistema 2 e ridurrebbe l'impatto della risposta rapida e rapida fornita dal
Sistema 1.
Predizione: meno impatto dei bias euristici in lingua straniera.
- Carico cognitivo
Il carico cognitivo stressa il Sistema 2, e quando questo accade il processore razionale non
può controllare le risposte intuitive fornite dal Sistema 1.
Predizione: più impatto dei bias euristici.

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Punto 2: Hot-hand fallacy
Le decisioni sono spesso messe in sequenza, cioè, una dietro l’altra. Ad.es., giocare diverse volte
alle macchinette da gioco, scommettere diverse volte sul lancio di una moneta, di un dado, ecc. In
questi casi, anche se i risultati positivi o negativi sono imprevedibili o completamente casuali, i
risultati positivi o negativi possono influenzare le successive decisioni. La fallacia nasce dal fatto
che l’autocorrelazione di risultati positivi è erroneamente sovrastimata e si tende a pensare che
rifletti una sequenza continua di risultati positivi.
Hot-hand fallacy: Rispetto a un feedback (risultato negativo), uno positivo crea l’illusione che la
prossima prova produrrà a sua volta un risultato positivo. Questo spinge i partecipanti a giocare di
più.
Esperimento: Second Language Feedback Abolishes the “Hot Hand” Effect during Even-
Probability Gambling
- Partecipanti: 16 bilingui sbilanciati Cinese-Inglese, con un’esposizione all’inglese tra i 7 e i 15
anni (media di 12,5 anni) e con una conoscenza, su una scala da 1 a 10, di 6,6 per l’inglese e di
8,7 per il cinese.
- Materiali: 25 scommesse selezionate casualmente da cinque valori di guadagno (+100, +80,
+60, +40 e +20) abbinate a cinque valori di perdita (-50, -40, -30, -20 e -10). Inoltre, 5
scommesse sicure formate da ciascuno dei cinque valori di guadagno abbinati a zero perdite
(0). Il risultato a favore o meno (guadagna o no) del partecipante è stato generato in modo
casuale con una probabilità di 0,5 su ogni prova.
Quindi: sullo schermo compaiono due valori, uno positivo e uno negativo, e velocemente
bisogna decidere se giocare o non giocare. Dopo che aveva fatto la decisione il computer dava
il feedback (diceva se aveva fatto bene/male a giocare/non giocare). Il programma, però, era
impostato in maniera tale da far vincere il 50% delle volte il partecipante e l’altro 50% il
computer in maniera totalmente casuale.
- 8 blocchi di 55 prove ciascuno; 4 blocchi in L1 e 4 blocchi in L2.
I risultati mostrano che in L1 (Cinese) i partecipanti accettano più scommesse quando la prova
precedente ha avuto feedback positivo; questa differenza scompare nel caso della L2 (inglese).
Cioè, il feedback positivo nella lingua madre (Cinese) ha spinto i partecipanti a prendere il 10% in
più di scommesse (cioè, più rischi) nella prova successiva, rispetto a tutte le altre condizioni.
Illusione della causalità
Sovrastimare il grado di causalità tra due eventi, ovvero la credenza che due eventi siano correlati
causalmente quando non lo sono.
Esperimento:
- Istruzioni: “immagina di essere un medico che deve giudicare se un medicinale fittizio
(Batatrim) sia o non sia efficace nella guarigione di una malattia fittizia che provoca delle
crisi ai pazienti. Di seguito vedremo diverse prove dei pazienti fittizi che prenderanno o non
prenderanno il farmaco. Il compito è di giudicare se il paziente ha superato le crisi dovute
alla malattia oppure no. Successivamente verrà detto se il paziente ha effettivamente
superato queste crisi o no.”
Vengono mostrate una alla volta 40 prove in cui si dice se il paziente ha preso o meno il farmaco e
poi viene chiesto se, secondo noi, questo paziente ha superato la malattia o meno. Infine, ci viene
detto se il paziente ha superato le crisi. In verità non c’è nessuna correlazione tra guarigione e
assunzione del farmaco.
Dopo 40 prove (una per paziente), ai partecipanti è stato chiesto di dare un giudizio causale
rispondendo alla domanda: "In che misura pensi che Batatrim sia stato efficace nel curare le crisi
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dei pazienti che hai visto?". Le risposte sono state date cliccando su una scala 0-100, ancorata a 0
(“decisamente NON”) e 100 (“decisamente SI”).
I risultati mostrano che quando il test era in lingua madre la media del punteggio era di 65; quando
il test era somministrato in lingua seconda il punteggio era in media di 40. L’illusione di causalità,
quindi, diminuiva nella lingua straniera.
Punto 3: Trolley Problem
- Un vagone fuori controllo sta percorrendo a tutta velocità un binario ferroviario. Siete vicini a
una leva di uno scambio: una direzione porta verso un burrone lungo il quale avanzano cinque
persone; l’altra porta verso un secondo burrone, in cui un’unica persona sta seguendo il
tracciato delle rotaie. Se lasciate la leva com’è, il vagone imboccherà la prima direzione e il
gruppo di cinque persone, senza via di scampo, verrà travolto. Se invece azionate lo scambio
ferroviario, il vagone verrà dirottato sul secondo binario, travolgendo solo una persona. Cosa
fate?
- Un vagone fuori controllo sta percorrendo a tutta velocità il binario ferroviario. Sul binario
avanzano cinque persone che non vedono arrivare il treno e verranno travolte. Voi siete su un
cavalcavia, e vicino a voi c’è una persona molto obesa. L’unica forma di fermare il treno, e
salvare così le cinque persone, è buttando la persona obesa sul binario. Se lo fate, questa
persona sarà travolta ma il treno si fermerà. Cosa fate?
Le persone spesso credono che i giudizi morali su "giusto" e "sbagliato" siano il risultato di principi
profondi e ponderati; dovrebbero quindi essere coerenti e non essere influenzati da aspetti
irrilevanti.
La risoluzione di un dilemma morale non dovrebbe dipendere dal fatto che sia presentato in una
lingua madre o in una lingua straniera. Questo, però, non è così: le persone tendono a dare giudizi
diversi quando affrontano un dilemma morale in una lingua straniera rispetto alla loro lingua madre.
Questo è collegato al fatto che nella lingua straniera c’è un minore coinvolgimento emotivo.
I processi intuitivi generalmente supportano giudizi che favoriscono i diritti essenziali di una
persona (giudizi deontologici), mentre i processi controllati razionali sembrano supportare giudizi a
favore del bene superiore (giudizi utilitaristici), indipendentemente dal fatto che violino o meno i
diritti essenziali di una singola persona

TEMA 10 - RELATIVISMO LINGUISTICO


Nel secolo scorso si parlava di modularismo. Il modularismo è una teoria per cui linguaggio è una
funzione cognitiva ‘incapsulata’ e fondamentalmente indipendente da altre funzioni come, ad
esempio, il pensiero o la percezione (Fodor, Chomsky, Pinker).
Successivamente è nata la cosiddetta ipotesi Sapir-Whorf. Questa ipotesi afferma che, dato che
diversi linguaggi descrivono il mondo in modi diversi, allora diversi linguaggi generano diverse
strutture cognitive. L’ipotesi è stata oggetto di un ampio e complesso dibattito nel campo della
linguistica, antropologia, psicologia e filosofia.
Questa ipotesi dev’essere intesa come un continuum, dove ad un estremo troviamo il determinismo
e all’altro estremo il relativismo.
Secondo il determinismo linguistico, il linguaggio determina il nostro pensiero Si tratta di una teoria
non più accettata, visto che ci sono delle evidenze che mostrano la presenza di ‘pensiero’ senza
linguaggio. O almeno, c’è evidenza che operazioni cognitive di alto livello (ad es., cognizione
numerica) sono possibili senza linguaggio (ad es. in bambini, primati).

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Secondo il relativismo linguistico, invece, il linguaggio modula qualche processo cognitivo (ad es.,
la percezione) solo quando la richiesta/codifica linguistica è rilevante (ad. es. percezione
categoriale).
Ad esempio, possibili casi di influenza del linguaggio sulla cognizione sono:
• Classificatori linguistici
• Diversi tipi di lettura
o Sistemi trasparenti (ad es., italiano)
o Sistemi opachi (ad es., inglese)
• …
Esperimenti
Cubelli e collaboratori
Esperimento di giudizio di Categorizzazione Semantica: vengono presentate due oggetti e il
partecipante deve decidere (premendo un tasto) se i due oggetti hanno o meno una relazione
semantica.
Vengono presentate quattro condizioni sperimentali:
- Presenza di relazione semantica e stesso genere grammaticale;
- Presenza di relazione semantica, ma genere diverso;
- Assenza di relazione semantica e stesso genere grammaticale;
- Assenza di relazione semantica, ma genere diverso.
I risultati mostrano che i tempi di risposta per le coppie che presentano relazione semantica sono
minori rispetto a quelli che non la presentano. Crucialmente, però, le persone avevano tempi di
risposta minore quando il genere grammaticale era lo stesso, rispetto a quando il genere
grammaticale era diverso.
La critica che può essere mossa è che magari i risultati cambiamo a seconda di come gli oggetti
sono rappresentati; magari una figura non è abbastanza chiara, due oggetti sono più vicini di altri,
ecc.
È stato fatto un esperimento di controllo, allora. L’esperimento di controllo è identico al primo, ma
è fatto in lingua spagnola, perché il genere grammaticale della figura base (naso, che poi veniva
confrontato con occhio, bocca, sedano, pannocchia) in spagnolo è femminile. Questo significa che
dove in italiano avevo congruenza di genere, in spagnolo ho incongruenza. I risultati mostrano
esattamente quello che si è visto nell’esperimento in italiano. Alcuni studiosi hanno criticato
comunque questo esperimento, perché affermano che è il coinvolgimento diretto del linguaggio a
determinare il fenomeno, ovvero che ci sia qualche strategia metacognitiva, poiché in modo più o
meno consapevole il partecipante si rende conto della manipolazione. È necessario trovare un
paradigma che tolga questa possibilità, ovvero esperimenti che mostrino risultati precoci, nei primi
millisecondi.
Cubelli fa un esperimento di soppressione fonologica durante il compito di categorizzazione
semantica. Il risultato è che l’effetto scompare, quindi probabilmente è vero che c’è un
coinvolgimento implicito del linguaggio.
Visti gli esperimenti, possiamo affermare che si stanno ancora cercando evidenze per l’ipotesi che il
linguaggio moduli la nostra percezione ed il nostro pensiero. Comunque sia, questa evidenza dovrà
essere: automatica/veloce, in modo che non esista la possibilità di spiegarla appellandosi a ‘strategie
metacognitive-metalinguistiche’; ciò significa, devono essere evidenze che non coinvolgano l’uso
del linguaggio. Per fare questo è necessario andare a vedere i correlati elettrofisiologici derivati
dell’attività del cervello durante compiti percettivi.

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Quest’evidenza è stata trovata proprio da Thierry, che criticava le scoperte. Essa è stata trovata nel
processo percettivo di categorizzazione, ovvero il processo di organizzazione del mondo in
categorie. La categorizzazione è un processo cognitivo fondamentale che ha la funzione di
organizzare ed elaborare stimoli nel mondo in modo rapido e automatico. È una proprietà
fondamentale della cognizione. La domanda di partenza è se il processo di categorizzazione
dipende dalla propria lingua e cultura.
Visual MMN e Relativismo Linguistico
Introduciamo ora un correlato elettrofisiologico chiamato Mismatch negativity (MMN). La MMN è
una risposta ad uno stimolo discordante all'interno di una sequenza di stimoli regolari. In un
ambiente sperimentale, si produce quando gli stimoli sono presentati ad esempio in un rapporto di
questo tipo: e e e e e e e ɛ e e e e e e ɛ. In questo esempio, ɛ è lo stimolo discordante che suscita la
MMN. La MMN individua la regolarità della sequenza. Questa regolarità è determinata dalla
rappresentazione in memoria degli stimoli (es. acustico: \e\ vs \ɛ\). Questo correlato
elettrofisiologico ci servirà per testare l’idea del relativismo linguistico, dove però non è utilizzato
in modo uditivo, ma in modo visivo (senza usare il linguaggio).
Notiamo che le lingue categorizzano i colori in modo diverso:

Questa osservazione è stata utilizzata da Thierry per testare l’idea del relativismo linguistico.
Thierry era interessato a vedere cosa succedeva nel cervello dei parlanti greci e in quello dei
parlanti inglesi, quando si presentavano le categorie blu (con il verde come condizione di controllo).
La differenza cromatica tra i due blu e quella tra i due verdi era identica.
I risultati mostrano che c’è effetto di mismatch negativity e molto precoce, quindi nei primi
millisecondi. Per i parlanti inglesi, questo effetto di mismatch è uguale in entrambe le condizioni,
blu e verde. Per i parlanti greci, invece, c’è sempre mismatch negativity, ma questa è maggiore
quando lo stimolo era blu rispetto a quando era verde.
Gli autori concludono che questa è una prima dimostrazione della relazione tra linguaggio nativo e
una discriminazione preattentiva, inconsapevole, del colore. Questa è un’evidenza a favore
dell’ipotesi whorfiana, perché per la prima volta si dimostra una differenza tra parlanti di lingue
diverse in un ambito del genere e così precoce (intorno a 150 millisecondi).
La domanda successiva è se sia possibile avere risultati simili anche fuori dal campo della
percezione del colore. Questa cosa è stata fatta in ambito lessicale: gli inglesi distinguono tra cup e
mug, mentre per gli spagnoli i due oggetti sono entrambi taza. I risultati sono gli stessi
dell’esperimento sulla percezione dei colori.
Questo stesso effetto è stato riscontrato anche nei parlanti LIS con differenza tra figura
direzionalmente congruente con il segno linguistico vs figura incongruente.

Numeri e Linguaggio
Background teorico
Si fa riferimento al senso dei numeri, ovvero a:
• Stima numerica: Capacità di stimare un numero approssimativo, cioè di riconoscere la numerosità;

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• Acuità numerica: Capacità di distinguere in modo rapido e accurato la quantità di elementi.
Subitizing: denominazione veloce e accurata della numerosità di un gruppo di items (Limite di 4
elementi circa). Oltre il «subitizing range», c’è la stima: denominazione veloce ma imprecisa (si ha
solo quando il soggetto non ha tempo di contare). Gli esseri umani possiedono quindi un ‘senso’
della numerosità approssimativa, di quantità precisa fino a 4; ma non solo noi, anche gli animali.
Grazie ai sistemi simbolici di rappresentazione inventati dagli esseri umani possiamo quantificare in
modo esatto. La rivoluzione culturale del sistema numerico fa sì che possiamo comprendere che 36
è diverso da 37, così come 6 e 7 sono due realtà diverse. → Sistema simbolico
La capacità di utilizzare i numeri è una abilità fondamentale che ci permette di interagire con il
mondo molto più di quanto non crediamo (fare la spesa, comporre un numero al telefono, leggere
l’ora, ecc..). Lo studio delle abilità sottostanti alle competenze numeriche ed aritmetiche è più
recente, rispetto a quello di altri domini cognitivi
Esistono due sistemi principali di espressione numerica:
• Parole: ‘tre’, ‘ventitré’, …
• Numeri arabi: 3, 23, …
In entrambi i sistemi, gli elementi possono essere combinati attraverso regole sintattiche per
denotare numeri di grandezza arbitraria.
Significato dei numeri:
– Numerosità - Il numero di elementi di un insieme. Ad es.: 5 mele sono più di 4 mele
– Posizione seriale - Ordine di un elemento in una sequenza. Ad es.: Il 4 viene prima del 5
– Etichetta linguistica - 5 indica un canale televisivo; oppure 049853429 un numero di
telefono
Codifica arbitraria: Non c’è relazione tra la forma del numero e il suo significato.
La rappresentazione dei numeri
I numeri sono rappresentati secondo un formato analogico e visuo-spaziale. Galton (1880), fu tra i
primi ad interessarsi della rappresentazione dei numeri, e chiese a dei soggetti normali di descrivere
come pensavano ai numeri (introspezione); molti riferirono di rappresentarsi i numeri su una linea
lungo la quale i numeri erano rappresentati in modo continuo ed analogico.
In particolare, tale rappresentazione secondo molti era associata a immagini visuali-spaziali anche
associate a colori. Questa rappresentazione prende il nome di Linea Numerica Mentale (LNM) e
non è solo una metafora, ma ha una chiara realtà psicologica dimostrato da evidenze psicofisiche e
neuropsicologiche (ad es. fenomeno SNARC).
Aritmetica mentale
Le ricerche sul calcolo mentale si sono concentrate sull’aritmetica semplice, basata su operazioni
con numeri ad una sola cifra. Nel risolvere le 4 operazioni facciamo un uso diverso di queste
strategie. In particolare:
– per le addizioni e le moltiplicazioni usiamo prevalentemente il recupero dalla memoria (per
le addizioni anche il conteggio),
– per le sottrazioni usiamo varie procedure legate alla manipolazione delle quantità,
– e per le divisioni spesso usiamo procedure di conversione in moltiplicazioni.
Effetto Grandezza del Problema: Cosa determina la facilità o difficoltà di una operazione mentale?
Il maggiore determinante è la grandezza del problema (intesa come somma degli operandi). →
Eccezioni: problemi con operandi uguali e con un operando uguale a 0. Operazioni altamente
automatizzate (es., le moltiplicazioni) si baserebbero su rappresentazioni linguistiche, mentre quelle
poco automatizzate (es., le sottrazioni) si baserebbero sulla manipolazione della quantità numerica.
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Esperimenti
Dehaene, Pica, Lemer, Izard, 2004
Hanno studiato la tribù Mundurukù, perché nella loro lingua non hanno una parola esatta per i
numeri maggiori di cinque, che vengono denominati come ‘alcuni’, ‘molti’, ecc.
Hanno fatto un compito di denominazione, in cui venivano presentate delle schermate che
contenevano da 1 a 15 punti. I partecipanti dovevano denominare, nella loro lingua madre, quanti
punti erano presenti.
I risultati mostrano che sopra i 5 non c’è più consistenza: ‘alcuni’, ‘diversi’, ‘piccola quantità’, ‘più
di una mano’, ecc. Non utilizzano i propri numeri per contare, di solito pronunciavano un numero
senza contare, sebbene (se richiesto) alcuni di loro potevano contare molto lentamente e in modo
non verbale abbinando le dita delle mani e dei piedi alla serie di punti. Questo mostra che i
Mundurukù selezionano la loro risposta verbale sulla base di un'apprensione del numero
approssimativo piuttosto che su un conteggio esatto.
Compiti:
1. Addizione e confronto approssimativo
Effetto di Distanza: la competenza aumenta ad aumentare il rapporto tra (n1+n2) e n3 Stesso
risultato tra Mundurukù bambini e adulti. Nessuna differenza con un gruppo di controllo di
partecipanti francesi.
2. Sottrazione e indicare
Competenza peggiore nei 2 gruppi di Mundurukù in confronto con partecipanti francesi.
3. Sottrazione e denominare
Competenza peggiore nei 2 gruppi di Mundurukù in confronto con partecipanti francesi.
Conclusioni: I risultati suggeriscono una distinzione tra rappresentazioni numeriche approssimative
ed esatte. Con quantità approssimative, il Mundurukù si comportano qualitativamente come i
controlli francesi. Ciò che sembra mancare al Mundurukù è una procedura per apprendere
rapidamente numeri esatti oltre il 4. I risultati supportano l'ipotesi che il linguaggio svolga un ruolo
speciale nell'emergere dell'aritmetica esatta.
La lingua interna dei numeri
Un fenomeno molto noto è quello della sub-vocalizzazione dei numeri quando contiamo o
eseguiamo calcoli (addizione, moltiplicazione, ...). Quest’osservazione aneddotica suggerisce che
l'elaborazione dei numeri si interfaccia con l'elaborazione del linguaggio a un certo livello. Quali
sono i fattori che determinano che lingua utilizzerà il bilingue nelle sue sub-vocalizzazioni?
1- Scolarizzazione
Il linguaggio dell'istruzione precoce è uno dei modulatori più forti. Quando la L1 è la lingua
di scolarizzazione i numeri più accessibili in L1. Quando la lingua di scolarizzazione è L2,
cioè diversa dalla lingua madre (L1), si può osservare uno spostamento verso la L2, non solo
nei fenomeni di sub-vocalizzazione ma anche nelle competenze numeriche.
2- Età di acquisizione
3- Competenze linguistiche
4- Confronto tra diversi sistemi numerici
o Quarantotto - achtundvierzig
o Ottantacinque - quatre-vingt-cinq
L’importanza della scolarizzazione
L'acquisizione dell'aritmetica semplice è mediata dal linguaggio; ad esempio, attraverso la
ripetizione verbale delle tabelline. Concetti matematici esatti, come la semplice moltiplicazione,
sono rappresentati in un formato specifico del linguaggio (Dehaene, 1997). Nei bilingui, ciò
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significa che i concetti matematici sono accessibili in modo più efficiente nella lingua in cui la
persona ha imparato l'aritmetica semplice (language of arithmetic, LA +) rispetto all'altra lingua
della persona (LA–).
Sono stati testati bilingui (Spagnolo o Inglese) che hanno imparato l'aritmetica da bambini in una
sola delle loro lingue. I partecipanti dovevano risolvere moltiplicazione semplice (2x3 = 6). La
risposta veniva data manualmente: premere un tasto per indicare corretto/incorretto.
Formato di presentazione (gli stimoli erano presentati senza i simboli * e =) poteva essere in:
- Cifre
- language of arithmetic: L+ (poteva essere inglese o spagnolo)
- language of arithmetic: L- (poteva essere inglese o spagnolo)
C’erano 3 condizioni sperimentali:
- corretta: 6 / seis / six/
- incorrect related: 15 / quince / fifteen
- incorrect unrelated: 13 / trece / thirteen.
Bisogna tenere anche in considerazione che:
1. Data una moltiplicazione, ogni possibile soluzione è attivata proporzionalmente alla forza
della sua elazione con gli operandi; ad es. il problema 2 × 3 non solo innesca la soluzione 6,
ma anche i numeri 4 e 9 più debolmente come fattori di moltiplicazione di ogni operando.
2. Giudizi di correttezza per semplici problemi di moltiplicazione sono:
o più veloci per soluzioni corrette che per quelle errate;
o più veloci per soluzioni errate unrelated a nessuno dei due operandi che per soluzioni
errate related a entrambi gli operandi.
Questo fenomeno è detto effetto di relazione e riflette l'interferenza di potenziali soluzioni
che vengono attivate automaticamente durante l'elaborazione delle cifre.
Quello che sono andati a controllare è una componente elettrofisiologica, chiamata N400. L'N400 è
una componente negativa, con un picco a circa 400ms dall'onset dello stimolo. Questa componente
riflette il grado di incongruenza tra uno stimolo e il contesto semantico precedentemente stabilito. I
primi studi hanno mostrato questa componente quando una frase viene completata da una parola di
contenuto anomalo:
Il caffè mi piace con lo zucchero e il cane → N400
Il caffè mi piace con lo zucchero e il latte → niente
La distribuzione topografica esibisce un massimo in zona centrale/posteriore e risulta bilaterale o, in
alcuni casi, lateralizzata a destra. Lo sviluppo temporale della deflessione può andare da circa
200ms post-stimolo fino a 500ms o più.
I risultati mostrano che:
- Nella condizione Cifre e LA+ si osserva un effetto di N400. La N400 riflette la diffusione
automatica dell'attivazione tra rappresentazioni di fatti aritmetici.
- Nella condizione LA- non si osserva la N400. C’è la mancanza di una attivazione
automatica di risposta alternative e c’è, invece, un effetto più tardivo che riflette processi più
controllati rispetto all'N400.
Conclusione: I fatti aritmetici sono organizzati in reti di memoria associativa per problemi
presentati in LA+ (lingua acquisizione dell’abilità aritmetica) e in cifre. Questa rete di memoria
associativa non è presente/attivata per i problemi presentati in LA–. Tra linguaggio e matematica
viene stabilita una connessione al momento dell'apprendimento che è mantenuta nell'età adulta

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