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RIFLESSIONE SULLA LETTERATURA

Per il ‘600 si suole dare enfasi alla grande distanza esistente fra le figure e le opere creative della
letteratura aurea e la povertà speculativa del pensiero estetico coevo.

Per fortuna una ricognizione + accurata ha aiutato a delineare un profilo + esatto di quell’epoca,
soprattutto riguardo alla ricezione e rielaborazione di testi del pensiero critico non ispanico,
operanti nella coscienza di scrittori e critici di quell’epoca.

L’assenza di grandi costruzioni sistematiche significò una preferenza per tipologie di


esplicitazione meno canoniche, però tipicamente seicentesche, come lettere, apologie, censure di
singoli autori e disquisizioni su questioni delimitate.

In Spagna non ci fu una percettiva tipo “manifesto” o una dichiarazione programmata. Quella
precettistica venne data post factum. Le grandi opere rinnovatrici furono affermazioni
antiregolistighe dettate da gusti ed esigenze singole (Gongora) o socialmente stimolate (teatro
nacional, picaresca) non previste da nessun programma.

Tutta questa teoresi è erede della precettistica italiana. La tradizione umanistico-rinascimentale è


molto presente nei trattati spagnoli -> aristotelismo trionfante ma anche anchilosato e ridotto alla
discussione dei 3 punti cardine descritti dai binomi ars-natura, docere-delectare, res-verba.

Un nuovo gusto estetico conquista la priorità a seconda dei modi in cui il delectatore conduce alla
meraviglia.

OPPOSIZIONE CULTERANOS/CONCEPTISTAS -> opposizione irriducibile tra culteranesimo e


concettismo x tutto il ‘600, come se fossero due scuole contrapposte, la seconda è la reazione e
“figlia” della prima. Dettate entrambe dalla s tessa esigenza di diletto e dal culto dell’ingegno, ma
formate da forme linguistiche e semantiche certamente diverse.

Tutto inizia nel 1613 con la diffusione della Fabula de Polifemo y Galatea e Las Soledades,
concepiti con la volontà di rinnovare la scrittura della poesia lirica. Trasgredisce in primis il
principio del decoro (scelta adeguata agli stili canonici): poema lungo senza divisione strofica,
contenuto pastorile ma impianto eroico ed elocuzione sublime, basato su sistema di allusività
polisemica, che impegnava il lettore in una decodifica di riferimenti criptici fatti di immagini e
simboli tratti dalla tradizione poetica classica e moderna, linguaggio pieno di neologismi, sintassi
che imitava quelle latine e greche.

La polemica nacque subito: per prima si difendeva la claridad contro la oscuridad e quindi la
comprensibilità del testo poetico. L’accusa verso Gongora era di aver fatto indietreggiare la lingua
verso un’espressione dura, piena di salti sintattici e neologismi esuberanti con un metaforismo
esagerato improprio dell’argomento.

Dall'altro lato la difesa rivendicava la necessità di una scrittura che richiamasse ai classici con una
riavvicinamento stilistico a quei modelli. Se il codice linguistico corrente era inadeguato allora
bisognava rifornirlo dell'antica madre. Gli usi e i valori dei lessemi venivano delessicalizzati per
moltiplicare il loro significato. Allo stesso tempo la “poetica delle corrispondenze” permetteva la
combinazione e il raffronto di tutte le cose unendo l'immaginario sensuale a quello intellettuale,
unendo macro e microcosmo.

Così si sviluppa un'intolleranza per il termine “culto”. I fautori della chiarezza si appellavano alla
funzione del “docere” come funzione della poesia, adesso sottoponendo un “delectare” però nella
medesima comprensibilità. I difensori di Gongora invece auspicavano al fine edonistico dell’arte,
al piacere nell’operazione di decifrazione ardua e colta, il piacere personale che viene
dall’ostacolo vinto.

I difensori della chiarezza rivendicavano una lingua poetica semplice, e che riprendesse i termini +
autentici castigliani (castizos). Il casticismo quindi rivendicava la brevitas ed esaltava la plurivocità
semantica, riaffermazione del contenuto rispetto all’esuberanza della forma. Grandezza del
concetto, significato al di sopra di tutto -> concettismo.

BATTAGLIA INTORNO A GONGORA:

I documenti di questa battaglia sono molti a partire da “Carta de Pedro de Valencia escrita a D.
Luis de Góngora en censura de sus Poesías” e “Parecer de don Francisco Fernandez acerca de
las Soledades a instancia de su autor”.

Gongora risponde con “Carta de Luis de Gongora en respuesta de las que le escribieron”,
dicendo che la sua oscurità è volta a sollevare l’ingegno e che questo gli porterà due onori: quella
di essere capita da colti e quindi l’apporto di autorevolezza e quello di essere oscura agli ignoranti
perché “non si devono dare perle ai porci”. Ma soprattutto ribadiva il piacere di capire il significato
nascosto.

Juan de Jauregui fu un altro ad accusare Gongora x l’uso di accusativi alla greca, costruzioni
latineggianti, mescolanza degli stili. Nel “Discurso poetico” ribadì l’attacco alla sublimità che cade
nella violenza e propone un rimedio: esercizio di concetti e acutezze perché “Dio non creò le
tenebre, bastava non creare la luce per avere le tenebre - dar luce sì che è difficile, per non
riuscirci basta non metterne affatto e si hanno le tenebre, facilissimo”.

Francisco Cascales altro accusatore, afferma bisogno della poesia di dilettare, ma attraverso
l’insegnamento dell’imitazione. Divide l’opera di Gongora in due epoche: primo periodo “angelo
della luce”, del secondo “angelo dell’oscurità”.

Le maggiori censure erano causate da neologismi, eccesso di iperbati e metafore, stile non
uniforme tra volgarismi e registro aulico, iperboli ossessive, lunghezza dei periodi: compito
dell’autore era dimostrare quanto fossero indispensabili queste peculiarità x il rinnovamento della
lingua.

Anche Quevedo e Lope grandi detrattori dello stile di Gongora, ma soprattuto dei suoi seguaci,
“una curma di poetastri”.

Quevedo l’attacca come spacciatore d’intrugli che scrivono voci intruse e sconosciute che
schizzano latinismi nella loro lingua. Mentre Lope è contro la costruzione difficile ed elogia la
costruzione semplice spagnola che riesce ad esprimere un concetto e a chiuderlo in una sola
quartina. Quindi il metodo gongorino era difficile non tanto x contenuto ma x la lingua.

Quevedo si diletterà nell’accusa alla satira di Gongora definendolo “dotto in sconcezza”, “mezzo
uomo”. Contro la scuola cultista scrisse “La aguja de novegar cultos” e la “culta latiniparla” contro
le forme grottesche e allusive.

L’AGUDEZA DE GRACIAN
Baltasar Gracian pubblica nel 1648 “AGUDEZA Y ARTE DEL INGENIO”: lettura complessa sul
fenomeno poetico della luce dei postulati sull’ingegnosità. Gracian era convinto che l’espressione
dovesse essere dettata dall’ingegno, marcata dall’acutezza e vigilata dal giudizio.

Sosteneva l’importanza dell’armonia esistente tra gli elementi del creato secondo la "poetica delle
corrispondenze”: tutto è relazionabile con tutto, purché si sappia ragionare ed esprimere con
relazione trovata. Tanto + è ammirevole l’effetto poetico quanto + meravigliosa è la relazione e i
termini in cui si esprime. I rapporti di equilibri e armonie possono esistere o non esistere nella
realtà, ma possono comunque essere armoniosi se espressi in modalità artistiche permesse e
garantite dal linguaggio (l’acutezza sta anche nel saper fare questo).

Gracian capì anche che il vero è tanto + gradito quanto irto di difficoltà, quindi le nozioni tribolate
sono quelle che danno + godimento. Si profila quindi una nuova teoria della fruizione che richiede
la parte attiva del destinatario del messaggio.

Letteraria sarà quindi qualunque manifestazione artificiosa emanata dall’ingegno, slegata dalla
sfera della verità x aspirare alla sfera della bellezza sotto il principio dell’admiratio.

Il suo trattato sarà la più intelligente razionalizzazione che il ‘600 abbia dato x il processo della
scrittura.

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