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Università degli Studi di Catania

Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente


Corso di Principi e tecniche agronomiche in agricoltura biologica
Docente: Prof. P. Guarnaccia
Anno Accademico 2021-2022

Sandra Mattia ed Eleonora Amore


III anno Scienze e Tecnologie Agrarie

La fame nel mondo e i


problemi legati
all’alimentazione
Sommario
Capitolo 1: INTRODUZIONE.............................................................................................................3
1.1 la fame nel mondo.................................................................................................................3
1.1.1 Zone in cui si verifica maggiormente.............................................................................3
Capitolo 2: PRINCIPALI CAUSE DELLA FAME NEL MONDO....................................................6
2.1 Crisi economiche........................................................................................................................6
2.3 Condizioni climatiche.................................................................................................................7
2.3.1 Alluvioni, siccità, tempeste tropicali...................................................................................7
2.3.2 Cambiamento climatico.......................................................................................................8
2.4 Guerre e conflitti........................................................................................................................8
2.5 Perdita della biodiversità del suolo, impoverimento alimentare................................................9
2.6 Sprechi alimentari.....................................................................................................................10
Capitolo 3: PRINCIPALI EFFETTI DELLA FAME NEL MONDO...............................................12
3.1 Effetti sulla salute.....................................................................................................................12
3.1.1 Incidenza sul tasso di mortalità.........................................................................................13
Capitolo 4: POSSIBILI INTERVENTI PER PREVENIRE E RIMEDIARE ALLA FAME NEL
MONDO.............................................................................................................................................15
4.1 Rigenerare la salute della terra.................................................................................................15
4.1.1 Agroecologia.....................................................................................................................15
4.2 Promozione della filiera corta..................................................................................................16
4.2.1 Sistemi alimentari a Km 0.................................................................................................16
4.2.2 Ridurre gli sprechi alimentari............................................................................................17
Capitolo 5: PRINCIPALI MALATTIE CAUSATE DALL’ ALIMENTAZIONE...........................19
5.1 Malattie presenti nei paesi maggiormente sviluppati...............................................................19
5.1.1 Patologie cardiovascolari..................................................................................................19
5.1.2 Tumori...............................................................................................................................19
5.1.3 Malattie legate al sovrappeso e all’obesità........................................................................20
5.1.4 Bulimia e anoressia...........................................................................................................21
5.1.5L’agricoltura biologica come mezzo per prevenire le patologie legate all’alimentazione.21
5.2 Malattie presenti nei paesi più poveri.......................................................................................22
5.2.1 Sottoalimentazione e malnutrizione..................................................................................22
CONCLUSIONI.................................................................................................................................22
BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................25
SITOGRAFIA....................................................................................................................................26
Capitolo 1: INTRODUZIONE

1.1 la fame nel mondo

Il livello globale della percentuale di persone che non hanno cibo sufficiente sfiora l’11 percento:
poco più di 820 milioni di persone soffrono la fame. Vuol dire una persona su nove nel mondo. La
maggior parte (più di 700 milioni di persone) è “esposta a gravi livelli di insicurezza alimentare.
Bisogna poi aggiungere un ulteriore 17,2% della popolazione mondiale (1,3 miliardi di persone) che
soffre l’insicurezza alimentare a livelli moderati, cioè che non ha “accesso regolare ad alimenti
nutrienti e sufficienti. La combinazione di livelli moderati e gravi di insicurezza alimentare porta il
totale stimato a circa due miliardi di persone” (Boliko, 2019).

Fig. 1
1.1.1 Zone in cui si verifica maggiormente

Ad oggi, nel mondo, oltre 40 milioni di persone sono a livelli di insicurezza alimentare di “crisi” o
di “emergenza”. La situazione è in rapido peggioramento in 16 Paesi in Africa, 4 in America
Centrale e 3 in Asia. In totale sono circa 5,7 milioni i bambini sotto i cinque anni che sono sull’orlo
della fame, oltre il 50% in più rispetto al 2019. Basta un ulteriore piccolo passo e in alcune aree del
mondo da una situazione di crisi ed emergenza si passerà ad una catastrofe
Fig. 2 Indice globale della fame. Tratto da https://www.avvenire.it/economia/pagine/il-virus-nutre-
la-fame-nel-mondo

La pandemia da una parte e i cambiamenti climatici dall’altra hanno prodotto un cortocircuito che
avrà ripercussioni sull’emergenza alimentare globale. L’obiettivo fame zero nel 2030 (“goal 2”
dell’Agenda Onu) rischia di rimanere un’utopia: potrebbero anzi raddoppiare le persone che non
hanno cibo a sufficienza. È uno scenario preoccupante che emerge dalla 15esima edizione
dell’Indice globale della fame presentato dal Cesvi, organizzazione umanitaria che opera in 22
Paesi. L’emergenza è attualmente ad un “livello moderato” su scala mondiale, in lieve
miglioramento rispetto al 2000, ma 11 Paesi registrano livelli allarmanti e altri 40 gravi. La
situazione più disperata in tre Paesi – Ciad, Timor Est e Madagascar – seguiti da altri otto in
condizioni drammatiche: Burundi, Comore, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del
Congo, Siria, Somalia, Sud Sudan e Yemen. I quattro parametri che Cesvi prende in esame non
lasciano spazi a dubbi. Secondo i dati dell’Onu e della Banca mondiale quasi 690 milioni di persone
nel mondo sono denutrite, 144 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni soffrono di arresto
della crescita e 47 di deperimento. Solo nel 2018, 5,3 milioni di piccoli sono morti per la
malnutrizione. La recessione economica dovuta al Covid- 19 e le conseguenze del cambiamento
climatico, in particolare le alluvioni e le devastazioni delle locuste in Africa, sono due fattori che
faranno crescere l’insicurezza alimentare e nutrizionale di milioni di persone. La percentuale di
persone denutrite nel mondo è stabile (8,9%) ma il numero assoluto è in aumento: 10 milioni di
persone in più nel 2019 rispetto all’anno precedente, 60 milioni rispetto al 2014. Sono l’Asia
meridionale e l’Africa a sud del Sahara le regioni con i livelli di fame più elevata. In entrambe le
aree la fame è di livello grave, a causa dell’elevata percentuale di persone denutrite (rispettivamente
230 e 255 milioni) e dell’alto tasso di arresto della crescita infantile che colpisce un bambino su tre.
L’Africa a sud del Sahara ha il più alto tasso di mortalità infantile al mondo, mentre l’Asia
meridionale ha il più alto tasso mondiale di deperimento infantile. «La lotta alla fame globale – ha
sottolineato la presidente di Cesvi, Gloria Zavatta – deve essere sempre di più un impegno comune
e una sfida sempre più urgente, resa ancora più complessa dalla pandemia di Covid-19 e dalle
sempre più drammatiche conseguenze del cambiamento climatico.». Uno dei paesi a rischio è la
Somalia con 5,2 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari. Il coronavirus ha ampliato gli
effetti di una crisi economica prolungata alla quale si aggiungono le devastanti inondazioni fluviali
che stanno colpendo il paese e una grave invasione di locuste iniziata a fine 2019, che impatta sulla
produzione agricola e sulla sicurezza alimentare. I dati, basandosi su dati antecedenti alla crisi
sanitaria, non riflettono ancora l’impatto della pandemia. Ma fanno presagire uno scenario
drammatico in particolare c’è il rischio di un raddoppio delle persone colpite da crisi alimentari
acute: 80 milioni di persone malnutrite nei soli Paesi importatori netti di alimenti. Le misure
adottate per contenere la diffusione del virus hanno avuto come effetto collaterale l’aumento della
povertà. In alcune aree è stato limitato l’accesso ai campi e ai mercati, provocando impennate
localizzate dei prezzi alimentari e riducendo le opportunità di reddito. In altre parole, è diminuita la
capacità delle popolazioni vulnerabili di acquistare cibo. Le scuole chiuse in varie parti del mondo
impediscono inoltre a milioni di bambini di ricevere un pasto giornaliero nutriente. Potrebbero
aumentare di 6,7 milioni i bambini che soffrono di deperimento con 130.000 decessi in più. Da
Cesvi arriva un nuovo appello ad affrontare l’emergenza alimentare in modo trasversale, tenendo
conto delle interconnessioni tra gli esseri umani e l’ambiente e favorendo relazioni commerciali più
eque (CESVI.org).
Capitolo 2: PRINCIPALI CAUSE DELLA FAME NEL MONDO

2.1 Crisi economiche

La crisi del Covid ha portato a un aumento dei prezzi nel mondo, in particolare per la difficoltà nel
rimettere in moto le catene globali del valore e nel reperire le materie prime, come i metalli
necessari per la produzione di apparecchiature elettroniche. Tra le numerose commodities che
hanno registrato un aumento dei prezzi, troviamo anche i beni alimentari, il cui valore è cresciuto
nel corso di tutto il 2020 e nel 2021, soprattutto a causa di contrazioni nell’offerta. La crisi
economica e la scarsità dei beni alimentari hanno aumentato il numero di persone malnutrite
dall’8,4 al 9,9 per cento della popolazione mondiale tra il 2019 e il 2020. I paesi meno sviluppati
(least developed countries, Ldc) sono quelli maggiormente a rischio su vari fronti, tra cui quello
sanitario e quello alimentare. Solo il 3,1 per cento della popolazione degli Ldc ha ricevuto almeno
una dose di vaccino e solo l’1,2 per cento delle dosi globali è stato distribuito in questi paesi,
nonostante rappresentino il 14 per cento della popolazione mondiale. Sul fronte della sicurezza
alimentare, negli ultimi venti anni sono stati fatti molti progressi nel ridurre la fame nei paesi meno
sviluppati, ma il tasso di malnutrizione è salito a partire dal 2018, e nel 2020 la crescita è accelerata.
La figura 2 mostra che il tasso di malnutrizione è di poco superiore al 20 per cento, ma c’è una
grande disuguaglianza tra paesi: in Bangladesh le persone malnutrite nel 2019 erano il 9,7 per cento
della popolazione, mentre nella Repubblica Centrafricana erano il 48,2 per cento.

Fig. 2 Tasso di malnutrizione nei paesi meno sviluppati (least developed countries) (da
https://www.lavoce.info/archives/90473/fame-nel-mondo-ridurla-con-la-cooperazione/)

Il rischio di malnutrizione è aumentato poi anche nelle economie emergenti; ne è un esempio la


Nigeria, dove l’inflazione e soprattutto il prezzo dei beni alimentari di prima necessità sta portando
a una crisi alimentare. Nel caso nigeriano, come in quello di altri paesi che rischiano una crisi
alimentare, la crescita dei prezzi è dovuta a diversi fattori, dalla siccità alla difficoltà di coltivare i
campi a causa delle restrizioni per contenere la pandemia, fino alla forte instabilità interna, causata
da conflitti e da un grave deprezzamento della moneta.

2.2 Squilibri economici e sociali

Osservare la questione della disuguaglianza in una prospettiva ‘di sistema’, prendendo i sistemi
alimentari come punto di riferimento rappresenta un esercizio particolarmente significativo. Il cibo
è infatti legato a doppio filo con ogni aspetto della vita sociale, e la sua storia tiene insieme il livello
più locale con quello più globale: aspetti economici, culturali, sociali, politici, che interagiscono per
generare effetti contraddittori e vere e proprie incongruenze. Il perdurare della fame sul pianeta si
accompagna infatti ad altri fenomeni di segno opposto, come quelli legati allo spreco di cibo, che
secondo la FAO ammonterebbe approssimativamente a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno. Una
quantità incredibile di cibo che si compone del 30% di tutti i cereali prodotti, e ben il 50% delle
colture a radice, frutta e verdura. Ancora più significativo lo spreco del 20% della carne prodotta,
considerando che la sola produzione di carne può assorbire fino a 100 calorie in mangimi per
caloria consumabile prodotta. Si tratta di un’autentica montagna di cibo che viene prodotta e non
consumata, contribuendo in modo importante all’esaurimento delle risorse del pianeta. Ma mentre
aumentano lo spreco di cibo e il numero degli affamati, aumenta anche il numero di coloro che
soffrono di ‘sovranutrizione’. I fenomeni di obesità e sovrappeso sono infatti in crescita in tutti i
paesi con un conseguente incremento dei tassi di mortalità che da essi dipendono. La cosa
allarmante è che il tasso di obesità e sovrappeso sono in aumento in tutte le classi di età, anche tra i
bambini molto piccoli; ed in modo particolare tra i giovani e gli adolescenti, che saranno gli adulti
di domani. Si tratta di una situazione estremamente preoccupante, fotografata anche dalla FAO
nell’esaminare le forme di squilibrio nella nutrizione, come il basso peso alla nascita, le diverse
forme di malnutrizione (cronica e acuta) e l’ anemia delle donne in età riproduttiva.

2.3 Condizioni climatiche

Seguendo le ipotesi verificate da Vesco et al. (2021) esistono complessi collegamenti tra variabilità
climatica, produzione agricola e insorgenza di conflitti. In particolare, gli impatti negativi della
variabilità climatica portano ad un aumento della concentrazione spaziale della produzione agricola
all'interno dei paesi. A sua volta, l'effetto combinato degli estremi climatici e della concentrazione
della produzione agricola aumenta la probabilità prevista di insorgenza di conflitti fino al 14% nei
paesi dipendenti dall'agricoltura.

2.3.1 Alluvioni, siccità, tempeste tropicali

Secondo la ONG “Save the children” si stima che 710 milioni di minori vivano nei 45 Paesi a più
alto rischio di subire l’impatto della crisi climatica. Inondazioni, siccità, uragani e altri eventi
meteorologici estremi avranno un impatto particolarmente profondo sui bambini vulnerabili e sulle
loro famiglie. I più piccoli, ad esempio, rischiano di soffrire la carenza di cibo, malattie e altre
minacce per la salute, come la scarsità o l’innalzamento del livello dell’acqua o una combinazione
di questi fattori. Anche i bambini, le bambine e le/gli adolescenti nei Paesi considerati a “basso
rischio” devono affrontare minacce, ad esempio causate da incendi boschivi,inondazioni, siccità e
altri eventi meteorologici irregolari.

Fig. 3 Effetti di una grande alluvione in un paese africano. Fonte:


https://www.azionecontrolafame.it/cop26-crisi-climatica-climate-change-fame-nel-mondo
2.3.2 Cambiamento climatico

I cambiamenti climatici stanno già minando la produzione di importanti colture come grano, riso e
mais nelle regioni tropicali e temperate e, senza costruire resilienza climatica, si prevede che la
situazione peggiorerà con l'aumentare delle temperature .Le analisi del rapporto mostrano che la
prevalenza e il numero di persone sottonutrite tendono ad essere più alti nei paesi altamente esposti
agli eventi climatici estremi. La sotto-nutrizione è ancora più alta quando l'esposizione ad eventi
climatici estremi si unisce ad un'alta percentuale della popolazione che dipende da sistemi agricoli
altamente sensibili alle precipitazioni e alla variabilità delle temperature. Le anomalie della
temperatura sulle aree di coltivazione agricola hanno continuato a essere superiori alla media nel
periodo 2011-2016, portando a periodi più frequenti di caldo estremo negli ultimi cinque anni.
Anche la natura delle stagioni delle piogge sta cambiando, inizio tardivo o precoce delle stagioni
piovose e ineguale distribuzione delle precipitazioni in una stagione. Il danno alla produzione
agricola contribuisce a ridurre la disponibilità di cibo, con effetti a catena che causano aumenti dei
prezzi alimentari e perdite di reddito che riducono l'accesso delle persone al cibo.
2.4 Guerre e conflitti

“Se i governi e le istituzioni sovranazionali non riusciranno a ridurre i conflitti e a garantire il


rispetto dei principi stabiliti dal diritto internazionale umanitario vedremo crescere ulteriormente il
numero di persone che soffrono la fame, vanificando i progressi faticosamente conquistati in questi
ultimi 15 anni,”(Azione contro la fame, 2018). Da una parte le guerre distruggono mercati e mezzi
di sostentamento e producono spostamenti massicci che innescano un elevato rischio di insicurezza
alimentare; dall’altra, l'insicurezza alimentare e la competizione per le risorse naturali o il cibo è
all'origine di gran parte dei conflitti attivi oggi nel mondo. Il rapporto di Azione contro la Fame
fornisce gli esempi e le cifre del legame tra guerra e fame:
1 Paese su 4 nel mondo ha un conflitto in corso.

6 persone su 10 che soffrono la fame vivono in un Paese in conflitto.

122 dei 151 milioni di bambini colpiti da malnutrizione cronica vivono in un Paese in conflitto.

In 24 paesi su 46 con conflitti attivi, la prevalenza di malnutrizione acuta è superiore al 30%

Il 77% dei conflitti ha all’origine l’insicurezza alimentare della popolazione.

Nel 2017 è stato superato il record di sfollati dalla seconda guerra mondiale, con 66 milioni di
persone. Più della metà sono sfollati a causa della violenza, una cifra che si è raddoppiata tra il 2007
e il 2015. La violenza, specialmente nelle guerre moderne che colpiscono in modo massiccio la
popolazione civile, provoca spostamenti di massa di persone che fuggono con ciò che è rimasto,
abbandonano i loro mezzi di sostentamento e si concentrano in luoghi con acqua e servizi igienici
precari dove dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Il numero di sfollati a causa della
violenza è raddoppiato tra il 2007 e il 2015 e si calcola che una persona sfollata trascorra in media
più di 17 anni nei campi profughi o presso le popolazioni ospitanti, creando per di più tensioni e
concorrenza per le risorse naturali o l'occupazione. Nelle guerre le colture vengono abbandonate, i
periodi di semina e raccolta saltano, l'offerta ai mercati viene interrotta così come le vie di trasporto
e approvvigionamento: tutto questo ha un impatto feroce sulla popolazione.

2.5 Perdita della biodiversità del suolo, impoverimento alimentare

Sono innumerevoli le ricerche citate nel Manifesto “Food for Health” che dimostrano come e
quanto la salubrità del cibo sia un elemento essenziale per la salute delle persone, e al tempo stesso
sia strettamente connessa alla qualità del suolo, dell’aria, dell’acqua e dell’ambiente in cui questo
cibo viene prodotto. E dunque a come viene prodotto. L’agricoltura chimica – scrive il Manifesto –
degrada la qualità del suolo, riduce le proprietà nutritive dei semi e delle piante ed erode la
biodiversità vegetale. I fertilizzanti minerali compromettono la colonizzazione simbiotica tra
funghi, micorrize e radici, che favorisce lo scambio di nutrienti. I semi omogenei e ibridi sono
alterati per favorire una maggiore produzione a scapito della qualità. L’uso di pesticidi indebolisce
la capacità di difesa delle piante, con conseguente riduzione dei polifenoli, indispensabili come
antiossidanti per la salute umana. E’ un circolo vizioso. Il sistema industrializzato intensivo produce
effetti nocivi sulla qualità e varietà dei semi, contamina il suolo e le falde acquifere e contribuisce
significativamente al cambiamento climatico. La perdita della biodiversità del suolo si traduce in
perdita di diversità nei nutrienti nelle nostre diete, in impoverimento alimentare. Per aumentare la
produttività, l’agricoltura industriale utilizza allora sostanze chimiche tossiche che entrano nella
catena alimentare. “I nostri campi e le nostre tavole – precisa il Manifesto – sono inondati, oggi più
che mai, da sostanze chimiche pericolose. Più di 80.000 nuovi prodotti chimici e 20 milioni di
sottoprodotti sono stati commercializzati a partire dalla seconda guerra mondiale.” La perdita di
biodiversità non fa male solo all’ambiente ma anche alla nostra salute che risente di
un’alimentazione omologata e poco varia. Secondo un recente rapporto della Fao, su oltre 6.000
specie di piante coltivate a fini alimentari sono meno di 200 quelle che contribuiscono
significativamente alla produzione agricola a livello mondiale. E ben il 66% della produzione
globale è coperto da nove specie: mais, riso, grano, patate, canna da zucchero, semi di soia, olio di
palma, barbabietole e manioca. La ricerca della produttività a tutti i costi ha spinto verso un modello
agricolo intensivo dove si privilegia la monocoltura. Il che ha fatto sì che molte varietà di piante
non vengono più coltivate, rendendo la nostra dieta più povera visto che spesso sono specie molto
ricche dal punto di vista nutrizionale (vitamine, minerali) e in grado di rinforzare il nostro sistema
immunitario. Tra le colture dimenticate ad alto valore nutritivo c’è l’amaranto ,apprezzato dalle
comunità indigene del sud America, che è uno pseudo cereale simile al grano saraceno,
dall’altissimo potenziale nutritivo e medicinale. Ricco di proteine, vitamine e minerali essenziali tra
cui calcio, ferro, magnesio, potassio e zinco. Un altro esempio è l’arracacha, una radice che si
coltiva soprattutto nell’America del sud, in particolare nella regione delle Ande. Contiene quattro
volte la quantità di calcio delle patate ed è ricca di vitamine, ferro, proteine e sali minerali. E’
considerata un alimento in grado di rinforzare il sistema immunitario e con proprietà antiossidanti.
Infine, il Northern Wild Rice è una delle quattro specie di riso selvatico che cresce nella regione dei
Grandi Laghi nordamericani e nelle aree acquatiche della foresta boreale del Canada. Ricco di
vitamine, minerali, antiossidanti e fibre, il Wild Rice contiene più proteine della maggior parte degli
altri cereali integrali.

Fig. 4 (I conflitti fanno peggiorare la fame. Immagine tratta da Fao.org)


2.6 Sprechi alimentari

Lo sperpero alimentare determina perdita di biodiversità, accumulo di gas serra in atmosfera,


inquinamento dell’acqua, del suolo e di altre risorse. La principale causa di spreco alimentare è la
sovrapproduzione di eccedenze; ad ogni incremento di fabbisogno, corrisponde un aumento
maggiore di offerte e consumi, innescando la crescita dello spreco (+3,2% ogni anno). A questo, si
associa l’aumento delle disuguaglianze (anche in Italia): nel mondo, 815 milioni di persone soffrono
la fame e 2 miliardi la malnutrizione, mentre vi sono quasi 2 miliardi di persone in sovrappeso. In
Italia, per ristabilire condizioni di sicurezza alimentare, gli sprechi complessivi dovrebbero essere
ridotti di almeno il 25%. Lo spreco alimentare genera effetti socio economici e ambientali molto
significativi. Ad esso sono infatti associate emissioni di gas serra per circa 3,3 miliardi di tonnellate
di anidride carbonica (CO2), pari a oltre il 7% delle emissioni totali. Se fosse una nazione, lo spreco
alimentare sarebbe al terzo posto dopo Cina e USA nella classifica degli Stati emettitori.
Capitolo 3: PRINCIPALI EFFETTI DELLA FAME NEL MONDO

3.1 Effetti sulla salute

Il rapporto FAO (The Food and Agricolture Organization – FAO “The State of Food Security and
Nutrition in the World 2021”) afferma che sono stati compiuti scarsi progressi nella riduzione dei
problemi della crescita infantile, con circa 151 milioni di bambini sotto i cinque anni di età troppo
bassi a causa della malnutrizione nel 2017, rispetto ai 165 milioni del 2012. Globalmente, l'Africa e
l'Asia rappresentano rispettivamente il 39% e il 55% di tutti i bambini con ritardi nella crescita. La
prevalenza di deperimento infantile rimane estremamente elevata in Asia, dove quasi un bambino su
dieci sotto i cinque anni ha un peso basso per la sua altezza, rispetto a solo uno su 100 in America
Latina e nei Caraibi. Il rapporto descrive come "vergognoso" il fatto che una donna su tre in età
riproduttiva a livello mondiale sia affetta da anemia, che ha conseguenze significative sulla salute e
sullo sviluppo sia per le donne che per i loro bambini. Nessuna regione ha mostrato un calo
nell'anemia tra le donne in età riproduttiva, e la prevalenza in Africa e Asia è quasi tre volte
superiore a quella ad esempio del Nord America. I tassi di solo allattamento materno in Africa e in
Asia sono 1,5 volte più alti di quelli del Nord America, dove solo il 26% dei bambini sotto i sei
mesi riceve esclusivamente il latte materno.

Fig. 5 ( Immagine tratta da Fao.org)


3.1.1 Incidenza sul tasso di mortalità

L’Indice Globale della Fame (o GHI, Global Hunger Index) è uno strumento statistico per la
raccolta di dati sulla fame nel mondo e sulla malnutrizione nei diversi Paesi. L’Indice è stato
adottato e sviluppato dall’International Food Policy Research Institute (IFPRI) che l’ha pubblicato
per la prima volta nel 2006. La pubblicazione annuale dell’Indice è oggi curata dall’ONG tedesca
Welthungerhilfe e dall’irlandese Concern Worldwide, partner europei del network Alliance2015.
Dal 2008 l’edizione italiana è curata da Cesvi. L’Indice classifica i Paesi lungo una scala di 100
punti, dove 0 rappresenta il miglior valore possibile (assenza di fame) e 100 il peggiore. Più alto è il
valore, peggiore è lo stato nutrizionale di un Paese. Valori inferiori a 9,9 mostrano un’incidenza
della fame molto bassa, mentre tra 10 e 19,9 il valore è moderato. Valori tra 20 e 34,9 segnalano
una situazione di grave fame, mentre valori tra il 35 e il 49,9 livelli allarmanti. Oltre il 50, il
problema della fame è considerato estremamente allarmante.

Il GHI combina quattro indicatori:

Denutrizione: la percentuale di popolazione con insufficiente assunzione calorica;

Deperimento infantile: la percentuale di bambini sotto i cinque anni che hanno un peso insufficiente
per la loro altezza, che è indice di sottonutrizione acuta;

Arresto della crescita infantile: la percentuale di bambini sotto i cinque anni che hanno un’altezza
insufficiente per la loro età, indice di sottonutrizione cronica;

Mortalità infantile: il tasso di mortalità tra i bambini sotto i cinque anni, che riflette parzialmente la
fatale combinazione di un’alimentazione insufficiente e di ambienti insalubri

Ogni anno l’Indice — oltre all’aggiornamento dei dati sulla fame nel mondo a livello regionale,
nazionale e locale — si concentra su un tema specifico che ben rappresenta la multidimensionalità
del problema “fame” e delle sue possibili soluzioni. Gli ultimi focus hanno riguardato il nesso tra
fame e salute umana e i legami tra fame e cambiamento climatico, tra fame e migrazione forzata, le
disuguaglianze nell’accesso al cibo e alle risorse e il tema della fame nell’Agenda2030 delle
Nazioni Unite. L’Indice Globale della Fame 2021 presenta un livello di fame nel mondo moderato
con un punteggio di 17,9, in miglioramento rispetto al 2012 in cui si registrava un livello globale
grave. Tuttavia, in molte zone il progresso è troppo lento e la fame rimane acuta: 1 Paese registra un
livello di fame estremamente allarmante, 9 Paesi registrano livelli di fame allarmanti e 37 Paesi
appartengono alla categoria grave. Dopo decenni di declino, la percentuale di persone denutrite nel
mondo è in aumento: nel 2020 circa il 10% della popolazione mondiale è denutrita, corrispondente
a 811 milioni di persone, 121 milioni in più rispetto al 2019. Fra di loro, sono 155 milioni le
persone in stato di insicurezza alimentare acuta, 20 milioni in più dell’anno precedente. L’Africa a
sud del Sahara e l’Asia meridionale si riconfermano le regioni con i livelli di fame più elevati al
mondo, con punteggi rispettivamente di 27,1 e 26,1. In entrambe le aree la fame è di livello grave, a
causa dell’elevata percentuale di persone denutrite e degli alti tassi di deperimento e di arresto della
crescita infantili. Dall’edizione 2021 emerge che il secondo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile
(SDG), conosciuto come Fame Zero, fissato per il 2030, rischia di non essere raggiunto: al ritmo
attuale, il mondo nel suo complesso e 47 Paesi – 10 in più rispetto alle proiezioni dell’edizione 2020
– non riusciranno nemmeno a raggiungere un livello di fame basso nella Scala di Gravità. Sempre
più numerosi e prolungati, i conflitti armati restano la principale causa della fame nel mondo.
Infatti, fame e guerra sono legate a doppio filo. I conflitti violenti hanno un impatto devastante sui
sistemi alimentari poiché ne pregiudicano ogni aspetto, dalla produzione al consumo. E
l’insicurezza alimentare duratura è tra le principali eredità di una guerra.
Capitolo 4: POSSIBILI INTERVENTI PER PREVENIRE E RIMEDIARE ALLA FAME
NEL MONDO

4.1 Rigenerare la salute della terra

È giunto il momento di ri-considerare come coltiviamo, condividiamo e consumiamo il cibo. Se


gestite bene, l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca possono offrire cibo nutriente per tutti e
generare redditi adeguati, sostenendo uno sviluppo rurale centrato sulle persone e proteggendo
l’ambiente allo stesso tempo. Tuttavia, al giorno d’oggi, i nostri suoli, fiumi, oceani, foreste e la
nostra biodiversità si stanno degradando rapidamente. Il cambio climatico sta esercitando pressioni
crescenti sulle risorse dalle quali dipendiamo, aumentando i rischi associati a disastri ambientali
come siccità e alluvioni. Molte donne delle zone rurali non sono più in grado di sostenersi con i
proventi ricavati dalle loro terre, e sono quindi obbligate a trasferirsi in città alla ricerca di
opportunità. E’ necessario un cambiamento profondo nel sistema mondiale agricolo e alimentare se
vogliamo nutrire 795 milioni di persone che oggi soffrono la fame e gli altri 2 miliardi di persone
che abiteranno il nostro pianeta nel 2050. Il settore alimentare e quello agricolo offrono soluzioni
chiave per lo sviluppo, e sono vitali per l’eliminazione della fame e della povertà. L’agricoltura è il
settore che impiega il maggior numero di persone in tutto il mondo, fornendo mezzi di
sostentamento per il 40% della popolazione mondiale. È la principale fonte di reddito e di lavoro
per le famiglie rurali più povere. 500 milioni di piccole aziende agricole nel mondo, la maggior
parte delle quali dipende da risorse piovane, forniscono l’80% del cibo che si consuma nella
maggior parte del mondo sviluppato. Investire nei piccoli agricoltori, sia donne sia uomini, è la
strada migliore per aumentare la sicurezza alimentare e la nutrizione dei più poveri, e per aumentare
la produzione alimentare per i mercati locali e globali Dal 1900, il settore agricolo ha perso il 75%
della varietà delle colture. Un uso migliore della biodiversità agricola può contribuire ad
un’alimentazione più nutriente, a migliori mezzi di sostentamento per le comunità agricole e a
sistemi agricoli più resilienti e sostenibili. “Ciò di cui abbiamo bisogno ora come ora è un’azione
intelligente e sistemica per portare il cibo a coloro che ne hanno bisogno e, in generale, per
migliorare la qualità del cibo per coloro che ne hanno. Un’azione per impedire che i prodotti della
terra marciscano nei campi per mancanza di efficienti catene di approvvigionamento. Un’azione per
ottimizzare l’impiego degli strumenti digitali e dell’intelligenza artificiale, così da prevedere le
minacce ai raccolti, far scattare automaticamente l’assicurazione sui raccolti e abbattere i rischi
climatici. Un’azione per salvare la biodiversità da un’inesorabile erosione. Un’azione per
trasformare le città nelle fattorie del futuro. Un’azione di governo per mettere a punto politiche che
facilitino l’accesso a regimi alimentari sani”, afferma il direttore generale della Fao, QU Dongyu.

4.1.1 Agroecologia

L'agroecologia fonda in sé scienza, pratica e movimento sociale. Uno dei suoi principi chiave è la
diversificazione, ottenuta coltivando specie diverse sullo stesso terreno e replicando gli ecosistemi
naturali. Questo metodo di coltivazione aumenta la resilienza, la capacità dei sistemi di adattarsi ai
cambiamenti climatici, la biodiversità, la resistenza alle malattie e l'assorbimento di nutrienti. Un
approccio che favorisce anche l'alimentazione equilibrata, poiché le famiglie di agricoltori hanno la
libertà di decidere ciò che vogliono coltivare. «Oltre a promuovere la lotta contro i parassiti e la
siccità, l'agroecologia promuove anche una dieta sana e la sicurezza alimentare», ricorda Tina
Goethe, esperta di diritto al cibo dell'ONG Pane per tutti. «In Honduras, per esempio, chi coltiva
granoturco, fagioli, frutta e verdura e alleva degli animali domestici ha superato senza grandi
difficoltà la crisi causata dal nuovo coronavirus. Non è stato così per chi ha puntato solo sulla
produzione di caffè». Ciò che ricorda Goethe è stato provato anche da un recente studio svolto
dall'ONG Biovision e della FAO. In estrema sintesi, la ricerca evidenzia che l'agroecologia è uno
strumento efficace per lottare contro le conseguenze del cambiamento climatico, aumenta la
resilienza e rafforza la biodiversità, la creazione e la condivisione di conoscenze tra agricoltori e
ricercatori
4.2 Promozione della filiera corta

Le produzioni alimentari da filiere corte, biologiche e locali danno un contributo importante a


ridurre la perdita e lo spreco di cibo, evitando rilevanti ripercussioni negative sia a livello socio-
economico che ambientale. Come evidenzia il recente rapporto “Spreco alimentare: un approccio
sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”, redatto dall’Ispra e dal Sistema nazionale
per la protezione dell’ambiente, a parità di risorse, la piccola scala agroecologica produce 2-4 volte
meno sprechi dell’agroindustria; il consumo totale di risorse è inferiore, è più durevole e fornisce
più nutrienti. Nel mondo, la piccola agricoltura contadina produce il 70% del totale della
produzione alimentare (l’80% nei paesi in sviluppo), avendo a disposizione solo un quarto delle
terre coltivabili. Primi dati mostrano che le filiere corte-biologiche-locali riducono gli sprechi pre-
consumo al 5% contro il 30-50% dei sistemi industriali. Inoltre chi si rifornisce solo in reti
alternative spreca un decimo di chi usa canali convenzionali, e i sistemi di agricoltura supportata da
comunità (CSA) abbattono al 7% gli sprechi contro il 55% prodotto dai sistemi di grande
distribuzione organizzata. Infine le prestazioni ambientali e sociali dei sistemi alternativi sono
molto migliori.
4.2.1 Sistemi alimentari a Km 0

Il Chilometro Zero è un tipo di commercio nel quale i prodotti vengono venduti nella stessa zona di
produzione. Il nome km 0 allude infatti al numero di chilometri che il prodotto dovrebbe fare per
raggiungere il consumatore. Pertanto si predilige l’alimento locale garantito dal produttore nella sua
genuinità (in contrapposizione all’alimento globale spesso di origine non adeguatamente certificata)
e si punta alla cooperazione dei produttori locali, al legame col territorio, alla riscoperta e
salvaguardia delle risorse naturali e degli antichi sapori. I prodotti a km 0 sono generalmente frutta,
verdura, legumi, latte, uova, vino, carne, cereali ma anche il miele e i suoi derivati, come la cera
d’api e l’olio di nocciole che usiamo per il nostro prodotto. Tuttavia, col passare degli anni, stanno
ormai espandendo il proprio raggio d’azione fino a raggiungere settori diversi. Infatti impiegare
risorse locali e riutilizzare ciò che abbiamo diminuisce l’inquinamento e permette di creare dei
canali di acquisto sostenibili a livello ambientale ed economico, soprattutto coscienziosi verso la
salute e i costi dei consumatori. Scegliere prodotti locali è una filosofia strettamente legata alla
sostenibilità e allo sviluppo di un’economia e società sostenibile. Il modo in cui viene prodotto e
trasformato il cibo è uno dei fattori che contribuisce maggiormente al cambiamento climatico in
quanto vengono prodotte grandi quantità di CO2, causa principale dell’effetto serra. Comprare
prodotti a km 0 significa, inoltre, mangiare alimenti freschi, genuini e salutari che non hanno avuto
bisogno dell’aggiunta di conservanti e altre sostanze chimiche. Ciò comporta inoltre un minor
ricorso a imballaggi inutili, contribuendo così a ridurre il volume dei rifiuti, soprattutto in plastica e
a sistemi di conservazione, come le celle frigorifere. Si riduce anche l’emissione di anidride
carbonica e si risparmiano acqua ed energia nei processi di lavaggio e confezionamento. Imballaggi
ridotti, risparmi e scarso utilizzo di prodotti chimici si traducono così in una maggiore eco-
sostenibilità dei prodotti che portiamo nella nostra cucina.
4.2.2 Ridurre gli sprechi alimentari

Per contrastare i livelli di spreco, il principale approccio di contrasto è oggi la prevenzione dei
rifiuti (efficienza tecnica, recupero, riciclo). Per una riduzione efficace l’impegno va spostato sulla
prevenzione strutturale delle eccedenze trasformando i sistemi alimentari sulla base di comunità
locali autosostenibili, che cooperano in reti paritarie diversificate. Tra le proposte operative per
limitare lo spreco alimentare, vengono indicati la pianificazione dei modelli e degli acquisti
pubblici, l’educazione alimentare, la tutela dell’agricoltura contadina facilitando l’accesso alla terra,
l’agroecologia e la tutela dell’agrobiodiversità , il contrasto agli illeciti, le modifiche di filiere
industriali, il ruolo dei cittadini. La strategia- secondo il rapporto ISPRA – deve prevedere una
riduzione dei fabbisogni e delle eccedenze e una produzione agricola ecologica e autosufficiente,
invertendo il consumo di suolo agricolo/naturale, sostenendo reti alimentari alternative e sostenibili,
aggregando comunità resilienti, riducendo prodotti animali, grassi insalubri, sali, zuccheri. La
riduzione degli sprechi alimentari è una delle priorità individuate nel settembre 2015 dalle Nazioni
Unite con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: l’obiettivo è dimezzare entro il 2030 gli
sprechi alimentari globali pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e le perdite di
cibo lungo le catene di produzione e di fornitura. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per
l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) un terzo di tutti i prodotti alimentari a livello mondiale (1,3
miliardi di tonnellate edibili) vengono perduti o sprecati ogni anno lungo l’intera catena di
approvvigionamento, per un valore di 750 miliardi di dollari. La buona notizia è che la perdita di
cibo sta cominciando a ottenere l’attenzione che merita. Lo spreco alimentare in Italia è stato per
troppo tempo sottostimato, e potrebbe presentare dimensioni anche più preoccupanti senza la legge
del settembre 2016 che ha invertito la tendenza. L’Unione Europea sta recependo l’obiettivo
indicato dall’ONU così come stanno facendo anche l’Environmental Protection Agency e il
Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. In soli cinque anni il Regno Unito ha tagliato i
rifiuti alimentari del 21 per cento, mentre la Danimarca ha ottenuto un’impressionante riduzione del
25 per cento nello stesso periodo (dati contenuti in https://www.cambialaterra.it/2017/11/ridurre-lo-
spreco-alimentare-si-puo-con-produzioni-bio-e-locali/)
Fig. 6 Lo spreco alimentare
Capitolo 5: PRINCIPALI MALATTIE CAUSATE DALL’ ALIMENTAZIONE

5.1 Malattie presenti nei paesi maggiormente sviluppati

Ogni anno 40 milioni di persone muoiono a causa di malattie non trasmissibili, tra cui patologie
cardiovascolari, diabete, tumori e malattie respiratorie croniche. Molte di queste malattie sono
legate all’inattività fisica, all’inquinamento ma anche a un’eccessiva alimentazione basata su cibo di
scarsa qualità e dal basso valore nutrizionale, ricco di calorie ma povero di nutrienti. Quello di gran
lunga più utilizzato. Queste sono definite «malattie del benessere» e prevalgono nei paesi ad alto
reddito.
5.1.1 Patologie cardiovascolari

Più di due terzi dei decessi attribuibili a una malattia cardiaca potrebbero essere scongiurati se si
mangiasse meglio. Tradotto in cifre, a livello mondiale significa che con una dieta migliore ogni
anno si potrebbero evitare sei milioni di morti. È questo, tra i molti altri presentati, il numero più
significativo di uno studio pubblicato in occasione del World Food Day della Fao. Colesterolo alto,
pressione sanguigna oltre i limiti e dieta sbagliata sono infatti in cima alla classifica dei responsabili
delle morti per malattia cardiovascolare ischemica, termine che riassume infarti, angine e patologie
coronariche. In base ai dati relativi a 195 paesi, nel 2017, nel mondo c’erano 126,5 milioni di
persone che vivevano con una storia di infarto e malattie cardiache ischemiche alle spalle. Lo stesso
anno si sono verificati 10,6 milioni nuovi eventi ischemici, e in totale si sono registrati 8,9 milioni
di decessi, che hanno rappresentato il 16% del totale delle morti, contro il 12,6% del 1990. Inoltre,
anche se nel periodo osservato, quello compreso tra il 1990 e il 2017, c’è stata una diminuzione nei
tassi relativi di prevalenza (cioè di persone con diagnosi in vita), incidenza e decessi su 100 mila
persone rispettivamente dell’11,8, del 27,4 e del 30%, il numero assoluto di pazienti è raddoppiato,
a causa dell’aumento della popolazione e dell’età media. Per migliorare la qualità della dieta,
bisogna ideare programmi diversi, che tengano conto delle criticità specifiche di un certo paese (per
esempio sulla presenza del sale), della disponibilità di cibo e risorse di ogni stato, stimolando al
tempo stesso tutti a una vita più sana con meno alcol, meno fumo e più attività fisica.
5.1.2 Tumori

Secondo l’American Institute for Cancer Research tre tumori su dieci sono causati da cattive
abitudini alimentari, comprese quelle che portano a sovrappeso e all’obesità, a sua volta considerato
un fattore di rischio per il cancro. Nel complesso, l’Airc sottolinea che la cattiva alimentazione può
favorire uno stato di infiammazione permanente, come accade spesso nei soggetti obesi, il che a sua
volta può rappresentare un fattore di rischio tumorale. Conoscere i cibi potenzialmente cancerogeni
e quelli che, invece, possono proteggere l’organismo, è quindi cruciale per alimentarsi in maniera
consapevole e sicura. le malattie che colpiscono gli organi dell’apparato gastrointestinale, ovvero
stomaco, intestino e colon-retto, sono particolarmente sensibili alla quantità e alla qualità di quello
che si mangia. La stima dell’EPIC è che il 75% di questi tumori, in Europa, possa essere evitato
grazie ad un’alimentazione più salutare. Tra gli alimenti potenzialmente cancerogeni ,abbiamo gli
insaccati nei quali si trovano gli ormai famosi nitriti e nitrati, sostanze la cui nocività per l’uomo è
stata scientificamente provata. Inoltre, l’Airc sottolinea come sia importante evitare di consumare
cibi ricchi di zuccheri che possono aumentare l’indice glicemico, e contemporaneamente prestare
sempre molta attenzione alla quota limite di sale da consumare nel quotidiano. Non più di 5 grammi
al giorno per potersi mantenere in salute. Le regole per una corretta alimentazione anticancro
ricalcano, in parte, i dettami della dieta mediterranea: cinque porzioni di frutta e verdura al giorno
sono, infatti, imprescindibili per poter garantire l’apporto necessario di fibre e vitamine. Cereali
integrali e legumi, in particolare, contribuiscono a proteggere il colon-retto dal rischio di tumore,
ma sostengono anche l’intestino nel suo complesso nella funzione digestiva. Uno studio condotto
tra il 2009 e il 2016 su 69 mila francesi evidenzia come il consumo di cibo biologico riduce il
rischio di cancro. E’ la conclusione cui giunge uno studio appena pubblicato su Jama Internal
Medicine condotto su una popolazione di 68 946 adulti francesi. Se i risultati saranno confermati,
promuovere il consumo di alimenti biologici nella popolazione potrebbe essere una promettente
strategia preventiva contro il cancro”, suggerisce lo studio. In particolare hanno osservato “rischi
ridotti per specifici tipi di cancro (carcinoma mammario in postmenopausa, Linfoma non Hodgkin e
tutti i linfomi) tra chi consumava cibo biologico (Baudry et al, 2018).
5.1.3 Malattie legate al sovrappeso e all’obesità

Presentate come le uniche soluzioni per sfamare miliardi di individui, l’agricoltura intensiva e i
sistemi alimentari industrializzati hanno mancato il loro obiettivo, alimentando invece
disuguaglianze, devastando l’ambiente e la salute umana. Simbolo lo junk food, cibo consumato in
tutto il pianeta ma economico solo in apparenza. E’ questa la riflessione che propone Mark Bittman,
autore e giornalista Usa, nel suo nuovo libro “Animal, Vegetable, Junk : A History of Food, from
Sustainable to Suicidal”. Una critica a un intero modello alimentare – junk food – nato negli Usa
ma ormai esportato in tutto il pianeta basato su cibo a buon mercato ma di scarso valore. Un
esempio è il classico burger e patatine. Un americano su quattro – circa 84 milioni di persone –
mangia fast food almeno una volta al giorno. Lo ordina da casa, lo ritira rimanendo in macchina, più
raramente lo consuma al negozio. Parliamo di un cibo ricco di calorie, grassi e zuccheri, ma con
scarse qualità nutrizionali e privo di vitamine. “Quasi il 50% degli alimenti oggi disponibili è sotto
forma di cibo ultra trasformato , quello che io chiamo cibo spazzatura. Secondo alcune stime,
assumiamo il 60% delle nostre calorie dal cibo ultra elaborato. Per cibo ultra trasformato, intendo il
cibo che non potresti fare da solo. Cibo a base di ingredienti che non si trovano nella cucina di
nessuno. Un cibo che i nostri nonni e bisnonni non avrebbero riconosciuto come tale”, spiega Mark
Bittman in un’intervista a The Guardian. “Progettato per essere super appetibile, attivando i centri
del piacere nel cervello e la produzione di dopamina, lo junk food anche se non crea dipendenza
come la caffeina o gli oppiacei ci va molto, molto vicino.” Non solo: è facile da consumare e
immediatamente disponibile. Ma soprattutto il suo costo ridotto consente a una grande fetta della
popolazione di sfamarsi. In realtà – è la tesi di Mark Bittman – lo junk food costa poco, ma lo
paghiamo a caro prezzo, con la nostra stessa salute. “C’è un prezzo per il cibo economico. E il
prezzo non è solo il danno ambientale e l’uso pesante delle risorse. Ci sono anche altri prezzi. Mi
riferisco ai costi della sanità pubblica legati al cibo spazzatura”, precisa. Al consumo eccessivo di
junk food sono infatti associati obesità, ipertensione, diabete di tipo 2 e malattie cardiache.
Considerandole complessivamente, le malattie derivanti dalla cattiva alimentazione assorbono il
21% del totale della spesa sanitaria Usa. L’unico rimedio è aumentare la disponibilità del cibo
reale. “Dobbiamo assicurarci che sempre più persone siano in grado di acquistare cibo vero.
Abbiamo davanti una scelta: se a sovvenzionare il cibo spazzatura o la produzione di cibo reale,
come frutta, verdura. E’ necessario aumentare la disponibilità di cibo reale. Per farlo occorre
cambiare l’agricoltura, sostenere la buona agricoltura e fare un vero sforzo per coltivare cibo vero.
Qui entrano in gioco molti aspetti. Ad esempio ridurre l’uso di pesticidi, migliorare la qualità del
suolo, ridurre l’utilizzo di antibiotici negli allevamenti, migliorare la vita degli agricoltori”,
conclude Mark Bittman.
5.1.4 Bulimia e anoressia

Tra i disturbi del comportamento alimentare, anoressia e bulimia occupano un posto di primo piano.
La bulimia ha in comune con l’anoressia l’influenza ingiustificata che la forma e il peso del corpo
hanno sull’autostima e la centralità attribuita ai pensieri sul cibo. In entrambi i casi, inoltre, si
distingue anche una forma denominata “Purging” con abbuffate e condotte di eliminazione: uso
improprio di lassativi, diuretici o enteroclismi e (o) vomito autoindotto. Sia nel caso di soggetto
anoressico che bulimico è previsto un trattamento medico individualizzato all’interno del progetto
terapeutico. Nell’anoressia nervosa non manca l’appetito ma si assiste a una strenua lotta contro la
fame per perdere peso, poiché l’autostima del soggetto dipende esclusivamente dalla magrezza.
L’anoressia nervosa è diagnosticata* in base ai seguenti elementi:

il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra di quello minimo normale per l’età e l’altezza;

la paura di acquistare peso;

l’alterazione dell’immagine corporea per ciò che riguarda forme e dimensione;

amenorrea nelle donne in età post-puberale per almeno tre mesi consecutivi.

L’andamento del disturbo può variare da forme lievi e transitorie o episodiche, seguite da completa
remissione sintomatica, a forme nelle quali si avvicendano fasi di equilibrio e periodi di
riacutizzazione, fino a forme croniche con deterioramento progressivo. L’anoressia inizia di solito
con una dieta, con restrizioni alimentari mosse dal desiderio di migliorare la propria immagine e di
farla aderire al modello imposto dalla società. La bulimia nervosa invece, è caratterizzata da
desiderio intenso e incontenibile di alimentarsi con enormi quantità di cibo, spesso legato a una
sensazione di fame eccessiva che deve essere soddisfatta in modo tossicomanico. La bulimia
nervosa è caratterizzata* da: ricorrenti abbuffate (episodi di rapida ingestione di grandi quantità di
cibo); perdita di controllo; condotte di compensazione (vomito, uso di lassativi e diuretici, esercizio
fisico) che si verificano almeno due volte alla settimana per tre mesi. A differenza dell’anoressia, le
persone che soffrono di questo disturbo spesso sono normopeso o leggermente sovrappeso o
sottopeso.La persona bulimica, come quella anoressica, anela al controllo del corpo e all’ideale di
magrezza, ma non riesce a contrastare la “crisi bulimica” attraverso la quale riesce a gestire forti
sensazioni di vuoto interno, di perdita, e l’impossibilità di sentire il proprio corpo.
5.1.5 L’agricoltura biologica come mezzo per prevenire le patologie legate all’alimentazione

Gli alimenti biologici sono più sani. Mangiare cibi bio svolge un ruolo molto importante nella
prevenzione di malattie cardiovascolari, neurodegenerative e tumori perché le colture biologiche
non sono irrorate da pesticidi e hanno un miglior profilo nutrizionale. Inoltre gli alimenti bio di
origine animale, oltre ad essere ottenuti in maniera più etica, riducono il rischio di antibiotico
resistenza. Sono le conclusioni di uno studio “Human health implication of Organic food and
Organic agriculture” pubblicato dal Parlamento europeo, basato su una revisione della letteratura
esistente sull’impatto degli alimenti biologici sulla salute. E suggerisce che gli alimenti biologici e
l’agricoltura bio possono contribuire allo sviluppo di un sistema alimentare ecologicamente
sostenibile e sano. Lo studio, in buona sostanza, affronta un tema al centro del dibattito
internazionale sullo sviluppo sostenibile e, in particolare, sull’individuazione di sistemi
agroalimentari in grado di conciliare la fornitura di alimenti sicuri e di qualità con la tutela delle
risorse naturali e con il contenimento delle emissioni di gas serra. Gli alimenti biologici contengono
più vitamine C, E e A (ß-caroteni) e fenoli. Inoltre, mangiare cibi biologici può ridurre il rischio di
allergie o obesità, poiché i consumatori di prodotti biologici sono più consapevoli dei benefici di
una dieta sana. Al contrario, gli alimenti non biologici hanno un contenuto più elevato di metalli
tossici come il cadmio (+30%), un metallo pesante che viene incorporato nell’ambiente per la sua
elevata presenza nei fertilizzanti chimici di sintesi, descritto come cancerogeno per l’uomo
dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc). Gli alimenti biologici di origine animale
hanno un contenuto più elevato di omega-3, un acido grasso vitale che promuove il buon
funzionamento cognitivo (apprendimento, memoria, ecc.) e del sistema nervoso. L’assunzione di
omega-3 rafforza il sistema immunitario, aiuta a regolare la pressione sanguigna, abbassa i livelli di
colesterolo cattivo (Ldl) e aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari. Al contrario, l’effetto di
pesticidi e sostanze chimiche contribuisce alla diffusione delle malattie legate all’alimentazione. Per
la salute, la situazione peggiora ulteriormente se in tavola finiscono cibi confezionati, raffinati e
alterati, ricchi di conservanti, coloranti, esaltatori di sapidità. Secondo l’Oms, le cosiddette malattie
non trasmissibili (Mnt) causate da diete inadeguate, ricche di calorie, ma povere di sostanze
nutritive, con elevati livelli di grassi, zuccheri e sale, causano 40 milioni di morti l’anno perché
responsabili (o corresponsabili) di malattie cardiovascolari, diabete, obesità, tumori e malattie
respiratorie croniche.
5.2 Malattie presenti nei paesi più poveri

Oltre un terzo dei Paesi a basso e medio reddito presenta forme sovrapposte di malnutrizione (45 su
123 Paesi negli anni '90 e 48 su 126 Paesi negli anni 2010), in particolare nell'Africa sub-sahariana,
nell'Asia meridionale e nell'Asia orientale e nel Pacifico
5.2.1 Sottoalimentazione e malnutrizione

Porre fine alla fame e alla malnutrizione in tutte le sue forme (tra cui sottonutrizione, carenze di
micronutrienti, sovrappeso e obesità) non significa semplicemente assicurare cibo a sufficienza per
garantire la sopravvivenza: il cibo che ingeriamo dev'essere anche nutriente, soprattutto nel caso dei
bambini. Un ostacolo determinante, tuttavia, è rappresentato dall'elevato costo degli alimenti
nutrienti e dalla difficoltà di accedere a un'alimentazione sana per un elevato numero di famiglie. Il
rapporto (FAO, The State of Food Security and Nutrition in the World 2021, Roma, 2021) dimostra
che una dieta sana è di gran lunga più costosa di 1,90 dollari USA al giorno, ossia la cifra fissata
come soglia di povertà a livello internazionale. Secondo lo studio, anche la dieta sana più
economica costa cinque volte di più di una dieta ad alto contenuto di amidi. I gruppi di alimenti più
dispendiosi a livello mondiale sono quelli che assicurano un rilevante apporto di nutrienti, come i
latticini, la frutta, gli ortaggi, nonché i cibi ad alto contenuto proteico di origine sia vegetale che
animale. Ogni anno muoiono oltre 5 milioni di bambine e bambini di età inferiore ai cinque anni e
la malnutrizione continua a contribuire al 45% di questi decessi. I bambini malnutriti e denutriti
sono infatti esposti a un rischio maggiore di contrarre malattie e perdere di conseguenza la vita, a
volte per malattie facilmente prevenibili e curabili. Le più recenti stime rivelano che la sconcertante
cifra di 3 miliardi di individui o più non può permettersi un'alimentazione sana. Nell'Africa
subsahariana e nell'Asia meridionale, il 57% della popolazione versa in questa condizione, ma il
fenomeno non risparmia alcuna regione, comprese America settentrionale ed Europa. Anche alla
luce di tale situazione, la campagna per porre fine alla malnutrizione appare compromessa. Dal
rapporto si evince che nel 2019 un numero compreso tra un quarto e un terzo di bambini di età
inferiore ai cinque anni (191 milioni) era sottosviluppato o denutrito, ossia presentava ritardi nella
crescita o eccessiva magrezza, mentre altri 38 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni era in
sovrappeso. Tra gli adulti, nel frattempo, l'obesità è diventata una vera e propria pandemia.
CONCLUSIONI

Il quadro che è stato tracciato attraverso una dettagliata ricerca tra le pubblicazioni ed i siti delle più
importanti organizzazioni mondiali sia governative che non governative, dipinge un quadro
allarmante e per nulla ottimistico della situazione attuale che stanno vivendo soprattutto le
popolazioni di Asia e Africa. Se fino al 2019 si poteva essere ottimisti, visto il lento ma costante
calo di tutti gli indici di povertà e malnutrizione, l’avvento della pandemia e l’aggravarsi dei
fenomeni legati al cambiamento climatico hanno radicalmente cambiato il quadro di riferimento e
riportato sotto agli occhi di tutti un problema che, a torto, qualcuno riteneva risolto o in via di
risoluzione. Dall’approfondimento dei temi legati alle cause della malnutrizione si evince che le
ricette che si erano mostrate vincenti fino a solo tre anni fa, adesso devono essere riviste. “Il viaggio
di scoperta non consiste nel cercare nuovi luoghi, ma nell’avere nuovi occhi” diceva Marcel Proust
e, in un certo senso questa sembra essere la prospettiva entro la quale sperimentare ed applicare
nuove strategie di approccio al fenomeno globale della fame. Agricoltura biologica, filiera corta e
riduzione degli sprechi alimentari devono diventare le parole d’ordine di questa nuova battaglia ad
una diseguaglianza stridente che si traduce, tra l’altro, in gravissimi fenomeni di instabilità politica
dove il terrorismo trova facili consensi, finendo per minacciare anche quei paesi dove non solo non
esiste malnutrizione, ma che si trovano a fronteggiare l’eccesso nel consumo del cibo. Questa
riflessione ci conduce a concludere che non è più rimandabile una nuova strategia mondiale che
metta un freno all’impennata della povertà nei paesi asiatici e africani. Perché se è vero che la
globalizzazione dei mercati è responsabile, in parte, del fenomeno della diseguaglianza tra i popoli
della Terra, è anche vero che essa può diventare lo strumento per contrastare gli squilibri. Nell’
interesse di tutti.
BIBLIOGRAFIA

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