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E’ difficile ancora oggi capire quando esattamente abbia avuto origine la musica; era praticata fin
dai tempi antichi, anche se oggi ci sono pervenuti pochi frammenti. La parola musica deriva dal
greco moysa, (musa) ogni scienza ed arte che dia l’idea di cosa perfetta, gradevole.La storia della
musica è più problematica da ricostruire rispetto alle altre arti, dato che non si riteneva fosse
un’arte da tramandare ai posteri, veniva perlopiù trasmessa oralmente. Vi sono comunque
testimonianze che la musica si pratichi sin dall’età classica ed alcuni documenti risalenti a partire
dal 3° sec. a.C. La vita sociale dei greci era sempre accompagnata da musica. Le composizioni più
usate erano:
Nel mondo greco la musica aveva carattere ricreativo ma anche educativo. Serviva inoltre per
rendere grazie alle divinità. Nel periodo omerico (8°-7° sec. a.C.) comparve la figura del
musicista professionista. La musica accompagnava la danza, il canto e le cerimonie, seguendo un
preciso repertorio di canti ed accompagnandosi al suono della lira (secondo la tradizione inventata
da Apollo e suonata divinamente da Orfeo) e dell’aulos (strumento a fiato legato al culto di
Dioniso). Fondamentale nella musica fu il concetto di armonia, ampiamente sostenuto dai
pitagorici (setta religiosa, politica, nonché scuola filosofica) e concepita come unificazione dei
contrari. Tale concetto, unito a quello del numero, costituiva la legge del mondo per i pitagorici
(nulla sarebbe comprensibile se non ci fosse il numero); che accostarono la musica alla
matematica. Pitagora infatti capì che anch’essa era governata da precise leggi matematiche e
scoprì che se una corda produceva un suono di una certa altezza, per ottenere un suono all'ottava
superiore bisognava far vibrare metà della corda; per ottenere la quinta bastava far vibrare i due
terzi della corda, e via di seguito. Inoltre la musica, che riproduce e imita la natura, era in grado di
suscitare emozioni nell’animo umano.
Da Pitagora, a cui è stato attribuita l’affermazione della relazione tra musica e animo umano, si è
sviluppata tutta la filosofia greca in merito alla musica e al suo ethos (modo) di incidere sull’anima.
Grande contributo alle teorie musicali è stato dato da Platone, che accentuò la spaccatura tra
musica udita e pensata, dividendosi tra una condanna alla musica e una considerazione di essa come
suprema forma di bellezza e verità. Platone condannava la musica da fiera, o come sola fonte di
piacere mentre esaltava quella pensata, quella della ragione che può avvicinarsi alla filosofia. In
sostanza Platone sosteneva l’arte austera e puramente educativa ed intellettuale della musica, ma ne
condannava eccessi e sregolatezze. Secondo il filosofo le musiche accettabili erano quelle
consacrate dalla tradizione, quelle legate al valore di legge (nomos).
Quando si unisce il concetto di musica a quello di legge, ci si riferisce al fatto che nella Grecia
antica vi fossero degli schemi melodici, detti nomoi, stabiliti in modo preciso a seconda delle
occasioni a cui le varie musiche erano destinate, a seconda degli effetti che dovevano produrre sul
pubblico. Rappresentano dunque la tradizione più austera della musica, quella soprattutto pensata,
sostenuta da Platone. Da quest’ultimo, molti filosofi del tempo espressero un giudizio sulla musica,
considerandola necessaria o superflua a seconda del proprio pensiero.
Aristotele ad esempio, aveva un giudizio più flessibile dei suoi predecessori: considerava la musica
un qualcosa che si oppone al lavoro, dunque ha come fine il piacere. Il filosofo sosteneva l’ascolto
della musica e la posizione critica nei confronti della stessa, ma affermava che la musica doveva
essere attività manuale solo in momenti preparatori per poi smettere una volta acquisite le adeguate
conoscenze, dedicandosi all’ascolto, attività degna di un uomo libero, e non al comune lavoro
manuale.
La musica in antichità era inscindibile dalla poesia (lirica deriva da lyra, strumento musicale greco
per eccellenza). Uno dei centri più influenti della musica e della poesia in epoca greca era Lesbo,
patria di due famosi poeti-musicisti:
• Terpandro, a cui è stato attribuito erroneamente il merito di aver portato le corde della
lira da 4 a 7;
• Arione, a cui viene attribuita l’invenzione del canto corale accompagnato dall’aulos.
Tra il 7° e il 6° sec. risale la tradizione dei nomoi.
Nel 6° secolo vi fu una fase di trasformazione, che ebbe come protagonista Timoteo di Mileto, che
pare abbia elevato il numero di corde della lira a 11, offrendo al musicista la possibilità di usare più
armonia nello stesso canto e rompere così il legame con la poesia. In questo periodo il genere più
popolare era la tragedia, con il suo grande rappresentante Euripide.
Anche della musica dei romani è rimasto poco o nulla; essa subì dapprima influenze etrusche, poi
egiziane ed orientali. Assorbì pienamente la cultura greca ma a differenza della musica greca,
raffinata ed eseguita con pochi strumenti, quella romana era più vivace e prevedeva la presenza di
più strumenti. Importante era la sua funzione socializzante, perciò oltre alle manifestazioni teatrali,
anche cerimonie e banchetti erano accompagnati da musica.
Oltre a testimonianze figurative, alcuni documenti con simboli musicali risalgono all’età
posteriore a quella classica, dove prevaleva la tradizione orale. I principali argomenti trattati dai
teorici che permettono di ricostruire certi aspetti della musica greca, riguardano ritmo,
intonazione, intervalli e scale.
Il ritmo coincideva il più delle volte con la metrica testuale (vista la connessione tra musica
e poesia).
L’aspetto acustico risale a Pitagora e alla sua costruzione della scala musicale, la cui base era il
tetracordo, terminologia legata alla lira (4 corde). Le note cardini del tetracordo erano le due
terminali che rimanevano fisse, mentre le centrali potevano variare l’ampiezza tra loro per
consentire l’esecuzione di tipi di musica differenti. I tetracordi si distinguevano in: diatonico,
cromatico ed enarmonico, differenziati a seconda degli intervalli tra le corde.
Con l’avvento del cristianesimo, gli appartenenti alla religione vollero impedire una rottura con la
tradizione greca, sebbene questa fosse stata ideata da atei; intendevano rappresentare
una continuazione con la cultura classica ed ellenistica. Ma così non fu, in quanto i
cristiani non avevano modelli liturgici a cui far riferimento, eccetto i riti sinagogali di lettura
biblica degli ebrei, adattati e modificati a seconda delle esigenze cristiane.
Oggi vi è scarsa documentazione sui primi canti liturgici, in quanto questi venivano forse
trasmessi oralmente. I primi documenti scritti risalgono solo al 9° secolo d.C., e da questi è
possibile capire che il modello ebraico ha senza dubbio influenzato i primi canti cristiani:
canto a cappella, recitazione con intonazioni acute o gravi, con lievi variazioni.
I canti religiosi, prima in aramaico e in ebraico, successivamente in greco e latino, cominciarono
ad ampliarsi fino ad avere un ampio repertorio, molto differenziato a partire dalla spaccatura
politica dell’Impero d’oriente ed occidente (morte di Teodosio 395) soprattutto per un fatto di
lingua (greco in oriente, latino in occidente). Inoltre si può supporre che la condizione di
clandestinità in cui la religione cristiana era praticata favorisse il sorgere di molte varianti del
rito e quindi dell’accompagnamento musicale di riferimento. Dal 70, le persecuzioni dei
cristiani (diaspora) volute dagli imperatori romani fino a Diocleziano, ritardarono l’espansione
del cristianesimo in Occidente; solo nel 313 con l’Editto di Costantino, che riconobbe
ufficialmente il cristianesimo, e dopo che l'imperatore Teodosio ebbe vietato i culti pagani ed
imposto la religione Cristiana come unica religione dell'impero, il cristianesimo poté espandersi a
Roma, e il latino fu riconosciuto quale lingua della liturgia in Occidente.
A partire dal 5° secolo, il cristianesimo iniziò a darsi una struttura che imponeva l’unificazione della
liturgia e, quindi, anche della musica che ne faceva parte integrante.
Pare che la forma iniziale della musica liturgica fosse monodica affidata ad un solista avente una
sola linea melodica, o più voci che eseguono una sola linea melodica.
2. IL CANTO GREGORIANO
Il canto monodico gregoriano è quello che si impose sulle altre tradizioni locali. Agli inizi del
6° secolo, esistevano in Occidente diverse aree liturgiche europee, ognuna con un proprio
rito consolidato (tra i principali, ricordiamo il rito vetero-romano, il rito ambrosiano a Milano, il
rito celtico nelle isole britanniche, il rito gallicano in Francia; differenziazione di canti dovuta
principalmente alla diaspora, che causò la dispersione dei cristiani). La tradizione vuole che alla
fine di questo secolo, sotto il papato di Gregorio Magno (590-604) si sia avuta la spinta decisiva
all'unificazione dei riti e della musica ad essi soggiacente. In realtà pare che l’unificazione
avvenisse quasi due secoli più tardi, ad opera di Carlo Magno e sotto l’impulso
dell’unificazione politica che portò alla nascita del Sacro Romano Impero. L’attribuzione a Gregorio
Magno sarebbe stata introdotta per superare le resistenze al cambiamento dei diversi ambienti
ecclesiastici, costretti a rinunciare alle proprie tradizioni.
Il canto gregoriano è il risultato di una continua trasformazione di forme e stili di canto sviluppatisi
all’interno dei due ambiti celebrativi della liturgia romana:
1. L’Officio quotidiano la celebrazione si svolge a determinate ore del giorno, dette canoniche:
Mattutino (prima dell'alba), Laudi (alba), Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro (tramonto), Compieta
(dopo il tramonto).
Caratteristico genere di canto era la salmodia, che può essere:
• antifonale canto di un salmo a cori alterni (da antifona ritornello di un salmo)
• responsoriale canto del coro in ripetizione a quello solista
• allelujatica dopo ogni versetto eseguito dal solista l'assemblea cantava alleluia.
Altro genere della celebrazione dell’Officio sono gli inni composizioni che hanno il testo in versi;
sono composti da più strofe e sono intonate su facili melodie. La melodia della prima strofa viene
poi ripetuta per tutte le altre strofe.
2. La Messa inizialmente era divisa in due parti:
catecumene funzione dottrinale e preparatoria alla comunione, lettura della Bibbia
sacrificale momento di offerte, di voti e di comunione.
Durante la messa si celebravano delle liturgie insieme dei riti e delle cerimonie del culto cristiano
nelle forme ufficiali stabilite dalla Chiesa, legate allo svolgimento delle festività disposte dal
calendario dell'anno liturgico i cui momenti centrali sono la nascita di Cristo (Natale) e la sua morte
e resurrezione (Pasqua). L’anno liturgico inizia con l’avvento (quattro domeniche prima di Natale)
e prosegue con il Natale e l’Epifania, la Quaresiama, la Pasqua, la Pentecoste e la Trinità.
La riforma gregoriana non impedì che, nel corso degli anni, le melodie monodiche di base fossero
arricchite aggiungendo variazionimelodiche ed altre voci al canto solista. Il principio base delle
innovazioni fu il tropo aggiunta di testo, musica e melismi (consistono nel cantare una vocale di
una sillaba con intonazioni diverse ma senza mai interrompere l’emissione vocale) ad un brano di
repertorio liturgico, in particolare l’Introito e l’Alleluja; e diede origine alla sequenza a Notker
Balbulus, monaco di San Gallo, è stata attribuita questa invenzione; egli si rese conto che per
ricordare le lunghe melodie senza testo proprie degli alleluia gregoriani, sarebbe stato più semplice
aggiungere un testo in prosa alla melodia, trasformandola in canto sillabico.
Il tropo era legato all’organum raddoppio della voce monodica (vox principalis) con una seconda
voce (vox organalis) ad andamento parallelo e a distanza fissa di intervalli.
Questo legame è spiegato nel “Tropario” raccolta di tropi di Winchester, da cui emergono anche i
primi esempi di dramma liturgico, ricordiamo in particolare: “Visita al sepolcro” conversazione
tra le pie donne e gli angeli, che chiedono loro come mai fossero andate al sepolcro di Cristo ormai
risorto.
Fu scelto questo argomento probabilmente perché il fulcro della Messa era incentrato proprio sulla
resurrezione del Signore. In seguito, oltre alla vita di Gesù, i drammi liturgici si basarono anche
sulla vita dei santi o su episodi del Nuovo Testamento.
Il discostarsi dalla regola dell’andamento parallelo delle voci era destinato a produrre tecniche
polifoniche più complesse:
• Discanto alle voci è consentito un movimento più libero, che alterna tra il moto parallelo e
il moto contrario; rottura degli schemi.
• organum melismatico vox principalis esegue la melodia principale, vox organalis esegue
melismi. Documenti in merito sono conservati nella chiesa di San Marziale a Limoges.
E’ a questo periodo e a queste consuetudini del canto corale religioso che risale l’origine della
pratica polifonica, che si sviluppa poi con l’Ars Antiqua.
Il mondo cristiano riprese il concetto greco di educazione musicale. Tuttavia per i cristiani la
musica non era un vero e proprio valore e pertanto doveva essere praticata solo per essere utile ad
avvicinarsi agli altri valori di fede. Agli inizi del cristianesimo ci furono pareri discordanti sulla
musica, considerata come qualcosa di corrotto e lascivo, ma anche di grande importanza ed
incombenza nel mondo ecclesiastico. Si cercò pertanto di estrarre dalla vecchia musica pagana il
suo lato “demoniaco”, e di elevarla ad una fonte di salvezza e purezza. Un problema che la Chiesa
si pose, dato che la musica veniva ancora tramandata oralmente, era quello che essa non perdesse i
suoi valori per cadere nel paganesimo.
Tra il 900 e l’anno Mille (medioevo), con l’instaurazione del feudalesimo, vi furono importanti
innovazioni in campo culturale, artistico e dunque anche musicale: gli ideali di cavalleria, le
trasposizioni simboliche degli ideali della vita sociale, i castelli sedi delle nuove attività, gettarono
le basi della cultura laica. Dal compromesso tra cultura religiosa (gregoriano, latino) e laica (amor
cortese, lingue romanze), nacquero le prime tradizioni poetico-musicali profane:
• tradizione monodica dei trovatori detta anche trovadorica, origine a Provenza, lingua
d’oc;
• tradizione dei trovieri nord della Francia, lingua d’oil;
• tradizione dei Minnesanger Germania
2. LA MONODIA PROFANA
La monodia, che a seguito della rinascita carolingia continuò a perdurare, sia in latino che in
volgare, conservava aspetti della vecchia linea monodica sacra, sia a livello di terminologia, sia per
quanto riguarda la concordanza tra testo e musica, lo stile, i contenuti, che sarebbero trasposizioni al
profano dell’amor sacro. I nuovi generi si incentravano soprattutto sulla canzone d’amore, sulla
distanza tra passione e signorilità dei modi nel corteggiamento, sul risveglio degli amanti.La
tradizione trovadorica sembra risalire ai primi anni del Mille, ad opera di Guglielmo IX duca
d’Aquitania per poi durare circa due secoli. A quanto pare,i trovadori erano in prevalenza
nobiluomini, segno che la tradizione trovadorica coinvolse tutte le classi sociali. Questa tradizione
si estese ampiamente attraverso i giullari, i matrimoni e le crociate.
La tradizione dei trovieri era invece più narrativa rispetto a quella esclusivamente lirica dei
trovadori (ricordiamo la chanson de geste, in particolare la “Chanson de Roland”), con strutture
musicali più ripetitive (Es. rondò). Così come per i canti trovadorici, anche per quelli trovierici ci
Solo verso il 13° secolo iniziamo ad avere notizie dei primi musicisti e le loro opere. Dalla scuola di
Notre Dame ci vengono i nomi di magister Leoninus (Leonin) e magister Perotinus (Perotin), i
primi autori di musica sacra, modernamente intesi, della storia della musica occidentale. Nacquero,
negli anni dell’Ars Antiqua nuovi generi:
• conductus composizione vocale di uso paraliturgico, per una o più voci con testo in latino;
il nome deriva dal latino conducere, indicante la processione svolta all’interno del luogo di
culto. Può essere composto a una o più voci. Inizialmente di carattere religioso, con la
Scuola di Notre Dame ed i suoi maggiori rappresentanti, Leonin e Perotin, questo genere si
distaccò dall'ambito liturgico per divenire una composizione di carattere puramente profano.
• mottetto (dal francese mot = parola) breve composizionevocale con o senza strumenti, di
ispirazione sacra da eseguire in ambito liturgico. Nell’Ars Nova il mottetto si sganciò
dall'occasione liturgica, aumentò la sua complessità strutturale e abbandonò il latino per
adottare il francese.
Un elemento di forte distinzione rispetto all'Ars Nova era la sua notazione: l'uso di note prolungate
come la lunga, la breve e la semibreve.
Con gli inizi del 14° secolo, prima in Francia e poi in Italia, comparirono nuove forme musicali,
iniziò a cambiare il gusto musicale e anche le vecchie forme si adattarono ai tempi.
L'espressione “Ars Nova” deriva da omonimi trattati “Ars novae musicae”del compositore
Philippe de Vitry, nel quale si introduce una nuova forma di notazione, e “Ars novae musicae” di
Johannes de Muris, matematico e astronomo oltre che teorico musicale. La novità della musica
riguardava soprattutto la notazione e il netto prevalere delle composizioni profane rispetto a quelle
sacre, fatto che riflette la crisi politico-religiosa che provocò il trasferimento del papa da Roma ad
Avignone.
I progressi nella notazione resero possibile nuove espressioni artistiche. Furono introdotti ritmi più
complessi e valori più brevi come la minima e la semiminima.
Le voci che contavano le tecniche del contrappunto (sinonimo di polifonia, linee melodiche
indipendenti che insieme creano un’armonia) erano inizialmente due.
Nell’antichità la musica aveva uno stretto legame con i versi poetici; il ritmo, già in antica Grecia,
si basava sulla metrica (ritmo). Con la nascita della polifonia ci fu esigenza di poter scrivere il
ritmo, nacque così la musica mensurabilis, cui punto di riferimento è la metrica antica basata su
sequenze dette piedi, formati a loro volta da combinazioni di vocale lunga o breve.
Da Parigi l’Ars Nova approdò in Italia, nell’ambiente culturale del Dolce Stil Novo e di Giotto, e vi
portò lo sviluppo della polifonia. La “poesia per musica” rappresentò un nuovo importante genere
della poesia volgare del Trecento, e comprendeva:
• Madrigale ciascun verso inizia e finisce con un melisma, mentre la sezione centrale è
sillabica. La voce superiore predomina. È inoltre monotestuale (contempla un solo testo
musicale) e tende maggiormente alla linearità melodica che all’armonia.
Il testo poetico è caratterizzato da 2 o 3 terzine, di musica uguale, e da un ritornello, con musica
diversa.
• Caccia Il suo nome deriva da due motivi:
1. una voce “caccia” l’altra nel canone;
2. spesso rappresentava scene di caccia, mercato e pesca.
• Ballata musica accompagnata da danza.
Appositamente scritte per essere musicate. Il maggior poeta per musica fu Franco Sacchetti.
Nella fase iniziale l'Ars Nova italiana si sviluppò soprattutto nel nord presso le corti degli Scaligeri
e dei Visconti. In una seconda fase, che ebbe come centro la città di Firenze, operarono vari
musicisti su tutti spicca l’organista fiorentino Francesco Landino. Questi, dapprima pittore, in
seguito alla cecità divenne musicista e poeta. Secondo i contemporanei trapassò tutti gli organisti di
cui si ha memoria e compose madrigali, ballate e canzoni, suonò vari strumenti e ne inventò alcuni.
La sua musica è rappresentativa delle caratteristiche l’Ars Nova assunse in Italia. Rispetto al
razionalismo della musica francese, quella italiana portò una maggior vaghezza melodica e
scioltezza ritmica.
Il canto monodico contemporaneamente raggiunse la sua forma più alta con la lauda canto
devozionale in volgare.
L’Ars Nova italiana assume le caratteristiche del dolce stilnovo, con genuinità e semplicità.
Dal ‘400 al ‘700, in ambito musicale e artistico in generale, perdurò il fenomeno del mecenatismo
(periodo delle corti). I mecenati erano coloro che finanziavano le attività artistiche, gli stessi che
possedevano il potere politico (re, nobili, signori) e che concorrevano per avvalersi dei più illustri
artisti ed intellettuali. Non è un caso che, in quegli anni, a corte si concentrassero letterati, filosofi,
scienziati, artisti, musicisti. La musica, oltre ad essere diletto quotidiano, era strumento di
educazione. L’idea del perfetto uomo di corte, secondo Baldesar Castiglione, era di un uomo colto,
raffinato, bello, dedito all’arte e alla musica che deve saper addolcire gli animi. Un aspetto
caratteristico del mecenatismo, era che il musicista aveva uno stipendio fisso, quindi la musica
divenne una vera e propria professione che ebbe finalmente una dignità sociale e fu considerata alla
pari di tutte le altre. Molti di essi acquistarono grande popolarità per le loro straordinarie capacità.
Per quanto concerne i generi, da 15° al 18° secolo i musicisti dovettero adattarsi alle esigenze del
pubblico e riflettere il pensiero della società aristocratica di quei secoli. Poco a poco in quei secoli
la cultura si spostò dai monasteri (che nel Medioevo erano il centro di produzione culturale) ai
nobili (dal religioso al laico), la Chiesa si rese conto solo nel Cinquecento, con la riforma
protestante, della sua perdita di potere e cercò di tornare al comando con la Controriforma.
La prima fase di passaggio della cultura da ecclesiastica a laica fu il Rinascimento, continuazione
dell’Umanesimo riscoperta della civiltà greca e latina, rivalutazione dei filosofi, valorizzazione dei
reperti, della scultura e dell’architettura, gusto per il classico ed esaltazione della bellezza.
Nei secoli 15° e 16° i musicisti europeiprovenivano soprattutto regione delle Fiandre: Olanda,
Belgio, Lussemburgo e il vecchio ducato di Borgogna in Francia. Di grande importanza per questi
musicisti sono state le cattedrali gotiche costruite in quelle zone. Queste prevedevano che per il
servizio liturgico venissero selezionati cantori in età acerba (pueri cantores), a cui venivano
impartite lezioni, consentendo loro di diventare grandi artisti.Nella fase più intensa dell’Umanesimo
le corti italiane idealizzarono un modello di uomo capace di armonizzare corpo ed anima e riflettere
l’armonia dell’universo attraverso le proprie espressioni artistiche. I fiamminghi ricoprirono
perfettamente questo ruolo.
Agli inizi del ‘400 le tendenze musicali ripresero quelle dell’Ars Nova (isoritmia e durata
prolungata delle note), nello stesso periodo si diffuse lo stile inglese, con Dunstable, stile melodico
più fluido e naturale.
I fiamminghi rivoluzionarono la pratica della polifonia ereditata dall’Ars nova e Antiqua.
Il lavoro di questi compositori poneva le basi per lo sviluppo della teoria dell’armonia ramo della
teoria musicale che studia la concatenazione dei suoni (accordi) e la loro funzione all’interno della
tonalità.Altra caratteristica fiamminga era infatti quella di creare sempre armonia e
corrispondenza del ritmo delle parole con quello della musica, evitando contrasti come invece
accadeva nel ‘300.
Il primo grande rappresentante, nonché fondatore della scuola fiamminga è stato Guillaume
Dufay. Altri grandi rappresentanti: Johannes Ockeghem e Josquin Desprès, che fu considerato il
più grande compositore del tempo dai suoi contemporanei. Lavorò a lungo in Italia e fu autore di 18
messe, 100 mottetti e circa 70 composizioni profane. Lavorò presso varie corti italiane e anche per
la cappella papale.
I musicisti fiamminghi estesero la loro influenza anche in Italia, molti infatti vennero chiamati a
lavorare presso la cappella papale o le varie corti. Nel periodo delle signorie si ebbe un grande
sviluppo della musica profana; che veniva ascoltata e praticata da nobili e borghesi, grazie anche
alle molteplici attività di pubblico svago che fornivano occasione per suonare, cantare e danzare.
Una delle corti di maggior intrattenimento fu quella di Firenze, soprattutto nel periodo di Lorenzo
de’Medici (1469-1492), che promosse il genere del canto carnascialesco, eseguito soprattutto nel
periodo di carnevale. Era infatti il canto che accompagnava sfilate di personaggi.
Altro genere diffuso in Italia fu la frottola sorta di cantilena ricca di detti e proverbi fatta per gioco,
ma con il proposito di moralizzare.
I fiamminghi, che invasero l’Italia, spostarono il centro della cultura musicale del 16° sec. (scoperte
scientifiche, colonizzazioni, riforma protestante), attivissima presso le corti (Sforza, Medici, Este,
Gonzaga, Savoia).
Uno dei maggiori centri per la musica fu Roma, con numerose cappelle e basiliche e attività
liturgiche e non. Il Papa aveva una sua cappella musicale privata (Cappella Sistina), di voci
maschili che cantavano a cappella. La seconda cappella romana di maggior prestigio era la
Giulia, creata per Giulio II Della Rovere, cappella musicale di San Pietro che prestava servizio
per le funzioni liturgiche, composta da molti pueri cantores in quanto era anche una scuola.
Altre cappelle importanti erano quelle di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore.
Il più importante compositore di musica sacra a Roma era Giovanni Pierluigi da
Palestrina, maestro di cappella prevalentemente alla Giulia. Fu autore di un centinaio di
messe, circa 500 mottetti, circa 100 madrigali, composti perlopiù per lo stile a cappella.
La magnificenza del rinascimento italiano fu espressa soprattutto a Venezia,dove la musica, sia
sacra che profana,ebbe un suo sviluppo la basilica di San Marco aveva due organi; al suo interno si
poteva impiegare il cosiddetto coro spezzato o battente, che prevedeva la divisione in due gruppi,
dislocati nelle due ali della chiesa, dei cantori, in modo da creare particolari effetti stereofonici.
Questa tecnica fu introdotta da Adriano Willaert. I maggiori musicisti ed organisti di San Marco
furono: Cipriano de Rore, Andrea Gabrieli e suo nipote e discepolo Giovanni Gabrieli.
4. IL MADRIGALE
In campo sacro, la musica veniva composta giustamente in latino, per la musica profana era diverso.
Comporre in italiano voleva dire agganciarsi ad una tradizione che fosse compatibile.
5. IL CINQUECENTO EUROPEO
Nel ‘500, tipico genere della musica profana francese era la chanson, sviluppatasi soprattutto
intorno agli anni 30 con le raccolte della casa editrice parigina Attaingnant.
Nello stesso periodo un nuovo genere sacro prese vita, distaccandosi dal classico genere fiammingo
perché reso più semplice, breve e comprensibile.
In entrambi i campi, nella seconda metà del secolo, figura predominante fu quella di Orlando di
Lasso, musicista di origine fiamminga, ebbe importanti esperienze formative in Italia.
6. I TEORICI
Teoria e pratica musicale iniziano a fondersi nel Rinascimento. Infatti, i temi trattati dai teorici
erano adeguati ai problemi reali della musica del tempo musica come puro piacere, non
necessariamente a scopo moralistico, musica che produce effetti sull’animo, concezione
dell’armonia come piacere prodotto da suoni appropriati. La musica strumentale non era solo un
accompagnamento per la danza, iniziò ad essere eseguita ed ascoltata come espressione artistica
compiuta. Il maggior teorico, nonché compositore, del ‘500 è Gioseffo Zarlino, difensore della
polifonia, che con i suoi trattati “Instituzioni harmoniche”, “Dimostrazioni armoniche”,
“Sopplimenti musicali” volle razionalizzare la musica, con delle regole ben precise dell’armonia,
che si relaziona con gli effetti che essa provoca sull’animo. Per Zarlino era importante l’unione tra
musica e parola, che se opportunamente accostate, possono potenziare gli effetti sull’animo umano.
La musica quindi non deve subordinarsi alla parola ma conservare la sua razionalità. La musica
diventa una vera e propria narrazione.
Il Barocco è il periodo che va dalla fine del 16° sec. alla metà del 18°. Inizialmente il termine era
usato per designare lo stile contrapposto al classico, in senso spregiativo, per indicare ciò che è
bizzarro ed esagerato. Lo stile fu rivalutato solo nel 19° secolo, perché quell’epoca invero non
rappresentava solo il declino del Rinascimento ma un’espressione artistica originale derivante da
una nuova concezione artistica e di vita. Per quanto concerne lo stile, gli storici hanno individuato
tre fasi primo, pieno e tardo Barocco, nomi che vengono usati anche per la musica. Grande
importanza per capire gli stravolgimenti artistici, hanno avuto gli avvenimenti storici di metà ‘500
crisi economica e sociale, guerre, carestie con conseguente decremento demografico, la guerra dei
Trent’anni e il successivo istaurarsi dell’assolutismo monarchico (Luigi 14°) piena autorità dei
monarchi, che reprimevano anche con forza, ogni accenno di protesta del popolo. Le punizioni
comunque non erano sufficienti ad ottenere obbedienza, l’integrazione sociale doveva ottenersi
anche con opere di persuasione sulla verità e la bontà del mondo. Sicurezza e stabilità sociale
potevano essere assicurate solo se l’adesione dei sudditi nasceva con cuore e ragione. A
quest’opera di persuasione dovevano partecipare tutti gli artisti, con la differenza che se nel
Rinascimento essi avevano una figura di spiccato rilievo, ora erano strumenti di potere per creare
opere in grado di persuadere e commuovere. Anche in musica vi furono dei cambiamenti in
contrapposizione alla polifonia, l’elemento del nuovo stile era il canto monodico. Due furono le
principali manifestazioni musicali il melodramma e l’autonomia sempre maggiore della musica
strumentale. Inoltre concerto, cantata, oratorio.
Il violino (massimo rappresentante Corelli), il flauto, l’organo (massimo rappresentante
Carissimi) e il clavicembalo erano gli strumenti dominanti.
Negli ultimi anni del ‘500, a Firenze, in casa del nobile Giovanni Bardi, iniziò a riunirsi un gruppo
di uomini di cultura che volevano far rivivere musicalmente la tragedia dell’antica Grecia. Questi
uomini diedero vita alla Camerata fiorentina, e vollero realizzare il recitar cantando, che divenne
poi il recitativoparte di una rappresentazione musicale in cui prevale la narrazione, si una per
raccontare un’azione; recitazione intonata, con inflessioni ascendenti o discendenti, scandendo
accenti e durata delle sillabe, con la musica che dava maggior risalto alle emozioni espresse
attraverso le parole. La musica dunque era monodica e l’accompagnamento veniva realizzato
attraverso il basso continuo. Nacquero alcuni drammi, di argomento essenzialmente pastorale. La
storia della Camerata si svolse in tre fasi:
1. polemica alla polifonia, per non aver rispettato l’orazione e di aver fatto risaltare la musica sulla
voce, precludendo gli effetti sul pubblico, e sostegno del canto a voce sola promosso da Vincenzo
Galilei;
2. fase intermedia;
3. tra il ‘500 e il ‘600, comparvero i primi esempi di melodramma, che alternavano recitazione ad
un tipo di canto detto aria, o cori, passi strumentali, danze.
Nel 16° secolo la musica vocale veniva stampata separatamente, per ogni voce che componeva una
composizione c’erano altrettanti libretti e le parti strumentali che accompagnavano il recitativo non
vennero scritte integralmente ma con la sola parte melodica del basso, presupponendo che i
suonatori sapessero aggiungere gli accordi necessari per sostenere la voce. Alla fine del secolo, con
la sperimentazione del recitativo, fu necessario l’accompagnamento strumentale. Nei libretti del
‘600 le voci non erano separate ma in un unico libretto ed organizzate in partitura, si aggiunse il
sistema di indicazione abbreviata dell’accordo mediante numeri che dovevano facilitare
l’improvvisazione ed obbligare gli esecutori a scegliere lo stesso accordo.
Agli inizi del ‘600 la musica profana si arricchì di nuovi generi intaccando il monopolio del
madrigale polifonico, che ebbe un lento declino. Questo termine però passò a designare altre
composizioni monofoniche che mantenevano comunque l’eleganza e lo spirito retorico
dell’originale. Lo stile del madrigale seicentesco è vicino a quello del recitar cantando, con
accompagnamento di basso continuo. Questa usanza fece sì che i compositori si interessassero alla
monodia accompagnata melodia vocale o strumentale a cui si aggiungeva il basso continuo, che
sosteneva la melodia principale.
Per la musica sacra invece, il primo avvio allo stile monodico sacro fu dato dalla raccolta dei Cento
concerti ecclesiastici di Lodovico Grossi da Viadana, con facilitazioni pratiche per gli esecutori,
in quanto il basso continuo riassumeva con lo strumento alcune linee vocali lasciandone
all’esecuzione cantata un numero limitato. In seguito anche in questo campo furono adottate forme
di recitativo, virtuosismi, tutto per mettere in risalto gli effetti della parola. A Roma queste nuove
tecniche faticarono a farvi ingresso visto il rigore stilistico legato alla polifonia sacra del secolo
precedente.
Agli inizi del ‘600 la parola concerto, era una parola non che non aveva ancora una definizione ben
precisa, alludeva ai cambiamenti di stile del periodo e potrebbe significare il gusto per la
mescolanza sonora e disomogenea contrapposto all’armonia del secolo precedente.
4. CLAUDIO MONTEVERDI
Prima della rappresentazione de “L’Orfeo” alla corte di Mantova nel 1607, Claudio Monteverdi
(1567-1643), di Mantova, aveva composto i suoi primi 5 libri di madrigali e formulato la sua
poetica, che avrebbe voluto spiegare nel trattato “Seconda pratica ovvero perfezione della
moderna musica”, ma che non ebbe tempo di scrivere; dell’argomento ne accennò comunque
suo
La pubblicazione del 5° libro avvenne due anni prima de “L’Orfeo”, in quest’ultima opera
Monteverdi unì l’esperienza del madrigale alle nuove rappresentazioni drammatiche. Nell’opera ha
mescolato recitativo, gusto pastorale, andamenti madrigalistici e strofici a cori e danze, il tutto
conferendogli un certo ordine armonioso (storia del cantore leggendario greco, suonatore di lira, e
dell’amore per Euridice).
Per le nozze del duca di Mantova nel 1608 compose “L’Arianna”, su libretto di Rinuccini, che
riscosse subito grande successo soprattutto grazie al celebre “Lamento di Arianna”, che
Monteverdi rielaborò in una serie di 4 madrigali inseriti nel 6° libro, oggi uniche testimonianze
dell’opera pervenuteci.
Dello stesso anno e per la stessa occasione è “Il ballo delle ingrate”, pervenutaci per intero.
• Il 6° libro risale al 1614, quando Monteverdi si trasferì a Venezia per lavorare come
maestro in cappella di San Marco. Nel libro vi sono composizioni col basso continuo,
madrigale concertato. In questo libro il compositore aumentò le voci da 5 a 7
nell’ultimo brano.
• Il 7° libro, da 1 a 6 voci, contenente molti testi di Marino, è composto sia da madrigali che
da altri generi con basso continuo e strumenti vari. In effetti Monteverdi, mentre il
madrigale prendeva sempre più la direzione della voce solista, spingeva il genere verso la
direzione opposta insieme di voci e strumenti.
• Nell’8° librodei Madrigali guerrieri e amorosi, non c’è quasi più traccia di madrigale
tradizionale, vi è bensì combinazione di più voci e strumenti; alcuni di genere drammatico-
rappresentativo. Di questo libro fanno parte “Il ballo delle ingrate” e “Il combattimento di
Tancredi e Clorinda” tratto dal 12° canto della Gerusalemme Liberata in cui Tancredi
ferisce mortalmente la sua amata non riconoscendola. Tutto è concepito per la voce di
tenore che intona le parti narrative e di commento, e un altro tenore e un soprano per i
dialoghi, il tutto con accompagnamento vocale, di viole e basso continuo.
Il titolo dell’8° libro si ispira proprio ai sentimenti contrastanti di amore e guerra che Monteverdi
vuole far trasparire, vantandosi di aver ideato lo stile concitat o veloce ripetizione di una nota. Ma
Monteverdi compose anche musiche per la celebrazione liturgica al 1610 risale un primo volume
contenente due opere dedicate al culto mariano:
1. “Sanctissimae Virgini Missa” ripresa da un mottetto del musicista fiammingo Gombert, e
rielaborata secondo le tecniche della missa parodia comporre nuove musiche rielaborando temi
formali precedenti;
2. “Vespro della beata Vergine” in cui si comprende la capacità di Monteverdi nel trasformare un
antico rito in una sorta di teatro misterioso con toni melodrammatici.
Nei primi anni del ‘600 l’opera teatrale si diffuse ampiamente in Italia e soprattutto a Roma, dove lo
stile barocco ebbe modo di espandersi particolarmente grazie ai Barberini che edificarono un
enorme teatro. Grande importanza veniva data alla scenografia, che godeva di artisti come il
Bernini. Tra l’altro, oltre alle tematiche mitologiche e sacre, furono inserite quelle di argomento
cavalleresco e contemporaneo. Ogni particolare era studiato ai fini di persuasione morale e
propagandistica e grande spettacolarità.
Ma è soprattutto l’attività musicale laica e liturgica che si conformò alla Controriforma. Nacque
l’oratorio composizione drammatica con personaggi e dialoghi, presentata in forma narrativa ma
senza rappresentazione scenica, mimica e personaggi in costume. Quest’usanza ha origini nella
seconda metà del ‘500 quando San Filippo Neri si fece promotore di incontri tra i fedeli in cui la
preghiera si esprimeva anche attraverso il canto delle laudi, che venivano appunto drammatizzate,
senza però mettere in scena l’azione. in genere gli oratori erano in lingua volgare ma, in ambito
aristocratico, non mancarono in lingua latina, di cui fu grande compositore Giacomo Carissimi,
che tra l’altro contribuì al perfezionamento del recitativo e alla creazione della cantata da camera
forma musicale vocale tipica della musica barocca, formata da una sequenza di brani come arie,
recitativi, duetti, cori e brani strumentali. L’esecuzione avviene senza apparato scenico e lo
spettacolo è di dimensioni minori. Le cantate possono essere profane, e solitamente hanno soggetto
mitologico o morale, oppure sacre, ispirate perlopiù a vicende tratte dalla Sacra Scrittura, in latino
o in lingue moderne.
Nel 17° secolo fu data importanza anche all’esecuzione strumentale, messa in ombra dalle voci nel
secolo precedente. I primi strumenti ad avere grafia diversa da quella vocale furono quelli a tastiera
e a pizzico (liuto); fu creato un sistema di scrittura, detto intavolatura, che attraverso una serie di
simboli indicava la posizione delle dita su uno strumento.I primi esempi di composizioni
strumentali erano definite fantasia, perché avente caratteristica d’improvvisazione. Ci si pose il
problema dell’organizzazione formale della musica strumentale autonoma in musiche come le
danze, l’organizzazione era data dai movimenti che il suono doveva accompagnare, per musiche
vocali l’organizzazione era data dal testo, dalla sua metrica.
Inizialmente dunque la struttura della musica strumentale si poggiò su queste due forme, dando
origine al ricercare, inizialmente simile al mottetto. Caratteristica del genere era il principio
dell’imitazione delle voci, tanto è vero che la forma evolse poi in fuga.
Il periodo che va dalla seconda metà del ‘600 alla seconda metà dell’800 era caratterizzata dalla
tonalità. Concetto base è l’accordo sovrapposizione contemporanea di più suoni ad una certa
altezza. Nel periodo rinascimentale l’accordo per eccellenza era la triade combinazione di tre suoni
sovrapposti a distanza di un intervallo di terza (Es. do-mi-sol). Questa non veniva vista come unità
ma come una serie di intervalli. Questo cambiò con l’uso del numero sul basso continuo la
numerazione inizialmente indicava un singolo intervallo, poi ogni numero indicò le tre note di una
triade. Si iniziò dunque a ragionare per accordi e per successione di essi. I punti di riferimento per
le sequenze (date dalla successione di accordi) erano la tonica e la dominante, e in seguito la
sottodominante, transazione tra le prime due. Il sistema tonale si basava su 12 toni (sul pianoforte 7
tasti bianchi e 5 neri tra il Do maggiore e l’ottava successiva) e ognuno di essi poteva partire da una
tonalità diversa. Ognuna di queste si poteva basare su due scale maggiore e minore a seconda della
disposizione di toni e semitoni. Quindi in totale i toni erano 24 12 maggiori e 12 minori. Si poteva
passare da una tonalità all’altra attraverso una procedura detta modulazione. La successione
standard degli accordi tonali in una composizione a struttura tonale, veniva chiamata giro armonico.
L’opera veneziana del Seicento, a differenza di quella romana, ha una caratteristica particolare e
significativa, cioè la quasi totale assenza degli episodi corali il che si può spiegare con il declino del
gusto polifonico di fronte all’irresistibile imporsi delle forme melodiche, ma si può spiegare anche con
ragioni economiche. L’apertura del teatro a pagamento implica infatti la costituzione di un’impresa
che lo gestisca, la quale fa conto sugli incassi e bada ad equilibrare le spese, in modo che alla fine
gliene venga un utile. Essa cerca di moderare i costi anche riducendo le compagini degli esecutori e
privilegiando il canto solistico, cioè appellandosi più direttamente alle ragioni del personaggio, della
situazione drammatica, e alle lusinghe di un’invenzione musicale concisa e rinnovata. Sono questi i
caratteri che si svilupperanno nel melodramma veneziano della seconda metà del Seicento. Con
l’inaugurazione del teatro pubblico l’opera musicale si riconosce definitivamente coinvolta nel
meccanismo e nella dialettica del mercato. Basti pensare che subito dopo il San Cassiano si aprono a
Venezia diversi altri teatri d’opera pubblici, destinati a raggiungere il numero di sedici verso la fine del
secolo. Così Francesco Cavalli nelle ultime opere tende a un recitativo così incisivo e succinto
scandito da formule melodiche ricorrenti, entro cui fanno spicco, di frequente, brevi arie librate su
ritmi di danza, intese a caratterizzare, come nel suo “Giasone” (1649), situazione e personaggi, ora
seri ora comici, in rapida e bizzarra alternanza. Simile miscela eroicomica presentano le opere di
Antonio Cesti, come si vede nella sua più nota, “L’Orontea”, dove le arie appaiono ancora in maggior
numero, affidate a melodie di piacevole cantabilità. Anche l’elemento comico comincia a emergere e
si ritrova esclusivo in esempi particolarmente efficaci quali “Il trespolo tutore” di Stradella, opera nel
quale predominano arie e duetti strofici su ritmi di danza. Alessandro Stradella si mise in luce ai suoi
tempi quale autore di opere teatrali come quella appena citata o come “La forza dell’amor paterno” ma
anche quale autore di oratori, e di numerose cantate in cui l’accesa fantasia e la libertà formale del
primo barocco cominciano a sistematizzarsi in strutture meno instabili, tendenzialmente più organiche
e fondate su un senso tonale preciso. Le sue opere, pur non manifestando tratti altrettanto eversivi,
sono tuttavia caratterizzate da una ricchezza e originalità di invenzione che portarono l’autore a
sperimentare, in un gruppo di sonate strumentali, procedimenti di concerto vicini a quelli che Corelli
stava elaborando a Roma negli stessi anni. Tra gli ultimi due decenni del Seicento e i primi due del
secolo successivo, quando ormai il melodramma da Venezia e da Roma si era diffuso in tutta la
penisola, videro la luce anche le più di sessanta opere teatrali con cui Alessandro Scarlatti si conquistò
ampia fama nell’Italia dell’epoca. Nei mutamenti stilistici della sua attività di compositore teatrale si
riassume il lungo itinerario storico che portò l’opera italiana dai modelli veneziani che predominavano
nella seconda metà del Seicento fino alle soglie dell’opera napoletana che inizia le sue grandi fortune
Nel corso del ‘600 le vicende della musica strumentale italiana erano legate a semplici
sperimentazioni. Solo alla fine del secolo nacquero forme più stabili e definite, la terminologia non
tendeva più a fondere i vari generi che si differenziarono e assunsero caratteristiche precise sonata
e concerto. Quest’ultimo aveva come caratteristica la contrapposizione di Tutti al Concertino.
Inoltre era prevalente la presenza degli archi, caratteristica presente anche nella sinfonia usate
come brevi introduzioni all’opera. Modello base per la formazione del concerto è la sonata. Al
processo di formazione del concerto contribuirono centri musicali diversi. Dall’unione delle varie
tecniche emersero nuove concezioni formali, che vincolavano il compositore limitando la fantasia
ma assicurando forme più stabili.
Tra i grandi compositori del periodo risalta il compositore e violinista Arcangelo Corelli, preso ad
esempio dagli altri compositori. Corelli non si dedicò a generi di musica vocale, compose sulla base
di molteplici esperienze ed ebbe da sempre relazioni con la nobiltà e l’intellettualità romana e
legami con l’Arcadia. Il compositore fu sempre prudente ed attento nel pubblicare le sue opere, che
fece pubblicare in 6 raccoltedi 12 opere ciascuna:
• le prime 4 contengono sonate a 3, da chiesa e da camera;
• Nel frattempo, nei primi del ‘700, altro grande compositore, il veneziano Antonio Vivaldi
(1678-1741 anche violinista), che seguì carriera ecclesiastica e musicale ma fu esonerato
dalla prima a causa delle precarie condizioni di salute, lavorava come maestro di violino
nell’Ospedale della pietà, prestigioso orfanotrofio femminile in cui veniva privilegiato lo
studio della musica, dove prestò servizio per molto tempo. Ciò gli permise di comporre più
di 400 concerti, di cui circa la metà per violino. Ma fu autore inoltre di 90 sonate, circa 50
opere e mottetti, oratori e cantate. Nei suoi concerti Vivaldi rinnovò il vecchio schematico
Tra le sue opere più importanti ricordiamo “Orlando”, ripresa da L’Orlando Furioso; “Ottone in
villa”, storia di un amore ai tempi del SRI; “Montezuma”, che narra, ai tempi della conquista
dell’America, le ultime ore del protagonista, prigioniero del conquistador spagnolo Cortés; “La
verità in cimento”, vicenda contorta di eredi al trono scambiati a loro insaputa, che dà vita ad una
gara di diverse e opposte verità sostenute dai vari personaggi.
La sua musica ebbe un notevole influsso sullo stile di diversi compositori sia austriaci che tedeschi,
tra cui Bach, il quale interiorizzò a tal punto alcuni concerti vivaldiani da volerli trascrivere per
clavicembalo solista o per uno o più clavicembali e orchestra. Vivaldi Fu apprezzato anche
dall’ambiente musicale francese. Fu invece attaccato duramente dagli inglesi, che sostenevano che
la sua musica era adatta a far divertire i fanciulli. In Italia, nonostante avesse influenzato e
rinnovato la musica strumentale dell’epoca, fu praticamente ignorato, questo a causa della moda in
voga nell'Italia del Settecento, ove si esigevano sempre nuovi autori e nuove musiche. Dimenticato
durante il Classicismo e il Romanticismo, fu riscoperto nel secondo dopoguerra.
Tutte queste innovazioni furono inserite in uno schema formale molto semplice ma funzionale; il
concerto assunse la struttura in 3 tempi allegro (alternato tra pezzo solista e ritornello), adagio,
allegro.
Per la produzione strumentale di clavicembalo e organo, ricordiamo Frescobaldi, Scarlatti e
Pasquini.
Nel Cinquecento le grandi case che detenevano il potere si sentivano appartenenti a un mondo unitario
e in un certo senso soprannazionale. Niente di più naturale che anche le tradizioni culturali e i gusti
artistici circolassero con grande rapidità e frequenza, salvo il fatto di doversi poi adattare alle tradizioni
locali che in ogni ambiente erano profondamente radicate. Solo a partire dal secolo successivo
cominciano gradualmente ad emergere i primi sintomi di quella che, in epoche più vicine alla nostra,
sarebbe diventata una vera e propria coscienza nazionale. Nel caso della Francia questo processo di
formazione di uno stile musicale “nazionale” si svolge nel corso del Seicento parallelamente al
processo politico di estensione e di conferma del potere assoluto della monarchia. Durante il regno di
Luigi XIII e di Luigi XIV la monarchia tese ad accentrare nelle sue mani le leve fondamentali del
potere politico e culturale a spese delle altre grandi famiglie della nobiltà e ciò ebbe
La situazione dei paesi di lingua tedesca tra i primi decenni del secolo XVII e quelli del secolo
successivo è caratterizzata da grande incertezza sul piano della stabilità politica. Nel periodo in cui la
Francia trovava una forte unità nazionale sotto la guida della monarchia, la Germania era divisa in più
di trecento fra stati e città ciascuno parzialmente o tendenzialmente indipendente dall’altro. A questa
separazione politica corrispondeva una profonda separazione culturale: le guerre di religione che si
erano svolte nel Cinquecento avevano tracciato un solco tra i paesi del Nord, in prevalenza protestanti,
e le zone meridionali, in prevalenza cattoliche. Le principali occasioni di lavoro per il musicista, in un
paese dove l’opera italiana non aveva ancora messo radici solide, avevano sede nelle corti più ricche
e più capaci di mecenatismo e in alcune grandi chiese cittadine dove operavano di norma il Kantor (il
maestro di coro) e l’organista.
Nella tradizione liturgica luterana la musica, e soprattutto l’esecuzione vocale, aveva un’importanza
primaria. Nelle chiese cattoliche la musica era altrettanto presente, ma aveva funzioni liturgiche e
seguiva tradizioni stilistiche diverse, se non altro perché non era legata al canto dei corali. La musica
tedesca di quest’epoca al contrario di quella francese, che era fortemente unitaria, si sviluppa dunque
sulla base di modelli stilistici diversi: così si parla ad esempio di uno stile nord-tedesco legato alla
conservazione del gusto tradizionale per la complessità polifonica e all’elaborazione del corale
luterano e di uno stile delle zone meridionali molto più sensibile alle innovazioni importate dall’Italia.
Forse proprio a causa di queste carenze sul piano dell’autoidentificazione nazionale i musicisti
tedeschi erano assai più aperti di tutti gli altri musicisti europei alle differenze di scrittura, e assai più
La vita musicale europea tra Seicento e prima metà del Settecento gravita attorno alle grandi figure
di Bach e di Händel, che incarnano, sia nel carattere sia nella produzione, l’ideale barocco a cui tutti
i compositori del tempo fanno riferimento.
Johann Sebastian Bach (1685-1750 anche organista, violinista, clavicembalista) si interessò di
tutti i generi della tradizione musicale tedesca e non, aggiungendovi grande fantasia ed
innovazione. Bach teorizzò una concezione di musica tutta sua, le cui fondamenta stavano in due
ferme convinzioni:
1. musica come dono di Dio, sia quella scritta che quella orale, sia quella liturgica che profana;
2. musica vista non come pratica mutevole ma come sapere immutabile del quale il musico
s’impadronisce, innovandola e aggiungendole stile personale.
A 23 anni fu assunto come organista presso l’importante corte di Weimar, in questo periodo
conobbe le opere di Vivaldi che apprezzò moltissimo, tanto da trascriverne molte per organo.
Diventato direttore d’orchestra ebbe l’obbligo di comporre cantate per funzioni liturgiche.
Licenziatosi, assunse l’incarico di maestro di cappella presso la corte di Kothen, dove conobbe
anche la sua seconda moglie. Qui Bach compose numerose composizioni da camera, e le
composizioni orchestrali dei “6 concerti brandeburgheschi”, dedicati appunto al sovrano del
Brandeburgo. il compositore apportò alcune innovazioni al concerto, Es. spesso il concertino era
composto da un solo strumento che rendeva dubbia la distinzione tra concerto grosso e solistico,
altrove l’orchestra era divisa in tre richiamando il policorale. A questo periodo risalgono anche
molti testi che Bach scrisse per educare i suoi figli (ne aveva 20, 6 intrapresero la carriera
musicale), perlopiù composizioni per clavicembalo. Tra le tante, quella che assume maggior rilievo
è sicuramente “Il clavicembalo ben temperato” dimostrazione scientifica, ripresa sugli esperimenti
del teorico Werckmeister, che si possono comporre 24 tonalità se la tastiera viene accordata col
sistema temperato, basato sulla divisione dell’ottava in 12 semitoni uguali.
Il compositore sassone Georg Friedrich Handel (1685-1759) si differenzia da Bach soprattutto per
il suo internazionalismo e per la predilezione per l’opera teatrale. Dopo un lungo apprendistato e il
suo esordio operistico con “L’Almira”, ambientata presso la corte castigliana della futura regina
Almira, circondata da personaggi allegorici che rappresentano l’universalità della potenza spagnola,
esalta l’amore della frivola regina per il suo segretario;e il testo sacro “Passione secondo
Giovanni”, si trasferì in Italia dove venne a contatto dei grandi compositori dell’epoca da cui
assorbì tratti stilistici, e si cimentò con i principali generi musicali sacri e profani, personalizzandoli
ed innovandoli e soprattutto imprimendo solo forte carattere drammatico. Ottenne particolare
successo con l’opera “Agrippina”, storia della madre di Nerone, che cospirò contro l'imperatore
Claudio a Roma. Dopo l’esperienza italiana, Handel tornò per un breve periodo in Germania per poi
Trasferirsi a Londra. In Inghilterra, agli inizi del ‘700 l’opera italiana stava appena imprimendo i
suoi caratteri sul dramma inglese ispirato al masque e prese nettamente il sopravvento quando
Handel fece rappresentare “Il Rinaldo”, storia del crociato della Gerusalemme Liberata, al Queen’s
Theatre. Handel preferiva ispirarsi ad opere già collaudate e di successo, piuttosto che sperimentare
testi nuovi. L’eccellenza di Handel infatti stava proprio nel dare drammaticità e variare
continuamente una formula statica. Handel continuò a dedicarsi al melodramma anche quando la
situazione in Inghilterra si ribaltò, e tornò in voga l’opera inglese.Quando il compositore smise con
il melodramma, compose solo oratori, con una grande innovazione diede al coro funzione
principale, in quanto questo interpreta il ruolo collettivo delle masse e riflette la drammaticità della
vicenda. La maggior parte dei soggetti degli oratori di Handel sono tratti dal vecchio Testamento,
ad eccezione di alcuni come il “Messiah”, forse il suo più celebre oratorio, e alcuni di soggetto
mitologico. In realtà molti dei suoi oratori contenevano messaggi metaforici di natura politica (Es.
popolo ebraico e la sua invincibilità grazie alla protezione divina metafora del popolo inglese e del
potere monarchico).
Il ‘700 fu un secolo di grandi cambiamenti politici e culturali. Si verificò l’avanzare della classe
borghese in conflitto con l’aristocrazia. Dal punto di vista produttivo, il baricentro si spostò
dall’agricoltura al commercio e l’industria. Dal punto di vista ideologico, vi fu un rifiuto delle
differenze di classi, l’uomo doveva avere pari dignità, incluse le popolazioni più esotiche e
primitive mito del buon selvaggio. I cambiamenti ideologici che maturarono nel secolo, si devono
ai philosophes francesi Illuminismo filosofia dei lumi, della scienza, supremazia della ragione
sulla natura, ma anche, paradossalmente, individuazione di valori di dignità e sensibilità umana.
Concezione che si riflesse sulla musica le forze opposte della musica sono armonia (razionalità,
sempre uguale) e melodia (sentimento, variabile). Stesso per il melodramma poesia, trama, azione
si spiegano razionalmente, la musica è puro ornamento.
Le idee illuministiche furono diffuse soprattutto dai borghesi, ma non mancarono approvazioni da
parte dell’aristocrazia (assolutismo illuminato), che spesso però trasformava l’impegno di questo
movimento serio in attività da salotto, in manifestazioni di eleganza.
La musica, che rifletteva i contrasti di questo periodo, era ancora legata all’aristocrazia che la
finanziava. Il melodramma era il genere più diffuso, anche se vi erano alcune differenze tra:
• teatro di corte opere che rispettavano la tradizione, sovvenzioni dell’aristocrazia, pubblico
più ristretto e raffinato, livello dell’organico tecnicamente e professionalmente superiore;
• teatro pubblico più propenso alle novità, finanziato dalle vendite dei biglietti e da lotterie,
feste. I costi più elevati erano i cantanti, personaggi più graditi. La voce di soprano era la
preferita, per cui spesso veniva interpretata anche da uomini e bambini molte volte
venivano praticate evirazioni per conservare il tono candido di voce; tra coloro che ebbero
grande successo ricordiamo Farinello.
Un genere emergente fu quello del teatro alla moda melodramma con inserti polemici, ipotesi di
riforma, satire alla società.
La musica strumentale veniva ascoltata maggiormente nei palazzi nobiliari. Si componeva sia
musica semplice per dilettanti e lezioni musicali, che ebbero anche successo sul mercato editoriale,
e musica più impegnativa dove il compositore poteva dimostrare la propria bravura.
Novità furono le sale da concerto, che fiorirono numerose in Germania, Inghilterra e Francia; non in
Italia dove questo genere declinò, causa scarso supporto economico, e fu ripreso solo a fine 19°
secolo.
Il mecenatismo terminò, dato che i musicisti preferirono la libera professione che offriva offerte
economicamente più vantaggiose anche se più rischiose.
Il modello dell’opera italiana alla fine del ‘600 si era imposto in tutta Europa, dove Vienna aveva
maggior prestigio. Faceva eccezione Parigi, unica che riuscì a creare un teatro proprio, con il genere
dell’opera seria personaggi eroici, nobili, mitologici, biblici, dove l’amore e il dovere morale
erano la forza motrice di tutti gli eventi, obbligatorio il lieto fine. Importanti le arie per esprimere
La riforma fu migliorata dal suo successore, Pietro Metastasio, il più grande librettista del ‘700.
Scrisse solo 27 libretti ma su di essi si composero circa 900 opere. Riforma riduzione del numero
delle arie, diminuzione dei cambiamenti di scena, attenzione all’intreccio per una regolare
alternanza dei personaggi, eleganza ed espressività dei recitativi, personaggi ben definiti
caratterialmente. I suoi libretti furono musicati da tutti i musicisti italiani dell’epoca.
Nella metà del ‘700 (epoca di autori come Piccinni e Cimarosa) grande successo ebbe l’opera
napoletana, al seguito del successo di “Didone” di Metastasio. Sempre da Napoli partì la moda
dell’opera buffa o comica, precisamente quando un impresario napoletano inscenò uno spettacolo
in tre atti e in dialetto. Quest’opera era inizialmente per il popolo, non ancora elitaria. Per
nobilitarla si inserirono, accanto ai protagonisti buffi e popolani, personaggi d’alto rango, fu inserita
la lingua italiana.Da questo tentativo si affermarono autori come Vinci, Pergolesi (padre dell’opera
buffa).
Si affermò in contemporanea l’intermezzo breve, da recitare fra un atto e l’altro di un dramma
serio in prosa o in musica. Da questo genere di spettacolo (cui appartengono capolavori come “La
serva padrona” di Pergolesi) si svilupparono la farsa e la burletta opere comiche di dimensioni
minori.
Intermezzo ed opera buffa, satira della società, mettevano in ridicolo i personaggi altolocati a favore
dei popolani. Inoltre, a livello tecnico, non necessitavano costumi e scenografie sfarzose, né grandi
professionisti. Importanza primaria veniva data al dialogo, il recitativo era perlopiù secco, poco
spazio era dato alle arie e ai virtuosismi canori. Si diffuse l’usanza di concludere gli atti dell’opera
con battute più brevi e articolate in più frasi finale. Dopo i primi esempi di Pergolesi, l’opera
comica si estese in Italia, soprattutto a Roma e Venezia, dove Goldoni ne arricchì i temi e all’estero,
in particolare a Londra, segno di accettazione di temi più comuni e semplici aderenti alla
quotidianità.
Verso gli anni ‘70 il teatro francese ideò il genere della commedia larmoyante (lacrimevole)
avente protagonista la fanciulla innocente ingiustamente perseguitata da pregiudizi sociali. La
tradizione dei musicisti napoletani si inserì in questa tradizione, ne sono buoni esempi “Cecchina,
ossia La buona figliola” con libretto di Goldoni e musica di Piccinni e qualche anno dopo “Il
barbiere di Siviglia ovvero La precauzione inutile” di Paisiello.
Invece, “La serva padrona” di Pergolesi scatenò la querelle des buffons opposizione dei difensori
della tradizionale opera francese (nobili) ai philosophes e gli enciclopedisti (Russeau, Diderot), che
vedevano nell’opera italiana un rinnovamento, in quanto l’aderenza alla quotidianità rappresentava
L’anno della morte di Bach, 1750, si considera come il termine dell’epoca barocca. Nei suoi ultimi
anni iniziarono a comparire i primi sintomi di cambiamento. Tre gli importanti fenomeni stilistici:
1. intento di semplificare le strutture classiche del contrappunto, decadde la pratica del basso continuo,
che funse solo da supporto armonico;
2. all’elaborazione motivica (passaggio di una stessa melodia da uno strumento ad un altro) fu
sostituita una frase in sé completa con finale cadenzale (due o più accordi), che veniva legata ad
altre in modo schematico e simmetrico (Es. di 4 in 4);
3. il raggruppamento di tante frasi doveva logicamente avere un senso che le accomunava,
acquistando funzione tematica funzione nell’insieme. Alcune avevano funzione di emozionare,
altre di raccordo fra vari episodi, altre di sviluppo, di chiusura.
Tali aspetti iniziano ad emergere nella sonata solistica per strumenti a tastiera. I primi esempi
furono le centinaia di sonate di Domenico Scarlatti.
A metà secolo nacque lo stile galante pura musica senza ornamenti. Fu una reazione contro la
musica barocca del XVIII secolo. Fu molto apprezzato in ambito didattico e soprattutto per il
clavicembalo. Prevaleva la successione allegro, adagio, allegro. Musica parte superiore a cui è
assegnata la linea melodica che predomina, parte inferiore di accompagnamento.
L’estrema semplicità della sonata fu oggetto di critiche in ambiente tedesco, dato che per questi
ultimi la musica doveva innanzitutto arrivare al cuore, ciò che per loro la nuova sonata non faceva.
Tale corrente fu detta Empfindasamer Stil, che trovò i suoi esempi più tipi nelle sonate di Carl
Philipp Emanuel Bach (figlio), scritte per il clavicembalo e soprattutto per il clavicordo, ordinate
in raggruppamento di frasi ma più complesse, elaborate, ancora di stile contrappuntistico, uso di
elementi come recitativo accompagnato, pause brusche, dissonanze, al fine di creare emozione e
drammaticità.
I generi, intermedi tra sonata e sinfonia, che negli ultimi decenni emersero quartetto per archi (2
violini, viola e violoncello) e la sonata per pianoforte e violino (o violoncello).
Verso la fine del secolo si andò imponendo quello stile musicale definito classico, derivante modelli
stilistici e tradizioni di generi valorizzati nel ‘700, dal modello contrappuntistico, seppur
semplificato ma ancora in voga, dalle esperienze espressive differenti (concerto, sinfonia, genere da
camera, musica teatrale, capacità drammaturgica di creare e sciogliere tensioni). Lo stile classico
era soprattutto applicato alla musica strumentale. Caratteristica classica è l’alternanza di 3 o 4
movimenti o tempi, veloci o lenti allegro ricco di tensioni e contrasti, adagio riflessivo e non così
risolutivo da sciogliere le tensioni, allegro lieto. L’allegro iniziale della composizione classica
assunse il nome di forma-sonata.
Importante è il concetto musicale di tema. Il tema classico non sempre è pura e semplice melodia e
strumento di definizione “sentimentale” del brano, ma è talvolta un’entità globale in cui elementi
melodici, ritmici, armonici, di timbro, intensità convivono creando un’unità individuale con
caratteristiche specifiche. Al tema iniziale ne susseguono poi altri. Generalmente si preferiva la
forma bitematica, dove i temi talvolta erano collegati, sullo stesso stile, talvolta erano contrapposti,
uno più dolce e l’altro più aggressivo. Il clavicembalo fu progressivamente sostituito dal pianoforte,
di maggior capacità espressiva. La musica praticata era più leggera, delicata, piacevolmente
orecchiabile.
Nel ‘700, l’Austria, soprattutto Vienna, era il centro europeo più fiorente per attività, iniziative e
creatività (classicismo viennese). Due i personaggi di rilievo, che diedero una svolta alla musica del
tempo Haydn e Mozart.
• Joseph Haydn (1732-1809 anche pianista)si stabilì a Vienna in tarda età ma era comunque
già molto noto. Ebbe il primo contatto con il mondo musicale in qualità di cantore (come
voce bianca) a Vienna ma fu licenziato per il cambiamento di voce. Dopo aver ricevuto la
sua educazione da un musicista napoletano, in qualità di maestro e compositore passò al
servizio di cospicue famiglie nobili (circa anni ’50), stabilendosi poi presso gli Esterhàzy. In
questo periodo compose le prime sinfonie e alcuni brani per clavicembalo, seguendo le
tendenze dell’epoca tradizione vivaldiana, musiche per cembalo in stile galante, ouverture
operistica…Nell’enorme e lussuosissima residenza estiva della dinastia austro ungarica
Esterhàzy, dotata di sale da concerto e teatri,Haydn passò buona parte della sua vita come
maestro dell’orchestra privata del palazzo. Era responsabile di tutti gli eventi musicali della
reggia, isolata geograficamente ma culturalmente attivissima e frequentata da illustri ospiti.
Durante i 20 anni al servizio del principe Miklòs Esterhàzy, Haydn si cimentò in numerose
innovazioni, compose circa 60 sinfonie, sperimentando virtuosismi solistici, forma-sonata,
tocco sentimentale, esperienza gluckiana, modelli
Scrisse anche composizioni per strumenti a tastiera, dal clavicembalo al pianoforte (messo a punto
a fine ‘600 da Cristofori, uomo di corte presso i Medici, verso fine ‘700 fu chiamato fortepiano.
Novità era l’applicazione di una martelliera al clavicembalo, per ottenere sonorità più o meno forti
a seconda della pressione delle dita sui tasti, a differenza di organo e clavicembalo le cui corde sono
pizzicate).
A quel periodo appartengono anche opere sacre come “La Messa di Santa Cecilia”; la musica sacra
di quest’epoca non aveva uno stile propriamente unitario, vi fu una contrapposizione dei sostenitori
della tradizione (scuola bolognese) e dei sostenitori della libertà nel concedere spazio alla
modernitàcon spunti melodrammatici (scuola napoletana); quest’ultimo tipo di brano sacro venne
definito messa-cantata.
Quando al principe iniziò ad amare le opere, Haydn ne compose molte che dessero vivacità e risalto
anche alla rappresentazione teatrale e non solo alla melodia. Fra le molte opere da lui composte,
quasi tutte comiche, “La cantarina”, “Lo speziale”, “Il mondo della luna”, dramma giocoso
goldoniano dove traspare l’irrisione dei mali della società, a partire dalla pratica dell’impostura ai
danni dei creduloni e degli esaltati, fino airapporti familiari, l’amore e la sete di denaro e potere.
Verso gli anni ’80 Haydn godeva di grande fama in tutta Europa. Oltre a stampare ovunque i suoi
testi e a ricevere complimenti, ebbe degli importanti richieste dall’estero di comporre adagi,
sinfonie e concerti.
Quando il principe Miklòs morì Haydn si trasferì a Vienna e compì due viaggia Londra per conto di
un impresario, e gli fu conferita la laurea honoris causa dall’Università di Oxford. In questi anni
compose le sue ultime 12 sinfonie, quartetti, sonate per pianoforte in cui il compositore poté giocare
con le aspettative del pubblico plasmandolo psicologicamente e sentimentalmente, con giochi di
temi, ironie, drammaticità.
Al periodo viennese risalgono due oratori: “La Creazione” e “Le stagioni”, in cui Haydn affrontò
tematiche quali il recupero della storia, del rapporto uomo-natura, con i poteri descrittivi della
musica.
Haydn fu anche amico di Mozart, di cui raccolse i suggerimenti compositivi. Ciò avvenne anche per
Mozart che rese nota la sua riconoscenza ad Haydn dedicandogli 6 quartetti ed apprezzò il
compositore più di ogni altro musicista.
• Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791 anche pianista) è considerato un genio della
musica e il compositore classico per eccellenza. Originario di Salisburgo, fu avviato alla
musica nei primissimi anni della sua vita da suo padre, musicista, che si accorse delle grandi
doti del figlio. Dopo alcune esibizioni a Vienna la famiglia compì un lungo viaggio, dove le
già precarie condizioni di salute di Wolfgang si aggravarono e dove ebbe modo di fare
numerose esperienze musicali. Altro viaggio fu in Italia, patria dell’opera, affinché potesse
intraprendere la carriera di compositore; qui fece molte esperienze a contatto con le città più
importanti a livello musicale (Bologna, Roma, Napoli) ed ebbe occasione di esibirsi. Alla
morte dell’arcivescovo di Salisburgo, benefattore della famiglia, il suo successore fu un
Quando gli fu rifiutato un permesso per recarsi in Italia, da parte dell’arcivescovo, Mozart lasciò il
lavoro presso la cattedrale e partì verso Parigi con sua madre, che morì durante il viaggio. Viste le
delusioni e il poco successo decise di tornare a Salisburgo e accettare un nuovo incarico da
organista. In questo periodo la sua vena creativa esplose con “Idomeneo” stile drammatico
metastasiano ma con recitativi accompagnati, cori, musiche e scene di ballo tipiche della riforma
gluckiana; è la storia del re di Creta che, tornando alla sua isola dalla guerra di Troia con la sua
flotta, scongiura un terribile naufragio promettendo a Nettuno di sacrificargli la vita della prima
persona incontrata dopo l’approdo, che sarà suo figlio, ma non avrà il coraggio di sacrificarlo anche
perché la sua morte avrebbe scatenato una serie di suicidi. Dopo aver sfidato un mostro però, il
figlio di Idomeneo prenderà il posto del padre, secondo il volere di Nettuno che ha cambiato i voleri
del sacrificio.
Quando l’imperatrice Maria Teresa morì, Mozart si recò a Vienna con l’arcivescovo, ed ebbe modo
di esibirsi in presenza dei nobili. Da quell’esperienza il compositore sentì il bisogno di lavorare in
proprio.
Negli ultimi 10 anni di produzione mozartiana vi furono cambiamenti. Mozart smise di comporre
musiche sacre, tra le ultime “Ave verum”, “Requiem”, che rispecchiavano più la fantasia
dell’autore che le esigenze liturgiche. Diminuirono anche divertimenti e serenate, di cui ricordiamo
l’elegante “Serenata Haffner”. Al contrario aumentarono i concerti per pianoforte o orchestra,
molti richiesti.
Negli anni viennesi Mozart si esibì molte volte in case e sale da concerto, pubblicò opere, frequentò
l’ambiente mondano, strinse amicizia con nobili, musicisti, librettisti, tra cui Haydn e Da Ponte,
entrò nella massoneria. Tutto questo successo fu dovuto soprattutto all’esecuzione del “Ratto del
serraglio”, storia d’amore tra prigionie e salvataggi, racconto fantastico e popolare intermezzato da
brani musicali, il cui libretto fu fatto modificare prettamente per volere di Mozart, che desiderava
caratterizzare ogni personaggio. Si tratta di un Singspiel (“canto e recitazione”) genere operistico
sorto e sviluppatosi in area tedesco-austriaca.Si caratterizza per l'alternanza di parti parlate e parti
cantate. A differenza dell’opera italiana che prevede recitativi cantati, nel Singspiel i recitativi sono
parlati, in lingua tedesca, come nel teatro di prosa.
Successivamente furono rappresentate “Le nozze di Figaro” (I capolavoro), su libretto di Da Ponte,
fu sottoposto a censura viste le allusioni politiche antinobiliari. L’intreccio, ovvero le escamotage di
Figaro per sottrarre Susanna dalle brame del conte loro padrone, si riducono all’opera comica
coppia nobile, coppia di servi, astuzie, beffe. Sorprendente sono le musiche che riescono a
rappresentare perfettamente ciò che accade in scena.
Negli ultimi 5 anni della sua vita Mozart iniziò ad avere insicurezze, sia per il declino degli
entusiasmi, sia sul piano economico. Continuò comunque a comporre molte opere, tra cui spiccano
“Così fan tutte”, opera comica con musica sempre attenta a rappresentare ciò che accade;“La
clemenza di Tito”, opera seria di stile metastasiano; “Il flauto magico” Singspiel, la trama mescola
il genere fiabesco all’intellettualità morale e alla solidarietà, basi del pensiero massonico;così da
soddisfare gusti popolari e intellettuali. Storia ambientata in un fantastico antico Egitto, narra le
vicende del principe Tamino, che dopo aver superato una serie di prove di eroismo e virtù e
sconfitta la Regina della Notte, può essere ammesso insieme all’amata Paminanel regno del gran
sacerdote del culto solare. Nelle sue prove è accompagnato dall’uccellatore Papageno che riesce ad
ottenere la possibilità di prendere in moglie la sua amata. La musica è varia e attinge da stili
differenti virtuosismi dell’opera seria durante le prove della Regina della notte, Lied popolare
austriaco con Papageno, stile d’opera comica nei dialoghi brillanti, drammaticità dell’opera
gluckiana nelle prove di amore e virtù dei protagonisti, tradizione degli inni massonici nei cori del
sacerdote del culto solare.
Gaspare Spontini, altro emigrato italiano autore di due opere di successo quali “La vestale” e “La
conquista del Messico”.
Nei primi anni dell’800 la tradizione teatrale francese stava cambiando alle celebrazioni imperiali
si sostituì nuovamente il gusto per l’intimità e la vita quotidiana slegandosi dai fatti storici.
Negli anni a cavallo tra ‘700 e ‘800 i centri più attivi per la musica erano Parigi, dove prevaleva
l’attività teatrale, e Vienna, dove prevaleva il concerto.
Muzio Clementi, altro emigrato italiano che fu avviato alla carriera di pianoforte e compose molte
sonate per esso. Tuttavia durante un’esibizione Mozart trovò meccanico il suo modo di suonare, ma
invero egli stava sperimentando un tecnica di note doppie sfruttando le possibilità del nuovo
strumento.
Questi gli avvenimenti musicali in genere durante la giovinezza di Beethoven, originario della
Germania dove le nuove trasformazioni vennero viste in chiave filosofica ed intellettuale Sturm
und Drang, filosofia di Kant, idee romantiche; anche le trasformazioni politiche ed economiche
avvennero secondo principi filosofici (illuministi nei primi anni).
• Ludwig van Beethoven (1770-1827 anche pianista), tedesco originario di Bonn, dimostrò
sin da piccolo spiccate doti in ambito musicale, tanto che a soli 14 anni iniziò già a lavorare
come organista e cembalista nel complesso del fratello dell’imperatore Giuseppe II, Max
Franz, cha aveva la sua corte a Bonn. Ma i problemi economici in famiglia erano
incombenti, anche perché il padre iniziò a bere e dopo la morte della madre le spese di
famiglia erano sulle spalle del piccolo Ludwig. Forse per questo che da grande ebbe degli
scompensi psicologici. L’organista di corte lo inserì in ambiente aristocratico e intellettuale.
Nonostante non ebbe un’educazione culturale eccelsa, Beethoven si appassionò alla lettura,
in particolar modo agli scritti di Goethe e Kant, i cui principi sulla legge morale e sulla
sacralità dei doveri che nasce non da imposizioni ma dalla libertà dell’uomo, furono
ampiamente condivisi da Beethoven.
Inizialmente entusiasta della rivoluzione, da cui presto si discostò, fu sostenitore della speranza
utopica di sostituire un regnante buono al tiranno, qualcuno che sapesse guidare la società sotto il
segno della libertà individuale e della legge morale.
Ciò che infatti principalmente lo differenziava da Mozart, era la funzione morale che egli affidava
alla sua attività di musicista (mito dell’umanità), si considerava una sorta di musicista vate,
tendenza di grande rilievo nei secoli successivi. Fino a 22 anni Beethoven lavorò e studiò a Bonn, in
seguito ottenne un permesso da Max per andare a Vienna, dove continuò a studiare e perfezionarsi
e nel frattempo si affermò nella nobiltà come pianista brillante e improvvisatore talentuoso.
Scelse la libera professione per non avere vincoli e per rivolgersi unicamente all’umanità, tanto che
gli fu addirittura chiesto, da parte di alcuni nobiluomini, di rifiutare proposte private offrendogli una
rendita annuale cospicua, che incrementò con lezioni e contratti con gli editori.Beethoven tenne
anche molti concerti, ma dovette interrompere verso la fine del ‘700 per gravi problemi all’udito,
che lo portarono alla totale sordità negli ultimi anni.
1° Fino al 1800 opere giovanili. Molte opere, tra cui 11 sonate per pianoforte, “Prima sinfonia”, i
primi 3 concerti per pianoforte e orchestra e le prime quattro sonate per violino e pianoforte.
Grande invenzione tematica che trascura l’eccessiva eleganza, il gusto di corte, a volte si sfiora la
rudezza. I temi si riducono all’essenziale, spesso vi sono contrasti tra un primo tema più realistico
ed uno più sognante. C’è chi accusò queste opere di stranezza, chi le osannò per l’originalità.
2° Fino al 1815 sinfonie fino alla Sesta (prime due stile settecentesco, terza di espressività
drammatica detta Eroica perché dedicata inizialmente a Napoleone, quarta più tranquilla, quinta
come la terza, sesta detta Pastorale è la contemplazione della natura), sei quartetti, concerti per
pianoforte e per violino, sonate fino all’opera 81. A queste opere è legata la maggior fama di
Beethoven e il suo grande segno di distinzione dai musicisti coevi e più vecchi entusiasmo per le
vicende tragiche ed eroiche, capacità di vivere la natura, spontaneità di adattarsi alla vita, piacere
del dialogo. Innovazioni sul paino stilistico i 3 o 4 movimenti della forma-sonata vengono
concepiti come un solo episodio diviso in fasi legate tra loro, un esempio è la “Quinta sinfonia”
l’ultimo tempo, trionfale e di gesto liberatorio, si comprende solo se legato ai dubbi e i drammi che
lo precedono. Beethoven vuole “far parlare” la musica strumentale in quanto aveva sempre uno
scopo moralistico per il pubblico.
La sua unica opera, “Fidelio”, si basa proprio sulla manifestazione dei suoi principi morali e sulla
meditazione sui rapporti umani, i temi principali sono la lotta contro la tirannia e l’affermazione
della libertà e della giustizia. La storia narra di Leonora, che sotto mentite spoglie maschili assume
il nome di Fidelio, riesce a penetrare nella prigione dove il tiranno Pizarro tiene nascosto il suo
amato Florestano. Dopo molte vicende il prigioniero viene liberato grazie ad un ministro in visita
alla prigione. Il finale liberatorio rappresenta dunque i principi morali di Beethoven.
Vista la crisi psicologia del compositore, intorno agli anni ’10, la sua produzione rallentò. In questo
periodo comunque, compose la “Settima sinfonia”, piena di richiami fantastici alternati a passaggi
meditativi, e l’“Ottava sinfonia”, richiamo alla nostalgia dei tempi passati, meno duri ed eroici.
3° Fino alla morte solitudine dovuta alla sordità e al venir meno delle sue ragioni di entusiasmo
vitale.
C’è comunque grande inventiva sonate, quartetti, la “Messa solenne”, la “Nona sinfonia”.
Distacco dalle convenzioni della forma-sonata che Beethoven stesso aveva trasformato, dai toni
drammatici, dal finale liberitario. Adozione di strutture più antiche come la fuga e di temi meno
drastici, più semplici ed ingenui. Resta comunque la sua esperienza morale, ne è un esempio
“L’Inno alla gioia” di Schiller,che conclude la Nona sinfonia (esaltazione alla fratellanza umana),
anche se ormai non ha più valore di sollecitazione, di messa in atto di valori utopici in cui credeva,
bensì è una sorta di rassegnato dialogo con sé stesso, con la solitudine cui si era abbandonato.
L’Illuminismo ha segnato l’inizio del processo non solo di rivalutazione della musica tra le arti, ma
soprattutto del suo inserimento nel mondo della cultura. Tuttavia solo alla fine del Settecento con i
primi fermenti preromantici la musica acquistò un posto di assoluta preminenza tra le arti. Le prime
testimonianze di questa nuova sensibilità romantica per la musica vanno cercate anzitutto in scritti
letterari; i musicisti ci danno tuttavia una testimonianza indiretta con la loro stessa vita, con il loro
atteggiarsi nei confronti del mondo e della società circostante, con il nuovo significato che essi stessi
conferiscono alle opere. Accanto alla rivalutazione di un passato musicale che affonda le radici anche
nel più lontano Medioevo ed all’enfasi che tutti i romantici in qualche modo conferiscono al valore
divinatorio, religioso, sovrarazionale dell’espressione musicale, altri caratteri vengono spesso messi in
evidenza. Il meraviglioso, il fantastico, il bizzarro, il recondito, il misterioso sono aggettivi che
ricorrono con frequenza nelle critiche e nelle divagazioni dei romantici, siano essi poeti, scrittori,
filosofi o musicisti, termini usati per lo più come polemica nei confronti del classico, del regolare, del
troppo forbito, della conformità alle strutture tradizionali della scuola viennese. Nasce il gusto per
l’irregolarità delle forme, per il bizzarro e per ciò che sgorga naturalmente da un impulso interiore non
soggetto ad alcuna costrizione formale.
Queste trasformazioni così imponenti dei modi di pensare e persino dei modi di fantasticare dell’uomo
non sono certamente dovute al caso né all’iniziativa improvvisa di qualche pensatore o di qualche
artista. Sono invece frutto di un profondo processo di trasformazione del mondo che modifica anche la
vita interiore dell’uomo. Alla base di tale processo sta il graduale passaggio del potere economico
dalle mani dell’aristocrazia terriera a quelle della classe media. Inizialmente essa accumula capitali
lavorando a lucrose attività commerciali e successivamente li incrementa investendo il denaro
guadagnato in attività produttive, in manifatture caratterizzate dalla presenza di nuove macchine. È
questa la cosiddetta “rivoluzione industriale” che, traendo profitto dalle scoperte scientifiche che si
sviluppano a partire dal XVII secolo, le applica alla produzione di beni.
Anche la gestione della cultura passa dalle mani del ceto aristocratico a quelle del ceto imprenditoriale
e borghese. In questo passaggio le attività artistiche trasformano profondamente non solo il loro
assetto organizzativo, ma i loro stessi contenuti, che ora rispondono a modi di pensare, a giudizi sulla
realtà, a sistemi di valore tipici della nuova classe. Nel capitolo precedente abbiamo osservato come,
dal punto di vista organizzativo, la trasformazione più significativa delle attività musicali sia quella
del passaggio dalla conduzione aristocratica all’istituzione borghese del concerto pubblico con
pagamento del biglietto d’ingresso. Per contro diventa assai fiorente negli ambienti della borghesia
benestante la pratica amatoriale del far musica in casa (Hausmusik). A partire dagli inizi
dell’Ottocento la Hausmusik che si svolge nei salotti della buona società diventa una sorta di status
symbol, non solo in Germania, ma in tutta Europa, e spesso nelle occasioni di maggior prestigio
utilizza anche i buoni professionisti locali o i grandi virtuosi di passaggio. Ma la pratica amatoriale e
domestica si crea poco a poco anche una sua tradizione e un suo gusto musicale, e addirittura un vero
e proprio “genere” compositivo: la musica da salotto.
A questo punto la differenza fra la musica di maggiori ambizioni estetiche e la musica da salotto non
è tanto e non solo di carattere tecnico, ma è soprattutto di natura culturale. Nella musica da salotto
tendono a riflettersi, in misura sempre più evidente, i valori, i sogni e le fantasie di una media
borghesia che interpretava le trasformazioni del mondo, della società e della cultura della sua epoca
sulla base di ideologie alla moda. Il suo scopo non è mai quello di elaborare nuovi percorsi culturali o
di mettere in crisi le certezze acquisite.
Fino all’epoca di Haydn e Mozart i generi musicali potevano essere molti, ma ciascun genere aveva un
solo modello di riferimento: chi voleva scrivere una sinfonia aveva a disposizione uno schema
compositivo preciso basato su attese d’ascolto determinate e costanti. Solo all’interno di questo
modello e solo rispettandone la fondamentale integrità era possibile mettere in atto la propria
originalità inventiva. Nell’Ottocento i modelli di riferimento cominciano a moltiplicarsi e i limiti
concessi all’originalità personale diventano man mano più estesi. La situazione del musicista si fa
problematica. Venuto meno il rapporto di dipendenza con il mondo nobiliare che gli assicurava la
sopravvivenza e al tempo stesso gli forniva i fondamentali modelli di riferimento su cui esercitare la
propria creatività, il musicista reagisce dapprima con una sorta di moto d’orgoglio individuale. In altri
Nei primi tre decenni del secolo fu ancora Vienna ad avere la preminenza in campo musicale.
• Franz Schubert (1797-1828) austriaco,divenne molto famoso solo dopo la morte. Espresse
la sua arte attraverso una felicità del linguaggio che si fa scorrevole e comunicativo, fu
molto dedito al pianoforte e amato nei salotti viennesi. Nel comporre non si serviva del
pianoforte, ma scriveva la musica come se scrivesse parole, facendo poche correzioni e,
come esecutore al pianoforte, rivelava una grande dolcezza nel modo di sfiorare i tasti,
producendo un suono chiaro e pulito. Dopo aver studiato musica con il padre e con il
maestro di cappella della chiesa del sobborgo dove era nato e dopo aver abbandonato il
posto di maestro di scuola si avvalse del supporto di una cerchia ristretta di amici, così
Su testo di Goethe, che fu la fonte di massima ispirazione per i suoi Lied fino alla morte, fu il primo
capolavoro di Schubert “Margherita all’arcolaio”, tratta dal “Faust” goethiano, che fu
determinante per definire i principi del Lied schubertiano musica che crea unità, ricca di
inquietudine. Molti altri furono i testi goethiani musicati da Schubert: da altre pagine del Faust alle
liriche del Wilhelm Maister legate alle figure di Mignon e dell’arpista. Schubert scelse anche
Heine, con i sei Lieder che furono pubblicati postumi ed uniti a Lieder su testo di altri poeti e
scrittori, nella raccolta cui fu dato il titolo di “Canto del cigno”. Tra altre composizioni nate
dall’incontro con i versi di Heine “Il sosia” che si basa sulla staticità e sull’ostinazione della parte
pianistica.
Nel Lied schubertiano assume rilievo l’immagine del viandante, che appare in infinite situazioni
diverse e che è anche il protagonista in ognuno dei due cicli di Lieder di Schubert “La bella
mugnaia” e “Il viaggio d’inverno”. La figura del viandante può esser vista come metafora del
rapporto di Schubert con le forme classiche i suoi percorsi formali, liberi e aperti, erano paragonati
ai paesaggi mutevoli che si presentavano agli occhi del viandante. Le opere di Schubert,
lunghissime, non vogliono indurre l’ascoltatore ad una meta, sono come un romanzo senza fine, si
Nella produzione di Schubert si contano circa 500 Lied; tra i capolavori “Sonata il la maggiore”,
“Quintetto per archi”, “Fantasia in do maggiore”, le 7 sinfonie. Un aspetto minore dell’attività
schubertiana è quello rivolto al teatro musicale, le cui strade egli tentò più volte senza successo.
Schubert non trovò mai una sistemazione stabile e, pur godendo di una certa reputazione
nell’ambiente viennese, non conobbe grandi affermazioni e non poté ascoltare la sua musica
eseguita in pubblico fino a un importante concerto organizzato a Vienna nell’anno della morte.
• Carl Maria von Weber (1786-1826 anche pianista) tedesco, fu il primo grande esponente
del Romanticismo musicale in campo operistico; oltre ad essere un grande virtuoso di
pianoforte fu anche direttore d’orchestra in teatro. Weber ebbe modo di accostarsi sin da
piccolo alla musica, il padre infatti fu il fondatore di una compagnia itinerante e seguendone
gli spostamenti, Weber iniziò a studiare con vari maestri, tra cui l’abate Vogler. A circa 30
anni fu maestro di cappella al Teatro di Praga e poi a quello Reale di Dresda, capitale della
Sassonia, dove dominava l’opera italiana. Qui Weber diede importanza prevalente al
repertorio francese, pensando che fosse un’alternativa all’imponente repertorio italiano, per
poi preparare e favorire lo sviluppo di quello tedesco. Secondo il compositore, l’opera
tedesca doveva essere un organismo unitario dove tutte le arti dovevano convergere. I
rapporti con il teatro francese sono visibili anche suo capolavoro teatrale, il Singspiel “Il
franco cacciatore”, con il librettista Kind, che iniziò a scrivere proprio a Dresda. Nel
frattempo compose le musiche per la “Preciosa” di Wolff e iniziò un’opera comica, “I tre
Pinto”, che però non portò a termine.
Nella sua poetica romantica fu essenziale il gusto per l’esotico, il fiabesco, il pittoresco, il
caratteristico.
Nel suo capolavoro operistico assume grande rilievo il tema della natura, a dimostrazione di come
l’essere umano sia in balia di forze irrazionali. Weber fece inoltre ricorso al tema dell’identità
nazionale.
La vicenda narra del cacciatore Max, che per amore di Aghate fa un patto con il male, impersonato
dal Cacciatore nero e dal suo servitore Caspar, per ottenere pallottole magiche. Dopo una lunga
contesa tra forze del bene e del male, Max alla fine si salva. “Il franco cacciatore” rappresenta il
definitivo affermarsi dell’opera romantica tedesca. Sia la Francia che l’Italia avevano già prodotto
opere di questo genere e, molte opere tedesche precedenti, contenevano parecchi elementi
romantici. Ma nessuno di aveva riunito tutto il fondamento del Romanticismo in un unico lavoro,
dove c’è tutta la passione romantica per gli antichi tempi, insieme con le loro leggende e i loro canti
popolari. Lo spirito stesso della natura è colto nelle scene della foresta, con i corni da caccia e i
suoni caratteristici inerenti e nei quadri della vita di villaggio. Weber descrive la natura con grande
precisione e coordinamento, sfumature e contrasti delle voci dell’orchestra. I suoi paesaggi sono
così intensamente sentiti che, all’ascoltatore, par di udire davvero i rumori narrati.
Weber tentò anche di escludere nell’opera le parti recitate, rappresentando un continuum musicale,
con “L’Euryanthe”, storia di un’innocenza tradita, sullo sfondo di un medioevo romantico e
cavalleresco fatto di nobiltà e suggestioni, con una musica ricca di inquietudini e virtuosismi lirici.
All’alternanza tra musica e parlato Weber tornò con il suo ultimo capolavoro, “Oberon”, opera
mista di aspetti fiabeschi e cavallereschi.
Il suo percorso creativo iniziò fin dall’adolescenza, quando compose 13 sinfonie per archi, la
“Prima sinfonia”, l’ottetto per archi. Particolare fama ebbero lo “Scherzo”, esempio fiabesco da
sembrare musica da elfi, e l’ouverture per il “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare.
Negli anni della maturità (circa a 18), spiccano quartetti, quintetti, e 2 sonate per violoncello e
piano. Troviamo un’inconsueta asprezza, segno del cambiamento di stile, nel Quartetto in fa
minore op. 80.
Le cinque sinfonie comprendono, dopo la prima “Riforma” per le celebrazioni ad Augusta,
“Italiana” ispirata al suo viaggio in Italia, “Sinfonia cantata” scritta per le celebrazioni a Lipsia
del quarto centenario dell’invenzione della stampa, “Scozzese” sulle impressioni di un viaggio in
Scozia.
A partire dagli anni ’30 dell’800, la tradizione più profonda e nobile dello spettacolo teatrale, ciò
che desiderava il pubblico più colto, che era stata oscurata dalle esigenze commerciali, dalle trame
più leggere e legate al divertimento della borghesia imprenditoriale, e dalla rivoluzione, ebbe un
graduale recupero.
Il punto focale della continuità della tradizione fu inizialmente il Conservatorio di Parigi, dove
furono eseguite anche sinfonie beethoveniane, che suscitarono polemiche. I musicisti del periodo:
• Hector Berlioz è considerato un caposcuola della musica strumentate dell’800. Ebbe il
successo che meritava solo postumo. Vista la sua schiettezza, la sua eccessiva fiducia in sé
stesso, la sua tendenza a farsi trascinare da entusiasmi o a non badare alle difficoltà
pratiche ed economiche, ebbe intorno molte inimicizie. Tra l’altro anche la sua musica
poco si conformava ai canoni e ai gusti dei suoi contemporanei. I punti di riferimento
iniziali per la sua fantasia compositiva, furono la tradizione francese dell’epoca
napoleonica, rivoluzionaria, celebrativa e composta da un lato, e ai modelli del
romanticismo tedesco e alla letteratura dall’altro. Berlioz non mantenne comunque questa
prospettiva, stravolse i canoni con l’estrosità delle sue tecniche, la sua eccessiva fantasia,
gli inserti autobiografici, che conferirono alla musica carattere provocatorio. La sua prima
opera importante, “Symphoniefantastique”, apparentemente di retorica beethoveniana,
celava la sua
Nessuna delle sue opere rispetta davvero un genere musicale codificato, dall’ “Harold eh Italie”, a
“Romeo e Giulietta”, sinfonia in forma di dramma.
Per Berlioz, l’arte fu lo specchio della sua vita; la sua opera il vivo riflesso delle gioie, delle pene,
delle aspirazioni del compositore. Berlioz può essere considerato il moderno creatore della musica
a programma composizione che consiste nel descrivere o narrare una storia con mezzi puramente
musicali. Il suo romanticismo nasceva dall’opposizione fra l’uomo ideale e l’uomo reale. Per
esprimere questo conflitto, Berlioz creò un linguaggio e un’estetica; il suono era per lui inseparabile
da un timbro particolare o da un colore specifico; pensava in funzione dell’orchestra; la ricchezza
dell’orchestrazione e le combinazioni timbriche più inattese e originali creavano un ambiente sonoro
atto a esprimere il senso del fantastico, dell’allucinante o del grandioso.
La musica vocale è rappresentata nella sua produzione da una quarantina di melodie e da
6cantate. La musica per orchestra comprende 7 ouvertures, tra cui “Waverley”, “Re Lear”.
Scrisse 5 opere drammatiche, tra cui il suo capolavoro “La dannazione di Faust” e “Benvenuto
Cellini”, evidentemente ispirata allo scultore e scrittore italiano cinquecentesco.
Berlioz scrisse anche opere teoriche, fra cui un trattato di strumentazione e di orchestrazione
moderna.
Chopin trovò nel pianoforte il migliore mezzo di espressione dei suoi sentimenti. Infatti quasi tutte
le sue opere sono dedicate al pianoforte con un tipo di melodie forse unico nella storia della musica,
semplici, pure, eleganti. Chopin è definito musicista romantico per eccellenza, forse per la sua
spiccata malinconia e drammaticità. Fece del pianoforte il maggior confidente, il compagno di una
vita. La sua opera pianistica può essere divisa in vari gruppi di composizioni che non seguono uno
schema, ma il solo corso della sua fantasia. La sua struggente malinconia è visibile nei 21
Notturni, in cui la musica perde ogni riferimento esteriore per trasformarsi in interiorità pura, e nei
26 Preludi. Il ricordo del patriottismo della Polonia si ritrova nelle 59 Mazurke e nelle 16
Polacche.
Da ricordare anche le 4 Ballate, traduzione strumentale di un genere legato alla cantata, e gli
Studi, a scopo didattico, e gli Scherzi, composizioni virtuosistiche miste a grande fantasia. Poche
le sue composizioni orchestrali. Pur essendo ostile al melodramma, Chopin ne fumolto influenzato.
Molte sue melodie, infatti, sono traduzioni strumentali di modelli melodrammatici francesi e
italiani, in particolare di Bellini.
Quando Richelieu e poi Luigi XIV, per la prima volta, avevano avvertito la necessità di promuovere,
con qualcosa di più organico del tradizionale mecenatismo di corte, l’istaurazione di una cultura di
stato, omogenea e nazionale, essi avevano già posto le premesse strutturali e ideologiche da cui
muoverà l’opera francese, quali vedremo ancora mantenersi in epoca romantica. Dal punto di vista
amministrativo la centralizzazione dell’attività teatrale si risolve nella sostanziale riduzione della vita
e della cultura operistica a Parigi; l’opera francese dell’Ottocento finirà così per rappresentare
l’elemento sociale caratteristico della metropoli, ossia la borghesia grande e piccola legata al fiorire
dell’industria, del commercio e della finanza, assai più di quanto non rispecchiassero un proprio
diretto committente l’opera italiana e quella tedesca coeve, espressione di interessi generali distribuiti
in culture policentriche. L’opera, per come nasce e si afferma, resta investita di un carattere
istituzionale che la fa essere emanazione diretta della società dominante. Il genere dell’opéra-comique
aveva tratto origine da quel teatro popolare della fiera, ch’era cominciato coi lazzi dei saltimbanchi,
contrapponendosi al teatro accademico ufficiale; nell’Ottocento esso giungerà ad affiancarsi all’opéra,
acquisendo pari considerazione artistica, e distinguendosi da essa solamente per il ridotto apparato
esecutivo, i recitativi parlati, l’assunzione di modi espressivi più leggeri e psicologicamente familiari,
più spesso giocosi, ma capaci anche di sopportare il patetico o addirittura il tragico. Una volta fissata
la divisione dei compiti, il sentimento diffuso di una rappresentatività sociale comune ai generi
dell’opéra e dell’opéra-comique ai vari livelli del costume culturale, verrà poi modulato dai motivi
romantici recati dai tempi nuovi, dando adito a tutta una produzione peculiare, ricca di
interconnessioni reciproche fra i generi e di tipologie intermedie. Così ecco penetrare nell’opéra-
comique con Medea di Luigi Cherubini, un soggetto che per l’ambientazione classicista e per
l’austerità del mito sarebbe parso consono alla tragédie-lyrique, e che invece, fuori dalla convenzione
di questa, segna l’approssimarsi del melodramma francese a una visione unitaria del dramma, secondo
l’esempio gluckiano, e a modi espressivi fortemente accentuati, già nello spirito dell’opera romantica.
I temi tipici del romanticismo europeo investono opéra e opéra-comique, liberando il primo dal suo
tradizionale sussiego e temperando la leggerezza spesso superficiale del secondo con assunti seriosi e
patetici.
Era sul versante dell’opéra-comique, comunque, che le istanze romantiche potevano trovare autentica
espansione, sia nel senso di un approfondimento sentimentale e psicologico, sia in quello di un
disincanto critico esercitato nei modi della ironia e della satira; nell’ambito del grand-opéra esse erano
invece accolte, quali mere occasioni di accadimenti teatrali d’esteriore successo spettacolare. La
cultura romantica poteva invece scoprirsi, nell’opéra-comique, sempre più in consonanza con lo
spirito pubblico dettato dal ceto minore, piccolo borghese, emergente a mano a mano che le forze
economiche più attive venivano liberandosi dalla pesante tutela esercitata dall’oligarchia finanziaria e
dalla notabilità fondiaria in auge sotto Luigi Filippo.
L’opéra-lyrique nacque dunque dallo spirito dell’opéra-comique, distinguendosene per l’abolizione
frequente del parlato, per i contenuti drammatici più impegnativi e per lo stile più complesso, in netta
polemica, tuttavia, con le ambizioni al grandioso del grand-opéra, sul quale finì a sua volta per
influire, prestando ad esso, talora, i toni liricamente soffusi che la caratterizzavano. L’opéra-lyrique si
collocò pertanto in una posizione intermedia fra grand-opéra e opéra-comique, attirando nella propria
orbita questo e quello; li omologò infine in un tipo d’opera percorso da un’armonia ricca di sfumature
e da una suadente melodiosità, capaci di rendere i valori fonetici e prosodici della lingua francese
lungo il trasmutare di una psicologia che emanava dall’intimità piccolo-borghese.
Il melodramma trovò, nel corso dell’800, un’affermazione sempre più decisiva nella cultura
musicale italiana. L’opera, con i suoi drammi d’autore, di morte e patrie perdute, diventava specchio
di una realtà che viveva grandi mutamenti sociali e politici. Molti furono gli autori italiani che si
Il comico rossiniano ebbe gusto per l’effetto surreale, il grottesco; seppe rendere brillante e
imprevedibile l’orchestra, ravvivando i colori strumentali, precisione nel ritmo ed ostinata
ripetizione furono componenti essenziali soprattutto nel crescendo linea melodica a cui si
aggiungono progressivamente strumenti. L’espressione musicale acquistava un effetto fortemente
teatrale, dall’impatto quasi fisico.
Tra le opere buffe più famose “Il Barbiere di Siviglia” e “La Cenerentola”. La prima è una delle
opere più celebri, è la storia di del Conte Almaviva innamorato di Rosina, segregata da un uomo che
vuole sposarla, Bartolo. Il conte si fa aiutare dal barbiere di Bartolo, Figaro, che attraverso una serie
di stratagemmi (travestimenti, inganni) riesce a far incontrare i due amanti e Bartolo non può fare
altro che unirsi al coro di gioia per i novelli sposi. L’opera, con il suo brio, con il contrasto continuo
dell’azione e del vitalismo musicale, che trasmette gioia di vivere, con l’accentuazione dei caratteri
dei personaggi, umani e realistici, è un’opera che diverte e desta interesse. Chiuse l’opera buffa
settecentesca.
Differenti le sue opere serie, quella d’esordio, “Tancredi”, di spirito arcadico-pastorale, malinconia
accentuata. Altre opere serie furono “Otello”; tratto dalla tragedia shakespeariana, narra di
Otello,capo della flotta veneziana, sposato con Desdemona, figlia di un suo nemico, viene istigato
dal suo alfiere Jago, geloso per la nomina a capitano di Cassio, a credere che tra sua moglie e il
Un limpido lirismo poetico Bellini trovò bei libretti di Romani, con cui collaborò. Tra le opere “Il
pirata”, ai tempi di Carlo I d’Angiò, storia d’amore ostacolata dai ricatti di un duca che obbliga la
protagonista a sposarlo perché rende prigioniero suo padre; “Capuleti e Montecchi”, sulla tragedia
shakespeariana di Romeo e Giulietta; “La sonnambula”, che discende dal genere semiserio del
larmoyant settecentesco, ma lo sfondo della montagna, la suggestione del sonnambulismo
dell’eterea protagonista danno all’opera un tono romantico; è la storia di una donna sonnambula, ma
nessuno nel villaggio crede a questa storia, tutti pensano che la donna, promessa sposa, abbia invece
tradito il suo futuro marito con un nobiluomo, dal momento in cui si ritrova nella sua stanza perché
in stato di sonnambulismo, finalmente viene creduta quando gli altri la vedono sul cornicione del
tetto. “La Norma”, di cui fa parte il celebre brano Casta Diva, si ispira alla tragedia classica nella
vicenda della sacerdotessa che vien meno ai voti di castità per amore, avendo anche dei figli affidati
poialla novizia che amava lo stesso uomo, e che si sacrifica insieme al suo amato .
La svolta decisiva nella sua carriera e nell’evoluzione artistica coincise con il suo trasferimento a
Parigi. Qui Bellini entrò in contatto con alcuni dei più grandi compositori d’Europa ecompose la
sua ultima opera, infrancese per il Teatro dell’Opéra di Parigi “I Puritani”, sua ultima opera, in cui
l’azione si svolge in Inghilterra nel secolo 17°, al tempo di Oliver Cromwell.
Nelle sue opere giocose, a prescindere dai recitativi sempre accompagnati, le musica infondeva ai
personaggi un caloroso sentimento che li sottraeva al ridicolo della farsa, rendendoli
psicologicamente attivi e partecipi nelle vicende. Fervida vena creativa e fecondità musicale furono
la sua caratteristica più sorprendente. Donizetti fu un artista sicuro, immediato, le sue opere univano
tono drammatico, gusto letterario e poetico e sana ironia.
La figura dominante nella cultura musicale italiana del XIX secolo fu senza dubbio quella di Giuseppe
Verdi, e non solo per la sua lunga vita e per la sua genialità di compositore, ma anche per i profondi
legami che egli ebbe con la società del suo tempo. Al contrario di tanti artisti dell’Ottocento che
manifestavano disagio e perfino disprezzo nei confronti del mondo borghese che li circondava, Verdi
dimostrò sempre una sorta di condivisione spontanea per le idee e i valori della società in cui viveva,
la quale a sua volta lo amò e lo apprezzò come uno dei suoi più autentici rappresentanti. Il sintomo più
significativo di questa convergenza è offerto dalla identificazione dei contenuti drammatici delle sue
primissime opere con le tensioni e le speranze patriottiche del Risorgimento, con la sua ansia di
indipendenza e di unità nazionale. La sua sapienza di drammaturgo consiste nell’aver saputo incarnare
tali ideali in personaggi vivi e frementi e la sua genialità di grande autore tragico consiste nel non aver
mai dato per certa la loro vittoria; altrettanto vive e impetuose sono infatti sempre le forze che si
oppongono ai principi morali positivi e altrettanto vitali i personaggi che le incarnano. Proprio questa
capacità di metter dubbi, di analizzare con impietosa schiettezza i grandi ideali, da lui stesso condivisi,
della società nascente, fanno di Verdi la più alta coscienza morale della sua epoca e spiegano il suo
immenso e immediato successo.
Come le tecniche narrative così anche le forme musicali verdiane degli anni Quaranta accolgono
ampiamente l’esperienza del melodramma precedente rinnovandola tuttavia in alcuni aspetti
essenziali. L’unità musicale non è ormai più data, come nel vecchio teatro di tradizione settecentesca,
dalla schematica successione di recitativi e arie, ma non è neppure del tutto libera. La presenza di
schemi formali precostituiti è ancora viva in questo periodo e ancora pienamente funzionale alle attese
del pubblico, che amava costellare lo spettacolo degli applausi forniti a ciascun cantante alla fine del
suo pezzo. Nella concezione verdiana l’unità musicale comprende di solito un’intera azione, cioè la
narrazione esauriente di un episodio, basata sulla presenza dominante di un personaggio. Nel suo
schema più consueto tale narrazione comprendeva almeno quattro fasi: una serie di recitativi iniziali
sostenuta e introdotta da temi e interpunzioni orchestrali; una prima aria del protagonista, sostenuta da
Il mito romantico che considerava l’arte come trasfigurazione poetica dell’esistenza, restò radicato
nella cultura europea, combinandosi anche con teorie di rigenerazione dell’uomo e della società. In
musica questa concezione fu evidente in Liszt e Wagner, seppur con presupposti differenti la
poetica del primo si caratterizzò per una propensione verso la dimensione futura dell’arte musicale,
che doveva abbracciare tutte le altre arti e che solo il musicista-poeta poteva allargarne i confini,
dando il via alla musica dell’avvenire; per il secondo la rigenerazione dell’uomo attraverso l’arte
poteva compiersi anche attraverso la liberazione della musica dai vincoli con la borghesia, che si
serviva della musica per fini utilitaristici, e la ricollocazione di essa alle sue antiche funzioni sacrali
e sociali. Le speranze dei musicisti crollarono quando, a seguito dei fallimentari moti del ’48, vi fu
una dura restaurazione che portò alla creazione dello stato prussiano, causando ripercussioni anche
in campo culturale e sugli artisti. In entrambe le esperienze creative dei due compositori, la musica
non si rivolgeva ad un pubblico specifico ma ad uno futuro ed ideale, si creava arbitrariamente un
proprio linguaggio e una propria forma. Questa concezione dell’opera d’arte come realtà autonoma
superiore e come rifugio dalla vita, fece crollare quel sogno utopico di trasformare l’esistenza.
• Franz Liszt (1811-1886 anche pianista) è stato un musicista girovago, compì infatti
numerosi viaggi in varie città, tra cui Parigi, Weimar, Roma e da ognuna trasse esperienze.
E’ una figura artistica che generalmente va collegata a Wagner. Il Liszt di Weimar, è
differente da quello parigino, visto che a Weimar, dove lavorò come direttore artistico
all’opera di corte, il suo iniziale ardore rivoluzionario ed utopistico diminuì, in favore
dell’ideale della musica dell’avvenire. L’elemento che accomunò entrambi i periodi fu la
concezione di musica intesa come missione. La musica di Liszt, eccellente pianista, si
estendeva alla società di ogni cultura. Nonostante nel periodo di Weimar fu composta la sua
composizione pianistica più impegnativa, la “Sonata in si minore”, i suoi progetti più
ambiziosi furono in ambito orchestrale, con numerose sinfonie, alcune delle quali dedicate
al Faust di Goethe e alla Divina Commedia. Le composizioni si arricchirono di contenuti
poetici extramusicali, di metamorfosi tematiche. Sul piano religioso, e dalla sua vocazione
di prendere gli ordini minori, Liszt compose un’ampia produzione sacra, tra cui la “Messa
di Gran”, “Christus”.
Nella sua ultima produzione rientrano brani pianistici di carattere evocativo e funebre, dedicati a
Wagner o ad eroi ungheresi (sua patria). Complessivamente, la sua musica è un’arte caratterizzata
da squilibri, che rivelano una coscienza tormentata. Egli, nella sua musica, non solo volle creare un
linguaggio poetico, ma volle ricercare nuovi mezzi espressivi, comunicativi. Liszt è stato il primo
a scrivere un brano atonale, la“Bagatella senza tonalità”.
• Richard Wagner (1813-1883) preferì il genere del dramma, di cui egli stesso fu librettista,
dove potesse trovare l’autentica attuazione dell’opera d’arte dell’avvenire. La base del suo
dramma fu il mito, come rappresentazione simbolica di una verità universale. Trasferitosi
in numerose città, è considerato uno dei precursori dell’arte contemporanea per le sue
innovazioni formali, tecniche e linguistiche. Fu direttore d’orchestra in Sassonia
Molti dei personaggi dei suoi drammi sono presentati da una breve sequenza di note che,
elaboratain vari
modi, ritorna in differenti combinazioni ogni volta che il personaggio entra in scena.
Trasferitosi a Zurigo, dove rimase circa 9 anni, scrisse il saggio “L’opera d’arte dell’avvenire” e
“Opera e dramma”, ispirato all’idea di una sintesi di tutte le arti dello spettacolo in un’opera totale
in cui parola, musica e dramma fossero fuse insieme; la musica deve comunicare il sentimento,
visto che è lo strumento non razionale, che attraverso la bravura dell’orchestra e l’insieme di suoni,
trasmette emozioni; la poesia serve per spiegare un concetto. Su questi dettagli Wagner compose
una Tetralogia chiamata “L’anello di Nibelungo”, composta da4 drammi rappresentanti una vigilia
e tre giornate “L’oro del Reno”, “La Walkiria”, “Sigfrido”, “Il crepuscolo degli dei”.
L’opera rimase però sospesa (fu ripresa 10 anni dopo) per iniziare “Tristano e Isotta”, ispiratogli
dalla passione per una donna; presenti nuovamente i temi della colpa per aver tradito il marito di lei,
e la redenzione, ovvero la morte, la liberazione, la rinuncia secondo Schopenhauer (amore e morte).
L’opera fu rappresentata a Monaco affinché Wagner si risollevasse dai problemi finanziari in cui si
imbatté.
Nei pressi di Lucerna compose “I maestri cantori di Norimberga”, unica opera non tragica, storia
d’amore di un giovane, che per conquistare una donna messa in palio dal padre, tenta di ottenere il
titolo di maestro cantore; ritorna sempre il mito, la rappresentazione di verità universali espresse
dall’arte; questa, per essere mito, deve dissimulare sé stessa e apparire come natura, la riflessione
deve convertirsi in spontaneità, il sentimento in conoscenza. Wagner definiva le sue opere azioni
della musica divenute visibili. Sempre a Lucerna sposò la figlia di Liszt ed intrattenne un’amicizia
con Nietzsche, riprese inoltre la composizione della Tetralogia, di idee basate sul tramonto di un
mondo basato sulla legge e sulla violenza, quello degli dei, in favore della libertà, della libera
autodeterminazione dell’individuo. Ritornano anche qui i temi di dannazione e redenzione. L’opera
si ispira agli antichi miti germanici e alla raccolta poetica Edda. I opera furto dell’oro custodito nel
Reno da parte del nibelungo Alberico per forgiarne un anello, sottratto poi dal re degli dei. II opera
il figlio del re degli dei commette un incesto con la sorella e nasce Sigfrido. III opera il fratello di
Alberico, che si prende cura di Sigfrido, vuole servirsene per prendere l’anello custodito da un
gigante sotto le spoglie di drago, Sigfrido uccide il drago e prende l’anello, poi libera Brunilde una
walkiria figlia del re degli dei. IV opera Sigfrido, tratto in inganno dal figlio di Alberico,
Il suo ultimo dramma è “Parsifal”, ancora una volta i temi della colpa e della redenzione sono
dominanti, uniti al concetto di rinuncia schopenhaueriano; è la storia dell’eroe Parsifal e della
ricerca del Graal, inizialmente passivo nella sua ignoranza, fino alla chiaroveggenza finale,
simboleggiata dal Graal Sulla cima di una montagna, il Monsalvato, c’è un eremo in cui è custodito
il Graal e la Lancia Sacra che ferì Cristo sulla Croce. Con questi tesori, i cavalieri difendono il bene
nel mondo e accolgono coloro che si dimostrano capaci di comprenderne la virtù. Ma Klingsor, uno
dei cavalieri viene attratto dalle tentazioni, e, convertendo in magia nera la virtù dello spirito
cristiano, conduce sé stesso e gli altri cavalieri verso una vita lasciva e peccatrice, a cui cede anche
il figlio del fondatore del monastero, ferito poi da Klingsor con la Lancia Sacra, tutti i cavalieri,
che sono condannati a penare con lui, attendono il redentore che dovrebbe arrivare per salvarli: il
“puro folle”, insapiente di Dio, Parsifal. A proposito di quest’opera, Nietszche, denunciò la
progressiva intellettualizzazione dell’arte, un processo negativo che giunse all’apice proprio con
Wagner, secondo il filosofo il brutto, il misterioso, il terribile del mondo vengono addomesticati
dalle arti e dalla musica in particolare. Il filosofo accusò Wagner di decadentismo, di seguire la
pratica di impoverimento teorico che intaccava tutte le manifestazioni artistiche sfaldandone il
rapporto con la vita attraverso un processo che decomponeva le opere, privilegiando il particolare
sull’unità; ed è quel che accadde nello specifico nella musica dove acquistarono rilievo la retorica,
la scenografia, i virtuosismi, l’eccedenza espressiva.
Nella metà dell’800, nel periodo di declino dell’impero asburgico, Vienna (che assunse aspetto
ancora più imperiale con la costruzione del Ring e di grandi palazzi) continuava ad essere centro di
grandi attività operistiche e concertistiche, soprattutto con Brahms, Bruckner e Wolf.
• Johannes Brahms (1833-1897 anche pianista) ritenuto da molti il successore di
Beethoven, diede a Vienna uno dei suoi primi concerti. Molto giovane si esibì in casa
Schumann, quest’ultimo ne rimase molto colpito da scrivere su di lui un articolo su una
prestigiosa rivista, scoprendo una caratteristica fondamentale della musica di Brahms: un
legame con i generi della tradizione scriveva infatti mottetti, concerti, sinfonie, Lieder,
composizioni corali, per organo, per pianoforte, rispettando i generi codificati dalla
tradizione, come la forma-sonata; per questo fu spesso incolpato di conservatorismo.
Nonostante le sue tradizioni, la musica di Brahms fu anche al passo con le evoluzioni
degli ideali romantici (inventiva melodica), che attenuarono le esaltazioni eroiche e
passionali fino a giungere al Decadentismo, segno di crisi. Si pose comunque in modo
singolare nei confronti del Romanticismo, dato che rifiutò il senso di lontananza e di
estraneazione dal presente, che caratterizzavano la corrente.
A causa del suo bisognoso di perfezione, Brahms fu lento nello scrivere, pubblicare ed eseguire le
proprie opere importanti. La Prima della sue 4 sinfoniefu eseguita solo a 43 anni.
Negli ultimi 20 anni si dedicò soprattutto ai lavori per orchestra le altre 3 Sinfonie, il Concerto per
violino, il Concerto N.2 per pianoforte e il suo ricco catalogo di capolavori cameristici, il genere
che più lo metteva a suo agio, ispirato all’ambiente borghese di cui faceva parte, quella borghesia
erudita, laboriosa, tranquilla, agiata, la cerchia ristretta di persone avanti a cui eseguiva questa
musica, che rispecchiava chiaramente quel tipo di sfera sociale. Tra le sue opere, il celebre
“Requiem tedesco” composto per la morte della madre, riproposizione delle costruzioni polifoniche
dei maestri del passato, accostandosi alla sinfonia; e le grandi composizioni sinfonico-corali il
“Rapsodia per contralto”, il “Canto delle Parche”, il “Canto del Destino”, sono sublimi creazioni
che non derivano da una supina accettazione del testo poetico ma intendono comunicare un
messaggio profondamente umano.
La musica di Brahms è frutto di una lotta su due fronti, per esprimere i più profondi dissidi interiori
dell’uomo. I suoi temi eroici, fieri, drammatici incalzano in maniera prepotente, senza tregua. Solo
a volte lasciano il posto a temi di un lirismo straordinario, a frasi più distese e serene.
La sua musica comunica una vasta gamma di emozioni che vanno dalla passione alla depressione,
alla malinconia.
Fu essenzialmente un classico, nettamente staccato dalla scuola di Liszt e di Wagner che lo
accusarono di conservatorismo, la sua anima pensosa, incline all’affettuosa intimità si manifesta nei
Lieder. Causa i suoi non facili effetti strumentali, la sua musica non fu immediatamente compresa
dalla massa.
• Anton Bruckner, wagneriano, anch’egli manifestò ostilità nei confronti di Brahms. Studiò
nella provincia austriaca e lavorò come maestro di scuola ed organista, per poi scoprire le
sue doti di compositore. Frequentò il conservatorio, prendendo il diploma di armonia e
contrappunto, e prese numerose lezioni di strumentazione. La conoscenza di Wagner, alla
prima di Tristano e Isotta, fu fondamentale per la sua produzione. Dopo un primo tentativo
con la Sinfonia n.0 in re minore, cui seguirono altre 8, compose la sua opera matura Messa
n.1 in re minore, cui seguirono altre 2 e un Te Deum. Grazie all’esecuzione della Messa n.
1 assunse l’incarico di insegnante di armonia e contrappunto al Conservatorio di Vienna.
Seguirono altre esecuzioni viennesi, fin quando la Sinfonia n.3 gli provocò un insuccesso,
da cui si risollevò con la Quarta. L’amicizia con Wagner gli provocò dei problemi
nell’ambiente musicale viennese con l’avvento di Brahms e la complicità del critico
Hanslick, che lamentò nel compositore l’assenza di logica e chiarezza, in quanto, seppur le
sue composizioni fossero ricche di elementi geniali, questi venivano posti in una
connessione con discorsi piatti, confusi. Importante caratteristica delle sinfonie di Bruckner
è quella dei falsi finali. Durante alcuni movimenti, Bruckner inseriva spesso grandi
crescendo emotivi che sembravano sfociare in un grande finale, ma invece, la frase si
3. IL VALZER E L’OPERETTA
Nella seconda metà dell’800, sia in Francia che in ambito viennese nacquero anche generi musicali
più “leggeri”, ma comunque impegnativi e molto apprezzati dalla società. I generi furono:
• Operetta derivante dal Singspiel, come l’operetta tedesca derivava dall’opera-comique,
entrambe a loro volta alternavano recitazione al canto e avevano radici popolari.
Conosciuta anche come piccola lirica, ciò che la caratterizza è la vivacità musicale e
l’aspetto coreografico, infatti sono proprio le danze a costituire il nucleo fondamentale
dello spettacolo e ad esercitare sugli spettatori grande interesse.
Il genere non si identificò solo con una forma, ma soprattutto con una dimensione culturale, quella
della borghesia francese e austriaca di fine secolo, con la sua predilezione per le storie sentimentali
ambientate nella buona società del tempo.Uno dei padri dell’operetta francese fu Jacques
Offenbach, il genere aderì al processo di elaborazione della musica popolare avviato nella musica
classica e in quella d’intrattenimento, sia a Parigi che a Vienna. Offenbach scrisse almeno 100
operette, alcune delle quali furono molto popolari, le migliori combinano la satira politica e
culturale; ricordiamo soprattutto “Orfeo all’inferno”, le cui repliche furono bloccate perché
l’operetta fu accusata di infangare la più aulica delle opere, l’Orfeo di Monteverdi, ma anche Orfeo
ed Euridice di Gluck; e “La bella Elena”.
Altro noto compositore di operette fu Franz Lehàr, che ne accentuò i tratti sentimentali. È l’autore
della celebre “Vedova allegra”.
• Valzer viennese il genere è stato creato da Josef Lanner e Johann Strauss senior, e lo
avevano ricavato da una vecchia danza contadina, il Landler, inserendo al tempo ternario
velocità e brio. Il valzer si articolò in un’introduzione di tempo binario, 5 o 6 sezioni di
valzer e una coda che riprende i temi principali. L’apoteosi del valzer fu raggiunta con
Johann Strauss junior, in concorrenza con suo padre contrario alla decisione del figlio di
intraprendere la sua carriera, gli furono impartite infatti lezioni di violino e teoria musicale
segretamente. Fu autore di 170 valzer, di cui i più famosi, oltre al celeberrimo “Sul bel
Danubio blu”, divenuto una sorta di inno nazionale austriaco, ricordiamo “Storielle del
bosco viennese”, “Voci di primavera”, “Vita d’artista”, “Rose del sud”, in cui si rifletteva
l’ambiente spensierato e colto della città, in un’originale composizione musicale.
4. LE SCUOLE NAZIONALI
In molti paesi europei, in particolare dell’est dove le tradizioni contadine erano forti, nacquero le
scuole nazionali che, sulla scia dell’ideale romantico che affermava che ciascuna nazione doveva
cercare nelle proprie tradizioni le sue radici culturali, affermarono la loro autonomia in campo
musicale. Esse si dedicano all’opera, al balletto, ma soprattutto al poema sinfonico, una
composizione per orchestra che illustra un argomento o una situazione.
1. SCUOLA RUSSA nei primi anni dell’800 la Russia ospitò molti compositori italiani, e quelli
russi completavano la loro formazione in Italia, traendo osservazioni ed insegnamenti dall’opera
italiana.
Solo nella musica di Glinka si riconobbe uno stile contraddistinto derivante dalla tradizione russa,
seppur con elementi caratteristici di generi italiani, tedeschi, francesi. Infatti, nella sua opera “Vita
per lo zar” vi è grande presenza della tipica coralità russa; in “Russlan e Ludmilla” prevale il gusto
per l’esotismo orientaleggiante, ripreso da molti altri.
Dalla metà dell’800 si aprì una polemica tra chi accoglieva gli apporti della musica occidentale
e chi li respingeva per una musica esclusivamente russa. Entrambe le parti comunque miravano
• 1.Balakirev promotore ed ideologo del gruppo, fu lui a fissare i punti e gli ideali della
poetica dei 5, stabilì la necessità di un rinnovamento che si allontanasse dalle influenze
italiane e francesi allora dominanti e fissasse canoni che caratterizzassero la musica
russa.
• 2.Cui ingegnere; fu contraddittorio, nella sua prima opera “Il prigioniero del Caucaso” vi
era chiara intenzione di aderire alle idee nazionalistiche, nelle successive opere vi sono
influenze della scuola francese. Dotato di scarsa drammaticità, preferì il Lied e le
composizioni brevi per pianoforte.
• 3.Borodin medico; riusciva ad esprimere sentimenti ed emozioni con una sola frase
musicale. In ogni sua composizione è presente una profondità espressiva unita a una
grande linearità melodica. Fusostenitore del dilettantismo musicale, uno dei punti del
gruppo; oltre a 3 sinfonie e vari quartetti, compose la famosa opera “Il principe Igor”, la
cui storia risale al 12° secolo, quando la Russia subì un’invasione da parte della tribù
mongola dei Polovesi e il principe Igor fu prigioniero. Il capo dei Polovesi però gli
risparmiò la vita e per conquistarne l’amicizia e convincerlo ad allearsi con lui, radunò
danzatrici, musicisti e schiavi per improvvisare dei festeggiamenti in suo onore e
ammaliarlo con canti e danze. Ma il principe seppe resistere a queste tentazioni e,
riuscendo a fuggire, tornò nella sua patria. Dell’opera sono diventate famosissime in
occidente le danze polovesiane.
• Invece, l’indirizzo occidentale della scuola nazionale russa fu rappresentata da Pëtr Il'ič
Čajkovskij (1840-1893) massima espressione dello spirito e della psicologia della
borghesia russa a favore della cultura occidentale. Compì i studi musicali presso il
Conservatorio di Pietroburgo e fu professore di teoria e armonia al Conservatorio di Mosca.
Nelle sue opere rivive, spesso quasi in forma di confessione, il dramma della sua vita
tormentata, della sua omosessualità, facendo affiorare il sentimento tragico. La sua opera
alterna momenti si raffinatezza ed eleganza, a momenti di trasporto e passione. La bellezza
dei suoi temi sapeva imprimere forte carica emotiva e comunicativa, trasferendo la sua
malinconia nella musica o nei personaggi. Pervase dauna sensibilità estenuata e da una
naturale eleganza, le sue partiture presentano tratti talora distintamenterussi, soprattutto
nelle melodie, talvolta ricavate dalla tradizione popolare o dalla liturgia ortodossa.
Diversamente dai colleghi russi, Cajkovskij studiò la musica occidentale riuscendo a dare
alla sua arte un respiro decisamente internazionale. In questo senso, la sua figura è quella di
artista aperto,capace di assorbire e rielaborare qualsiasi linguaggio e qualsiasi forma
musicale.
Spicca la sua straordinaria sensibilità timbrica, egli seppe enfatizzare le possibilità espressive degli
strumenti tradizionali, in particolare i fiati.La sua produzione è varia, compose opere, tra cui le più
famose “Onegin”, storia di un giovane facoltoso annoiato ed egoista, stringe amicizia con un poeta
e corteggia sua moglie, respingendo la sorella della donna, che invece lo ama; perderà entrambe;
“La dama di picche”, che mostra accenti di intensità macabra e angosciosa; quartetti; poemi
sinfonici, tra cui “Romeo e Giulietta”, “Francesca da Rimini”, “Capriccio italiano”, “Amleto”;
sinfonie, le prime tre sono lavori ancora acerbi, in genere di carattere nazionalistico, le successive si
soffermano su temi più profondi quali il fato, l’angoscia esistenziale e, in particolare la Sesta, la
morte; concerti; ma è famoso soprattutto per i celebri balletti “Il lago dei cigni”, apprezzato solo
dopo la morte; “La bella addormentata”, “Lo Schiaccianoci”, ricco di sentimento magico e fatato,
musiche conosciutissime.
2. SCUOLA CECA fino alla metà dell’800 la musica della Cecoslovacchia era quella viennese; la
sua tradizione popolare, nascosta dalla posizione di scarso rilievo del paese, emerse solo con due
autori:
• Smetana con l’aiuto di Liszt fondò una propria scuola a Praga e compose l’“Ouverture
Trionfale”. Tuttavia egli desiderava che la sua amata terra diventasse la sua fonte
d’ispirazione, che trovò nei vivaci ritmi contadini, sia per le composizioni strumentali che
per le opere teatrali. Egli cercò di elaborare una forma musicale che affondasse le radici
SCUOLA POLACCA dedita soprattutto all’ambito operistico, univa la tradizione folkloristica con
lo stile italiano e francese. Il fondatore è Moniuszko, che non seguiva un unico metodo ma fondeva
metodi diversi tratti da più tradizioni, senza distinzioni razziali.
SCUOLA INGLESE mirava a creare un genere colto locale ispirandosi ai generi stranieri. Tra
i suoi rappresentanti Parry e Standford, ispiratisi al tardoromanticismo tedesco; Elgar e
Delius, sensibili all’influenza dei francesi come si vede dalle loro sinfonie e pezzi per orchestra.
SCUOLA SPAGNOLA in Spagna, dove già c’era una vasta tradizione musicale d’estrazione sia
colta che popolare, si occuparono non di acquistare dignità d’arte ma di rilevare le radici stesse
della tradizione illustre. Così fece il fondatore Pedrell, valorizzando il patrimonio popolare e colto
spagnolo e unendo vecchi e più moderni generi nelle sue opere, cercando di dare un genere
nazionale predefinito alla Spagna. Importante la sua trilogia teatrale, “I Pirenei”.
Verso la fine del secolo in Italia e in Francia vi fu una ripresa della musica strumentale, accantonata
dall’opera. Nacque in Francia l’Ecole de musique religieuse et classique, e società concertistiche
come la Societè National de musique con lo scopo di favorire le esecuzioni di musica sinfonica e
cameristica. La ripresa tradizione strumentale locale fu spinta dell’esempio di Wagner. I musicisti
del periodo Saint-Saens ed il suo allievo Faurè. Le caratteristiche della musica francese di fine ‘800
furono uso sapiente dell’orchestra, conoscenza tecnica elevata, ispirazione all’esotismo e al
folklorismo, eleganza.
In Italia, vista l’imponenza del melodramma, la musica strumentale faticò ad imporsi nuovamente.
Il repertorio concertistico fu arricchito con composizioni che seguivano i modelli romantici e tardo
romantici. Tra gli autori che più si attivarono per ripristinare la musica strumentale in Italia
Sgambati, Martucci, Sinigaglia, che trascurarono l’opera lirica per comporre lavori sinfonici sacri
e da camera.
Man mano che si giunse agli ultimi anni del secolo si assisté ad un processo di disgregazione del
vecchio melodramma per giungere al melodramma verista che, a differenza di quello romantico
dove tutti gli elementi erano omogenei, si presentava più scomposto,caratterizzato da stile canoro
irrequieto, con repentine impennate verso l’acuto; il canto verista voleva rappresentare i forti
sentimenti, attinti dalla vita popolare e dalle passioni quotidiane, abbandonando le fonti di
ispirazione della storia e della leggenda, come sino ad allora accaduto. I maggiori operisti del
periodo, identificati come “Giovine Scuola”, furono:
• Pietro Mascagni fu l’iniziatore del teatro verista con la “Cavalleria rusticana”, dramma
siciliano tratto da Verga, storia di tradimenti e omicidi; ma a dire il vero Mascagni trattò
argomenti di ogni genere, passando dal romantico “Guglielmo Ratcliff”, all’idillio paesano
“Amico Fritz”, all’intellettuale “Le Maschere”, al sapore medievale di “Isabeau”. Il suo
stile si caratterizza per un eccessiva forza espressiva, rappresentata soprattutto dalla voce
del tenore, che dona una forte carica emotiva.
• Ruggero Leoncavallo il suo stile può apparire disorientato e meno sicuro di quello di
Mascagni, come si vede nella sua opera “I Pagliacci”, storia di gelosie e omicidi, dove
si nota che l’intenzione fervida di voler rappresentare i personaggi in modo passionale e
sanguigno, era in realtà bloccata dalla sua natura timida e sensibile.
• Umberto Giordano caratteristici gli elementi dell’intrigo, trame complesse ricche di eventi
e vicende intricate da sciogliere. Tra le sue opere “Andrea Chenier”, storia di un poeta
della rivoluzione francese che finisce ghigliottinato; e il dramma poliziesco “Fedora”.
• Giacomo Puccini visse tra ‘800 e ‘900, non si schierò dalla parte del Verismo né di
nessun’altra tendenza del periodo; fu un compositore a sé, così come la sua musica non
presenta le innovazioni stilistiche dei compositori coevi. Studiò all’istituto musicaledi
Lucca e al Conservatorio di Milano. Si avviò verso il successo con la sua prima opera, “Le
Villi”, che prende spunto dal balletto Giselle, è la storia di un tradimento e del richiamo, da
parte del padre della fanciulla morta per amore, delle Villi, creature spietate vendicatrici
d’amore, per uccidere il traditore in una danza vorticosa, vendicando sua figlia. Puccini
Stravolse i canoni del melodramma individuando un tempo discontinuo, multidirezionale, in
cui è immersa la quotidianità. Il tempo invero non scorre in un’unica direzione, ma è una
catena di eventi frammentari, talvolta protesi verso il passato o il futuro, nei ricordi o nel
La “Tosca”, l’opera più drammatica di Puccini, è ricca di colpi di scena che tengono lo spettatore in
costante tensione, così come la musica si evolve in modo rapido; è la storia drammatica di una
cantante che si innamora di un pittore accusato di tradimento allo Stato Pontificio, per salvarlo dalla
condanna si accorda con il capo della polizia che però la inganna. Il pittore verrà sparato e lei si
suiciderà.
In “Madama Butterfly”, la temporalità si distende nella vana attesa, protratta in tutta l’opera, dello
sposo americano da parte della giapponese che lo ha sposato.Chiude il ciclo delle opere più
importanti di Puccini l’incompiuta “Turandot”, storia dell’omonima principessa, che concederà la
sua mano a chi riuscirà ad indovinare le soluzioni di tre indovinelli da lei proposti, vincerà il
principe Calaf.
Tra fine ‘800 e inizi ‘900 (decadentismo e simbolismo) l’arte, anche la musica, ebbe profonde
trasformazioni, che segnarono la crisi del linguaggio tonale e il superamento delle tradizioni
classico-romantiche. Gli ultimi due decenni del secolo videro una fase nuova nella storia
europea caratterizzata da un consolidamento del capitale economico grazie anche alle grandi
conquiste coloniali. In tal periodo, chiamato belle epoque, si poté assistere al divario tra un’arte
ufficiale e l’inquietudine di una nuova ricerca artistica mossa dall’esigenza di cercare nuovi
linguaggi e modalità espressive.
In seguito alla crisi del sistema tonale vennero proposte varie soluzioni ritorno alla modalità;
adozione di nuove scale di derivazione extrauropea, come quella per toni interi (proposta per primo
da Claude Debussy la scala esatonale, detta anche di Debussy perché ne fece ampio uso, è una
scala di 6 note distanti 1 tono l’una dall’altra), cromatismo atonale rottura dei presupposti della
tonalità, assenza funzioni e pesi armonici, di tensioni obbligate, di accordi privilegiati. Con questa
tecnica il singolo compositore definisce autonomamente le regole per la realizzazione del brano,
dando maggiore importanza all’effetto prodotto dai suoni piuttosto che alla loro appartenenza ad
un assegnato sistema tonale. Poi il dodecafonico, che tendeva a scardinare la tradizionale dualità di
consonanza/dissonanza, derivante dal progressivo allargamento dell’uso della dissonanza nelle
composizioni musicali, che comportò l’infittirsi della trama armonica, con l’impiego di accordi
sempre più densi.
Vi fu in musica un’ importante impronta dell’impressionismo i musicisti amavano rappresentare la
natura, comunicando impressioni, emozioni, sensazioni ad essa legate, in modo momentaneo,
fuggitivo, onirico, irreale. A differenza dei sentimenti duraturi e profondi del romanticismo, le
impressioni erano brevi e indefinite.
La musica francese, che si basava a fine secolo su una stratificazione di stili che si intrecciavano tra
loro (canzone popolare, operetta, opera, musica sinfonica).
Con “Pellèas et Melisande” nacque la prima opera lirica che rompeva con la tradizione del passato,
dove infatti egli usava un linguaggio musicale fluttuante, libero dai vincoli della musica classica
tradizionale; è la storia di una fanciulla, Melisande, che trovata in lacrime nel bosco dal principe
Golaud, ignara del suo passato accetta di seguirlo e di sposarlo, andando ad abitare in un castello
dove dimora anche il fratellastro di Golaud, Pelleas. Con lui la giovane si confida e manifesta la sua
infelicità. Tra i due nasce allora l’amore impossibile che porta alla tragedia per la gelosia di Golaud.
La stessa sensibilità diede origine ai grandi capolavori orchestrali come “La mer”, “Notturni”,
“Iberia”; e alle opere per pianoforte come “Studi”, “Stampe”, “Immagini ePreludi”, “Chiaro di
luna”. Per quanto concerne la melodia,nelle sue composizioni Debussy si mosse con grande libertà,
utilizzando schemi musicali extraeuropei,come la scala pentatonica o esatonale, basate
prevalentemente su modelli di cinque o sei suoni molto diffuse in Oriente. Nelle composizioni di
Debussy non c’è differenza tra suoni dissonanti e consonanti. La supremazia di alcuni suoni sugli
altri non esiste più, poiché ogni nota è uguale all’altra (scardinamento delle regole armoniche).
Inoltre non c’è più un tema principale sulla cui rielaborazione si costruisce la
composizione.Rispetto al sistema tonale che attribuisce ruoli definiti ad ogni grado, i nuovi moduli
utilizzati da Debussy hanno una sintassi libera l’importante è il suono che si crea, non la
struttura.Fu un autore che privilegiò in modo determinante il colore strumentale, sfruttando molto
il timbro degli strumenti orchestrali. Ispirandosi alla tradizione francese, nell’orchestra tendeva ad
isolare le sonorità dei gruppi e degli strumenti solisti. Per la voce, Debussy utilizzò soprattutto un
declamato rigoroso e sillabico. L’inflessione naturale della lingua parlata acquistò toni sommessi e
spogli, come accade in “Pellèas”.Tutte queste tecniche usate da Debussy volevano dare
all’ascoltatore impressione di perdita di continuità, di fugacità del tempo, ma risultarono anche
incomprensibili.
La sua creatività fu spiccata nel ruolo dell’orchestra gli strumenti assunsero grandi capacità
comunicative, come è evidente l’importanza del sassofono ne “Il vecchio castello” e del flauto nei
“Quadri da esposizione”.
Ravel si propose da subito con un stile moderno ed equilibrato, con lo stesso intento di cambiare le
forme classiche di Debussy, ma attraverso un rinnovamento degli elementi della tradizione
(melodia, armonia, ritmo e timbro) di estrema piacevolezza e comprensibilità, a differenza di
Debussy.
Il distacco dall’intimità personale nel comporre le sue opere, trovò connotazioni talvolta ironiche,
come nel “Tempo spagnolo”; talvolta tenere come i brani dedicati ai bambini, di cui ricordiamo
“Mamma oca” o agli animali, di cui ricordiamo “Storia naturale”; talvolta austere, come nel
“Bolero”.
• Paul Dukas compose poche opere visto il suo forte spirito autocritico. Oltre a molte
sonate pianistiche, spicca per la sua unica opera teatrale “Arianna e Barbablu”, gioco
di associazioni con il mito del labirinto, dal nome della donna, Arianna, e il castello di
Barbablu/Minotauro simile ad un labirinto.
Nella musica dei paesi tedeschi l’inizio dello stile moderno si identifica con il “Don Giovanni” di
Richard Strauss e la Prima sinfonia, detta “Titano”, di Mahler.
• Gustav Mahler tedesco, preparatosi al Conservatorio di Vienna, iniziò la sua carriera con
alcuni Lieder, unico genere che coltivò insieme alle Sinfonie. Fu un apprezzato
compositore, tanto da ottenere il ruolo di direttore dell’Opera di corte di Vienna, incise
molto sulla vita musicale della città. Si inserì in ambito artistico grazie al matrimonio con la
figlia di un pittore. Le sue sinfonie appassionate e laboriose nella loro costruzione formale,
con una combinazione di semplici melodie popolari e struggenti temi spirituali, riflettono la
complessità della sua personalità artistica e psicologica.
La sua originalità si comprende dalla Prima Sinfonia, ma è nella Seconda che l’idea di
sinfonia come mondo appare più chiara, e si esplicita del tutto nella Terza, il tema
conduttore sembra essere l’immortalità, vengono citati alcuni testi di Così parlò Zarathustra
di Nietzsche, e poesie da “Il corno magico del fanciullo”, raccolta di Lieder, i cui versi
sono presenti anche nella Quarta. I Lieder mahleriani hanno come protagonisti bambini,
soldati, contadini, disertori; essi tendevano a fondersi con le Sinfonie. Di tono più
drammatico e struggente sono la Quinta, Sesta e Settima, creando immagini lacerate, non
conciliate, così come i Leader del secondo periodo, i “Canti dei bambini morti”. Seguirono
l’Ottava, suo grande successo, dove sembra voler ricomporre ogni lacerazione; e la Nona,
dove è evidente una prosa musicale ad andamento frammentario.
• Richard Strauss tedesco, è con la sua opera “Don Giovanni”, pervasa da un’eccentrica
linea sensuale, che si data l’inizio della musica moderna. La musica straussiana si basa sul
principio della sorpresa, dei colpi di scena, dell’inventiva, della sonorità che vuole
rappresentare la sensualità. Dopo Don Giovanni, iniziò la composizione dei poemi
sinfonici, legati ciascuno ad un’idea poetica e all’intenzione di definire volta per volta un
progetto formale dotato di autonoma coerenza musicale, soprattutto attraverso il rondò e la
forma sonata. Tra i suoi poemi “Morte e trasfigurazione”; “Così parlò Zarathustra”, in cui
Nietzsche è preso come spunto per celebrare l’evolversi dell’umanità fino alla concezione
del superuomo; “Vita d’eroe”, dove vi sono innovazioni, come il suono più violento che
corrisponde ad una scena di battaglia. La sua opera “Salomè”, che suscitò scandalo, è la
storia della nipote di Erode che, sotto istigazione della madre, chiese la decapitazione di
Giovanni Battista; musica con picchi frenetici e rapidi. Tratti di musica portata
all’esasperazione si trovano nell’opera “Elektra”, tratta dalle vicende della guerra di Troia,
per il tema dominante della sete di vendetta. Diversa è “Il cavaliere della rosa”, commedia
ambientata nella Vienna di Maria Teresa, dove si mescolano situazioni amorose e riflessioni
malinconiche sullo scorrere del tempo ed evocazioni di una Vienna d’altri tempi. L’opera
successiva, “Arianna di Nasso”, è una fiaba ricca di simboli, racconta la storia di Arianna
abbandonata da Teseo a Nasso, per questo sconvolta si rifugia in una grotta, da cui esce
all’arrivo del dio Bacco.Seguirono opere che non furono apprezzate nel primo dopoguerra
perché considerate di stile tardo romantico “Daphne”, di clima pastorale; la riflessiva
“Capriccio”; “Metamorphosen”, sul tema della marcia funebre.
• Ferruccio Busoni di origine italiana, è stata una presenza rilevante nella musica tedesca tra
fine ‘800 e inizi ‘900. Famoso soprattutto per le sue doti pianistiche, egli sostenne la musica
come ricerca continuativa verso la novità, l’impiego di nuove tecniche, nuovi strumenti,
mantenendo sempre chiarezza e semplicità. Fu grande ammiratore di Mozart e Bach, da
quest’ultimo prese spunto per realizzare musica di forte carica spirituale. Per Busoni la
spiritualità della musica non deve unirsi alla dimensione passionale, deve sublimarsi in
atmosfere eteree, o tendere a fiabesco, come nelle sue opere “Arlecchino”, satira dei
costumi e delle mode e ritratto ironico del perbenismo, mettendo però in risalto per
contrasto quale dovrebbe essere il giusto comportamento da tenere dinanzi ai falsi problemi;
In Russia, ai tempi delle insurrezioni contro lo zar Nicola II che non seppe fronteggiare i problemi
sociali causati dallo sviluppo industriale, una delle massime figure musicali, che interpretò il
clima di esasperato decadentismo, fu Alexsandr Skrjabin. Diplomatosi al Conservatorio di
Mosca, creò uno stile musicale personale basato sul potenziamento della componente sensuale ed
irrazionale.
Dalla Quarta sonata per pianoforte alla Decima, egli svincolò definitivamente la sonata dalla
struttura in più movimenti fondendo il tutto in un unico movimento.
Interessante è l’uso che Skrjabin fece dei colori, in relazione al pianoforte suonava su un pianoforte
con i tasti colorati di tinte diverse, intrecciando melodie al di fuori del senso comune, lasciandosi
trascinare dai colori e non dalla nota in sé. Così compose il “Prometeo” e “Il poema del fuoco”.
• Sergej Rachmaninov diplomatosi al conservatorio di Mosca, amico di Skrjabin, con i suoi
Quattro concerti per pianoforte, dominati da uno spiccato senso romantico, conquistò la
fama.
Tra i compositori di fine ‘800 e inizi ‘900 è da annoverare anche il ceco Leos Janacek, che prima
della scuola nazionale seppe rompere ogni legame con il modello predominante austro-tedesco per
dedicarsi alla tradizione popolare del paese, senza però aver legami con la scuola popolare, bensì
con la tradizione novecentesca. Nei suoi lavori vi è un progressivo uso di mescolanza del canto
popolare alla lingua parlata, con musica breve ed incisa così come le inflessioni linguistiche. Nel
genere dell’opera diede sfogo alla sua creatività, rappresentando ogni minima sfumatura psicologica
dei personaggi, il tutto avvolto da forti cariche passionali. Temi ricorrenti nelle sue opere sono la
passione sensuale che distrugge l’ordine sociale conducendo ad esiti tragici, come “Jenufa”; la
morte come riscatto e liberazione, come “La volpe astuta”; l’impegno patriottico e sociale; e un
forte pessimismo che fa capire il degrado dell’uomo, come “Da una casa di morti”.
scrisse inoltre sonate per pianoforte, poemi sinfonici, e il suo ultimo capolavoro “Messa
glagolitica”, interpretato non tanto in spirito liturgico, ma profondamente umano, incentrato sul
mistero dell’uomo e della natura.
Gli ultimi anni di fine ‘800 videro una ricerca artistica per rappresentare la perdita di valori e
certezze. Se fino all’800 la storia della musica tracciava le vicende dei generi e le tradizioni e il loro
sviluppo, agli inizi del ‘900, epoca delle avanguardie (espressionismo, futurismo, surrealismo,
correnti con tendenze radicali a rompere con i codici artistici tradizionali e con le convenzioni
borghesi; rifiutando tutti i valori, gli mettevano in discussione il valore e il concetto di arte, che
doveva scuotere e sconvolgere, contribuire a migliorare la vita. La funzione dell’artista eracostruire
una vita “estetica”, dominata dall’arte. Per realizzare ciò le avanguardie fecero dello
sperimentalismo il loro orientamento metodologico: operando in gruppi per abbattere ogni barriera
tra le varie arti) questo processo si bloccò, limitandosi a mostrare la frantumazione di forme, generi
ed avvenimenti musicali, perché si visse il passato in modo problematico. Ciò venne constatato
soprattutto nel teatro musicale. L’opera “Pelleas et Melisande” fu la prima del secolo, ma fu
un’opera a sé, non in grado di fondare una tradizione di cui servirsi, non collocabile all’interno di
un’evoluzione storica, così come nessun altro capolavoro del secolo. Altro elemento di crisi fu
l’assenza di valori morali comuni da cui poteva nascere l’opera, valori che univano il compositore
al pubblico. Dal ‘900 la musica dei teatri e sale apposite iniziò ad avere un ristretto e selezionato
repertorio, vista la difficoltà del rapporto tra ampia parte del pubblico e la musica nuova, come se si
prediligesse la rassicurazione del noto piuttosto che l’inquietante musica contemporanea.
Negli anni della guerra Schönberg, che lavorò all’accademia d’arte di Berlino, perfezionò il suo
stile musicale, proponendo un metodo di composizione musicale chiamato dodecafonico secondo
l’autore, “composizione mediante l’uso di dodici suoni non posti in relazione fra loro”. Il metodo
fu avversato dal pubblico viennese, in quanto si trattava di qualcosa di assolutamente
rivoluzionario per l’epoca, Schönberg giustificava questa sua scelta compositiva affermando che in
realtà non aveva deciso in prima persona di orientarsi verso tale metodo, ma lo aveva spinto una
forza soprannaturale a cui sentiva di dover obbedire.
Il metodo dodecafonico eraun sistema di comporre utilizzando 12 suoni della scala cromatica, la
loro successione poteva presentarsi in 4 forme diverse originale, retrograda (dall’ultima nota alla
prima), inversione (rovescio di un intervallo in direzione opposta, Es. ascendente al posto di
discendente), rovescio del retrogrado. Non si poteva ripetere una nota al di fuori dell’ordine della
serie, ovvero ogni suono poteva essere ripetuto solo dopo l’utilizzo degli altri undici. Tutti i suoni
dovevano essere considerati uguali, dodici, come i gradi cromatici, non sette, come la scala, e ad
essi non doveva essere riconosciuta alcuna relazione gerarchica d’origine tonale.Questa tecnica
diede vita anche al serialismo tecnica compositiva che preordina in successioni stabilite, dette
serie, uno o più parametri musicali (altezza, durata, intensità, timbro). Tra le dodecafoniche, la
Suite op.25 per pianoforte, opera che ha iniziato il metodo,e l’incompiuta opera “Mosè e
Aronne”, la storia biblica di Mosè che mentre si trova sul Sinai, suo fratello Aronne cede alle
pressioni del popolo che vuol tornare all’idolatria consentendo il culto del vitello d’oro. Con
l’avvento del nazismo Schönberg partì in esilio prima a Parigi e dopo negli Stati Uniti, dove,
stabilitosi definitivamente a Los Angeles, fu direttore musicale nell’Università della California. Si
dedicò alla stesura di concerti per violino, per pianoforte, all’Ode a Napoleone, e ad opere
religiose di tipo ebraico come “Un sopravvissuto a Varsavia”, basato su una terribile testimonianza,
“De profundis” e “Salmi moderni”, riflettenti la tormentata fede dell’autore
Altra opera di rilievo fu “Lulu”, contro l’ipocrisia della società borghese, piena di pregiudizi
sessuali, che fa solo del moralismo legato alla religione e che vede il sesso solo come atto
demoniaco. In Lulula carica sensualeè la forza primaria, Lulu è lo strumento del male e del destino
ed è la causa principale delle morti delle persone con cui viene a contatto. La vicenda, rispetto alle
scene drammatiche di Wozzeck, è più lineare, ma tutto è avvolto in un’atmosfera surreale, onirica,
tra morte, ironia e struggenti tenerezze.
• Anton Webern ebbe anch’egli come maestro Schönberg. La sua produzione fu limitata ma
sempre tendente ad una litica purezza e limpidezza; si concentrò sui Lieder. Fondamentale
composizione orchestrale dei suoi primi anni è la “Passacaglia”, aulica e rigorosa e di
suono essenziale, senza eccessive sontuosità; passò poi all’atonalità quando musicò alcune
poesie di George. Scrisse in seguito numerose composizioni puramente strumentali per
orchestra, pianoforte e violoncello, dove volle dare massima espressione ad ogni nota. Il
“Trio d’archi” fu il primo lavoro puramente strumentale con il dodecafonico. Le creazioni
sono ripartire in serie di gruppi, che sono variazioni l’uno dell’altro (Es. il secondo gruppo
è il retrogrado del primo o l’inverso del terzo). Dalla Sinfonia op.21 si delineano
precisamente i caratteri dello stile dodecafonico di Webern concepisce la musica come
pianta originaria (teoria goethiana della natura) dove radici, gambo, foglia sono variazioni
dello stesso pensiero, il nucleo della composizione deve unificare tutti gli aspetti della
stessa. Egli tese a “comporre la serie”, a pensarla cioè come un materiale di partenza che
unificasse compiutamente diversi aspetti della composizione.
Nei primi anni del ‘900 a Parigi nacque l’iniziativa dei Ballets russes, compagnia di balletti fondata
dall’impresario Djagilev, che, con l’intento di creare un’opera d’arte totale, si avvalse dei migliori
artisti del periodo pittori, come Picasso, scenografi, coreografi, come Balanchine, musicisti, come
Debussy, Strauss, Satie, Prokofiev, Milhaud, ma soprattutto Igor Stravinskij (1882-1971). Questi,
compose inizialmente sotto commissione di Djagilev, l’orchestrazione di un paio di brani di Chopin
per “Le Silfidi” e “L’uccello di fuoco”, suo primo grande balletto, la cui trama, ispirata a una fiaba
russa, vede lo scontro tra un orco immortale in grado di pietrificare gli esseri umani, che tiene
prigioniera una principessa, e un uccello di fuoco col potere di sfatare gli incantesimi dell’orco.
Grazie ad una sua piuma sarà possibile liberare la principessa. Molto creative e traenti spunto da
fonti popolari russe furono i balletti “Petruska” e “La sagra della primavera”.
Con il suo balletto parodistico “Pulcinella”, riprendendo temi o atteggiamenti stilistici del passato,
dal barocco a Cajkovskij, Stravinskij abbandonò le tensioni della Sagra di Primavera, ma questo
ritorno all’ordine non è un recupero vitalistico e fiducioso della tradizione, non la ripropone come
fosse cosa viva, al contrario è un’operazione esercitata con amara consapevolezza su stilemi vecchi,
è il ritorno ad un ordine vecchio. Di questo periodo ricordiamo anche il balletto“Apollon
Musagète”, Il suo significato è puramente allegorico: Apollo che ispira alle muse la loro arte.
Gli ultimi anni dell’attività di Stravinskij, che, dopo aver soggiornato a lungo in Europa, si trasferì
negli Stati Uniti, sono caratterizzati dall’inatteso accostamento alle tecniche serialie alla musica
dodecafonica. Ne sono prove “La Cantata”, “I Tre canti di William Shakespeare”, ma soprattutto i
“Threni”; in seguito si concentrò principalmente sulla composizione di lavori d’ispirazione sacra,
come “Abramo e Isacco”, o dedicati ad amici o personalità scomparse, come “Elegia per
Kennedy”.
Stravinskij fu capace di esaltare tutti quegli elementi del discorso musicale che fino al secolo
precedente erano sottovalutati ritmo, che tocca livelli di grande elaborazione, timbro, messo in
costante evidenza, libertà di accostamenti sonori.
Anche nei paesi dell’Est, oltre le scuole nazionali, si sentì il bisogno di riscatto dalle oppressioni
dell’impero asburgico e della Russia zarista e di mutamento sia politico che culturale, aggiornando
la propria cultura aprendosi all’avanguardia, ma allo stesso tempo salvaguardando la propria
tradizione.
• Karol Szymanowski polacco, attratto dalla cultura orientale e da Skrjabin, maturò uno
stile arabesco, di atmosfere sensuali, come nella sua Terza Sinfonia; poi si accostò anche
al folklore del suo paese.
• Bèla Bartòk ungherese, collaborò con Kodàly. Le sue creazioni, nonostante abbiano radici
nella cultura e nel folklore ungherese, non si collocano solo sul piano internazionale ma
rappresentano una grande esperienza creativa e originale.La sua formazione si svolse a
Budapest presso la Reale Accademia di Musica, sotto il segno di una tradizione romantica
dominata dalla figura di Liszt; anche se in seguito il compositore si appassionò
particolarmente a Debussy. Bartòk sviluppò le sue esperienze al pianoforte, componendo
musica originale che unisse la tradizione folkloristica ungherese alle molteplici
innovazioni del 20° secolo. Il canto popolare, nelle sue composizioni, non era solo
d’ispirazione tematica, ma era utile anche per le strutture scalari, ritmiche, l’intensità
espressiva, ora malinconica e sognante, ora allegra e vivace. Le tecniche si inseriscono
nelle sue composizioni, dalle Suite op.10 all’“Allegro barbaro”, ai Quartetti per archi.
Bartòk si dedicò anche al teatro musicale, l’opera “Il castello di Barbablu” e il balletto “Il
principe scolpito nel legno”, lavori in cui è evidente un accentuato simbolismo, sono
incentrati sul conflittuale rapporto uomo/donna. “Il Mandarino miracoloso”, balletto ricco
di invenzioni sceniche che però ebbe problemi di censura legati alla sensualità di alcuni
temi.
Avendo forgiato un proprio stile, questo non subì eccessivi stravolgimenti dall’avanguardia
musicale, sebbene nelle due Sonate per violino e pianoforte degli anni ’20, sono evidenti tratti
stilistici schönberghiani. Altra caratteristica bartòkiana a livello di suono, fu il fatto che egli lo
concepì non come elemento prestabilito ma come sua continua creazione e rigenerazione, sfruttando
molto le possibilità degli strumenti, soprattutto gli archi. Le opere di questo periodo, precedenti il
trasferimento negli Stati Uniti, che avvenne alla fine degli anni ‘30, sono le più ispirate, anche
perché vi si riflette una sensibilità per la costruzione formale e per la ricerca timbrica davvero
inedita, rivoluzionaria. Tra di esse si ricordano il ciclo dei Sei Quartetti per archi, la Musica per
archi, celesta e percussioni e la Sonata per due pianoforti e percussioni.
Verso gli anni ‘30 Bartók abbandonò la composizione pianistica da concerto per dedicarsi a brani
didattici e per dilettanti, soprattutto grazie alla composizione dei brani inclusi nei libri del
“Mikrokosmos”, in cui il compositore partì da brani semplicissimi fino ad arrivare a notevoli
virtuosismi, delineando in maniera progressiva e crescente il suo stile. Nacque poi una serie di
composizioni più mature e più equilibrate, iniziando un progressivo smorzamento delle sonorità più
accese (il periodo neoclassico di Bartók); scrisse numerosi quartetti e sonate, in cui seppe unire la
cultura folkloristica e quella colta.
Anche lo spagnolo Manuel de Falla utilizzò elementi folkloristici per creare un suo stile originale.
Poté perfezionare la sua formazione grazie ad un soggiorno a Parigi vinto, tramite concorso, con
l’opera “La vida breve”. Parigi, all’epoca, era sede di scambi culturali con gli spagnoli, e Falla restò
colpito soprattutto dal modo originale di utilizzare il folklore da parte di Ravel e Debussy.
Alla fine della I guerra mondiale, l’egemonia culturale da Vienna si concentrò a Berlino. Il gusto
per l’espressionismo si affievolì e mutò in una constatazione oggettiva del realismo, del vero. Il
rapporto tra artista e società , cambiato, fece nascere la preoccupazione di una musica che avesse
finalità didattiche.
Altra opera fu “Mattia il pittore”, basata sulla vita del pittore Matthias Grunewald, combina
il neoclassicismo con la musica popolare. Lo stesso Hindemith poi, trasformò parte della
musica di quest’opera in una sinfonia puramente strumentale. A partire da questa, Hindemith
ebbe una crisi artistica e maturò un’approfondita riflessione sul linguaggio armonico che lo
portò a concepire un nuovo sistema, polemicamente alternativo a quello dodecafonico di
Schönberg. I principi di questa teoria, applicati per la prima volta nelle tre Sonate per
pianoforte e nel “Ludus tonalis”, sono basati sul concetto di affinità armonica dei gradi
rispetto alla tonica. L’ultima fase creativa è caratterizzata dalla grande vena inventiva, che lo
portò a numerosi Concerti e Sonate per quasi tutti gli strumenti conosciuti; ricordiamo la
serie di composizioni della “Musica da camera”, ognuno di questi brani è scritto per un
diverso insieme strumentale e presentano tratti stilistici molto innovativi.
• Hanns Eisler collaboratore di Brecht, musicò alcuni suoi testi, tra cui “Galileo” e “La
madre”; seppe scegliere il giusto stile per ogni brano in rapporto alla destinazione, senza
mai cadere nella banalità.
Tutti scelsero l’esilio al momento dell’affermazione del nazismo. Per altri, restare in Germania,
significò chiudersi all’isolamento, è il caso di Hartmann che descrisse la situazione come
un’emigrazione interna.
Chi invece non fu classificato come degenerato fu Carl Orff, autore dei “Carmina Burana”, opera
traente spunto da alcuni testi poetici di varie tematiche, di un manoscritto del 13° secolo.
Negli anni tra le due guerre in Francia si giunse ad un rifiuto di eccessiva raffinatezza e di ogni
residuo di stile decadente, professando un’arte epurata da ogni eccessivo psicologismo e tormento
estetico, di cui si fece portavoce la poliedrica personalità di Jean Cocteau (attore, regista, poeta),
sostenitore di un’estrema semplicità musicale che prese come modello Satie. Attorno a questa nuova
concezione di musica semplice, sostenitrice della quotidianità, accompagnata da spirito ironico ed
umoristico, ruotarono alcuni compositori chiamati Gruppo dei Sei Auric, Durey, Honegger,
Milhaud, Poulenc, Tailleferre.
Collaborarono insieme ad alcuni lavori, ma l’emergere di personalità artistiche individuali crearono
spaccature nel gruppo, portando all’emersione di alcuni componenti.
• Honegger fu il primo a creare il dissidio, con il salmo drammatico “Re Davide”, preferì il
dramma con musica, l’oratorio sceneggiato di argomento biblico o mitologico, come
“Antigone”; e il mistero medievale, come “Giovanna D’Arco”
• Milhaud scrisse più lavori, circa 700. Il suo stile riprende inflessioni della musica
popolare sudamericana; del jazz, come “La creazione del mondo”; della popolare
provenzale, come “Suite provenzale”. Si dedicò anche ad opere ispirate da figure di
eroi storici, come “Cristoforo Colombo”.
• Poulenc rimase più a lungo degli altri fedele allo spirito originario del gruppo. I lavori che
più si allontanarono dal gruppo, “I dialoghi delle Carmelitane”, in cui è rappresentato il
martirio psicologico, poi fisico, di un gruppo di suore ghigliottinate durante la Rivoluzione
francese; e “La voce umana”.
L’Italia del primo dopoguerra fu meno serrata rispetto alla Germania nazista. Si mirava ad una
sprovincializzazione della cultura musicale italiana dal melodramma verista. L’internazionalismo
nell’Italia fu incarnato dalla creazione del Festival di musica contemporanea di Venezia e alla
fondazione della Società Internazionale di Musica Contemporanea, di libera attività. Per esser
degni di un’affermazione a livello internazionale, ci si rifece ai vecchi generi di origine italiana. I
programmi innovatori condivisero invero elementi di ambito naturalistico e ideali modernistici, tra
caratteri spiritualistici e nazionalistici. Oltre ai tanti autori minori, coloro che spiccarono in questo
periodo furono:
• Alfano la sua modernità è evidente nell’opera “Risurrezione”; nelle sue opere, di
raffinata struttura armonica, si notavano caratteristiche del melodismo napoletano.
• Pizzetti le sue opere sono intrise di spirito religioso ispirato alle composizioni di stile
medievale, donando alla musica un senso di sublime superiorità, una presenza carismatica
in cui si identifica ogni dramma umano. La presenza di questa religiosità si trova sia nelle
opere teatrali che da concerto.
• Malipiero rifacendosi al barocco, le sue opere danno l’idea di un mondo passato i cui tratti
vengono evocati in lontananza, trasmettendo non nostalgia, bensì qualcosa di disperato,
cinico, beffardo. Come nelle “Sette canzoni”, “Torneo notturno”, “Ricercari”; segnano
amaramente la precarietà della situazione presente che si dispera contemplando ciò che ha
perso. Contrariamente a Casella che vuole comunicare vitalità, le opere di Malipiero sono
avvolte da un senso di morte e di estinzione.
Questi compositori si ispirarono però a stili, tecniche ed espressività del passato o comunque già in
uso, non introducendo niente di nuovo. Pertanto la musica contemporanea italiana entrò davvero nel
circolo internazionale dell’avanguardia con altri autori, in particolare:
• Goffredo Petrassi Le opere giovanili nacquero sotto il segno del neoclassicismo; seguito
dalla fase del barocco romano con opere quali il “Salmo lX”, “Magnificat” e Quattro inni
sacri dove sono riscontrabili le riflessioni dell’autore sull’arte controriformista romana. La
produzione successiva, a partire dal “Coro di morti” su testo di Leopardi, si distaccò sempre
di più dall’estetica neoclassica, quasi ad evitare di venire ingabbiato in una qualsivoglia
corrente e subirne le limitazioni; Petrassi si incamminò su una strada libera ed autonoma,
nella scelta di materiali tecnici e linguistici, avvicinandosi al filone espressionistico e
atonale, dove la stessa dodecafonia venne considerata uno dei tanti possibili mezzi
espressivi utili ad esplicare il proprio universo sonoro. Questo si nota negli otto Concerti per
orchestra, composti nell’arco di un quarantennio. La sua curiosità intellettuale lo spinse più
volte verso il teatro musicale: compose le opere “Il Cordovano” e “Morte dell’aria”.
La rivoluzione russa portò dei cambiamenti anche a livello musicale. Dagli anni ’20 la ricerca di
soluzioni adatte alla nuova società nata dalla rivoluzione d’ottobre e con la nascita del socialismo, la
cultura subì un duro isolamento, il realismo socialista, chiudendosi in un ristretto nazionalismo ed
evitando contatti con l’esterno e con i generi moderni, tanto che alcuni autori dovettero rielaborare le
loro composizioni e auto criticarsi. Il realismo socialista consisteva soprattutto nell’avere un
atteggiamento comunicativo ottimista e celebrativo e una condanna ai modernismi. Con la morte di
Stalin vi fu un allentamento della censura, ma comunque essa influì sulla produzioni russa, che fu
pressoché separata. Due i compositori più attivi:
Ebbe molto successo anche in campo concertistico, soprattutto con il Terzo concerto per
pianoforte, ma fu tormentato da un dissidio tendenza verso la musica moderna e legami con la
tradizione russa. Per il secondo motivo decise di ritornare in patria, dove veniva sempre accolto
calorosamente, e di aderire al realismo socialista. Le composizioni più proficue del periodo, e del
cambiamento di cultura, furono nel teatro musicale, nei balletti come “Romeo e Giulietta” e
“Cenerentola” e l’opera “Guerra e pace”; mise a disposizione le sue composizioni per il cinema,
collaborando particolarmente con Ejzenstejn. Più difficoltoso fu invece adeguarsi alla censura nelle
composizioni strumentali; subirono duri effetti anche le sue opere teatrali, tra cui “La storia di un
vero uomo”.
Dalla guerra di secessione di fine ‘800 alla I guerra mondiale, la tradizione statunitense era
influenzata da quella romantica. Ma nel corso del 20° secolo vi fu esigenza di ispirarsi ad altre
tradizioni, come quelle folkloristiche, o di sperimentare nuovi linguaggi. Un posto a sé occupa in
quegli anni Ives creò uno stile molto personale unendo tecniche sperimentali e tradizione
dell’America, anticipò alcune tecniche dell’avanguardia, come atonalità, impiego di organici
inusuali. Dedicò alla musica il suo tempo libero. Il suo sperimentalismo non era comunque
accostabile a quello europeo, il linguaggio ivesiano non tendeva a basarsi su strutture formali
astratte, bensì aveva funzioni ludiche o evocava atmosfere naturalistiche. Si conformava comunque
anche alle strutture più tradizionali, come nella “Browing ouverture”, dove si contrapponevano
tempi lenti a ritmi veloci e caotici; nel suo capolavoro Quarta sinfonia, si passava da movimenti
caoticidai ritmi contrastanti, a fughe tradizionali, a movimenti di stile popolare, per imprimere alla
musica forte carica evocativa e spirituale, ma anche per cercare di dare all’uomo risposte ai dubbi
che da sempre lo assillano. Analoga intenzione ebbe Ives nella “Concord sonata”.Per quest’arte
musicale di comunicare messaggi spirituali, molta importanza assunsero le citazioni, filosofiche e
popolari.
Negli anni ’20 anche in America nacquero le premesse per l’avanguardia musicale, che portò ad
apprezzare le dapprima rifiutate composizioni ivesiane. Negli USA assunse rilievo il jazz, con i suoi
vari stili nero, cui massimo esponente fu Armstrong, ricco di carica sensuale; bianco, con
Beiderbecke, molto creativo e capace di grande improvvisazione; per orchestre da ballo, per
intrattenere la buona società. Il genere, simbolo degli USA in quel periodo, nacque ad inizio secolo
dalla contaminazione della musica bianca di generi neri, come i canti spirituali (gospel) e canti di
lavoro, il blues, espressione di solitudine ed emarginazione dei neri, il ragtime, genere sofisticato.
Con il crollo di Wall Street terminò la fusione di jazz e musica colta ed ognuno intraprese strade
differenti, seppur continuando a scambiarsi informazioni. Altro genere diffusosi circa alla metà del
secolo fu il cool jazz, nato dallo stile bebop, tipo di jazz dominante aggressivo e tendente alla
deformazione armonica, melodia e ritmica, con toni di protesta alla guerra. Il cool, più raffinato,
recuperò alcune forme della tradizione colta, i suoi esponenti infatti furono musicisti talentuosi e
raffinati, come il trombettista Davis, il pianista Lewis. Nel corso della metà del secolo il genere
continuò a mutare, assumendo rappresentanza della protesta di emarginazione dei neri, fino a
diventare free jazz, senza schemi tematici e armonici, libero di improvvisare; grandi esponenti
furono i sassofonisti Coleman e Coltrane, il pianista Taylor. Negli anni ‘70 il jazz è stato
contaminato dal rock e dal pop.
Altro genere, oltre al jazz, è stato quello della sperimentazione musicale, cui principali esponenti
furono Antheil, autore del “Balletto meccanico”, con rumori (eliche, campanelli, clacson) misti
alla musica, contribuendo al futurismo musicale; e soprattutto Varèse, di origini francesi,
trasferitosi negli USA perché insofferente all’accademismo contro la musica moderna. La sua
prima opera statunitense non a caso si chiamò “Amerique”, composizione dalle dimensioni
orchestrali vaste, con ampia presenza di aforismi, sonorità violente, presenza di Debussy. Organico
più ristretto e scomparsa degli elementi debussani nell’opera per orchestra sinfonica “Arcana”. Le
opere come “Ecuatorial”, “Density”, e soprattutto “Déserts”, presentano caratteri originali che
aprirono strade nuove alla composizione: la composizione non più limitata ad armonia e melodia
ma si apre a tutta la dimensione spaziale del suono inteso come movimento di masse sonore nello
spazio, come proiezione, intersezione, stratificazione di flussi di suono. Con Varèse anche quel che
era semplice rumore diventava musica, spesso le sue composizioni derivavano infatti da
registrazioni di suoni e rumori.
Con il governo di Roosvelt, dagli anni ’30, a fianco ai compositori che si ispiravano al passato, si
sentì l’esigenza di diffondere la comunicazione artistica a più larghi strati della popolazione. In
questo periodo, Blitzstein di dedicò al teatro didattico e di satira politica, Copland si ispirò ai
motivi popolari.
Altra tendenza, sorta negli anni ’50, fu l’inserimento di inni nelle composizioni sinfoniche ed
orchestrali.
Nel primo ‘900 anche in America Latina, come in molti paesi europei, si volle raggiungere
un’identità culturale che aprisse ad una prospettiva internazionale. Metodi nuovi e di tipo
sperimentali stico furono messi a punto da alcuni compositori.
• Il messicano Chàvez fece ampiamente ricorso alla tradizionedel proprio paese, rievocando
la cultura azteca in un’atmosfera di magica ritualità.
Nel secondo dopoguerra si affermò un atteggiamento polemico nei confronti del gusto neoclassico
degli anni tra le due guerre. Boulez, con la Sonatina per flauto e la Prima sonata per pianoforte,
inaugurò il periodo della neoavanguardia. Nacquero i Corsi estivi di composizione per la Nuova
Musicaa Darmstadt, che rivoluzionarono la musica del 20° secolo; ponevano le basi nel movimento
dello strutturalismo, che considerava l’opera come un insieme organico scomponibile in elementi
e unità, il cui valore funzionale è determinato dall’insieme dei rapporti fra ogni singolo livello
dell’opera e tutti gli altri. A dominare i corsi furono le tecniche di composizione seriale. Uno degli
insegnanti più influenti nei primi anni a Darmstadt fu Messiaen, che nelle sue opere accoglieva
anche tecniche musicali prese a prestito da culture musicali extraeuropee, le quali venivano a fare
parte del suo personale linguaggio compositivo.
Fra gli allievi di Messiaen: Boulez, Stockhausen, Berio, Maderna, Nono,Kagel, Xenakis.
• Olivier Messiaen francese, fu tra i maggiori compositori del dopoguerra. Insegnò per molti
anni analisi musicale al Conservatorio di Parigi. Come compositore è una figura isolata
rispetto al resto, agli altri compositori coevi, con cui aveva in comune solo l’insofferenza
per il neoclassico. Le scelte stilistiche di Messiaen si legano ai suoi studi su diversi aspetti
delle tradizioni musicali occidentali e orientali: canto gregoriano, canto greco e indiano.
Interessante è inoltre il copioso studio sul canto degli uccelli. Rilevante è anche la
componente mistica nelle sue opere, mista agli studi animali. Messiaen divise la sua
produzione in 4 categorie: opere religiose e teologiche basate su testi delle Sacre Scritture,
come “Tre piccole liturgie”; opere di ricerca ritmica, come“Chronochromie”; opere legate
al mito di Tristano e Isotta; opere ispirate al canto degli uccelli, come “Uccelli esotici”, in
cui Messiaen rifiutò di applicare gli standard musicali, era uno stile frammentario, ci fu una
rottura della direzionalità musicale, assenza di prevedibilità (non era possibile capire il
continuo di una nota, ciò che viene dopo il primo accordo).
Nel frattempo a Colonia fu creato il primo studio europeo di musica elettronica, ovvero la
manipolazione del suono prodotto elettronicamente; a Parigi invece nacque il Gruppo di ricerca di
musica concreta, ovvero la registrazione e l’elaborazione dei suoni naturali, tratti dalla realtà
ambientale e da oggetti vari, incidendoli su un supporto magnetico ed elaborandoli attraverso
tecniche varie. La musica propriamente elettronica si serve di suoni prodotti da apparecchiature
quali sintetizzatori, registratori, filtri, mixer. Programmi appropriati consentono inoltre di produrre
musica elettronica anche servendosi del computer. Si possono ottenere in questo modo impasti
timbrici e atmosfere sonore straordinari, non riproducibili con un’orchestra tradizionale. Al di là
degli usi sperimentali, la musica elettronica ebbe largo impiego attualmente nelle colonne sonore
cinematografiche e televisive.
Di fronte alla difficoltà della serialità integrale l’interesse per queste ricerche si fece più ampio,
anche da parte di chi sosteneva serialità e puntillismo. Stockhausen, che intese definire un nuovo
sistema organizzativo dove il procedimento contasse di più dell’opera compiuta, passò alla
composizione per gruppi insieme di più suoni avente una propria caratterizzazione complessiva,
grazie a densità, timbro, dinamica, velocità… Ciò che si percepisce ascoltando un gruppo è diverso
da ciò che darebbe la somma delle singole componenti, inoltre, secondo Stockhausen, i diversi
gruppi in una composizione avevano diverse caratteristiche e struttura, ma erano in rapporto tra loro
in quanto si capivano le proprietà di un gruppo solo confrontandolo con altri.
• John Cage americano, verso la fine dei ’50 divenne noto in Europa. Tra le sue tecniche
sperimentalistiche ricordiamo in particolare il pianoforte preparato, cui suono è deformato
dall’inserimento tra le corde di viti, carte, gomme. Con questa tecnica compose un vasto
ciclo di Sonate e Interludi. Cage negò l’opera d’arte come prodotto finito di cui l’artista di
assume la responsabilità: ogni suono è musica, dunque non c’è per Cage alcuna ragione
per organizzarlo secondo precise intenzioni.
• Kagel argentino, molte sue composizioni contengono specifiche istruzioni teatrali per
l’esecutore, che deve assumere determinate espressioni del volto durante l’esecuzione,
suggerimenti sul modo di entrare in scena, per interagire fisicamente con gli altri esecutori
e con il pubblico. “Staats theater” è il pezzo emblematico di questo suo modo di scrivere
musica, è chiamato balletto per non danzatori ed è molto simile ad un’opera. Kagel ha
scritto anche musica da film.
• Xanakis greco, pensò la musica come agglomerati di materiale da elaborare servendosi
delle probabilità matematiche; suono aspro, ricordiamo i brani per pianoforte
“Metastatis”.
• Ligeti ungherese, padre della micro polifonia tecnica compositiva in cui un gran numero di
esecutori esegue parti separate che non hanno lo scopo di essere percepite individualmente,
come nelle polifonia classica, ma servono a creare effetti spaziali (lo stesso elemento
imitativo si sposta di voce in voce, di strumento in strumento), timbrici o rumori. Per
ottenere effetti di micropolifonia occorre utilizzare l’orchestra o il coro a parti reali (Es. i
primi violini non suonano all’unisono ma ognuno suona una parte diversa). Il brano che più
rispecchia questo modello è “Atmosphères”.
Molti furono gli artisti italiani formatisi a Darmstadt, oltre a Berio e Nono ricordiamo:
• Maderna fu il primo a sperimentare l’unione tra musica elettronica e dal vivo, in una
Musica su due dimensioni per flauto e nastro magnetico.
• Bussotti ispirandosi a Cage, adottò un linguaggio molto libero, legato all’alea e
all'’indeterminazione. Tra le sue composizioni ricordiamo “The Rara requiem”.
• Donatoni rifiutò la musica seriale, per lui ultimo tentativo di ricostruire un linguaggio
comune per la neoavanguardia. La sua musica testimonia il pessimismo di non poter
ricostruire dei valori, di qui la negazione dell’atto compositivo. Ricordiamo “Voci” e
“Duo per Bruno”.
Importanza rilevante, nel ‘900, hanno avuto anche le invenzioni tecnologiche e il sistema di
distribuzione di massa dei prodotti musicali. Le invenzioni si riferiscono essenzialmente alla
registrazione, conservazione e riproduzione delle onde sonore, diffusione a distanza di messaggi
sonori e produzione del suono tramite dispositivi elettrici. Al 1877 risale il fonografo a cilindri di
Edison, che percepiva le variazioni di pressione d’aria trasferendole come musica. Al 1888 risale il
grammofono, che anziché un rullo usava un disco. Pochi anni dopo Marconi mise a punto nuove
tecniche di trasmissione a distanza, attraverso il viaggio aereo delle onde elettromagnetiche. Al
1920 risale la prima stazione radio con programmi stabili, in Pennsylvania. Furono create
successive reti radiofoniche in tutto il mondo, come l’Unione Radiofonica Italiana, utilizzata anche
come propaganda fascista. C’è da aggiungere l’invenzione dell’altoparlante e dell’amplificazione
audio, che permetteva di far suonare assieme strumenti che non potrebbero farlo altrimenti, perché
il suono di alcuni di essi prevaricherebbe completamente gli altri.
Si creò un forte sodalizio tra programmi radio e dischi, di 33 e 45 giri. Altra innovazione, anche per
la musica, fu l’introduzione del sonoro nel cinema (anni ’30), dove furono introdotte molte opere
classiche come accompagnamento o sottofondo, oltre alla musica leggera. Dalla sperimentazione
della musica elettronica (anni ’50) nacquero molti centri di diffusione, come lo Studio di Fonologia
della Rai. Fu necessario registrare il suono su nastro magnetico, per poi poter essere modificata,
favorendo la diffusione della musica leggera e degli strumenti adatti, come la chitarra elettrica. La
stessa modulazione può avvenire con supporto digitale, la differenza con il nastro magnetico è che
in digitale il flusso della corrente elettrica può essere controllato in termini numerici. Primo
esempio di questa musica è stata la “Illiac Suite” di Hiller, quartetto eseguito dal computer. Al fine
di comporre il suono in modo dettagliato e minuzioso come l’uomo non avrebbe potuto, e di
organizzare strutture sonore libere dai limiti tecnici degli strumenti tradizionali, furono creati e
perfezionati strumenti basati su tecniche digitali, come il cd, che si basa su una registrazione
numerica e non grafica delle onde sonore. Si è diffuso anche l’uso della simulazione di voci ed
orchestra. I procedimenti di conservazione del sonoro non hanno abolito la musica dal vivo ma
hanno favorito nuove funzioni d’ascolto, domestico, didattico, per compagnia. Iniziò a crearsi un
pubblico potenziale più vasto e meno acculturato, molti impararono a suonare qualche strumento.
Queste nuove possibilità crearono l’occasione per nuovi veicoli espressivi che la nuova musica
popolare non ebbe alcun problema ad adottare, creando, tra il 1920 fino al 1980 una grande fioritura
di nuovi stili e generi quali jazz, blues, rock, soul, pop, funky, metal. Prima della I guerra iniziò uno
scambio di esperienze tra tradizione europea ed americana, la prima con l’uso frequente della
musica in situazioni sociali, la seconda per la sua rete organizzativa e commerciale molto efficiente,
che aveva sede a New York, nella Tin Pan Alley. Cominciò a diffondersi il jazz americano in
Europa, questa a sua volta diffuse lo swing che mescolava aspetti della tradizione americana con al
propria. Analogo sviluppo ebbero le danze, con l’esplosione del charleston.
Negli anni ’60, dopo un calo del genere, ebbe una ripresa e si diffuse in Europa e soprattutto in
Inghilterra, grazie ai Beatles. In Europa, USA e GB il rock, la cui tradizione si suddivise in
differenti stili e tendenze, dagli anni ’60 tese a generalizzarsi diventando una sorta di linguaggio
internazionale capace di adattarsi ad ogni occasione. Anche per i movimenti giovanili dei ’68. Nel
1969 si tenne a Woodstock il primo di una serie di grandi raduni giovanili, cui presero parte
personaggi influenti come Jimmy Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, personaggi distrutti dalla
droga e dallo stress. Davanti alla lascivia e agli atteggiamenti sopra le righe dei personaggi e degli
amanti del genere, l’organizzazione internazionale dello spettacolo decise di porre fine agli
estremismi.
Nonostante le novità, la tradizione colta non ha dato grandi segni di cedimento ma ha continuato per
la sua strada. I concerti dal vivo sono sempre praticati con gran successo, nonostante l’introduzione
di dischi, cd, e mezzi di comunicazione di massa, grazie al quale c’è stato un recupero e diffusione
di brani antichi e di tradizione colta. Questo ha generato però una situazione ambigua in quanto, da
un lato si favorisce l’ampliamento della cultura musicale al giorno d’oggi, dall’altro si rischia che
alle composizioni più illustri non sia data l’importanza che meritano.