Sei sulla pagina 1di 68

MARIO PERSANO

Le désir rend
possible
l’impossible

1
MARIO PERSANO

Le désir rend possible


l’impossible
Università degli Studi di Bari
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Programma di Pedagogia Generale e Sociale

Prof. Mario Persano

Tema del corso: L’emergenza educativa è la sfida decisiva


per l’uomo e per la società.

La ricerca della bellezza come cammino educativo


alla scoperta di sé, della realtà e dell’altro.

Obiettivi: il corso si propone di presentare il processo


educativo “come introduzione alla realtà totale” per la
realizzazione della persona nel contesto umano e sociale.

In particolare:
1) “L’emergenza educativa nel tempo della smemoratezza e
della insensatezza”: il valore insostituibile dell’esperienza.
2) La crisi dell’educazione.
3) La profondità della crisi: scomposizione dell’umano
nella “cultura dell’insensatezza e nella crisi dell’io”.
4) Il recupero della radice umana della capacità educativa:
la relazione educativa.
5) L’educazione ha come oggetto la persona.
6) Autorità e Tradizione.
7) L’emergenza educativa nella famiglia, nella scuola, nella
società con rifermento ai mass-media e allo sport.
Testi consigliati:

Mario Persano - Le désir rend possible l’impossible


Joyprint Editore (Bari, 2020)

Mario Persano - La ricerca della Bellezza


Levante Editori (Bari, 2017)

Mario Persano - Il senso della Ricerca in educazione


tra orientamenti di fondo, teorizzazioni e indagini
empiriche
Levante Editori (Bari, 2007)

Mario Persano - Autorità e tradizione nel processo


educativo: il contributo di Luigi Giussani
Levante Editori (Bari, 2005)
Presentazione della “ricerca della
Bellezza” come cammino educativo
alla scoperta di sé, della realtà e dell’altro

“È imparagonabile l’entusiasmo che nasce


dalla bellezza rispetto all’entusiasmo
che nasce dalla dedizione”
(L. Giussani)

“Quello che deve rimanere sono le scintille:


devono essere acchiappate come lucciole
nelle mani di un bambino” (L.Giussani)

Il cammino educativo alla scoperta della Bellezza è un


metodo ed una strada per me e per tanti amici coinvolti in
questa avventura piena di stupore e di meraviglia per ciò
che la realtà manifesta e segnala.
Introdotti all’incontro con la bellezza attraverso
esperienze significative (incontri,esperienze, avvenimenti
e volti che destano stupore) siamo spinti così a
domandare le ragioni di quella bellezza, la verità che
la bellezza manifesta. “Vivi intensamente il reale!”
(L. Giussani).
7
Affezionati alla realtà perché appassionati alla verità.
Apprendere attraverso ciò che è bello e dunque vero è
uno strumento potentissimo per introdurre ciascuno ad
una conoscenza più profonda e aperta al Mistero, a ciò
che appare insondabile.
La bellezza interessa ciascuno di noi per quanto amore
verso l’Essere, la realtà intesa nella sua natura più profonda,
urge dentro. La bellezza ci interessa per questo amore
verso l’Essere fonte inesauribile della passione per la verità
e dell’indomita curiosità per tutto ciò che dinanzi a noi si
palesa nella sua attrattiva.

La ricerca della Bellezza

• è un “cammino dello sguardo”, è un educare attenzione


e interesse, sensibilità ed emozione alla scoperta del vero
di cui ogni cosa è manifestazione e segno. Amare la verità
in prima persona è suscitare nei ragazzi e nei giovani la
ricerca del vero e del bello imparando a rapportarsi e a
misurare tutto con la propria umanità. È il paragone
costante di ogni cosa che si compie con l’esigenza di felicità
del proprio cuore, con l’esigenza di verità che costituisce
ciascuno.

• È educazione alla vitalità, ad essere sempre vivi e anche


talvolta inquieti, mai completamente soddisfatti delle
certezze conquistate e dei traguardi acquisiti. È originata

8
dalla passione per la realtà e per tutta la sua inesauribile
bellezza che ieri come oggi non è mai troppo facile o scontato
riconoscere e toccare con mano. Questa passione per la realtà
è il fondamento più importante del cammino educativo, è il
punto di partenza per riconoscere e confrontarsi con i propri
desideri e le proprie aspirazioni. È contagiare intelligenze,
cuori ed emozioni indirizzandoli all’amore e all’accoglienza
della realtà nella sua ampiezza di espressione e manifestazione.
Insegnare a capire ed amare il reale è anche contrastare chi
intende o pratica l’educazione come schermo protettivo,
spesso mistificante.
Il contatto diretto con la realtà è sempre faticoso, assai più
semplice è nasconderla sotto il velo di mille e sottili sofismi.

• È un processo educativo che conferma e svolge


l’uomo secondo il suo assetto originario, dell’originale
che è in noi e che in ognuno si flette in modo diverso
anche se sostanzialmente il cuore è sempre lo stesso: il
cuore dell’uomo è sempre e dovunque esigenza di verità,
di bellezza, di bontà, di giustizia e di felicità. La prima
preoccupazione di chi educa è mettere in evidenza il cuore
dell’uomo così come immediatamente si pone in rapporto
con tutta l’ampiezza della realtà. Questo imbattersi
con la realtà di ogni giorno risveglia e richiama tutte le
potenzialità presenti nell’animo umano che costituiscono
la sua naturale dimensione elementare. In ogni “io” umano
in azione, nel suo vivo e attivo presente, il livello di quegli

9
inestirpabili desideri, di quelle irriducibili esigenze hanno
l’ampiezza e la profondità del rapporto con l’infinito. Essi
nascono dal pozzo profondo da cui trae origine il nostro
“io” e nel proprio dinamismo tendono dalla superficie
dell’apparente alla profondità dell’origine, dell’essere.

Il riconoscimento della vita come mistero è origine


della tensione morale. “La cosa più bella con cui possiamo
entrare in contatto è il mistero. È la sorgente di tutta la vera
arte e di tutta la vera scienza” (A. Einstein). La definizione
dell’uomo e del suo destino appartiene al Mistero. Esso
indica qualcosa di incommensurabile con noi, che non
vuol dire semplicemente inaccessibile e irraggiungibile
perché per molti aspetti, essendo fatti a sua immagine,
ne abbiamo riverbero ed eco. Ma la modalità e la misura
decisiva con cui si realizza non ci appartiene. Per aderirvi
siamo chiamati a uscire da noi stessi e oltrepassare le
circostanze in cui siamo portati a percepirlo. È il rischio di
accettare il richiamo e la sfida del Mistero che ci sollecita
innanzitutto a riconoscerci fatti da lui. È questo cammino
che l’educatore e l’educando sono chiamati a percorrere
insieme ed è nel percorso comune definito dalla meta che
si riconosce la strada da percorrere.

L’educatore, il maestro non deve inventarsi nulla di


nuovo, né deve applicare una tecnica posticcia o peggio
manipolatoria. Il maestro non è chi sa tutto, ma chi

10
considera la verità più di quello che sa. Egli è testimone
di un modo di conoscere che desidera e applica per sé. Il
suo compito è quello di introdurre il giovane alla totalità
della realtà in un’intensità e adesione tali che i desideri e
le domande possano emergere, così come Dante dichiara:
“Ciascun confusamente un ben apprende,
nel qual si quieti l’animo e disira,
perché di giugner lui ciascun contende”
(Purgatorio XVII, 127-129)

Il cuore dell’uomo è fatto in questo modo, intuisce


l’esistenza di un bene, della felicità e insegue la sua
soddisfazione: la ricerca dell’uomo è sempre una domanda,
è un essere tutto teso,“contende” con tutti i fattori della
sua vita, implicando anche l’aspetto dell’amicizia e della
compagnia umana. L’uomo è tutto teso a raggiungere la
felicità.
Così si esprime Luigi Giussani sul ruolo del maestro:
“Un maestro impedisce che la drammaticità sia arrestata in
te e stabilisce una lotta dentro di te e l’ambiente, in nome
del Destino e, perciò, in forza di una drammaticità che egli
per primo ha scoperto e vive. Il maestro sempre commuove e
sommuove: muove le parti di cui sei composto e una la getta
contro l’altra, e tu capisci che le cose non sono a posto. Allora
chiedi: “Ma come si fa a mettere le cose a posto?” E il maestro
risponde: “Non lo so - perché questa è l’ultima risposta
che si può dare - lo sa soltanto Dio, lo sa soltanto Cristo!”

11
Perciò mettiamoci in coda, seguiamolo, guardiamolo, stiamo
attenti a lui e cerchiamo di mettere a posto le cose come siamo
capaci”.
La guida, l’educatore è un uomo che ha vissuto e vive la
compagnia per un modo di affezione nuova che nasce tra
le persone: in essa domina su qualsiasi altro sentimento la
stima dell’altro, la disponibilità ad aiutare, un’amorosità
disposta a soccorrere l’altro, a condividere sempre il
bisogno, nella percezione fisica del tempo e dello spazio
come via al destino. Perciò mostra ad altri come tutto
ciò nasce in se stesso, dal momento che l’educazione è
innanzitutto comunicazione di sè.

“La ricerca della Bellezza” come cammino educativo


alla scoperta di sé, della realtà e dell’altro è uno strumento
per tutti gli adolescenti e i giovani alla loro prima occasione
di confronto con la realtà dei propri desideri, con la propria
passione, con ciò che permette loro di essere vivi e desti: è un
aiuto per ciascuno a cogliere in questo lavoro di assunzione
della propria personalità il compito più affascinante che ci
si possa dare. Nell’epoca in cui Famiglia, Scuola, Chiesa,
Partiti politici sembrano aver perso prestigio, fascino e
autorità, sostituiti dalla televisione, da Internet, dai centri
commerciali, Insegnanti, Genitori ed Educatori, pur nelle
difficoltà e nella loro solitudine, sono chiamati a considerare
quell’esperienza fondamentale della consapevolezza dei
propri desideri, della propria passione e di tutto ciò che

12
rende viva e reattiva la propria vita. I malesseri più evidenti
degli adolescenti rispecchiano questa mancanza o difficoltà
di trasmissione di esperienza. Essi sono spinti al consumo
frenetico di oggetti, ad ogni possibile divertimento, a non
aver inibizioni, a riempire il vuoto continuamente e a non
rapportarsi con la noia e il dolore. Ma non c’è nessuno che si
introduce tra questo imperativo sociale e il giovane, lasciato
solo e in balìa di se stesso e delle sue aspirazioni più profonde.

“Capitava di sentirsi scossi da un brivido. E veniva quasi


spontaneo avvertire o pensare: ecco, costui mi sta davvero
costringendo ad alzare lo sguardo verso lo splendore della verità”.
Questo è l’augurio per ogni insegnante che vuol essere un
educatore entusiasta ed autorevole.
“La tua voce ha potuto intenerirmi,
la tua presenza trattenermi
e il tuo rispetto commuovermi.
Chi sei?
Tu, solo tu, hai destato
l’ammirazione dei miei occhi,
la meraviglia del mio udito.
Ogni volta che ti guardo
mi provochi nuovo stupore
e quanto più ti guardo
più desidero guardarti”.
(Pedro Calderon de la Barca).

13
14
L’emergenza educativa nel tempo
della smemoratezza e della insensatezza:
il valore insostituibile dell’esperienza

L’educazione è tutta protesa a ridestare tutto ciò che


è nel cuore di ciascuno provocando la libertà personale
in un coinvolgimento di compagnia e di amicizia,
richiamando continuamente le esigenze e le evidenze
originali (esigenza di verità, di bellezza, di giustizia,
di felicità) e paragonandole con tutto ciò che accade.
“Quando qualcuno mi chiedeva: che cosa vuoi fare? Lo avevo
molto chiaro, volevo essere felice” diceva da piccolo Enzo
Piccinini, mio amico scomparso da venti anni, chirurgo
oncologo, maestro nel campo della cura, dell’assistenza e
dell’educazione.
Tutto ciò che nei secoli passati e nell’attualità presente
il genio umano crea dalla poesia alla musica e all’arte,
espressioni di una Bellezza che s’impone, è occasione di
interesse e di paragone, cioè di conoscenza. Si tratta di una
conoscenza che si sviluppa in un percorso comune nella
profondità e nell’ampiezza della realtà fino alla scoperta
di ciò che la costituisce. È questo rapporto inevitabile
e insostituibile con la realtà che interpella la ragione
15
dell’uomo come un invito a scoprire il significato di tutto
ciò in cui si imbatte.
Ricordo come da piccolo mi hanno insegnato a non
aver paura di avventurarmi in quello che ancora non
conoscevo, chiedendomi continuamente le ragioni di ciò
che mi accingevo a compiere e confrontandomi con chi si
presentava con autorevolezza e fiducia. Essere introdotti
nella realtà esige perciò la presenza e la compagnia di
qualcuno che esercita la propria ragione come esigenza
inesauribile di totalità, in grado di ridestare il desiderio
di ciò che è bello, vero e grande. Oggi paricolarmente c’è
necessità di chi usa la ragione, impegna il suo desiderio,
l’affezione e la speranza “vivendo intensamente il reale”
(L. Giussani).
Nella problematica odierna la necessità di un’educazione
permanente e determinante per lo sviluppo della
persona viene definita “emergenza educativa” (la CEI
parla di “sfida educativa” nel suo rapporto-proposta
sull’educazione del 2010). Si tratta dunque di una
emergenza già presente nella società italiana a partire dagli
anni Cinquanta e provata dal fatto che per tanto tempo
si è pensato che fosse sufficiente insegnare ai ragazzi la
matematica o la lingua italiana senza suggerire un metodo
per introdursi nella quotidianeità, senza un criterio per
giudicare e affrontare la realtà, generando così una terribile
indifferenza e un’incapacità a interessarsi a qualunque
cosa.

16
“Ci vuole l’educazione e ci vogliono i maestri capaci
di insegnare. Ma è difficile avere l’una e gli altri se non
c’è un patrimonio di valori e di saperi, diciamo pure una
tradizione, ritenuta degna di essere tramandata (CEI, “La
sfida educativa”, editori Laterza, Bari 2009).
Chi è impegnato nella scuola come l’insegnante che al
mattino entra in classe col desiderio di rendere partecipi
i ragazzi della sua competenza così da aiutarli a guardare
e ad affrontare la realtà in modo diverso e con uno
sguardo positivo sulle persone e sulle cose, sa benissimo
che la lezione non sarà mai sufficiente per accendere il
loro interesse. C’è bisogno di una presenza carica di
attrattiva, un’espressione di umanità coinvolgente tanto
da illuminare la possibilità di un cammino comune
nella realizzazione di sé e nella ricerca del significato
della realtà. È indispensabile suscitare l’interesse e la
volontà di compiere un passo, di seguire una strada nella
consapevolezza di non sentirsi soli.
Giovani e adulti non possono allontanare da sé lo
scetticismo e l’indifferenza che inesorabilmente sfociano
in quel nichilismo che divora ogni traccia di umanità e
di desiderio se l’insegnamento è lontano dalla realtà e
dalla condizione personale. Ma possono interessarsi e
immedesimarsi nel momento in cui si imbattono in chi
documenta una pienezza di umanità desiderabile per se
stessi. Accade così un’inesorabile sfida alla ragione e alla
posizione umana precostituita tale da provocare una

17
reazione, qualunque essa sia, sia che si aderisca sia che si
rifiuti.
L’educazione non può esaurirsi nella spiegazione del
reale, ma deve essere uno strumento efficace per entrare in
esso. Se vogliamo introdurre i giovani alla scoperta della
realtà possiamo farlo solo se noi per primi compiamo il
percorso che proponiamo agli altri: se i giovani scorgono
nel nostro volto di adulti la letizia e la certezza di
un’avventura umana più bella e attraente, testimoniata dal
nostro modo di vivere, allora potranno interessarsi a quello
che diciamo e forse potrà sorgere in loro il desiderio di
seguirci immedesimandosi nelle ragioni per cui viviamo.
L’educazione è una testimonianza di un bene che si
vive. Dal momento che la realtà non è sufficentemente
riconosciuta ed abbracciata se non viene affermato il
suo significato, la prima responsabilità dell’educatore
è rispondere non in maniera astratta ma con azioni alla
domanda di bene, di senso, di ricerca di significato e
dunque di felicità.
Perciò il compito educativo si può riassumere con una
parola che esprime anche il metodo: la testimonianza.
Essa è tale perchè si comunica da persona a persona e si
può vivere anche del riverbero che provoca nelle persone
che ne sono colpite.

Una considerazione ed una sottolineatura sull’esperienza.


Per riconoscere le caratteristiche della nostra condizione

18
umana “dobbiamo prima di tutto aprirci a noi stessi, cioè
accorgersi vivamente delle nostre esperienze, guardare con
simpatia l’umano che è in noi, dobbiamo prendere in consi-
derazione quello che veramente siamo. Considerare vuol dire
prendere sul serio quello che proviamo, sorprenderne gli aspetti,
cercarne tutto il significato” (L. Giussani).
Considerare qualcosa o qualcuno vuol dire farne esperien-
za. Per L. Giussani il significato e la modalità di applicazione
dell’esperienza è il fondamento dell’educazione e della cre-
scita personale nella scoperta di sé, della realtà e dell’altro.
“L’esperienza è ciò che ci fa crescere nella dimensione naturale
di cui siamo fatti”, afferma L. Giussani nel “Il cammino al
vero è un’esperienza” (SEI, Torino 1995) e approfondisce:
“Spesso non consideriamo l’esperienza nella sua completezza e
nella sua genuinità, ma a partire da espressioni parziali come
frequentemente accade nel campo affettivo, negli innamoramen-
ti o nei sogni. Ciò che caratterizza l’esperienza è il capire
ciò che accade, comprenderne il senso: essa dunque implica
l’intelligenza del senso delle cose. Il senso di una cosa si
scopre nella sua connessione con il resto del mondo, perciò
fare esperienza di un qualcosa vuol dire “scoprire a che
cosa serve per il mondo”.
Fare esperienza è dunque accorgersi dei due aspetti fonda-
mentali dell’uomo, la capacità di comprendere e la capacità
di amare: ciò che caratterizza l’esperienza è comprendere e
aderire a ciò che accade. Ancora L. Giussani: “Spesso con-
fondiamo l’esperienza con dei pregiudizi o degli schemi magari

19
inconsapevolmente assimilati dall’ambiente. Invece di aprirci in
quell’atteggiamento di attesa, di attenzione sincera, di dipen-
denza che profondamente l’esperienza suggerisce ed esige, spesso
imponiamo all’esperienza categorie e spiegazioni che la bloccano
e la angustiano presumendo di risolverla”. Perciò “l’esperienza
è il metodo fondamentale attraverso cui la natura favorisce lo
sviluppo della coscienza e la crescita della persona”.
Facendo esperienza di un avvenimento, di ciò che acca-
de e che provoca meraviglia, cogliendone tutti gli aspetti e
paragonandola con il proprio cuore e la propria mente si
cresce nella consapevolezza di sé. L’esperienza autentica è
un aderire e un far proprio ciò che viene indicato attraverso
la partecipazione e il coinvolgimento di mente e cuore per
comprenderne il significato e il valore. Per poter crescere c’è
bisogno di essere provocato da qualcuno o da qualcosa che
attrae e desta stupore.
Una vera e autentica esperienza nell’incontro con avveni-
menti significativi o con persone autorevoli allarga l’orizzonte
della mente e del cuore, domanda il significato di ciò che
accade, apre a ciò che è più grande, al riconoscimento del
Mistero che racchiude il senso, l’origine e il significato di
ogni cosa.
“È ragionevole chi sottomette la propria razionalità all’e-
sperienza” (J. Guitton) dal momento che l’esperienza è
l’emergere del reale perciò la ragione deve saper leggere
l’esperienza e non viceversa, altrimenti crea un pregiudizio.
La realtà si rende evidente nell’esperienza perchè essa è

20
il “luogo dove la realtà emerge in un determinato volto, se-
condo un determinato aspetto, secondo una sua determinata
flessione” (L. Giussani).
Perciò è indispensabile considerare come punto di
partenza l’esperienza per conoscere noi stessi e la realtà,
liberando la nostra mente dal condizionamento delle im-
magini, dagli schemi e dalle riduzioni a cui siamo sottopo-
sti, influenzati dall’esterno, dalla mentalità di tutti o delle
nostre convenienze immediate.
Il cammino al vero diventa dunque un’esperienza
solo se attiviamo il paragone consapevole tra quello che
proviamo e le esigenze che ci costituiscono.

21
Sono presentati alcuni suggerimenti per affrontare
l’emergenza educativa, senza pretesa accademica,
per favorire la ripresa e lo sviluppo di temi come
la consapevolezza di sè e della realtà, la libertà e
responsabilità delle proprie scelte insieme alla centralità
della persona e alla funzione insostituibile dell’esperienza,
essenziali per un autentica educazione.

23
Suggerimenti per un’educazione
possibile: l’emergenza educativa
è la sfida decisiva e più urgente
per l’uomo e per la società

Introduzione
“Il cammino educativo non è un interesse all’altro per
un proprio progetto, ma è una comunione di umanità
nella quale abbiamo la consapevolezza del destino: per
questo ci muoviamo con attenzione capillare alla realtà
dell’altro”. (L. Giussani)

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, le si fornirebbe


di un’arma contro la rassegnazione, la paura, l’omertà”
(Peppino Impastato)

“Il processo educativo è un cammino dello sguardo: lo sguardo


rafforza infatti lo stupore e con lo sguardo afferriamo ciò che
per sua natura è evidente: educare il cuore dell’uomo, la
condizione più profonda e autentica della persona”.
(dalla “Ricerca della Bellezza” di M. Persano)

25
L’educazione, “introduzione alla realtà totale”
(L. Giussani) è un processo umano, globale e originario
in cui entrano in gioco e sono determinanti le strutture
fondamentali della personalità umana:
- la relazionalità, naturale costituzione relazionale dell’uomo
- il desiderio di amore e di felicità, fondamento originale
della natura umana
- la consapevolezza e la maturazione a comprendere e a
valutare
- la libertà nel suo rapporto insostituibile con la
responsabilità (da respondeo, rispondere e orientare la
propria vita secondo un riferimento ideale e concreto
allo stesso tempo)
- la credibilità e l’autorevolezza di chi ha il compito di
educare.

In particolare oggi “c’è bisogno dell’educazione e di


maestri capaci di insegnare. Ma è difficile essere gli uni e gli
altri se non c’è un patrimonio di valori e di saperi, cioè di
una tradizione ritenuta degna di essere tramandata”
(da “La sfida educativa” editori Laterza, Bari 2009 pag.
XIV).

26
La crisi dell’educazione

Nella coscienza condivisa sembra smarrita non solo la


pratica educativa (o del compito educativo) bensì l’idea
stessa di educazione.
È in crisi l’esperienza dell’educare alla vita e con essa
l’interesse personale all’educare e a farsi educare, essendo
smarrite:
• la chiave interpretativa della realtà: “alla radice della
crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita”,
incapacità di investire in un progetto futuro, insieme
o singolarmente, che rende vana la relazione tra
l’educazione e la possibilità della comunicazione e della
trasmissione della vita;
• la motivazione essenziale: ritrovare il baricentro
dell’esperienza educativa, il senso dell’essere umano e
la sua presenza nel mondo.

Il fondamento dell’esperienza educativa è nella necessità


di una visione antropologica ed essenziale dell’avvenimento
educativo, che abbia il suo fondamento e il suo sviluppo
in una concezione della persona e dell’esperienza
umana. È difficile realizzare un processo educativo se
non si considera la natura propria dell’uomo, in una
comprensione più profonda dell’avvenimento umano a
partire da una antropologia incentrata sulla costituzione
27
relazionale dell’uomo, così da permettergli di riconoscere
il fine e la motivazione per cui vale la pena impegnarsi.

È emergenza educativa
• perché i rapporti tra le generazioni sono diventati più
incerti e problematici soprattutto nella trasmissione e
condivisione dei modelli di comportamento e di vita
• perché le possibilità di un’autentica formazione della
persona sono diventate precarie per la difficoltà di
mettere in relazione costruttiva le componenti
essenziali dello sviluppo della personalità:
- la consapevolezza di sé e della realtà (fondamento
dell’identità personale e del rapporto con la realtà)
- la libertà e la responsabilità delle proprie scelte (fondamento
della possibilità di determinazione e di progettualità).
È emergenza educativa sia per la mancanza di relazione
e di comunicazione che si manifesta tra i soggetti
dell’educazione e sia per la necessità di soddisfare e
realizzare quella parte indispensabile dell’uomo che è la
sua dimensione naturale originaria:
- il bisogno di amore e la sua corrispondenza affettiva
(capacità di generare)
- il bisogno di conoscenza nelle sue dimensioni di comprendere
e valutare (capacità di giudizio)

28
- la libertà personale e la dimensione autorevole dell’educatore
(capacità di responsabilità).

È dunque impellente la sfida educativa contro il “senso


della deriva” che si avverte nella vita quotidiana per il
crescente degrado di relazioni qualificate e per un diffuso
e inquietante desiderio di fuga dalla realtà: “lasciati a loro
stessi, gli uomini sono destinati a cadere vittime dei propri
desideri senza fine” (E. Durkheim).

C’è innanzitutto bisogno di ripristinare il legame di


relazione, di confronto, dialogo e di comunicazione
tra generazioni.

29
La profondità della crisi

L’evidente crisi dell’educazione è determinata innanzitutto


nella mancanza di fiducia nella vita poichè è
profondamente unita e conseguenziale la relazione tra la
crisi dell’educazione e la trasmissione della vita.

a) La grande dimenticanza della nostra epoca è aver


smarrito la consapevolezza che la vita si conserva solo
trasmettendosi attraverso una comunicazione di gene-
razione e tra generazioni, secondo le seguenti modalità
di trasmissione:
- simbolica, con segni e gesti attraenti e significativi (lo
spontaneismo e la mancanza di controllo o di regole
rendono privi di valore simbolico)
- psicologica, con i processi tipici dell’età evolutiva ed
adolescenziale
- naturale, considerando l’esperienza elementare, la
dimensione naturale umana che comprende desideri e
domande, attesa e compimento di felicità, di amore, di
giustizia e di pace
- spirituale, attraverso lo sviluppo del senso religioso
comune ad ogni uomo, essenziale per la realizzazione
dell’identità e coscienza personale e dunque della
responsabilità.

30
b) La ripresa educativa deve realizzarsi come comuni-
cazione tra generazioni in una società in cui prevale il
fenomeno del relativismo “che sottrae la luce della verità e
conduce ogni persona a dubitare della bontà della sua stessa
vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del
suo impegno a costruire con gli altri qualcosa di comune”
(Benedetto XVI). Le conseguenze inevitabili e diffuse della
mentalità relativista dominante nella vita personale si
manifestano come
- insoddisfazione
- senso di vuoto esistenziale
- sradicamento dei legami e degli affetti
- fragilità personale o senso di incapacità
- precarietà delle relazioni
- mancanza di autostima fino all’odio di sè.

c) Il mal di vivere o malessere dell’uomo contemporaneo,


patologie comuni della nostra società, sono alla base
• “del calo di desiderio e della consapevolezza
di impotenza” nei confronti della trasmissione
generazionale di se stesso e dunque di incapacità
di farsi tradizione, di proporsi come un mondo di
esperienza possibile da cui incominciare a valutare
e considerare il mondo. È evidente da parte di tanti
genitori ed educatori la precarietà educativa e formativa
soprattutto in riferimento al nascere, crescere e
decrescere, fasi determinanti della condizione umana

31
• della crisi generale della famiglia, della sua concezione
ideale e della sua tenuta, le cui cause sono:
- la denatalità, mancanza di fiducia nella vita e di capacità
della sua trasmissione
- la marginalizzazione sociale dell’impegno formativo
scolastico, universitario e professionale
- l’individualismo che sottrae alla responsabilità per la vita
civile
- le difficoltà ad affrontare con serietà e responsabilità la
malattia, la vecchiaia, la morte, momenti inevitabili
della vita, insieme alle prove e agli ostacoli quotidiani.

L’odierna crisi dell’educazione manifesta una mancanza


diffusa di ripresa e di rinnovamento della nostra civiltà,
come perdita della speranza e perciò di scarsa volontà di
investire in termini educativi per realizzare un futuro
capace di accogliere, valorizzare e sviluppare tutto ciò che
è risorsa umana.

d) In particolare la condizione giovanile, segnata da un


“disagio culturale perciò esistenziale” (U. Galimberti),
risente maggiormente del “deserto di insensatezza”
avvertito nell’esistenza contemporanea, per cui “il
vivere non è privo di senso per qualche grave causa di
sofferenza, bensì sofferente perché privo di senso”, in
un’atmosfera culturale e una condizione interiore evidenti
e riconosciuti da tutti.

32
Senso vuol dire significato e direzione, capacità di dare
un nome alle proprie esperienze ed esigenze, azioni e
relazioni, in un ordine più vasto che orienta il progetto
del vivere ed aiuta la valutazione dell’agire, attraverso le
seguenti condizioni fondamentali:
• provenienza da….. origine: da dove veniamo
• appartenenza a...…identità: chi siamo
• indirizzato a…...…destino: dove andiamo.
Ammettere un senso delle cose che ci circondano e di
ciò che facciamo vuol dire riconoscere un orizzonte più
grande entro cui si formano ipotesi, in cui si instaurano
confronti e anche conflitti, ma con cui si è in riferimento
e in comunicazione.
In questa prospettiva le funzioni dell’autorità e della
tradizione sono parte integrante della comunicazione
educativa e attraverso la loro riconosciuta o smarrita
influenza la libertà si ritrova in relazione consapevole e
attiva e può ricercare e ricostruire l’identità personale e la
capacità di responsabilità.

e) Le conseguenze del “deserto di insensatezza” che


accomuna tanti si manifestano
• come debolezza della funzione dell’autorità e della
tradizione per cui viene a mancare il sostegno di un
senso critico e di un’appartenenza più grande in cui si
è generati

33
• come prevalenza della cultura tecnologica che
produce mezzi ma non dà scopi, propone possibilità
innumerevoli ma nessun criterio di scelta.
La tecnologia è considerata senza limiti dal momento che
tutto è illimitatamente manipolabile dalle Scienze.
Gli strumenti tecnologici tendono a determinare e a
manipolare particolarmente
- la realtà esterna, il mondo
- il proprio corpo e la propria psiche
- la trasmissione della vita e la morte
- le scelte e le relazioni, tutte realizzabili e tutte revocabili.
Senza la capacità di un senso critico e di riconoscimento
dell’appartenenza per la propria crescita personale il
giovane sperimenta l’inesperienza (esperienza è ciò che
fa crescere) e conseguentemente un senso di incertezza
per la costante pressione sulla persona della complessità
del mondo, dell’asprezza della dura competitività e della
sua impietosa richiesta di prestazione, della mancanza
di riferimenti ideali e di compagnia alla propria vita.
f ) L’esistenza di ciascuno si presenta divisa tra “sogno di
potenza” e “desiderio di rassicurazione”
e conseguentemente tra
- realtà di rischio e di insicurezza
- libertà personale e determinismo sociale (moda e
conformismo)
- narcisismo individuale e omologazione di gruppo o di massa.

34
Abbandonata a sè stessa la persona è in una condizione
di smarrimento, di solitudine profonda, di segreta
depressione, di sofferenza che non assume oggi il
modello contestatario della trasgressione e del conflitto
perché non c’è più norma da trasgredire e un nemico con
cui confliggere, bensì il modello:
- della sovrastima di sé e del successo narcisistico
- della condizione di depressione da cui la rinuncia a vivere in
prima persona.

La mancanza di senso diviene la condizione esistenziale


- sia come normalità e addirittura come occasione propizia
- sia come irriducibile estraneità al mondo
atteggiamenti opposti ma che possono convivere con lo
stesso soggetto e divenire complementari e compagni di
un’intera esistenza.

In ogni caso l’insensatezza dominante produce le


seguenti conseguenze patologiche:
- cinismo carrierista e conformismo gregario,
- desiderio di appropriazione rapace e violenza gratuita,
- rifugio in mondi allucinati
atteggiamenti in cui si manifesta un risentimento contro
se stessi o contro altri per una realtà che si presenta buia
e muta, sempre indifferente.

35
Scomposizione dell’umano
nella “cultura dell’insensatezza e nella crisi dell’ io”

1. Nella dilagante cultura dell’insensatezza per la


mancanza di senso e di ideale l’inevitabile conseguenza
è la separazione tra
- intelligenza e affettività
- razionalità calcolante e vissuto emotivo.
Si tratta di una frattura che si presenta in modo diversificato
ma che ormai caratterizza diffusamente l’esperienza
comune.

Alcune considerazioni:
• Il progresso e l’influenza sociale delle Scienze e della
Tecnologia progressivamente le ha rese paradigma
della razionalità tendente a rinchiudere tutto ciò che
non appartiene ad essa in una dimensione a-razionale
o irrazionale: il mondo degli affetti diviene
contrapposto a quello della razionalità.

• L’opposizione tra razionale e affettivo viene rafforzato


dal fatto che l’intero sistema di vita occidentale ha
reso queste dimensioni complementari, nel senso
che pur opposti si sostengono e si confermano nella
loro parzialità offrendo a chi ha adeguati strumenti di
potere l’occasione di gestire mente e cuore della gente:
36
all’organizzazione del lavoro frutto di impegno e
responsabilità si accompagna l’industria dell’evasione,
all’asettico mondo scientifico e tecnologico
si contrappone il mondo delle passioni e del
narcisismo.

• Molte situazioni manifestano questa condizione:


l’organizzazione tecnologica della vita mortifica e
disattende l’attesa affettiva della gente, ma, a sua
volta, il desiderio di ciascuno piega a sè la potenza
tecnologica che diviene il deus ex machina di tutti i
desideri (così appaiono ad esempio le biotecnologie
nell’immaginario collettivo come possibilità di
realizzare tutto ciò che si desidera). Conseguentemente
l’esistenza lavorativa è vissuta come realtà opaca,
oppressiva e senza gusto, mentre la vita affettiva è
concepita come un mondo raffinato senza regola ma
gratificante oppure come erotismo volgare nella forma
dello sfogo compensatorio e del commercio di massa.

2. La razionalità è concepita come un “freddo potere


analitico e organizzatore”, mentre l’affettività (a livello
emotivo intesa come sentire o sentirsi) è avvertita come la
“relazione calda con gli altri e con il mondo”, al di fuori
dell’orizzonte della ragione.
Questo vissuto dirige l’intelligenza verso l’oggettività
esteriore e la gestione della vita, ma arida e disinteressata

37
rispetto all’esperienza vissuta e alle questioni di senso.
L’affettività si riduce alla reattività emozionale, estranea
alla vita razionale, perciò spontaneista ed incontrollata e
sempre più povera di valore simbolico (prevalenza della
anaffettività).
Si perde così l’unità della persona (il centro unitario
della personalità) in grado di camminare verso la propria
maturità con senso di responsabilità.
Si avverte la mancanza dell’esperienza di una
razionalità affettiva e un’affettività ragionevole, il cui
vissuto sia sin dall’inizio unitario e perciò costruttivo
di una personalità equilibrata.
Le stranezze di alcuni atteggiamenti giovanili sono
conseguenza di una richiesta insoddisfatta, a volte tacita,
di una esistenza dove sensibilità e intelligenza, affetto e
giudizio, cuore e mente non perseguono lo stesso cammino.

3. Già nei primi anni di vita la mente del bambino


è invasa dalle forme analitiche e frammentarie delle
pratiche informatiche e la sua esperienza emotiva è
eccitata e sovraccaricata da un volume spropositato di
sollecitazioni immaginative, di sensazioni eccessive e di
impressioni forti.
Ne consegue che ad una superficiale “intelligenza
connettiva” si giustappone col tempo un “analfabetismo
affettivo”: si cresce capaci di tecnologia e informatica
e si fa fatica a distinguere ciò che si ama, ciò a cui si
appartiene e ciò per cui si vive.
38
Prima ancora che il bambino abbia compiuto il
suo personale e iniziale cammino di costruzione del
suo spazio interiore, in cui dialogano il capire e il
sentire e incomincia a strutturarsi lo spazio riflessivo, i
lati della sua personalità sono già divaricati e messi in
contrapposizione, creando così una diffusa confusione
della propria identità.
Le conseguenze in ambito familiare, scolastico e
lavorativo si riconoscono nella scarsa capacità di attenzione,
di precisione e di applicazione e conseguentemente nella
mancanza del gusto dell’apprendimento e delle cose ben
fatte, della sinergia di interesse e di riflessione e della
scarsa capacità di ascolto e di giudizio ponderato.
Ma ciò non significa che siano assenti un desiderio
di relazioni costruttive, un’esigenza più o meno consa-
pevole di educazione e le risorse umane disponibili
all’impegno.
Il contesto culturale odierno pregiudica la
possibilità stessa dell’educazione dal momento che
pregiudica l’unità della persona, sia dell’educando che
dell’educatore.

4. Le idee oggi più diffuse sull’educazione sono conformi


al contesto culturale esistente, nel presupposto comune
che l’educazione deve servire a vivere nel “proprio mondo”,
cioè ad adattarvisi massimizzando le opportunità piuttosto
che costruire un soggetto autenticamente umano.

39
Modelli educativi diffusi che riflettono il contesto
culturale esistente a conferma della scissione antropologica:

a) Il primo modello generale insiste sulla


divaricazione tra educazione e formazione a
favore dell’acquisizione di conoscenze, competenze,
abilità, coerenti con l’assetto tecnologico della
società. Si trasferiscono in ambito educativo, spe-
cialmente scolastico, contenuti e competenze del
modello efficientista e aziendalista all’insegna di un
criterio di razionalizzazione, con rigorosi protocolli
di programmazione e di misurazione quantitativa,
in cui dominano enciclopedismo, proceduralismo e
metodologismo che esprimono il primato della quantità
ed equivalenza di valore di ogni nozione, incentivo
al disinteresse per i contenuti e all’incremento del
relativismo ideologico.
La razionalità tecnica, paradigma di riferimento, diviene
garanzia di oggettività, di efficienza e di neutralità
valoriale prescindendo da criteri antropologici troppo
impegnativi.
Perciò l’azione educativa si risolve prevalentemente
in trasmissione di informazioni e di competenze e
in socializzazione culturale.

b) Il secondo modello educativo generale a conferma


della scissione antropologica valorizza invece la
spontaneità in prospettiva antiautoritaria, con-
40
trastando in tal modo l’idea di educazione come
trasmissione di modi di comportamento, di valori e
di tradizione e proponendo l’autoeducazione con al
centro le qualità del soggetto, la sua espressività e la
sua creatività (spontaneismo soggettivo).

Questi due orientamenti generali riproducono la sepa-


razione e la complementarietà dell’oggettivismo razionale
(razionalità senza partecipazione emotiva) e del sogget-
tivismo emotivo (affettività senza considerazione razionale)
determinando una forte riduzione della identità soggettiva
e del significato del suo cammino educativo, all’insegna
della scissione dell’intelligenza dal cuore, della ragione
dagli affetti, del singolo dai contesti di appartenenza
comunitaria e di senso.
“L’educazione è più della somma delle tante cose che
possono abitarla. Più di una mera istruzione ricevuta,
assimilata, restituita in opere e saper fare; più dell’imparare;
più dell’addestramento...” (Duccio Demetrio), più di
spontaneità e di creatività, perchè più di tutte queste
cose è colui che ha bisogno di educazione. Perciò
più dell’istruzione ricevuta, assimilata e riconsegnata
all’insegnante, più dell’imparare e dimostrare di aver
imparato, l’attenzione prioritaria è per colui che necessita
di educazione e per chi ha il compito di educare.
Questi modelli educativi generali non sono suffi-
cienti ad affrontare il disagio giovanile spesso non
adeguatamente considerato, ma solo confermato.
41
La crisi del nostro passaggio d’epoca è tale che per
educare non basta l’invocazione del senso, l’evocazione
della persona, l’appello ai valori. Nella situazione di crisi
radicale del senso bisogna tornare alla radice comune della
capacità educativa: c’è bisogno di un’autentica azione
educativa che, nella condizione purtroppo diffusa di
mancanza di senso, è necessario renderlo presente
pur facendo i conti con l’asprezza delle sue negazioni
nella realtà quotidiana dove dominano insensatezza e
scontentezza.

42
Il recupero della radice umana
della capacità educativa

Nella situazione di crisi radicale di senso diventa


urgente tornare alla radice umana della capacità educativa
attraverso un forte impegno globale, intellettuale,
pratico ed esistenziale. È in gioco la riscoperta e
la valorizzazione pratica di ciò che è umanamente
elementare e semplice (che si esprime come esperienza
elementare: tutti gli avvenimenti della propria umanità e
personalità hanno come fondamento la natura originale
dell’uomo, quel complesso di esigenze ed evidenze con
cui ognuno è proiettato nel confronto con tutta la realtà.
È costitutiva della natura umana e si esprime come
esigenza di felicità, di verità, di giustizia, come la scintilla
che muove in azione l’uomo in tutte le sue espressioni e
dinamiche).
Essa è il punto di riferimento per una rinnovata
esperienza dell’umano e per essere propositivi, costruttivi
e solidali nel difficile contesto odierno.
Le tappe da percorrere possono essere due:

a) Dai valori alla relazione generativa.


• La presenza e la trasmissione dei valori come linea
43
guida dell’agire umano è particolarmente significativa,
ma bisogna tener presente due premesse:
- nella nostra società l’attrattiva dei valori è
inevitabilmente fragile: se pur riconosciuti, sono
sprovvisti di attrattiva e di riferimenti concreti e
visibili e dunque poco praticabili
- se astrattamente percepiti come evidentemente accade,
sono incapaci di muovere l’esistenza e di promuovere
nuove esperienze.

Quando si interrompe la trasmissione viva tra


generazioni i valori non bastano da soli a suggerire la
loro continuazione nell’esperienza. Non si riconosce
più la loro presenza ed efficacia nella continuità da una
generazione all’altra perchè non sono più incidenti nella
condizione reale del mondo e della vita. Percepire che
qualcosa conta davvero significa immediatamente darne
seguito. Ma se non si avverte più il modo efficace della
continuazione significa che non ha nessuna aderenza con
l’esperienza reale del mondo e della vita. Voler continuare,
eventualmente anche contestare significherebbe che ha
ancora valore, perchè contestare è ancora una modalità di
impegno e di partecipazione. Come è distante da questa
mentalità ciò che Dante dice riguardo i valori: “Quella
cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonde...”.
Abbiamo assistito invece inermi, a volte indifferenti,
al passaggio dalla fase della contestazione degli anni
Sessanta/Ottanta all’indifferenza e al parallelismo
44
generazionale dei mondi vitali separati per età nel
contesto sociale odierno.

• Ciò che dà vita e vigore a quanto vale (valore) è


dunque ciò cui esso mira, cioè l’esperienza che se ne
può fare: la pertinenza alla vita è ciò che dà rilievo
ai valori per cui hanno senso per l’esperienza che
rendono possibile e per la realizzazione di una
umanità dotata di unità e consistenza interna, ricca
dell’eredità di un passato (memoria) e dell’apertura a
un futuro (speranza).

• Per far proprio un patrimonio di valori non basta


volerlo: bisogna esservi introdotti da chi già vive
ed è in grado di trasmetterli. In questo contesto
un patrimonio di valori ha bisogno di una funzione
paterna, una buona autorità che accompagni al senso
vivibile delle cose. La capacità di fare esperienza è
originaria, ma ha bisogno di essere attivata: l’uomo
non è in grado di fare esperienza da solo, ma deve
essere in certo qual modo generato all’esperienza:
solo l’esperienza suscita esperienza e educa l’uomo
alla capacità di compierla. Non c’è nulla che possa
sostituire la forza che un’esperienza ha di comunicarsi
e di attivare altri in grado di vivere a loro volta la
propria: soltanto un’esperienza entusiasmante e
attraente può suscitare la capacità di altrettanto
esperienza.
45
• Il bambino impara a vivere dal genitore, il piccolo
guardando l’adulto, l’amico nella compagnia degli
amici. È necessaria una relazione accogliente in cui
si è accompagnati e attivati sia nella vita affettiva
relazionale e sia nella vita intellettuale come capacità
di ascolto e comprensione, di interpretazione e di
giudizio. La chiave interpretativa della relazione
educativa è rifarsi a questo dinamismo umano
elementare e insostituibile che può far rinascere
l’interesse vitale per essa. In altre parole per recuperare
il senso dell’educare bisogna partire dall’evidenza
quotidiana che manifesta come per l’essere umano non
sono sufficienti la crescita biologica, un adattamento
psicologico e una protezione sociale, ma ha
innanzitutto bisogno di relazioni che lo risveglino
alla coscienza di se stesso, che lo avviino alla vita
culturale, morale e spirituale introducendolo nel
mondo e abilitandolo a compiere esperienze sensate,
cioè nel riconoscimento di ciò per cui vale la pena
vivere, per quale ragione si vive.
L’educazione è indispensabile alla maturazione
dell’identità umana, non come riferimento astratto a
valori né come trasmissione di comportamenti ma deve
riappropriarsi della capacità di compiere esperienze
sensate, in cui i valori trovano la loro traduzione concreta.
L’uomo ha bisogno di essere generato nella sua
umanità, nell’espressione e nella manifestazione di sè.
Al centro della dinamica educativa c’è la dimensione
46
generativa umana che è genesi e legame, relazione e
riconoscimento, trasmissione e tradizione, respon-
sabilità e fedeltà, interessamento e cura (tutto
questo è compreso nell’autentica idea antropologica di
educazione).

b) Dalla relazione all’educazione


Nessuno può darsi la vita e nessuno può attribuirsi da
solo l’identità, così come nessuno è all’origine di sé stesso
e può diventare adulto da solo.
Ciò che più caratterizza l’uomo si trasmette non per
via biologica ma per via di relazioni qualificate, ambito
indispensabile dell’iniziativa educativa come presa di
coscienza e di consegna della propria vita.
Il dono iniziale dell’esistenza ha bisogno di essere
affidato a chi sia in grado di accoglierlo e di farlo
crescere perché per l’uomo vivere è essenzialmente e
costantemente crescere.
La vita consegnata alla nascita chiede di essere affidata
a chi sia in grado di proseguirne la profonda logica di
novità e di accoglienza. Nascere è inizio e novità, educare
è aprire l’esistenza al rapporto con la realtà per un nuovo
inizio, “la vita procede da inizio a inizio”, senza l’inganno
di ritenere che conservare la vita significa attirare tutto a
sé e imporla contro tutti.
L’educazione riguarda la nascita dell’uomo e i suoi più
elementari e profondi interrogativi che accompagnano
“l’enigma del venire al mondo”, le domande fonda-
47
mentali e determinanti la vita dell’uomo, il significato
dell’esistenza e della realtà, tutte esigenze che sono sul
fondo della coscienza umana e che ritmano le pulsioni
del cuore come interrogativi emergenti anche se a volte
inespressi, ma sempre in attesa di risposta.
La cultura post-moderna rappresenta l’esistenza con la
metafora del gioco: “non si può né si deve insegnare dove si
è diretti, ma solo vivere nella condizione di chi non è diretto
da nessuna parte”. Si nasce bisognosi di accoglienza, di
affidamento e si cresce grazie alla cura e al riconoscimento
di una appartenenza: l’identità umana ha bisogno di
essere generata nella libertà e nell’amore.

Alla cultura relativista, a volte nichilista, si desidera


sottolineare:
- che il nascere è direzionato e l’esistenza è consegnata
a relazioni sensate, l’appartenenza ad un legame
affettivo è personale e costitutiva, essere figli è un
dono e una promessa che proietta sul mondo la
luce di un’attesa di un significato più grande

- che vi è un nesso strettissimo tra generazione ed


educazione dal momento che la generazione è la
condizione primaria delle relazioni umane.

L’educazione è l’agire con cui i genitori per primi


rendono ragione al figlio della promessa di felicità e di
benessere che gli hanno fatto mettendolo al mondo. Al
48
contrario là dove la generazione non continua nell’atto
educativo si smentisce: il mettere al mondo coincide
drammaticamente con un gesto di abbandono.
Non è questa la vera questione che sta alla base del
problema educativo contemporaneo?
L’educazione ha bisogno alla sua base di un’esperienza
elementare di positività, di relazioni semplici e buone, in
cui sia tangibile la stima per l’uomo, la compassione per
il suo cammino e il suo travaglio, la speranza forte nelle
sue risorse, dunque una relazione di fiducia creativa.
Prendersi cura, proprio dell’educatore e del genitore,
non nasce e non è giustificato da un senso di insufficienza
cui provvedere o da un vuoto conoscitivo da riempire,
nè da un senso di esuberanza senza direzione da lasciar
esprimere.
L’accoglienza che si esercita nella relazione educativa
avviene per un senso di sovrabbondanza di significato e di
stima dell’esistenza per cui si può affermare che l’esistenza
è cosa buona: le relazioni educative autentiche sono
indelebili e indimenticabili per tutta la vita (cfr. la
canzone “La cura” di Franco Battiato).

49
L’educazione ha come oggetto la persona

1. Il soggetto che è possibile generare nella relazione


educativa è quello ritenuto dotato di una “consistenza
interiore”, quindi di una capacità relazionale che la
grande tradizione culturale dell’occidente ha chiamato
persona: essa è il punto estremo della crisi e della
ripresa educativa contemporanea.
L’educazione, nel senso della relazione educativa,
necessita di qualcuno da generare che non si limiti a qualche
profitto o incremento esteriore, ma abbia attraverso la
relazione educativa una via di accesso a sé stesso e tramite
altri la possibilità di diventare se stesso.
“Diventa ciò che sei” è il manifesto educativo tipico
della tradizione umanistica che indica la possibilità
di educare se stesso rapportandosi ad una misura più
grande, ad un ulteriore spazio significativo: ciò che già
sono si rapporta ad un orizzonte più grande che superandomi
continuamente apre dall’interno la mia umanità alla sua
migliore verità.
Invece per la gran parte della cultura postmoderna il
detto tipico è: “Sii ciò che sei”, cioè sono ciò che sono,
senza legami, ciò che mi sento ora essere, ciò di cui faccio
esperienza ora: ‘I am what I am’, come da una pubblicità
ricorrente.
50
Nei confronti di un soggetto così concepito e così
vissuto un’iniziativa educativa è possibile ma solo in
senso ridotto.
Avviene secondo i modelli già indicati di formazione
della competenza o di espressione della spontaneità
oppure secondo quelle idee di educazione settoriale a
valori socialmente condivisi (educazione alla legalità,
all’ambiente, alla comunicazione sociale, alla tolleranza,
alla cittadinanza, all’interculturalità), sicuramente
rilevanti, ma che, isolate da un contesto educativo più
fondamentale o usate in modo sostitutivo di questo,
possono costituire altrettante forme di frammentazione
e di “morte civile” dell’educazione.
Se non c’è un soggetto-persona considerato nella
sua totalità come protagonista della vicenda educativa
rimane solo un soggetto-operativo che può ricevere solo
un perfezionamento o un completamento operativo in
cui non è in gioco la propria identità in una crescita
globale.
L’educazione in senso forte invece ha come contenuto
un soggetto libero, dotato di preziose risorse e
ancora indeterminato, ma non ancora autosufficiente e
ambivalente, aperto al bene e al male, capace di crescita
ma esposto ai rischi dell’inibizione e della regressione. In
questa prospettiva ha rilievo la formazione operativa
(conoscenze, competenze, abilità) ma si tratta solo di una
componente importante che non rappresenta il cuore del
processo educativo.
51
L’educazione è un concreto e complesso esercizio
di umanità, una sintesi in via di costituzione che ha
come centro il soggetto-persona capace di totalità e
quindi di grandi narrazioni.
Alla base di un grande racconto c’è l’idea che l’uomo
si caratterizza per uno sguardo su di sé e sull’altro, sul
mondo e sulla storia nella ricerca del significato capace di
abbracciare tutta la realtà per attribuirle un senso.
Lo sguardo dell’uomo non è anzitutto analitico e per
segmenti, ma sintetico e per scenari complessivi, per
orizzonti comprensivi, ultimamente riferiti a un senso
che abbraccia tutto e che giunge sino alla questione
del mistero di Dio. Tipica della cultura postmoderna
prevalente è, invece, la sottrazione di credito ai “grandi
racconti”, cioè alle narrazioni delle grandi tradizioni
culturali, religiose, morali o politiche, che hanno
proposto sensi unitari dell’esistenza, del mondo e della
storia. Non riconoscere nell’uomo questa apertura
significa in qualche modo abolirlo, ricondurlo a un vivere
parcellizzato, rompendo in sostanza con tutta la grande
e multiforme tradizione della cultura d’Occidente e
d’Oriente.

Un’autentica relazione educativa si stabilisce tra


soggetti personali dove è necessaria l’apertura di
intelligenza e desiderio, della mente e del cuore
umani, un’apertura che ponga intelligenza e desiderio
insieme.
52
L’intelligenza che non è semplicemente una capacità
di analisi e di sintesi è data per riconoscere la realtà e
la ricerca del suo significato attraverso l’esercizio del
giudizio di verità e di falsità, di bontà e di malignità.
Il desiderio che non è semplicemente espressione di
impulsi o voglie compie come aspirazione alla vita buona
e come speranza della sua pienezza, la felicità.
La relazione educativa è possibile tra uomini che
si riconoscono impegnati con la grande questione
della ricerca della verità e dunque della domanda
di felicità, condizione in cui si apre l’interesse ad una
relazione autentica e globale in cui è in gioco il divenire
più se stessi, più capaci di verità e di bene, più sensibili
all’autentica realizzazione di sè.
In questa ampiezza di orizzonte si radica la libertà che
non è condizionata né negata dal senso del vero, del bene
o da un fine ultimo che rende felice l’esistenza, ma che
al contrario trova il suo spazio nell’apertura individuale
secondo la vastità dell’intelligenza e del desiderio.
La libertà sorge sulla gratuità di ognuno di
noi (siamo al mondo gratuitamente e senza merito)
perchè generati senza costrizione e con amore. Essa
si sviluppa in un cammino di ricerca dell’intelligenza e
del desiderio, per cui è insieme scelta e responsabilità,
e l’educazione a sua volta si snoda come un percorso di
libertà impegnata rischiosamente a suscitare altra libertà
e nuova responsabilità.

53
Nella realtà concreta del soggetto dell’educazione è
compresa oggi particolarmente quella componente del
suo essere persona in cui si rivela il suo strutturale essere
in relazione: l’identità-differenza sessuale.
Una crescita armonica dell’identità personale, nelle
sue pieghe affettive, intellettuali e spirituali, non può
che intrecciarsi con la propria specifica configurazione
sessuale, con l’essere determinato dalla natura come
uomo e come donna.
La connotazione sessuale è costitutiva e strutturante
la personalità della donna e dell’uomo, che possiedono
con essa anche una differente percezione del mondo,
l’una più protesa a potenziare i luoghi della creatività e
del pensiero intuitivo, l’altro più disposto a utilizzare gli
strumenti della razionalità argomentativa e produttiva.
Una certa cultura esalta oggi la differenza ma pratica
e promuove l’indifferenza. Guarda senza distinzione
l’universo giovanile, appiattendo l’intero ventaglio
dei desideri secondo logiche omologanti e neutre (la
moda unisex e i comportamenti standardizzati), omologa
l’omosessualità come modello relazionale, fa del genere
una scelta a prescindere dal dato della differenza sessuale,
usa volentieri nello spettacolo e nella pubblicità l’allusione
all’umano androgino.
Oppure quando fa riferimento alla differenza sessuale
la esaspera e la oggettivizza al massimo, come maschio o
come femmina contrapposti.
È un cultura che mentre elogia la differenza la teme.
54
Questa mentalità dominante impoverisce la
percezione del valore simbolico della differenza sessuale
sia come paradigma essenziale della relazione, fondata sul
dispiegamento della differenza e non sulla sua riduzione,
sia come testimone della fecondità della differenza e della
sua capacità di produrre novità reale.

Ciò che deve accadere nella relazione educativa che


elimina l’estraneità ma non si riduce all’omologazione
e all’assimilazione è favorire la nascita di identità
diversificate e originali. L’educazione alla differenza
sessuale è perciò fondamentale per rispettare e tener
desto il riferimento al paradigma costitutivo umano
della differenza capace di relazione e novità.
All’irriducibile dato naturale, l’essere venuti al mondo
come maschio e come femmina, va riconosciuta in
famiglia, a scuola, nella comunicazione sociale la sua
densa irradiazione simbolica nel percorso di crescita
della singola identità personale, paradigma universale
della differenza in cui è costituita l’umanità.

2. Quale educazione?
La sostanza dell’educare non è una tecnica per
produrre qualcosa in qualcuno, ma un agire per attivare
la capacità di azione di altri, un’agire generatore che
suscita attivamente l’identità personale attraverso una
relazione coinvolgente e comunicativa.

55
Due osservazioni:
• L’insegnamento, dal momento che nessuno può
apprendere tutto da sè ma esige di essere istruito
nell’apprendere e nel ricevere un’essenziale e iniziale
patrimonio culturale, è considerato non come sapere
che si trasferisce da una persona all’altra ma va
insegnato, offerto e proposto in modo da far-segno
all’intelligenza di chi ha da apprendere. Questa è la
funzione dell’insegnante che non assiste semplicemente
la spontaneità dell’allievo e neppure trasferisce le sue
competenze come se fosse un contenitore, ma propone
un metodo e dispone così l’intelligenza al suo atto
insostituibile di comprensione e di rielaborazione
critica.
• L’intero processo evolutivo, e dunque generativo
dell’intera umanità della persona è per risvegliarla
e orientarla alla profondità di sè, alla sua capacità
di comprendere il vero, di volere il bene e di agire
autenticamente e liberamente.

L’educatore è colui che ha il compito di suscitare e


aiutare un’attività che non è lui a svolgere ma l’educando,
soggetto primo dell’educazione.
Nell’educazione è essenziale tanto essere educati quanto
educarsi: “educazione e autoeducazione” vanno insieme
verso una sintesi antropologica che integri e armonizzi
le diverse dimensioni dell’umano: intelligenza e ragione,
desiderio e affettività, libertà e dipendenza.
56
Il processo educativo si può declinare in tre aspetti:
a) educazione dell’intelligenza e all’intelligenza:
- educare l’intelligenza come attivazione della capacità
intellettuale di ascolto, di interrogazione, di com-
prensione, e delle capacità di ragionamento e di
argomentazione.
- educare l’intelligenza per riconoscere l’ampiezza della
ragione, della sua radicale apertura alla verità e al senso
e della sua estensione alla pluralità dei metodi e dei
saperi (teorici, scientifici, tecnici, estetici, morali).
Educare e educarsi alla pluralità e all’estensione
della ragione è avere il senso della verità e contempo-
raneamente saper sostare nella condizione
dell’incertezza che la complessità e la specificità dei
saperi comportano. Il senso della verità aiuta a mantenere
il confronto con la problematicità esistenziale e a sostenere
il peso delle difficoltà. Il rigore critico della conoscenza
e della pratica scientifica sostiene un insegnamento di
grande rilievo educativo e teorico.

b) educazione al desiderio e dell’affettività:


• educare al riconoscimento del desiderio risvegliando
nell’affettività la sua profondità elementare di desiderio
di bene personale e umano nella sua pienezza, in cui
tutte le persone, ciascuna secondo la propria sensibilità,
cultura e storia comunicano. Si tratta dunque di quel
bene atteso dal desiderio e compreso dalla ragione,
57
bene di tutto l’umano promesso con la nascita e
sperimentato in tutti gli atti di accoglienza
• educazione dell’affettività a regolarsi sull’ampiezza,
profondità ed estensione del desiderio umano contro
la tendenza ad una affettività emotiva strappata dalle
radici del desiderio e della sua propria ragionevolezza,
perciò
- episodica e errabonda,
- frenetica o depressa,
- fiaccata nella sua energia propulsiva di tutto l’umano,
- snervata nella sua capacità di relazione.
L’affettività è capacità di essere legame e dunque di
appartenenza, in cui identità e differenza cercano di
conciliarsi, come nel caso paradigmatico dell’identità-
differenza sessuale, e capacità di amare in modo intenso,
stabile e generoso

c) educazione alla libertà e della libertà


• educare alla libertà per favorire esperienze di gesti
e azioni autenticamente liberi e per verificare la sua
capacità nell’ambito della relazione educativa
• educare la libertà per liberarla dall’idea disastrosa di
essere esclusivamente potere di scelta arbitraria ma
essere
- capacità di adesione al bene,
- capacità di relazione con l’altra libertà.

L’educazione della/alla libertà è essenzialmente edu-


58
cazione alla relazione tra le libertà e verifica della loro
convivenza e capacità di costruzione comune.
L’educazione in questo modo mostra praticamente la
sua importanza nel formare una mentalità e nel creare
spazi di esistenza. Perciò l’educazione ha nella libertà la
condizione privilegiata per realizzare sia l’individualità che
la socialità della persona nei diversi ambiti di convivenza.
Un processo educativo vivente è sempre parte di una
comunità educativa ed educante: non esiste un processo
educativo senza la compagnia di amici o di educatori con
cui si procede insieme.
Educare alla libertà è formare l’attitudine alla socialità
- secondo le sue virtù (lealtà, iniziativa, servizio,
solidarietà)
- secondo la sua naturale apertura politica che si manifesta
come servizio per la condivisione e la risoluzione dei
problemi umani.
Non è possibile educare e educarsi alla libertà senza
avvertire il legame che la propria libertà ha con quella
degli altri e di tutti gli altri, attraverso una progressiva
esperienza del passaggio dal legame all’appartenenza e
dunque alla realizzazione del comune progetto di vita
(come nel matrimonio).

59
Autorità e tradizione
L’educazione avviene in una “relazione generativa”,
dunque è indispensabile che ci sia chi si assume o gli
venga riconosciuta una funzione di autorità.
Il potere dell’autorità (colui che fa crescere) è
giustificato se esercitato all’interno di una relazione
interpersonale come coinvolgimento, responsabilità e
impegno di crescita: il buon educatore si educa educando
così come il buon insegnante impara insegnando.
Sottrarsi al compito di esercitare il potere-dovere di
educare significa disertare la relazione in cui si è implicati
e di cui si è responsabili vanificando così l’occasione della
crescita umana possibile anche per se stessi. “L’esperienza
dell’autorità sorge come incontro con una persona ricca di
coscienza della realtà: cosichè essa si impone come rivelatrice,
genera novità, stupore e rispetto. C’è in essa un’attrattiva
inevitabile” (L. Giussani).
La funzione autorevole garantisce che l’offerta di “un
ipotesi esplicativa della realtà” diventi verificabile e visibile
ed è segnalata da una autorevolezza riconosciuta e che
rende ragionevole l’adesione dell’educando. Una tale
autorità ha il compito essenziale e delicato di svolgere
una “funzione di coerenza” del processo educativo come
capacità di dare le ragioni di ciò che propone e ciò
che impone, come continuità di richiamo, di stabilità
d’impegno, di adattamento del giudizio nel mutare
delle situazioni, come verifica del cammino. La funzione
60
dell’autorità “è nell’essenzialità di una proposta” (L.
Giussani), una continuità di richiamo all’impegno dei
valori ultimi e della coscienza attraverso un permanente
giudizio sulla realtà. Così l’educatore è implicato sia come
chi introduce con la massima ampiezza alla realtà e alla
domanda di senso, sia come testimone e protagonista
mettendo in gioco il proprio modo di vivere la realtà e di
affermarne il senso, due attitudini essenziali dell’azione
educativa e di ciò che L. Giussani ha chiamato “il rischio
educativo”.

L’educazione è inscindibile dalla realizzazione di


alleanza tra generazioni in virtù di una eredità da
trasmettere e in virtù di un’appartenenza ad una realtà
sociale e di popolo: la tradizione. “La lealtà con la
tradizione è sorgente della capacità di certezza”, che
L. Giussani identifica con “l’ipotesi esplicativa della
realtà”. La grande tragedia della nostra epoca per la
diffusa emergenza educativa è la mancanza del paragone
insostituibile con la tradizione. In modo particolare gli
adolescenti crescono pieni di paura e di incertezza, come
se fossero sulle sabbie mobili, venendo meno alla presenza
di adulti capaci di comunicare certezza, che abbiano
speranza sufficiente di fronte alla vita e che mostrino la
ragione positiva per l’esistenza.
La scoperta e il riconoscimento che la realtà è
positiva, è bene e bella, contiene una promessa di
crescita e di compimento sia della vita dell’educatore
61
che dell’educando: “l’educazione è una testimonianza
di un bene che si vive.” L’educatore deve semplicemnte
testimoniare, rendere ragione nei fatti e non solo con le
parole della sua esperienza di positività e bellezza perchè
considerato come chi “solo sa ciò che nella vita bisogna
sapere”. La statura umana, il valore della persona è dato
dalle certezze su cui riposa la sua giornata, la sua vita, la
sua capacità di decidere.
La relazione educativa partecipa necessariamente del
passato e gestisce un lascito che la precede e la rende
possibile, appartiene a una memoria educativa e a un
patrimonio culturale che costituiscono un’ipotesi di
lavoro vivente e preziosa.
La lealtà con la tradizione che ci precede e ci
interpella come “ipotesi esplicativa della realtà” è la
condizione per cui è possibile essere certi e sicuri: la
capacità di certezza del bambino ha il suo fondamento
nella solidità e autorevolezza dell’adulto così può crescere
nel confronto e nel paragone continuo con lui. Questa
dinamica educativa è contraria allo scetticismo dilagante
della nostra epoca secondo cui non è possibile possedere
certezze ma solo espressività legate al sentimento e alla
sensibilità del momento considerate criterio di verità.
La funzione indispensabile della tradizione è quella
di fornire “un’ipotesi di vita”, risorse interpretative,
modelli di comportamento provati dal tempo e resi
autorevoli dall’esperienza consolidata. Il rapporto leale
con la tradizione non è in contrasto con l’accentuato
62
pluralismo postmoderno ma vuol realizzare un orizzonte
di unità possibile, in cui la pluralità di tradizioni culturali
e di pratiche educative possono entrare in confronto
dialettico e ricercare comuni valori fondamentali.
“Educare è possibile anche oggi ma certe condizioni che
riguardano gli educatori e si riassumono nella riscoperta di
alcune fondamentali coordinate della relazione umana: la
cura del volto, la cura dell’origine, la cura dell’altro,
la cura del senso e quella di Dio”.

Un ultimo suggerimento.
L’educazione è un’esperienza di “grande misericordia
un continuo abbraccio all’altro prima che possa cambiare:
misericordia vuol dire che ti amo prima che tu cambi,
prima che tu diventi come vorrei, prima che tu diventi più
buono, prima che tu diventi migliore: prima di tutto questo
ti amo, affermo il tuo valore prima di ogni esito, prima
di ogni attesa (tante volte la nostra attesa diventa pretesa)
affermo il tuo valore prima di ogni pretesa. L’educazione
è questa accoglienza, questo abbraccio, questo perdono: la
misericordia è l’inizio dell’educazione” (F. Nembrini).
Così accade nell’esperienza sorprendente in cui il
giovane studente o il proprio figlio incominciano a
guardare l’adulto con interesse e meraviglia, con curiosità
e voglia di imparare, col desiderio di vivere ciò che viene
insegnato, che siano le raccomandazioni del genitore o le
lezioni impartite in classe.
L’apprendimento avviene in un rapporto affettivo che
63
sollecita la capacità motivazionale: si impara nella vita e
nella scuola solo ciò che in qualche modo già si ama.
Il processo conoscitivo diventa più accessibile perchè
più attraente se c’è una corrispondenza tra educando ed
educatore e ciò che si apprende o che viene insegnato
può permanere per l’intensità di bene che li unisce. Al
contrario la gran parte della pedagogia contemporanea,
per la sua concezione di insegnamento e di educazione,
tende ad escludere questo aspetto decisamente
importante: se si teorizza, come accade, che il compito
della scuola è istruire e non educare, conseguentemente
la vita scolastica viene sottovalutata e sottostimata perchè
senza interesse e senza coinvolgimento emotivo. La
scuola o l’università diventano il luogo dove trascorrere
il tempo in cui è coinvolta la propria capacità razionale,
mentre il resto della giornata è rivitalizzata dal desiderio
di vivere ed esprimere la propria potenzialità, i propri
interessi, la propria umanità fino in fondo. Affinchè
riprendano vigore tutti gli aspetti fondanti la personalità
umana introducendosi ed aderendo alla realtà quotidiana
è indispensabile ricercare “la Bellezza di parole vere
per dare forma, possedere e vivere ciò che di invisibile c’è
nella propria vita interiore e che desideriamo far fiorire”
(T. Eliot). È l’incontro con la Bellezza che illumina e
rende più attraente la realtà affinchè si mostri visibile ed
incontrabile nelle strade, nelle piazze, nella scuola, e possa
alimentare i desideri e i progetti comuni con l’intento di
far fiorire i luoghi dove essi permangono.
64
Non parole conclusive ma desiderio
di un nuovo inizio

Non si desidera concludere il percorso della “ricerca


della Bellezza come cammino educativo alla scoperta
di sé, della realtà e dell’altro”, ma si auspica che possa
continuare, entusiasmare tanti che hanno a cuore il
compito educativo.
Gli insegnanti, come tutti gli educatori, sono
innanzitutto veicolatori di bellezza e non pubblici ufficiali
in cattedra, uomini e donne che avvertono non solo la
responsabilità ma la necessità di comunicare e indicare i
segni della presenza della Bellezza ai ragazzi e ai giovani
affidati a loro.
La Bellezza è per sempre, intramontabile: si riscontra
in coloro che ci hanno preceduto e che l’hanno trasmessa
a noi attraverso la poesia, la musica, l’arte, la scienza:
la bellezza educa se ci lasciamo attrarre da essa e genera
in noi perenne giovinezza: “Chi mantiene la capacità di
apprezzare la Bellezza non invecchia mai” (F. Kafka).
“Tra i segnali che mi avvertono essere finita la giovinezza
è accorgersi che la letteratura non mi interessa più veramente.
Voglio dire che non apro i libri con quella viva e ansiosa
65
speranza di cose spirituali che, malgrado tutto, un tempo
sentivo” (C. Pavese).
Per la rinascita e per la realizzazione della persona
c’è bisogno della “bellezza di parole vere per dare forma,
possedere e vivere ciò che di invisibile c’è nella propria vita
interiore e che desideriamo far fiorire” (T. Eliot), cioè di
quella Bellezza che nutre e fa sentire abitabile il mondo, la
Bellezza che sembra non avere ragioni ma veicola ragioni
all’esistenza e per l’esistenza, rendendola sensata e non
semplicemente da consumare.
Sottrarsi al compito di educare è mettere in crisi la
relazione in cui si è implicati e di cui si è responsabili,
perdendo così l’occasione della propria crescita umana.
Come adulti non è possibile evitare di influire su coloro
con cui si è in rapporto, soprattutto i giovani. “Che gli
adulti abbiano voluto disfarsi della (propria) autorità
(autorevolezza) significa solo questo: che essi rifiutano di
assumersi la responsabilità del mondo in cui hanno introdotto
i loro figli”, dichiara H. Arendt, lasciando ancora una volta
in balia di se stessi coloro di cui dovrebbero prendersi cura.
Educare è possibile anche oggi ma a certe condizioni
che riguardano innanzitutto gli educatori e si riassumono
nella riscoperta di alcune grandi coordinate della relazione
umana: la cura dell’altro, la cura del significato della
realtà, vissuta o virtuale, e quella del Mistero che è
origine e fine di ogni cosa.

66
Mario Persano insegna Pedagogia Generale e
Sociale presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia,
corso di Laurea in Scienze delle Attività Motorie
e Sportive dell’Università degli Studi di Bari.
Già docente di Storia e Filosofia e di Religione
nei Licei, da quarant’anni condivide il cammino
educativo di giovani e adulti alla scoperta di sè,
della realtà e dell’altro.
Dal 2010 è cappellano e componente del
Comitato Etico dell’Istituto Oncologico
Giovanni Paolo II di Bari e dal 2019 del Comitato
Tecnico Scientifico gestione della Biobanca.
È presidente dell’associazione di volontariato
“Opera San Nicola” odv che sostiene centinaia
di famiglie bisognose per disagio economico,
sociale ed educativo.

67
“Se le porte della percezione
fossero sgombre,
ogni cosa apparirebbe
come infinita.”
William Blake

68

Potrebbero piacerti anche