Le domande a cui la macroeconomia cerca di rispondere sono di grande rilevanza al giorno d’oggi e sono
sempre più d’interesse per i policy-makers. A questo si aggiunge il riconoscimento del fatto che fino ad oggi,
tranne alcune nicchie, l’economia ha inteso il mondo come un sistema aperto, che garantisce quantità
inesauribili di risorse, mentre oggi uno dei problemi più interessanti è proprio quello della gestione di un
mondo che offre risorse finite ed esauribili.
Spesso, questi obiettivi sono in contrasto tra loro: perseguendone uno si rischia di muoversi in direzione
opposta rispetto all’altro. Per questo, approcci diversi suggeriscono diverse risposte possibili.
In macroeconomia, il concetto di breve e lungo periodo cambia: non c’è un criterio preciso, per cui un
breve periodo potrebbe durare 5 anni, mentre un lungo periodo 10 o anche di più.
L’obbiettivo dei policy-makers è di avere un alto e stabile tasso di crescita economica. Tuttavia, se
guardiamo agli andamenti economici, questi sono in realtà estremamente volatili e instabili.
o PIL: valore di tutti i beni e i servizi finali prodotti da un’economia in un determinato periodo di
tempo.
Il PIL si basa sul criterio di territorialità: la ricchezza è prodotta all’interno di un dato territorio,
indipendentemente dalla nazionalità degli agenti economici.
o PNL: valore di tutti i beni e servizi finali prodotti da agenti economici della stessa nazionalità.
Nel calcolo del PNL, quindi, non si guarda al criterio di territorialità, ma al criterio di nazionalità:
Il PIL si misura in euro su base triennale e annuale. Per calcolarlo, bisogna conoscere:
1. la struttura dei prezzi di beni e servizi
2. le quantità di beni e servizi, che vengono contati solo in quanto prodotti finali.
La formula di calcolo è:
Y= p x q + p1 x q1 + ... pn x qn
Il PIL, dunque, è sia reddito che output, perché il reddito è qualcosa di circolare, è considerato la ricchezza
della nazione, che esce ed entra continuamente dal circolo. Quindi, in macroeconomia Y = Q. Quasi sempre
output, prodotto, reddito sono la stessa cosa.
Il fatto di misurare il PIL come p x q espone il PIL a variazioni sia nel caso di variazioni di quantità, sia
nel caso di variazioni nel prezzo: il PIL aumenta sia se aumenta la quantità prodotta, sia se aumentano i
prezzi. Il fatto che il PIL vari a seconda del prezzo è destabilizzante: il calcolo a prezzi correnti (di mercato,
che subiscono variazioni) non tiene conto dell’inflazione e quindi il PIL aumenterà/diminuirà anche se la
produzione rimane costante.
Per correggere questo errore, usiamo dunque il metodo di calcolo a prezzi costanti, per cui viene definito
un anno il cui prezzo funge da valore indice e calcoliamo il PIL di ciascun anno sulla base dei prezzi di
quell’anno.
La differenza tra PIL a prezzi correnti (“nominale”) e PIL a prezzi costanti (“reale”) è che il secondo non
tiene conto dell’alterazione di prezzo, e quindi calcola la variazione solo in base alla quantità di Y prodotta.
Tasso di crescita
Il tasso di crescita di un’economia si calcola tramite la percentuale di crescita del PIL.
(PIL annoT1 – PIL annoT2)/PIL anno T2
Se si calcola la crescita a prezzi correnti, si ottiene il tasso di crescita nominale. Se si calcola il tasso di
crescita a prezzi costanti, si ottiene il tasso di crescita reale.
Il ciclo economico
La crescita di un’economia è tendenzialmente instabile. Osservando gli andamenti della crescita possiamo
osservare diverse ciclicità (anche a lunghissimo periodo). Di norma, le varie fasi di un ciclo sono:
o Ripresa
o Espansione – rapida crescita
o Rallentamento – crescita in riduzione
o Recessione – crescita nulla o negativa
Le varie ciclicità ruotano intorno a una media, che nel lungo periodo si definisce trend o linea tendenziale.
L’obiettivo dell’economia è quello di avere un trend crescente. Quando la curva del PIL è superiore al
trend, l’economia procede meglio della media. Nel caso opposto, procede peggio.
Breve periodo
aumento della domanda aggregata + aumento della produzione
Lungo periodo
Aumento della domanda aggregata + intervento sul lato dell’offerta – migliorare le capacità produttive di
un’economia significa espandere l’output potenziale.
Le persone non occupate rappresentano fattori di produzione inutilizzati, il che significa che l’economia
possiede un potenziale produttivo non sfruttato.
Fra i vari paesi c’è grande eterogeneità nel tasso di disoccupazione e anche il comportamento del tasso di
disoccupazione dei vari paesi si comporta in maniera differente. Questo perché i mercati del lavoro nelle
diverse economie hanno funzionamenti radicalmente differenti, dovuti ai diversi contesti legali, sociali,
ecc.
1) Tasso di disoccupazione –proporzione di persone disoccupate fra quelle che fanno parte della forza
lavoro
TD = DIS / FL
3) Tasso di partecipazione al lavoro – quanta parte della popolazione in età lavorativa partecipa attivamente
al mercato del lavoro.
TP = FL / P15-64 FL = OCC + DIS
Per calcolare questi valori si fa riferimento alla popolazione in età lavorativa (15 – 64). In questa
popolazione sono incluse sia le forze di lavoro (popolazione attiva, cioé quelli che hanno un lavoro o che lo
stanno cercando attivamente) che le non forze di lavoro (popolazione non attiva, cioé gli studenti, coloro
che sono inadatti al lavoro e coloro che non hanno un lavoro e non lo cercano attivamente)
Usare solo il tasso di disoccupazione potrebbe causare delle distorsioni nell’analisi del mercato del lavoro.
Ad esempio, all’inizio del lockdown il tasso di disoccupazione è diminuito non perché ci sono state
assunzioni, ma perché molti disoccupati hanno smesso di cercare lavoro (effetto scoraggiamento). Quando
il mercato del lavoro si attiva, invece, si ha l’effetto opportunità e le persone non attive si riattivano.
In questi casi il tasso di disoccupazione si muove in maniera contraria a quanto uno potrebbe pensare: il
tasso cala ma non è una buona notizia, il tasso si alza ma non è una cattiva notizia.
Disoccupazione di disequilibrio
In una condizione ideale, i salari di disequilibrio – troppo alti o troppo bassi a seconda della situazione – si
aggiustano da soli fino a tornare all’equilibrio. Succede, però, che i salari siano rigidi (in particolare verso il
basso) e questo può causare disoccupazione di disequilibrio. Anche se la disoccupazione diminuirebbe una
volta lasciato libero il mercato, l’esistenza di una soglia minima di salario reale fa in modo che l’offerta di
lavoro sia superiore alla domanda.
Esistono 3 possibili cause alla disoccupazione di disequilibrio:
b) calo della domanda di lavoro – associata alle recessioni economiche, che provocano una diminuzione
della domanda aggregata e quindi un taglio della produzione nelle imprese. Questo tipo di disoccupazione è
generalmente dovuto a:
Salario di efficienza
Modelli insider-outsider
c) aumento dell’offerta di lavoro – a un aumento dell’offerta di lavoro (per esempio causato dall’influsso
delle nuove generazioni nel mercato del lavoro) non corrisponde un aumento della domanda, né una
diminuzione dei salari, che sono rigidi verso il basso.
Disoccupazione di equilibrio
Anche in situazioni di equilibrio, è possibile che ci sia disoccupazione, che in questo caso può essere:
a) disoccupazione frizionale ⇨ dovuta alla difficoltà di transizione da un impiego all’altro, spesso per via di
un’informazione imperfetta.
b) disoccupazione strutturale ⇨ dovuta al cambiamento della struttura economica, che porta a 1) variazione
della domanda di lavoro 2) variazione dei metodi di produzione.
c) disoccupazione stagionale ⇨ dovuta a impieghi stagionali (es. impieghi presso stabilimenti balneari, impianti
sciistici, siti legati a festività, ecc.).
3. INFLAZIONE
L’inflazione è un aumento sostenuto del livello generale dei prezzi, mentre la deflazione è una
diminuzione del livello generale dei prezzi da un anno all’altro.
Il tasso di inflazione è l’indice che misura l’andamento percentuale annuo del livello generale dei prezzi,
per cui:
tasso positivo = inflazione;
tasso negativo = deflazione.
Cause da domanda
un aumento della domanda aggregata provoca due effetti:
o Aumento dei prezzi ⇨ dipende da quanto aumentano i costi all’aumentare della produzione: se i
costi aumentano molto, anche i prezzi aumenteranno molto.
o Aumento della produzione ⇨ dipende dalla produzione potenziale che l’impresa può raggiungere:
se le imprese hanno capacità produttiva inutilizzata, tenderanno ad aumentare il prodotto. Se invece
non ne hanno, tenderanno ad aumentare i prezzi.
Se siamo in una condizione lontana dalla produzione potenziale (⇨ fase di ripresa economica), non si
verificherà tanta inflazione. Se invece siamo in una situazione di boom economico, il rischio sarà
elevato.
Tanto più la domanda aggregata è rigida al prezzo, tanto più le imprese potranno scaricare l’aumento dei
costi sulle spalle dei consumatori – che di fronte a prezzi maggiorati non riducono di molto la loro
domanda.
Aspettative autodeterminanti
nella determinazione del comportamento degli agenti economici nell’aggregato, le previsioni e le
aspettative sono fondamentali.
Molto spesso, è difficile distinguere inflazione da domanda e inflazione da offerta: può succedere, ad
esempio, che di fronte a un’inflazione scatenata da un aumento dei costi, il governo decida di stimolare la
domanda aggregata in modo da limitare la disoccupazione, rincarando così l’effetto sui prezzi.
Inflazione strutturale
Il fenomeno dell’inflazione strutturale è legato a cambiamenti legati alla struttura dell’economia (per
esempio, si può pensare al cambiamento dei gusti o a un’innovazione tecnologica).
In questo caso, ci saranno in industrie in declino (⇨ rigidità di salari e prezzi verso il basso, il che porta a
disoccupazione) e industrie in espansione (⇨ aumento di salari e prezzi, il che porta a inflazione
generalizzata).
Passività e attività devono essere in equilibrio, cioè la loro somma dev’essere pari a 0. Se le attività sono
superiori alle passività, c’è un avanzo. In caso contrario, c’è un disavanzo. In quest’ultimo caso possono
sussistere problemi legati alla valuta:
Tuttavia, il risparmio può non coincidere con gli investimenti, la spesa pubblica può non corrispondere con
le tasse (austerità, deficit, produzione di moneta) e le importazioni possono non coincidere con le
esportazioni.
Nel caso in cui le immissioni eccedono i prelievi, avremo un aumento della domanda aggregata, quindi
I+G+X > S+T+M.
Gli effetti saranno 1) aumento del reddito nazionale, 2) aumento dell’occupazione, 3) aumento
dell’inflazione e 4) deficit della bilancia dei pagamenti
Gli obiettivi sono notevolmente in contrasto tra loro.
In questa visione, le risorse vengono allocate nella maniera più efficiente possibile e l’occupazione è quindi
al massimo.
o Visione keynesiana: non è l’offerta, ma la domanda aggregata che determina il livello di produzione
dell’economia.
Infatti, il mercato dei beni non opera sempre in concorrenza perfetta e le imprese non sono propense a
variare i prezzi, ma al contrario tendono a mantenerli fissi.
Gli aggiustamenti delle imprese sono sulla quantità prodotta, piuttosto che sui prezzi.
Come è possibile che questa disuguaglianza di desideri diventi uguaglianza a livello contabile? Qui si vede
la differenza fra scuola neoclassica e keynesiana:
o Scuola neoclassica
Il meccanismo che permette l’uguaglianza è il tasso di interesse – che il risparmiatore riceve quando decide
di mettere i suoi soldi in banca, ma anche che l’investitore paga sul prestito che chiede in banca.
Quando il tasso di interesse aumenta, il desiderio delle imprese di investire diminuisce, ma incoraggia i
consumatori a mettere i soldi in banca. Secondo questo sistema, il prezzo che porta all’uguaglianza fra
domanda di finanziamento e offerta di fondi da parte delle famiglie è il tasso d’interesse. Per cui, se
l’investimento desiderato supera il risparmio, perché poche famiglie risparmiano in virtù di un tasso basso,
la concorrenza fra le imprese per accaparrarsi i fondi prestabili fa aumentare il tasso d’interesse fino al
punto di equilibrio.
Secondo questo modello, gli imprenditori investono quello che vogliono investire, i risparmiatori
risparmiano quello che vogliono risparmiare, e quindi dal punto di vista della produzione non c’è nessun
effetto: si trova un salario reale di equilibrio e si raggiunge la piena occupazione.
La disoccupazione è sempre una disoccupazione di equilibrio, poiché le persone che non lavorano non lo
fanno perché non sono disposte a lavorare per il salario dato dall’equilibrio di mercato (infatti, non esiste
rigidità salariale).
o Critica keynesiana
Pensiero che nasce dopo la crisi del 29: si osserva che i mercati sono spesso incapaci di fornire
investimento tale da assorbire il risparmio corrispondente alla produzione di piena occupazione. Quindi,
non è la domanda che si adegua all’offerta, ma l’offerta che si adegua alla domanda.
In questo caso, l’aggiustamento non avviene attraverso il tasso di interesse, ma attraverso la quantità offerta:
a) Se la domanda di beni è bassa, c’è un eccesso di risparmio, le imprese piuttosto che aumentare il proprio
investimento iniziano a produrre meno.
b) se la domanda di beni è alta, c’è una carenza di risparmio, quindi le imprese iniziano a produrre di più
per andare incontro alla domanda.
Il tasso di interesse non funziona perché l’investimento delle imprese si baserebbe su un sistema di
incertezza radicale: secondo Keynes, gli investitori decidono come agire in base al loro “spirito animale”
e non in base al tasso di interesse del momento.
Contemporaneamente, nel mercato dei fondi prestabili agisce un altro sistema: la moneta non è neutra. Gli
agenti scelgono investimenti sicuri e liquidi e la moneta possiede entrambe le caratteristiche, quindi viene
richiesta non solo a scopo transattivo, ma anche a scopo speculativo, come una vera e propria attività.
Nel mondo keynesiano, perciò, il tasso di interesse non è la determinante di equilibrio fra investimento e
risparmio, ma la determinante per la tesaurizzazione del risparmio. Per cui, il tasso di interesse eguaglia
domanda e offerta di moneta piuttosto che risparmio e investimento, operando solo nel mercato della
moneta.
N.B. La moneta tesaurizzata non può essere usata per il consumo e quindi non si trasforma in domanda di
beni. Abbiamo quindi una domanda minore a quella di piena occupazione. Esiste disoccupazione
involontaria che non dipende dalla rigidità dei salari, ma dal mercato dei beni (cioè, dalla scarsità della
domanda che provoca una riduzione della produzione).
Col tempo si è arrivati a una via di mezzo chiamata sintesi neoclassica del pensiero keynesiano, il
MODELLO IS-LM, in cui i mercati della moneta e dei beni sono in equilibrio fra loro. (I = investimento, S
= risparmio, L = liquidità e M = moneta).
IL MODELLO IS-LM
Il mercato dei beni: la croce keynesiana
Il mercato dei beni è in equilibrio se si soddisfa la condizione prodotto reale = spesa aggregata, cioè Y = A.
La spesa aggregata è uguale alla domanda ed è composta da consumi, investimenti e spesa pubblica:
DA = C+I+G
Secondo il principio keynesiano, gli investimenti e la spesa pubblica sono esogeni, perché i primi dipendono
dagli “animal spirits” mentre i secondi dipendono dai policy-makers. La parte endogena sono i consumi,
che dipendono dal reddito, secondo la
funzione keynesiana del consumo: C = C0+cY – il consumo aggregato dipende dal reddito secondo la
quota c + C0, dove c è la propensione al consumo e C0 sono i consumi autonomi (quelli che non
dipendono dal reddito, come le spese di sussistenza).
cY indica quale parte del nostro reddito verrà usata per il consumo, mentre l’altra parte del reddito
diventa risparmio. Per ogni funzione di consumo c’è una funzione di risparmio S = - C0+sY in cui “s” è
la propensione al risparmio
Se abbiamo detto che l’equilibrio macroeconomico è dato da Y = A, allora possiamo riscrivere la formula in
Y = C0+cY+I+G, da cui Y = [1/(1-c)] (C0+I+G), dove:
La retta rappresentata è la funzione di consumo, che avrà come intercetta le parti autonome della domanda
C0+I+G e come pendenza c.
I punti in cui D e Y sono uguali sono individuati dalla bisettrice che parte all’origine
degli assi.
Ipotizzando che una delle componenti autonome di A aumenti, la funzione di
consumo si sposta più in alto e il punto di equilibrio tra domanda e produzione si
alza. Notiamo, però, che Y è variato in proporzione maggiore rispetto alla variazione
della spesa autonoma. Questa proporzione è dovuta al moltiplicatore: più è elevato,
più Y varia in maniera più che proporzionale rispetto alla componente.
La curva IS
Inseriamo all’interno del modello keynesiano l’idea neoclassica per cui il tasso di interesse è determinante
nella decisione di investimento dell’impresa.
Partiamo da un punto di equilibrio sulla croce keynesiana e ipotizziamo un aumento del tasso di interesse r.
Dal momento che gli investimenti diventano più costosi, si ridurranno, e perciò si ridurrà anche la domanda
aggregata: avremo uno spostamento in basso della funzione di consumo. Il nuovo punto di equilibrio fra
domanda e produzione si trova ora a un livello di Y minore.
Ora proviamo a rappresentare questi due possibili punti di equilibrio su un nuovo grafico in cui sull’asse
orizzontale c’è sempre Y e sull’asse verticale c’è r, il tasso di interesse.
La curva IS si sposta con la variazione di una delle componenti autonome della domanda aggregata
(consumi autonomi e spesa pubblica). Se questi aumentano, la domanda aumenta e si sposta in alto a destra,
mentre se diminuiscono la domanda diminuisce la curva si sposta in basso a sinistra.
Il responsabile dell’elasticità della curva, e quindi della sensibilità degli investimenti al tasso di interesse, è il
moltiplicatore: più è grande, maggiore è l’elasticità.
Il mercato della moneta
La critica keynesiana si esplica su due argomenti:
1) aggiustamento del mercato dei beni rispetto alla domanda
2) critica al ruolo neutrale della moneta
Con “moneta”, ci si riferisce al denaro liquido. Il reddito può essere detenuto sia sotto forma di mezzi di
pagamento liquido che sotto forma di mezzi di pagamento poco liquido.
2) Teoria della preferenza della liquidità: versione più elaborata, portata avanti da Keynes, secondo cui la
moneta non è solo un mezzo di scambio, ma anche una riserva di valore. Gli agenti economici
preferiscono detenere attività che siano sicure e liquide, come la moneta. Ci sono tre motivi principali
per cui si detiene moneta:
1. Scopo transattivo: per effettuare transazioni
2. Scopo precauzionale: per affrontare imprevisti
3. Scopo speculativo: come riserva di valore
I primi due moventi usano la moneta come mezzo di scambio, mentre il terzo ha a che fare col mercato dei
titoli, il mercato finanziario.
⇨ Immaginiamo che l’alternativa al detenere moneta in forma liquida sia l’acquisto dei titoli. Ogni titolo ha
un valore nominale a cui è associato un tasso di interesse, che rappresenta la rendita annuale del titolo
rispetto al valore nominale. Vendere un titolo implica fare i conti con la situazione del mercato, perché se nel
mercato ci sono titoli con tasso di interesse più alto di quello che si vuole vendere, il prezzo di tale titolo
dev’essere minore rispetto a quello nominale. Questo perché, altrimenti, sarà poco competitivo e difficile da
vendere. Quello che importa non è tanto il tasso di interesse, ma la variazione del tasso di interesse.
Ci sono due modi di guadagnare coi titoli:
1. reddito da interesse
2. guadagno/perdita in conto capitale.
Dunque l’analisi Keynesiana della domanda di moneta è chiaramente divisa in due parti:
o Moneta considerata un mezzo di pagamento
o Moneta considerata un’attività finanziaria alternativa ai titoli
M = Mtr+Msp = Ltr(Y)+Lsp(r)
Possiamo scrivere la funzione di domanda di moneta come Md = Md (Y, r). Dal punto di vista grafico, la
domanda di moneta si rappresenta come una curva dall’andamento decrescente, perché il rapporto tra tasso
di interesse e domanda di moneta è inverso.
La funzione di offerta di moneta è invece una retta verticale che si sposterà verso sinistra o destra a
seconda che la banca centrale (l’autorità politica monetaria) incrementi o riduca lo stock di base monetaria.
La quantità di moneta in circolazione dipende esclusivamente dalle decisioni di policy dell’autorità di
politica monetaria, la BCE in Europa. Perciò, la quantità di moneta offerta si considera indipendente dal
tasso di interesse e da altre variabili.
⇨ La curva LM è speculare alla curva IS: nella curva IS si guardava agli effetti di una variazione del tasso di interesse
sul prodotto nazionale (per mezzo di investimenti e spesa aggregata), mentre nella curva LM si guarda agli effetti di
una variazione del prodotto nazionale sul tasso di interesse (attraverso la domanda di moneta).
Sopra la curva LM, invece, c’è eccesso d’offerta di moneta. Questo perché a un prodotto nazionale discreto
corrisponde un tasso d’interesse troppo elevato, cosicché la domanda è troppo scarsa (gli individui
comprano più titoli e chiedono meno moneta) per eguagliare l’offerta.
o Se la domanda di moneta è poco sensibile al tasso di interesse, la curva sarà più elastica.
o Se la domanda di moneta è poco sensibile al reddito, la curva sarà meno elastica.
⇨ La LM può essere anche verticale, oppure completamente orizzontale. In quest’ultimo caso si parla di
“trappola di liquidità”, che si verifica quando il tasso di interesse è molto basso, talmente basso da non
poter influenzare la domanda di moneta.
In una situazione di trappola della liquidità, gli operatori economici
trattengono ogni liquidità aggiuntiva di moneta, evitando di
utilizzarla per altre attività finanziarie. Gli operatori economici
hanno un'aspettativa negativa del futuro e, piuttosto che investire
o spendere, tendono a trasformare qualsiasi liquidità monetaria
aggiuntiva in risparmio / tesaurizzazione.
La trappola della liquidità scatta a livelli molto bassi del tasso
d'interesse. In questa particolare situazione nessun operatore si
attende un ulteriore ribasso del tasso di interesse. Quando il tasso
di interesse è già molto basso, qualsiasi ulteriore politica monetaria
espansiva non contribuisce a ridurre il tasso d'interesse e, quindi,
non genera effetti reali sulla produzione ( Y ) e sull'occupazione.
Politica monetaria
I policy-makers possono agire sulla posizione della LM attraverso politiche monetarie, che consentono
variazioni dell’offerta reale di moneta.
⇨ Politica espansiva: l’offerta di moneta aumenta, perciò il tasso di interesse deve diminuire, così da
spingere gli agenti a chiedere più moneta: la curva LM si sposterà in basso a destra.
⇨ Politica restrittiva: l’offerta di moneta diminuisce, perciò il tasso di interesse deve aumentare, così da
spingere gli individui a ridurre la domanda di moneta e ad acquistare più titoli. La curva LM si sposterà in
alto a sinistra.
Per decidere sull’offerta di moneta, l’autorità finanziaria a due strumenti a sua disposizione:
o Quantità di moneta sul mercato
o Tasso di policy, cioè il tasso al quale la banca centrale presta la moneta alle banche commerciali
Se la banca centrale decide di mantenere fisso il tasso d’interesse, Che qualsiasi variazione di domanda di
moneta (esogena o endogena) costringerà l’autorità ad aumentare l’offerta di moneta fino a raggiungere un
nuovo punto di equilibrio. Questo perché, appunto, l’equilibrio non può essere ristabilito da una variazione
del tasso di interesse.
Se è vero che l’autorità monetaria può decidere il tasso di policy, allora è anche vero che per mantenere fisso
quel tasso dovrà variare l’offerta di moneta. Per ogni variazione di Y, ci sarà una variazione
corrispondente nell’offerta di moneta tale da essere in equilibrio col tasso di interesse prefissato.
Quando l’autorità di politica monetaria sceglie il tasso di interesse, la curva LM si può rappresentare come
un retta fissa al livello del tasso di interesse di policy, quindi orizzontale.
Equilibrio IS-LM
Siamo arrivati a costruire due curve che rappresentano le possibili combinazioni di reddito prodotto e tasso
di interesse tali per cui il mercato dei beni sulla curva IS e il mercato della moneta sulla curva LM sono in
equilibrio. Queste curve tripartiscono lo spazio: Tutti i punti sulla curva IS rappresentano combinazioni di
tasso di interesse e reddito di equilibrio nel mercato dei beni ⇨ domanda e offerta di beni (risparmio &
investimento) sono uguali.
Tutti i punti al di sopra o al di sotto non permettono un equilibrio nel mercato dei beni: in particolare, quelli
al di sotto della curva IS osservano un eccesso di domanda di beni, mentre al di sopra della curva IS c’è un
eccesso di offerta di beni.
Se mettiamo insieme questi due grafici, notiamo che si incrociano in un solo punto: esiste una sola
combinazione di prodotto e tasso di interesse che mette in equilibrio contemporaneamente il mercato dei
beni e il mercato della moneta.
⇨ I punti lungo la curva IS sono punti in cui il mercato dei beni è in equilibrio, mentre nel mercato della
moneta c’è un eccesso / una scarsità di offerta e viceversa.
⇨ Esistono combinazioni che non mettono in equilibrio nessuno dei due mercati.
Aggiustamento dell’equilibrio
Adesso, nel punto K’, il tasso di interesse è basso, perciò c’è grande abbondanza di investimenti e di
domanda, al punto da essere eccessiva rispetto all’offerta. È dunque necessario aumentare la produzione per
riequilibrare l’offerta. Adesso, l’equilibrio è sulla curva IS, ma non sulla LM.
Questo effetto sul prodotto Y si chiama “effetto spiazzamento” ed è un fenomeno che si verifica quando, a
fronte di una sostanziosa spesa pubblica, la domanda di moneta aumenta, e con essa aumenta anche il tasso
di interesse del settore privato, che comporta una diminuzione degli investimenti privati, con conseguente
diminuzione del prodotto nazionale.
Si dice che in caso di espansione è meglio agire sulla spesa pubblica piuttosto che sulle imposte, perché la
spesa pubblica agisce direttamente sulla domanda.
In caso di politiche restrittive, invece, è meglio agire sulle imposte.
Indebitamento
C’è quindi una differenza tra debito pubblico primario e debito pubblico totale, che è la somma dei
disavanzi pregressi e quindi dei titoli emessi in passato dal governo.
Man mano che il debito pubblico aumenta / se il debito pubblico è grande, il tasso di rendimento che viene
attribuito ai nuovi titoli deve aumentare. Questo perché maggiore è il debito pubblico, maggiore è il rischio
che lo Stato non riesca a ripagare i titoli – che faccia default.
La politica monetaria riesce ad agire sulla produzione attraverso il canale tasso di interesse/investimenti.
In alcune situazioni questo meccanismo potrebbe incepparsi. I keynesiani sostengono che la politica fiscale
sia migliore della politica monetaria, che si può inceppare:
In questo caso è meglio optare per una politica fiscale espansiva, che provoca uno spostamento della
curva IS e quindi un aumento del prodotto nazionale.
2) L’offerta di moneta non fa aumentare la produzione
Questo fenomeno si verifica quando, nonostante una politica monetaria espansiva e un conseguente
aumento dell’offerta di moneta, che fa abbassare il tasso di interesse, gli investimenti non reagiscono
a tale abbassamento. Di conseguenza, il prodotto non aumenta.
Perfetta efficacia
Una politica monetaria è perfettamente efficace quando la domanda di moneta è insensibile al tasso di
interesse: è il caso di una curva LM perfettamente verticale.
Le variazioni della quantità di moneta offerta hanno un effetto massimo sul reddito: quando l’offerta di
moneta aumenta, la curva LM si sposta verso destra e comporta una diminuzione del tasso di interesse (da
r1 a r2). A questo punto, gli investimenti aumentano molto e così anche il prodotto nazionale – mentre la
domanda di moneta non cambia, cosicché il tasso di interesse non aumenta nuovamente.
Quando una politica monetaria è inefficiente, allora una politica fiscale (aumento spesa pubblica e/o
riduzione della tassazione) sarà molto efficiente. Quando una politica fiscale è inefficiente, allora una
politica monetaria espansiva, con un aumento offerta di moneta) sarà molto efficiente (anche se nel medio
periodo aumenta l’inflazione).
Economie aperte
Quello che abbiamo visto fino a ora fa riferimento a sistemi che non hanno scambi con l’estero per
semplificare il ragioname nto sul consumo e soprattutto sulla domanda di moneta. E’ però evidente che
questa assunzione è irrealistica, dunque rilassiamo l’assunzione di economie chiuse.
Mercati integrati
praticamente tutte le economie interagiscono fra di loro. Queste relazioni economiche avvengono
attraverso tre canali, che sono i tre mercati:
1) Il mercato dei beni
2) Il mercato delle attività finanziarie
3) Il mercato dei fattori
Tutte le transazioni che avvengono su questi mercati fra un paese e l’estero sono registrate nella bilancia dei
pagamenti, che racchiude e sintetizza tutte le informazioni economiche che descrivono gli scambi
avvenuti. Possono essere scambi di beni e servizi, scambi di moneta e attività finanziarie o scambi di fattori.
Ogni scambio ha naturalmente il proprio corrispettivo: a un acquisto di fattori produttivi corrisponde un
esborso (uscita), mentre viceversa si registra un’entrata.
Mentre in un’economia chiusa la scelta è fra risparmio e consumo, in un’economia aperta la scelta di
consumo si divide in scelta di consumo di beni nazionali e scelta di consumo di beni esteri.
Anche nelle economie più aperte, lo scambio di beni e servizi con l’estero è in qualche modo regolato, per
esempio attraverso dazi doganali o quote – cioè vincoli sulle quantità.
L’osservazione della realtà ci dice che la regolazione è sempre meno incisiva (regolazione di dazi,
determinazione di quote sulla quantità che può essere importata). Questo perché, col la globalizzazione, la
regolazione degli scambi è cambiata: i dazi si sono gradualmente ridotte, le quote sono andate via via
aumentando e sono anche intervenuti altri tipi di limitazioni “indirette”, che hanno spesso a che fare con la
qualità dei prodotti.
Dal momento che in ognuna delle economie aperte la scelta è fra consumo di beni nazionali o esteri, la
domanda per i beni prodotti nazionalmente può venire sia dall’interno che dall’esterno del paese. Perciò:
- Importazioni: acquisto di beni esteri effettuati da individui che utilizzano quel bene all’interno del
territorio nazionale – sia per consumo intermedio che per consumo finale
- Esportazioni: vendita di beni nazionali al di fuori del territorio nazionale
Tutti i Paesi in qualche modo globalizzati registrano un trend positivo circa il peso di importazioni /
esportazioni sulla bilancia dei pagamenti: entrambe le attività sono in crescita.
Tuttavia, quasi mai importazioni ed esportazioni sono uguali rispetto al PIL. In Italia, per esempio, le
esportazioni hanno un valore quasi sempre superiore rispetto alle importazioni
I fattori determinanti per spiegare l’incidenza di importazioni / esportazioni sulla bilancia dei pagamenti di
un determinato paese sono:
1) Modelli gravitazionali – vicinanza fra paesi
2) Dimensione dell’economia – più un’economia è piccola, più avrà bisogno degli scambi con l’estero. Più
un’economia è grande, più la varietà di prodotto e la vastità del consumo le rende autonome.
➽ si può definire il mercato finanziario come un unico mercato globale, all’interno del quale grandissimi
flussi di capitale si muovono liberamente fra un paese e un altro.
N.B. C’è una differenza sostanziale tra il significato di “capitale” e “investimento” nel mercato dei beni e nel
mercato finanziario:
Mercato finanziario
⇨ Un’impresa che ha sede territoriale in un determinato Paese decide di produrre nel territorio di un altro.
Nell’altro
L’impresa si sposta quindi in un nuovo Paese, dove acquista beni capitali, altri fattori produttivi e inizia la
prodizione. Queste imprese hanno una certa rilevanza, soprattutto in termini di delocalizzazione. Da un
punto di vista macroeconomico, le conseguenze della delocalizzazione si vedono più nel medio e lungo
periodo.
Le imprese possono decidere di localizzare le proprie attività produttive in un altro Paese perché può essere
più conveniente in termini di costi di produzione, in termini di tassazione e di semplicità burocratica
(costo di attivazione d’impresa, meno controlli, detassazione per le imprese estere). Esiste una competizione
fra i paesi per accaparrarsi IDA, la cui magnitudine è trascurabile.
⇨ In un mondo integrato e globale, i lavoratori possono scegliere dove andare a lavorare – e quindi migrare
– assumendo che non ci siano limitazioni nello spostamento.
La bilancia dei pagamenti
Tutte le transazioni che avvengono nei tre mercati vengono registrate nella bilancia dei pagamenti,
“prospetto” dove vengono registrate le transazioni intercorse fra i residenti di un paese e il resto del mondo.
Ad ognuna delle transazioni nei conti è associato un segno, come se fosse un bilancio: ci sono entrate e
uscite di moneta.
- Quando le entrate e le uscite di moneta si bilanciano, avremo una bilancia dei pagamenti in equilibrio.
- Quando le entrate sono superiori alle uscite, avremo una bilancia dei pagamenti in positivo o in avanzo.
- Quando le uscite sono superiori alle entrate, avremo una bilancia dei pagamenti in disavanzo.
Il conto corrente
Nel conto corrente rientrano tutte le transazioni che riguardano commercio in beni e servizi, nonché i
trasferimenti di denaro da un paese all’altro che non sono legati ad attività di scambio. Ad esempio le
remissioni, cioè i guadagni di un immigrato che dal Paese in cui si trova trasferisce denaro alla famiglia.
All’interno del conto corrente c’è il saldo della bilancia commerciale, che registra il saldo per ciascuno di
questi elementi: la differenza tra importazioni ed esportazioni di beni e servizi, di trasferimenti in ingresso e
in uscita. Anche qui possiamo avere avanzo, disavanzo o equilibrio.
Il peso del commercio di beni è di norma superiore al peso del commercio dei servizi e dei trasferimenti
netti; questo perché i servizi sono difficilmente commerciabili all’estero, a possono consistere in spese di
trasporti, turismo, assicurazioni…
⇨ Per poter fare cambi di valuta si ricorre al mercato dei cambi, che determina il tasso di cambio nominale,
cioè il prezzo della valuta estera nei termini della valuta interna. Il tasso nominale risponde alla domanda:
“quanto vale la valuta x in termini di valuta y?”.
⇨ Oltre al tasso di cambio nominale, esiste anche il tasso di cambio reale, che invece ha a che fare con il
potere d’acquisto di una determinata valuta. Questo tasso di cambio, che si indica con ε, si trova attraverso il
rapporto fra il prezzo dei beni di produzione estera e i prezzi di produzione interna.
Naturalmente, il mercato dei cambi non è attivo solo per il mercato dei beni, ma anche per il mercato
finanziario, dove per comprare e vendere titoli è necessario cambiare la valuta.
Fino al 1973, le economie più importanti avevano deciso dei tassi di cambio fissi, che si basavano
sul sistema di Bretton Woods, che legava il dollaro all’oro. Questo fino al 1973, quando gli accordi
di Bretton Woods vennero abbandonati per via della crisi petrolifera e della conseguente situazione
politica ed economica internazionale.
Dal 1973 agli anni 90’ c’è stato il tentativo di mantenere una certa stabilità del tasso di interesse,
prima mediante il sistema del “serpente monetario” e poi attraverso il sistema monetario europeo,
che fissava tassi quasi-fissi.
Con il trattato di Maastricht, nel 1992, si è deciso di coniare una nuova moneta comune, l’euro, che
ha ovviato al problema del cambio (almeno in zona euro).
Il motivo per cui gli Stati hanno cercato di mantenere i tassi di cambio fissi è che le variazioni del tasso di
cambio espongono produttori e investitori a incertezza, perché improvvisi sbalzi di tasso di cambio possono
influire negativamente sui costi / ricavi delle imprese, il che si ripercuote a sua volta sull’importazione di
prodotti intermedi / l’esportazione di prodotti in generale.
Oggi, tuttavia, il tasso di cambio è fluttuante, cambia a seconda delle interazioni tra domanda e offerta.
Questo perché nella determinazione del tasso di cambio ci sono sia scambi commerciali che finanziari. Per
questo, se si ha un sistema di perfetta mobilità dei capitali e si osserva una discrepanza fra i valori di
rendimento finanziari e il tasso di cambio, i grandi investitori speculeranno sulla differenza.
Quindi bisogna rinunciare a una di queste tre, e più comunemente si rinuncia ai cambi fissi.
o Sistema di cambi fissi: L’autorità monetaria agisce, immettendosi in una compravendita di valuta,
per finanziare gli squilibri nella bilancia dei pagamenti.
In questo caso, si parla di svalutazione / valutazione della moneta.
o Sistema di tassi flessibili: le banche centrali non intervengono, ma lasciano che il tasso di cambio
si adegui alla domanda e offerta. In questo caso, si parla di apprezzamento / deprezzamento della
moneta.
Quando una valuta si deprezza, la sua capacità di acquistare valuta estera diminuisce.
Ciò significa che il tasso di cambio e aumenta, mentre il tasso di cambio 1/e diminuisce: la moneta interna
diventa relativamente meno costosa per quella estera.
Ne deriva una diminuita capacità di importazioni (che ora sono più costose) e una aumentata convenienza,
per l’estero, delle esportazioni.
Dalla capacità di acquistare beni esteri o dalla capacità dei consumatori stranieri di acquistare beni domestici
dipende la bilancia commerciale.
Le esportazioni dipendono dal reddito estero e dal tasso di cambio, ma le esportazioni nette, cioè la
differenza netta di X – M, dipendono da:
Un incremento del reddito estero Yf migliora la bilancia commerciale del nostro paese, perché fa salire la
domanda aggregata con le esportazioni aumentate.
Un deprezzamento della valuta nazionale migliora la bilancia commerciale, perché fa salire la domanda
aggregata con le esportazioni aumentate.
Un aumento del reddito interno / un apprezzamento della valuta nazionale peggiorano la bilancia
commerciale, perché favoriscono le importazioni e quindi provocano un esborso.
Effetti della variazione del tasso di cambio su importazioni ed esportazioni
Se l’euro si deprezza, il tasso di cambio del dollaro per l’euro aumenta, per esempio passando da 85 a 90
cent. A questo punto, l’automobile italiana costerà sempre 16000 euro in Europa, ma costerà meno di 20.000
dollari negli USA ⇨ le importazioni verso gli USA sono più convenienti.
1) Si esprime il prezzo dei beni nazionali in valuta estera, poi si paragona quel prezzo al prezzo dei beni
esteri in valuta estera (tramite divisione);
2) Si esprime il prezzo dei beni esteri in valuta nazionale, poi si paragona quel prezzo al prezzo dei beni
nazionali in valuta nazionale.
Riassunto
Abbiamo visto i problemi generali di macroeconomia, la determinazione del reddito nazionale e la sua
relazione con le condizioni di equilibrio nel mercato dei beni e del lavoro, il modello IS-LM e le politiche
monetarie e fiscali, per poi aprire l’economia – anche se nella determinazione del reddito nazionale di
equilibrio abbiamo ignorato gli scambi con l’estero per rendere le cose semplici. Tuttavia, abbiamo anche
analizzato gli scambi che legano le varie economie.
Sul mercato dei beni, le interazioni tra economie si riflettono sul conto corrente tramite importazioni ed
esportazioni. Abbiamo visto in che modo il tasso di cambio determini il vantaggio o lo svantaggio dei
consumatori nell’acquisto di un bene domestico o straniero.
Il mercato finanziario
Nel mercato finanziario, esattamente come il conto corrente per il mercato dei beni, il conto capitale indica
la differenza fra il valore delle attività finanziarie domestiche detenute all’estero (“entrate”) e il valore
delle attività finanziarie estere detenute su territorio nazionale (“uscite”).
Se vige un regime di cambi flessibili, la bilancia dei pagamenti raggiunge autonomamente il pareggio.
➽ Un disavanzo nella parte del conto corrente viene controbilanciato per un esatto ammontare da un avanzo
nei conti capitale / finanziario:
1) tutti e tre i conti sono in pareggio
2) il tasso di interesse aumenta e spinge gli investitori stranieri a sospingere più flussi finanziari nel Paese,
perciò la domanda di moneta aumenta;
3) lo stesso aumento di tasso di interesse spinge i residenti del Paese a tenere i loro investimenti nel loro
Paese, quindi l’offerta di moneta diminuisce;
4) con tutti i grandi afflussi sul conto finanziario, questo produrrà un avanzo, ma comporterà anche un
apprezzamento della moneta domestica;
5) adesso, le importazioni sono diventate più convenienti, mentre le esportazioni sono più care. Ne consegue
che, sulla bilancia dei pagamenti, si registreranno più uscite che entrate, con un disavanzo sul conto
corrente.
Finché consideriamo un’economia chiusa, queste due misure sono identiche perché se non c’è scambio è
impossibile che i fattori di produzione nazionali vadano all’estero e viceversa. In un’ economia aperta invece
c’è una differenza data dai trasferimenti netti, i trasferimenti di reddito o remunerazione dei fattori di
produzione o valore aggiunto (il PIL è tutte queste cose contemporaneamente) da un paese all’altro. Il PIL
rappresenta tutte queste cose insieme, mentre il PNL è dato da PIL – trasferimenti netti.
In Paesi molto grandi, il valore dei trasferimenti è ridotto e PIL e PNL sono simili. In Paesi più piccoli, con
molti fattori investiti all’estero (lavoratori soprattutto) la differenza può essere grande.
In questo mondo di mercati globali e integrati, possiamo assumere di essere molti vicini alla perfetta
mobilità dei capitali: i capitali finanziari si muovono da un paese all’altro in modo istantaneo e senza costi
di transazione – in realtà, i costi ci sono, ma sono irrilevanti rispetto al volume delle transazioni che
realmente avvengono.
Teoricamente, è anche possibile detenere valuta estera come attività finanziaria, ma detenere moneta
straniera in territorio nazionale non ha molto senso, perché non porta a un effettivo uso transattivo, né
precauzionale. Una possibile ragione per cui detenere valuta estera deriva da situazioni di grande
inflazione, perché quando la valuta nazionale è esposta a super inflazione, l’agente economico può pensare
di acquistare valuta non soggetta a ondate superinflattive. Tuttavia, questi scambi hanno un costo, detto
“costo di transazione”: ogni volta che si cambia da una valuta all’altra, si paga in termini di tempo e
commissione per il cambio.
Per avere un’idea della dimensione degli scambi finanziari, possiamo utilizzare come riferimento il mercato
delle valute straniere. Le transazioni del mercato della valuta sono un molto più grandi degli scambi
commerciali, quindi la maggior parte delle transazioni che avvengono sul mercato dei cambi deriva da
attività finanziarie.
➽ Immaginiamo che le uniche attività finanziarie disponibile siano i bond, titoli emessi da ministeri del
tesoro, considerate attività molto poco rischiose, e che questi bond siano a un anno. Immaginiamo che il
tasso di interesse r sia uguale al tasso di policy deciso dell’autorità politica finanziaria e può essere diverso
da paese a paese (anche se è una grossa semplificazione)
Immaginiamo di avere solo i Paesi Italia e Stati Uniti tra cui scegliere: i bond italiani fruttano un tasso di
interesse rIT e quelli stranieri un tasso rUS. Per ogni euro che spendo in titoli italiani avrò un rendimento di
euro 1+rIT e per ogni titolo straniero 1+rUS.
N.B: In termini “profani” il tasso di interesse si esprime in percentuali, mentre nel linguaggio economico si
esprime con un numero da 0 a 1. Se il tasso di interesse è 0,5, corrisponde al 50%
È evidente che entrambi il tasso di interesse e il tasso di cambio siano molto importanti nella determinazione
della scelta.
Se non ci sono differenze di rischio, l’operatore finanziario acquisterà il bond che gli dà maggior tasso di
rendimento. Dato che siamo in perfetta mobilità dei capitali, integrazione dei mercati e perfetta
informazione, qualsiasi differenza nei tassi di rendimento dei due titoli tenderanno a scomparire, poiché i
flussi di capitale tenderanno a compensare queste differenze. Tendenzialmente nel mercato finanziario
osserveremo un condizione di parità: il tasso di rendimento dei titoli domestici sarà uguale al tasso di
rendimento dei titoli esteri espressi nella stessa valuta moltiplicati per l’inverso del tasso di cambio al tempo
t+1, cioé rIT = et (rUS) (1/et+1)
Se questa condizione non fosse rispettata, gli investitori potrebbero trarre profitto da operazioni di
arbitraggio. L’arbitraggio è diverso dalla speculazione, perché la speculazione determina un profitto a causa
delle variazioni di prezzo nel tempo, l’arbitraggio invece determina un profitto da differenze di profitto
nello spazio (cioè fra diversi paesi) allo stesso momento. Dal momento che i mercati di oggi sono integrati,
l’arbitraggio è molto difficile da mettere in pratica.
(et+1 – et) / et è il tasso di crescita, cioè il tasso di apprezzamento / deprezzamento della valuta domestica
rispetto a quella estera. Quindi, il tasso di interesse domestico è uguale al tasso di interesse straniero meno il
tasso di apprezzamento della valuta domestica (o il tasso di deprezzamento della valuta straniera).
➽ Ipotizzando ora che entrambi i tassi di interesse siano al 2% e il tasso di cambio EUR/USD è 1,
immaginiamo che la BCE aumenti il tasso di interesse al 5%.
Ciò significa che il rendimento dei bond italiani aumenta. Nel mercato finanziario succede che, se il tasso
di cambio non varia, i bond italiani sono molto più convenienti rispetto a quelli americani. Possiamo
immaginare che ci sia un flusso finanziario verso i bond italiani, perché gli investitori statunitensi
venderanno i titoli statunitensi e acquisteranno quelli italiani. Questo comporta un aumento nella domanda
della moneta italiana, perché gli investitori statunitensi dovranno vendere dollari per acquistare euro.
Siccome i tassi di cambio sono flessibili, variano in base alla domanda e all’offerta, e quindi più aumenta la
domanda, più la moneta si apprezzerà.
La moneta si apprezzerà del rapporto tra tasso di rendimento dell’euro e tasso di rendimento del dollaro,
il tutto moltiplicato per il tasso di cambio iniziale: et+1 = (rIT/rUS) x et.
Quindi nel nostro caso: et+1 = (1,05/1,02) x 1 = 1,03.
L’euro si è apprezzato del 3% rispetto al dollaro. Cioè, fino al punto in cui compensa il differenziale di
rendimento: 5% - 2% = 3%.
I differenziali di rendimento comportano sempre un apprezzamento della valuta, perché data una valuta che
comporta rendimenti più alti, questa si apprezzerà, rendendo sfavorevoli i cambi di valuta e riportando il
tutto alla situazione iniziale.
La condizione di parità di rendimento non si basa tanto sul tasso di cambio al tempo t+1, ma
sull’aspettativa degli operatori finanziari su quale sarà il tasso di interesse al tempo t+1.
L’euro si apprezza in maniera immediata in base all’aspettativa. La variazione del tasso di interesse
determinerà una variazione delle aspettative e una variazione delle aspettative comporterà una variazione del
tasso di cambio al tempo t+1.
Nel mondo reale, tuttavia, i tassi di interesse dei paesi sono diversi per due motivi:
1. tasso di policy fissato dall’autorità monetaria vigente
2. rischio associato ai titoli. Più è alto il rischio percepito, maggiore è il tasso di interesse, questo perché il
rischio è proprio ciò che permette la remunerazione e se il rischio di non ricevere indietro il denaro è alto, il
tasso di interesse dev’essere alto.
Nelle condizioni della bilancia dei pagamenti, si può dire che il conto corrente è funzione di reddito
nazionale, reddito estero, tasso di cambio. Il conto capitale invece dipende dal differenziale dei tassi di
interesse e dalla variazione dei tassi di cambio (trascurabile nel breve periodo).
Se ragioniamo sul modello IS-LM, abbiamo visto che un incremento del reddito nazionale peggiora la
bilancia commerciale. L’aumento del reddito però comporta un aumento del tasso di interesse, che attira
investimenti esteri e migliora il conto capitale. Questo è il meccanismo che mantiene in equilibrio la
bilancia dei pagamenti.