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La lingua animale
O ik h IHIhm S tu d io
Q u o d lib e t S tu d io
F ilosofia e politica
Paolo Vignola
La lingua animale
Deleuze attraverso la letteratura
Quodlibet
Prima edizione: gennaio 2 0 1 1
© 2 0 1 1 Quodlibet s.r.l.
V ia Santa M aria della Porta, 43 - 6 2 10 0 M acerata
ww w.quodlibet.it
Stampa: G rafica Editrice R om ana, Rom a
ISBN9 7 8 -8 8 -7 4 6 2 -3 6 3 -1
Indice
9 A vvertenza
11 Introduzione
23 I. La lingua e l’animale
25 F u ori dove?
28 Proust e l’ im m agine del pensiero
36 F ilo so fia, arte, letteratura
40 Balbettare e divenire della lingua
45 Deleuze e il divenire anim ale
16 7 B ib lio grafia
Q uando Bousquet p arla della verità eterna della ferita, è in nom e di
una ferita personale ab om inevole, che egli p orta nel suo corpo.
Q uando Fitzgerald o L o w ry parlano di questa incrinatura m etafisi
ca in corporea, quan do vi tro van o in essa il lu o go e l’ ostacolo del
loro pensiero, la fonte e il prosciugam ento del loro pensiero, il senso
e non senso, ciò accade con tutti i litri di alcool che hanno bevuto,
che hanno effettuato l’incrinatura nel corpo. Q uando A rtau d parla
d ell’ erosione del pensiero com e di qualche cosa di essenziale e di
accidentale a un tem po, radicale im potenza e nondim eno alto pote
re, è già dal fondo della schizofrenia. C iascuno rischiava qualcosa,
quanto più lontano in tale rischio e ne trae un diritto im prescrivibi-
le. C o sa rim ane al pensatore astratto quando dà consigli di saggez
za e di distinzione? A llo ra, parlare sem pre della ferita d i Bousquet,
dell’ alcolism o d i Fitzgerald e di Low ry, della follia d i Nietzsche e di
A rtaud, rim anendo sempre alla riva? D iventare professionista di tali
chiacchiere? A u gu rarsi soltanto che coloro che fu ron o colpiti non
sprofondino troppo? Fare delle ricerche e num eri speciali? O ppure
andare di persona a vedere un p o ’ , essere un p o ’ alcolizzato, un p o ’
folle, un p o ’ suicida, un p o ’ guerrigliero, abbastanza per allungare
l’in crinatu ra, m a non tro pp o per non ap p rofon d irla in m odo irri
m ediabile? O vunque ci si volti, tutto sem bra triste. In verità, come
restare alla superficie senza perm anere sulla riva? Com e salvarsi sal
van do la superficie e tutta l’organizzazione di superficie, com preso
il linguaggio e la vita? C om e giungere a questa po litica, alla gu erri
glia com pleta?
G . D eleuze
A vvertenza
3 Ivi, p. 16 .
4 Ivi, p. 2 3.
5 Esiste un sommario molto preciso e dettagliato riguardo a tutti gli scrittori citati da Deleu
ze nel testo fondamentale per lo studio dei rapporti tra il filosofo francese e la letteratura, pro
dotto dall’equipe di ricerca «Passages X X -X X I» ; cfr. B. Gelas, H. M icolet (éd.), Deleuze et les
écrìvains. Littérature et pbilosophie, Cecile Defaut, Nantes 2007. Approffittando di questa
nota, colgo l’occasione per segnalare i testi in lingua francese che hanno permesso di appro
fondire la conoscenza del rapporto tra Deleuze e la letteratura: A. Sauvagnargues, Deleuze et
l’art, in La philosophie de Deleuze, Vrin, Paris 2004; P. Mengue, Lignes de fuite et devenirs
dans la conception deleuzìenne de la littérature, in A A .W ., C oncepts. Hors sèrie Gilles Deleu
ze 1 (éd. par S. Leclerque), SilsM aria, M ons 2003; Id., L e concepì de clinique dans l’esthétique
deleuzìenne, in B. Gelas, H. M icolet (éd.), Deleuze et les écrivains, cit.; Id., L e concepts de “ cli
nique” dans l’oeuvre de Gilles Deleuze, «Paphiers du College International de Philosophie»,
29, 1996. Per quanto riguarda Mengue, si può considerare il presente lavoro come un confron
to assieme riconoscente - per la profondità d’analisi - e critico delle sue posizioni, come emer
gerà soprattutto negli ultimi due capitoli. Segnalo anche due testi, in lingua anglosassone, utili
per una ricognizione del rapporto tra Deleuze e la letteratura: I. Buchanan, J . M arks (dir.),
Deleuze and Literature, Edinburgh University Press, Edinburgh 2 0 0 1; R . Bogue, Deleuze on
literature, Routledge, N ew York-London 2003. In lingua italiana, da menzionare è U. Fadini,
Le mappe del possibile. Per un’estetica della salute, Clinamen, Firenze 2007.
6 Cfr. D. Carlat, Portrait de l’écrivain selon G illes Deleuze, in B. Gelas, H . M icolet (éd.),
Deleuze et l’écrivains, cit., p. 17 7 .
INTRO D UZIO NE 13
9 G. Deleuze, L ’im m anence: une v ìe ..., «Philosophie», 47, 19 9 5 , pp. 3-7; trad. it. di G.
Passerone, Im m anenza: una v ita ..., «Futuro Anteriore», III-IV, 19 9 5 , ora in M . Guareschi,
G illes Deleuze pop-filosofo, Shake, M ilano 2 0 0 1, pp. 1 3 8 - 1 4 2 .
10 G. Deleuze, Pourparler, trad. it. di S. Verdicchio, Quodlibet, M acerata 2000, p. 1 3 5 .
11 M . Foucault, E rm eneutica d el soggetto, trad. it. di M . Bertani, Feltrinelli, M ilano
200 3, p. 209.
G. Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 16 .
13 J.-M .G . Le Clézio, H ai, citato in G. Deleuze, Crìtica e Clinica, cit., p. 16 .
INTRO D UZIO NE
15
“ l’impresa” propria alla letteratura è un’avventura della salute, per cui que-
st’ultima giunge a dimostrarsi nello scrittore come «un’irresistibile salute
precaria che deriva dall’aver visto e sentito cose troppo grandi, troppo forti
per lui, irrespirabili»14. È nel viaggio di ritorno dal piano d’immanenza,
«da ciò che ha visto e sentito», che «lo scrittore torna con gli occhi rossi, i
timpani perforati»15 e può offrirci, su un piatto d’argento, la sua salute.
Tale offerta rappresenta il raggiungimento di una salute impersonale o,
meglio, «più che personale» poiché può venire trasmessa, invadere una cer
chia di persone, una generazione, un “ popolo” . È, letteralmente, una salu
te contagiosa, che passa attraverso i fogli del libro e non esaurisce il pro
prio siero vitale nemmeno dopo secoli dalla scomparsa dello scrittore.
E il filosofo? N on può, anch’egli, trasmettere questa salute «più che
personale» ai suoi lettori? N on è lui a instaurare il piano d’immanenza
indispensabile alla creazione dei concetti? N on necessariamente da solo,
e comunque non è detto che sappia spingersi così in là nell’avventura
della salute, che rappresenta sempre un pericolo per lo stesso pensiero. Il
filosofo deve semmai divenire scrittore, attraverso un «atletismo affetti
vo» che ecceda «gli stati percettivi e i passaggi affettivi del vissuto», per
poter vedere il piano d’immanenza nella sua crudeltà ed individuare «la
Vita nel vivente o il Vivente nel vissuto»16:
Proprio perché il piano d’immanenza è prefilosofico e non opera già con con
cetti, esso implica una sorta di sperimentazione a tentoni e il suo tracciato ricor
re a dei mezzi poco confessabili, poco razionali e ragionevoli: come il sogno, i
processi patologici, le esperienze esoteriche, l’ebbrezza o gli eccessi. Si corre
all’orizzonte, sul piano d’immanenza; se ne fa ritorno con gli occhi arrossati,
anche se sono gli occhi dello spirito. Persino Descartes ha il suo sogno. Pensare
significa sempre seguire una linea magica: ad esempio il piano di immanenza di
Michaux, con le sue velocità e i suoi movimenti infiniti, furiosi17.
Lo scrittore cavalca una linea di fuga più folle e più sublime di quella del
filosofo, portandosi oltre il limite della ragione o i confini del concetto, lad
dove il piano di immanenza deve ancora sedimentarsi e mostra la sua natu
ra prefilosofica. Nondimeno, scrivere è pensare, e ciò va inteso nel senso più
filosofico del termine: fa parte della creazione di concetti e dell’instaurazio
ne del piano d’immanenza. Ora, la linea “ magica” è per Deleuze la linea del
divenire, una linea di fuga stregonesca che conduce alla perdita dell’identi
14 Ibid.
15 Ibid.
16 G . Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filo so fia f, trad. it. di A . De Lorenzis, Einaudi,
Torino 2002., p. 1 7 1 .
17 Ivi, p. 32.
16 LA LINGUA ANIMALE
tà e al punto limite del pensiero: «non si pensa senza diventare altro, qual
cosa che non pensa, una bestia, un vegetale, una molecola, una particella,
che ritornano sul pensiero e lo rilanciano»18. Gli stregoni, in quanto attori
e mediatori del divenire, sono i «personaggi concettuali» della filosofia di
Deleuze e Guattari o, il che è praticamente lo stesso, i loro alter ego. Abi
tanti dei confini, «gli stregoni hanno sempre occupato la posizione anoma
la, alla frontiera dei campi o dei boschi»19 e praticano forme di alleanza con
quegli animali che, a loro volta, si situano alle estremità del loro gruppo, sul
bordo della pericolosa vicinanza con l’uomo. Una vicinanza pericolosa tanto
per l’animale quanto per l’uomo, poiché conduce a contagi inauditi in cui
«l’io non è che una soglia, una porta, un divenire»2·0 che attraversa le fibre
di un Universo in continua deterritorializzazione, «dalle urla animali fino ai
vagiti degli elementi e delle particelle»11 . Cosa significa, nella prospettiva di
Deleuze e Guattari, che «lo scrittore è uno stregone perché scrivere è un dive
nire, [...] divenire topo, divenir-insetto, divenire-lupo...»?11 Questa doman
da, se per un verso ci riporta al tema della salute impersonale e ci conduce
verso la capacità dello scrittore di estrarre gli affetti e i percetti dal proprio
vissuto, in un altro senso rende conto del metodo utilizzato dagli autori di
Mille piani nel comporre il proprio sistema di pensiero.
Se Deleuze e Guattari vedono nello stregone l’agente dell’alleanza-con-
tagio che permette i divenire dell’uomo e dell’animale, è attraverso gli scrit
tori che essi introducono il concetto, propriamente filosofico, di «divenire
animale». Così, se «Virginia Woolf non si vive come una scimmia o un
pesce, ma come una carrettata di scimmie, un banco di pesci, secondo un
rapporto di divenire variabile con le persone che avvicina»13, «Hofman-
nsthal, o piuttosto Lord Chantos, resta affascinato davanti a “ un popolo di
topi” che agonizzano, e in lui, attraverso lui, negli interstizi del suo Io scon
volto, “ l’anima dell’animale mostra i denti al destino mostruoso” : non pietà,
ma partecipazione contro natura»14; o ancora «Lawrence, nel suo divenire-
tartaruga, passa dal dinamismo animale più ostinato alla pura geometria
astratta delle squame e delle “ sezioni” , senza tuttavia perdere nulla del dina
mismo: spinge il divenire-tartaruga fino al piano di consistenza»15.
Il divenire-animale non è però una semplice suggestione e non riguar
da unicamente la letteratura, anche se è attraverso essa che Deleuze e
18 Ibid.
19 G . Deleuze, F. G uattari, M ille piani, cit., p. 3 5 1 .
20 Ivi, P- 3 5 5-
11 Ivi, p. 354 .
1Z Ivi, p . 34 4 ·
13 Ivi, p . 34 3 -
14 Ivi, p . 34 4 ·
15 Ivi, p. 3 5 7 -
IN TRO D UZIO N E 17
Guattari si permettono di effettuare un’incursione nella storia naturale,
per descrivere i rapporti tra animali - ivi compreso l’uomo - non più uni
camente attraverso le forme di analogia della serie e della struttura. La
natura che M ille piani descrive non è più sotto il segno della mimesis ma
assume i tratti della produzione di alleanze tra gli esseri; questo è il senso
“ universale” del divenire, che non deve essere inteso come imitazione,
analogia, corrispondenza o identificazione, ma come «alleanza con l’ano
malo». «Ogni animale ha il suo anomalo» ed «è sempre con l’anomalo,
M oby Dick o Giuseppina [la topolina cantante di Kafka], che si fa alle
anza per divenir-animale»2·6.
L’Anomalia è la nozione fondamentale che permette a Deleuze, insieme
a Guattari, di sviluppare il concetto di divenire e, in maniera più esplicita,
di divenire-animale. Riprendendo le tesi di Canguilhem e, in una certa misu
ra, quelle di Geoffroy Saint-Hilaire, che costruiscono una teoria della “ nor
matività vitale” in cui l’anomalia è definita come un fenomeno di variazio
ne individuale necessario alla dinamica stessa della vita, la mossa di Deleu
ze e Guattari consiste nel definire l’anomalo come figura particolare, di con
fine, appartenente ad ogni gruppo animale. In questo senso Deleuze invita
a pensare l’animale esclusivamente come una molteplicità, nel senso che
«ogni animale è innanzitutto una banda, una m uta»27. Tale esperimento,
che consiste nell’individuare una molteplicità di topo “ dietro” ad un topo,
una moltitudine di mosche “ dietro” ad una mosca, ha l’obiettivo prelimi
nare di porre il singolo essere umano di fronte ad un’alterità incontrollabi
le, possente, affascinante e contagiosa. Ed è proprio il contagio ad interes
sare Deleuze nel rapporto tra uomini, animali e vegetali:
il contagio, l’ epidem ia m ettono in gioco term ini com pletam ente eterogenei: per
esem pio, un uom o, un anim ale e un batterio, un virus, una m olecola, un m icro-
organism o. [...] C om binazioni che non sono né genetiche né strutturali, interregni,
partecipazioni contro natura, m a la N atu ra procede solo così, contro se stessa. [...]
L’ U niverso non fu nziona per filiazione. Q uindi diciam o soltanto che gli anim ali
sono delle mute e che le mute si form ano, si sviluppano per con tagio28.
16 Ivi, p. 348.
17 Iv i, p- 3 4 3 ·
18 Ivi, p. 346.
19 Cfr. ivi, pp. 3 4 8 - 3 5 1.
i8 LA LINGUA ANIMALE
30 G . Deleuze, F. Guattari, Kafka. Per una letteratura minore, trad. it. di A. Serra, Quo
dlibet, M acerata 19 9 6 , pp. 2.3-24.
INTRO D UZIO NE 19
e le sue am biguità. I rischi sono sem pre presenti, la possib ilità di salvarsi sempre
possib ile: in ogni sin golo caso si dirà se la linea è consistente, cioè se gli eteroge
nei fu n zion an o effettivam ente in una m olteplicità di sim biosi, se le m olteplicità
si trasfo rm an o effettivam ente nei divenire di p assag g io 31.
M iller diceva di trovarla in qualunque m olecola, nelle fibre nervose, nei fili della
tela del ragno. Può essere la terribile lenza per la balena di cui p arla M elville in
M oby D ick, che può travolgerci e strangolarci quando si srotola. Può essere la linea
di droga per M ich au x [...]. Possono esser le linee di un pittore, com e quelle di K an-
dinsky o quelle di cui m uore Van G ogh . [...]. E la linea del fu ori [...] questa linea
m ortale, troppo violenta e tro ppo rapida, ci trascina in un’ atm osfera irrespirabile.
[...] Bisognerebbe oltrepassare la linea e con tem poraneam ente renderla vivibile,
praticabile, pensabile. Farne per quanto possibile e fin tanto che è possibile un’ ar
te di vivere. [ _J Q uesto è un tem a che appare di frequente in Foucault: si deve riu
scire a piegare la linea per costituire una zona vivibile in cui sia possibile abitare,
fronteggiare, appoggiarsi, respirare - in una p aro la, pensare, ripiegare la linea per
riuscire a vivere su di essa, con essa: questione di vita o di m orte. [...] N o n si deve
credere che la soggettivazione, vale a dire l’ operazione che consiste nel piegare la
linea del fuori, sia semplicemente una m aniera di proteggersi, di mettersi al riparo.
A l contrario, è il solo m odo di affrontare la linea e di cavalcarla33.
La lingua e l’animale'
‘ Questo capitolo, nella sua prima stesura, è stato pubblicato sul «Bollettino Telemati
co di Filosofia Politica» (ww w.bfp.sp.unipi.it), dicembre 2009, con il titolo L a lingua e l’ani
male. Politiche della letteratura in D eleuze (http://purl.org/hj/bfp/242).
2-4 LA LINGUA ANIMALE
1 Cfr. F. Zourabichvili, Deleuze. Una filosofia dell’evento, trad. it. di F. Agostini, Ombre
Corte, Verona 19 9 8 , p. 27.
2 Cfr. G. Deleuze, Pourparler, cit., p. 1 2 1 .
I. LA LINGUA E L’ANIM ALE 2-5
Fuori do ve?
3 Cfr. G. Deleuze, Foucault, trad. it. di P. A. R ovatti e F. Sossi, Cronopio, N apoli 2002,
p. 12 4 ; «se una forza è sempre in rapporto con altre, le forze rinviano necessariamente a
un fuori irriducibile, senza più forma e costituito da distanze non scomponibili attraverso
le quali una forza agisce su un’ altra o è agita da un’ altra», ivi, p. 1 1 6 .
4 Cfr. E. Bazzanella, Il ritornello, la questione del senso in D eleuze-G uattari, Mimesis,
M ilano 20 0 5, p. 94.
5 M . Foucault, Il pensiero del fuori, in Id., Scritti letterari, Feltrinelli, M ilano 1 9 7 1 , p. 1 1 2 .
6 Ibid.
7 Ivi, p. 1 1 3 .
8 Ibid.
26 LA LINGUA ANIMALE
A p ren d o a caso un testo di N ietzsche, ci acco rgiam o che per la prim a vo lta
non si p assa più attraverso una in teriorità, dell’ anim a o della coscienza, dell’ es
senza o del con cetto, che sono sem pre stati il p rin cip io della filo so fia . L o stile
della filo so fia è determ inato dal fatto che il rap p o rto con l’esterno risulta sem pre
m ed iato e d isso lto da una in terio rità, in una in te rio rità. N ietzsch e per con tro
fo n d a il pensiero e la scrittura su un rap p o rto im m ediato con il fu ori. [...] O ra,
innestare il pensiero sul fuori è quanto i filosofi non hanno m ai fatto, anche quan
do p arlavan o di politica, anche quan do p arlavan o di passeggiate o di aria p u r a ^ .
La questione del rapporto con il “ fuori” può essere vista come un com
pito di resistenza16, una dinamica, cioè, di sottrazione al discorso filosofi-
co che, per sua natura, tende ad omologare e assimilare nell’essenza, nel
concetto, nelPinteriorità dell’anima, nelle pretese di verità del discorso o
nel principio dell’unità ogni espressione del pensiero. Il fuori di cui parla
Deleuze non ha mai preteso di situarsi inesorabilmente all’esterno della filo
sofia, poiché consapevole che nessun punto di vista “ altro” rispetto alla
filosofia è mai riuscito a incrinare il potere omologante di quest’ultima: «il
fuori della filosofia è già sempre al suo interno, è già sempre un dentro»17.
ro e delle esistenze. In tal senso, per il marxismo sarà tramite una rielaborazione dello Stato
che il pensiero e l’esistenza potranno “ rinascere” o “ guarire” , mentre per il freudismo sarà la
fam iglia e l’ analisi delle sue implicazioni inconsce il perno di questo lavoro, per così dire,
“ sanitario” . N o n sarebbero direttamente M a rx e Freud a provocare tali burocrazie, ma piut
tosto il divenire delle loro teorie, il loro svilupparsi all’interno della società novecentesca. Il
pensiero e la scrittura di Nietzsche invece non darebbero luogo a un -ism o tale da cristalliz
zarsi in una nuova codificazione, poiché il suo obiettivo sarebbe quello di trasmettere un senso
- necessariamente plurale - che non si lascerà mai codificare. Cfr. G. Deleuze, Pensiero nom a
de, in Id., Nietzsche e la filosofìa, trad. it. di F. Sossi, Feltrinelli, M ilano 19 9 2 , p. 3 1 1 .
'5 Ivi, pp. 3 1 4 - 3 1 5 .
16 Cfr. F. Polidori, Fuori della filosofia, in A A . W ., I l secolo deleuziano, M im esis, M ila
no 19 9 7 , p. 16 9 .
17 Ivi, p. 16 7 .
28 LA LINGUA ANIMALE
18 Ivi, p. 17 2 .
19 Q uesta è la tesi di D ifferen za e ripetizione, nel corso della sua carriera filosofica
Deleuze avrà m odo di approdare ad una nuova definizione dell’ immagine del pensiero,
quella del rizoma e del piano d’ immanenza.
10 G. Deleuze, Segni ed eventi (intervista di R . Bellour e F. Ew ald), trad. it. di H . Giuli,
in A A .V Y , Il secolo deleuziano, cit., p. 37.
11 «Il pensiero concettuale filosofico ha come presupposto implicito un’immagine del
pensiero, prefilosofico e naturale, tratta dall’elemento del senso comune [...] e su questa
immagine ognuno sa, si presuppone sappia, cosa significa pensare», G. Deleuze, D ifferen
za e ripetizione, trad. it. di G . Guglielmi, Cortina, M ilano 19 9 7 , pp. 2 1 4 - 2 1 5 .
21 Cfr. ivi, pp. 1 7 2 - 1 7 3 . Deleuze individua otto postulati che reggerebbero questa imm
gine: il postulato I riguarda l’esistenza di un pensiero universale; il postulato II rileva il buon
senso come determinazione del pensiero puro; il postulato III riguarda l’esercizio concor
dante di tutte le facoltà della ragione su di un oggetto supposto identico a sé; il postulato
IV, che è quello che più ci interessa, è quello della rappresentazione o della subordinazione
di ogni differenza a ll’ identità mediante il quadruplice giogo dello Stesso, del Simile, del-
l’A nalogo e dell’ O pposto; il postulato V concepisce il negativo nel pensiero come F«erro-
re»; il postulato V I sancisce il prim ato della designazione, come direttamente in contatto
I. LA LINGUA E L’ ANIMALE 29
con la verità, sull’espressione; il postulato V II prevede un telos implicito nel pensare, ossia
l’adeguazione dei problemi dati a risposte e soluzioni, così come il postulato V ili prevede
il “ sapere” come risultato del pensiero. L’intero capitolo III di D ifferenza e ripetizione è
consacrato alla descrizione e alla messa in questione degli otto postulati.
13 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, cit., p. 1 5 5 .
14 Ivi, p. 1 6 1 .
30 LA LINGUA ANIMALE
st’ultimo: «un aforisma è uno stato di forze, l’ultima delle quali, la più recen
te, la più attuale e la provvisoriamente ultima è sempre la più esterna»25.
Nella lettura deleuziana, Nietzsche conferisce alPaforisma una potenza
intensiva, creando un dispositivo di pensiero in grado di sottrarsi alla rap
presentazione e che, mediante l’utilizzo di nomi propri - Cristo, l’Anti-Cri-
sto, Cesare, Borgia, Zarathustra, Dioniso, ecc. - riesce a far passare un lin
guaggio inaudito dalla filosofia, avente direttamente a che fare con i vissu
ti di un’intera umanità, in maniera tale da formare un “ nuovo corpo” , non
più individuale ma collettivo, «una specie di zattera della M edusa, con
bombe che cadono tutto intorno, la zattera che va alla deriva, verso ruscel
li sotterranei congelati o verso fiumi torridi, l’Orinoco, il Rio delle Amaz
zoni, con persone che remano assieme, persone che non devono per forza
amarsi, che si battono, che si mangiano»16; questo è il senso della meravi
gliosa affermazione di Nietzsche «io sono tutti i nomi della storia»27, ossia
il principio di quel che Deleuze definisce “ nomadismo” .
Un’altra considerazione riguardante il Nietzsche di Deleuze, in rappor
to all’immagine del pensiero, concerne “ il senso dell’idea” , il quale non con
siste tanto nel contenuto proposizionale o nel suo valore referenziale, quan
to nel tipo di affetti che l’idea è in grado di liberare. Ciò vuol dire che le idee,
come le forze, possono essere attive o reattive, nobili o basse - e non tanto
“ vere” o “ false” - a seconda del loro potere di affermazione e di gioia sulle
forze nichilistiche di negazione. Il senso di un’idea dipende allora dalla gerar
chia di forze che intervengono nel pensiero; per questo, le categorie che
Nietzsche utilizza non saranno il vero e il falso bensì l’alto e il basso - altri
menti detti “ il nobile” e “ il vile” . Piuttosto che un modo vero o falso di pen
sare, Nietzsche mostra dunque le altezze e le bassezze del pensiero. Ora, tra
la bassezza e l’errore cambia totalmente il punto di vista - così come tra l’al
tezza e la verità - , poiché il modo basso di pensare, a differenza dell’errore
o della verità, deve essere visto sempre in relazione all’epoca in cui viene
espresso. L’obiettivo per Nietzsche non è quello di adeguare il proprio pen
siero alla sua epoca attuale, ne risulterebbe infatti un modo mediocre e gre
gario di pensare; bensì quello di partorire un pensiero per l’a venire. L’im
magine del pensiero nietzscheana può essere ritrovata allora nella freccia
scagliata da un pensatore, magari non (del tutto) compreso nella sua epoca,
e raccolta da un altro in un’epoca successiva28.
15 Ivi, pp. 3 1 5 - 3 1 6 .
16 Ivi, p. 3 1 4 .
27 F. Nietzsche, “ Lettera a Burckhardt, 6 Gennaio 1 8 8 9 ” , in Carteggio Nietzsche-Bur-
ckhardt, Boringhieri, Torino 1 9 6 1 .
28 Cfr. F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, trad. it. di S. Giam etta, F. M ontinari,
in O pere, Adelphi, M ilano 19 6 4 , voi. Ili (II), p. 4 3 3 ; Id., L a filosofia all’epoca tragica dei
I. LA LINGUA E L’ANIMALE 31
greci (1), trad. it. di F. M asini, in O pere, cit., voi. Ili (I), pp. 2 .7 1-2 7 5 ; G. Deleuze, N ietz
sche e la filosofia, cit., p. 16 0 . Per quanto concerne l’immagine della freccia in Nietzsche e
in Deleuze, mi permetto di rinviare a P. V ignola, L e frecce di N ietzsche. C onfrontando
D eleuze e D errida, E C IG , Genova 2008.
29 Cfr. J . D errida, M argini della filosofia, trad. it. di M . Iofrida, Einaudi, Torino 19 9 7 ,
pp. 6 -10 .
30 Cfr. G. Deleuze, Pourparler, cit., pp. 18 8 -19 0 , 2 1 2 .
31 Cfr. G. Deleuze, Logica del senso, trad. it. di M . De Stefanis, Feltrinelli, M ilano 19 7 5 ,
pp. 1 3 3 - 1 3 7 ·
32 LA LINGUA ANIMALE
Forse è il gesto suprem o della filo so fia: non tan to pensare IL pian o di im m a
nenza, quan to m ostrare che esso è là, non pensato in ogni p ian o, pensarlo come
il fu o ri e il dentro del pensiero, il fu o ri non esterno o il dentro non interno. C iò
che non p u ò essere pen sato, e che tu ttavia deve essere pen sato, fu pensato una
vo lta, com e una vo lta si è in carn ato il C risto per m ostrare la possib ilità dell’im
p o ssib ile. Spinoza è q uindi il C risto dei filo s o fi, e i m ag g io ri filo so fi non sono
altro che degli apostoli che si allon tan an o o si avvicin an o a questo m istero47.
46 Ivi, p. 3 6.
47 Ivi, pp. 48-49.
48 Ivi, p. 38.
49 Ivi, p. 32.
36 LA LINGUA ANIMALE
I personaggi concettuali sono gli «eteronom i» del filo so fo , m entre il nom e del
filo so fo è il sem plice pseudonim o dei suoi personaggi. [...] Il person aggio concet
tuale non ha niente a che vedere con una personificazione astratta, con un sim
bolo o un’ allego ria, poiché vive, insiste. Il filo so fo è l’ id iosin crasia dei suoi per
sonaggi concettuali. Il destino del filo so fo è quello di diventare il p ro prio o i p ro
pri personaggi con cettu ali51.
I person aggi concettuali sono dei pen satori, unicam ente dei pensatori e i loro
tratti personalistici si ricon giu ngono ai tratti diagram m atici del pensiero e ai trat
ti intensivi dei concetti. [...] I concetti non si deducono dal p ian o , è necessario
che sia il p erson aggio concettuale a crearveli e a tracciare il pian o stesso52.
base alla quale le arti producono degli affetti di pietra e metallo, di corde
e di venti, di linee e di colori su un piano di composizione di universi»57.
Qual è dunque il reale apporto della letteratura nel pensiero di Deleu
ze? Per incominciare a rispondere a questa domanda occorre partire da
una considerazione generale. N ell’ottica deleuziana la letteratura, come
l’arte, è un modo di tagliare il caos, di stendere su di esso un piano di con
sistenza5® o di composizione, al fine di creare affetti e percetti. Deleuze
sottolinea come vadano distinti i concetti, la cui creazione è frutto del
l’inclinazione filosofica ad affrontare il caos mediante un piano d’imma
nenza, e i percetti e affetti, i quali sono primariamente l’oggetto del lavo
ro artistico. Tuttavia tra concetti e percetti, tra filosofia e arte, tra piano
di immanenza e piano di composizione, avvengono intersezioni utili tanto
all’artista quanto al filosofo. Si tratta dunque di incontri, di scambi, di
eventi del pensiero da tenere in massima considerazione nel fare filoso
fia. Ed è proprio quello che fa Deleuze quando si avvicina ai racconti di
K afka e alla Recherche di Proust, o quando prende a prestito, ulterior
mente sviluppandolo, il “ corpo senza organi” di Artaud:
L’arte e la filo so fia ritaglian o il caos e l’ affro n tan o , m a non è lo stesso pian o
di taglio, non è lo stesso m od o di p o p o larlo , da una parte costellazione di un iver
si o affetti e percetti, d a ll’altra com plessioni di im m anenza o concetti. L ’arte non
pensa m en o della filo so fia , m a pen sa p e r a ffetti e p erc etti59.
57 Ibid.
58 Cfr. ivi, in particolare: «Com posizione è la sola definizione dell’arte. La com posizio
ne è estetica e ciò che non è com posto non è opera d’ arte. N o n si deve tuttavia confonde
re la com posizione tecnica, lavorazione del m ateriale che fa spesso intervenire la scienza
[...] con la com posizione estetica, che è la lavorazione della sensazione», ivi, p. 19 3 .
59 Ivi, pp. 55-56 ; corsivo nostro.
6° Ivi, p. 2 0 1; «Il congiungimento dei tre piani (non l’unità) è il cervello [ma] la filosofia,
l’arte, la scienza non sono gli oggetti mentali di un cervello oggettivato, ma i tre aspetti a par
tire dai quali il cervello diventa soggetto, Pensiero-cervello, i tre piani, le zattere su cui si lan
cia nel caos e lo affronta», ivi, pp. 1 1 1 , 2 x 3; cfr. inoltre U. Fadini, Le mappe del possibile. Per
un'estetica della salute, cit., pp. 77-78: «Si può anche dire che la teoria dei piani (quella espli-
I. LA LINGUA E L’ANIMALE 39
Per affetti, percetti o sensazioni, Deleuze intende dei veri e propri esse
ri che, eccedendo qualsiasi tipo di vissuto, esistono in maniera autonoma,
ossia «ci sono anche in assenza dell’uomo, potremmo dire, perché l’uomo,
così come è stato colto nella pietra, sulla tela o nel corso delle parole, è egli
stesso un composto di percetti ed affetti. L’opera d’arte è un essere di sen
sazione e nient'altro: esiste in sé».61 L’affetto «è una zona di indetermina
zione, di indiscernibilità, come se cose, bestie e persone (Achab e M oby
Dick, Pentesilea e la cagna) avessero raggiunto rispettivamente quel punto
sempre all’infinito, che precede immediatamente la loro differenziazione
naturale»62·. Per questo l’affetto è «il divenire non umano dell’uomo»63:
L’artista, com preso il rom anziere, eccede gli stati percettivi e i p assaggi affe t
tivi del vissuto. E un veggente, un diveniente [...] ha visto nella vita qualcosa di
tro ppo grande, m agari di intollerabile, le angustie della vita e ciò che la m inaccia;
di conseguenza, lo scorcio di natu ra che egli percepisce, o i quartieri della città e
i loro personaggi si co n fo rm an o a una visione che com pon e attraverso di loro i
percetti di quella vita, di quel m om ento [ ...]. Si tratta sem pre di liberare la vita là
dove è prigion iera, o alm eno di p ro varci, in un com battim ento incerto67.
citata in M ille piani. Capitalismo e schizofrenia del 1980) è insieme una teoria delle forme per
cettive che si trasformano in figure dell’essere, in modalità di costituzione di nuove realtà. Que
sta inserzione ontologica, l’apertura di un’ ontologia costruttiva, viene per così dire “ soggetti
vata” nel momento in cui viene riferita al divenire del cervello, al suo singolarizzarsi nelle pra
tiche della filosofia, della scienza e dell’arte (“ forme del pensiero o della creazione” )».
61 G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’ è la filosofia?, cit., p. 16 8 .
61 Ivi, p. 1 7 3 .
63 Ivi, p. 17 2 .
64 Ivi, p. 17 0 .
65 Ivi, p. 17 6 .
66 K . R o ssi, L'estetica d i G illes D eleuze. Bergsonism o e fenom enologia a confronto,
cit., p. 19 8 .
67 Cfr. ivi, p. 309.
68 J . Rancière, D eleuze accom plit le déstin de Téstetique, «M agazine Literaire», 406,
2 00 2, p. 39 (trad. nostra).
40 LA LINGUA ANIMALE
sofo del divenire decide di esercitare in primo luogo nella dimensione lin
guistica e letteraria. Allora piuttosto che rappresentare, per Deleuze il gran
de compito dello scrittore risiederà nel costruire o inventare una nuova lin
gua - straniera, nomade, minoritaria - all’interno del linguaggio.
L a lotta per una soggettività m oderna passa attraverso la resistenza alle due forme
attuali di assoggettam ento, l’una che consiste nell’individuarci in base alle esigenze
del potere, l’altra che consiste nel fissare ogni individuo a una identità saputa e cono
sciuta, determ inata una volta per tutte. L a lotta per la soggettività si m anifesta allo
ra com e diritto alla differenza, e come diritto alla variazione, alla m etam orfosi74.
E allora con l’affiorare, nelle pagine dei libri, di questo popolo a veni
re che si registra la potenza di salute propria dello scrittore - anche quan
do egli stesso è malato o si sente tale - una salute generosa, perché assur
ge a una dimensione collettiva:
Per usare lo stesso lessico deleuziano, possiamo dire che Deleuze trovi
nella letteratura una linea di fuga capace di attraversare tematiche decisa
mente filosofiche. Bisogna però intendersi sul significato che la fuga ha in
Deleuze. Prendere una linea di fuga non significa fuggire dalla realtà o dalla
vita; non è un atto di rinuncia o di ritirata. Per Deleuze fuggire significa
semmai produrre del reale, concatenare desideri, creare vita. Una linea di
fuga è prima di tutto una strategia di resistenza, per la quale fuggendo si
tratta di cercare nuove armi al fine di resistere al presente e alle significa
zioni dominanti. La letteratura allora, quella di Kafka o di Melville, rap
presenta sicuramente un’arma nella mani di un filosofo che ha sostenuto
la considerazione secondo la quale «prima dell’essere c’è la politica».
79 Cfr. ivi, p. 1 4 1 .
80 Ibid.
44 LA LINGUA ANIMALE
L o scrittore si serve di p aro le, m a crea una sintassi che le traspone nella sen
sazione e che fa b albettare, trem are, gridare o anche cantare la lingua corrente:
è lo stile, il tono, il lin gu aggio delle sensazioni o della lingua straniera nella lin
gua, quella che sollecita un p o p o lo fu turo [...]. L o scrittore torce il linguaggio, lo
fa vibrare, lo condensa, lo fende, per strappare il percetto alle percezioni, l’ affe t
to alle affezion i, la sensazione all’ opinione - in vista, si spera, di questo p o p o lo
che ancora m an ca81.
Deleuze e il divenire-animale
I divenir-anim ali non sono sogni né fan tasm i. So no perfettam ente reali. M a
di quale realtà si tratta? Perché, se divenire anim ale non consiste nel fare l’ an i
m ale o nell’ im itarlo , è o v v io anche che l’ uom o non diviene «realm ente» anim ale
più di q uan to l’ anim ale n on diventi «realm ente» qualche cosa d’ altro. Il d iveni
re non produce nient’ altro che se stesso. [...] A d essere reale è il divenire stesso,
il blocco di divenire, e non l ’ insiem e dei term ini che si p resu ppon gon o fissi e per
i quali passerebbe colui che diviene. Il divenire può e deve essere qualificato com e
divenire anim ale senza avere un term ine che sarebbe l’ anim ale divenuto. Il d ive
nire anim ale dell’ uom o è reale, benché non sia reale l’ anim ale che egli diviene®4.
invece come la teoria della Umivelt rinvìi, piuttosto che a un mondo pro
prio - e dunque chiuso, impermeabile - , all’idea di territorio. Ora, la pecu
liarità del territorio, per Deleuze, non è solo quella di essere un ambiente
retto da codici ma anche quella di permettere scambi, ibridazioni e dunque
modificazioni interne: «ogni territorio ingloba o ritaglia territori di altre
specie, o intercetta tragitti di animali senza territorio, formando delle giun
ture intraspecifiche»91. Inoltre, è a partire dall’idea di territorio che può
essere compresa l’arte, la quale in questa prospettiva non appare come
appannaggio esclusivo delPumanità, bensì come creazione-trasmissione di
affetti e percetti, emissione di segni da parte di corpi - non necessariamen
te umani - che si rapportano a un territorio difendendolo, mostrandolo, ri
creandolo, uscendone o semplicemente abitandolo. Perciò Deleuze può
affermare che «l’arte comincia forse con l’animale, almeno con l’animale
che ritaglia un territorio e fa una casa»92. Ciò che permette all’animale di
“ inaugurare” l’arte, nel momento stesso in cui realizza il proprio habitat,
sarebbe il territorio stesso, in quanto «implica l’emergenza di qualità sen
sibili pure, sensibilità che smettono di essere unicamente funzionali e diven
tano dei tratti di espressione»93. Ogni territorio infatti, e dunque ogni habi
tat, non definisce, congiungendole, soltanto le proprie coordinate spazio
temporali (che potremmo definire quantitative) ma anche i suoi piani sen
sibili o qualitativi·, «per esempio una postura e un canto, un canto e un
colore, dei percetti e degli affetti»94.
L’arte è quindi già presente nel momento in cui un territorio, median
te posture, suoni o colori, appare. Vi è un’eccedenza delle qualità sensibi
li rispetto al loro “ com pito” funzionale, eccedenza che caratterizza tanto
gli uomini quanto gli animali; infatti questi ultimi «non hanno solamente
colori e suoni, ma non aspettano il pittore o il musicista per farne una pit
tura, una musica, cioè per entrare in divenire-colori e divenire-suoni deter
minati attraverso componenti di deterritorializzazioni»95. Rimanendo su
questo piano “ territoriale” e di protagonismo animale, Deleuze afferma
anche che «la musica non è il privilegio dell’uomo: [...] la questione della
musica è quella di una potenza di deterritorializzazione che attraversa la
natura, gli animali, gli elementi e i deserti quanto l’uom o»96.
L’arte - dalla pittura alla musica e alla letteratura - ha la funzione
essenziale di creare e trasmettere affetti (e percetti), ed è dunque il luogo
privilegiato entro il quale possano darsi i divenire. N ell’affetto, sorta di
D eleuze ci m ostra la lingua di K a fk a dilan iata dal p ig o lio di G reg o rio nella
M eta m o rfo si o quella di M elville tram ite la voce di basso di Isabelle in P ierre o
le a m b igu ità . M a la lin gu a di K a fk a o di M e lv ille resta la lin gu a com u ne, non
affettata dai tratti di ru m ore che essa descrive. D eleuze deve allo ra allegorizzare
questa in trovabile altra lingua, trasfo rm an d o in tratti im m agin ari della lingua i
tratti “ fictio n a li” presi dalla descrizione dei p erso n ag g i108.
111 Cfr. G . Simondon, L ’ individuazione psichica e collettiva, trad. it. di P. Virno, Der
veApprodi, Rom a 2006, pp. 1 0 1 - 1 2 4 . Simondon è un autore fondamentale per compren
dere diversi concetti deleuziani. Se sulla natura dell’affetto vi sono esplicite differenze tra i
due filosofi, il rapporto tra “ divenire” e “ affetto ” presenta invece forti affinità, al punto
che l'espressione sim ondoniana «l’affetto è l’ indice del divenire» (ivi, p. 1 2 1 ) suggestiona
sicuramente il Deleuze di L o gica della sensazione quando afferma che «la carne è il termo
metro del divenire».
II.
Traversata oceanica
del pensiero che può quindi aiutare il filosofo - e nel caso deleuziano sicu-
ramente lo ha fatto - nella creazione di concetti.
La letteratura francese, salvo alcuni esempi che peraltro risultano
anch’essi fondamentali alla crescita filosofica di Deleuze - Proust tra tutti
- , di fronte alla “ collega” inglese e a quella americana sembra fare, agli
occhi del professore parigino, la figura della filosofia platonica, di quel
la soggettivistica o dello strutturalismo. Insomma di tutto ciò che Deleu
ze, nel corso della sua carriera filosofica, ha cercato di contrastare o supe
rare. Quando Deleuze afferma che gli scrittori francesi «amano troppo
le radici, gli alberi, il catasto, i punti di arborescenza, la proprietà»7,
denuncia una forma di letteratura chiusa su se stessa, dominata dall’ im
pulso edipico a ricercare «il piccolo segreto che alimenta la mania di
interpretare» e non permette alla scrittura di fuoriuscire da una dimen
sione personale, ridotta il più delle volte a «uno sfrontato elogio della
nevrosi»8. N on è un caso dunque che in uno dei suoi ultimi testi Deleu
ze abbia tratteggiato la figura affascinante ed “ esotica” di un’America
filosofica esplorabile mediante la letteratura, in cui tutto sembra muover
si al fine di «liberare la vita».
Con-versare in (anglo)americano
7 Ivi, p . 44·
8 Ivi, p. 5 6.
9 Kenneth Surin, in un suo lavoro sull’ immagine deleuziana della “ geoletteratura” , sot
tolinea l’ arbitrarietà della distinzione tra letteratura anglo-am ericana e letteratura france
se, così come dell’elogio “ geofilosofico” alla filosofia americana, in quanto quella a cui fa
riferimento Deleuze è solo una frazione limitata e per giunta «ibridata con i suoi rom an
zieri», K. Surin, The D eleuzian Im agination o f Geoliterature, in I. Buchanan, J. M arks (dir.),
Deleuze and Literature, cit., p. 19 2 . Surin precisa che «i termini “ anglo-am ericana” e “ fran
cese” sono dei modi di dire, ed il loro senso e la loro salienza derivano dall’abilità del primo
[“ anglo-am ericana” ] e dall’inabilità del secondo [“ francese” ] ad inventare dei concatena
menti appropriati», ivi, p . 17 0 .
II. TRAVERSATA OCEANICA 57
deve essere inteso sempre come pensiero vitale, pensiero della vita, nel
duplice significato offerto dal genitivo.
Nel libro, firm ato assieme alla sua allieva Claire Parnet10, Deleuze
afferma in maniera chiara l’esistenza di un pensiero americano “ aperto”
e “ plurale” , pragmatista per virtù e contingenza, e ciò non senza rende
re omaggio a un suo maestro che avrebbe fatto da battistrada in questa
traversata (concettuale) oceanica, Jean Wahl:
A parte Sartre, che tuttavia è rim asto preso nelle trappole del verbo essere, il
filosofo più im portante in Fran cia era Je a n W ahl. N o n soltanto ci ha fatto incon
trare il pensiero inglese e am ericano, m a ha saputo farci pensare in francese su molte
cose nuove. Per proprio conto ha portato m olto lontano questa arte della E, que
sto balbettam ento del linguaggio in se stesso, questo uso m inoritario della lingua1 1 .
Bisognerebbe contrapporre il m odo con cui l’inglese e il tedesco form ano le p aro
le com poste, delle quali entram be le lingue sono ugualm ente ricche. Il fatto è però
che il tedesco è ossessionato dal prim ato dell’essere, dalla nostalgia dell’essere, e fa
tendere verso di esso tutte le congiunzioni di cui si serve per costruire una p aro la
com posta: culto del G rund, dell’ albero e delle radici, culto del D entro. A l contrario
l’inglese form a parole com poste il cui solo legame è una e sottintesa, rapporto con
il Fuori, culto della strada che non si infossa m ai, che non ha fondazioni, che fila alla
superficie, rizom a. Blue-eyed boy: un ragazzo, del blu e degli occhi - un concatena
mento. E ... E ... E, il balbettare. L’em pirism o non è altro che questo17.
della realtà possono avere tra esse delle relazioni puramente esteriori»18.
Commentando questa considerazione, Wahl può concludere che «per
quanto vasto sia l’essere considerato, c’è sempre un “ fuori” . N on c’è un
essere che contenga tutti gli altri, c’è sempre qualche cosa che sfugge, che
non vuole rientrare nel sistema»19. È qui allora che la linea di fuga deleu-
ziana può trovare una prima giustificazione teorica; è qui che la E come
relazione, come concatenamento, può fuggire dal monopolio dell’Essere.
La linea di fuga è precisamente movimento verso il fuori, ‘azzardo’ nel
l’esteriorità, e tale rischio è possibile solo in un mondo privo della necessi
tà interna del monismo razionalista20, in un mondo quindi pluralista,
«dominato dalla contingenza». Questa visione del «movimento verso il
fuori» è ciò che permette di affermare un realismo pluralista, che pensa la
realtà del mondo a partire dall’esteriorità delle relazioni, declinato nella
formula deleuziana del «credere al mondo»21; un mondo perennemente in
movimento, un mondo che è (in) divenire22. Credere al mondo è, seguen
do questo filo virtuale teso tra le due sponde dell’Atlantico, credere a delle
possibilità reali in un mondo incompleto23, in cui se vi è un Tutto esso è,
come in Bergson, aperto: «se si dovesse definire il tutto, lo si definirebbe
attraverso la Relazione. [...] Le relazioni non appartengono agli oggetti,
ma al tutto, a condizione di non confonderlo con un insieme chiuso di
oggetti»24. E la contingenza che ci forza a cambiare relazione - così come
a pensare. Per Deleuze, infatti, se il segno ci forza a pensare, esso «è l’og
getto di un incontro; ma è precisamente la contingenza dell’incontro che
36 Ivi, p. 83.
37 Cfr. M . Antonioli, G eo p b ilo so p b ie de Deleuze e G uattari, H arm attan, Paris 200 3,
P- 1 7 ·
38 La decostruzione della dicotom ia individuale/collettivo è una delle peculiarità delle
letterature minori, argomento trattato da Deleuze e Guattari in K afka. Per una letteratura
m inore, cit., pp. 29-35 e in M ., M ille piani, cit., pp. 1 2 7 - 17 0 , 200-206. Per quanto riguar
da la letteratura americana, cfr. in particolare G . Deleuze, Critica e clinica, cit., pp. 80, 97-
10 0 , 1 1 2 - 1 1 8 .
39 Ivi, p. 1 5 .
40 Deleuze fa riferimento al “ neutro” di Blanchot. Cfr. M . Blanchot, L ’infinito intrat
tenimento, trad. it. di R . Ferrara, Einaudi, Torino T977, p. 5 i r .
64 LA LINGUA ANIMALE
vidui si sfaldano davanti alla forza di flussi “ m oleco lari” - la forza del
divenire - per dar luogo a «individuazioni senza soggetto»41. Deleuze
cita, come caso esem plare, quello della scrittura di Thom as H ardy:
Ecco qui presentarsi il pericolo della linea di fuga, pericolo a essa intrin
seco e caratterizzato dalla tendenza all’autodistruzione e dalle conseguen
ze abom inevoli, fasciste o criminali. Deleuze stesso ammette che «la lette
ratura inglese e americana è effettivamente attraversata da un cupo proces
so di demolizione, che travolge lo scrittore»43. 1 personaggi della letteratu
ra anglo-americana am ata da Deleuze, e con essi gli stessi scrittori che sem
brano tracciare - e che tracciano effettivamente, ecco il problem a! - una
linea di fuga in grado potenzialmente di liberare la vita, cadono in buchi
neri senza via d’ uscita, costruiscono m acchine infernali di demolizione,
rim angono vittime del loro stesso tracciato di emancipazione.
Questo pericolo delle linee di fuga, l’ effettiva dem olizione che esse
hanno attuato, nei racconti e nella vita degli scrittori presi in esame da
Deleuze, è un autentico problem a che attraversa decenni di pensiero deleu-
ziano. Perché un filosofo che sceglie di votare il suo pensiero alla vitalità
nietzscheana e alla gioia spinoziana, è così attratto dai personaggi - reali o
frutto della letteratura -ch e intraprendono un percorso di autodistruzione
o di dem olizione, una linea di fuga m ortale? Cercherem o di rispondere
durante il corso del libro a questa dom anda che, sebbene cruciale per la
comprensione dell’intera filosofia deleuziana, non ha ricevuto una risposta
esplicita né da parte di Deleuze né dai suoi commentatori. Per il momento
è importante segnalare che Deleuze non voglia convincersi del fatto che «il
piano d’immanenza, il piano di consistenza, non possono proprio fare altro
che portarci ad una morte relativamente degna e non am ara» poiché «non
erano fatti per questo»44. Un primo elemento di riflessione e di riscossa può
Dove andate? Da dove partite? Dove volete arrivare? Sono domande davve
ro inutili. Fare tabula rasa, partire o ripartire da zero, cercare un inizio o un fon
damento, tutto questo implica una falsa concezione del viaggio e del movimento
[...] ma Kleist, Lenz o Büchner hanno un’altra maniera di viaggiare come di muo
versi, partire nel mezzo, per il mezzo, entrare e uscire, non cominciare né finire.
Ancora di più, è la letteratura americana, e già quella inglese, che hanno manife
stato questo senso rizomatico, hanno saputo muoversi tra le cose, instaurare una
logica dell’E, rovesciare l’ontologia, destituire il fondamento, annullare inizio e
fine. Hanno saputo fare una pragmatica. Perché il mezzo non è affatto una media,
al contrario è il luogo dove le cose prendono velocità46.
45 Ibid.
46 G. Deleuze, F. Guattari, M ille piatii, cit., pp. 6 1-6 2.
47 G. Deleuze, Prefazione all’edizione americana di “ C oncersazioni", cit., p. 2.51.
48 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 62.
45 Ivi, pp. 62, 64.
66 LA LINGUA ANIMALE
passarci, com e sem bra in contin uazione dirci D eleuze, e se nella fuga
«non si tratta di fuggire la vita ma di cercare nuove arm i», è necessario
com prendere ciò che è messo in gioco dalla linea di fuga, che cosa essa
com batte e a quali forze, fuggendo, resiste.
Linee e segmenti
50 Ivi, p. 13 8 .
51 G. Deleuze, F. G uattari, M ille piani, cit., p. 3 0 1 .
51 Cfr. F. S. Fitzgerald, L ’incrinatura, in Id., L ’età d el Jazz e altri scritti, Bom piani, M ila
no 19 6 2 .
53 «Quel che noi chiam iam o con nomi diversi - schizo-analisi, m icro-politica, pragm a
tica, diagram m atism o, rizom atica, cartografia - non ha altro oggetto che lo studio di que
ste linee, nei gruppi o negli individui», G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, pp. 1 3 8 - 1 3 9 .
N ella formulazione più generale la m icropolitica è l’analisi dei flussi e degli investimenti di
desiderio in un determinato cam po sociale, alla quale va affiancato il ruolo capitale gioca
to dalle minorità (di sesso, di razza, di lingua, etc.) nel loro opporsi alle grandi istituzioni
m aggioritarie e stabili, di cui l’ apparato di stato sarebbe il rappresentante fondamentale,
cfr. A A . W ., L e vocabulaire d e G illes D eleuze, C R H I, N ice Cedex 200 3, p. 2 5 1 .
54 G. Deleuze, F. G uattari, M ille piani, cit., p. 3 1 7 .
IL TRAVERSATA OCEANICA
Si dice piano teologico ogni organizzazione che viene dall’alto, e che si riferi
sce ad una trascendenza, anche nascosta: intenzione nella mente di un dio, ma
anche evoluzione nelle supposte profondità della N atura, o anche organizzazio
ne di potere in una società. Un tale piano può essere strutturale o genetico, ed
entrambi insieme; esso riguarda delle forme e i loro sviluppi, dei soggetti e le loro
formazioni. Sviluppo delle forme e formazione dei soggetti: è il carattere essen
ziale di questo primo tipo di piano. È dunque un piano di formazione e di svilup
po. Perciò rim arrà sempre, comunque lo si definisca, un piano di trascendenza
che dirige sia le forme sia i soggetti [...] esso dispone di una dimensione in più,
implica sempre una dimensione supplementare alle dimensioni del dato57.
60 Ivi, p. 15 0 .
61 Ivi, p. 14 6 .
Ivi, p. 15 Z .
7° LA LINGUA ANIMALE
I segmenti che ci attraversano e per i quali noi passiamo in ogni caso sono con
trassegnati da una rigidità che ci rassicura, anche se fa di noi le più paurose di tutte
le creature, come pure le più impietose, le più amare. [...] Bisognerebbe piuttosto
chiedersi com’è che abbiamo lo stesso bisogno di una simile segmentarietà. Anche
se avessimo il potere di farla esplodere, potremmo riuscirci senza distruggere noi
stessi, dal momento che essa fa così profondamente parte delle nostre condizioni
di vita, come pure del nostro organismo e della ragione stessa?63
63 Ivi, pp. 1 5 1 - 1 5 1 .
64 Ivi, p. 1 5 5 .
II. TRAVERSATA OCEANICA 71
65 Ivi, p. 1 5 7 .
66 Ivi, p. 1 5 5 .
67 G. Deleuze, F. Guattari, M ille piani, cit., p. 530.
72 LA LINGUA ANIMALE
Tracciare e tradire
co n fro n tarlo con l’ iron ia: se «l’ ironico è l’ uom o [...] alla ricerca di un
principio p rim ario, ancora più prim ario di quello che si credeva prim a
rio [...] l’hum our è proprio il co ntrario: i principi contano poco, si pren
de tutto alla lettera, vi si aspetta al m om ento delle conseguenze»76. È evi
dente che, filosoficam ente, Deleuze contrappone l’ironia platonico-socra
tica a ll’ um orism o stoico e, tram ite essi, la logica della rappresentazione
a quella degli effetti. M a perché allora lo humour è traditore? Filosofica
mente lo è nel senso che tradisce il com pito della ricerca dei principi per
porre altri problem i. È ancora una volta l’ em pirism o ad essere chiam ato
in causa: non sono le cause ad essere im portanti m a gli effetti delle rela
zioni date dalla contingenza. C om e chiam are, d ’altronde, la sostituzione
del prim ato dell’ essere con il concatenam ento? La sostituzione dell’ È con
l’ E ...? C ’è sicuram ente una vena di um orism o in questa sostituzione, ed
esso produce una sorta di irriverenza o di lesa m aestà verso il verbo “ esse
r e ” . Per Deleuze è questo l’ um orism o filosofico, ma il problem a è della
m assim a serietà. In senso m icrop olitico, invece, lo hum our è prim a di
tutto com prensione delPartificialità e quindi della provvisorietà dei seg
m enti, com prensione dunque della potenziale labilità dei confini sotto
posti alla contingenza delle forze sociali e culturali. L’ um orism o è pensa
re che «nella nostra società tutto fu g g a » , m entre ironico è pensare che
«la società sia m ossa da contraddizioni». C on una form ula che ha tutta
l ’aria di essere deleuziana - senza tu ttavia esserlo m ai effettivam ente
stata, alm eno nei suoi scritti - potrem m o dire che « l’ iron ia fa sistem a,
mentre lo humour fa rizom a». I due sensi, filosofico e m icropolitico, tro
vano com unque la loro soglia di indiscernibilità se pensiam o lo humour
a partire dalla contingenza e d a ll’esteriorità: hum our è allora una p a ro
la che può significare o sostituire precisam ente « l’esteriorità delle rela
zioni», ossia «la possibilità del divenire».
O ra, tradire e divenire sono legati dal fatto che abbandonare un seg
mento è un’azione mossa il più delle volte dalla simpatia verso l’altro; non
l’altro in generale, ma ogni volta un altro che “ appartiene” ad un altro seg
mento. C ’è una «scelta di oggetto»77 alla base del tradim ento, ed è questa
scelta che incomincia a decostruire l’identità di chi sceglie, l’identità del tra
ditore. Ecco allora che nel rom anzo di M elville il capitano Achab è un tra
ditore, colpevole di aver disobbedito alla legge dei pescatori - la quale ordi
nava che le balene dovessero essere cacciate in gruppo - facendosi attrarre
da M o b y D ick, scegliendola, prendendola in “ sim patia” . E «questa scelta
di oggetto che trascina lui stesso in un divenir-balena»78.
76 Ivi, p. 75.
77 Ivi, p. 49.
78 Ibid.
76 LA LINGUA ANIMALE
84 Ivi, p. 80.
85 Ivi, p. 8 1.
86 Ibtd.
87 Ivi, p. 82. Sul tema della linea astratta cft. G . Passerone, L a linea astratta. Pragm a
tica dello stile, Guerini e Associati, M ilano 1 9 9 1.
78 LA LINGUA ANIMALE
tradita dalle sue stesse p a ro le ... “ I w ould prefer not to” . Bartleby m anda
letteralmente in tilt il linguaggio e i suoi interlocutori con una form ula di
resistenza - “ preferirei di n o ” - che non può padroneggiare, rim anendo
vittim a egli stesso delle conseguenze di una sua reiterazione continua. E
in questa reiterazione la persona, il person aggio di Bartleby, diviene un
soggetto parlante sempre più impercettibile, offuscato da una form ula che
può contagiare chiunque da un m om ento a ll’altro: la form ula della resi
stenza al dovere, del non acconsentire - con l’ effetto di non permettere -
senza opporsi in m odo plateale, ma passando tra le parole (tra-dire), sem
plicemente m anifestando una preferenza, “ la preferenza di n o ” .
Ecco la “ grandezza” del tradire, che Deleuze fa valere in opposizione
alla “ piccolezza” dell’im brogliare. Nel tra-dire non si tratta di mentire, di
dire il falso o im brogliare. Se chi im broglia, chi mente, lo fa per un qualsi
voglia tornaconto personale, il traditore - nel senso dello scrittore che tra
disce la p ropria m aggioranza o il proprio segmento di individuazione -
cerca invece di scom parire, di «perdere il v o lto » 88 ed «essere finalmente
sconosciuto»89. Questo perché tradire è «limare [...] la parete su cui si iscri
vono tutte le determinazioni oggettive che ci fissano, ci squadrano, ci iden
tificano e ci fanno riconoscere»90. Tradire è abbandonare in definitiva «il
buco nero del nostro Io che ci è più caro di ogni cosa»91. Qui ritroviam o
con chiarezza quel che Deleuze definisce la superiorità della letteratura
anglo-am ericana rispetto a quella francese: aver inventato, tramite speri
mentazioni, una scrittura che facesse a meno di girare attorno al piccolo
segreto personale e narcisistico, per fare di se stessi, della propria identità,
non un segreto da svelare agli altri, ma una linea sfuggente che può essere
percorsa da tutti senza essere di nessuno92: «è perché non abbiam o più
niente da nascondere che non possiam o più essere presi»93.
88 Ivi, p. 52.
89 Ibid.
90 Ivi, pp. 5 2 -53 .
91 Ivi, p. 52.
91 «Divenire come tutti, m a appunto è un divenire soltanto per chi sa di non essere nes
suno, di non essere più nessuno», G . Deleuze, F. Guattari, M ille piani, cit., p. 287.
93 Ibid.
94 A. Negri, In cam m ino verso il m olteplice, postfazione a G. Deleuze, F. Guattari, C on
versazioni, cit., p. 1 7 1 .
II. TRAVERSATA OCEANICA 79
gli effetti «dell’uom o senza altri sulla propria isola»102, dove altri, seguen
do Deleuze, non è né un oggetto nel cam po della (mia) percezione, né un
soggetto che (mi) percepisce, m a una struttura del cam po percettivo il cui
effetto principale è la distinzione della coscienza d all’oggetto. L a struttu
ra di altri, per attualizzarsi, ha bisogno che qualche altro, che altri con
creti103 la occupino m anifestandosi, apparendo a ll’io, m a esiste anche in
loro assenza, fino a scom parire com e nel R ob in son di Tournier, n au fra
gato su u n ’ isola disabitata. D o p o più di ventotto anni una nave attrac
cherà su ll’ isola, ma R o b in so n avrà orm ai perso la struttura di A ltri, in
favo re di un rapporto di identificazione con Speranza, il “ su o ” isolotto
sperduto. I “ m ondi p o ssib ili” stavano per diventare un pallido ricordo,
in conflitto con l’isola, quando “ altri u om ini” attraccarono su Speranza·.
Erano questo gli altri: mondi possibili che si sforzavano di sembrare reali [...]
ma durante quegli anni di solitudine se ne era dimenticato, e ora si domandava
se sarebbe mai riuscito a riprendere la piega perduta. Inoltre, l’aspirazione ad esi
stere di quei mondi possibili si confondeva in lui con l’immagine racchiusa in
ognuno di essi d’una Speranza condannata a scomparire, e gli sembrava che con
cedendo a quegli uomini la dignità rivendicata, avrebbe con lo stesso gesto decre
tato l’annientamento di Speranza104.
lotte di m inoranza; possiam o, cioè, afferm are che il concetto di altri sia
la base del divenire m in oritario o, in altre p aro le, la base d ell’alleanza
dinam ica tra m inoranze.
Perché l’ alleanza sia a ll’altezza di affrontare i nuovi problem i sociali
e politici a livello glob ale, il divenire m inoritario non deve essere p ra ti
cato com e mezzo in vista di una m eta, ossia di una m inoranza p artico la
re. È necessario invece com prendere che il divenire m in o ritario è una
dinam ica che non si definisce tram ite ciò che il soggetto diviene ma
mediante il m ovim ento che determ ina il telos di ogni divenire determ ina
to. Il divenire altro, in tal senso, non è divenire u n ' “ altra c o s a ” , esso è
semmai presente in ogni divenire “ altra co sa ” dalla condizione di parten
za: anche l ’altro deve divenire altro1 1 1 .
1 P. M engue, L e concepts de “ clin iqu e” dans l’oeuvre de G illes Deleuze, cit., p. 7 (trad.
nostra).
84 LA LINGUA ANIMALE
abbiam o finito per crederci. Bisogna ricominciare tutto, e ricominciare dalla lettura di Sade
e di M asoch», G. Deleuze, II freddo e il crudele, cit., pp. 14 - 1 5 .
4 Cfr. J . Lacan, L e séminaire. L iv re X I V , L o giqu e du phantasm e, éd. par J . A. Miller,
Seuil, Paris 1 9 7 1 .
86 LA LINGUA ANIMALE
In tutta la psichiatria, solo Jaspers, e poi Laing, hanno avuto l’idea di cosa
significasse processo, e del suo compimento [...]. «Se la specie umana sopravvi
verà, gli uomini del futuro [...] sapranno che ciò che noi chiamiamo schizoft¿nia
era una delle forme sotto cui [...] la luce ha cominciato a filtrare attraverso le fes
sure delle nostre menti chiuse. La follia non è necessariamente un crollo (break-
down)·, essa può essere anche un’apertura (brea kth ro u gb)...L’individuo che fa
l’ esperienza trascendentale della perdita dell’ ego può o non può perdere l’equili
brio, in diversi modi. Può allora essere considerato come pazzo. M a essere pazzo
non è necessariamente essere m alato, anche se nel nostro mondo i due termini
sono diventati complementari [...]. La pazzia degli altri non è una vera pazzia.
La pazzia dei nostri pazienti è un prodotto della distruzione che imponiamo loro
e che essi impongono a se stessi. [...] La vera salute mentale implica in un modo
o nell’altro la dissoluzione dell’ego n o rm ale...»6.
to del pensare, tram ite il dubbio o gli spettri della follia. E tuttavia, essen
do una m olteplicità selvaggia di forze, nel senso dello spazio di incontro-
scontro tra di esse, il Fuori è anche il luogo a partire dal quale è possibi
le pensare. E la lettura foucaultiana e deleuziana di N ietzsche e Blanchot
a suggerire la com prensione del Fuori com e spazio aperto in cui le forze
si rapportano e si scontrano:
Il fuori concerne [...] la forza: se una forza è sempre in rapporto con altre, le
forze rinviano necessariamente a un fuori irriducibile, senza più forma e costitui
to da distanze non scomponibili attraverso le quali una forza agisce su un’altra
o è agita da un’altra. È sempre grazie al fuori che una forza conferisce ad altre,
o riceve da altre, il suo carattere di affezione che esiste solo a una certa distanza
o sotto un certo rapporto. [...] Esiste quindi un divenire delle forze [...] nello spa
zio del Fuori, proprio là dove il rapporto è un “ non-rapporto” , il luogo un “ non
luogo” , la storia un divenire. N ell’opera di Foucault il saggio su Nietzsche e quel
lo su Blanchot si collegano, o si ri-collegano. Se vedere e parlare sono forme di
esteriorità, il pensare riguarda un fuori che non ha forma. [...] Vedere è pensare,
parlare è pensare, ma il pensare si produce nell’interstizio, nella disgiunzione tra
il vedere e il parlare. [...] Quando non ci sono che ambiti e frammezzi, quando
le parole e le cose si aprono attraverso l’ambito senza mai coincidere, è per libe
rare le forze che vengono dal fuori e che esistono solo allo stato di agitazione, di
m escolanza e di rim aneggiam ento, di mutamento. Sono, in verità, dei colpi di
dadi, poiché pensare è un colpo di dadi7.
Deleuze, sebbene positivam ente im pressionato dalla teoria del suo col
lega, cerca nella letteratura, così come nel rapporto tra il pensiero e il suo
Fuori, una dim ensione che non sia riducibile né alle form e storiche entro
le quali si mantiene il discorso foucaultiano né alla prospettiva person a
le dello stesso F o u cau lt, il quale ripone una certa speranza “ p o litic a ”
nella letteratura e nella follia com e form e di esteriorità radicale solo per
un periodo relativam ente breve. A nzi, talm ente breve che, per quanto
riguarda la letteratura, nel m om ento stesso in cui Foucault m anifesta il
suo potenziale sovversivo si dom anda anche se l’epoca in cui la scrittura
era capace di esprim ere una contestazione della società m oderna non sia
già irrim ediabilm ente passata9. Q uasi altrettanto breve è anche la dimen
sione di selvaggia esteriorità che Foucault riserva alla fo llia, im m aginan
do che in un futuro m olto ravvicinato «tutto ciò che noi oggi p roviam o
nella dim ensione del lim ite, o dell’ estraneità, o delPinsopportabile, avrà
raggiunto la serenità del positivo. E ciò che per noi designa attualm ente
questo Esteriore rischia ben presto di designare pro prio n o i» 10. Prestan
do attenzione alle form e storiche dell’esteriorità, del Fuori e dei disposi
tivi di ri-chiusura e assim ilazione di ciò che è appunto “ esteriore” , F o u
cault non può che ridim ensionare il proprio “ entusiasm o” e testim onia
re la consapevolezza della dim ensione illusoria dell’esteriorità assoluta:
Niente è più interno alla società che il malessere del folle o la violenza di un
criminale. Detto altrimenti si è sempre dentro. Il margine è un mito. Il discorso
del Fuori è un sogno che non si cessa di ricondurre. Si mette il folle nel fuori della
creatività o della mostruosità. E, tuttavia, sono presi nella rete, si form ano e fun
zionano all’interno dei dispositivi di potere1 1 .
Se D eleuze continu a a svilu ppare una p ro p ria teoria del F u o ri, ciò
avviene perché per lui non si tratta principalm ente di un’ alterità radica
le da mettere in gioco nei confronti di una pretesa interiorità della socie
tà, m a di un cam po di battaglia nel quale - da sempre e senza soluzione
di continuità anche riguardo al futuro - si m isurano le forze che determ i
nano il pensiero. C iò significa che la potenza del pensiero, anche se con
trollata dai dispositivi di potere che registrano, scelgono, perm ettono e,
se si presenta l’ occasion e, facilitan o l’ assim ilazione del Fuori, non può
costitutivamente rinunciare alla propria attualizzazione tramite un incon-
tro con ciò che per essa rappresenta l’ esteriorità radicale, ossia con la con
tingenza dettata dalla posizione di fo rza del segno che giungerà a farle
violenza; solo così, per Deleuze, la potenza diviene pensiero e, allo stes
so tem po, creazione di nuove m od alità d ’esistenza. Ecco il fascin o del
Fuori, così superlativo e riluttante perfino alle categorie già elaborate dal
filosofo (Foucault) che più di tutti aveva cercato di sostenerlo, da avere
bisogno, per essere descritto nella sua potenza di attualizzazione, di un’ al
tra linea rispetto a quelle precedentemente ideate da Deleuze: la linea del
fu o ri appu n to, altrim enti detta la linea di resisten za12·, che è prim a di
tutto una linea di creazione - artistica o concettuale e, a volte, come nel
caso di A rtau d , i due piani non possono essere disgiunti.
Proprio A rtaud aiuta Deleuze ad avere chiara la dimensione del Fuori
come déraison e al tempo stesso com e genesi - o meglio “ genitalità” - del
pensiero. Di grande rilevanza è infatti il riferimento a ll’interno di Differen
za e ripetizione al carteggio tra A rtaud e Jacques Rivière, considerando che
il testo deleuziano è in continuo rapporto decostruttivo con l’immagine
classica o tradizionale del pensiero. Deleuze ritrova nella scrittura artau-
diana un requisito tanto arcaico quanto rivoluzionario dell’ impresa filoso
fica e non può fare a meno di osservarne la dinam ica di sconfinam ento in
ciò che, nel senso che potrem m o definire “ deleuziano” del termine, corri
sponde alla schizofrenia. L a “ genitalità” del pensiero invocata da Artaud
si esplica nella rottura con le categorie della rappresentazione, in direzione
di un pensiero “ acefalo” eppure creatore nel momento in cui viene forza
to (dal Fuori appunto) a pensare. Un pensiero senza im m agine è allora
prim a di tutto un pensiero liberato non solo dalle briglie della rappresen
tazione m a dalla ragione stessa, se con essa ci riferiam o ancora ad un rap
porto privilegiato tra la presenza unitaria del soggetto e l’atto di pensare.
Si tratta di concepire il pensiero come potenza impersonale e ciò può avve
nire solo a partire da una vera e propria schizofrenizzazione del cogito. Ciò
significa rovesciare la form ula cartesiana del «[io] penso dunque [io] sono»,
constatando invece che il soggetto può “ credere” a se stesso solo fino a
quando non riesce a pensare realmente. Il che equivarrebbe a dire «(io) non
penso dunque (io) sono». Grazie alla rappresentazione, ciò che per Carte
sio è soggetto può avere certezza di sé appunto com e soggetto che ha di
fronte gli oggetti della realtà; m a se concepiam o l’atto del pensare come
incontro violento con il segno, tutto cam bia. Se il soggetto, che si pretende
soggetto del pensiero, incontra le forze che lo spingono a pensare, se dun
que il pensiero si genera, è la sicurezza stessa dell’esistenza del soggetto in
12 Solo negli scritti e nelle interviste su Foucault, tutti posteriori alla pubblicazione di
M ille piani, Deleuze fa riferim ento alla linea del Fuori come linea di resistenza. Cfr. G.
Deleuze, Foucault, cit., pp. 1 1 7 - 1 2 4 ; Id., Pourparler, cit., pp. 14 5 -15 2 ..
90 LA LINGUA ANIMALE
Con ottica di m alato considerare le nozioni e i valori più sani, poi, inversa
mente, a partire dalla pienezza e dalla sicurezza tranquilla della vita ricca, guar
dare in basso il lavoro segreto dell’istinto di decadence - questo è stato il mio più
lungo esercizio, la mia vera esperienza, l’unica in cui, semmai, sia diventato mae
stro. Ora è in mano mia, mi sono fatta la mano a spostare le prospettive
Noi pensiamo che, per un vivente, il fatto di reagire con una malattia a una
lesione, a un’infezione, a un’anarchia funzionale, esprima il fatto fondamentale
che la vita non è indifferente alle condizioni nelle quali essa è possibile, che la vita
è polarità e proprio per questo istituzione inconscia di valore; in breve che la vita
è di fatto un’ attività normativa. [...] La salute, considerata assolutamente, è un
concetto normativo che definisce un tipo ideale di struttura e di comportamento
organici; [...] l’uomo non si sente in buona salute - che è la salute - se non quan
do si sente non solo normale - vale a dire adattato all’ambiente e alle sue esigen
ze - ma normativo, capace di seguire nuove norme di vita. [...] Si comprende come
la salute sia nell’uomo un sentimento di assicurazione nella vita che non si attri
buisce da sé alcun limite. Valere, da cui «valore», significa in latino «stare bene».
La salute è un modo di affrontare l’esistenza sentendosi non soltanto possessori o
portatori ma, al bisogno, creatori di valore, instauratori di norme vitali17.
O ra, per Canguilhem può accadere che sia proprio ciò che è anomalo,
vale a dire ciò che si differenzia dalla normalità - della specie, del gruppo,
dell’insieme - a produrre nuove norme di adattamento. L’anomalia, ossia
l'irregolarità, diviene patologica solo in rapporto all'ambiente di vita.
L a psicosi, in quanto anom alia del pensiero, può così rendersi slancio
creativo nel momento stesso in cui la scrittura letteraria sfiora o supera
il limite della normalità sociale o psichica. L a funzione di tale slancio è
quella di creare nuovi linguaggi, com e in A rtau d , M a so ch , Gherasim
Lu ca, o inedite m odalità di vita, come suggeriscono personaggi e scritto
ri della letteratura americana.
16 Cfr. in particolare F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, I, II, in Opere, cit., voi. VI
(I); Id., Frammenti postumi 1 8 8 8 -1 8 8 9, in Opere, cit., voi. V ili (III), pp. 18 e sgg.
17 G. Canguilhem, Il normale e il patologico, trad. it. di D. Buzzolan, Einaudi, Torino
19 9 8 , pp. 96, 10 7 , 16 4 -16 5 .
92 LA LINGUA ANIMALE
25 Cfr. J. Birman, Les signes et les excés. La clinique chez Deleuze, in E. Alliez, Gilles
Deleuze. Une vie philosophique, PUF, Paris 19 9 8 , pp. 477-490 .
16 Cfr. Ibid.
27 Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, L ’anti-Edipo, cit., p. 58: «La psicoanalisi è come la rivo
luzione russa, non si sa quando incomincia ad andare male. [...] Con Freud stesso, sin dalla
III. CLINICA SENZA ORGANI 95
Immanenza e desiderio
“ scoperta” di Edipo? Edipo è la svolta idealistica. E tuttavia non si può dire che la psicoana
lisi si sia messa a ignorare la produzione desiderante. Le nozioni fondamentali dell 'economia
del desiderio, lavoro e investimento, conservano la loro importanza, ma subordinate alle
forme dell’ inconscio espressivo e non più alle formazioni d’un inconscio produttivo». Sul tema
dell’ inconscio produttivo in Freud, cfr. ivi, p. 3 4 1: «così come Ricardo fonda l’economia poli
tica o sociale scoprendo il lavoro quantitativo all’origine di ogni valore rappresentabile, Freud
fonda l’economia desiderante scoprendo la libido quantitativa all’origine di ogni rappresen
tazione degli oggetti e dei fini del desiderio. [...] Freud è dunque il primo a liberare il deside
rio tout court, e quindi la sfera della produzione che sconfina effettivamente dalla rappresen
tazione». N ella conversazione su L ’anti-Edipo, pubblicata su «L’A rc», 49 (19 7 2 ), Guattari
risponde con queste parole a C. Backès Clément: «quando lei dice che Freud non ignora le
macchine del desiderio, ha ragione. Il desiderio, le macchine del desiderio sono la scoperta
stessa della psicoanalisi [...] qui lo sguardo è tutto rivolto al macchinario, alla produzione di
desiderio, all’unità di produzione», in G. Deleuze, Pourparler, cit., p. z6.
18 Cfr. in particolare J. Lacan, Scritti, trad. it. e cura di G . B. Contri, Einaudi, Torino
19 7 4 , pp. 2 3 0 - 3 1 3 .
19 Iscrivere il desiderio nella struttura significa infatti, per Deleuze e Guattari, legarlo
a ll’ organism o come pulsione mancante del suo oggetto, azionando la m eccanica della
castrazione e l’ istanza sim bolica della Legge come interdizione dell’ incesto.
30 G. Deleuze, Pourparler, cit., p. 28.
31 La differenza tra macchina e struttura rinvia alla distinzione tra m olare e m olecola
re come due dimensioni del desiderio; quella molecolare riguarda la sua produzione, men
tre la dimensione molare può solo rappresentarlo e, in questo modo, consegnarlo agli agen
ti della repressione sessuale e sociale.
$6 LA LINGUA ANIMALE
31 G . Deleuze, F. G uattari, L ’an ti-E dipo , cit., p. 3 1 : «La produzione sociale è la produ
zione desiderante stessa in condizioni determinate».
33 Cfr. U. Fadini, I piani d i D eleuze e Guattari, introduzione a G . Deleuze, F. Guattari,
M acchine desideranti, O m bre Corte, Verona 200 4, pp. 1 3 - 1 4 .
34 G. Deleuze, F. G uattari, L ’a nti-E dipo, cit., p. 7.
35 Ivi, p. 3.
36 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 1 1 3 .
37 Cfr. U. Fadini, I p ian i di D eleuze e Guattari, cit., p. 12 .
III. CLINICA SENZA ORGANI 97
Il fatto che la sch izofren ia sia stata presa ad esem pio da D eleuze e
G u attari per la sua irridu cib ilità alla struttura di E dipo è direttam ente
connesso con la dim ensione dispersiva e fram m entaria della soggettività
schizofrenica, in radicale antinom ia con il m odello teorico del soggetto
paran o ico. L’opposizione nei confronti di L a can è evidente: se per que
st’ultim o la concezione del soggetto è basata sul m odello paran oico che
implica la glorificazione dell’io e della personalità43, il tentativo di D eleu
ze e G u attari è quello di pensare il soggetto del desiderio a partire dalla
soggettività schizofrenica, che si esprim erebbe m ediante la dispersione,
sul corpo senza organ i, di una m iriade di m acchine desideranti.
C on la nozione di corpo senza organi, inteso com e superficie di regi
strazione delle m acchine desideranti che nega ogni trascendenza del desi
derio - Edipo, Significante, Legge e M ancanza - si apre la strada alla con
cezione di un «cam po trascendentale im p erso n ale»44 del desiderio. Si
tratta di un cam po trascendentale poiché è tram ite esso che viene prodot
to il soggetto, decentrato e successivo rispetto alla produzione desideran
te, com e una sorta di resto proveniente dal lavoro di sintesi delle macchi
ne desideranti. Il m odello schizofrenico dell’inconscio è allora lo strumen
to più adatto per descrivere l’im personalità di tale cam po trascendenta
le, perché nel processo schizofrenico si assiste all’ identificazione sempre
variabile del soggetto, a un continuo nom adism o della soggettività. Il pro
blem a è però quello di ritrovare, prim a ancora della soggettività schizo
frenica, il piano clinico adeguato per un discorso sulla schizofrenia auto
nom o dai m odelli nevrotici, paran oici o artistici:
Il delirio utilizza razze, civiltà, culture, continenti, regni, poteri, guerre, clas
si e rivoluzioni. E non c’è nessun bisogno di essere colti per delirare in questo
senso. Nel delirio c’è sempre un N egro, un Ebreo, un Cinese, un Gran M ogol, un
Ariano; tutti i deliri hanno a che fare con la politica e l’ economia. [...] Il delirio
esprime in sé il modo in cui la libido investe tutto un campo sociale storico51.
49 Ibid.
50 Cfr. G . Deleuze, F. G uattari, L ’anti-E dipo, cit., pp. i o o - i o i .
51 G . Deleuze, Schizofrenia e società, cit., p. 1 5 .
52 Ibid.
53 Ivi, p. 16 .
III. CLINICA SENZA ORGANI IOI
59 Ivi, pp. 1 6 - 1 7 .
60 G . Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 98.
61 G . Deleuze, Critica e clinica, cit., p. 19 .
él G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 1 0 1 . La longitudine concerne lo stato
delle forze che si com pongono tra loro, mentre la latitudine definisce l’intensità delle loro
potenze. Il rapporto tra la longitudine e la latitudine è una riproposizione della distinzione
spinoziana tra le affezioni (affectiones) e gli affetti (affecti). Se infatti l’ affezione si riferisce
agli incontri che un corpo “ subisce” da altri corpi e dai quali viene “ affettato ” , l’affetto
concerne il passaggio dello stesso corpo da uno stato all’ akro mediante variazioni di poten
za - ossia il divenire.
63 L’ecceità è essenzialmente un “ modo d ’individuazione” secondo gradi di potenza che
permette di pensare il “ paradosso” dell’individualità del divenire. Seguendo A. Sauvagnargues,
l’individuazione tramite ecceità deve essere compresa come «una trasformazione logica che
determina gli individui come dei divenire, non come delle forme, come degli atti e non come
degli esseri [...]. N on si confonderà dunque l’ecceità con una determinazione temporale del
tipo del “ fugace” o dell’evanescente in opposizione al “ duraturo” » (A. Sauvagnargues, D eleu
ze. D e l’animal à l’art, cit., p. 195). Come afferma Deleuze «non è l’istante, non è la brevità ciò
che distingue una tale tipo di individuazione. Un’ecceità può durare tanto tempo - e anche di
più - , quanto è il tempo necessario allo sviluppo di una forma e all’evoluzione di un soggetto.
M a non è lo stesso tipo di tempo» (G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 10 1) . E impor
tante comprendere che la funzione dell’ecceità è di captare i divenire in atto piuttosto che defi
nire delle soggettività o delle sostanzialità differenti. E dunque una questione epistemologica
piuttosto che ontologica, nel senso di una teoria della conoscenza per il piano di composizio
ne; Sauvagnargues sottolinea che «l’ecceità non implica la dissoluzione del soggetto, né l’eva
nescenza delle cose, ma un cambiamento del loro statuto logico, una rettificazione epistemo-
104 LA LINGUA ANIMALE
logica del loro modo d’esistenza reale», A. Sauvagnargues, Deleuze. D e Vanimai à l’art, cit., p.
19 7 . Sul termine “ ecceità” è necessario inoltre distinguere l’impiego che ne fanno Deleuze e
Guattari da quello esplicitato da Duns Scoto con la parola latina haecceitas. Cfr. G. Deleuze,
C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 1 3 5 ; cfr. inoltre S. Leclercq, Jeans Duns Scoto, in A A .W .,
A u x sources de la pensée de Gilles Deleuze 1 , SilsM aria, M ons 2005, pp. 61-66.
64 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 1 0 1 .
65 Ibid.
66 Ivi, p. 13 0 .
III. CLINICA SENZA ORGANI 105
tuale [...]. Q uale personaggio avreste voluto essere, in quale epoca vive
re? E ppu re tutto questo voi lo siete già, so ltanto che vi ingannate nel
rispondere. Siete sem pre un concatenam ento per una m acchina astratta
che si realizza altrove, in altri concatenam enti»67.
In secondo luogo, i regim i di segni sono innum erevoli e una “ sem io
tica gen erale” , che cioè si póne l’ ob iettivo di rendere conto del R eale,
d ovreb be innanzitutto «m ostrare com e un concatenam ento concreto
mette in gioco più regim i di segni puri o più m acchine astratte»68; è ciò
che Deleuze e G u attari definiscono “ com ponente gen erativa” . Inoltre, la
sem iotica generale «dovrà m ostrare in che m odo un regime di segni puro
può tradursi in un altro, con quali trasform azioni, quali residui non assi
m ilabili, quali variazion i e in n o vazion i»69. A bb iam o così una “ com po
nente trasform azion ale” della sem iotica.
In terzo luogo, un regime di segni non fa parte del linguaggio né si con
fonde con una lingua: «non sono le funzioni organiche del linguaggio e
neanche un “ organ on ” della lingua che determ inano i regimi di segni»70.
E invece un certo rapporto interno al regime di segni - o tra diversi regimi
- che determina la lingua, fissando i concatenam enti collettivi di enuncia
zione e i concatenamenti macchinici di desiderio. O ra, i primi sono da con
siderarsi flussi d ’espressione, i secondi flussi di contenuto: «cosicché una
lingua risulta essere un flusso eterogeneo in se stessa, tanto quanto è in rap
porto di presupposizione reciproca con altri flussi, a loro volta eterogenei
tra di loro e con la lingua»71. Ecco allora la “ com ponente diagram m atica
o p ragm atica” . U na m acchina astratta, piuttosto che appartenere al lin
guaggio, coniuga flussi diversi fra loro, di contenuto e di espressione, in
base ai regimi di segni che vengono chiamati in causa: «quando una p aro
la assume un altro senso e anche quando viene a far parte di un’altra sin
tassi si può essere sicuri che essa ha incrociato un altro flusso, oppure che
si è introdotta in un altro regime di segni [...] non si tratta mai di m etafo
ra, non esistono m etafore ma soltanto congiunzioni»72.
In base a questi elementi, per Deleuze e G u attari è la teoria dei regi
mi di segni ad essere ulteriore rispetto alla linguistica o alla sem iologia,
in grado cioè di spiegare i rapporti che esse intrattengono con la lingua
e con il desiderio. Tale teoria è una “ pragm atica della lin gu a” , altrim en
ti detta “ m icrop olitica del lin g u a g g io ” ; si ritro va così la dim ensione
“ m o leco la re” già precedentem ente incon trata nella descrizione della
67 Ivi, pp. 1 2 1 - 1 2 2 .
68 Ivi, p. 12 4 .
69 Ibìd.
70 Ivi, p. 12 5 .
71 Ibid.
72 Ivi, p. 1 2 7 .
lo é LA LINGUA ANIMALE
sono tutto questo nello stesso tempo, diventa anche necessario fare in ogni
momento il diagram ma, la cartografia di quel che viene ostruito, surcodificato,
oppure, all’opposto, risulta essere in via di mutazione, di liberazione, impegnato
a delineare questa o quella parte di un piano di consistenza76.
N on giudicare
76 Ivi, p. 12 9 .
77 Ivi, p. 1 3 2 .
78 Ivi, p. 1 3 3 .
79 G . Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 19 .
80 “ In cammino verso il m olteplice” è il titolo della postfazione di A. Negri alPedizio-
ne italiana di G. Deleuze, C. Parnet, D ialogues, 19 7 7 (Conversazioni, cit.)·
io 8 LA LINGUA ANIMALE
risolvere così alcuni problem i rimasti, fino a Che cos’è la filosofia?, ancora
insoluti. Potrem mo dire che in questo capitolo non vi sia nulla di radical
mente nuovo rispetto agli scritti su Nietzsche e su Spinoza o alle riflessioni
sugli scrittori cari a Deleuze, ma il ritmo incalzante delle tematiche e dei con
cetti permette la form azione di punti di vista inediti sulla macchina da guer
ra, sul divenire, sul corpo senza organi e sulla micropolitica in generale. Lo
stesso capitolo, con l’ utilizzo in intensità dei nomi propri e la loro trasfor
mazione in singolarità e componenti utili alla liberazione del divenire, è una
sorta di corpo senza organi del libro, piano d’immanenza del desiderio filo
sofico deleuziano. N o n di meno, Per farla finita con il giudizio ha un’im por
tanza centrale nell’intera opera di Deleuze perché costruisce un piano - non
supplementare, ma adiacente - per (ri)leggere i Mille piani scritti assieme a
Guattari. Un possibile titolo alternativo per questo capitolo potrebbe allo
ra essere “ 19 9 3 . Far esistere. N o n giudicare” 81.
In cosa consiste, dunque, il “ farla finita con il giu d izio” ? Il giudizio è
per Deleuze insiem e l ’oggetto e la m od alità di una dottrina di pensiero
che più o meno esplicitam ente dalla tragedia greca giunge alla filoso fia
m oderna. Inutile è stata, dal punto di vista che ci apprestiam o a descri
vere, una critica del giudizio quale K an t ha sviluppato, perché è rim asta
sem pre al di qua delle determ inazioni che caratterizzan o la tradizione
ebraico-cristiana. E invece Spinoza a giungere a ll’effettiva critica del giu
dizio, e D eleuze in d ivid u a quattro suoi “ d iscep o li” , sebbene solo uno
po ssa essere con sid erato un vero e p ro p rio filo so fo : N ietzsche, K a fk a ,
Law ren ce e A rtau d . O gnuno per proprio conto ma con grandi affin ità,
costoro hanno sviluppato una critica pro fon d a dopo aver subito, viven
dole sulla p ropria pelle, la prepotenza e la violenza del giudizio:
81 Sul metodo con cui Deleuze e Guattari titolano i capitoli di M ille piani si rinvia alla
“ Conversazione su M ille piani, con C. D escam ps, D. Eribon e R . M a g g io ri” apparsa su
«Liberation», 2.3 ottobre 19 8 0 e ripubblicata in G . Deleuze, Pourparler, cit., pp. 38-50. In
estrema sintesi, le date che danno il titolo a ciascun capitolo si riferiscono a eventi e sono
modalità di individuazione di concetti (es.: cap. II. 19 x 4 . Uno solo o m olti lu p i? si riferisce
alla psicoanalisi freudiana dell’Uomo dei lupi; cap. VI. 28 novem bre 19 4 7 · C om e farsi un
corpo senza organi? rinvia alla enucleazione del «corpo senza organi» da parte di Artaud;
cap. V III 18 7 4 . 7're novelle o «che cosa è accadu to?» rievoca il momento in cui Barbey
d’Aurevilly, teorizza la novella, ecc.).
82 G. Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 16 5 .
III. CLINICA SENZA ORGANI 109
tore della più torbida organizzazione: voglio giudicare, bisogna che io giu
d ic h i...» 85. In particolare N ietzsche (ri)scopre la relazione tra la divinità
trascendente, l’ im m ortalità dell’ anim a e l’ infinità del debito che l’anim a
contrae con la divinità, com e principio della «dottrina del giudizio»86.
È il differire all’infinito come imposizione irreparabile, per Deleuze, che
determina la possibilità del giudizio: «non che sia il giudizio in sé ad esse
re differito, rim andato a dom ani, respinto all’infinito. E viceversa l’atto di
differire, di respingere a ll’infinito, che rende possibile il giudizio: questo
deriva la sua condizione dalla supposizione di un rapporto fra l’esistenza e
l’infinito nell ’ordine del tem po»87. Questo rapporto deve essere inteso sotto
form a di un debito: «l’esistente come ciò che ha un debito con D io » 88. Così,
se N ietzsche ha m ostrato com e la dottrina del giudizio sia costituita dal
debito verso la divinità, debito impagabile e perciò infinito, K afk a ha sapu
to esprimere tale infinità nella “ assoluzione apparente” e nel “ rinvio illimi
tato ” che contraddistinguono le scene del Processo. A dire il vero, N ietz
sche ha descritto anche un sistem a alternativo a quello del giudizio, un
“ sistem a della crudeltà” , com e vuole chiam arlo Deleuze rinviando ad
A rtaud, nel quale «gli esistenti si affrontano e si risarciscono secondo rap
porti finiti che costituiscono solo il corso del tem po»89. Ecco la differenza
tra un sistema trascendente, quello del giudizio che «suppone un rapporto
fra l’ esistenza e l’infinito nell ’ ordine del tem po», ed uno imm anente, che
prende anche il nome di “ giustizia prim itiva” , nel quale è la molteplicità
dei «rapporti finiti a costituire il corso del tem po». In sintesi, Deleuze
descrive il sistema della crudeltà nietzscheano con queste parole:
85 Ibtd.
86 Cfr. F. Nietzsche, L ’anticristo, in O pere, cit., voi. VI (III), §§ 4 1 , 42, 43.
87 G. Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 1 66.
88 Ibid.
8SI Ivi, pp. 16 6 - 16 7 .
90 Ivi, p. 16 7 .
III. CLINICA SENZA ORGANI I I I
to, e noi con esso, veniam o letteralmente sradicati per m ano del giudizio.
Q uesto perché nella dottrina del giudizio non basta risarcire il debito con
il “ m a rch io ” fisico , con il segno crudele che ristabilisce l’eq u ilib rio ; in
essa «i debiti si scrivono su un libro autonom o, senza che nem m eno ce
ne accorgiam o, di m odo che non possiam o più liberarci da un conto infi
n ito»91. Il m ovim ento del debito non disegna più una m olteplicità di pas
saggi “ orizzontali” tra una fam iglia e un’altra, tra un territorio e un altro,
m a traccia un’ unica linea “ verticale” di trascendenza che astrae il debi
tore dalla com unità terrena per metterlo in relazione con l’ “ eterno” .
L a questione dei segni, invece, com e si è an ticip ato , è cruciale per
com prendere la funzione liberatoria della letteratura. L’ interpretazione
della giustizia e del giudizio in base alla teoria dei segni ci permette di rin
viare nuovam ente a Spinoza, in particolare alla lettura che ne da D eleu
ze in Spinoza e le tre etiche, presente in Critica e Clinica, e ci arriverem o.
Per il m om ento, è la tem atica del rapporto tra anim a e corpo a indicarci
la strada a ritro so verso Spin oza, poiché se «il sistem a della crudeltà
enuncia i rapporti finiti del corpo esistente con forze che lo investono»511,
il sistem a del debito in finito ha a che fare con l ’anim a im m ortale, ne
determ ina cioè il rapporto con il giudizio di D io. In questo senso «la dot
trina del giudizio ha rovesciato e sostituito il sistema degli affetti»?}.
Se è A rtau d a dare al sistem a della crudeltà «sviluppi sublim i» tra
m ite una «scrittura di sangue e di vita che si contrappone alla scrittura
del lib ro » 94 e a tentare più vigorosam ente di liberare il co rp o d a ll’o rg a
nizzazione del giudizio, è ancora Spinoza a tracciare la via altern ativa,
ossia a rendere giustizia al corpo. È infatti nell ’Ethica, in p articolare nel
II e nel III L ib ro , che si esprim e una forte critica della su periorità del
l’anim a sul co rp o ; critica che si traduce in una liberazione di quest’ ulti
m o dalla dim ensione su bord in ata in cui la m orale e tutta la tradizione
filo so fica lo relegavano.
R en dere giustizia al co rp o significa per D eleuze anche co n trapporre
la giustizia al giu d izio, intendendo con la prim a un sistem a im m anente
di risarcim ento del danno, del debito o delPequilibrio-equanim ità so cia
le nel suo com plesso. E a llo ra il Processo di K a fk a ad esibire la g ra n
dezza della giustizia, quando il rom an zo fa reagire e passare l’uno nel
l ’altro «un corp o del giudizio con la sua o rgan izzazion e, i suoi segm en
ti (continuità degli uffici), le sue differenziazioni (uscieri, a v vo cati, giu
d ic i...), le sue gerarchie» e «un corp o di giustizia in cui si fan n o filare i
91 Ibid.
91 Ivi, p. 16 8 .
93 Ivi, p. 16 9 .
94 Ivi, p. 16 7 .
112 LA LINGUA ANIMALE
L’ organismo non è assolutamente il corpo [...] è uno strato sul CsO , cioè un
fenomeno di accumulazione, di coagulazione, di sedimentazione, che gli impone
forme, funzioni, collegamenti, organizzazioni dominanti e gerarchizzate, trascen
denze organizzate per estrarne un lavoro utile98.
95 Ivi, p. 1 7 2 .
96 G. Deleuze, F. G uattari, K afka. Per una letteratura m inore, cit., p. 8 1.
97 La nozione di corpo senza organi, dopo essere apparsa per la prima volta in Logica
del senso (cit., p. 84), viene ripresa e tematizzata in L ’anti-E dipo, fino a diventare una refe
renza costante in M ille piani, dove spesso è abbreviata con la sigla «CsO ».
98 G. Deleuze, F. G uattari, M ille piani, cit., p. 2 38 .
99 G . Deleuze, Critica e clinica, cit., pp. 1 7 0 - 1 7 1 .
III. CLINICA SENZA ORGANI 113
100 Ivi, p. 1 7 1 , inoltre: «Lawrence presenterà sempre dei corpi organicamente difettosi o
poco attraenti, come il grasso toreador a riposo o il magro generale messicano untuoso, ma
comunque attraversati dall’ intensa vitalità che sfida gli organi e disgrega l’organizzazione», ibid.
101 G. Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 1 7 1 . L a peculiarità dell’ opposizione artaudia-
na al sistema del giudizio è messa bene in evidenza da Vincenzo Cuom o quando afferma
che il “ com battim ento” di A rtaud «contrasta il giudizio non solo perché lo affronta sul
piano di una lotta tra forze, mettendone così fuori gioco il dispositivo “ debitorio” e colpe
volizzante, ma soprattutto perché, lottando contro di esso, lotta a favore di qualcosa, lotta
per “ farsi un corpo senza organi” », V. Cuom o, Il segreto al di là d el giudizio. Su Artaud,
«Kainos - annuario n. 5», Punto R osso, M ilano 2.010, p. 17 4 .
102 G. Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 1 7 1 .
103 Ivi, p. 17 2 .
104 lb id.
105 Ivi, pp. 1 7 2 - 1 7 3 . Cfr. F. K afk a, Lettere a M ilena, a cura di F. M asinì, M ondadori,
M ilano 19 9 4 .
ii4 LA LINGUA ANIMALE
un tema che Deleuze riscontra costantemente anche in Law rence, nel trat
tarsi com e nemici da parte dell’ uom o e della donna quando invece, più
in profondità, essi costituiscono dei flussi singolarm ente e rispettivam en
te in lotta fra lo ro 106. L a questione si fa più sottile in A rtaud, poiché nel-
l’ opporsi al giudizio si tratta “ spettacolarm ente” di com battere contro
D io , contro il suo giudizio, nem ico con cui “ farla fin ita ” una vo lta per
tutte. M a in realtà tale com battim ento contro è «possibile solo perché il
com battente sferra al tem po stesso la battaglia dei principi o potenze che
si effettua nella pietra, nell’anim ale, nella d o n n a»107, e si trasform a così
in un com battim ento fra forze sul corp o - cioè attraverso i sensi - di
A rtau d . Q u est’ ultim o com battim en to accresce a tal punto la potenza
dello scrittore da rendere superflua una vera e propria guerra contro D io;
sul co rp o senza organi vince l’ allean za tra le forze im p rigion ate, vince
quindi il divenire che è la liberazione del corpo verso la vita in-organica,
e non la m orte, fosse anche quella di D io.
È la distinzione nietzscheana tra forze attive e forze reattive che guida
la riflessione di Deleuze sul com battim ento; com battere-contro significa
«distruggere o respingere una forza» e implica una dimensione reattiva del
com battim ento dettata dal risentim ento nei confronti dell’altro, mentre
com battere-fra di sé, ossia tra le forze che attraversano il proprio corpo, è
«il processo attraverso il quale una forza si arricchisce, im padronendosi di
altre forze e congiungendosi con loro in un nuovo insieme, in un diveni
re»108 che rappresenta, prim a ancora del divenire-altro, un divenire attivo
della forza. Ed è proprio su questo piano, sul piano del divenire e delle forze
attive, che la m acchina da guerra deve tracciare i propri percorsi, le p ro
prie linee di fuga, se non vuole finire in un com battim ento-contro, contro
gli altri o perfino contro se stessa. Una m acchina da guerra deve in defini
tiva lottare, con tutte le sue forze, contro il giudizio, ossia contro l’organiz
zazione - statale, religiosa, “ m olare” in generale - , m a per farlo senza cade
re nella guerra distruttiva deve mettere in atto un com battimento continuo
fra le proprie forze. Se nella guerra «la volontà di potenza significa solo che
la volontà vuole la potenza come un massimo di potere o di dom inio»105,
mutilando, reprimendo o riducendo all’impotenza le forze estranee ad essa,
nella lotta che deve ingaggiare la macchina da guerra la volontà di poten
za si manifesta come «quella potente vitalità non organica che com pleta la
forza con la forza, e arricchisce ciò di cui si im padronisce»“ 0. Farla finita
col giudizio di dio vuol dire fuggire da esso, non in preda alla paura, ma
forti delle alleanze che si stipulano con le altre potenze della terra. L a linea
di fuga della m acchina da guerra, lo abbiam o detto, non deve essere spin
ta verso la guerra, ossia verso la morte, ma del resto essa non è pervasa dal
tim ore; si riesce a fuggire sem m ai quando si ha così tanto coraggio da
inventare un com battimento fra di sé che disarmi e renda inoffensivo ogni
nem ico. Si fugge cercando il n uovo, creando nuovi m odelli di esistenza,
incom prensibili al giudizio e alle form e di organizzazione m olare che spe
rano sempre di poter fare guerra contro di noi.
Eccoci infine alla teoria dei segni e al suo rapporto con Spinoza. Q ue
st’ ultim o accostam ento non deve assolutam ente essere inteso nel senso
che “ si giudica attraverso i segni” , m a sem mai che attraverso il sistema
che si utilizza, attraverso cioè il giudizio o il divenire (che ha preso, tra
gli altri, i nomi di giustizia, crudeltà, lotta, alleanza), si dà un valo re dif
ferente ai segni. Ed è appunto mediante la psicoanalisi o invece grazie alla
letteratura che il segno può acquistare il senso di una interpretazione del
vissuto oppure di una costruzione dell’esistente.
N el saggio Spinoza e le tre “ Etiche” , Deleuze individua all’ interno del-
YEthìca tre form e d ’espressione che corrispondono ai tre generi di con o
scenza e al tempo stesso sono tre m odi di esistenza specifici: i segni o affet
ti; le nozioni o concetti; le essenze o percetti. La profondità del saggio deleu-
ziano è riscontrabile in diversi aspetti, ma ciò che ci interessa risiede nel
l’im portanza attribuita ai segni-affetti, la cui portata va ben oltre la deter
minazione che li vorrebbe relegati al prim o genere di conoscenza. Infatti,
sebbene i segni siano riconducibili a effetti in quanto «tracce di un corpo
su di un altro»111 che determinano affezioni (nel senso di stati corporei indi
viduati nelle «mescolanze confuse di corpi») o affetti (come variazioni oscu
re di potenza «secondo un ordine che è quello del C aso o dell’incontro for
tuito tra i corpi»)112, essi concorrono al raggiungimento del concetto, ossia
al secondo genere di conoscenza. Questo perché esiste «nei segni qualcosa
che prepara e duplica al tempo stesso i concetti»113 e mediante una «sele
zione» degli affetti in favore di quelli che aum entano la nostra potenza e
liberano la gioia è possibile ricavare un “ tram polino” che ci slanci d all’in
contro casuale dei corpi verso il concetto.
C om e avviene allora questa selezione «degli affetti passion ali e delle
idee da cui dipendono, che deve liberare le gioie, segni vettoriali di
aum ento di potenza e respingere le tristezze, segni di dim in u zion e»?114
111 Ivi, p. 17 9 .
112 Ivi, p. 18 2 .
113 Ivi, p. 18 6 .
114 Ibid.
ix6 LA LINGUA ANIMALE
Ebbene, Deleuze m ostra com e anche la tem atica della lotta vitale im m a
nente, in opposizione al giudizio trascendente o alla logica della guerra
(che è sem pre m ortale), trovi in Spinoza il prim o grande sostenitore:
Questa selezione è molto dura, molto difficile. Le gioie e le tristezze, gli aumen
ti e le diminuzioni, gli schiarimenti e gli scurimenti sono spesso ambigui, parziali,
cangianti, reciprocamente mescolati. E soprattutto ci sono molte persone che non
possono stabilire il loro Potere se non sulla tristezza e l’afflizione, sulla diminuzio
ne di potenza degli altri [...]. Continuano a emettere e imporre segni di tristezza,
che presentano come ideali e gioie alle anime che loro stessi hanno reso malate. Così
la coppia infernale, il Despota e il Prete, terribili “ giudici” della vita115.
E a llo ra nella selezione dei segni che deve avven ire la lotta letteral
mente «passionale», un com battim ento tra gli affetti senza pietà per quel
li, tra essi, che im plicano una dim inuzione della nostra potenza di agire
e form e di tristezza che possono anche essere presentate com e «prom es
se di gioia». Un com battim ento che, com e possono testim oniare diverse
m acchine da guerra create nella e dalla letteratura, presenta sem pre «il
rischio di m orirne»; m a un com battim ento inevitabile per non m orire sof
focati dal giudizio e dalle passioni tristi.
IIS Ivi, p. 18 7 .
1,6 Ivi, p. 76.
III. CLINICA SENZA ORGANI XX 7
finita con il giudizio. Esiste però in M asoch un altro aspetto della sospen
sione, ed è quello sul quale Deleuze concentra m aggiorm ente le sue rifles
sioni rispetto alla Présentation de Sa eh er- M aso eh. N o n è solo la sospen
sione del p iacere a rendere pecu liare l’ opera m aso ch ian a, bensì una
sospensione generalizzata, che parte dalla scrittura stessa e giunge al gesto
della donna-carnefice fino al m asoch ista, l’ eroe-vittim a «il cui corpo
sospeso attende il c o l p o » " 7. È allora nella sospensione, come nucleo let
terario di M aso ch , che possiam o trovare il rapporto diretto con la dila
zione illim itata di K a fk a . N o n solo, l’ accostam ento tra M aso ch e K a fk a
non deve essere visto com e qualcosa di occasionale, non si tratta insom
m a di una sem plice an alogia, poiché entram bi gli scrittori, più di q u al
siasi altro, raggiun gono il cuore dell’ ultim a filosofia deleuziana. V ed ia
m o allora rapidam ente l’apporto che M aso ch ha potuto offrire a D eleu
ze, com inciando dal libro che quest’ultim o gli ha consacrato.
N ella Présentation de Sacher-Masoch, ricercando gli elementi per una
separazione non più conciliabile tra sadism o e m asochism o, Deleuze deli
nea innanzitutto due casi clinici che devono essere intesi com e due stili di
esistenza, o addirittura due m odi del pensiero. C om e fa notare M on ique
D avid-M èn ard in Deleuze et la psychanalyse, l’interesse di Deleuze verso
una sindrom e psichica è dato dalla possibilità di com m utare quest’ ulti-
ma in uno stile, in una form a di esistenza118, e così facendo il professore
di Vincennes sem bra im personare - prob ab ilm en te suo m algrad o - un
autentico psicanalista, dal m om ento che «ciò che fa una cura psican ali
tica è proprio trasform are un sintom o che impedisce di vivere in stile di
vita e di pen siero »“ 9.
Deleuze - anche grazie al sessuologo K ra afft-E b in g IZO - denuncia la
confusione di cui è oggetto il m asochism o quando viene pensato come un
rovescio del sadism o, confusione che trova la sua radice in una conside
razione troppo sem plice del piacere e del dolore. Questi ultimi - il piace
re e il dolore - non sono per Deleuze validi strumenti al fine di concepi
re una distinzione tra sadism o e m asochism o, poiché non sarebbe la tra
sform azione del piacere in dolore a caratterizzare la peculiarità del tema
di M aso ch . D istinguendo il m asochism o e il sadism o com e due stili dif
ferenti di desiderio, D eleuze può indicare la via che con d u rrà fino alla
determinazione del corpo senza organi nel L ’A nti-Edipo e successivam en
te in M ille piani. In fatti, m entre il sadico ri-troverebb e il piacere nella
117 Ibid.
118 Cfr. M . David-M énard, Deleuze et la psychanalyse, PUF, Paris 200 5, p. 38.
119 Ibid.
110 Cfr. A. M oli (a cura di), V. R . Kraafft-Ebing, Psychopatia sexualis, 19 2 4 ; trad. it. e
cura di P. G ioia, Psychopatia sexualis, M anfredi, M ilano 19 6 6 .
LA LIN G U A A N IM A LE
di morte in quanto non può mai essere dato, il secondo rappresenta un modo affatto diver
so, che è mitico e dialettico, immaginario», ivi, p. 38.
127 Cfr. S. Freud, Al di là del principio di piacere, trad. it. di A. M. Marietti e R. Color-
ni, in Opere di Sigmund Freud, voi. IX, Bollati Boringhieri, Torino 19 77, pp. 187-249.
128 G. Deleuze, Il freddo e il crudele, cit., pp. 33-34.
120 LA LINGUA ANIM ALE
dimostrare la sua differenza di natura nei confronti del sadismo, nella Ri
presentazione egli è un medico che fa «la diagnosi del mondo» seguendo
scrupolosamente «la malattia generica dell’uomo»132. Masoch diviene un
medico che si spinge anche a valutare le possibilità di una salute inedita,
ancora da creare, poiché essa riguarda «l’eventuale nascita di un uomo
nuovo»133. Per comprendere in profondità l’attenzione deleuziana rivolta a
Masoch ritorniamo sui tre elementi, che possono anche da soli descrivere la
nuova clinica deleuziana, e analizziamoli singolarmente.
«Non è casuale che Michel [Foucault] attribuisca una certa importan
za a Sade, e io invece a Masoch. Non basta dire che io sarei masochista
e Michel invece sadico. Potrebbe andar bene, ma non è vero. Quello che
mi interessa in Masoch non sono i dolori, ma l’idea che il piacere inter
rompa la positività del desiderio e la costituzione del suo campo d’imma
nenza»134. Questa frase di Deleuze non solo esplicita una preferenza
riguardante la letteratura e ciò che essa può evocare, ma può rivelare la
linea di separazione concettuale tra Deleuze e Foucault. Separazione che
non è di sicuro immediatamente palese visto che entrambi - tra le varie
esperienze vissute fianco a fianco - hanno condotto ricerche e analisi
micropolitiche, animati da una comune tensione positiva verso le forme
di resistenza al potere dominante. E nella estensione strategica che viene
data dai due filosofi alle nozioni di potere, desiderio e piacere che la sepa
razione si rende evidente e si fa incolmabile:
L’ ultim a vo lta che ci siam o incontrati, M ich el, con m olta gentilezza e affetto,
m i ha detto più o m eno: non posso sopportare la p aro la desiderio; anche se voi
la im piegate in un altro m odo, non posso evitare di pensare o di vivere il deside-
rio= m an can za, o che il desiderio si con sidera represso. M ich el aggiun geva: forse
chiam o «piacere» quello che vo i chiam ate «d esiderio»; in ogni caso ho bisogno
di una p aro la diversa da «d esid erio » 135.
Il rap p o rto fra l’ uom o e l’ anim ale è stato senz’ altro frain teso dalla p sico an a
lisi, che vi scorge delle figure edipiche tro p p o um ane. Anche le cartolin e co sid
dette m asochiste, in cui vecchi sign ori stanno in posizione canina ai piedi di una
severa p a d ro n a , ci p o rtan o fu o ri strad a. I p e rso n ag gi m asochisti non im itan o
l’ anim ale, m a raggiungon o zone d’ indeterm inazione, di vicinanza, in cui la donna
e l’ anim ale, l’ anim ale e l’ uom o diventano in distinguibili144.
‘ ■ts Cfr. G. Deleuze, Logica della sensazione, trad. it. di S. Verdicchio, Quodlibet, M ace
rata 19 9 5 , p. 37.
146 G. Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 78.
147 Ivi, p. 77.
148 La nozione di tensore linguistico, che Deleuze e Guattari riprendono da V. Sephiha,
sarà trattata nel prossimo capitolo.
149 G. Deleuze, Critica e Clinica, cit., p. 77.
III. C L IN IC A SEN ZA O R G A N I 125
tura. Ecco perché il compito degli scrittori deve essere proprio quello di
tracciare linee di fuga nel linguaggio e dal linguaggio, facendo balbetta
re un’intera lingua e, in questo movimento deterritorializzante, porsi
come uno straniero in patria. Creare «una lingua straniera all’interno
della propria lingua» significa far fuggire le intensità, gli affetti, le sensa
zioni della scrittura dalla prigione del linguaggio rappresentativo. Fuggi
re è sottrarsi, e questa fuga può avvenire solo sottraendo le costanti di
una lingua in quanto elementi di potere, al fine di ottenere un piano di
composizione del linguaggio basato sulla variazione continua che porti
alla liberazione del senso, alla costruzione di nuove modalità di espres
sione e di nuove formalizzazioni del contenuto. Lo scrittore deve quindi
sottrarre, deve divenire, e far divenire la lingua, minore. Per “ letteratura
minore” Deleuze intende allora essenzialmente e a livello generale una
dinamica letteraria di minorazione, ossia una sovversione del modello
maggioritario che si realizza tramite la sottrazione degli elementi sintat
tici e grammaticali che provengono dalla prigione della propria lingua.
La parola d ’ordine
5 Ivi, p. 12 8 .
6 Ivi, p. 13 7 .
7 Ivi, p. 13 0 .
8 O. Ducrot, D ire et ne pa$ dire, Herm ann, Paris 19 7 2 , p. 73.
130 LA LIN G U A A N IM A LE
Saussure concepisce la linguistica com e parte di «una scienza che studia la vita
dei segni in seno alla vita sociale». È quindi cu rioso con statare che i linguisti che
seguono la tradizione saussuriana (vale a dire la grande m aggioranza) non si occu
pino assolutam ente della vita sociale: essi lavo ran o nel loro ufficio con uno o due
inform atori, oppure esam inano ciò che loro stessi sanno della L an gue. M a ciò che
è peggio, è il fatto che si ostinano a rendere conto dei fatti linguistici tram ite altri
fatti linguistici, e rifiu tan o ogn i spiegazione fo n d ata sui dati “ esterni” , presi dal
com portam ento sociale. [...] Per con tro, sem bra ch iaro che non si saprebbe p ro
gredire veram ente nei m eccanism i di cam biam ento linguistico senza studiare seria
mente i fattori sociali che m otivan o l’ esistenza del linguaggio [ ...] variab ili socia
li che in fluenzano direttam ente il corso dell’ evoluzione lin g u istic a ".
16 Ivi, p. 13 3 .
17 Alla parola “ corp o ” viene assegnato il senso più generale: vi sono infatti corpi socia
li, corpi m orali, fisici, monetari e altri.
18 Ivi, p. 1 3 3 . Cfr. O. D ucrot, D ire et ne pus dire, cit., p. 7 7: «L’enunciato di una sen
tenza da parte di un m agistrato può venir considerato come un atto giuridico, giacché nes
sun effetto viene a intercalarsi tra la parola del magistrato e la trasform azione dell’im puta
to in condannato».
19 G . Deleuze, F. G uattari, M ille piani, cit., p. 1 3 5 .
IV. L IN G U A G G IO , LETTER A TU RA , P O L IT IC A 133
necessario «sottolineare fino a che punto la politica lavori la lingua dal
l’interno, facendo variare non soltanto il lessico, ma la struttura e tutti
gli elementi delle frasi, nello stesso tempo in cui le parole d’ordine muta
no»20. Al punto che un tipo di enunciato deve venire valutato in funzio
ne del suo rapporto con i presupposti impliciti, con gli atti immanenti e
con le trasformazioni incorporee che esso esprime.
Per quanto concerne le trasformazioni incorporee, è fondamentale espli
citare il riferimento di Mille piani agli Stoici21. Questi pensatori dell’anti
chità distinguevano già le azioni e le passioni dei corpi dagli atti incorpo
rei, prodotti dalle espressioni del linguaggio22. Enunciati come «l’albero
verdeggia», «il coltello entra nella carne», «l’acqua si inscurisce», esprimo
no delle trasformazioni incorporee, considerati “ eventi” . Queste trasfor
mazioni sono sì l’espresso degli enunciati, ma si attribuiscono ai corpi.
Deleuze, a proposito degli Stoici, riferisce che siano stati i primi a formu
lare una filosofia del linguaggio. Questo perché gli attributi incorporei che
si attribuiscono ai corpi conducono il linguaggio al di là, o al di qua, della
rappresentazione. Tramite una trasformazione incorporea non si rappre
senta ma si “ interviene” , compiendo un atto linguistico. Se gli atti incor
porei costituiscono la forma di espressione, le azioni e le passioni che modi
ficano incessantemente i corpi costituiranno la forma di contenuto. Per
Deleuze un concatenamento non è collettivo d’enunciazione senza essere
anche macchinico di corpi. La distinzione “ stoica” tra contenuto ed espres
sione chiarisce allora la valenza dei concatenamenti: «la catena delle tra
sformazioni istantanee [incorporee] si inserirà incessantemente nella trama
delle modificazioni continue [che riguardano i corpi, o gli stati di cose]»23.
Le espressioni si inseriscono nei contenuti, permettendo ai segni di lavora
re le cose simultaneamente al dispiegarsi delle cose attraverso i segni: «un
concatenamento d’enunciazione non parla “ delle” cose, ma parla sul filo
degli stati di cose o stati di contenuto»24.
Contestando un altro postulato della linguistica, che in questo caso pro
viene da Chomsky, secondo il quale esisterebbe una macchina astratta pro
priamente linguistica, Deleuze e Guattari ritornano sugli espressi dell’enun
ciato, sull’incorporeità e sul rapporto tra parole e corpi, avvalendosi pro
prio del pensiero stoico. La stessa definizione di concatenamento colletti
20 Ivi, p. 1 3 6 .
21 In realtà il libro “ stoico” per eccellenza è Logica d el senso, in cui sono già presenti
le stesse riflessioni di M ille piani.
22 I riferimenti che Deleuze fa agli Stoici, per quanto riguarda la filosofia del linguag
gio, provengono innanzitutto dalla sua lettura di E. Bréhier, L a Théorie des incorporels dans
l ’ancien stoicisme, Vrin, Paris 19 7 0 .
23 G. Deleuze, F. Guattari, M ille piani, cit., p. 14 0 .
24 Ivi, p. 1 4 1 .
I 34 LA LIN G U A A N IM A LE
vo rende conto proprio delle forze che interagiscono nel linguaggio e nella
società. Se si distinguono l’insieme delle modificazioni corporee e l’insieme
delle trasformazioni incorporee, ci si trova davanti a due formalizzazioni:
di contenuto e di espressione. Seguendo un filo che dagli Stoici giunge a
Hjemselv, i due autori francesi non contrappongono la forma al contenu
to, poiché quest’ultimo possiede la sua formalizzazione “ nelle cose” , men
tre l’espressione viene formalizzata tramite i segni. Due formalizzazioni ete
rogenee e indipendenti che danno luogo, rispettivamente, al concatenamen
to dei corpi e al concatenamento delle espressioni. Il linguaggio, così ripar
tito, reca in sé il paradosso stoico per il quale gli attributi incorporei, in
quanto espressi degli enunciati, riguardano soltanto i corpi (bisogna ricor
dare la concezione deleuziana dì corpo, per la quale i corpi possono non
essere fisici, ma sociali, monetari, morali - «perfino le rappresentazioni
sono corpi»). Seguendo Deleuze, gli attributi incorporei si attribuiscono ai
corpi per intervenire su di essi e non per descriverli o rappresentarli. Attri
buendosi ai corpi, gli espressi intervengono sui contenuti ed è così che,
esprimendo un attributo incorporeo, si compie un atto linguistico. Quan
do un espresso interviene su di un corpo questo succede nel quadro di una
presupposizione reciproca tra forma di contenuto e forma di espressione:
«le espressioni o gli espressi si inseriscono nei contenuti, intervengono nei
contenuti, non per rappresentarli ma per anticiparli, farii retrocedere, per
rallentarne o accelerarne il flusso, per separarli o riunirli, per ritagliarli in
un altro modo»15. Contenuto ed espressione, per Deleuze e Guattari, sono
inseparabili da movimenti di deterritorializzazione secondo i quali i conte
nuti e le espressioni si coniugano, intervenendo reciprocamente. Questi
interventi avvengono secondo gradi di deterritorializzazione del contenu
to rispetto a quelli d’espressione e viceversa:
Può accadere che le com ponenti sem iotiche sian o più deterritorializzate delle
com pon en ti m ateriali, m a anche il co n trario . A d esem pio, un com plesso m ate
m atico di segni p u ò essere più deterritorializzato di un insiem e di particelle; m a,
viceversa le particelle p osso n o avere effetti sperim entali che deterritorializzano il
sistem a sem iotico. U n ’ azione crim inale p u ò essere deterritorializzata in rap p orto
al regim e di segni esistente (la terra grida ven detta e si apre sotto di me, la m ia
co lp a è tro p p o gran d e!), m a il segno che esprim e l’ atto di con d an n a p u ò a sua
v o lta essere deterritorializzante in rap p o rto a tutte le azioni e le reazioni («sarai
fu ggitivo e fu ggiasco sulla terra» , non ti si p o trà nem m eno uccidere)26.
25 Ivi, p. 14 0 .
Ivi, p. 14 2 .
IV. L IN G U A G G IO , LETTER A TU RA , PO L IT IC A
Maggiore e minore
17 Ivi, p. 13 9 .
18 Ivi, p. 15 8 .
15 Ivi, p. 15 8 .
1 36 LA LIN G U A A N IM A LE
30 Ivi, p. 16 3 .
31 Ivi, p. 16 2 .
31 Due ragioni, provenienti rispettivam ente da C hom sky e da Labov, renderebbero
conto dell’ impossibilità di pensare alle lingue minori e a quelle maggiori come a se stanti:
«Com e fa osservare Chom sky, un dialetto, una lingua di ghetto, una lingua minore non
sfugge alle condizioni di un trattamento che vi isola un sistema omogeneo e ne estrae delle
costanti: il black english ha infatti una propria gram m atica che non può essere definita
come una somma di errori o di infrazioni rispetto all’ inglese-standard, ma appunto questa
grammatica non può essere considerata se non in quanto le vengono applicate le stesse rego
le di studio che a quella dell’inglese-standard... ma ci sembra che l’argomento contrario sia
più valido ancora: quanto più una lingua possiede o acquisisce le caratteristiche di una lin
gua m aggiore, tanto più è lavorata da variazioni continue che la traspongono in maniera
“ m inore” [...] Chom sky può dire che una lingua, anche se è m inore, dialettale o di ghetto,
non può essere studiata fuori dalle condizioni che ne estraggono delle invarianti e che eli
minano le variabili estrinseche o miste; ma L abov può rispondere che una lingua, anche se
è maggiore o standard, non può essere studiata indipendentemente dalle variazioni «ine
renti» che, precisamente, non sono né miste, né estrinseche. N o n potrete raggiungere un
IV. LIN G U A G G IO , LETTER A TU RA , P O L IT IC A 137
minore è essenzialmente quella di deterritorializzare la lingua maggiore,
e non quella di riterritorializzarsi in un dialetto, poiché la lingua è spin
ta ad uno stato di variazione continua, per via appunto di un restringi
mento delle costanti. Il ruolo dell’autore minore è esattamente quello di
porre dei tensori nella sua lingua maggiore per tracciarvi lingue minori
ancora sconosciute. Le espressioni atìpiche giocano il ruolo di tensori:
fanno in modo che la lingua tenda verso un limite dei propri elementi,
assicurano la variazione delle variabili e sottraggono ogni volta il valore
della costante. Lo stato della lingua allora, per Deleuze e Guattari, si avvi
cina a quello della musica.
Per comprendere più chiaramente lo statuto di una lingua minore biso
gna rendere conto dell’opposizione concettuale tra maggioranza e mino
ranza, che non si oppongono solamente in maniera quantitativa. La prima
implica una costante come unità di misura in rapporto alla quale può
venir valutata, mentre sarà chiamata minoritaria una determinazione
diversa dalla costante, e verrà considerata come un sottosistema o un
fuori-sistema. Deleuze e Guattari distinguono allora un sistema maggio
ritario., definito dalle costanti e dal suo carattere omogeneo; le minoranze
come sottosistemi, definibili oggettivamente; e il minoritario come diveni
re, che è in sé potenziale e creativo: «maggioranza non è mai un divenire.
Non vi è divenire se non minoritario»33. Così le lingue minori non sono
dialetti, idioletti o sottolingue, ma devono essere viste come processi in
grado di far giungere la lingua maggiore a un divenire minoritario.
sistema om ogeneo che non sia ancora o già lavorato da una variazione immanente, conti
nua e regolata (perché Chom sky finge di non capire?)», ivi, p. 1 6 1 .
33 Ivi, p. 16 4 .
i 38 LA LIN G U A A N IM A LE
38 Ivi, pp. 3 0 - 3 1.
39 Ivi, p. 3 1 .
40 Ivi, pp. 3 2 -3 3 .
41 Ivi, p. 33 ·
42 Cfo. V. Sephiha, Introduction à l’étude de l’intensif «Langages», 18 , 19 7 0 , pp. 10 4 -12 0 .
140 LA LIN G U A A N IM A LE
luppa particolarmente, si può far filare una lingua maggiore su una linea
di fuga che trascina la lingua nel deserto, facendo “ gridare” il linguag
gio. Per “ intensivo” deve essere inteso un linguaggio che trasmetta gra
dienti di intensità tramite i suoi enunciati; un linguaggio che trasmette
affetti, stati vissuti da un corpo, senza rinviare a significati come rappre
sentazioni di cose, o a significanti intesi come rappresentazioni di paro
le; un linguaggio che passa al di sotto di tutti i codici: legali, contrattua
li o istituzionali. In Pensiero Nomade Deleuze, descrivendo i tratti essen
ziali degli aforismi nietzscheani, paragona il lavoro di Nietzsche proprio
a quello di Kafka: entrambi monterebbero in tedesco una macchina da
guerra contro il tedesco, per far passare qualche cosa al di sotto di tutti
i codici, ma che comunichi il dolore, così come il piacere, dei corpi. Se
Nietzsche riesce a trasmettere l’intensità in relazione alla sua iscrizione
su di un corpo e all’esteriorità di un nome proprio43, Kafka utilizza inve
ce, all’interno del tedesco, le parole in se stesse, i tensori, facendoli lavo
rare per trasmetterci stati vissuti sempre più aderenti ai nostri corpi.
Questi tensori derivano dalle caratteristiche salienti di una lingua mino
re che, nel tedesco di Praga, sono soprattutto il ricorso a verbi passepar
tout, tramite i quali lo stesso verbo designa numerose azioni diverse; l’ab
bondanza e la successione degli avverbi; l’importanza dell’accento come
censione interna alle parole; la distribuzione delle consonanti e delle voca
li in una discordanza interna44; e, utilissimo per il tratto intensivo, l’impie
go di connotazioni dolorifere. Sono quest’ultime che rendono conto anche
di una particolare intuizione della metamorfosi, dove la ricezione delle
parole, in Gregorio, assume un «pigolio doloroso». La metamorfosi viene
intesa come il contrario della metafora, poiché non vi è più senso stretto
né senso figurato, ma «distribuzione di stati nel ventaglio della parola».
Uomo e animale si deterritorializzano a vicenda e il concatenamento col
lettivo fa sì che non vi siano più soggetto d’enunciato e d’enunciazione:
Da Kafka a Bartleby
15 Ivi, p. 40.
I 42 LA LIN G U A A N IM A LE
porti tra esse, ma talmente forte da disattivare ogni atto di parola. Bartle-
by giunge, semmai, a una sorta di non-rapporto con chi gli parla, rispon
dendo di non rispondere o di preferire non rispondere, e che si conclude
rà con il silenzio finale, con la morte in prigione. In entrambi i casi Deleu
ze intravede una sorta di lingua straniera percorrere il testo, ma è come se
in Kafka le parole lasciapassare innescate nel tedesco fossero sempre chia
mate a scegliere, a manifestare il più delle volte un forte dissenso.
Bartleby, copista nello studio di un avvocato, decide invece di non sce
gliere. Ad ogni richiesta la formula del «preferirei di no», senza accettare e
al tempo stesso senza rifiutare i comandi che vengono posti, ottiene molto
di più di ciò che si può avere da un buon funzionamento del linguaggio. È
sicuramente un uso minore della lingua, per via delPobiettivo che Bartleby
stesso si pone: manifestare la sua volontà che, in questo caso, piuttosto che
essere volontà di - sia pur volontà di niente -, tende a un niente di volon
tà. Questo niente che Bartleby scava alPinterno del linguaggio gli appartie
ne interamente, come le intensità presentì in una lingua minore apparten
gono a chi la parla, formando lo spettro delle sue emozioni.
La lingua maggiore, l’inglese, diviene minoritaria con le sue stesse
parole, utilizzando la propria grammatica e non già quella di una mino
ranza. Minoritaria la diviene dal momento in cui sottrae a se stessa la
logica dei presupposti comunicativi su cui si basa il linguaggio parlato.
In questa maniera, Bartleby può sfuggire a diverse parole d’ordine che
reggono la sua vita sociale, ma allo stesso tempo è destinato a rimanere
inghiottito fino alla fine dal suo preferirei di no, lasciandosi morire di
fame in prigione. Del resto, Bartleby si è fatto completamente mangiare
da questa formula, ma non prima che il preferirei di no sconvolgesse altre
vite, più o meno spettatrici. E cosi che l’avvocato, suo datore di lavoro,
si autocostringe a fare i bagagli e abbandonare definitivamente le stanze
dell’ufficio lasciandolo sfitto, mentre Bartleby non se ne andrà fino all’ar
rivo della polizia, continuando il proprio tragitto immobile verso un
destino che sicuramente non avrebbe preferito. Con Bartleby straniero
nella propria lingua, il minoritario giunge quindi al suo punto estremo,
arriva all’indiscernibile, diviene impercettibile, per fondare sotterranea-
mente una comunità di fratelli, completamente senza identità, senza
patria ma figli del mondo:
E in uno stesso m essianism o lo si scorge ora sul versan te del p ro letario , ora sul
versante dell’A m erican o 50.
50 Ivi, p. 10 0 .
Cfr. ivi, pp. 1 1 0 - 1 1 6.
52 Ivi, p. 1 1 5 .
53 Cfr. J. D errida, l ì m onolinguism o d ell’altro, cit., p. 86.
146 LA LIN G U A A N IM A LE
Il senso politico che possiamo trovare in Bartleby non risiede solo nel
l’essere espressione di un universale minoritario da realizzarsi, ma anche
- e qui troviamo il nucleo performativo della formula «I would prefer not
to» - nella resistenza incondizionata, senza compromesso possibile, al
potere dominante. Con la formula di Bartleby “ saltano” sia le conven
zioni linguistiche sia quelle sociali, ed essa ha la potenzialità di funziona
re come un virus informatico, capace di propagarsi immediatamente fra
la moltitudine minoritaria, al fine di mandare in tilt non solo il linguag
gio quotidiano ma l’intero “ sistema operativo” .
A questa attualità politica della frase ripetuta da Bartleby è necessa
rio però affiancare una serie di problemi che risultano dal personaggio
melvilliano e dall’interpretazione che ne dà Deleuze, anche in rapporto
al pensiero filosofico e politico di quest’ultimo. Non ci si può allora esi
mere da formulare alcune domande che emergono con forza dopo la let
tura del saggio deleuziano.
Perché il personaggio concettuale più “ politico” di Deleuze, ovvero Bar
tleby, nel momento stesso in cui traccia una linea di fuga che è un atto di
resistenza, tanto alla società capitalista quanto alle convenzioni del linguag
gio, si condanna di fatto alla morte? Perché, in altri termini, la filosofia vita
lista di Deleuze costruisce insieme a Bartleby questa linea di fuga mortife
ra? E perché, ad un livello più generale, questo vitalismo declinato nel senso
di una ricerca della liberazione della vita da ciò in cui essa si trova prigio
niera è sempre al confine con situazioni che portano alla morte, come
avviene in gran parte dei casi della letteratura americana cara a Deleuze?
Cerchiamo di rispondere innanzitutto alla prima domanda. Deleuze
ci invita a vedere Bartleby nel suo delirio positivo, che ha lo stesso valo
re del processo schizofrenico (breakthrougbt) descritto nel L’anti-Edipo,
e a pensare la società americana nella quale vive il personaggio come polo
oppressivo-repressivo del processo. In questo senso, pur finendo in pri
gione e morendo a causa della sua formula, «Bartleby non è il malato,
ma il medico di un’America malata», «e se gli viene impedito di effettua
re il suo viaggio, allora il suo posto resta solo nella prigione dove muore,
di “ disobbedienza civile” , come dice Thoureau, “ il solo posto in cui un
uomo libero potrà soggiornare con onore” »54.
Deleuze si permette di interpretare il racconto di Melville in maniera
del tutto differente rispetto alle indicazioni, anche esplicite, fornite dal
narratore, secondo cui il malessere di Bartleby sarebbe dovuto alla “ natu
ra” e alla “ sfortuna” . Questa precisazione legata all’interpretazione
una repressione sociale, che la linea di fuga “ Bartleby” , ridotta alla purez
za di un’astrazione e un’indeterminazione senza compromessi, conduce ad
una reale linea suicidaria, e non può condurre altrove (ed è così che la per
cepisce Melville mediante gli occhi del narratore)»63.
Per parte nostra, abbiamo già mostrato in precedenza l’impossibilità
di attribuire alla linea di fuga un’essenza di questo tipo, nel senso che
intrinsecamente non vi può essere né una distruzione né un potenziamen
to, poiché essa va concepita a partire dall’esteriorità delle relazioni; lascia
mo comunque continuare la critica affinché giunga ancora più in profon
do. La linea di fuga “ cavalcata” da Bartleby nel suo non voler scegliere,
agli occhi di Mengue, dovrebbe essere deprecabile da parte di un filoso
fo nietzscheano come Deleuze: «non posso impedirmi di fare un accosta
mento con la critica che Nietzsche indirizza agli eroi wagneriani che,
come Bartleby, non potendo «né vivere né morire», sono animati solo da
una grande avversione contro la vita»64. Per Mengue sembra che con Bar
tleby si assista al trionfo delle forze reattive sul riso, sulla danza e sul
gioco. Zarathustra VS Bartleby, insomma. Nell’affidare la linea di fuga a
Bartleby, Deleuze si sarebbe dunque allontanato dalla prospettiva vitali
sta nietzscheana della gratitudine nei confronti della vita65, della voca
zione per l'amor fati e della speranza nelle forze attive e creatrici che
hanno nel coraggio come «pathos aggressivo»66 il loro valore. Questo
perché con la formula di Bartleby si giungerebbe ad un impoverimento
patologico della volontà di potenza, vale a dire precisamente il contrario
della gaiezza e della pienezza della vita vissuta. La volontà di potenza sci
volerebbe fino al suo stadio più nichilista, quello del Nulla che si impos
sessa della volontà. La distinzione tra “ volontà di nulla” e il “ nulla di
volontà” , messa in campo da Deleuze per descrivere la peculiarità di Bar
tleby, non sarebbe sufficiente a preservare il “ nietzscheanesimo” che
aveva contraddistinto il filosofo di Differenza e ripetizione fino al L’an-
ti-Edipo67. Bartleby, scegliendo di non scegliere, giunge ad un “ nulla di
volontà” che, se per Deleuze rappresenta il punto di non ritorno di una
contestazione radicale della società in cui vive, per Mengue è una forma
di resistenza reattiva, generata da tutti i rancori e i risentimenti nei con
fronti della «società americana vittoriosa», che «testimonia eminente-
68 Ivi, p. 69.
69 Ivi, p. 68.
70 Sulla “ riattivazione” del pensiero di Nietzsche da parte di Deleuze mi permetto di
rinviare a P. V ignola, L e frecce di N ietzsche, cit.; cfr. inoltre U. Fadini, S. Berni, Lin ee di
fuga, FUP, Firenze 2 0 10 .
i 5z LA LIN G U A A N IM A LE
Che cos’è dunque la verità? U n esercito m obile di m etafore, metonim ie, an tro
pom orfism i, in breve una som m a di relazioni um ane, che sono state sublim ate,
trad o tte, abbellite poeticam en te e retoricam en te, e che per lu nga con suetudine
sem brano a un p op olo salde, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni, delle
quali si è dim enticato che appun to non sono che illusioni [...]. N o i con tinuiam o
a non sapere da dove scaturisca l’ im pulso alla verità: giacché noi fin ora ab biam o
preso atto del dovere, che la società im pone per esistere, di essere sinceri, e cioè
di usare le m etafore secondo le consuetudini; il che significa, da un punto di vista
m orale: noi ab biam o preso atto del dovere di m entire secondo una salda con ven
zione, di m entire cioè tutti insiem e in uno stile vincolante per tutti74.
74 F. Nietzsche, Verità e menzogna in senso extramorale, in Id., O pere, cit., voi. Ili (I),
p. 3 6 1.
75 Cfr. F. Z ourabichvili, D eleuze et le possibile (de l ’im>olontarisme en politique), cit.,
P· 349 ·
76 Cfr. G. Deleuze, Cinem a 2. L ’im m agine-tem po, trad. it. L. Ram pello, Ubulibri, M ila
no 19 8 9 .
154 LA LIN G U A A N IM A LE
i clicbés sono considerati quali immagini senso-motorie delle cose che agi
scono alla stregua di “ parole d’ordine” del sistema economico-politico, al
punto che, per Deleuze, la nostra non sarebbe una società di immagini,
bensì una società di clicbés, «in cui tutti i poteri sono interessati a nascon
derci le immagini, non necessariamente a nasconderci la stessa cosa, ma a
nasconderci qualcosa nell’immagine»77. Se per Deleuze con il neo-realismo
italiano si è reso «necessario un nuovo tipo di attori [...] capaci di vedere
e di far vedere più che d’agire»78, ciò è dovuto al fatto che nella realtà per
cepiamo della cosa solo quello che siamo interessati a percepire poiché
«possediamo degli schemi [senso-motori] per voltarci dall’altra parte quan
do questo è troppo sgradevole, per ispirarci la rassegnazione quando è trop
po orribile, per farci coinvolgere quando è troppo bello»79. La ricerca di
ciò che viene occultato dell’immagine, in seguito ad una restrizione e ad un
“ preconfezionamento” del visibile, conduce Deleuze alla distinzione tra le
“ immagini senso motorie” e le “ immagini ottiche e sonore pure” . Il meri
to del neo-realismo italiano80 risiede proprio nella descrizione di una real
tà ossessionata dalle “ immagini ottiche e sonore pure” , le quali raggiunge
rebbero il risultato di una “ fuga” dai clicbés, conducendo l’attore a dive
nire spettatore, e dunque visionario, proprio come Bartleby:
77 Ivi, p. 3 3.
78 Ivi, p. 3 1 . Cfr. G. Deleuze, Pourparler, cit., p. 7 3: «Credo che sia questa la grande
invenzione del neo-realismo: non si crede più abbastanza alla possibilità di agire sulle situa
zioni o di reagire alle situazioni, e tuttavia non si è affatto passivi, si percepisce e si scopre
qualcosa di intollerabile, di insopportabile, persino nella vita più quotidiana».
19 G . Deleuze, Cinem a 2. L ’im m agine-tem po, cit., pp. 31-32..
80 Deleuze condivide l’ analisi di Bazin, secondo cui il neo-realismo italiano non deve
essere definito a partire dal suo contenuto sociale, bensì in base a criteri form ali estetici:
«invece di rappresentare un reale già decifrato, il neorealismo m irava a un reale da decifra
re [...]. Il neorealismo inventava un nuovo tipo di immagine, che Bazin proponeva di chia
mare “ Pimmagine-fatto” », ivi, p. 1 1 ; cfr. A. Bazin, Che cos’è il cinem a?, trad. it. di A. A prà,
Garzanti, M ilano 19 7 3 ·
81 G. Deleuze, Cinema 2. Im m agine-Tem po, cit., p. 1 3 ; cfr. inoltre: «l’ importante è sem
pre che il personaggio, o lo spettatore, e tutti e due insieme, diventino visionari. La situa
zione puramente ottica e sonora risveglia una funzione di veggenza, contemporaneamente
fantasma e constatazione, critica e com passione», ivi, p. 30.
IV. L IN G U A G G IO , LETTER A TU RA , P O L IT IC A 155
In base alle considerazioni deleuziane, possiamo cogliere i clicbés
come espressioni delle forze reattive, effetti di abbandono acritico, di pas
sività inerziale di fronte agli schemi dominanti di comportamento. È di
fronte a questo genere di possibilità dettate dai clichés, che non aprono
il nuovo del possibile ma lo rinchiudono in uno schema coattivo, che il
“ niente di volontà” si fa avanti in un personaggio come Bartleby. La pro
messa di una nuova salute, che Bartleby coglie nella formula «I would
prefer not to», risiede proprio nel raggiungimento di questo “ non vole
re” che libera la vita dal sistema delle alternative.
E propizio allora, come giustamente suggerisce Zourabichvili, mostra
re il ruolo che manifesta l’evento deleuziano nel comportamento di Bar
tleby. Un ruolo che non può essere ignorato o sminuito, poiché, se non si
tiene conto della forza trasformatrice e trascendentale dell’evento, il per
sonaggio concettuale non avrebbe nemmeno la possibilità di “ affascina
re” Deleuze, di suggestionarlo con la sua linea di fuga. Ecco allora cosa
succede a Bartleby.
Il visionario che è colpito da qualcosa di intollerabile avverte una
mutazione degli affetti dovuta al cambiamento della percezione. Tale cam
biamento è causato appunto dall’incontro con qualcosa di nuovo, e que
sta dinamica ci riporta alla genesi del pensiero di Deleuze, al suo “ empi
rismo trascendentale” . Con l’evento dell’incontro si apre dunque un
«nuovo campo del possibile»82, che darà origine a una nuova forma di
relazione tra gli elementi. Ora, quel che è importante e che riguarda il per
sonaggio concettuale Bartleby, è che l’evento ha la forza di fare tabula rasa
rispetto ai progetti, ai calcoli e alle intenzioni di chi lo osserva - subendo
lo, ma comunque affrontandolo. È così che avere il coraggio di affronta
re l’evento, essere cioè responsabili davanti ad esso fino a «volere l’even
to»83, equivale a rinunciare alla volontà - se con essa si intende una ten
sione verso le forme di possibilità ordinarie - a partire dal momento in cui
l’evento accade. L’evento è per definizione un incontro straordinario, in
ragione del quale le possibilità date in precedenza vengono sconvolte, eli
minate o trasformate. Che senso avrebbe, allora, mantenere la propria
volontà, se non precisamente quello di rinunciare a cogliere l’evento in
quanto tale? Ecco dunque come il “ niente di volontà” , piuttosto che esse
re un compimento del risentimento o degli ideali ascetici84, abbia diretta-
mente a che fare con l’amor fati, considerando quest’ultimo in una ibri
dazione tipicamente deleuziana tra Nietzsche e il pensiero stoico:
Volere l’evento è innanzitutto liberarne l’eterna verità [...] tale volere raggiun
ge il punto in cui la guerra è condotta contro la guerra [...] la morte rovesciata
voluta contro tutte le morti. Intuizione volitiva e trasmutazione. “ Al mio gusto
della morte,” dice Bousquet, “ che era fallimento della volontà, io sostituirò una
voglia di morire che sia l’apoteosi della volontà” . Da questo gusto a questa
voglia, nulla muta in una certa maniera salvo un cambiamento di volontà, una
sorta di salto sul posto di tutto il corpo che baratta la sua volontà organica con
tro una volontà spirituale, che vuole ora non esattamente ciò che accade, ma
qualche cosa in ciò che accade [...]: l’Evento. In questo senso l’Amor fati fa tut-
t’uno con la lotta degli uomini liberi8?.
ze, in particolare, cita un passaggio di M urphy (trad. it. di F. Q uadri, Einaudi, Torino 19 6 2 ,
p. 79): « “ Affascinato da tali prospettive, M urphy si sprofondò bocconi sull’erba, stanco di
quei biscotti dei quali altrettanto propriamente che delle stelle, si poteva dire che lo splen
dore di ciascuno era diverso dallo splendore dell’altro: quei biscotti di cui non avrebbe potu
to assimilare l’essenza se non a condizione di non preferire più questo a quello” . I w o u ld
prefer not to, secondo la form ula beckettiana di Bartleby», G . Deleuze, L ’esausto, trad. it.
di G . Bom piani, Cronopio, N apo li 20 0 5, p. 12 .
87 G. Deleuze, Pourparler, cit., p. 225.
i 58 LA LIN G U A A N IM A LE
nos. Quando Deleuze afferma che «l’evento è in ciò che accade» vuol dire
che l’evento non è ciò che arriva, non si confonde con l’accadimento o
l’accidente, ma è la parte eterna e “ ineffettuale” di tutto ciò che accade.
Si presenta quindi una distinzione tra gli eventi puri e la loro effettuazio
ne spazio-temporale negli stati di cose che rende conto dell’opposizione
tra il divenire e la storia. In altri termini, Deleuze si appoggia sulla teo
ria stoica secondo cui esisterebbe un tempo per i corpi e le effettuazioni
e, su di un altro piano, un tempo per gli eventi: Kronos, per cui solo il
presente esiste, tempo delle mescolanze e delle incorporazioni, e Aiòn,
per cui esistono solo passato e futuro che suddividono incessantemente,
a ogni istante, il presente nei due sensi. L’Aiòn è allora la pura forma
vuota del tempo liberato dai corpi:
ca91, bensì essa avrebbe la capacità di descrivere il mondo che si situa alla
frontiera tra le parole e le cose, un mondo delle superfici, degli eventi e dei
divenire che, data la loro natura paradossale, sfuggono al “ buon senso” e
non trovano posto nel tempo cronologico. È infatti dal punto di vista del-
ì’Aión che devono essere compresi i divenire dell’Alice di Carroll:
Quando dico «Alice cresce», voglio dire che diventa più grande di quanto non
fosse. M a voglio anche dire che diventa più piccola di quanto non sia ora. Senza
dubbio, non è nello stesso tempo che Alice sia più grande e più piccola. Ma è nello
stesso tempo che lo diventa. È più grande ora, era più piccola prima. M a è nello
stesso tempo, in una sola volta, che si diventa più grandi dì quanto non si fosse
prima, e che ci si fa più piccoli di quanto non si diventi. Tale è la simultaneità del
divenire la cui peculiarità è di schivare il presente. E, in quanto schiva il presente,
il divenire non sopporta la separazione né la distinzione del prima e del dopo, del
passato e del futuro. È proprio dell’essenza del divenire l’andare, lo spingere nei
due sensi contemporaneamente: Alice non cresce senza rimpicciolire, e viceversa92.
91 Ivi, p. 28.
91 Ivi, p. 9.
93 Ivi, p. 1 3 5 .
94 Ibid.
i6 o LA LIN G U A A N IM A LE
rarla. Contro-effettuare vuol dire sì, volere l’evento, ma «in un modo ben
diverso da quello in cui l’evento si effettua nella profondità delle cose»95.
Lo stoico e Bartleby, ciascuno a modo suo, letteralmente non vogliono
ciò che accade nei loro corpi - la malattia, la prigionia, la morte - ma lo
incarnano senza rassegnarsi. Di fronte all’evento come accadimento, per
cepibile nel tempo di Kronos, si tratta di “ raddoppiare” tale effettuazio
ne ed operarne la trasmutazione fino a che
In un caso, è la mia vita che mi sembra troppo debole per me, che fugge in un
punto diventato presente in un rapporto assegnabile con me. Nell’altro caso, sono
10 che sono troppo debole per la vita e la vita troppo grande per me, che getta
ovunque le sue singolarità senza rapporto con me, né con un momento determi
nabile come presente, tranne che con l’istante impersonale che sdoppia in anco
ra-futuro e già passato97.
95 Ibid.
96 Ivi, p. 1 3 7 .
97 Ivi, pp. 1 3 5 - 1 3 6 .
98 Ivi, p. 1 6 1 .
IV. LIN G U A G G IO , LETTER A TU RA , P O L IT IC A
99 Ivi, p. 25.
100 Ivi, p. 16 2 .
101 Ivi, p. 27.
102 Cfr. Stoicorum Veterum Fragmenta II, 1 1 7 - 1 2 4 ; trad. it. e cura di R . Radice, Stoici
antichi. Tutti i fram m enti, Rusconi, M ilano 199 9.
LA LIN G U A A N IM A LE
l’evento, testimoniarne cioè la sua verità, il suo legame con ciò che acca
de. Se Deleuze afferma che non ci si può domandare «qual è il senso di
un evento, l’evento è il senso stesso»103, sarà inutile allora interrogare il
senso della formula di Bartleby; potremo soltanto dire, sfiorando la tau
tologia: «I would prefer not to» è «l’(evento) intollerabile».
Pensando alla contro-effettuazione dell’evento, e avendo preso atto della
sua necessaria esprimibilità, possiamo ritornare sul finale del racconto di
Melville per operare noi stessi la trasmutazione che spetta a Bartleby in
quanto personaggio concettuale di Deleuze. Il narratore, ricordando l’im
piego precedente di Bartleby come addetto alPufficio lettere smarrite, con
cludeva pensando: «messaggere di vita, queste lettere scivolano verso la
morte»104. Questa è la conclusione della storia, nel senso che la storia di Bar
tleby finisce così, ma anche nel senso che tale è il punto di vista che la Sto
ria può trarre dalla vicenda, dall’evento che ha lasciato accadere senza trat
tenerlo: «dell’evento la storia afferra l’effettuazione negli stati di cose, ma
l’evento nel suo divenire sfugge alla storia»105. Altro, rispetto a quello della
Storia, è il punto di vista del divenire che, al contrario, incomincia a svilup
parsi - letteralmente “ prende vita” - nella formula, schiva il presente degli
stati di cose e, con esso, la morte. Potremmo allora ribattere nella maniera
in cui si contro-effettua l’evento triste: «Eventi di morte, questi messaggi (dal
presente dei corpi) risalgono alla superficie della vita».
Lì fuori
Ora, per concludere, dopo Bartleby, proviamo a finirla anche col fare
di Deleuze l’oggetto di un giudizio. Poiché, sia esso negativo o positivo,
il giudizio condanna dal principio a una forma, a una pretesa identità nei
confronti della quale è bene, è giusto, è corretto conformarsi appunto.
Smetterla di giudicare e incominciare a sperimentare è precisamente ciò
che ci indica Deleuze, cercando il concatenamento propizio dato dall’in
contro favorevole, che aumenta le nostre potenzialità. Questo ci viene
dato di cogliere dalle letture che ci hanno condotto fino a qui. Sperimen
tiamo allora un concatenamento inedito, innestiamo il pensiero di Deleu
ze su un dehors della sua critica-clinica, proviamo cioè a concatenare le
tensione positiva della linea di fuga con le opere di uno scrittore mai cita
to dalla penna deleuziana: Robert Walser.
Leggendo L’assistente e Jacob von Gunten non possiamo fare a meno
di rilevare l’affinità che i protagonisti di questi romanzi manifestano con
Bartleby, condividendone sia la condizione minoritaria rispetto alla socie
tà in cui vivono, sia la tendenza critico-decostruttiva nei confronti del
datore di lavoro o di chi è loro “ superiore” . Ciò che Deleuze scorge nel
Bartleby di Melville, mediante la formidabile fuga dal linguaggio (e il per
manere al suo interno) che guida il personaggio nell’attraversare i seg
menti micropolitici, ad abbracciare le linee flessibili del divenire e, in ulti
mo, a cavalcare la linea di fuga dalla pendenza vertiginosa, è in qualche
modo riscontrabile anche nei romanzi di Walser, ma tutto ciò non con
duce alla morte dei protagonisti. In Walser avviene semmai qualcosa di
simile alla novella di Henry James tanto cara a Deleuze, nella quale la
telegrafista fa esperienza delle varie linee che attraversano il campo socia
le, ivi compresa la linea di fuga, ma riesce a “ mettersi in salvo” . In gab
bia è in effetti l’unico esempio letterario citato da Deleuze in cui cavalca
re una linea di “ maggior pendenza” non ha un esito mortale o, per dirla
con Fitzgerald, “ di demolizione” , ma testimonia il valore politico e la
dimensione oggettiva delle linee di fuga:
107 R. Walser, Jacob von Gunten, trad. it. di E. Castellani, Adelphi, M ilano Z007, p. 3 1 .
108 R. Walser, L ’assistente, trad. it. di E. Pocar, Einaudi, Torino 19 9 0 , p. 1 5 .
109 R. Walser, Ja c o b von G unten, cit., p. i z .
110 W. Benjamin, R o b ert Walser, in Id., O m bre corte. Scritti 1 9 2 8 - 19 2 9 , trad. it. di A.
M arietti Solmi, a cura di G . Agam ben, Einaudi, Torino 19 9 3 , p. 44Z.
IV. L IN G U A G G IO , LETTER A TU RA , P O L IT IC A
111 Ivi, p. 4 4 1.
111 Das K ind, in Id., Dichtungen in prosa, vol. IV, G en f 19 5 9 , p. 2 0 2 ; cit. in R. Calas-
so, “ Prefazione” , in R . Walser, Ja co b von G unten , cit., p. 18 7 .
” 3 Cfr. ivi, pp. 1 8 7 -18 8 .
114 Cfr. M . Brod, Streitbares leben, M ünchen i9 6 0 , pp. 3 9 3 -3 9 4 ; cit. in R. Calasso,
“ Prefazione” , in R. Walser, Jacob von G unten, cit.
115 G. Deleuze, Pensiero nom ade, cit., p. 3 18 .
1 66 LA LIN G U A A N IM A LE
116 Ibid.
117 Ivi, pp. 3 1 8 - 3 1 9 .
118 Ivi, p. 3 19 .
119 Cfr. E. Pocar, “ nota del curatore” in R . Walser, Uassistente> cit., p. IV.
Bibliografia