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Freud

L'enorme rilevanza della psicoanalisi


Sigmund Freud è il padre della psicoanalisi, una disciplina che ha avuto un notevole rilievo sia pratico
sia teorico. La psicoanalisi rappresenta la terza grande rivoluzione della storia occidentale, dopo la
rivoluzione copernicana e quella darwiniana. Copernico, all'inizio dell'etá moderna, aveva ridisegnato
l'immagine dell'universo, negando alla Terrala sua antica centralità. Darwin, nell'Ottocento, aveva
abbattuto il mito della fissità delle specie e teorizzato la discendenza dell'uomo dalla scimmia. Freud,
all'alba del Novecento, trasforma radicalmente l'immagine dell'io, della coscienza e della personalità in
cui l'uomo si era rispecchiato per secoli e rivela l'esistenza di una zona buia e impenetrabile alla
ragione: l'inconscio.

La formazione di Freud
La psicoanalisi nasce in un rapporto di continuità e discontinuità rispetto alla psichiatria dell'epoca. Nel
clima positivistico e materialistico di fine Ottocento, anche la psichiatria, come il resto della ricerca
scientifica, cercava di spiegare la sofferenza mentale come conseguenza di lesioni cerebrali. Se esiste
un disturbo, deve esserci una corrispondente patologia organica che ne costituisce la causa. E’ tuttavia
in questo ambiente che Freud si forma: frequenta a Vienna il liceo e, poi, la Facoltà di medicina
manifestando precocemente eccellenti doti intellettuali. Il giovane è particolarmente attratto dallo studio
delle scienze naturali e dalla dottrina di Darwin. Segue contemporaneamente un corso di filosofia,
s'interessa alla dissezione anatomica, alla fisiologia e alla zoologia. Nel laboratorio di fisiologia soddisfa
la sua curiosità, studiando l'istologia del sistema nervoso: è affascinato dalla potenza del microscopio.
Dopo la laurea in medicina il giovane Freud inizia a lavorare in vari laboratori di ricerca, approdando
quindi al reparto di malattie nervose all'ospedale di Vienna. Qui la curiosità scientifica lo porta tra l'altro,
a sperimentare un alcaloide allora poco noto, la cocaina, di cui studia gli effetti psicologici. Scopre con
meraviglia le qualità stimolanti e analgesiche del prodotto e ne rimane entusiasta. Lo sperimenta
innanzitutto su se stesso, ma anche sull'amico Ernst Fleischl, che soffre di una nevrite acuta e che,
pertanto, è diventato morfinomane. Freud è convinto della perfetta innocuità della cocaina e spera di
farne un sostituto della morfina contro il dolore. Ma si sbaglia. Dopo la morte dell'amico, contro Freud si
rileva un coro di critiche per non aver tenuto conto degli effetti collaterali della sostanza. Questo
episodio è l’errore di valutazione compiuto avranno un peso notevolissimo sulla sua vita, come
testimonierà lui stesso raccontando alcuni sogni ricorrenti.

Lo studio dell'isteria
Il lavoro condotto nel reparto di malattie nervose dell'ospedale di Vienna porta il giovane Freud a
interessarsi ben presto dei casi di isteria. Il termine designa uno stato patologico della psiche, che si
manifesta con fenomeni di trasposizione sul corpo di disturbi psichici, con sintomi a carico dei vari
apparati. Ai tempi di Freud si pensava che fosse una malattia di tipo organico e che, come indicato
dalla stessa etimologia del nome, riguardasse solo le donne. Il massimo esperto in materia era il dottor
Charcot, che lavorava all'ospedale La Salpetrière di Parigi, dove Freud, grazie a una borsa di studio, si
reca nell'ottobre del 1885 dopo aver conseguito la qualifica di docente in neurologia. Si tratta di
un'esperienza fondamentale nel suo cammino verso la psicoanalisi. Grazie a Charcot Freud può
approfondire il metodo dell'ipnosi, che aveva già avuto modo di apprendere frequentando il medico
Breuer, il quale curava l'isteria mediante tale tecnica. Breuer è un medico conosciuto e stimato quando
incontra Freud, con cui stringe un rapporto di profonda amicizia diventando per lui un punto di
riferimento molto importante. Ma il debito di Freud nei confronti dell'amico non si limita a questi aspetti
"pratici": è attraverso Breuer, infatti, che Freud in lunghi colloqui avuti nel 1882 e nel 1883 apprende i
dettagli più stimolanti del caso di Anna O., determinante per le sue successive scoperte. A Parigi
Freud richiama più volte l'attenzione di Charcot su questo interessante paziente, ma il grand'uomo
mostra una certa indifferenza.

Il caso di Anna O. e il metodo catartico


Al suo rientro a Vienna nel 1886, Freud riprende l'analisi del caso di Anna O, e sollecita l'amico Breuer
a fare altrettanto: quando all'inizio degli anni Novanta i due specialisti decidono di riunire i loro studi in
un'opera comune (Studi sull'isteria, 1895), la storia di questo paziente assume un ruolo centrale. Anna
O, è una giovane donna affascinante e intelligente, affetta da una strana forma isteria con i seguenti
gravi sintomi: paralisi motorie, tosse nervosa, turbe dell'udito e della vista, anoressia, afasia e paura del
bere (idrofobia). Breuer aveva scoperto, sottoponendo la paziente a ipnosi - una pratica che induce nel
soggetto uno stato psicofisico simile al sonno, diminuendo la capacità critica e aumentando la
suggestionabilità - che quando era bambina aveva visto bere in un bicchiere il cane della sua
governante, provando grande ripugnanza. L'episodio era stato dimenticato, ma Anna O. aveva
sviluppato sintomi di idrofobia grave, che soltanto attraverso l'ipnosi, e quindi attraverso la rievocazione
del fatto, era riuscita a superare. L'ipnosi, dunque, faceva affiorare circostanze recondite della vita
individuale, che, per il solo fatto di essere esternate, si "scaricavano”, cioè si svuotavano delle energie
negative che si erano accumulate per la mancanza di uno sfogo adeguato. Quest'ultimo, reso possibile
dal ricordo degli eventi, anche se differito nel tempo, consentiva l'espressione degli impulsi inibiti nel
passato, permettendo parallelamente un miglioramento della situazione clinica del paziente. Si trattava
di un metodo che, proprio perchè consentiva una liberazione (una "catarsi") delle energie psichiche
rimaste bloccate, fu definito "catartico". L’utilizzo di tale metodo rappresenta una tappa fondamentale
nella formazione di Freud. Alcuni elementi maturati nel periodo di collaborazione con Breuer rimarranno
invariati nel procedere delle sue ricerche; altri verranno abbandonati o troveranno una più approfondita
articolazione. E’ tuttavia in questa fase "sperimentale", caratterizzato dal trattamento con l'ipnosi dei
casi di isteria, che Freud può constatare la connessione tra i sintomi del paziente e determinati fatti,
dimenticati, della sua vita passata: questa scoperta lo condurrà all'intuizione del concetto dell'inconscio.

1 La via d'accesso all'inconscio

I meccanismi di difesa del soggetto


Il metodo catartico catartico elaborato da Freud insieme all'amico Joseph Breuer negli anni della loro
collaborazione apre la strada alla psicoanalisi: esso, infatti, viene utilizzato da Freud non soltanto per
curare i sintomi dell'isteria, ma anche per scoprirne la motivazione e il significato, nella convinzione che
la malattia si possa curare veramente solo quando le cause più profonde che l'hanno determinate siano
affiorate e risultino acquisite dal paziente in modo consapevole. L'ipotesi iniziale di Freud e Breuer è
che le reazioni emotive determinatesi in occasione di eventi traumatici siano rimaste prive di sfogo. Tali
impulsi, però, nonostante l'oblio degli episodi da cui traggono origine, continuando ad agire,
producendo i sintomi patologici. Per "neutralizzare” questi ultimi e far sì che scompaiano, si constata
che occorre riattivare il ricordo del fatto originario e rendere in tal modo possibile la libera
manifestazione degli impulsi a esso legati. A questo punto si tratta di comprendere il motivo dell'oblio.
Vengono formulati a tal proposito due ipotesi: la prima, è che gli eventi dimenticati dal paziente siano
fatti vissuti in uno stato al limite della coscienza, dovuto a "scosse" emotive o ad esaurimento nervoso;
la seconda ipotesi è invece che l'oblio subentri per la particolare natura spiacevole dell'avvenimento
stesso, che susciterebbe una reazione di difesa da parte della persona interessata, portandola a
eliminazione dalla coscienza, in modo inconsapevole, un ricordo per lei inaccettabile. A partire da
queste considerazioni, Freud amplia l'ipotesi dell'oblio da difesa ad altre patologie nervose ed evidenzia
l'applicabilità del metodo catartico a casi più complessi rispetto a quelli isterici, ad esempio alle nevrosi
ossessive. Il quadro che viene a profilarsi -e che costituisce il presupposto della fondamentale opera
che conclude questo periodo, Studi sull'isteria (1895) - consente la seguente spiegazione delle
patologie osservate:
1. il soggetto vive un evento traumatico;
2. in lui si determina una reazione di difesa per la spiacevolezza della situazione, che consiste nell'oblio
del fatto stesso;
3. a causa di particolari circostanze, è impedito il deflusso della carica emotiva legata al fatto originario,
cioè viene negata la possibilità della sua normale espressione attraverso gesti, parole o azioni;
4. L'energia rimasta inespressa determina la formazione dei sintomi: organici, nei casi di isteria,
psichici, nei casi di nevrosi ossessiva.

La scoperta della vita inconsapevole del soggetto


Ciò che risulta determinante nelle conclusioni che Freud trae dallo studio dell'isteria e dei casi di
nevrosi è il riconoscimento che esistono processi psichici non consapevoli: basti pensare, ad esempio,
alla tesi secondo cui i fatti traumatici vengono dimenticati, ma continuano ad agire nella psiche
dell'individuo, e soprattutto alla teoria della rimozione, in base alla quale vi sono eventi, pulsioni o
tendenze che la persona, attivando una sorta di reazione di difesa inconsapevole, desidera cancellare.
Tutti questi fattori portano Freud alla convinzione che la vita psichica del soggetto sia molto più ampia
di quello che si era tradizionalmente pensato. Dopo la pubblicazione degli Studi sull'isteria, Freud si
sottopone a una lunga e impegnativa autoanalisi per approfondire e cercare una conferma alle sue
ipotesi. Per quattro anni esamina se stesso, getta il suo sguardo indagatore sulla propria interiorità.
Egli, in questa fase, si concentra sul perché della nevrosi, chiedendosi da dove essa derivi oltre che
come guarirla. Poco per volta mette in luce il ruolo essenziale della sessualità nell'insorgenza della
patologia, fatto che suscita il disappunto di Breuer, che non può condividere idee tanto innovative e
sconvolgenti per la mentalità dell'epoca. La rottura tra i due è inevitabile e, con essa, all’amicizia si
sostituisce l’avversione. L'ipotesi freudiana è dettata dalla constatazione che, in tutti i casi da lui trattati
con il metodo catartico, i fatti dimenticati e rievocati grazie all'ipnosi sono legati alla sfera erotica. Anzi,
in un primo tempo Freud è addirittura propenso a credere che l'evento traumatico originario sia semper
un'aggressione sessuale subita o esercitata nell'infanzia, convinzione che lascia presto il posto alla
scoperta della natura immaginaria di molti episodi narrati dai pazienti, che rivelano, invece, l'esistenza
di una complessa e versatile sessualità infantile, a cui le fantasie raccontate, come quelle relative a
presunte aggressioni sessuali, devono essere collegate. L'autoanalisi e l'osservazione dei pazienti
confluiscono in L'interpretazione dei sogni (1900), il capolavoro di Freud e uno dei libri fondamentali del
Novecento, che costituisce l'atto di nascita della psicoanalisi.

Il significato dei sogni


Nella sua autoanalisi Freud individua una via privilegiata per accedere al territorio dei contenuti
inconsapevoli della vita psichica, che egli comincia a indicare come la dimensione dell'inconscio. Tale
via è rappresentata dall'analisi dei sogni. La nostra vita notturna è costellata di sogni. Ma che cos'è il
sogno, e perché va tenuto in grande considerazione nell'ambito della teoria psicoanalitica? Per gli
antichi i sogni erano spesso presagi di eventi futuri. Se un condottiero romano sognava di inciampare
sulla soglia mentre usciva di casa per intraprendere una spedizione militare, temeva che ciò fosse
indizio che la sua impresa sarebbe andata male. Anche per Freud i sogni sono sintomi di qualcosa, ma
non riguardano il futuro, bensì il passato. Secondo il padre della psicoanalisi, il sogno è l'espressione di
un desiderio; potremmo dire che, se un bambino sogna Babbo Natale, desidera avere del giocattoli. II
problema è che non sempre i sogni si prestano a un'interpretazione così semplice, anzi, durante il
sogno molto spesso i desideri vengono camuffati. Il sogno è frutto di un'intensa attività psichica che
potremmo paragonare al processo di produzione di un'opera d'arte. Quando sogniamo ci comportiamo
come l’artista: creiamo una serie di immagini, a volte seducenti, a volte terribili e paurose. Proprio come
le opere d'arte, inoltre, i sogni hanno bisogno di essere interpretati, perché hanno un significato
nascosto occorre ricostruire con tecniche adeguato.

Il meccanismo di elaborazione dei sogni


Vediamo dunque più analiticamente come stanno le cose. Freud scopre l'esistenza di due livelli di
significato nel sogno: il primo, più appariscente e immediato, è costituito dalla scena onirica così come
è esposta e vissuta, ed è definito contenuto manifesto; il secondo, il lato nascosto, si identifica con
l'insieme di tendenze, idee e desideri inconsci che, in forma "travestita", si esprimono attraverso la
scena onirica, ed è definito contenuto latente. Mentre il contenuto manifesto trae le sue immagini in
genere da avvenimenti della nostra vita recente, il contenuto nascosto può riferirsi a un tempo molto
lontano, per esempio al periodo della prima infanzia. Nel sogno esistono, quindi, da un lato elementi
che tenero a tradursi e rivelarsi; dall'altra, un’attività chiamata da Freud di “censura” che limita la loro
possibilità di espressione: il sogno è il risultato di un compromesso tra queste due forze. La difficoltà
insita nell'interpretazione dei sogni risiede proprio nel fatto che per accedere al contenuto latente
bisogna superare le barriere e le difese che la psiche mette in atto, motivo per cui è necessaria la figura
dell'analista, che coopera con il paziente al raggiungimento di tale obiettivo. Per comprendere meglio la
complessità e la problematicità del sogno, dobbiamo ricordare che esso è, per Freud, il sintomo di
desideri non realizzati. Lo studioso ritiene che si tratti di desideri "rimossi", cioè ricordi, tendenze o
pulsioni respinti dalla coscienza, perché percepiti dal soggetto come inaccettabili in quanto immorali,
attinenti, in genere, alla sfera della sessualità. Nei sogni i desideri non vengono espressi direttamente,
ma in una forma allusiva e simbolica. In altre parole, per vincere il controllo della coscienza il materiale
onirico deve essere sottoposto a un trattamento deformante che Freud definisce lavore onirico.
Nell'elaborazione del sogno, ad esempio, viene utilizzato la tecnica della drammatizzazione, che
implica la conversione del pensiero astratto in scene concrete, da cui sono esclusi i nessi logici che
normalmente caratterizzano il ragionamento. Inoltre, sono tipici del sogno i procedimenti di
condensazione, per cui un elemento viene ad acquistare, oltre al proprio significato, un significato
ulteriore; di sovradeterminazione, grazie a cui un elemento della scena manifesta si trova a
corrispondere a più elementi del contenuto latente di dispersione, per cui un elemento del contenuto
latente può essere ripetuto, nella scena manifesta, più volte in forme diverse; o, ancora, di
spostamento, grazie al quale l’attenzione viene trasferita dall'elemento principale, cioè quello che è più
direttamente connesso al desiderio rimosso, ad altri secondari, per "depistare" la coscienza. Si può
comprendere come, per tutti questi fattori, il lavoro di interpretazione dei sogni sia tutt'altro che
semplice. Esso deve tenere conto dei vari processi di cui l'elaborazione onirica si serve per superare
l'ostacolo della censura; processi che devono essere valutati sia nel loro complesso, sia in relazione
alle risposte fornite dal paziente di fronte alle sollecitazioni dell'analista, volte a cercare appunto le
connessioni tra il sogno e gli elementi rimossi.

La Psicopatologia della vita quotidiana


Attraverso l'autoanalisi, in cui si applica su sé i procedimenti e le tecniche interpretative utilizzate
abitualmente nel trattamento dei pazienti, Freud approfondisce sempre più i meccanismi della memoria
e scopre che le stesse forze operanti nei sintomi patologici e nei sogni possono essere riscontrate
anche in altri fenomeni che caratterizzano la vita a vita psichica: i lapsus (errori involontari nel parlare o
nello scrivere) e i cosiddetti atti mancati (amnesie). Si tratta di fenomeni che la maggior parte delle
persone reputa insignificanti, ma che sono, invece, segnali importanti di un conflitto interiore, dovuto
alla rimozione di eventi spiacevoli o inaccettabili. Freud, nell'opera Psicopatologia della vita individua in
essi due fattori determinanti: il primo è rappresentato dalla presenza di un'intenzione consapevole, cioè
quella che risulterà alterata e quindi "mancata": il secondo è dato dalla tendenza inconscia, che agisce
sull'intenzione cosciente, turbolandola. Anche il comportamento "vigile" può contenere elementi
"rivelatori" che è bene non trascurare. Nella sua opera Freud riferisce di alcuni lapsus verbali. La
conclusione di Freud è che l'origine dei lapsus e di tanti altri errori è da ricercarsi in cause inconsce. In
essi, come negli altri "atti mancati", si può cogliere un processo simile a quello operante nella
formazione della scena onirica: in quel caso alcuni elementi rimossi tendono a venire alla luce e
incontrano l'opposizione della censura, che ne trasfigura in vari modi le sembianze, rendendoli
tollerabili per la coscienza; negli atti mancati si tratta di errori nelle azioni o nel linguaggio che si
compiono per una tendenza inconsapevole la quale, vincendo le barriere della censura, turba il normale
comportamento. Come i sogni, anche i lapsus e le altre disattenzioni quotidiane devono dunque essere
intesi come le spie di un'energia psichica nascosta alla nostra coscienza. Capirne le cause significa
aprire la via che conduce all'inconscio, alla zona d'ombra dei desideri, delle pulsioni, dei complessi
rimossi, ma non cancellati, che possono provocare sofferenza in alcuni casi, nevrosi e disturbi anche
più gravi della personalità.

2 La complessità della mente umana e le nevrosi


Le "zone" della psiche umana
Per Freud la psiche è un’unità che, però, comprende in sé un certo numero di sottosistemi e si
struttura in modo topologico: essa, cioè, presenta dei "luoghi" o delle "zone" distinte al proprio interno.
Secondo Freud la coscienza costituisce solo una piccola parte della sfera psichica dell'uomo,
paragonabile alla punta di un iceberg che affiora sulla superficie dell'acqua. E la parte consapevole
della nostra personalità, la cui funzione essenziale è quella di porci in contatto con il mondo esterno e
di elaborare le nostre reazioni in relazione alle percezioni che ne derivano. Sotto la soglia della nostra
sfera di consapevolezza c'è l'inconscio, un grande "serbatoio" sotterraneo in cui abbiamo confinato
ricordi, desideri e impulsi che dovevamo dimenticare, perché avvertiti come sconvenienti o immorali.
Dall'inconscio si deve distinguere il preconscio, che si riferisce ai contenuti psichici latenti, cioè non
presenti alla coscienza, ma suscettibili di diventare consapevoli in qualsiasi momento. La differenza tra
l'inconscio e il preconscio consiste nel fatto che nel primo ci sono elementi psichici che sono stati
rimossi, dunque allontanati in modo permanente dalla coscienza a meno che non subentrino particolari
situazioni che cancellino la rimozione: nel secondo vi sono invece elementi dimenticati solo
momentaneamente.

Le due topiche freudiane


La teoria appena presentata individua nella psiche umana tre luoghi o sistemi differenti - la coscienza,
l'inconscio e il preconscio - ed è nota agli studiosi come "prima topica". A partire dal 1923, con il testo
L'lo e l'Es, Freud introduce una seconda topica, cioè un diverso modello di descrizione della psiche che
riesce a spiegare in modo più adeguato le interazioni dinamiche tra le varie componenti, in particolare il
problema della collocazione di fenomeni quali la rimozione e la censura, che appaiono da un lato
appartenere al sistema preconscio-cosciente (come forme di repressione), dall'altro a quello inconscio
(la rimozione vera e propria). Se la prima topica partiva da considerazioni "descrittive" e distingueva
zone, luoghi o sistemi, la seconda individua piuttosto istanze e funzioni e tiene conto delle relazioni
intercorrenti tra il livello psichico e quello somatico. Vediamo dunque in che cosa consiste.

La seconda topica: le istanze della psiche


Con la seconda "topica" la psiche umana viene distinta in Es, lo e Super-lo. La prima istanza
rappresenta la vita pulsionale, una dimensione che Freud descrive metaforicamente come un
calderone di impulsi ribollenti. Si tratta di un livello della vita del soggetto che, proprio per il suo
carattere inconscio, risulta in qualche modo estraneo all'lo, "impersonale", pur influenzando
profondamente la vita consapevole. Per avere un'idea precisa della natura di questa istanza dobbiamo
osservare neonati: essi vivono in modo immediato e diretto, senza alcuna censura. Se hanno fame
urlano finché non sono accontentati; se devono fare i loro bisogni, non si preoccupano di essere in
pubblico, apparendo privi di qualunque freno inibitore. L'Es non conosce nè il bene né il male, ma
asseconda soltanto la tendenza a soddisfare immediatamente il sogno e il desiderio; è
fondamentalmente inconscio. Il Super-lo, invece, è la coscienza morale, vale a dire l'insieme dei divieti
e delle prescrizioni che fin da bambini ci sono stati impartiti dai genitori e dal mondo circostante che noi
abbiamo "introiettato", assumendoli come modello ideale di comportamente. Riprendendo l'esempio del
neonato, possiamo dire che egli impara gradualmente a controllare i suoi impulsi spontanei, perché
viene educato a mangiare a ore determinate, a non fare i bisogni davanti a tutti, a censurare i desideri
"sconvenienti", specie se riferibili alla sfera sessuale. Tale istanza è in parte cosciente, in quanto
rappresenta un modello che l'lo ha di fronte a sé, in parte inconscia, in quanto alcuni elementi che la
compongono derivano da processi di cui non siamo consapevoli. L'lo, infine, rappresenta la parte
organizzata della psiche, l'istanza che ha il compito della mediazione e della sintesi delle altre due
componenti contrapposte della personalità. Dall'lo dipende la sfera delle azioni, e pertanto gli impulsi
dell'Es, per realizzarsi e trovare appagamento nella realtà, devono sottostare alla sua opera di "filtro".
Esso presenta dunque alcuni aspetti inconsci, come quelli che presiedono al meccanismo della
censura di alcune tendenze avvertite come inaccettabili e della loro conseguente rimozione. Freud
afferma che l'lo deve fare i conti con tre severi padroni, poiché all'Es e al Super-lo si deve aggiungere
un terzo tiranno, il mondo esterno. Il poveretto è accerchiato da tre parti, si sente minacciato da tre
pericoli ai quali reagisce, in caso estremo, sviluppando angoscia. Si tratta però di un confronto impari,
in quanto in realtà l'lo non riesce a impedire l'emergere delle tendenze rimosse.

La formazione delle nevrosi


La struttura conflittuale della psiche appena descritta è secondo Freud all'origine della formazione delle
nevrosi: l'lo, pressato dai suoi tre esigenti padroni (I'Es, il Super-lo e la realtà esterna), non sempre
riesce a mantenere un equilibrio. La nevrosi è appunto uno dei principali squilibri o disturbi della psiche.
Un esempio raccontato da Freud stesso potrà chiarire meglio il senso della patologia. Un suo paziente
era segretamente innamorata del cognato. Quando la propria sorella morì a causa di una grave
malattia, la donna, insieme al dolore per la perdita, provò un sentimento di felicità al pensiero di poter
sposare l'uomo amato. Questo pensiero si scontrò tuttavia con il suo Super-lo: era talmente mostruoso
gioire per la morte di una persona, per di più la propria sorella, che tale sentimento venne respinto
nell'inconscio. La ragazza allora si ammalò, manifestando sintomi isterici gravi. Durante la terapia
psicoanalitica emerse il desiderio provato nei confronti del cognato e la fantasia di sposarlo che era
affiorata dopo la morte della sorella: la ragazza guarì nel momento in cui riuscì a riportare alla
coscienza tali contenuti rimossi. Bisogna sottolineare che per Freud non esiste una vera e propria
barriera invalicabile tra la psiche "sana" e quella nevrotica. Anche nell'individuo normale l'lo subisce
l'attacco delle contrastanti forze dell'Es, del Super-lo e della realtà. Non vi è "normalità" che non sia
vulnerabile; il confine tra normalità e patologia è sottile. In breve, possiamo dire che l'individuo si dice
normale quando riesce a comporre le spinte contraddittorie presenti in lui, conquistando un difficile
compromesso tra esse; quando, cioè, riesce a dare piccole soddisfazioni alle pulsioni dell'Es, senza
però contravvenire alle norme del Super-lo. In questa prospettiva il matrimonio, la famiglia e la cura dei
figli possono rappresentare un modo per incanalare la pulsione sessuale nell'alveo del rapporto
istituzionale di coppia, permettendo il raggiungimento di un certo equilibrio psichico. Quando però le
pulsioni sono troppo forti e il Super-lo troppo debole, può accadere che l'equilibrio non si raggiunga e
l'individuo sviluppi comportamenti condannati dalla società come immorali. Può avvenire, al contrario,
che il Super-lo, preponderante, rimuova il desiderio e che le richieste dell'Es siano confinate
nell'inconscio, da dove riemergono generando i sintomi nevrotici. Alla luce di quanto abbiamo detto a
proposito della psiche umana come luogo della battaglia tra gli istinti, che cercano di sprigionarsi
liberamente, e l'autorità, che li reprime, si può capire meglio il significato dei sintomi, che sono proprio i
segnali della presenza di tale conflitto. Come il sogno, il lapsus e l'atto mancato, anche il sintomo è il
risultato di un "compromesso" tra le contrastanti istanze che agiscono nella psiche: i sintomi esprimono
le pulsioni proibite, ma in un modo velato e irriconoscibile anche per lo stesso soggetto, che si trova a
compiere gesti o rituali particolari senza sapere perché. Insomma, come ogni linguaggio anche quello
dell’inconscio esprime attraverso parole che vanno interpretate. Tocca allo psicoanalista individuarne le
regole e i significati.

Il metodo delle libere associazioni


Uno dei procedimenti utilizzati da Freud per decifrare e interpretare il linguaggio dell'inconscio, dopo
l'abbandono della tecnica dell'ipnosi ancora impiegata ai tempi della collaborazione con Breuer e
divenuta poi prassi comune della terapia psicoanalitica, è quello delle libere associazioni. l presupposto
di tale metodo è il seguente: il paziente è esortato a raccontare tutto quello che gli viene in mente in
relazione a ciascuno dei singoli elementi del sogno, dei lapsus, degli atti mancati e dei sintomi; tali
elementi vengono isolati e scorporati dal complesso coerente del racconto, o dal tessuto unitario delle
azioni, proprio per sottrarli alla logica del pensiero razionale. Il soggetto deve lasciar scorrere le
immagini, abbandonarsi alle libere associazioni mentali che affiorano alla coscienza, riferendone i
particolari con la massima sincerità, senza operare alcuna selezione o scelta motivata. Il terapeuta ha
semplicemente il compito di innescare il processo ideativo, offrendo alcuni spunti da cui il paziente
deve partire riferendo le connessioni immaginative suscitate. Grazie a tale metodo è possibile non tanto
eliminare le difese dell'Io di fronte all'insorgere delle pulsioni dell'Es, quanto eluderle, aggirarle, in modo
da avere accesso alle regioni nascoste dell'inconscio senza incorrere nelle minacce punitive del Super-
lo. In questo percorso, come dice Freud, l’lo fragile e indebolito del malato si allea con l'analista al fine
di vincere lo scontro tra le opposte istanze della sua personalità. La difficoltà principale che emerge
nella terapia analitica consiste secondo Freud nel fatto che quelle stesse forze che hanno determinato
la rimozione, cioè la segregazione dei ricordi spiacevoli in qualche luogo oscuro della psiche, sono
anche causa di una profonda resistenza esercitata dal paziente nei confronti della cura. Si tratta non
tanto di un'opposizione consapevole, quanto piuttosto di un inconsapevole desiderio di conservare
nell'oblio, e quindi in un luogo "sicuro", quelle rappresentazioni potenzialmente pericolose. Obiettivo del
terapeuta deve essere allora quello di tale resistenza, riuscendo a far emergere i materiali rimossi e a
liberare le energie represse, causa della nevrosi.

La terapia psicoanalitica
L'attività di interpretazione critica dell'analisi si avvale, oltre che del materiale associativo offerto dal
paziente, anche dei racconti relativi alle sue esperienze affettive, sociali in lettuali ecc; queste non
valgono soltanto per ciò che affermano, ma soprattutto per ció che "non dicono", per i vuoti, le lacune,
le incertezze, cioè per tutti quegli aspetti che rivelano sospette "interferenze", elaborazioni di
compromesso dovute all'intervento di censura e resistenze inconsapevoli. La materia su cui si sviluppa
l'analisi è pertanto prevalentemente linguistica, si lavora soprattutto sulle parole e i discorsi del malato;
l'analista, tuttavia, è tenuto a considerare anche tutto l'insieme delle espressioni delle persone che
costituiscono un messaggio criptato di cui è indispensabile operare un'interpretazione. La prassi
psicoanalitica consiste proprio nel lavoro di decostruzione di ogni verità e convinzione apparenti, al fine
di ampliare il suo dominio riconquistando territori perduti dell'inconscio. Si tratta di un’attività che
richiede tempo, impegno e che, soprattutto, non può prescindere dalle circostanze particolari create
dalla «situazione analitica». Con questa espressione si intende il particolare contesto in cui si svolgono
le sedute di psicoanalisi, durante le quali il paziente viene invitato a sdraiarsi, a rilassarsi e a
raccontare, senza censura, sogni, fantasie e ricordi, anche quelli più lontani e apparentemente meno
significativi. Si stabilisce un patto tra il medico e il paziente: quest'ultimo parlerà con la massima
sincerità, il primo ascolterà e manterrá il massimo riserbo. L'obiettivo è quello di vincere la rimozione e
di far emergere gli elementi inconsapevoli all'origine della patologia. A questo scopo concorre la
positiva interazione che si instaura tra i due soggetti, che Freud definisce transfert o traslazione
affettiva: essa è dovuta al fatto che il nevrotico, sempre carente a livello affettivo, dopo le prime sedute
acquista fiducia nel proprio medico, sviluppando sentimenti di amore nei suoi confronti; un trasporto
emotivo che in qualche modo riproduce e riproponie quello provato, nell'infanzia, per le figure
genitoriali. Tale circostanza risulta favorevole al buon esito dell'analisi, perché il soggetto "innamorato"
cerca in ogni modo di compiacere il terapeuta, o almeno di non deluderlo, collaborando con lui e
assumendo inconsapevolmente il compito della guarigione.

3 La teoria della sessualità

L'innovativa concezione dell'istinto sessuale


Alla base della teoria freudiana della nevrosi e della descrizione del conflitto psichico vi sono pulsioni
che hanno un carattere prevalentemente erotico. E’ questo uno dei punti che incontrò maggiori
resistenze dalla parte dei contemporanei di Freud, diffidenti nei confronti di un'ipotesi così
rivoluzionaria. La principale novità consiste nella convinzione che la sessualità non vada ristretta ai soli
rapporti tra adulti, ma che rivesta significato molto più ampio, coinvolgendo anche la sfera, finora
considerata innocente dell'infanzia. Ció implica un allargamento del concetto di sessualità, che arriva a
comprendere impulsi e istinti che rientrano nella più generale tendenza dell'organismo
all'autoconservazione e alla soddisfazione immediata del bisogno. In questo senso la sessualità risulta
essere la molla principale dell'agire umano. Freud non condivide la tesi della psicologia tradizionale,
che identificava l'oggetto della sessualità con l'individuo di sesso opposto e il suo fine con la
riproduzione. In questo modo l'istinto sessuale veniva definito in riferimento a tale oggetto e a tale
finalità, considerati "normali" lasciando irrisolto il problema delle cosiddette "perversioni", cioè le
deviazioni rispetto alla norma, che si indicavano genericamente come "anomalie". Proprio per spiegare
tali comportamenti Freud afferma che l'istinto sessuale è un insieme di pulsioni che presenta caratteri
specifici e che tende al piacere e alla soddisfazione indipendentemente dall'oggetto e dalla finalità
verso cui e "normalmente" rivolto. Freud, dunque, introduce per la prima volta una visione della
pulsione sessuale come forza autonoma e originaria che subisce uno sviluppo nel corso della vita
individuale, in cui viene indirizzata verso differenti oggetti e finalità fino a fissarsi, nel periodo pubertà,
su quelli definiti "normali". Qualsiasi variazione rispetto alla "norma", quindi, non è dovuta a un'anomalia
o a una deformità dell'istinto in sé, ma al fatto che questo, nel corso della sua evoluzione, può essere
spinto a rivolgersi a un oggetto differente sostitutivo e motivi di carattere esterno o per ragioni psichiche
particolari.

Il concetto di libido
La concezione dell'istinto sessuale come forza indipendente da un oggetto e da una finalità specifici
permette a Freud di collegare tre ambiti: quello della sessualità "normale", quello della "perversione" e
quello della "nevrosi" Le persone, infatti, risultano normali, pervertite o nevrotiche a seconda
dell'evoluzione dell'istinto sessuale, che può incorrere (o meno) in condizioni che ne modificano il
corso. A questo proposito, in relazione alla pulsione sessuale Freud parla di libido, intendendo con
questo termine un'energia specifica che può subire variazioni nei diversi momenti dello sviluppo, che
può indirizzarsi a oggetti o a finalità multiplici e differenti, che, insomma, possiede il carattere della
plasticità e del polimorfismo (assume forme differenti a seconda delle situazioni). La visione dinamica
dell'istinto sessuale come energia in sviluppo e l'allargamento del concetto di sessualità consentono di
gettare una nuova luce sul periodo dell'infanzia e di comprendere uno aspetto in precedenza mai
esplorato dalla psicologia: la sessualità dei bambini. Freud ritiene infatti che anche nell'infanzia siano
attive le pulsioni erotiche: il bambino è un essere che vive una complessa vita sessuale, la quale si
esprime in gesti semplici e istintivi come la suzione del latte materno.

La teoria della sessualità infantile


Freud, incurante delle critiche e delle resistenze che gli venivano opposte, definisce propriamente il
bambino come un essere perverso polimorfo. E’ "perverso", poiché la sua pulsione sessuale non tende
alla procreazione e neppure al soddisfacimento della genitalità, come negli adulti. Il neonato, infatti,
prova piacere erotico nella suzione della mammella e nel contatto con il calore del corpo materno: di
qui la sua "perversione, cioè deviazione rispetto al fine che la psicologia tradizionale considerava
connaturato all’istinto sessuale. Il polimorfismo, invece, si riferisce al fatto che il bambino, nei primi anni
di vita, prova piacere attraverso varie parti del corpo, che caratterizzano le diverse tappe del suo
sviluppo psicosessuale. Queste sono sostanzialmente tre: 1. la fase orale: 2. la fase anale, 3. la fase
genitale. Nella fase orale il piacere è rappresentato dalla suzione e la zona erogena si identifica con la
bocca, in quella anale, che va da uno a tre anni circa, la zona erogena è costituita dall'ano, con le
connesse funzioni corporali; nella fase genitale, che inizia all'incirca al fine del terzo anno, la zona
erogena è rappresentata dagli organi sessuali; essa si distingue ulteriormente in una fase fallica e in
una genitale in senso stretto. Nella fase fallica il bambino diviene consapevole del possesso del pene
(e la bambina della sua esistenza) e tale organo diventa oggetto di attrazione, ma al tempo stesso
provoca la paura per la sua perdita. Secondo Freud, anche la bambina subisce una forma di complesso
di castrazione, perché è attratta dal pene (prova «invidia per il maschietto) e ne vive la mancanza come
una colpa. Dopo la fase fallica segue un periodo di latenza in cui si assiste un'interruzione o inibizione
della sessualità. Con la pubertà la sessualità ritorna a esplodere, nelle forme che anche la letteratura
descrive come una "tempesta dei sensi", e si consolida definitivamente il primato erogeno della sfera
genitale.

Il complesso di Edipo
All'analisi delle tre zone erogene che caratterizzano lo sviluppo della sessualità infantile è connessa
una delle più note teorie della psicoanalisi: quella relativa al complesso di Edipo. Con tale espressione
Freud indica il particolare sentimento che unisce il bambino ai suoi genitori e che è universalmente
presente in tutte le civiltà. Esso si manifesta durante la fase fallica, tra i tre e i cinque anni, e si presenta
come un attaccamento erotico del bambino verso il genitore di sesso opposto. Il maschio, dunque,
sviluppa sentimenti ostili verso il padre, considerato come un rivale, e desidera avere la madre tutta per
sé; pretende di dormire nel suo stesso letto e, spesso, promette di sposarla o di non abbandonarla mai.
La femmina si sente attratta verso il padre da un analogo sentimento d'amore, che tende a escludere la
madre. Freud aggiunge che, molto spesso, questi sentimenti sono incoraggiati dai genitori, che si
abbandonano a preferenze dello stesso tipo. Freud nell'indicare il «complesso», cioè la costellazione di
emozioni a carattere sessuale che la situazione descritta comporta, si ispira alla celebrità tragedia
Edipo Re di Sofocle, il quale aveva narrato le sventure dell'eroe greco a cui il destino aveva riservato la
triste sorte di sposare la madre e uccidere il padre. Secondo Freud, l'orrore che l'uomo di tutti i tempi
prova di fronte a tale tragedia deriva dal fatto che in ognuno di noi c'è un analogo desiderio nella fase
infantile. In altre parole, l'impulso inconfessabile di uccidere il padre e possedere la madre è una
presenza costante nella fantasia di ciascuno. Il complesso di Edipo riveste una funzione essenziale, in
quanto ogni uomo deve superare per poter maturare, cioè per raggiungere uno stato adulto e una
sessualità serena e consapevole: ciò implica lo spostamento verso una meta esterna dell'attrazione nei
confronti del genitore di sesso opposto, e la riconciliazione e l'identificazione con l'altro. Coloro che non
riescono a superare pienamente tale complesso e a liberarsi dall'attaccamento materno o paterno si
portano dietro per tutta la vita un ambiguo sentimento di colpa e oscure nostalgie, che impediscono di
vivere una sessualità matura e soddisfacente.

Totem e tabù
Le ultime opere di Freud, in particolare L'avvenire di un'illusione (1927) e Il disagio della civiltà
(1929), sono dedicate allo studio della società, dell'antropologia e della morale. Freud focalizza la
sua attenzione sull'istituto del totemismo, che si ritrova in popolazioni primitive talora
geograficamente molto distanti tra loro (ad esempio gli indigeni dell'Australia, dell'America
settentrionale...). In tale forma di organizzazione sociale i componenti di una comunità sono divisi
in tante unità caratterizzate da un totem, cioè nella maggior parte dei casi un animale sacro. Il
legame totemico si tramanda per via materna e rappresenta un vincolo più forte di quello familiare.
La cosa interessante è che coloro che appartengono a un'unità totemica si comportano nei
confronti del totem, cioè dell'animale simbolico assunto come autorità, in modo caratteristico, ad
esempio evitando di dare la caccia ai membri della specie che esso rappresenta. Il legame
totemico sembra finalizzato a evitare rapporti tra consanguinei, perché implica la proibizione di
sposare donne appartenenti allo stesso gruppo totemico e, dunque, impedisce legami di tipo
incestuoso; proibizione che, come osserva Freud, non può certo derivare da valutazioni di
carattere medico o eugenetico, dato il livello primitivo delle società in cui si sviluppa, ma a livello
storico. Al totem è legato il concetto di tabù, cioè di tutti quegli aspetti che, in riferimento al totem,
sono ritenuti sacri e quindi proibiti. Il totem e i tabù sarebbero dunque il nucleo originario di quelle
norme sociali, morali e religiose create dagli uomini per proteggersi da impulsi considerati
inaccettabili, elaborandoli collettivamente e rendendoli inoffensivi.

La civiltà e il suo fine


Se quella appena descritta è l’origine della civiltà, domandiamoci a questo punto qual è il suo fine.
Per Freud gli uomini ricercano soprattutto la felicità, intesa sia come assenza di dolore sia come
soddisfacimento dei bisogni. L’agire individuale, infatti, è mosso essenzialmente dal principio di
piacere, cioè dalla tendenza a realizzare immediatamente i propri desideri. È il principio che
domina la vita infantile: ad esempio, in assenza del latte materno si calma succhiandosi il dito. Tale
principio, però, si scontra con il principio di realtà, che esige spesso un differimento
dell’appagamento del piacere, la sua subordinazione a determinate azioni o anche la rinuncia alla
soddisfazione di alcune tendenze per soddisfarne altre: esso, cioè, implica un esame della realtà
che spesso può essere causa di sforzo, di sacrificio e quindi anche di infelicità. Quanto più la
società e progredita e civilizzata, aggiunge Freud, tanto più siamo destinati all'infelicità, in quanto
maggiori sono le forze repressive che agiscono sull'individuo. Da questo punto di vista, l'uomo
primitivo si trovava in condizioni migliori rispetto a noi, perché poteva soddisfare più liberamente i
propri istinti. L'uomo non può fare a meno di vivere insieme agli altri e di conseguenza deve
necessariamente porre un freno alle pulsioni. La civiltà è dunque indispensabile, anche se, è fonte
di repressione. Per arginare le pulsioni socialmente negative, la società si affianca alla figura
paterna nell'opera educativa: contribuisce, cioè, a rendere più efficace il Super-Io privato
attraverso un Super-Io sociale, che deve rafforzare la severità del primo.

La morale come male necessario


In definitiva, la morale appare a Freud, non diversamente da Nietzsche, come l'effetto
dell'imposizione sociale. A differenza di Nietzsche, però, Freud ritiene che essa, pur gravando
sull'individuo e limitandone la piena realizzazione, vada accettata, o almeno considerata un
«disagio» necessario: infatti, chi non fosse disposto a sottostare alle norme etiche socialmente
determinate perderebbe l'amore e il rispetto da parte del prossimo, e pertanto anche la serenità.
La morale comune va assecondata per la paura che l'individuo avverte nel profondo del suo animo
di essere escluso dalla considerazione degli altri e,soprattutto, di essere punito dall'«autorità».
Riproponendo un tema caro a Rousseau, cioè quello dell'antagonismo tra felicità individuale ed
esigenze dell'ordine sociale, Freud segnala pertanto all'uomo moderno i problemi connessi con lo
sviluppo della civiltà, pur riconoscendone la necessità.

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