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GEOMETRIA E PROIEZIONI

La geometria euclidea definisce i principi relativi all'entità geometriche fondamentali: punti, rette, curve e
superfici, piano. La geometria descrittiva è la scienza che permette di rappresentare in modo inequivocabile
su uno o più piani, oggetti bidimensionali e tridimensionali. La geometria descrittiva tratta le relazioni che
legano le proiezioni degli enti fondamentali della geometria euclidea.

PUNTO IMPROPRIO: di una retta, è la direzione della retta stessa. Due rette in un piano individuano sempre
un punto proprio se incidenti, improprio se parallele

RETTA IMPROPRIA di un piano, è la giacitura del piano stesso cioè la retta costituita da tutte le direzioni del
piano. Due piani individuano sempre una retta propria se incidenti, impropria se paralleli.

PIANO IMPROPRIO è l'insieme delle direzioni e delle giaciture dello spazio.

METODI DI RAPPRESENTAZIONE

Obiettivi: trasmettere in modo grafico un’informazione di tipo tecnico senza ambiguità di lettura e di
interpretazione.

METODO DI MONGE (proiezioni) è un metodo di rappresentazione di un oggetto nello spazio euclideo;


proiezioni di un oggetto su due piani ortogonali. La proiezione di un punto si ottiene tramite raggi di
proiezione che partono dal centro di proiezione, passano per il punto P da proiettare e intersecano un
piano di proiezione. La trasformazione proiettiva è lineare: un segmento di retta nello spazio è trasformato
in un segmento di retta nel piano di proiezione

Le proiezioni prospettiche non vengono utilizzate in campo industriale perché non sono adatte ad
individuare le reali dimensioni dell’oggetto

PROIEZIONE PROSPETTICA FRONTALE: Una prospettiva a un punto è la proiezione centrale di un oggetto


avente la sua faccia principale parallela al piano di proiezione (posizione speciale). Tutti i contorni e gli
spigoli paralleli al piano di proiezione conservano la loro direzione; tutte le linee perpendicolari al piano di
proiezione convergono al punto di fuga V, coincidente con il punto principale C.

PROIEZIONE PROSPETTICA ACCIDENTALE: una prospettiva a 2 punti è la proiezione centrale di un oggetto


avente i contorni e gli spigoli verticali paralleli al piano di proiezione (posizione particolare). Tutte le linee
ortogonali di una rappresentazione convergono nei rispettivi punti di fuga sulla linea di orizzonte.

PROIEZIONE PROSPETTICA RAZIONALE: nella prospettiva a 3 punti detta anche prospettiva a quadro
inclinato, l'oggetto da rappresentare si trova in posizione generica (posizione qualunque) non avendo né
contorni né spigoli paralleli al piano di proiezione.

PROIEZIONI ORTOGONALI: l'oggetto disposto con una faccia parallela al piano di proiezione viene proiettato
su tale piano ortogonalmente ed a distanza infinita. La disposizione nello spazio dell’oggetto è tale da
garantire la massima conservazione delle dimensioni lineari e superficiali. I raggi di proiezione sono
perpendicolari al piano di proiezione e paralleli tra loro. La rappresentazione è chiara ed univoca,
rispettando dimensioni lineari ed angolari. Si formano 4 diedri retti, per convenzione a ciascun diedro si
assegna un numero romano progressivo in senso antiorario: il metodo europeo o del primo diedro (metodo
della torcia), il metodo americano o del terzo diedro (metodo della macchina fotografica).Nel metodo
europeo, l’oggetto è situato tra l’osservatore e il piano di proiezione; mentre invece nel metodo
americano, al contrario è il piano di proiezione ad essere ubicato tra l’osservatore e l’oggetto da proiettare.
Per il metodo americano è come se proiettassi l’immagine sui lati di una scatola che circonda l’oggetto;
avviene il contrario per quello europeo. In sostanza, ciò che viene visto da destra nel disegno europeo viene
rappresentato a sinistra. Le proiezioni sono frontale, laterale, di pianta.

METODO EUROPEO A: frontale B: dall’alto al basso C: da sinistra a destra

A C
B

METODO AMERICANO

B
C A

Le proiezioni parallele o ASSONOMETRIA sono le proiezioni nelle quali il centro di proiezione è posto a
distanza infinita, non fornisce quindi una rappresentazione reale del modello.

 i lati e le facce di un oggetto paralleli al piano si proiettano secondo la grandezza reale


 i segmenti tra loro paralleli rimangono paralleli (è una trasformazione affine)
 i segmenti tra loro paralleli si riducono in proiezione del medesimo rapporto

assonometrie oblique: i raggi di proiezione sono paralleli tra loro ed obliqui rispetto al piano di proiezione,
essi incidono sul piano di rappresentazione con un angolo qualsiasi ma diverso da 0 o da 90. I rapporti di
riduzione o trasformazione sono definiti come: k= λ’ / λ = tan α

 Assonometria isometrica: i tre rapporti di riduzione sono uguali (K=1 α’=45° α=45°)
 Assonometria dimetrica: due rapporti di riduzione sono uguali (K=0,5 α’=45° α=26°)
 assonometria trimetriche: i tre rapporti di riduzione sono tutti diversi

assonometrie ortogonali: i raggi di proiezione sono paralleli tra loro e perpendicolare al piano di proiezione.
Nessuno degli assi della Terna di riferimento dell'oggetto è complanare al piano di rappresentazione.

Le proiezioni assonometriche sono:

 assonometria ortogonale isometrica: le dimensioni delle proiezioni sugli assi sono uguali (α=120 °
r=1)
 assonometria ortogonale dimetrica: le dimensioni delle proiezioni sono due uguali e una in
proporzione ridotta (α=131,5° β=97° x,z=1 y=0,5)
 assonometria obliqua: i raggi di proiezioni sono paralleli tra loro ed obliqui rispetto al piano di
proiezione. Si articola in:
 cavaliera isometrica: è il risultato di una trasformazione parallela obliqua, con piano di
proiezione parallelo alla faccia principale dell’oggetto (α=90° β2=135° x,z,y =1)

 cavaliera dimetrica: è il risultato di una trasformazione parallela obliqua con piano di


proiezione parallelo alla faccia principale dell’oggetto, ha un lato dimezzato (α=90° β2=135°
x,z=1 y=0,5)

 cavaliera planimetrica: è il risultato di una trasformazione parallela obliqua con piano di


proiezione parallelo alla base dell’oggetto (α=90° β2=135° x,y=1 z=2/3)

NORMA:

-) asse Z sia verticale


-) l'oggetto deve essere orientato in modo da mostrare sia la vista principale sia le altre viste che sarebbero
scelte per rappresentare lo stesso oggetto in proiezioni ortogonali

-) le tracce dei piani di simmetria dell’oggetto devono essere disegnati solo quando sono necessari

-) i contorni, gli spigoli nascosti sono in preferenza omessi

-) Il tratteggio per indicare un taglio od una sezione è preferibile che sia eseguito a 45° rispetto agli assi ed ai
contorni del taglio o della sezione

NORME
QUOTATURE: l'insieme delle norme che permettono, in un disegno, di indicare esplicitamente la
dimensione reale lineare ed angolare dell'oggetto rappresentato.

QUOTA: indica la misura di un elemento oppure la misura della distanza tra due elementi di un disegno
particolare. Una quota viene rappresentata da una linea di misura confinata tra due linee di riferimento le
estremità della linea sono evidenziate con frecce. Lungo tratti obliqui il valore numerico della quota è
sempre riferito alle dimensioni reali. Se il disegno è in scala scrivo la distanza effettiva così da esprimere
meglio i concetti.

FRECCE: i due tratti della freccia possono formare un angolo compreso tra 15° e 90 °; in uno stesso disegno
si devono utilizzare frecce dello stesso tipo; le frecce vanno poste internamente alle linee di riferimento
qualora non fosse possibile si dispongono esternamente; per lo stesso motivo è possibile sostituire le frecce
con dei puntini; è possibile annerirle.

quota inclinata: per chiarezza del disegno

smusso, raccordo: la quota si determina prolungando le linee di contorno. Gli smussi devono essere quotati
mediante la profondità assiale della superficie smussata ed il semi angolo al vertice. Se il semi angolo al
vertice è pari a 45 ° la quotatura viene semplificata.

pezzi simmetrici: le linee di misura devono proseguire fino a sorpassare l'asse di simmetria che delimita
l'interruzione.

semiviste o semisezione: parte esterna quotata in semivista o parte interna quotata in semisezione.

Criteri per la scrittura delle quote: le quote devono essere scritte parallelamente alla linea di misura, al di
sopra e staccate da esse. I valori devono poter essere letti dalla base o dal lato destro del disegno.

Regole per la scrittura delle quote: gli assi di simmetria e le linee di contorno non devono essere mai usati
come linee di misura. L'intersezione delle linee di misura con quelle di riferimento deve essere, per quanto
possibile evitata. Le linee di misura devono essere tracciate, per quanto possibile, all'esterno della figura. Le
quote non devono essere riferite ad elementi non in vista. In una vista le quote devono riferirsi soltanto ad
elementi che nel pezzo risultano parallele al piano di proiezioni. La lunghezza degli elementi fuori scala
deve essere sottolineata.

Quotatura di elementi ripetuti: quando compaiono elementi ripetuti si possono scrivere insieme; La
quotatura di gruppi di elementi uguali si può effettuare utilizzando lettere di richiamo.

quote di dimensione e quote di posizione: le quote di dimensione determinano la dimensione degli


elementi geometrici. Le quote di posizione stabiliscono la posizione relativa degli elementi geometrici.
Quando le quote di posizione sono di un elemento riferito ad un altro, vengono chiamate quote di
accoppiamento. La posizione di fori va sempre definita con riferimento all'asse.
Quotatura in serie: nella quotatura in serie ciascun elemento è quotato con riferimento all’elemento
immediatamente adiacente. Viene utilizzata quando è importante la lunghezza di ogni singolo elemento e
quando l'accumulo degli errori non compromette la funzionalità del pezzo.

Quotatura in parallelo: nella quotatura in parallelo tutte le quote sono date rispetto ad un riferimento
comune, che può essere un punto, un asse, uno spigolo. In questo caso l'errore sulla singola quota è
indipendente dagli errori sulle altre. Si osserva come tale tipo di quotatura pone in particolare risalto
l’elemento utilizzato come riferimento.

Quotatura a quote sovrapposte: è una variante grafica della quotatura in parallelo, con lo scopo principale
di realizzare un’economia di spazio nel disegno. La linea di misura è unica e fa capo ad un elemento di
riferimento comune contrassegnato con zero.

Quotatura combinata: è un sistema che comprende sia la quotatura in serie sia quella in parallelo. Viene
utilizzata quando il pezzo da quotare presenta più di un elemento di riferimento. Si tratta del sistema più
frequentemente utilizzato nei disegni.

Quotatura in coordinate: le quote sono riferite ad un unico punto, preso come origine per la quotatura. Le
quote vengono quindi raggruppate in una tabella. È possibile che la quotatura sia in coordinate cartesiane o
in coordinate polari.

Quotatura secondo lo scopo del disegno:

quotatura funzionale: nella quotatura funzionale si evidenziano le quote che sono fondamentali ai fini del
corretto funzionamento dell'oggetto. Si distinguono le quote in: funzionali, non funzionali ed ausiliarie. Le
quote non funzionali sono quote che non ricoprono un ruolo essenziale per il funzionamento del
componente. Le quote ausiliarie sono quote deducibili da altre quote.

quotatura tecnologica e di collaudo: nella quotatura tecnologica e di collaudo si evidenziano in prevalenza


le quote utili ai fini del particolare ciclo di lavorazione utilizzato per la produzione del componente e per il
collaudo dello stesso. La quotatura tecnologica è pensata per gli operatori delle macchine utensili affinchè
trovino direttamente dal disegno le quote senza doverle ricavare con calcoli.

Passaggio da quotatura funzionale a quotatura di fabbricazione: le due quotature possono non coincidere.
Ci sono vari casi in cui si può passare da quote funzionali a quote di fabbricazione:

A. Il trasferimento è possibile soltanto se la tolleranza sulla quota A (quota maggiore) è maggiore


della tolleranza sulla quota B. Passando dalla quotatura funzionale a quella di fabbricazione, la
tolleranza sulla quota B rimane invariata, quindi la quota C (A-B) non può che aumentare la
tolleranza risultante sulla quota A, che non potrà essere inferiore a quella sulla quota B.
B. Il trasferimento è possibile soltanto se la tolleranza sulla quota C è maggiore della tolleranza sulla
quota B. Passando dalla quotatura funzionale a quella di fabbricazione, la tolleranza sulla quota B
rimane invariata, quindi la quota A non può che aumentare la tolleranza risultante sulla quota C che
non potrà essere inferiore a quella della quota B.
C. Il trasferimento è possibile soltanto se la tolleranza sulla quota B è maggiore della tolleranza sulla
quota A. Passando dalla quotatura funzionale a quella di fabbricazione, la tolleranza sulla quota A
rimane invariata, quindi la quota C non può che aumentare la tolleranza risultante sulla quota B
virgola che non potrà essere inferiore a quella della quota A.

SEZIONI
La sezione è la rappresentazione in proiezione ortogonale di una delle due parti in cui un oggetto viene
diviso da un taglio. La realizzazione delle proiezioni si basa su costruzioni grafiche, soprattutto quando i
solidi vengono intersecati, disposti in maniera obliqua. Il taglio può essere anche solo ideale, quando è
necessario migliorare la rappresentazione delle parti interne di oggetti che rappresentano cavità, in tal
caso si usano in genere solo piani di sezione. L’uso delle sezioni per la rappresentazione di oggetti cavi è
l'alternativa alle linee nascoste e serve a garantire chiarezza, unicità (evitare equivoci), dimensionamento
(quotatura)

Le sezioni:

 vanno eseguite solo quando sono necessarie


 per la loro disposizione valgono le regole delle proiezioni ortogonali
 il materiale selezionato deve essere tratteggiato (l'area derivante dalla sezione)
 tutto ciò che si trova a valle del piano di sezione è in vista

Tagli e sezioni sono identificati da lettere maiuscole ripetute due volte, in corrispondenza delle frecce di
riferimento. Posizione del piano di sezione indicata mediante linea 4.2 (mista spessa) con lunghezza
necessaria ad assicurare la leggibilità. Le lettere di identificazione vanno poste immediatamente sopra la
vista in sezione.

Le sezioni sono disposte secondo le norme alle quali sono assoggettate le viste. Ogni sezione deve essere
disposta in relazione alla vista sulla quale indicata la traccia del piano di sezione che la determina.

CLASSIFICAZIONE DELLE SEZIONI:

 secondo l'elemento secante:


 Con un solo piano e multipli
 due o più piani paralleli
 piani concorrenti e consecutivi
 con superfici di forma qualsiasi
 Secondo l'estensione:
 semi sezioni
 sezioni parziali
 secondo la posizione:
 sezioni ribaltate in lungo
 sezioni in vicinanza
 sezioni successive

La scelta degli elementi secanti, dell'estensione della posizione dipendono dalla parte rappresentata e deve
essere fatta in modo tale da garantire chiarezza e completezza. La direzione di proiezione influenza la
quantità e la chiarezza delle informazioni relative all'oggetto rappresentato. È preferibile non utilizzare linee
nascoste, se non strettamente necessario alla comprensione della vista.

NORMA DELLE SEZIONI:

Se il piano di sezione cambia direzione, la traccia del piano di sezione deve essere disegnata solo alle
estremità della stessa ed in corrispondenza dei cambi di direzione.

Quando viene seguita una sezione con piani concorrenti, per rendere più leggibile il disegno, si ribalta la
sezione fino a portarla parallela all'altra direzione di sezione. Tale ribaltamento è suggerito dalla freccia
inclinata.

Gli oggetti simmetrici possono essere rappresentati metà in vista e metà in tagli/sezione.

Nel caso in cui un taglio/sezione completo non sia necessario, è possibile disegnare il taglio/sezione
parziale.
Le sezioni ribaltate in luogo possono essere traslate al di fuori della vista, ma devono essere portate in
vicinanza della stessa e ad essa collegate mediante linea mista fine a un tratto e un punto.

In caso di sezioni successive, i contorni e gli spigoli dietro al piano di sezione possono essere omessi, se non
indispensabile alla chiarezza del disegno.

I tratteggi devono essere tracciati con linee continue fini, preferibilmente inclinati a 45° rispetto alle linee
principali del contorno, o agli assi di simmetria delle sezioni o dei tagli. È conveniente che l'interspazio
(passo) del tratteggio sia proporzionato alla grandezza della superficie da tratteggiare, in accordo con le
esigenze relative al valore minimo di passo.

Le sezioni di un dato pezzo ottenute secondo piani paralleli e rappresentate contigue tra loro sullo stesso
piano devono essere rappresentate mediante un tratteggio identico; Qualora l'esigenza di chiarezza lo
suggerisse, i tratti possono essere sfalsati.

Parti che non si sezionano: (poiché potrebbero falsare l'interpretazione del disegno o quando non
contengono elementi significativi per la rappresentazione) nervature, alberi in sezione longitudinale,
chiavette, linguette, chiodi, viti, spine, perni, razze di ruote.

SUPERFICI CONICHE
Dicesi superficie conica circolare quella individuata dalle rette generatrici che passano per i punti di una
circonferenza e per un punto fisso detto vertice non complanare alla circonferenza. Tutte le generatrici si
incontrano nel vertice, il quale le divide in due semirette che appartengono ognuna ad una delle due falde
distinte della superficie conica.

Se il vertice è un punto all'infinito ho un cilindro.

Dicesi sezione conica o conica, la figura ottenuta tagliando una superficie conica con un piano non passante
per il vertice.

In base alla direzione del taglio otteniamo:

 cerchio quando il taglio è perpendicolare all'asse della superficie conica (perp asse)
 ellisse quando il piano taglia entrambe le generatrici di una falda (2 gen) la linea è chiusa
 Parabola quando il piano taglia tutte le generatrici di una falda tranne una a cui è parallelo. (1 gen +
parall) la linea è aperta. …. Taglia 1 generatrice ed è parallelo all’altra
 Iperbole quando il piano è parallelo a due generatrici e taglia entrambe le falde la linea costituita
da due rami distinti aperti se il piano è parallelo all'asse l'iperbole è regolare …. (1 gen) Taglia 1
generatrice in modo casuale, o è parallelo all’asse

MATERIALI PER L’INGEGNERIA


Suddividiamo i materiali ingegneristici moderni in quattro categorie: (composizione, materiale principale,
lavorazione principale, qualità)

 Metalli: metallo puro o leghe, acciaio-ghisa, innalzamento della temperatura fino a fusione poi
formatura allo stato fluido in apposita forma e consistenza ottenuta col raffreddamento, buona
conducibilità elettrica e termica, buona resistenza meccanica e all'usura, elevato peso specifico,
saldabilità e lavorabilità meccanica elevata (es. asportazione truciolo)
 Ceramici: ossidi metallici, silice, allumina ma anche carburi e nitruri; lavorazione di formatura a
freddo di polvere con reazione di sinterizzazione, cioè microfusioni elevate, con innalzamento della
temperatura ma senza raggiungere la temperatura di fusione, poi raffreddamento; buon isolante
termico ed elettrico, buona resistenza ad alte temperature, all'usura ed elevata durezza, limitato
peso specifico, scarsa lavorabilità dopo cottura, fragilità, elevata resistenza a compressione
 Resine o materie plastiche: formati da catene polimeriche di carbonio, idrogeno ecc., la lavorazione
principale consiste nella polimerizzazione di un monomero, innalzamento di temperatura fino allo
stato semifluido da rendere così il materiale malleabile, formatura allo stato fluido in apposita
forma, consistenza col raffreddamento; buon isolamento elettrico, scarsa resistenza alla
temperatura, costo contenuto, basso peso specifico, elevata riciclabilità.
 Compositi: formati da materiali eterogenei (metallo+ceramico, ceramico + resina, metallo+resina);
La lavorazione principale consiste nella coesione di un componente allo stato di fibra o polvere o
granulare con un materiale base (matrice); si cerca di ottenere in un unico prodotto i vantaggi dei
diversi materiali che lo compongono.

La resistenza dei materiali

 Metallici: resistenza a compressione quasi uguale alla resistenza a trazione

 Ceramici: resistenza a compressione molto maggiore di quella a trazione (anche di 10 volte)

 Resine: resistenze paragonabili tra trazione e compressione

Si cerca di far lavorare il metallo in un campo di proporzionalità elastico

 Metallici: resistenza a fatica (carichi variabili ciclicamente nel tempo)


 Ceramici: resistenza ad usura, resistenza alle intemperie

Nel caso di realizzazione di parti in materiale metallico ottenuti per fusione, le dimensioni dello stampo
devono tener conto:

 Dilatazione termica del materiale dalla temperatura ambiente a quella di fusione della lega
 Dilatazione termica ulteriore per portare il metallo fuso ad una temperatura che consenta la sua
buona fluidità nello stampo
 Sovrametallo da eliminare con successive lavorazioni per asportazione di truciolo o rullatura
(anche nel caso di lavorazioni per deformazioni plastiche a caldo è necessario tenere conto della
dilazione termica)

Nel caso dei materiali ceramici, a causa del ciclo di lavorazione, si deve considerare il fenomeno del ritiro:
in particolare per i materiali veicolati con fluidi (in prevalenza acqua) va considerato: il ritiro per
essiccamento (è causato dall'evaporazione dell'acqua contenuta dal conglomerato) e per tutti: il ritiro per
la cottura ad alta temperatura (ritiro da bagnato (plastico) a secco). Inoltre nel caso di stampaggio alla
pressa è necessario considerare che i veicoli ed i materiali argillosi tendono a far espandere i manufatti
dopo la pressatura, per cui le misure vanno effettuate sul pezzo e non riferite allo stampo.

I materiali termoplastici creano problemi ancora maggiori:

le dimensioni del pezzo finale stampato sono influenzate da:

 Temperatura di stampaggio (<250°C): le dimensioni finali diminuiscono all’aumentare della


temperatura
 Pressioni di stampaggio: le dimensioni finali aumentano all’aumentare della pressione di
stampaggio
 Tempo di permanenza nello stampo sotto pressione: le dimensioni finali aumentano all’aumentare
del tempo

IL CALETTAMENTO
Operazione mediante il quale si collegano stabilmente due pezzi.

Esempio tipico di calettamento è quello di una ruota sul proprio asse. Il suo calettamento può essere:

 Smontabile, nel caso viene generalmente effettuato mediante chiavette o linguette


 Definitivo, in quest’ ultimo caso può essere effettuato a freddo con montaggio forzato, di solito
mediante presso, oppure a caldo, riscaldando sufficientemente l’organo esterno e subito
mondandolo su quello interno
Il calettamento a caldo

Il calettamento è un’operazione che forza un cilindro detto albero all’interno di un foro avente diametro
inferiore del cilindro stesso. Per rendere possibile tale operazione il mozzo viene riscaldato per allargarlo,
nel raffreddarsi il foro torna alle dimensioni iniziali bloccando così il cilindro.

Analogo risultato si può ottenere raffreddando l’albero viene raffreddato con l’ausilio di fluidi criogenici per
ridurne le dimensioni; nel ritornare a temperatura ambiente esso torna alle dimensioni iniziali bloccando
così il mozzo.

Il diametro dell'albero si
rimpicciolisce

Il calettamento forzato

Il calettamento forzato è un’operazione che forza un cilindro (detto albero) all’interno di un foro avente un
diametro inferiore del cilindro stesso.

Si sfrutta la deformazione elastica del materiale.

I parametri fondamentali sono:

 Elasticità dei due materiali E (modulo di Young)


 Attrito che si genera tra i due materiali Fattrit = µ Faccopp
 La smussatura con un opportuno angolo tra mozzo e albero
 La rugosità superficiale del materiale
il calettamento forzato si effettua mediante forzamento alla pressa o con l’uso di estrattori

Fp = f (E, øm –øa, smusso α, coeff.attrito µ, Ra)

NUMERI DI RENARD
Chi fa le norme chiama numeri normali i numeri reali che servono ad indicare valori usuali di una certa
grandezza. Il motivo di trovare questi valori sta nel fatto che chi costruisce in serie un prodotto poiché deve
scegliere un certo numero di potenze o portate per limitare i costi di produzione e di stoccaggio: i
costruttori vorrebbero questo numero molto piccolo, gli utenti molto grande. Inizialmente la scelta cadde
su una serie di valori che costituivano una progressione aritmetica (costante la differenza tra due valori
consecutivi), la definizione non è molto precisa per piccole dimensioni, mentre per grandi dimensioni gli
elementi risultano troppo poco diversi tra loro. Il colonnello francese Renard risolse il problema passando
alle progressioni geometriche (costante il quoziente tra due numeri successivi) di ragione 10^ 1/n. Il
quoziente tra un numero ed il precedente prende il nome di ragione o passo. Si osserva che la definizione di
serie geometrica è ugualmente precisa per piccole e grandi dimensioni.

SERIE DI RENARD: sono serie geometriche per le quali il valore della costante K è dato dalla relazione 10^
1/n con n uguale (5; 10; 20; 40). Si definiscono così quattro serie numeriche diverse, i cui elementi
prendono il nome di numeri di Renard e presentano le interessanti proprietà di:

 dividere l'unità esponenziale in un numero n di parti intermedie


 i valori numerici successivi delle Rn dividono l'unità logaritmica in n parti con incrementi di
percentuali rispettivamente del 60% per R 5 del 25% per R 10 del 12% per R 20 del 6% per R40
 tutti i termini di una serie sono contenuti in quella superiore
 i prodotti ed i rapporti dei termini di una serie sono pure termini della serie
 il valore R 10 pari a 3,15 approssima bene il valore di π
 il valore R 10 para 1,4 approssima bene il valore √ 2

SUPERFICI E RUGOSITÀ
 Superficie reale: superficie che delimita il corpo e lo separa dall’ambiente circostante
 Superficie geometrica o nominale: superficie ideale, la cui forma nominale è definita dal disegno
e/o da ogni altro documento tecnico
 superficie di riferimento: superficie rispetto alla quale vengono determinati i parametri di rugosità
 sezione equidistante: intersezione della superficie reale con una superficie avente forma della
superficie geometrica e situata equidistante rispetto alla superficie di riferimento
 sezione normale: sezione determinata da un piano perpendicolare alla superficie di riferimento
 sezione obliqua: sezione inclinata rispetto alla superficie di riferimento
 Profilo della superficie: linea di intersezione della superficie con un piano
 profilo reale: intersezione della superficie reale con un piano
 profilo geometrico: profilo che risulta dall’intersezione della superficie geometrica con un piano
 profilo trasversale: profilo che risulta dall’intersezione di una superficie con un piano normale e
perpendicolare alla direzione dell'irregolarità (perpendicolare alle irregolarità)
 profilo longitudinale: profilo che risulta dall’intersezione di una superficie con un piano parallelo
alla direzione delle irregolarità (parallelo alle irregolarità)

Parametri per definire la rugosità:

 Linea di riferimento: linea data rispetto alla quale sono determinati i parametri del profilo
 lunghezza di base, l: lunghezza del tratto di linea di riferimento utilizzata per identificare le
irregolarità che costituiscono la rugosità della superficie
 lunghezza di valutazione, ln: lunghezza utilizzata per determinare i valori dei parametri di rugosità
della superficie. Può comprendere una o più lunghezze di base
 scostamento del profilo, y: tra un punto del profilo e la linea di riferimento nella direzione della
misurazione
 linea media del profilo, m: linea di riferimento avente la forma del profilo e che divide il profilo in
modo che all'interno della lunghezza di base, la somma dei quadrati degli scostamenti a partire da
questa linea sia minima.
 linea centrale: linea di riferimento avente la forma del profilo geometrico parallela alla direzione
generale del profilo e che divide il profilo in modo che, all'interno della lunghezza di base, le aree
comprese tra la linea centrale ed il profilo siano uguali ambo i lati della linea stessa
 altezza del picco del profilo, y p: distanza tra la linea media del profilo ed il punto più alto di un
picco del profilo all'interno della lunghezza di base (picco: porzione di profilo al di sopra della linea
media che unisce due consecutivi punti di intersezione del profilo con la linea media)
 profondità della valle del profilo, y v: distanza tra la linea media del profilo ed il punto più basso di
una valle del profilo all'interno della lunghezza di base (valle: porzione di profilo al di sotto della
linea media che unisce due consecutivi punti di intersezione del profilo con la linea media)
 altezza di una irregolarità del profilo, yp + yv: somma dell'altezza del picco e della profondità della
valle adiacenti (irregolarità del profilo: un picco del profilo ed una valle del profilo adiacenti)

Rugosità della superficie è l'insieme delle irregolarità superficiali, con passo relativamente piccolo, lasciate
dal processo di lavorazione e/o da altri fattori influenti. Le irregolarità sono considerate entro limiti stabiliti
convenzionalmente (ad esempio lunghezza di base). Misurare la rugosità significa valutare le altezze delle
irregolarità. Si rende quindi necessario definire anzitutto la lunghezza di base e la linea media relativamente
ai quali saranno misurate tali altezze. Si otterranno pertanto valori potenzialmente diversi, rappresentativi
della rugosità, a seconda dei parametri scelti.

 Altezza media delle irregolarità del profilo R C: è la somma dei valori medi assoluti delle altezze dei
picchi del profilo e delle profondità delle valli del profilo, all'interno della lunghezza di base.

 Altezza delle irregolarità su 10 punti R Z: è la media dei valori assoluti dei 5 picchi del profilo più alti
e delle 5 valli del profilo più profonde, all'interno della lunghezza di base.

 Scostamento medio aritmetico del profilo Ra: è la media aritmetica dei valori assoluti degli
scostamenti del profilo all'interno della lunghezza di base l.

 Scostamento medio quadratico del profilo Rq: è il valore medio quadratico degli spostamenti del
profilo all'interno della lunghezza di base l (qualità tra due diversi valori di R a)

INDICAZIONI DELLO STATO DELLE SUPERFICI – UNI 4600

 il segno grafico di base è formato da due linee di lunghezza diverse, inclinate approssimativamente
di 60 ° rispetto alla linea che rappresenta la superficie considerata
 il trattino orizzontale aggiunto indica che richiesta una lavorazione con asportazione di materiale
 il cerchietto aggiunto indica che non è consentita una lavorazione con asportazione di materiale
(rullatura)
INDICAZIONI AGGIUNTE AI SEGNI GRAFICI E SEGNI GRAFICI PER INDICAZIONE DELLA DIREZIONE DEI
SOLCHI

a)rugosità Ra b)tipo di lavorazione c)lunghezza di base d)direzione dei solchi e)sovrametallo di


lavorazione f)altri dati

=)solchi paralleli al piano perp)solchi perpendicolari al piano X)direzioni oblique M)multidirezionali


C)circolari rispetto al centro (es. Cilindro lavorato per tornitura) R)radiali rispetto al centro

INDICAZIONI SUI DISEGNI: il segno grafico e le iscrizioni devono essere orientati in modo da essere letti
dalla base oppure dal lato destro del disegno. Se ciò risulta difficile, il segno grafico può essere
disegnato in posizione qualunque, ma il valore del parametro principale di rugosità, se indicato, deve
essere scritto in conformità alla regola generale. Il segno grafico o la freccia della linea di richiamo
devono puntare dal lato esterno del materiale sulla linea che rappresenta la superficie oppure sulla
linea di prolungamento. Se per la maggior parte delle superfici del pezzo è richiesto un medesimo stato
questo è indicato aggiungendo:

- la nota salvo indicazione particolare


- oppure il segno grafico di base tra parentesi senza altre indicazioni
- oppure uno o più segni specifici tra parentesi relativi agli stati particolari delle rimanenti
superfici
Per evitare di ripetere diverse volte l'indicazione di una prescrizione complessa oppure quando lo spazio è
limitato, si possono adottare prescrizioni semplificate, purché il loro significato sia espresso in prossimità
del disegno del pezzo (leggenda o nel riquadro delle iscrizioni in prossimità dello stesso).

SUPERFICIE DEI FIANCHI DI DENTI DI RUOTE DENTATE E SUPERFICIE DEI FIANCHI DEL FILETTO

Il RUGOSIMETRO è uno strumento per la misura e la valutazione delle microirregolarità di una superficie è
in grado di misurare con una precisione che può raggiungere il millesimo di micron. È composto da
tastatore, unità di traslazione, unità elettronica

 tastatore: è la parte a diretto contatto con la superficie da misurare. Serve per la misura e la
valutazione delle microirregolarità di una superficie. È costituito essenzialmente da due parti: lo
stilo e il pattino o avancorpo. Lo stilo è la parte più importante e delicata poiché quella che rileva il
profilo a contatto con il pezzo. È costituito da un supporto fulcrato, che sorregge la punta di
diamante, il cui peso è calibrato secondo normativa. Il pattino, la cui forma può dipendere dal tipo
di misura che si deve fare, ha lo scopo di guidare lo stilo sul pezzo facendogli seguire le irregolarità
grossolane, eliminando in tal modo parte dell'ondulazione. Questi due elementi, non potendo
essere ideali e adatti a tutte le situazioni, introducono una piccola percentuale di errore sui risultati
della misura. *Questi errori non possono essere eliminati e sono presenti in qualunque rugosimetro
di qualsiasi tipo per cui, nel confrontare i risultati, occorre tenerne conto per comprendere il perché
di eventuali scostamenti. In particolare, il diamante montato sullo stilo è normalmente conico con
angolo di 60 ° o di 90 ° e la punta è raggiata, in genere a meno di 10 μm tipicamente 5 micron.

Il tastatore può essere: meccanico, utilizza una punta di diamante o rubino per seguire le variazioni
del profilo; induttivo, il più usato, interpreta le variazioni di altezza misurate lungo l'asse di
acquisizione come variazione di tensione; ottico, dotato di un sensore che interpreta le variazioni di
altezza misurate lungo l'asse di acquisizione come variazioni di posizione del raggio riflesso sulla
superficie da tastare.
 L’unità di traslazione è un'unità motorizzata fissata tramite l'apposito supporto al tastatore che
provvede a muovere quest'ultimo lungo l'asse di misura orizzontale per poter acquisire i dati della
superficie
 L’unità elettronica gestisce la movimentazione dell’unità di traslazione e il trattamento dei dati
rilevati tramite tastatore. Se si utilizza un tastatore del tipo induttivo i valori di tensione rilevati in
formato analogico devono essere prima convertiti in formato digitale per poter essere
successivamente elaborati ed analizzati.

Esistono due categorie di Rugosimetri:

 Rugosimetri portatili o palmari: lo strumento ha l’unità di traslazione e l'unità elettronica


incorporata e l'elaborato azione dei dati (filtraggio e calcolo parametri di rugosità) viene effettuata
internamente dalla stessa unità elettronica
 rugosimetro da laboratorio: l'unità di traslazione e l'unità elettronica sono esterne e l'elaborazione
dei dati viene effettuata esternamente tramite computer dotato di apposito software di controllo

ERRORI DI MISURA… l'ampiezza finita del diamante determina in tre modi l'accuratezza con cui il profilo
può essere rilevato:

- penetrazione nelle valli: l'angolo e il raggio, in funzione del loro valore, comportano una
penetrazione più o meno accentuata nelle valli del profilo. Diamanti con angolo e raggio grande
hanno una bassa penetrazione ed hanno risultati inferiori a quelli con angolo e raggio minore.
- Distorsione della forma dei picchi: quando un diamante raggiato passa su un picco appuntito, il
punto di contatto si muove a cavallo della raggiatura generando un profilo rilevato con un picco più
arrotondato di quello reale. Questo fatto provoca un’alterazione del valore del parametro R a e va
tenuto presente in caso di misura di rugosità molto bassa.
- Le rientranze non possono essere rilevate: quando lo stilo trova una rientranza, perde il contatto
con il profilo ed altera la forma di quello rilevato. Superfici con rientranze sono presenti, per
esempio, nei materiali sinterizzati e in quelli porosi.
- Il pattino, in base alla sua forma e con certe superfici, può produrre un errore nel rilevamento
perché introduce un'alterazione del profilo causata dal passaggio sfasato, rispetto allo stilo, sulle
asperità.

DERIVAZIONE GRAFICA
La derivazione grafica consente di determinare, in maniera puramente grafica, la derivata di una curva
assegnata, purchè siano rispettate le condizioni caratteristiche di derivabilità (continuità, esistenza del
limite).

Definiamo nel piano x, y una curva continua, che rappresenta una funzione analiticamente non definibile o
non facilmente definibile (altrimenti si potrebbe optare per la derivata analitica). Si vuole andare a
determinare la sua derivata prima. La condizione non è rara: si pensi a quante volte apparecchiature di
controllo restituiscono come risultato una curva analiticamente non definibile.

Suddividiamo la proiezione della curva assegnata in tante parti uguali, e proiettiamo i punti del generico
intervallo AB lungo l’asse delle x. Tracciamo un segmento che unisce A e B e scelto un punto P a distanza p
dall’origine degli assi tracciamo la parallela ad AB sino ad incontrare l’asse delle y in H. I triangoli POH e ACB
sono simili poiché hanno PO ∕ ∕ AC, HO ∕ ∕ BC e gli angoli in P ed in A uguali per costruzione.
Ora se proiettiamo OH sul punto medio M tra A’ e B’, otterremo KM=HO. Di conseguenza per la similitudine
dei triangoli otterremo HO / PO = BC / AC e poiché KM = HO possiamo scrivere:

KM = HO = OP * BC / AC = p BC / AC

Se consideriamo intervalli sufficientemente piccoli è possibile considerare l’arco AB = al segmento AB e di


conseguenza possiamo considerare AC = Δx e BC = Δy, incrementi elementari finiti. Di conseguenza è
possibile scrivere che KM = p BC / AC = p Δy / Δx (*) e pertanto KM rappresenta, a meno del valore di p, il
valore della derivata, ovvero il limite del rapporto incrementale Δy / Δx

DESCRIZIONE DI UN FENOMENO FISICO: Immaginiamo che la curva in figura rappresenti un qualsiasi


fenomeno fisico come ad esempio lo spazio percorso nel tempo quindi avremo sull’asse x i tempi (h) e
sull’asse delle y le distanze (km) Di conseguenza la rappresentazione grafica del fenomeno è fatta
ricorrendo a 2 scale:

La scala delle x Sx = [cm/h] e la scala delle y Sy = [cm/km]. Introducendo le scale è possibile stabilire il
rapporto tra gli gli incrementi grafici e gli incrementi reali (fisici)

Sx=ΔxG/ΔxF Sy=ΔyG/ΔyF ovvero ΔxG=SxΔxF ΔyG=SyΔyF

e sostituendo nella *

KM = p ΔyG/ΔxG= p ΔyF Sy/ ΔxF Sx = ΔyF / ΔxF * p Sy/ Sx

Derivata grafica = derivata analitica * scala di derivazione

E si può verificare che poiché:

 p = [cm] distanza polare


 Sy = [cm/km] scala lunghezze
 Sx = [cm/h] scala tempi
 p Sy/Sx = [cm/km/h] scala di derivazione, nella fattispecie di velocità
 Il termine KM rappresenta, in opportuna scala, una velocità

INTEGRAZIONE GRAFICA

Definiamo nel piano x, y una curva continua, che rappresenta una funzione analiticamente non definibile o
non facilmente definibile (altrimenti si potrebbe optare per l’integrazione analitica). Analogamente si
analizzi l’operazione di integrazione grafica. Si vuole andare a determinare il suo integrale.

Suddividiamo la proiezione della curva assegnata in tante parti uguali, e proiettiamo i punti del generico
intervallo AB lungo l’asse delle x. Determiniamo il punto medio M’ nell’intervallo A’B’ e tracciamo un
segmento che unisce M all’asse delle y (H) e, scelto un punto P a distanza p dall’origine degli assi, tracciamo
il segmento che unisce P con H. Dal punto A’ tracciamo la parallela a PH sino ad incontrare il tratto BB’ (K). I
triangoli POH e A’B’K sono simili poiché hanno PO ∕ ∕ A’B’, HO ∕ ∕ B’K e gli angoli in P ed in A’ uguali per
costruzione.

Possiamo scrivere KB’ = HO A’B’ / OP = MM’ A’B’ / OP = ym Δx / p ** E poiché ym Δx = area sottesa dal
rettangoloide A’ABB’, KB’ rappresenta (è proporzionale), a meno del valore di p, l’integrale grafico della
funzione.

DESCRIZIONE DI UN FENOMENO FISICO: Immaginiamo che la curva in figura rappresenti un qualsiasi


fenomeno fisico come ad esempio la velocità di un veicolo nel tempo quindi avremo sull’asse x i tempi (h) e
sull’asse delle y le velocità (km/h) Di conseguenza la rappresentazione grafica del fenomeno è fatta
ricorrendo a 2 scale:
La scala delle x Sx = [cm/h] e la scala delle y Sy = [cm/(km/h)]. Introducendo le scale è possibile stabilire
il rapporto tra gli elementi grafici e gli elementi reali (fisici)

Sx=ΔxG/ΔxF Sy=YGm/YFm ovvero ΔxG=Sx ΔxF YGm=Sy YFm e sostituendo nella **

KB’ = YGmΔxG / p= YFm Sy ΔxF Sx = YFm ΔxF * Sy Sx /p

Integrale grafico = integrale analitico * scala di integrazione.

E si può verificare che poiché:

 p = [cm] distanza polare


 Sy = [cm/km/h] scala velocità
 Sx = [cm/h] scala tempi SySx/p = [cm/km] scala di integrazione, nello specifico scala di lunghezze

Il termine KB’ rappresenta, in opportuna scala, lo spazio percorso. Da notare che per il secondo tratto si
parte da K, poiché l’integrale è una sommatoria.

CALIBRI
Il calibro è uno strumento di misura adatto a misurare (con precisione decimi, ventesimi, cinquantesimi e
centesimi di millimetro) la larghezza di un oggetto, la distanza tra due facce piane in una concavità, la
profondità di un solco o foro. È costituito da un'asta (1) graduata, in genere, sia in mm (3) che in inch (4),
sulla quale scorre un cursoio (2) che porta incisa una particolare graduazione - o due, una (5) adiacente alla
scala in mm e una (6) adiacente a quella in inch - che prende il nome di nonio.

Il cursoio e l'asta sono dotati di ganasce (7) e di becchi (9) che servono per rilevare, rispettivamente,
spessori, diametri esterni di tubi, … e distanze e diametri interni; all'estremità opposta il cursoio termina
con una sottile asta (8) per rilevamenti di profondità. La misura viene letta sull'asta graduata in
corrispondenza dello 0 del nonio. La graduazione del nonio consente di apprezzare variazioni di lunghezza
più piccole del millimetro (o della frazione di pollice) rispetto a questa prima lettura. La precisione che si
riesce a raggiungere dipende dal tipo di nonio, come illustrano gli esempi sottostanti.

ES. Il nonio in figura ha 10 divisioni che formano una scala lunga complessivamente 9 millimetri. Nella
misurazione illustrata, lo 0 del nonio si è posizionato tra le tacche dei 12 e dei 13 mm dell'asta graduata. 12
mm è la misura troncata ai mm.
Tra le tacche del nonio quella che è più vicina a una tacca dell'asta graduata è la 8 a. In questo caso si
assume come misura arrotondata (ai decimi di millimetro) 12.8 mm.
Una spiegazione abbastanza intuitiva è la seguente. Lo 0 del nonio era di h avanti rispetto alla tacca dei 12
mm. Una divisione del nonio è di 1/10 più corta di quelle dell'asta, ossia più corta di 0.1 mm. Se avanzando
lungo il nonio si passano 8 divisioni affinché una tacca dell'asta superi il ritardo h iniziale e raggiunga una
tacca del nonio, dato che ad ogni divisione superata il recupero è di 0.1 mm, ciò significa che il ritardo era di
0.8 mm.

Nel nonio in figura possiamo riferirci a due tipi di tacche. Se ci riferiamo solo alle tacche grosse,
abbiamo: effettuata la misurazione, lo 0 del nonio supera quello dell'asta di 12 mm. Tra le successive tacche
(grosse) quella che più si avvicina a una tacca dell'asta è la 8 a. Quindi assumo 12.8 mm come misura.
Se considero tutte le tacche e osservo che la tacca successiva è ancora più vicina (vedi figura 2), assumo
12.85 mm come misura (con una precisone di 0.025 mm, ossia 12.85 ± 0.025 mm).

Consideriamo il primo caso. 10 divisioni del nonio corrispondono a 39 mm dell'asta, ossia sono più corte di
1 mm rispetto a 40 mm; una divisone del nonio è più corta di 0.1 mm rispetto a 4 mm dell'asta. Ragioniamo
esattamente come nel caso (1): le tacche sull'asta impiegano uno spazio lungo 8 tacche del nonio per
raggiungere una tacca di questo; quindi il ritardo h era di 0.8 mm.
Se consideriamo le divisioni sul nonio più piccole il ragionamento è ancora lo stesso, a patto il fatto che
ogni divisione rappresenta 0.05 mm (20 divisioni più corte di 1 mm rispetto a 40 mm, quindi una divisone è
più corta di 0.05 mm rispetto a 2 mm); ci vogliono 17 divisioni sul nonio per superare il ritardo, ossia
17*0.05 mm = 0.85 mm (17/20 di 1 mm).
Se il nonio fosse a 50 divisioni si procederebbe in modo simile. Ad es. se 50 divisioni del nonio
corrispondono a 49 mm (1 mm in meno) e se effettuando una misura le tacche sulle due graduazioni si
raccordano alla 13 divisione del nonio, alla misura in millimetri dobbiamo aggiungere 13/50 di 1 mm, ossia
26/100 di mm, ossia 0.26 mm.

TIPI DI CALIBRO:

 calibro digitale/elettronici: lettura diretta


 Calibro analogico: quadrante circolare che amplifica la misurazione
 calibro decimale (9 mm), ventesimale (19 mm), o cinquantesimale (49 mm)
 Calibro Palmer (micrometro): è impostato per campi di misurazione 0-25mm con precisione di
0,001 mm. La lettura si ha nella zona laterale del calibro, tra le due file vediamo lo scarto di
differenza che viene misurato attraverso il cursore (rotella) laterale … un giro = 0,5 mm
 Blocchetti Johnson: servono per tarare gli strumenti di misura; Si trovano nei laboratori di
metrologia, ogni blocchetto viene controllato e testato ogni 5 anni
 comparatore: serve a misurare gli spostamenti, superfici, alberi (se ha un asse preciso o ci sono
deformazioni)

TOLLERANZE DIMENSIONALI
Le dimensioni nominali assegnate dal progettista ai componenti meccanici si riferiscono a superfici
geometriche ideali, che non è possibile ottenere nemmeno ricorrendo a lavorazioni meccaniche
estremamente precise. Dimensioni e forme reali si discostano pertanto da quelle ideali ed è quindi
necessario precisare entro quali limiti le inesattezze dimensionali non compromettono la funzionalità del
componente, soprattutto quando si tratta di realizzare accoppiamenti meccanici. La possibilità di
controllare forme dimensioni permette di realizzare serie di pezzi intercambiabili favorendo la produzione
industriale.

ERRORI DI REALIZZAZIONE DEI PEZZI:

 ERRORI DIMENSIONALI: deviazione delle dimensioni reali da quelle nominali … tolleranze


dimensionali (lunghezze e angoli)
 ERRORI GEOMETRICI: deviazione delle superfici reali da quelle nominali: errori microgeometrici …
rugosità; Errori macrogeometrici … tolleranze geometriche

L'utilizzo delle tolleranze in fase di progetto è finalizzato a garantire il corretto accoppiamento dei pezzi.
Dati due pezzi progettati in modo da accoppiarsi tra loro l'accoppiamento può avvenire in due diversi modi:

- aggiustaggio: i pezzi da montare sono lavorati assieme e adattati al momento del montaggio
(sistema possibile solo per piccole produzioni)
- intercambiabilità: i pezzi da montare sono prodotti in quantità prefissate (lotti) e l'accoppiamento
deve avvenire comunque tra pezzi scelti casualmente dai lotti; Possibile la produzione dei pezzi in
luoghi e tempi diversi; sostituzioni di pezzi rotti; Accoppiamento senza aggiustaggi …. tolleranza

I LIMITI DI VARIABILITÀ: ai fini dell'accoppiamento le dimensioni nominali possono variare tra un valore
massimo ed uno minimo; il controllo standard può essere effettuato mediante calibri passa-non passa.

 Dimensione nominale (Dn, dn): dimensione teorica indicata, a disegno, dalla quota;
 Dimensione limite massima (Dmax, dmax): massima dimensione ammessa;
 Dimensione limite minima (Dmin, dmin): minima dimensione ammessa;
 Scostamento superiore (Es = Dmax – Dn; es = dmax - dn): differenza tra la dimensione limite
massima e la dimensione nominale;
 Scostamento inferiore (Ei = Dmin – Dn; ei = dmin - dn): differenza tra la dimensione limite minima
e la dimensione nominale;
 Tolleranza (IT = Dmax – Dmin; IT = dmax - dmin): differenza tra la dimensione limite massima e la
dimensione limite minima.

Si vede semplicemente che IT = Es – Ei; IT = es - ei

La norma UNI-EN 20286 all’attualità codifica le tolleranze di riferimento. Ogni indicazione di tolleranza è
definita attraverso un “grado” e una “posizione” di tolleranza. Nel sistema ISO di tolleranze sono previsti 20
gradi di tolleranza normalizzati che definiscono l’ampiezza della zona di tolleranza e quindi la qualità o la
precisione della lavorazione. Di questi 20 gradi 18 sono di uso generale (da IT1 a IT18) mentre 2 sono di
usati in casi particolari (IT0 ed IT01).
Il grado di tolleranza normalizzato è funzione della dimensione nominale (l’ampiezza dell’errore tollerato è
maggiore su dimensioni maggiori).

Alcune norme per il loro utilizzo:

 i gradi di tolleranza da IT14 a IT18 non devono essere utilizzati per dimensioni minori o uguali a 1
mm
 i valori sono espressi in micrometri per gradi fino a IT11 poi in millimetri
 i valori sono calcolati per gruppi di dimensioni nominali e riferiti alla media geometrica delle
dimensioni estreme

definiamo con D=√ D1∗D 2 con D1, D2=dimensioni estreme del gruppo dimensionale considerato.

LA POSIZIONE DELLE TOLLERANZE: la posizione della zona di tolleranza rispetto alla linea dello zero è
definita da uno dei due scostamenti, scelto convenzionalmente e detto scostamento fondamentale, legato
alla dimensione nominale. Per convenzione, lo scostamento fondamentale è quello che definisce il limite
più vicino alla linea dello zero. Il sistema ISO prevede 27 posizioni, designate da una lettera maiuscola per i
fori e minuscola per gli alberi.

Per i fori lo scostamento fondamentale è lo scostamento inferiore Ei per posizioni da A ad H ed è lo


scostamento superiore Es per posizioni da K a ZC. La posizione H è quella per cui lo scostamento
fondamentale inferiore è nullo.

F A

Per gli alberi lo scostamento fondamentale è lo scostamento superiore es per le posizioni da a ad h ed è lo


scostamento inferiore ei per posizioni da k a zc. La posizione h è quella per cui lo scostamento
fondamentale superiore è nullo.

Gli scostamenti fondamentali JS e js prevedono una ripartizione simmetrica della tolleranza rispetto alla
linea dello zero.

La designazione di una quota con tolleranza prevede che vengano indicati:

 la dimensione nominale
 una lettera che indica la posizione della zona di tolleranza
 una o due cifre che indicano il grado di tolleranza normalizzato

in alternativa le tolleranze possono essere indicate attraverso gli scostamenti limite.

GLI ACCOPPIAMENTI

Si parla di accoppiamenti tutte le volte che due organi meccanici devono essere collegati tra loro in modo
da svolgere una funzione che da soli non potrebbero svolgere (esempi ruota su asse, asse su supporto,
flangia su albero)
ALBERO: con questo termine si intendono convenzionalmente gli elementi esterni di un pezzo, anche non
cilindrici, per indicare una parte piena (ad esempio albero o perno cilindrico). Convenzionalmente le
grandezze riferite ad alberi si indicano con lettera minuscola.

FORO: con questo termine si intendono convenzionalmente tutti gli elementi interni di un pezzo, anche
non cilindrici, per indicare una parte vuota (ad esempio foro cilindrico). Convenzionalmente le grandezze
riferite ad alberi si indicano con lettera maiuscola.

L’accoppiamento di base è quello: ALBERO-FORO

In tali accoppiamenti si definisce:

Condizione di massimo materiale: Quella condizione in cui l’albero ha il massimo diametro (nell’ambito del
proprio range di variabilità dimensionale) e il foro ha il minimo diametro (idem)

Condizione di minimo materiale: Quella condizione in cui l’albero ha il minimo diametro (nell’ambito del
proprio range di variabilità dimensionale) e il foro ha il massimo diametro (idem)

Accoppiamento con gioco o accoppiamento mobile: Realizzazione di accoppiamento con giuoco tra
l’albero e il supporto. L’accoppiamento risulta sempre di tipo mobile se le tolleranze dei due elementi
soddisfano due condizioni essenziali:

 Le zone di tolleranza albero-foro non risultano sovrapposte


 La zona di tolleranza del foro è sempre superiore a quella dell’albero

Il diametro del foro deve essere maggiore del diametro dell'albero (dF > dA). Questo si verifica quando le
zone di tolleranza albero foro non risultano sovrapposte nemmeno parzialmente e la zona di tolleranza del
foro è sempre superiore a quella dell'albero (tF > tA). La configurazione di massimo gioco corrisponde alla
condizione di minimo materiale. La configurazione di minimo gioco corrisponde alla condizione di massimo
materiale.

Accoppiamento con interferenza: Realizzazione di accoppiamento con interferenza tra l’albero e la ruota.
L’accoppiamento risulta sempre bloccato se le tolleranze dei due elementi soddisfano due condizioni
essenziali:

 Le zone di tolleranza albero-foro non risultano parzialmente sovrapposte


 La zona di tolleranza del foro è sempre inferiore a quella dell’albero

Il diametro del foro deve essere sempre minore del diametro dell'albero (dF < dA). Questa si verifica
quando le zone di tolleranza albero- foro non risultano sovrapposte nemmeno parzialmente e la zona di
tolleranza del foro è sempre inferiore a quella dell'albero (tF < tA). La configurazione di massima
interferenza corrisponde alla condizione di massimo materiale. La condizione di minima interferenza
corrisponde alla condizione di massimo di minimo materiale.

Accoppiamento incerto: In questo caso l’accoppiamento è incerto perché a seconda delle dimensioni
effettive assunte dai due elementi nel montaggio, può verificarsi sia gioco che interferenza tra l’albero e la
ruota. Non è noto a priori se il diametro del foro sia maggiore o minore del diametro dell'albero. Questo si
verifica quando le zone di tolleranza albero- foro risultano parzialmente sovrapposte. Può pertanto
verificarsi sia una condizione di massima interferenza corrispondente alla condizione di massimo materiale
per albero e foro, sia una configurazione di massimo gioco, corrispondente alla condizione di minimo
materiale per albero e foro.

Serie di quote tollerate sullo stesso componente: La quota totale risulta dalla somma delle quote parziali
con le loro tolleranze; questa quota avrà valore minimo quando le quote parziali avranno valore minimo e
valore massimo quando le quote parziali avranno valore massimo.
Catena di quote tollerate su pezzi accoppiati: Le catene di quote determinano i valori massimi e minimi di
giochi ed interferenze, di fondamentale importanza nelle analisi funzionali e di assemblaggio. Spesso, ad
esempio, vanno calcolati i valori delle tolleranze che permettono di mantenere il gioco entro limiti stabiliti.
Lo studio delle catene di quote permette inoltre di specificare le più larghe tolleranze compatibili con la
funzione, di comprendere le dimensioni critiche degli elementi assemblati e stabilire pertanto le giuste
relazioni tra dimensioni, tolleranze e funzione del prodotto.

Albero base: insieme sistematico di accoppiamenti nel quale i diversi giochi ed interferenze sono ottenuti
combinando fori aventi diverse zone di tolleranza con un albero base avente la posizione h. Il sistema
albero base è spesso adottato nella costruzione di trasmissioni, di apparecchi di sollevamento, di macchine
agricole (caso di un unico albero sul quale vengono montati più elementi).

Vantaggi: è richiesta una minore dotazione di calibri per esterni, più costosi di quelli per interni; è facile
reperire barre trafilate già rettificate già pronte e unificate con tolleranza h.

Svantaggi: è necessario lavorare una più estesa gamma di fori, lavorazione più costosa rispetto a quella
degli alberi.

Foro base: insieme sistematico di accoppiamenti nel quale i diversi giochi ed interferenze sono ottenuti
combinando alberi aventi diverse zone di tolleranza con un foro base avente la posizione H. Il sistema foro
base è in genere adottato nelle principali industrie meccaniche (come quella automobilistica) nella
costruzione di macchine utensili e nell’industria aeronautica.

Vantaggi: è richiesto un minor numero di lavorazioni finitura dei fori (costose, sia nel caso vengano eseguite
con alesatori fissi e ancor più qualora vengano eseguite per brocciatura).

Svantaggi: è richiesto un numero maggiore di calibri a forcella per il controllo degli alberi, il costo dei quali
può eventualmente essere ridotto utilizzando calibri registrabili.

COLLEGAMENTI MECCANICI:
 Collegamenti smontabili sono collegamenti temporanei che possono separarsi: Filettature,
Chiavette, linguette, spine, calettamenti
 Collegamenti permanenti nei quali le parti non possono separarsi con semplici operazioni:
Chiodature, Saldature, Incollaggi
 Collegamenti per la trasmissione del moto sono collegamenti necessari per trasferire e per
trasformare moto traslatorio: giunti, ruote dentate, filettature di manovra

METODI D'ESAME

I controlli non distruttivi si suddividono in due famiglie:

 controlli non distruttivi superficiali: danno la possibilità di esaminare i particolari solo a livello


superficiale ed al massimo sottopelle. Con l'applicazione di tali metodi di esame si ha solo la
possibilità di localizzare l'eventuale presenza dei difetti, identificando solo la loro forma ed
estensione, quindi non si riesce a quantificare in modo preciso la profondità del difetto. I metodi di
controllo non distruttivo superficiali sono: esame visivo, esame con liquidi penetranti, esami con
particelle magnetiche.

 controlli non distruttivi volumetrici: al contrario dei metodi superficiali con l'applicazione dei
controlli volumetrici si ha la possibilità di verificare l'integrità nel materiale, purtroppo in alcuni casi
specifici non si riescono ad individuare difettosità superficiali. I metodi di controllo non distruttivo
volumetrici sono: esame radiografico, esame radioscopico, esame ad ultrasuoni.

Dal momento che i metodi di esame volumetrici e superficiali hanno dei limiti, per aumentare l'affidabilità
del controllo è buona norma abbinare una tecnica di controllo volumetrico con una di
controllo superficiale.

LIQUIDI PENETRANTI (PT): prova non distruttiva; sfrutta la capacità di alcuni liquidi di penetrare, per
capillarità all'interno dei difetti superficiali (cricche, cavità, ecc). Dopo l'applicazione e la penetrazione del
liquido (detto appunto penetrante), il liquido penetrante eccedente è rimosso dalla superficie mediante
lavaggio con acqua corrente fredda, che presenta tensione superficiale più elevata e bagnabilità peggiore
rispetto al penetrante, non è in grado di rimuovere lo stesso dalle fessure ove è penetrato per capillarità.
Dopo il lavaggio, sfruttando ancora una volta il principio della capillarità, viene estratto il liquido penetrante
rimasto all'interno delle difettosità; l'operazione viene compiuta stendendo sulla superficie del pezzo uno
strato di polvere bianca di opportuno spessore (rivelatore). Il liquido penetrante "risalito" per capillarità,
lascerà nel rivelatore un segnale avente dimensioni molto maggiori rispetto al difetto che lo ha generato. Il
difetto potrà essere evidenziato o come una macchia di colore rosso (tecnica visibile o a contrasto di
colore) o come macchia fluorescente (tecnica con liquido fluorescente) facilmente rilevabile mediante
irradiazione, al buio, con luce di Wood (luce UVA da 400 a 315 nm, non pericolosa). Nella tecnica visibile (o
a contrasto di colore) l'ispezione viene eseguita in luce bianca con luminosità > 2.000 lux; nella tecnica
fluorescente l'ispezione viene effettuata in un'area oscurata e la superficie viene illuminata per mezzo di
una lampada di Wood (a luce nera) con una emissione luminosa > 6.000 µW/cm² che permette al
penetrante di emettere luce visibile che identifica così le difettosità affioranti.

METODI FERROMAGNETICI: Il controllo non distruttivo per mezzo di particelle magnetiche è un metodo per
la localizzazione di discontinuità sub-superficiali in materiali ferromagnetici. I materiali non ferromagnetici
non possono essere controllati mediante questo metodo: leghe di alluminio, leghe di magnesio, rame e le
sue leghe, titanio e le sue leghe, acciai inossidabili austenitici.
Il test si basa sul fatto che quando l'oggetto da testare è magnetizzato, le discontinuità che si trovano in un
senso generalmente trasversale al campo magnetico determinano una deviazione delle linee di flusso del
campo magnetico stesso.

Una barra di materiale ferromagnetico presenta un polo ad ogni estremità. Le linee di forza del campo
magnetico scorrono attraverso la barra dal polo Sud in direzione del polo Nord. Se la barra viene rotta in
due pezzi tra i due pezzi si crea una fuga di campo magnetico, caratterizzata anch'essa dalla presenza dei
poli Sud e Nord. Questa fuga di campo persiste anche se i due spezzoni di barra vengono riavvicinati.
Ancora, se la barra di materiale ferromagnetico è "criccata" ma non rotta completamente in due, accade
comunque qualcosa di simile. Agli opposti bordi della cricca si formano un polo Nord ed un polo Sud. È
proprio questo campo che attrae le particelle magnetiche che determinano il "profilo" della cricca.
Ovviamente la forza di questi poli sarà differente da quella dei poli ottenuti nel caso della barra
completamente rotta e sarà in funzione della profondità e della larghezza della cricca in superficie.

CORRENTI INDOTTE: Il metodo a correnti indotte è basato sul principio dell'induzione magnetica; quando
una bobina percorsa da corrente alternata genera un campo magnetico primario variabile nel tempo,
questo induce delle correnti indotte (anche dette parassite o di Foucault) nel materiale conduttore da
esaminare, posto in prossimità di essa. Le correnti indotte generate, a loro volta, creano un campo
magnetico secondario che, interagendo con quello primario, determina il valore di impedenza della bobina
induttrice. I valori rilevati possono essere correlati, mediante taratura con campioni di riferimento, all'entità
dei difetti o alle caratteristiche chimico-strutturali (composizione chimica, stato di trattamento termico,
alterazioni strutturali) del materiale oggetto del controllo. Metodo utilizzato per controlli su materiali
magnetici (ma anche conduttori elettrici) per uso aeronautico. L’alterazione rispetto alla mappa originale
misura l’esistenza di anomalie successive alla realizzazione (soprattutto fenomeni di stress e fatica).

IL CONTROLLO AD ULTRASUONI: L'ispezione mediante ultrasuoni è un metodo non distruttivo in cui onde
sonore ad alta frequenza sono introdotte nel materiale da esaminare, allo scopo di evidenziare difetti
superficiali o interni, misurare lo spessore dei materiali, misurare la distanza e la dimensione delle
difettosità.

- Onde ultrasonore
La tecnica si basa essenzialmente sul fenomeno della trasmissione di un'onda acustica nel
materiale. Gli ultrasuoni sono onde elastiche vibrazionali con frequenza compresa tra 1 e 10 MHz
(per certe applicazioni il campo si può estendere dai 20 KHz fino ad oltre 200 MHz).
Le onde ultrasonore sono generate sfruttando le proprietà piezoelettriche di alcuni materiali;
queste proprietà consistono nella capacità di questi materiali di contrarsi e riespandersi quando
sottoposti all'azione di un campo elettrico alternato. Se il campo elettrico alternato possiede
adatta frequenza, le vibrazioni del materiale producono onde elastiche di frequenza ultrasonora. Il
fenomeno è reversibile: in altre parole lo stesso materiale capace di emettere ultrasuoni, può
generare un segnale elettrico se investito da un fascio d'onde elastiche (telefonia).

- Il segnale di partenza degli ultrasuoni (chiamato "eco di partenza") e quello riflesso dalla superficie
opposta a quella d'entrata (chiamato "eco di fondo"), vengono visualizzati sullo schermo dello
strumento con dei picchi, la cui distanza risulta proporzionale al tempo che gli ultrasuoni impiegano
per percorrere il viaggio di andata e di ritorno dalla sonda alla superficie riflettente presente
all'interno del materiale. Se durante tale percorso il fascio ultrasonoro incontra delle discontinuità
sarà riflesso, assorbito, deviato o diffratto secondo le leggi comuni a tutti i fenomeni di
propagazione delle onde e sullo schermo, tra i due precedenti picchi (eco di partenza ed eco di
fondo), ne compariranno altri che rappresentano delle indicazioni relative al tipo di discontinuità
incontrate.

TECNICHE DI CONTROLLO:

TECNICA PER TRASPARENZA

TECNICA PER RIFLESSIONE


consiste nell'individuazione della presenza di una eco dovuta alla riflessione del fascio su un riflettore, eco
che è evidentemente assente se il pezzo esaminato è integro.
METODO RADIOGRAFICO (RT)
Il principio di funzionamento di tali tecniche si basa sulle alterazioni che radiazioni elettromagnetiche
subiscono quando incontrano un difetto nel loro percorso all'interno del materiale. (Tubo a raggi X)

Liquidi penetranti difetti superficiali


meteo di ferromagnetici difetti sub pellicolari materiali ferromagnetici
ultrasuoni difetti interni anche piccoli non sub pellicolari
metodi radiografici difetti interni
COLLEGAMENTI PERMANENTI
Si definiscono permanenti o fissi quei collegamenti che, una volta realizzati, non consentono più la
separazione delle parti. Tra i collegamenti permanenti abbiamo: chiodature, saldature, incollaggi e
collegamenti forzati, cioè collegamenti realizzati grazie alle forze di attrito generate, nel reciproco
accoppiamento, dalle deformazioni plastiche degli elementi da collegare.

CHIODATURE
Consiste nel comprimere i due pezzi da collegare con un chiodo, il bloccaggio deriva dall’attrito generato di
conseguenza fra i pezzi stessi. Il collegamento avviene tramite chiodi, costituiti da un gambo cilindrico con
una testa ad un’estremità, inseriti in fori praticati nei pezzi da unire: una controtesta si ottiene ricalcando a
caldo il tratto di gambo sporgente, gambo sollecitato a trazione.

I chiodi sono costituiti da un gambo cilindrico e una testa, a forma di calotta o tronco di cono. I pezzi
vengono inizialmente FORATI e CIANFRINATI (Cianfrinatura: svasatura della parte esterna del foro per
adeguarlo alla geometria del chiodo). Viene in seguito inserito il cilindro all’interno del foro, per poi
ottenere una controtesta per RICALCAMENTO (operazione di forgiatura dei metalli).

La chiodatura può essere a:

 Caldo: se la deformazione del gambo (il ricalcamento) avviene a temperature elevate. Come nel
caso degli acciai, il gambo lavorato a temperature elevate si deforma, il ritiro del gambo per
raffreddamento determina una compressione al di sopra dei due pezzi e quindi una buona tenuta
verticale (l'attrito tra le lamiere evita il rischio di traslazioni per i vuoti che si possano creare per il
ritiro del metallo)
 Freddo: se si opera a freddo su elementi di acciaio dolce o leghe di alluminio o rame. La formazione
della controtesta non porta ad una compressione rilevante, ma il bloccaggio avviene per l’attrito
generato tra le lamiere e tra chiodo e cavità, ottenendo così una buona tenuta alla traslazione (per
l'attrito generato nella ricalcatura del chiodo sia tra le lamiere che tra chiodo e cavità cilindrica).

Acciai dolci ed extra dolci, duttili … freddo

Acciai temprabili … caldo

Chiodatura a caldo: necessaria per chiodi con diametro del gambo > 8 mm

Chiodatura a freddo: con ribattini

OPERAZIONI CHIODATURA:

 Foratura mediante: Trapanatura (per chiodi di piccole dimensioni); Punzonatura (per lamiere
sottili); Fresatura (per fori di grandi dimensioni, oltre 12-16 mm)
 Cianfrinatura: svasatura della parte esterna del foro per adeguarlo alla geometria del chiodo
 Inserzione chiodo
 Ricalcatura
Chiodi e ribattini (Chiodo da ribattere, di piccole dimensioni, a testa piana, troncoconica o semisferica,
usato per collegare in modo stabile elementi metallici) sono definiti dalla forma, dal diametro e lunghezza.
Quest’ultima dipende dallo spessore dei pezzi da collegare e dalla RIBADITURA (ricalcamento dei chiodi) se
piana o svasata. Nel primo caso L=1.1S+1.5d (S=spessore d=diametro), nel secondo L=1.1S+0.6d.

Il diametro è misurato a 5mm dalla testa. Esiste una stretta relazione tra questo, lo spessore dei pezzi e la
distanza tra le file di chiodi. Infatti è spesso necessario avere un numero elevato di chiodi per garantire una
migliore ripartizione degli sforzi e pressione omogenea lungo i pezzi.

Durante la progettazione bisogna anche scegliere il tipo di giunzione: sovrapposizione semplice, a


coprigiunto semplice o coprigiunto doppio.

RIVETTATURA: il collegamento avviene tramite i rivetti, costituiti da un gambo cilindrico con una testa ed
un’estremità, inseriti in fori praticati nei pezzi da unire: una controtesta si ottiene ricalcando a freddo il
tratto di gambo sporgente, gambo sollecitato a taglio.

Quando le chiodature devono assicurare una tenuta a fluidi in pressione, oltre all’impiego dei chiodi (di
piccole dimensioni) sono utilizzati dei rivetti tubolari o ciechi, ossia dei ribattini di forme particolari.

 Rivetti tubolari: sono ribattini con l’estremità del gambo alleggerita da un foro assiale o da una
biforcazione, facilitando la formazione di una controtesta; talvolta è previsto anche un contro
rivetto da inserire a pressione nella cavità.
 Rivetti ciechi: ribattini che permettono la creazione della controtesta operando dal lato della testa
con opportuni sistemi. Uno dei metodi è l’impiego di rivetti tubolari a strappo (ossia che alla
conclusione dell’operazione si stacchino), attraverso il foro longitudinale è possibile esercitare una
trazione verso la testa deformando così l’estremità. In altri casi si inserisce una spina in grado di
divaricare l’estremità. Per entrambi i casi descritti non è assicurata una tenuta stagna, è spesso
quindi necessario operare una sigillatura.

Un terzo caso sono i rivetti esplosivi, nella cui estremità cava è contenuta una piccola quantità di sostanza
che possono provocare l’esplosione che deforma l’estremità stessa. (immagine 2)

Fasi di montaggio rivetti ciechi


1-2 3-4

SALDATURE
La saldatura è un processo tecnologico che consente la giunzione di due o più parti, generalmente
metalliche, realizzandone la continuità mediante la parziale fusione in prossimità della giunzione,
attraverso un riscaldamento localizzato, la cui energia termica può essere di natura chimica o elettrica. Tale
funzione può avvenire direttamente tra le parti o con l'aggiunta di un altro materiale detto materiale
d'apporto. L'eventuale metallo d'apporto può essere lo stesso delle parti da saldare o diverso.

I processi di saldatura si dividono in 2 grandi categorie:

o Saldatura eterogena o brasatura: ottenuta per fusione del metallo d’apporto, diverso dal metallo
base.
o Saldature autogene: eseguibile con o senza metallo di apporto, il metallo che viene portato a
fusione è il medesimo metallo delle parti da congiungere

SALDATURE AUTOGENE

Le saldature autogene a loro volta si dividono in Saldature per Fusione e Saldature per pressione (tra cui
quelle a resistenza).

SALDATURE PER FUSIONE: La saldatura è ottenuta per mezzo di una fusione localizzata dei lembi delle parti
da saldare. Se l’energia termica è ottenuta per mezzo della combustione di un gas combustibile combinato
con l’ossigeno (comburente), si ottiene la Saldatura a Gas. Quando invece l’energia è ottenuta da un arco
elettrico innescato fra un elettrodo ed il metallo base delle parti da saldare, si ha la Saldatura ad Arco.

A causa delle elevate temperature raggiunte e del successivo rapido raffreddamento, si creano tensioni
dovute alla contrazione e alterazioni strutturali nel metallo (come accade ad esempio negli acciai), a ciò si
rimedia con dei nuovi riscaldamenti e raffreddamenti lenti.

1) SALDATURA A GAS: Può essere Ossiacetilenica, se il gas impiegato è l’acetilene C2H2, o ossidrica, se il
gas combustibile è l’idrogeno H2. La fiamma ossidrica ha una temperatura più bassa rispetto alla
ossiacetilenica. Nel caso di quest’ultima il calore necessario è generato dalla reazione chimica di
dissociazione dell’acetilene in monossido di carbonio e idrogeno e la successiva combustione che genera
anidride carbonica, vapore d’acqua e calore.
Fiamma ossiacetilenica
C2H2 + 5/2 O2 = 2CO2 + H2O
Fiamma ossidrica
H2 + 1/2 O2 = H2O
L’attrezzatura si compone di due bombole, una per il gas combustibile e una per l’ossigeno, dotate di
valvole per regolarne la pressione. Queste si collegano al cannello attraverso dei tubi flessibili; il cannello ha
la funzione di miscelare i gas, nel miscelatore, e di regolare e orientare la fiamma, mediante apposite
valvole.

2) SALDATURA AD ARCO: È il procedimento più diffuso. L’arco, tra l’elettrodo e il pezzo di metallo base
da saldare, produce temperature molto più elevate delle saldature a gas.
Nella saldatura manuale l’elettrodo è afferrato da una pinza ed è collegato ad uno dei poli del
generatore di corrente. Il circuito si chiude con un morsetto posto sulla parte metallica da saldare,
collegato al secondo polo del generatore.
Gli elettrodi comunemente in uso sono barrette di materiale simile al metallo base, rivestite da una
guaina di metallo meno fusibile.
Le funzioni del rivestimento dell’elettrodo sono:
 Sviluppare gas che proteggono da ossidazione
 Sviluppare ionizzanti per condurre corrente elettrica e stabilizzare l’arco
 Apportare elementi che migliorano le caratteristiche del giunto ed abbassano leggermente la
temperatura di fusione
 Formazione di scoria fusa che protegge il giunto

SALDATURE PER PRESSIONE (A RESISTENZA): È un processo in cui il calore è sviluppato per effetto Joule
dalla resistenza elettrica delle parti da saldare, attraversate da corrente elettrica ad alta intensità. Questo
permette di raggiungere la temperatura di fusione nelle parti da saldare che vengono unite applicando
un’opportuna pressione.

 Saldatura a punti: Due elettrodi in rame vengono premuti contro le parti da saldare, il
calore generato per effetto Joule provoca la fusione in un punto detto nocciolo, la cui
successiva solidificazione sotto la pressione applicata dai due elettrodi porta alla
formazione di un punto di saldatura.

 Saldatura a rulli: Viene eseguita con lo stesso principio della saldatura a punti (a resistenza)
e con la corrente che viene alimentata in modo discontinuo. È utile per lamiere piane sottili
di lunghezza elevata.

Gli elettrodi quindi sono dei rulli compressori


 Saldatura di testa a resistenza pura: È impiegata per la saldatura di testa di pezzi cilindrici e
tubi e si svolge secondo queste fasi (vedi figura):
1. I pezzi sono serrati su morsetti collegati al circuito elettrico della saldatrice;
2. Accostando i pezzi, il circuito elettrico si chiude e le zone dei pezzi prossime alle superfici di
contatto si surriscaldano fino alla fusione per effetto Joule;
3. A questo punto i pezzi vengono compressi l'uno contro l'altro fino ad ottenerne la saldatura.

Tra le saldature a pressione ci sono anche:

 Saldatura ad ultrasuoni: avviene applicando ai pezzi da saldare un carico e mettendo in vibrazione


una parte rispetto all’altra mediante il gruppo vibrante che avvia il sonotrodo (componente che
trasmette vibrazioni alle parti da saldare), quest’ultimo genera attrito tra le parti mediante una
vibrazione con frequenza ultrasonora.
 Saldatura alluminotermica: sfrutta il calore prodotto durante la reazione di ossidazione
dell'alluminio metallico in presenza di ossido ferrico (Fe2O3).
La miscela così ottenuta (termite) viene posta all'interno di un crogiolo ed innescata mediante
rapido riscaldamento, uno dei metodi utilizzabili è la combustione con magnesio metallico (Mg).
 Saldatura al Plasma: Il plasma, spesso definito il quarto stato della materia, è un gas ionizzato; si
ottiene riscaldando un gas a temperature molto alte; gli atomi del gas si scindono in ioni che sono
dotati di cariche elettriche positive e negative.
Gli elettroni liberi in moto disordinato producono una enorme quantità di calore, che può essere
sfruttata per la saldatura di tutti i materiali
 Saldatura Laser: Sfrutta il medesimo sistema della saldatura al plasma sfruttando però l’energia del
laser (luce coerente e monocromatica ad alta intensità).

SALDATURE ETEROGENE

Sono i processi di saldatura nei quali l'unione fra le parti ottenuta soltanto operazione del metallo
d’apporto, avente una temperatura di fusione più bassa del materiale del metallo base, che viene
depositato allo stato fuso fra le parti da collegare. L'operazione viene eseguita senza che i bordi delle parti
da saldare arrivino al punto di fusione.

Brasatura: In questo processo i lembi sono accostati in modo tale che siano distanti pochi centesimi di
millimetro, così da sfruttare, per la bagnatura dei lembi, l’azione capillare del metallo d’apporto fuso (basso
fondente). L’unione si realizza con la solidificazione di quest’ultimo, senza formazione di leghe. (a resistenza
elettrica, con saldatore ad induzione, in forno)

Saldobrasatura: Viene così chiamata perché il procedimento di esecuzione è simile a quello della saldatura
autogena. Occorre la stessa preparazione dei lembi, il materiale d’apporto viene depositato per passate
successive. (a fiamma ossiacetilenica, ad arco)

Una saldatura viene di solito caratterizzata da:

a) Tipo di giunto saldato


b) Forma della saldatura o cordone
c) Dimensioni del cordone
d) Processo utilizzato
Precedentemente alla saldatura vera e propria, i lembi (bordi delle parti da saldare)
devono essere preparati, ossia devono essere lavorati in modo da conferire loro la
forma geometrica più idonea all’esecuzione. Le forme e dimensioni sono 25 e si
trovano all’interno del codice di pratica UNI.

Il giunto è la zona in cui si realizza la saldatura, si possono avere


diversi tipi di giunto a seconda del numero di elementi che vi
concorrono e alla loro reciproca posizione.

Per quanto riguarda la forma della saldatura questa può essere:


piana, convessa o concava U (vedi figura)

E infine le saldature si possono dividere in:

a) Saldature continue: quando il cordone non presenta interruzioni


su tutta la lunghezza della linea di collegamento
b) Saldature interrotte: quado la saldatura è costituita da tratti di
cordone intervallati uniformemente da tratti non saldati.
Rappresentazione delle saldature
Le saldature possono essere rappresentate graficamente applicando
le regole del disegno tecnico, indicandole con una opportuna
designazione. In riferimento alla figura 30 se il segno grafico è posto
sulla linea di riferimento continua, la saldatura è sul lato freccia del giunto; se il segno grafico è sulla linea di
riferimento a tratti, la saldatura è sul lato opposto alla linea di freccia del giunto.
Questa rappresentazione schematica comprende:

INCOLLAGGI

Un terzo tipo di collegamento stabile può essere ottenuto per mezzo di adesivi interposti fra le parti da
collegare. Questo permette dei vantaggi: la possibilità di unire metalli e altri materiali che tra loro non
potrebbero essere saldati, o unire metalli che subirebbero alterazioni nel riscaldamento.
L’ancoraggio del materiale legante sulle superfici, ben pulite, dei pezzi, realizza una continuità strutturale
con azioni fisico-chimiche che ne garantiscono la resistenza, dovuta soprattutto alla coesione fra le
molecole del collante. Dovendo incollare per sovrapposizione delle lamiere è opportuno smussare le
estremità, per evitare un effetto di facilitazione dello “strappo”. È ovviamente opportuno sagomare le
superfici affinché si abbia una maggiore resistenza.

COLLEGAMENTI SMONTABILI NON FILETTATI

Unione di parti meccaniche mediante elementi che possano essere rimossi in caso di necessità senza
alterazione né delle parti collegate né degli stessi. Il collegamento fra due o più parti può essere necessario
per evitare rotazioni, traslazioni, sicurezza ecc. Uno dei problemi più frequenti da risolvere è il
collegamento albero-mozzo, di una puleggia o ruota dentata, in modo che possano ruotare solidamente.

CHIAVETTE E LINGUETTE

Il collegamento tra l’albero e il mozzo può essere rinforzato tramite l’utilizzo di una chiavetta o linguetta. Si
tratta di elementi simili nella forma ma funzionanti in maniera diversa.

Chiavetta: UNI 6607-6608-7511-7512-7515 prismi a sezione rettangolare a larghezza costante e spessore


decrescente (Inclinazione di 1:100) da un’estremità all’altra, che vengono incastrate per circa metà del loro
spessore nel mozzo e per l’altra metà nell’albero, in apposite scanalature dette cave.

La chiavetta si comporta come un cuneo, che inserito forzatamente tende ad allontanare l’albero ed il
mozzo, che sono tra loro fortemente premuti nella zona diametralmente opposta. Si realizza così un
forzamento e la trasmissione del moto avviene per attrito statico nella zona di contatto. Le deformazioni
indotte dalla chiavetta possono causare un’eccentricità, è per questo sconsigliato utilizzarle se devono
essere raggiunte elevate velocità di rotazione. Nel caso in cui si utilizzino due chiavette, è preferibile non
porle a 180°, ma a 90° o 120°, per evitare l’indebolimento della sezione dell’albero e l’ovalizzazione del
mozzo.

Esistono 3 tipi di chiavette normalizzate:

1. CHIAVETTE, dette talora INCASSATE, diritte o arrotondate (a seconda delle estremità), per il cui
alloggiamento sono previste cave nel mozzo e nell’albero. La profondità della cava nel mozzo è
circa la metà di quella nell’albero.
2. CHIAVETTE RIBASSATE, di tipo B (diritte) o A (arrotondate), per cui la cava è solo nel mozzo, mentre
l’appoggio sull’albero è una semplice spianatura
3. CHIAVETTE RIBASSATE CONCAVE la cui faccia inferiore presenta una concavità in senso trasversale,
quindi ancora la cava è solo nel mozzo ed è semplicemente appoggiata sull’albero.

Per chiavette di tipo A, le cave hanno circa il doppio della loro lunghezza; per le chiavette di tipo B le cave
ripetono la forma della stessa. Le chiavette sono definite nelle norme in funzione del diametro dell’albero in
cui vengono poste e l’indicazione si fa mediante forma, larghezza, altezza, lunghezza e riferimento alla
norma. Es. chiavetta A-b*h*l UNI 66077

Le chiavette possono avere un nasello, cioè un rialzo all’estremità di spessore maggiore, in grado di fornire
un appoggio per rimuovere la chiavetta. Nel caso di facilità d’accesso ed elevate velocità, è opportuno
ricoprire la chiavetta con un anello di protezione, per motivi infortunistici.

Chiavette tangenziali sono un particolare tipo di collegamento usato per trasmettere alte potenze a basse
velocità, sono costituite da una coppia di chiavette montate a 120° fra loro. Le due chiavette vengono
inserite in verso opposto a contatto fra loro sulle superfici inclinate; il forzamento reciproco esercita una
spinta in direzione tangenziale alla superficie di contatto albero-mozzo. È infatti un collegamento utilizzato
per bloccare sia la rotazione che la traslazione tra le parti.

Chiavette trasversali: Un bloccaggio ottenibile contro la traslazione e rotazione reciproca dei pezzi è
ottenibile con le chiavette trasversali o biette, inserite in scanalatura normali all’asse dei pezzi.

Linguette: UNI 6604-6606-7510 sono simili alle chiavette, ma hanno tutte le facce parallele, cioè sezione
costante. Anche per queste si hanno le forme di tipo B, diritta, A, Arrotondata, e C, mista, nonché le stesse
forme delle cave.
Diverso è il modo in cui viene trasmesso il momento torcente, anziché per attrito il movimento è trasmesso
attraverso una spinta dato dal fianco della cava dell’albero al fianco della cava del mozzo tramite la
linguetta, che quindi viene assoggettata ad una forza di taglio. Sui fianchi dovrà essere montata con
accoppiamento preciso mentre può prevedere un certo gioco in direzione radiale. Se è necessario il
montaggio di due linguette queste dovranno essere poste a 180°, per una migliore equilibratura.

Si noti che a causa del mancato forzamento, le linguette non offrano nessun ostacolo al movimento assiale,
spesso vengono proprio per questo utilizzate, per consentire la rotazione anche con diverse posizioni assiali
del mozzo relativamente all’albero, quindi per un arresto bisogna utilizzare altri elementi costruttivi. Per
bloccarle possono eventualmente essere previsti fori che ne consentono il fissaggio sull’albero mediante
viti.

*Le linguette sono di gran lunga più utilizzate delle chiavette perché, non essendovi forzamento, non
causano eccentricità e quindi possono essere usate anche per velocità elevate.

Linguette a disco: dette anche linguette americane (Woodruff), sono costituite da un elemento
semicircolare che si colloca nell’albero in una cava anch’essa semicircolare longitudinalmente, mentre nella
cava del mozzo è del tipo consueto. Queste linguette non sono adatte a trasmettere forti momenti torcenti,
ma rendono facili i montaggi in quanto possono assumere inclinazioni variabili e sono relativamente meno
costose. Per contro la cava può indebolire l’albero, che quindi non può essere molto sollecitato.

Accoppiamenti Scanalati
Per alberi troppo piccoli o che devono trasmettere momenti torcenti elevati è consigliabile non usare le
linguette, perché potrebbero indebolire troppo l’albero, per eccessiva profondità della cava rispetto al
diametro, nel primo caso, e per numero di linguette troppo elevato, per ripartire il carico, nel secondo. Si
usano gli alberi scanalati: essi possono essere considerati alberi recanti un certo numero di linguette di
pezzo con essi, per cui la parte sporgente viene utilizzata per trasmettere forza e movimento alle
corrispondenti scanalature applicate nel mozzo. L’albero è detto Scanalato Esterno, il mozzo Scanalato
Interno.

Esistono diversi profili per le scanalature, divise in:

1. SCANALATURE A FIANCHI PARALLELI: dette anche a denti dritti, sono formati da un certo numero di
sporgenze (sull'albero) e di cave (nel mozzo) longitudinali diritte, a sezione rettangolare. Tra queste
scanalature sono normalizzate solo quelle a centraggio interno, ossia l’accoppiamento viene
centrato sulla superficie interna, il cui diametro d è l’elemento per la definizione
dell’accoppiamento.
2. SCANALATURE AD EVOLVENTE: costruite in modo analogo alle dentature degli ingranaggi, non sono
normalizzate. Queste realizzano un ottimo centraggio sui fianchi, consentendo quindi di
raggiungere elevate velocità di rotazione. Possono essere distinte per fondo raccordato o piatto, a
seconda che il raccordo fra i fianchi avvenga con un unico raggio di raccordi o un tratto con due
raccordi alle estremità
a. con fondo piatto, il raggio di raccordo della scanalatura interna ed esterna sono uguali.
b. Con fondo raccordato, il raggio di raccordo esterno ed interno sono diversi.

Anelli di sicurezza e arresto


Utili ad impedire lo spostamento assiale relativo tra i due pezzi. Si tratta di anelli elastici, costituiti da anelli
in acciaio per molle, aperti per un breve tratto della circonferenza, con diametro leggermente inferiore di
quello dell’albero su cui verranno collocati, in questo modo subiranno nel momento del montaggio una
deformazione elastica che ne consentirà il bloccaggio nella sede. Nel caso in cui si tratti di anelli destinati al
montaggio entro fori, il diametro esterno dell’anello sarà maggiore del diametro della sede.
Il tipo più comune è il Seeger, a sezione rettangolare, leggermente maggiore nella zona diametralmente
opposta a quella di taglio, dove si ha la maggiore sollecitazione di flessione conseguente alla deformazione
dell'anello, con appositi appoggi per pinze destinate a divaricare gli anelli per alberi, o a restringere quelli
per fori, per facilitarne montaggio e smontaggio.

Copiglie: impiegate come collegamenti per piccoli sforzi, ma soprattutto come dispositivi di arresto, in parte
già viste parlando di dispositivi anti svitamento dove sono trattate insieme ai dati ad intagli di cui
impediscono la rotazione rispetto alla vite. Utilizzate per arresti particolari, come il bloccaggio di estintori,
bloccano la posizione dell’elemento.

Spine
Sono definiti perni degli elementi cilindrici costituenti particolari di macchine, con funzione di fulcro per
parti rotanti, di arresto, di centraggio, di collegamento: per questi ultimi compiti si preferisce parlare di
spine che però, oltre ad essere costruite in materiali particolari come acciai duri od acciai per molle,
possono anche avere forma conica od essere deformabili. L’uso differenzia tali elementi. Le spine possono
essere classificate per scopo (collegamento o riferimento) oppure per forma (cilindriche, coniche,
elastiche). Le spine cilindriche possono essere usate come perni per cerniere, come blocco per limitare
scorrimenti o rotazioni. Le spine di riferimento assicurano il posizionamento reciproco dei particolari
collegati.
Conicità tipica d 1:50 riferita al diametro minore
COLLEGAMENTI FILETTATI
Si dice filettatura un risalto a sezione costante (filetto), avvolto ad elica sulla superficie esterna di un
elemento, cilindrico o conico che prende il nome di vite, o sulla superficie interna di un elemento analogo,
che prende il nome di madrevite. Gli elementi filettati assolvono due funzioni importanti: come organi di
collegamento, accoppiamento dei due elementi (vite e madrevite) per parti facilmente smontabili; come
organi di trasmissione, il collegamento utilizzato per ottenere un accoppiamento elicoidale tale che la
rotazione di uno dei due elementi provochi la traslazione dell'altro (viti di manovra).

Sia dal punto di vista geometrico che costruttivo l'elemento fondamentale di una filettatura è l'elica, curva
descritta da un punto che si muove animato da due moti uniformi simultanei, uno circolare ed uno
rettilineo. La distanza tra due spire consecutive costituisce il passo dell’elica. La figura risultante
dall'intersezione del filetto (superficie elicoidale generata da un profilo piano) con un semipiano avente per
origine l'asse della filettatura è detta profilo della filettatura: si distingue il profilo base che è quello che
caratterizza la filettatura, il profilo nominale che può differire dal precedente per stroncature e
arrotondamenti, e il profilo di esecuzione che è quello effettivamente realizzato in pratica a causa delle
inevitabili imperfezioni costruttive. L'angolo al vertice del triangolo generatore prende il nome di angolo del
filetto. Cresta e fondo del filetto congiungono rispettivamente i due fianchi di un filetto e i fianchi di due
filetti contigui. L'asse del filetto è la retta perpendicolare all'asse della filettatura. Il passo è la distanza tra
due creste successive ed è proporzionale all'altezza del filetto.

 Diametro esterno: è il diametro misurato sulla cresta del filetto della vite o sul fondo del
filetto della madrevite
 diametro di nocciolo: è il diametro misurato sul fondo del filetto della vite o sulla cresta dei
filetti della madrevite
 diametro di inizio del raccordo: per la vite è misurato in corrispondenza del punto del
profilo ove il fianco rettilineo si unisce al raccordo sul fondo
 diametro medio: è il diametro misurato sulla linea media

Normalmente le filettature impiegate per gli organi di collegamento sono destre.

Filettature di collegamento:

- METRICHE: i profili ideali di vite e madrevite coincidono e sono costituiti da un profilo triangolare


con angolo al vertice di 60°; mm

- WHITWORTH: Le dimensioni sono a diametro nominale esterno della vite, in analogia


alla filettatura metrica ISO, ma sono espresse in pollici e frazioni di pollice; fondo e cresta del filetto
sono arrotondati sia nella vita che nella madrevite. A parità di diametro, il passo whitworth è
maggiore del passo grosso ISO. Si usano per applicazioni meccaniche.

- GAS: si applica nei collegamenti per turbazioni e apparecchiature adibite al convogliamento dei
fluidi. Vi sono filettature per turbazioni non a tenuta stagna sul filetto e per tubi a tenuta stagna sul
filetto: nel primo caso il collegamento avviene con vite madrevite e cilindrica; nel secondo caso la
tenuta stagna sul filetto si ottiene invece con l'accoppiamento di una vite conica in una madrevite
cilindrica o conica.

- TRAPEZOIDALI: sono utilizzate per viti di manovra cioè quando, ruotando la vite o la madrevite, si
vuole ottenere uno spostamento reciproco di due organi meccanici, soprattutto per viti di
trasmissione di carichi di notevole entità.

- A DENTE DI SEGA: il profilo a dente di sega, cioè a trapezio asimmetrico viene usato nei
collegamenti filettati tra tubi sottili soggetti a sforzi relativamente intensi nel solo senso assiale. Le
filettature con denti di sega hanno angolo di 30°

- PER VITI DA LEGNO (PARKER): la filettatura viene realizzata su un gambo conico con filetto
relativamente piccolo rispetto al passo; questa caratteristica crea una forte resistenza allo
svitamento.

- EDISON: di forma cilindrica filettata, per attacchi di lampade.

Lavorazione delle filettature: il tipo di procedimento da utilizzare dipende dal numero di pezzi da produrre
e dalla precisione richiesta; si possono utilizzare due tecniche differenti: lavorazione per deformazione
plastica a freddo o rullatura, adottata per grosse produzioni; lavorazione per asportazione di truciolo.

 RULLATURA: si tratta di un processo di coniatura a freddo su apposite macchine a ciclo automatico


dette rullatrici che permettono di eseguire delle filettature esterne con elevata produttività. Uno
dei due cuscinetti è fisso, ed è montato con una leggera inclinazione per provocare la penetrazione
del pezzo; Il secondo cuscinetto è invece dotato di movimento di taglio alternativo. Grazie
all'incrudimento del materiale, il filetto diventa più resistente all'usura ed ai fenomeni di fatica,
anche in considerazione del fatto che le fibre esterne del materiale sono compattate non tagliate.
 ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO può essere seguita attraverso l'impiego di maschi e filiere, pressatura
di filetti, filettatura al tornio. Nella filettatura al tornio si ha sostanzialmente un'operazione di
tornitura nella quale l'avanzamento per giro corrisponde al passo della filettatura e la punta
dell'utensile è sagomata con un profilo corrispondente a quello del filetto. Questa filettatura non
viene mai eseguita in una sola passata e quindi l'utensile deve ripetere lo stesso percorso delle
passate precedenti.
ORGANI DI COLLEGAMENTO FILETTATI
I più comuni sono le viti, i dadi e i bulloni.

1. Vite: è un elemento costruttivo meccanico costituito da un gambo cilindrico, filettato in tutto od in


parte, recante ad ogni estremità un ingrossamento, detto testa, di forma opportuna per consentire
l'applicazione di un attrezzo mediante il quale si possa far ruotare la vite, impegnandola in uno
specifico organo di collegamento, il dado
2. Dado: costituito da un prima esagonale o quadrato con foro centrale filettato
3. Bullone: insieme di vite (vite) e dado (madrevite)

Quindi il collegamento è ottenibile con il bullone, comprimendo i pezzi da collegare tra la testa della vite e il
dado.

Affinché sia possibile estrarre i bulloni/viti devono essere adottate delle dimensioni minime, e se possibile
rispettare la tabella delle dimensioni caratteristiche.

La mancanza della testa, viti senza testa o grani, consente la scomparsa delle viti nei fori. Sono senza testa
anche le cosiddette viti prigioniere cilindri filettati da entrambe le parti, una delle quali detta radice viene
avvitata a fondo, mentre il gambo rimane sporgente consentendo il bloccaggio con un dado. In generale la
vite è definita da tre elementi normalizzati: la testa, il gambo filettato e l’estremità; dalle combinazioni di
questi elementi nascono numerosissimi tipi di viti.
Rosette: sono elementi cilindrici piatti forati posti fra il dado ed il pezzo da serrare, allo scopo di aumentare
la superficie d'appoggio, proteggere il materiale in caso di frequenti svuotamenti ed in particolare i casi
svolgere funzioni di tenuta o bloccaggio.

Rappresentazione dadi e viti: Nella rappresentazione semplificata si evita di riportare i raccordi sul dado.
Per la rappresentazione della vite si fa riferimento alle norme per gli organi filettati.

In una filettatura si generano forze elementari di accoppiamento tra le superfici delle filettature tra vite e
madrevite dFn perpendicolari alle superfici e forze di attrito ad esse conseguenti dFf parallele alle superfici
delle filettature.

I COLLEGAMENTI PER LA TRASMISSIONE DEL MOTO


Sono collegamenti necessari per trasferire e per trasformare moto (energia cinetica/coppia) traslatorio o
rotatorio tra assi incidenti/non, con/senza rapporto di riduzione

La trasmissione del moto avviene fra un organo motore detto conduttore ed un organo mosso o condotto.
Si può avere la necessità di trasformare un moto rotatorio in rettilineo, un moto rotatorio continuo in un
moto rotatorio intermittente. La trasmissione risulta più regolare sicura se si fa uso di ruote dentate,
portanti cioè sulla loro superficie cilindrica una serie di sporgenze equidistanti (denti).

TRASMISSIONE DEL MOTO con ORGANI FLESSIBILI: quando gli alberi sono posti ad una distanza tale che non
risulti conveniente, per motivi tecnici ed economici, fare uso di ingranaggi, la trasmissione del moto
effettuata mediante organi flessibili quali cinghie e catene. Le cinghie trasmettono il movimento per attrito
su pulegge calettate sugli alberi.

 CINGHIE PIATTE: Utilizzate per trasmissioni di potenza bassa con poca variabilità del regime del
motore e basse velocità. Consentono lo slittamento, non sono rumorose, non richiedono
lubrificazione. Unico svantaggio è lo sfasamento elevato.
 CINGHIE TRAPEZOIDALI: utilizzate per trasmissioni di potenza elevata, variabilità del regime del
motore, elevate velocità. Si possono accoppiare un numero elevato di cinghie. Consentono lo
slittamento, non sono rumorose, non richiedono lubrificazione. Unico svantaggio lo sfasamento.
 CINGHIE DENTATE: utilizzate per potenze non elevate, trasmissioni sincrone. L’unico reale
vantaggio è la possibilità di trasmissioni sincrone (ad esempio il comando della distribuzione nei
motori) e di comandare più elementi con 1 sola cinghia. Due ruote per ingranare fra loro, devono
logicamente avere lo stesso passo e quindi lo stesso modulo, cioè il parametro di
proporzionamento delle dentature definito come il rapporto fra diametro primitivo e numero di
denti.
 CATENE: utilizzate per potenze e coppie elevate, trasmissioni sincrone, velocità anche molto basse.
Sino ad anche 4 – 6 catene in parallelo. Tra gli svantaggi rumorosità – lubrificazione

Moto rotatorio in moto traslatorio e viceversa (Sistema biella/manovella, Vite a circolazione, Croce di
malta: trasforma un moto rotatorio continuo in un moto intermittente)

Trasmissioni ad assi: Coassiali, Paralleli, Concorrenti, Qualsiasi

Dati due assi, muniti di apposite ruote per trasmettere il moto a velocità angolare w, imponendo che la
velocità tangenziale (v) nel punto di contatto sia la stessa si ricava il rapporto di trasmissione (t), che
definisce la relazione fra il numero di giri (n) della ruota conduttrice (motrice) e quello (n’) della condotta
(mossa)

TRASMISSIONE DEL MOTO CON GIUNTI: Nei casi in cui si debba trasmettere moto e coppia di alberi
coassiali o incidenti con rapporto di trasmissione unitario si fa utilizzo di “giunti” classificati come segue:

 Giunti rigidi: I giunti rigidi snodati permettono la trasmissione di elevate coppie/potenze tra assi
paralleli, allineati o incidenti. (es. giunto cardanico, giunto omocinetico, innesto a denti, giunto a
gusci, giunto a dischi)

 Giunti elastici: I giunti elastici permettono la trasmissione di coppie/potenze, anche elevate tra assi
allineati e vengono utilizzati in tutte le applicazioni in cui non è necessario garantire la perfetta
sincronia degli assi mentre è necessario attenuare le vibrazioni nel trasferimento del moto. (es.
giunto a manicotto, giunto ad anelli, giunto sellers)

 Giunti a Frizione (ad attrito): I giunti a frizione permettono la trasmissione di coppie/potenze,


anche elevate tra assi allineati e vengono utilizzati in tutte le applicazioni in cui vi è la necessità di
un innesto graduale del movimento (per evitare brusche accelerazioni angolari) e dell’esistenza di
un “fusibile” meccanico in caso di malfunzionamenti (si brucia la frizione ma non si rompono le parti
rotanti); il trasferimento del moto avviene per attrito. (es. frizione ad innesto piano, ad innesto
conico, ad innesto centrifugo)

 Giunti oleodinamici: Vengono utilizzati in quei particolari casi in cui si vuole un rapporto di
trasmissione minore di 1

ORGANI RIGIDI: Si definisce ingranaggio una coppia dentata che trasferisce il moto rotatorio da un albero
all'altro per effetto dei denti successivamente a contatto. Le ruote dentate che possono essere classificate in
base agli assi e ai denti. Se consideriamo gli assi, i vari ingranaggi vengono distinti in: ingranaggi ad assi
paralleli, ingranaggi ad assi concorrenti, ingranaggi sghembi.

In base alla dentatura, intendendo per dente ciascuno degli elementi sporgenti di una ruota atti ad
assicurare per contatto con i denti di un'altra ruota il trascinamento di una da parte dell'altra, gli ingranaggi
possono essere a dentatura diritta, elicoidale, bielicoidale (inventata da Andrè Citroen). Gli ingranaggi si
definiscono a denti diritti se le direttrici dei fianchi dei denti sono rette generatrici della superficie cilindrica
primitiva; elicoidali, invece, quegli ingranaggi in cui le direttrici dei profili dei denti sono eliche.
CUSCINETTI DI STRISCIAMENTO E VOLVENTI
Gli assi e gli alberi sono elementi di forma allungata, a sezione fondamentalmente circolare e sono, insieme
ai cuscinetti, tra gli elementi di macchine più comuni; i primi si utilizzano quando le sollecitazioni sono
esclusivamente, o quasi, di flessione (per esempio assi di vagoni ferroviari), gli alberi quando le
sollecitazioni sono esclusivamente, o quasi, di torsione (per esempio alberi di trasmissione). Nel caso di
elementi cilindrici molto corti rispetto al diametro si parla invece di perni. Prendono questo nome anche le
estremità, di diametro normalmente ridotto, con le quali l’albero (o l’asse) termina e trova appoggio nei
relativi supporti di estremità.

I supporti sostengono l’albero in due o più punti. La struttura dei supporti può essere molto varia: alcuni di
essi fanno parte dell’incastellatura di una macchina; altri sono isolati e vengono fissati a pareti, piastre, ecc.
secondo le necessità e la loro funzione. Malgrado le differenze strutturali i diversi tipi di supporto hanno
tutti un problema comune: sostenere adeguatamente l’albero rotante mantenendo l’attrito entro limiti
accettabili.

CUSCINETTO

Il cuscinetto è un meccanismo utilizzato per ridurre l'attrito tra due oggetti in movimento rotatorio o
lineare tra loro. La parte interna del supporto, cioè quella che si trova a contatto con l’albero, è di regola
costituita da un cuscinetto.

Principio di funzionamento del cuscinetto: inserire un elemento intermedio tra organi aventi velocità
relativa non nulla (supporto – albero) al fine di ridurre l’attrito.

In base al tipo di attrito i cuscinetti possono essere classificati in:

Cuscinetti di strisciamento: devono il loro funzionamento alla pellicola di lubrificante che si frappone tra il
supporto fisso e il perno rotante, sostenendolo. Sono strumenti meccanici atti a ridurre l'attrito di
rotazione. Sono costituiti da due elementi cilindrici coassiali, uno dei quali solidale con il corpo del supporto
e l'altro con l'asse del corpo in movimento. Le dimensioni di un cuscinetto sono unificate e vengono
ricavate da tabelle (cataloghi delle ditte costruttrici) sulla base del diametro interno d. A seconda della
direzione prevalente del carico che un cuscinetto è in grado di sopportare si hanno: Cuscinetti radiali (o
portanti), Cuscinetti assiali (o di spinta), Cuscinetti misti (o obliqui). I cuscinetti a strisciamento sono
classificabili: a seconda del carico (portanti e spingenti), a seconda della fabbricazione (in un solo materiale
o rivestiti), a seconda del montaggio (in un solo pezzo o cuscinetti in due metà)
Cuscinetti di rotolamento (o volventi): il movimento è facilitato dall'interposizione tra parte fissa e perno di
elementi volventi (sfere o rulli). Sono costituiti da due anelli, esterno, da alloggiarsi in un'opportuna sede,
ed interno, da posizionare sul perno o sull'albero: fra i due anelli sono posti corpi volventi, per lo più tenuti
distaccati fra loro da una gabbia distanziatrice.

• Cuscinetti rigidi: gli assi degli anelli sono permanentemente coassiali. Per il loro corretto
funzionamento occorre garantire la coassialità tra perno (o albero) e sede nel supporto

• Cuscinetti orientabili: gli assi degli anelli consentono dei disallineamenti (3°-5°) al montaggio o
durante il funzionamento

In base agli elementi volventi i cuscinetti di rotolamento possono essere classificati in:

1) Cuscinetti volventi a rulli: sopportano carichi superiori ai cuscinetti a sfere. Per aumentare
ulteriormente la capacità di carico si possono affiancare due corone di sfere o di rulli.
2) Cuscinetti radiali a sfere rigidi: Sopportano carichi radiali elevati, ma anche carichi assiali in
entrambe le direzioni e sono adatti per velocità elevate. Esigono che gli assi delle parti rotanti
coincidano con quelli delle parti fisse modesta adattabilità angolare. Possono essere muniti di
schermi di protezione e di scanalature per gli anelli elastici di ancoraggio (semplificazione del
montaggio)
3) Cuscinetti obliqui ad una o a due corone di sfere: Hanno piste sfalsate l’una rispetto all’altra. Il
contatto tra le sfere e le gole avviene obliquamente rispetto all’asse del cuscinetto. Questi
cuscinetti sono adatti per reggere carichi combinati radiali e assiali. Sotto l’azione di un carico
radiale puro si determina sugli anelli del cuscinetto (ad una corona di sfere) una reazione assiale
che, per essere eliminata, richiede il montaggio di un altro cuscinetto con obliquità opposta.
Necessitano di battuta laterale sull’albero e nell’alloggiamento (spallamenti diagonalmente
opposti).
4) Cuscinetti orientabili a sfere: Hanno due corone di sfere ed un’unica pista nell’anello esterno di
forma sferica, in modo da assicurare il contatto anche quando gli assi dei due anelli risultano
inclinati fra loro. Sopportano carichi combinati. Vengono impiegati quando possono verificarsi
inflessioni abbastanza grandi o errori di allineamento.
5) Cuscinetti radiali a rulli cilindrici: Questi cuscinetti sopportano elevati carichi radiali e, se provvisti
di orletti, di limitati carichi assiali. Nel caso di cuscinetti aperti entrambi gli anelli si devono montare
bloccati assialmente. Questi cuscinetti si distinguono in: -Cuscinetti aperti: uno dei due anelli ha gli
orletti integrali, l’altro è senza orletti; consentono alla corona di rulli di spostarsi assialmente in
entrambe le direzioni. -Cuscinetti semichiusi: uno dei due anelli ha gli orletti integrali, l’altro un solo
orletto, integrale o riportato; la corona di rulli può spostarsi assialmente in una sola direzione. -
Cuscinetti chiusi: entrambi gli anelli hanno gli orletti; la corona di rulli è vincolata assialmente in
entrambe le direzioni.
6) Cuscinetti a rulli conici: I rulli hanno forma tronco-conica e l’anello esterno, con sede di
rotolamento conica, è sfilabile. Le rette di contatto tra rulli ed anelli convergono in un punto che si
trova sull’asse del cuscinetto. Sopportano carichi radiali, combinati ed assiali. Il carico radiale dà
luogo sempre ad una componente assiale, per cui questi cuscinetti si montano sempre accoppiati
con conicità opposte. Necessitano di battuta laterale sull’albero e nell’alloggiamento (per esempio
spallamenti diagonalmente opposti).
7) Cuscinetti radiali orientabili con rulli a botte: -Cuscinetto ad una corona di rulli: l’anello esterno ha
la sede di rotolamento sferica cuscinetto orientabile; capacità di carico elevata in direzione

radiale e scarsissima in quella assiale. -Cuscinetto a due corone di rulli: l’anello esterno ha la sede di
rotolamento sferica  cuscinetto orientabile; capacità di carico elevata in direzione radiale e bassa
in quella assiale.
8) Cuscinetti assiali a sfere: Sono scomponibili. Sopportano carichi assiali, ma nessun carico radiale.
9) Cuscinetto assiale orientabile a rulli: Gli elementi volventi sono rulli a botte con assi convergenti in
un punto dell’asse del cuscinetto. Uno degli anelli, con pista sferica, consente l’orientamento
dell’albero mentre l’altro, munito di un orletto, sopporta la spinta dei rulli  cuscinetto orientabile.

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IL MONTAGGIO DEI CUSCINETTI VOLVENTI: In genere un albero richiede, per poter essere sostenuto e
guidato, due o più supporti. I cuscinetti, di norma, servono a guidare radialmente l’albero durante la
rotazione e a vincolarne la posizione in senso assiale (in entrambe le direzioni). Necessità di rispettare

scrupolosamente alcune regole di montaggio, già in sede di disegno, aventi lo scopo di: Evitare alle piste e
ai corpi rotolanti sollecitazioni anomale, Assicurare una opportuna lubrificazione.

1) scelta di accoppiamenti opportuni tra gli anelli del cuscinetto e le relative sedi: L’anello rotante
rispetto al carico esterno deve essere montato con accoppiamento abbastanza serrato (in genere
j5, k6 per la sede sull’albero, M7 sull’alloggiamento esterno). L’interferenza di montaggio va
accuratamente verificata in modo da evitare: movimenti angolari relativi rispetto all’elemento
rotante durante il funzionamento e sovraccarichi anomali sugli elementi rotolanti. Nel caso di
cuscinetti non scomponibili (esempio: cuscinetti radiali a sfere) l’anello non rotante deve essere
montato con accoppiamento libero o di spinta per permettere al cuscinetto di seguire l’albero nelle
sue eventuali variazioni di lunghezza conseguenti alla dilatazione termica (in genere H6 per
alloggiamento esterno, h6 o g6 per sede sull’albero). Se il cuscinetto è scomponibile anche l’anello
non rotante può essere montato con interferenza
2) vincoli in senso assiale: I cuscinetti di vincolo assiale dell’albero sono, di solito, i cuscinetti radiali a
sfere o i cuscinetti reggispinta. Dei vari cuscinetti radiali e reggispinta che supportano uno stesso
albero uno solo deve essere di vincolo assiale in modo da impedire ogni spostamento assiale
dell’albero (nei due sensi) nella sezione in cui è applicato. Se i cuscinetti sono scomponibili (per
esempio alcuni cuscinetti a rulli o a rullini) entrambi gli anelli dovranno essere bloccati assialmente
in entrambe le direzioni sull’albero e la carcassa  evitare il disassemblamento. Questi cuscinetti
consentono piccoli spostamenti assiali relativi e quindi riescono a seguire l’albero nelle sue
dilatazioni e contrazioni termiche.

Cuscinetti obliqui: Vanno utilizzati in presenza di carichi assiali dello stesso ordine di grandezza di quelli
radiali (es. cuscinetti a rulli conici o cuscinetti a sfere a gole oblique). Per ogni cuscinetto le superfici da
bloccare assialmente sono quelle per cui passa la retta d’azione del carico che si trasmette da una pista
all’altra. Questi cuscinetti vanno sempre montati a coppie con obliquità contrapposte (montaggio a
contrasto) 1 montaggio ad X 2 montaggio ad O

Cuscinetti reggispinta: Quando le spinte assiali sono elevate è conveniente ricorrere a cuscinetti assiali a
sfere, a rulli conici, a rulli a botte. I primi due tipi di cuscinetti non sopportano i carichi radiali, mentre quelli
con rulli a botte possono sopportare carichi radiali abbastanza elevati rispetto al carico assiale. Tutti i
cuscinetti reggispinta vengono montati lasciando all’anello non rotante un gioco radiale che ne permetta il
libero spostamento sulla sede piana di appoggio così da consentire: migliore adattamento al carico ed
eventuali spostamenti dell'estremità dell'albero.

Le battute di appoggio dei cuscinetti possono essere ottenute da elementi aggiunti (anelli elastici, ghiere,
distanziali) o ricavati direttamente nella carcassa o sull’albero (spallamenti). La battuta di appoggio deve
avere un’altezza minima correlata con il raggio di raccordo dello spallamento.

La geometria delle sedi del cuscinetto deve essere controllata con attenzione perché influisce sul
funzionamento corretto dei cuscinetti: perpendicolarità (o oscillazione totale assiale) degli spallamenti,
cilindricità (o oscillazione totale radiale) delle sedi.

Nei cuscinetti volventi la lubrificazione è necessaria essenzialmente per:

 migliorare le condizioni di attrito tra le parti in moto relativo


 asportare il calore che si genera in corrispondenza delle superfici di contatto durante il
funzionamento (riduzione della temperatura del cuscinetto)
 rendere più silenzioso il cuscinetto durante il funzionamento
1) Lubrificazione ad olio
2) La lubrificazione con grasso è da preferire ogniqualvolta sia possibile perché presenta i seguenti
vantaggi: il grasso è più facilmente trattenuto in sito, dispositivi di lubrificazione più semplici ed
economici, protezione dei cuscinetti dall’umidità e dalle impurità, il valore massimo ammissibile
della velocità di rotazione è ovviamente inferiore a quello ottenibile con una lubrificazione ad olio

Viene sempre usata la lubrificazione a grasso:

 quando c’è possibilità di fuoriuscita di lubrificante


 Quando è necessaria una forte protezione del cuscinetto contro agenti corrosivi
 Quando è necessario evitare il gocciolamento di lubrificante
 La lubrificazione a grasso richiede solo una camera sufficiente a contenere il lubrificante e la
presenza di protezioni adeguate
Tenute e guarnizioni: Hanno lo scopo di evitare fuoriuscite di lubrificante ed impedire infiltrazioni di
impurità (polvere, umidità). A seconda che le parti meccaniche, tra le quali si teme fuoriuscita di fluido o
ingresso di sostanze estranee, siano o meno in moto relativo tra loro si impiegano guarnizioni (o tenute)
statiche o dinamiche.

Anelli O-Ring: Sono tra le tenute statiche di più frequente impiego. Il funzionamento si basa sulla
deformazione elastica subita dopo il montaggio in una sede con una dimensione trasversale inferiore al
diametro della sezione originaria della guarnizione. La reazione elastica conseguente si traduce in una
pressione sulle superfici a contatto che garantisce una tenuta efficace. Gli elementi, tra cui gli anelli, che
sono inseriti, prevedono in genere accoppiamenti dell’ordine H8/g7 (gioco). Vengono usati anche in
presenza di movimenti rotatori od assiali lenti tra le parti.

Anelli di tenuta a labbro flessibile: Si tratta di anelli di tenuta per alberi rotanti costituiti da un’anima

metallica, da un labbro di tenuta in elastomero sintetico e da una molla a spirale in acciaio. L’anello deve
essere orientato con la concavità rivolta verso l’ambiente in cui è contenuto il fluido sul quale occorre
esercitare la tenuta.

Tenute a labirinto: Si tratta di tenute rotanti con attrito quasi nullo, indispensabili quando vi siano
condizioni ostili (per temperatura o sostanze presenti) o elevate velocità di rotazione. Queste tenute
funzionano basandosi sulla difficoltà per le particelle di superare il cammino tortuoso fra un elemento
mobile ed uno fisso contro cui vengono proiettate per forza centrifuga.

Tenuta a labbro ad U: Le tenute a labbro per moti rettilinei presentano una sezione ad U in cui uno dei
tratti, più flessibile, viene spinto contro la superficie di strisciamento dallo stesso fluido che contribuisce a
contenere. Sono anche dette guarnizioni automatiche poiché la pressione del fluido deforma il labbro
aumentando la tenuta.

TOLLERANZE GEOMETRICHE
Le superfici reali di un pezzo costruito si possono scostare più o meno sensibilmente sia dalla forma
geometricamente esatta indicata a disegno, sia dalla posizione prestabilita rispetto a superfici o punti
assunti come riferimento. Valutare le condizioni di accoppiamento con riferimento solo alle quote lineari
porta a trascurare gli effetti della forma. Il dimensionamento geometrico può essere definito un mezzo per
specificare in un progetto, un disegno, le funzionalità geometriche e le relazioni funzionali tra le singolarità
di forma, con lo scopo di ottenere la produzione più valida qualitativamente ed economica di tali
singolarità.

Il principio di indipendenza: Quando sono previste unicamente tolleranze dimensionali, queste limitano
anche alcuni errori di forma e posizione, ossia le superfici reali degli oggetti possono scostarsi dalla forma
geometrica prescritta purché restino all’interno della tolleranza dimensionale. Se gli errori di forma devono
trovarsi all’interno di tali limiti, deve essere prescritta anche la tolleranza di forma. “Ciascuna prescrizione
dimensionale o geometrica specificata su un disegno deve essere rispettata in sé stessa in modo
indipendente, salvo non sia prescritta, sul disegno, una relazione particolare”.

Pertanto, in mancanza di indicazioni specifiche, le tolleranze geometriche si applicano senza tenere conto
delle dimensioni dell’elemento, e le sue prescrizioni (dimensionali e geometriche) devono essere trattate
come esigenze tra loro indipendenti”. Poi “in mancanza di indicazioni relative alle norme richiamate, vale
ancora il principio della tolleranza dimensionale come limite della tolleranza geometrica”.
CLASSIFICAZIONE DELLE TOLLERANZE GEOMETRICHE:

 tolleranze di forma: stabiliscono i limiti di variazione di una superficie ho una singolarità


dalla forma ideale indicata nel disegno.
 Tolleranze di orientamento: stabiliscono i limiti di variazione di una superficie o una
singolarità rispetto ad uno più elementi assunti come riferimento.
 Tolleranze di posizione: stabiliscono i limiti di variazione di una superficie o una singolarità
rispetto ad una posizione ideale stabilita dal disegno.
 tolleranze di oscillazione: stabiliscono i limiti di variazione di una superficie o una
singolarità rispetto ad una forma stabilita dal disegno durante una rotazione della parte
attorno ad un elemento di riferimento.

Le tolleranze geometriche devono essere indicate a disegno per mezzo di un riquadro rettangolare diviso in
caselle nelle quali troviamo il simbolo della tolleranza geometrica, il valore totale della tolleranza, la lettera
o le lettere che individuano gli elementi di riferimento, quando necessario. L'elemento di riferimento viene
identificato da una lettera maiuscola iscritta in un riquadro collegata ad un triangolo nero o bianco posto
sull’elemento stesso. Questo si può situare sulla linea di contorno dell'elemento o su una linea di
prolungamento del contorno se l'elemento di riferimento è la linea o la superficie stessa; in corrispondenza
della linea di misura, quando l'elemento di riferimento è l'asse o il piano mediano della parte così quotata.

Eccezioni al principio di indipendenza:

 ESIGENZA DI INVILUPPO: L’esigenza di inviluppo implica che, sulla base delle indicazioni combinate
di tolleranza dimensionale e geometrica, non deve essere mai superato l’inviluppo della forma

perfetta corrispondente alla condizione di massimo materiale dell’elemento. In condizione di


“Esigenza di Inviluppo” si deve sempre essere in condizione di ottenere un diametro minimo
(frontale) pari all’inviluppo di forma perfetta in condizioni di massimo materiale (che per il foro è il
diametro minimo)

 PRINCIPIO DI MASSIMO MATERIALE: Il concetto di massimo materiale (MMC) di un foro (minimo


diametro) e di un albero (massimo diametro). “Le tolleranze di forma o di posizione prescritte
possono in pratica essere ampliate, senza compromettere la possibilità di accoppiamento, quando
le dimensioni effettive degli elementi da accoppiare non raggiungono i valori corrispondenti alla
condizione di massimo materiale”

 CONDIZIONE DI MINIMO MATERIALE: corrisponde alla condizione in cui le dimensioni degli alberi
vengono fissate al minimo e le dimensioni dei fori vengono fissati al massimo. Questo tipo di
condizione, che si indica con la lettera viene utilizzata spesso quando si vuole garantire una
distanza minima (spessore minimo) tra due features del pezzo. Fori: sono sempre considerati alla
massima dimensione; Alberi: sono sempre considerati al minimo diametro

Quando vengono imposte tolleranze geometriche, le stesse devono essere riferite a entità geometriche di
forma e posizione perfetta detti “riferimenti”. Se gli elementi geometrici non sono ideali (reali) e quindi
mostrano una superficie irregolare, se ne considera l’inviluppo di forma perfetta che si chiamerà
“elemento simulato”.

Tolleranza di rettilineità: controlla la rettilineità solo nella direzione parallela al piano di proiezione.

Tolleranza di planarità: è la condizione di una superficie in cui i punti appartengono tutti ad un piano,
specifica una zona tridimensionale determinata da due piani tra loro paralleli con una distanza uguale al
valore della tolleranza specificata.

Tolleranza di circolarità: le sezioni eseguite perpendicolarmente all'asse risultano ovali, ellittiche o


comunque irregolari. Specifica una zona bidimensionale limitata da due cerchi concentrici posti ad una
distanza che radialmente è uguale alla tolleranza specificata.

tolleranza di cilindricità: condizione di una superficie di rivoluzione nella quale tutti i punti di una superficie
sono equidistanti da un asse comune. Specifica una zona tridimensionale compresa tra due cilindri
concentrici entro i quali deve essere compresa la superficie.

parallelismo: associato ad una linea, un asse od una superficie e viene simboleggiato da due lineette
parallele inclinate a 60°.

perpendicolarità: simboleggiata da due lineette ortogonali, condizione rispetto a una linea o un asse o una
superficie di riferimento.

inclinazione: rappresenta la condizione di una superficie o di un asse che si trova ad un determinato angolo
rispetto ad un riferimento.

Concentricità: rappresenta la condizione in cui i punti medi di tutti gli elementi diametralmente opposti di
una figura di rivoluzione si trovano sull’asse o il punto centrale di un elemento di riferimento.

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