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Dalla Tradizione orale a quella scritta è avvenuto il passaggio


dalla creazione poetica al pensiero argomentativo
Teorie > Concetti > Linguaggio

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Nel 1935 il grecista Milman Parry aveva già


condotto delle ricerche teoriche sull'Iliade e
l'Odissea che lo avevano convinto che i poemi
omerici provenissero dalla tradizione orale. Per
trovare prove a sostegno di quest'ipotesi, Milman
Parry, insieme al suo allievo Albert Lord, decise di
condurre degli studi su popolazioni non ancora
contaminate dalla tradizione scritta e in cui vi
fossero cantori tradizionali ancora attivi. Individuò
tali popolazioni in alcune aree balcaniche (Bosnia,
Erzegovina, Montenegro, Serbia). I risultati dei loro
studi costituiscono una pietra miliare nel campo
della tradizione orale e vennero pubblicati, dopo la
morte di Parry, da Albert Lord (Il cantore di storie –
Argo editore). In un primo soggiorno di quindici
mesi, Parry e Lord ricostruirono accuratamente il
processo attraverso cui i cantori venivano addestrati
ad apprendere i canti di quella tradizione e li
registrarono.

Una delle principali conclusioni cui giunsero fu che il


concetto di 'originale' non ha senso nella
tradizione orale perché ogni nuova esecuzione di
un canto è, allo stesso tempo, una creazione, dato
che il cantore interviene, consciamente o
inconsciamente, a introdurre delle modifiche ai versi
in risposta alla sua vena e alle sollecitazioni
dell'uditorio.

Ogni creazione orale ha una molteplicità di autori. Si può dire che il concetto di
autore è nato con la tradizione scritta. Scrive Albert Lord (p.173-174):

Quello che ascoltiamo è 'il canto', poiché ogni esecuzione è più di


un'esecuzione: è una ri-creazione […] La verità è che il nostro concetto di
'originalità' del 'canto' semplicemente non ha senso nella tradizione orale. A
noi sembra così fondamentale, così logico pensare che debba esserci un
'originale' per ogni cosa, perché viviamo in una società in cui la scrittura ha
fissato per l'arte la regola di una prima creazione stabile.[...] In realtà, solo
colui che ne ha una versione scritta, sembra preoccuparsene, solo lui cerca
l'inesistente, illogico e irrilevante 'originale'. I cantori negano di essere i
creatori del canto: lo hanno imparato da altri cantori. […] Un canto non ha un
'autore', ma una molteplicità di autori, essendo ogni esecuzione una creazione
e avendo ognuna di esse il suo singolo autore.

Due fattori differenziano la tradizione orale da quella scritta: il primo è che il


poeta orale non ha alcun testo di riferimento al quale pensare prima di esibirsi
in un canto, egli ha delle formule o modelli, ma non sono fissi. Il secondo fattore
è il tempo, nel senso che il poeta orale si trova davanti a un uditorio che non gli
consente di interrompere il canto e pretende che egli lo esegua senza
interruzioni.
Parry e Lord, attraverso lo studio minuzioso dell'apprendimento dei canti
ricostruirono i processi mentali mediante i quali una persona può acquisire la
capacità, non solo di ricordarli (i cantori della tradizione orale avevano una
memoria prodigiosa e riuscivano a ricordare un intero lungo canto anche dopo
averlo ascoltato una sola volta, mentre chi sa scrivere non riesce a farlo), quanto
di ri-crearli inserendovi nuovi contenuti pertinenti e abbellimenti formali. Una
delle ragioni di tale capacità venne individuata nell'uso di un certo numero di
formule ritmiche tradizionali che vengono acquisite durante l'addestramento
ed entrano a far parte del suo pensiero poetico (o della sua struttura mentale
come direbbe un neuroscienziato). Queste formule sono essenziali perché il
poeta orale deve cantare di continuo, non può fermarsi, come il poeta
letterario, a riflettere su come continuare la storia. Inoltre tale ritmo è di
solito sostenuto (in tutte le tradizioni orali) da uno strumento musicale, di
solito molto semplice e auto-costruito, che nel caso dei cantori balcanici era
la gusla (strumento a corda singola con archetto).

Parry e Lord conobbero, ascoltarono e registrarono molti cantori


ma in particolare uno, Avdo Mededovic, attirò la loro attenzione
per la grande capacità creativa e per la qualità poetica dei suoi
canti, che li portò ad attribuirgli la denominazione di 'Omero
balcanico'. Ogni cantore orale è costretto a 'pensare' in base alla
formule ritmiche (costituite da poche parole o interi versi)
acquisite durante l'addestramento, ma quando egli impara a
scrivere può violare queste formule pur costruendo un verso
metrico regolare anche se libero dalle formule orali. Quando tali
violazioni sono avvertite come 'giuste' la tecnica letteraria sarà
consolidata. Come scrive A.Lord (p.211):

Pertanto, l'analisi delle formule, posto naturalmente


che si abbia materiale sufficiente per ottenere risultati
significativi, è in grado di indicare se un dato testo sia orale o
'letterario'. Un testo orale mostrerà una predominanza di
formule chiaramente dimostrabili, con la maggior parte del
resto costituita da espressioni 'formulari' e da una piccola
quantità di espressioni non formulari. Un testo letterario
mostrerà una predominanza di espressioni non formulari, con
alcune espressioni formulari e pochissime formule evidenti.

Riguardo alla questione omerica, si può ragionevolmente asserire


che l'uso di un registratore da parte di Lord, permise ai cantori
balcanici di esprimersi liberamente e a Parry e Lord di ottenere gli
esatti testi delle esecuzioni effettive. Questo non sarebbe stato
possibile con l'impiego di uno scriba. Parry ne ha dedotto che i
testi dei poemi omerici non possono provenire da una poesia
orale di primo livello, cioè trascritta durante l'esecuzione del
canto. Il secondo livello, vale a dire il testo dettato, sembra
essere quanto di più vicino all'esecuzione orale si possa
ottenere senza registratore. Scrive Lord (p.235):

Nelle mani di un bravo cantore e di uno scriba


capace, questo metodo produce un testo più lungo e
tecnicamente migliore della reale esecuzione. Mi sembra che sia
proprio qui che debbano essere collocati i poemi omerici. Essi
sono testi orali dettati. All'interno di questa classe possiamo
distinguere tra quelli scritti con perizia e quelli scritti con
imperizia. I primi presenteranno versi regolari e completezza
narrativa, i secondi avranno molte irregolarità nei versi e una
struttura complessiva caratterizzata da apòcopi (parole
troncate).

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I testi di terzo livello, vale a dire quando il poeta orale è


alfabetizzato e scrive da sé il testo del poema oralmente
trasmessogli è, secondo Lord, di qualità inferiore ai testi dettati
perchè il cantore ha già una sua tecnica compositiva orale che
viene ostacolata e limitata dalla scrittura.

Secondo Parry e Lord la tecnica della creazione scritta non è


compatibile con la tecnica orale, e le due qualità si escludono a
vicenda, infatti non si tratta soltanto di un diverso "modo di
comporre" quanto di un diverso "modo di pensare". Per questo
motivo secondo lo storico Ivan Illich (Nello specchio del passato -
Boroli Editore) il passaggio dalla tradizione orale a quella scritta
segna una frattura epistemica. Scrive Illich (pp.169-170):

Parry fu il primo a notare che il passaggio dalla


tradizione epica orale alla poesia scritta, nella Grecia arcaica,
segna una frattura epistemica. Egli sostenne  che per la
mente alfabetizzata è quasi impossibile immaginare il
contesto in cui il cantastorie della tradizione orale componeva
i suoi canti. Nessun ponte costruito sulle certezze intrinseche
alla cultura dell'alfabeto permette di rientrare nel magma del
mondo orale. [...] In una cultura orale la 'parola', quella che
siamo abituati a cercare sul dizionario, non esiste. [...] ogni
frase è alata, e svanisce per sempre prima ancora che si sia
finito di pronunciarla. L'idea di fissare i suoni in una riga di
testo, di imbalsamarli per farli risorgere in seguito, non si
può presentare. Perciò la memoria non può venir concepita
come un magazzino o come una tavoletta di cera. Sollecitato
dalla lira, l'aedo non cerca la parola giusta: un'espressione
adatta, tratta dal 'sacco' delle frasi tradizionali, fa muovere
spontaneamente la sua lingua con il ritmo appropriato. Il
cantore Omero non ha mai provato e scartato le 'mot juste'.
Virgilio, invece, continuò a correggere l'Eneide fino all'ora
della sua morte: egli è già il prototipo del poeta scrittore.

Le ricerche del filosofo e antropologo Walter Ong hanno definito


in cosa consiste tale frattura epistemica, chiarendo le differenze
tra oralità e scrittura riguardo al pensiero umano: la scrittura
introduce un nuovo stile cognitivo indicato come pensiero
letterario (o alfabetico), il quale è un "pensiero argomentativo",
causale, che procede per analisi e sintesi e lavora non su oggetti
concreti ma su concetti (vedi bibliografia Squillacciotti). Queste
sono le caratteristiche del pensiero filosofico che nasce nella
Grecia antica intorno all' VIII secolo a.C. proprio nel passaggio
dall'oralità alla scrittura. I greci colti del V sec a.C. non si resero
conto della frattura epistemica che stavano vivendo nella
transizione dalla cultura orale a quella scritta. Paradossalmente
Platone, mentre creava la sua filosofia, mediante una nuova
facoltà di pensiero basata sulla possibilità di riflettere su parole
bloccate su un supporto, muoveva aspre critiche alla scrittura
(vedi pagina Origine della scrittura). Infatti, la cultura orale si
basava su parole che erano suoni che non corrispondevano a
nessun luogo o forma e avevano bisogno di un ritmo e una
ripetizione per fissarsi nella memoria.

è un percorso lineare e obbligato, come una strada ferrata:

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Nonostante gli enormi vantaggi della scrittura nell'abilitare un


pensiero argomentativo rimane l'esigenza di preservare un'attività
che è nata con l'oralità: la creatività poetica. Come ha scritto il
poeta Mark Strand (vedi bibliografia) la poesia dà all'essere
umano qualcosa di cui non riesce a fare a meno, ci trasferisce
da un pensiero cognitivo a un pensiero affettivo, cioè ci ricorda
cosa significa sentirsi vivi:

La poesia sembra perpetuamente in crisi, eppure


senza meravigliare nessuno, riesce sempre a sopravvivere.
Forse perché sono un poeta, credo che la poesia – a differenza
della narrativa, che immagina il nostro comportamento umano
nel quadro di un contesto sociale – ci offra una prospettiva sui
nostri sentimenti o, per la precisione, su come ce li
rappresentiamo. In altre parole, la poesia, al contrario della
narrativa, procede dall'interno all'esterno, esteriorizza la nostra
interiorità. È una cosa curiosa: la vita che conduciamo ci
consente solo di rado di fermarci a riflettere su ciò che abita nel
nostro corpo e, di conseguenza, possiamo diventare così
estraniati da noi stessi da aver poi bisogno della poesia per
ricordarci che cosa si prova a esser vivi. La nostra abitudine a
pensarci in relazione agli altri e a giudicarci in base a come
agiamo in un contesto sociale ci rende più vicini allo spirito
della narrativa: il comportamento esteriore è più facile da
osservare, può essere percepito immediatamente, ed è quindi
più semplice giudicarlo.

Il neurobiologo Arnaldo Benini, nel recensire il libro del


neuropsicologo Arthur Jacobs e del poeta Raoul Schrott "Gehirn
und Gedicht. Wie wir unsere Wirklichkeit konstruieren"
(purtroppo non ancora tradotto in italiano), scrive (vedi
bibliografia 2011):

E' esperienza comune che, grazie alla


componente ritmica, i versi si ricordano più a lungo delle
frasi. Una poesia si riconosce a prima vista dalla lunghezza
dei versi che, in tutte le lingue, di regola non supera le 10
sillabe. Esse sono lette in circa tre secondi, che è il tempo
medio dei meccanismi della coscienza per distinguere due
percezioni: in quello spazio di tempo il cervello può
concentrarsi solo su un evento. Questo darebbe alla lettura
della poesia la possibilità di coinvolgere i meccanismi
dell'affettività in maniera più intensa di altre esperienze.

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Libri consigliati
a chi vuole capire la differenza tra oralità e scrittura

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Pagina aggiornata il 9 giugno 2018

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