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KANT vita e opere

se non ci fosse stato la filosofia non sarebbe stata quella che è adesso. insieme a platone,
cartesio, aristotele, hegel sono i capisaldi della filosofia. dal punto di vista della vita possiamo
dire che è l'anti rousseau: se rousseau aveva avuto una vita avventurosa invece kant ebbe una
vita piatta. nasce in prussia in un paese oggi nell’attuale polonia. venne educato secondo la
religione pietista. si iscrisse alla facoltà di filosofia della sua città. appena laureato faceva il
precettore privato, poi diventa professore ordinario di logica e metafisica. era molto abitudinario
tanto che si diceva che gli abitanti della città che regolavano il proprio orologio in base alla sua
passeggiata. rende l’idea come la sua vita fosse regolare e abbastanza piatta, l’unico scontro
della sua vita fu con il governo prussiano il quale diceva di trovare la religione cattolica nelle
opere di Kant. dice che la filosofia non deve occuparsì della religione, l’esistenza di Dio è
qualcosa che appartiene al foro interiore (ha un valore personale ma non conoscitivo) >
l’esistenza di Dio non può essere dimostrata filosoficamente. avendo dedicato tutta la vita allo
studio arriva a circa 80 anni, morì dicendo la frase “va bene così” in tedesco. sulla sua tomba c’è
una frase tratta dalla Critica della Ragion Pura :”il cielo stellato sopra di me, la legge morale
dentro di me”.

i 3 periodi dell’attività kantiana


● prima parte: kant si interessa delle scienze naturali
● seconda parte (periodo precritico, precedente alle sue opere più importanti): si concentra
sulle questioni filosofiche
● terza parte (periodo critico o filosofia trascendentale) : scrive le sue opere più
importanti (Critica della ragion pura, critica del giudizio, critica della ragion pratica) dal
1781

prima del periodo critico Kant scrisse numerosi testi anche di carattere naturalistico con cui si
avvicina alla filosofia degli illuministi e all’empirismo inglese (Hume lo svegliò dal sonno
dogmatico). La filosofia di Kant è un’ottima sintesi tra il pensiero di Cartesio (razionalismo
puro) e l’empirismo di Hume. la filosofia di Kant però non arriva mai all’esito scettico
dell’empirismo, dall’altro lato la critica che Kant fa alla filosofia di Cartesio è che manca di
concretezza.

L'opera più importante del periodo precritico (1770) è “La forma e i principi del mondo
sensibile e intelligibile” in cui introduce già i capisaldi del periodo critico. L’esordio della sua
produzione critica fu nel 1781 in cui pubblicò “La Critica della Ragion Pura”; scrisse anche
“Risposta alla domanda:che cos’è l’Illuminismo?” scrisse anche un’opera di carattere politico
“Per la pace perpetua”.

IL PROGETTO FILOSOFICO
abbiamo detto dunque come si divide il suo iter filosofico. kant si avvicina allo studio della natura
ma la analizza con gli strumenti degli illuministi, si avvicina anche all’empirismo inglese e questo
gli permette di analizzare il modo di conoscere e non solo l’oggetto della conoscenza.

● le basi del criticismo nella dissertazione del 1770


a partire dal 1770 nella sua dissertazione “la forma e i principi del mondo sensibile e
intelligibile” mette in moto la conoscenza dal punto di vista trascendentale (a priori, ha a che
fare con la sensibilità).
in questo testo Kant fa la distinzione tra conoscenza sensibile e intellettuale.
- sensibile: è di tipo passivo, il soggetto riceve dalla sensibilità i dati (quello che kant
definisce il fenomeno)
- intellettuale: ha a che fare con le cose come esse sono (noumenon)

quella sensibile può essere definito Sinolo di materia e forma: la materia è oggetto della
sensazione (5 sensi), attraverso l’intelletto ordino il materiale proveniente dalla sensibilità
attraverso spazio e tempo che sono intuizioni pure (non abbiamo bisogno di ragionare per
capire che una cosa ha spazio e tempo).
se quello che ci appare, ci appare così immediatamente è fenomeno, quindi apparenza. se
interviene l’intelletto noi le chiamiamo esperienze.

la conoscenza intellettuale: secondo Kant l’uomo attraverso l’intelletto ha la possibilità di


conoscere le cose come esse sono (uti sunt).
l’oggetto si plasma sulla nostra conoscenza: io dico che l’agenda è un quadrato perchè ho la
categoria di quadrato, l’agenda quindi diventa un quadrato. le categorie per Kant sono 12, queste
io le impongo alla realtà. non è detto che l’agenda sia un quadrato blu. la conoscenza per Kant è
l’imposizione delle categorie sull’oggetto da parte del soggetto. come Copernico aveva
messo al centro il sole, Kant mette al centro del sistema conoscitivo l’io, il soggetto conoscitivo
(al contrario dell’empirismo). però l’empiria fornisce i dati ma questi li organizzo tramite la
conoscenza.
kant dice che esistono i dati sensibili ma questi è tale solo come appare a chi la conosce
(fenomeno) poi abbiamo il noumeno (è la cosa in sé che però rappresenta un concetto limite che
noi non possiamo conoscere > si parla infatti di “filosofia del limite”.

perché la filosofia di Kant è una filosofia del limite? vuole analizzare le condizioni di
possibilità che appartengono all’uomo, non cosa conosce l’uomo ma come conosce.

infatti la sua filosofia viene definita “criticismo”, deriva da critica che ha come origine il verbo
greco krino (giudicare/valutare quali sono i limiti della conoscenza dell’uomo). la filosofia
kantiana ha come base scientifica Newton, Kant ha fatto per la filosofia quello che newton ha
fatto per la scienza. per kant si parla di un illuminista di secondo grado. se gli illuministi
avevano usato il lume della ragione per conoscere e analizzare, kant critica anche la ragione.
infatti la sua opera più importante è La Critica della Ragion pura.

- CRITICA DELLA RAGION PURA -


il genitivo della frase (della ragion pura) è un doppio genitivo:
- soggettivo: la ragion pura critica
- oggettivo: oggetto della critica
è più illuminista degli illuministi perché attraverso il suo discorso Kant ci svela quali sono i
funzionamenti della ragione. Essa è sostanzialmente un’analisi critica dei fondamenti del sapere.
Nella Critica della ragion pura il problema trattato è quello della conoscenza. Secondo Kant, le
maggiori filosofie tradizionali, il razionalismo e l’empirismo, non hanno saputo giustificare
appieno il giudizio conoscitivo.
agli occhi di Kant la scienza e la metafisica si presentano in modo diverso.
- scienza: grazie ai successi di Newton e Galilei, appare come un sapere fondato e in
continuo progresso;
- metafisica: con il suo voler procedere oltre l’esperienza non aveva trovato il cammino
della scienza.

● scetticismo scientifico e metafisico


Hume invece aveva messo in discussione i fondamenti sia della scienza sia della metafisica. per
questo, secondo Kant, era necessario un riesame della struttura e della validità della
conoscenza. Kant respinge lo scetticismo scientifico di Hume (pensa che non ha senso
dubitare del valore della scienza); invece appoggia lo scetticismo metafisico, ma con una
diversa prospettiva.
Hume vedeva la metafisica come “illusione di conoscere razionalmente ciò che ci proviene
dall’esperienza”, Kant la descrive come una “disposizione naturale” che porta l’uomo a
sorpassare i limiti del verificabile.

Da qui derivano le domande fondamentali a cui la Critica cerca di rispondere:


- come è possibile la matematica pura? (devono esserci dei principi puri)
- come è possibile la fisica pura?
- come è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? (perché siamo portati a
credere in Dio?)
come è possibile la metafisica come scienza? dice che la metafisica come scienza non
esiste, va bene credere in Dio ma non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio (rifiuta quindi il
pensiero di Tommaso e Anselmo). nella matematica e nella fisica si tratta di chiarire le condizioni
che le rendono possibili come scienze, invece nella metafisica bisogna scoprire se esistono
condizioni che possono confermarla come scienza.

● i giudizi sintetici a priori


Kant parte dall’analisi della matematica e della fisica cercando il fondamento della loro
scientificità, una volta trovato, dovrà capire se esso fonda anche la metafisica. il punto di
partenza della riflessione sulla conoscenza di Kant è lo scetticismo di Hume (infatti dice che
l’ha risvegliato dal sonno dogmatico). mostrando che il principio di causalità non ha base
oggettiva, ma è l’oggetto di una credenza soggettiva, a sua volta generata dall’abitudine.

accogliendo la sfida lasciata aperta da Hume, Kant vuole dimostrare come la conoscenza umana
può essere universale e necessaria (la sintesi dei dati sensibili avviene secondo le leggi proprie
dello spirito umano, indipendentemente dall’esperienza) e feconda (il contenuto è ricavato
dall’esperienza). infatti l’opera si apre con un’ipotesi gnoseologica:
ogni nostra conoscenza inizia con l’esperienza ma quello che segue dipende dall’esperienza.
quindi la nostra conoscenza empirica può essere un mix di quello che riceviamo con le
impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva aggiunge.

● giudizi sintetici a priori


principi assoluti su cui è fondata la scienza.
- giudizi: perché aggiungono un predicato a un soggetto;
- sintetici: perché il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto;
- a priori: perchè, essendo universali, non possono derivare dall’esperienza.

● GIUDIZIO: espressione con cui si unisce un soggetto e un predicato. non solo un


giudizio di gusto, ma sono alla base della conoscenza (io conosco dunque posso
giudicare).

● SINTETICO: l’origine chimica del termine (synthetikós = dare qualcosa in più),


infatti il predicato aggiunge qualcosa in più al soggetto.

quindi secondo Kant i giudizi fondamentali della scienza non sono nè giudizi analitici a priori nè
giudizi sintetici a posteriori.
- giudizi analitici a priori: vengono enunciati senza ricorrere all’esperienza. nel predicato
è già contenuto il concetto del soggetto. la loro funzione è esplicare ciò che già si dice
implicitamente. sono universali e necessari (a priori), ma sono infecondi perché non
aggiungono niente di nuovo.
- giudizi sintetici a posteriori: aggiungono tramite il predicato una conoscenza nuova. ad
esempio “i corpi sono pesanti” che si può dire solo dopo aver fatto esperienza di più
oggetti corporei. sono fecondi (sintetici) ma non sono universali e necessari, perché si
basano sull’esperienza.

secondo Kant i principi della scienza sono sia “sintetici” (fecondi) sia universali e necessari
(a priori), quindi irriducibili alle due classi precedenti. questa teoria di Kant sottintende un
confronto con le due scuole filosofiche precedenti:
- i giudizi analitici a priori richiamano la concezione razionalistica della scienza (si
partiva da alcuni principi a priori per far derivare da essi tutto il conoscibile, dando vita
così a un sapere universale ma sterile).
- i giudizi sintetici a posteriori richiamano l’interpretazione empiristica della scienza
(fondare la scienza solo sull’esperienza, dando vita così a un sapere fecondo ma non
universale).

● concezione kantiana della scienza


Kant pensa (contro il razionalismo) che la scienza deriva dall’esperienza, ma ritiene anche
(contro l’empirismo) che alla base dell’esperienza ci sono dei principi che non possono derivare
dall’esperienza.
Nella visione kantiana la scienza risulta feconda in un duplice senso:
- sia per il contenuto, che deriva dall’esperienza;
- sia per la forma, che deriva dai giudizi sintetici a priori.
essa è anche universale e necessaria (a priori).
passiamo dunque sintetizzare la concezione kantiana della scienza con:
SCIENZA = ESPERIENZA + PRINCIPI SINTETICI A PRIORI

● giudizi sintetici a priori come base della scienza


la scienza è costituita di giudizi sintetici a priori, cioè i vari giudizi scientifici si basano su giudizi
sintetici a priori. secondo Kant, l’errore di Hume è stato quello di non cogliere la differenza tra i
giudizi sintetici e il principio di causalità. quindi i giudizi sintetici a priori rappresentano la
spina dorsale della scienza, cioè l’elemento che le da stabilità e universalità, in mancanza di
essi si muoverebbe nell’incerto. senza dei principi assoluti la scienza non potrebbe esistere
come sostanza autonoma. Il ricercatore humiano barcollerebbe nel buio senza sapere se anche
nel futuro ad esempio quell’evento dipenderà da quelle cause; invece lo scienziato kantiano è
certo a priori di tali verità, anche se per sapere le cause che producono gli eventi ha bisogno
dell’esperienza.

LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA”
● conoscenza come sintesi di materia e forma
dopo aver stabilito che alla base della scienza ci sono giudizi sintetici a priori, Kant deve
spiegare la provenienza di questi ultimi. Se non derivano dall’esperienza, da dove
provengono i giudizi sintetici a priori? Kant risponde a questa domanda elaborando una
nuova teoria della conoscenza, intesa come sintesi di materia e forma (un elemento a
posteriori e uno a priori):
- materia della conoscenza: molteplicità mutevole delle impressioni sensibili;
- forma della conoscenza: insieme delle modalità fisse con cui la mente ordina le
impressioni.
Proprio perché queste forme sono possedute e applicate allo stesso modo da tutti gli uomini,
esse sono universali e necessarie, quindi a priori rispetto all'esperienza.
Su questa tesi gnoseologica egli pone il fondamento dell'universalità della scienza. infatti la
scienza è intesa da Kant come sintesi di materia e forma cioè sintesi del contenuto derivato
dall'esperienza e dei principi sintetici a priori, verità necessarie e universali che valgono ovunque
e sempre allo stesso modo ma non derivabili dall'esperienza stessa.

● la rivoluzione
Non solo, con la teoria della conoscenza intesa come frutto della sintesi tra materia e forma, il
filosofo opera una vera rivoluzione copernicana: come Copernico ribaltò i rapporti tra terra e
sole, Kant ribalta i rapporti tra soggetto e oggetto. >> Secondo Kant non è la mente (soggetto)
che si adatta in modo passivo alla realtà (oggetto), ma è il soggetto che impone le
proprie categorie alla natura e la conosce secondo le categorie uguali per tutti gli
uomini.

● “fenomeno” e “cosa in sé”


la nuova ipotesi gnoseologica comporta la distinzione tra:
- fenomeno: realtà che ci appare filtrata dalle forme a priori che sono proprie della nostra
struttura conoscitiva. dunque è qualcosa di relativo al nostro modo di conoscere (questo
non significa che sia qualcosa di ingannevole o illusorio). infatti ha una “specifica
oggettività” > vale allo stesso modo per tutti gli intelletti umani;
- cosa in sé: realtà considerata indipendentemente da noi e dalle forme a priori mediante
le quali la conosciamo.

FACOLTÀ DELLA CONOSCENZA E PARTIZIONE DELLA CRITICA


DELLA RAGION PURA
la critica della ragion pura va ad analizzare il modo di conoscere. la ragione è il modo in cui noi
conosciamo, tecnicamente parlando è una delle 3 facoltà conoscitive attraverso cui si realizza
il nostro rapporto con il mondo e con la conoscenza.
- sensibilità: ha a che fare col sensibile, ci permette di relazionare il nostro io con le cose
sensibili, le due forme secondo cui i sensi si ordinano sono spazio e tempo;
- intelletto: facoltà fondamentale attraverso cui pensiamo attivamente i dati offerti dalla
sensibilità;
- ragione: con cui tentiamo di guardare oltre l’esperienza, quindi l’uomo non può spiegare
ma solo postulare.
alla domanda “come è possibile la matematica pura?” risponde nella sua estetica
trascendentale. la matematica è lo studio dello spazio e del tempo. (spazio la geometria, il tempo
l’aritmetica)

IL CONCETTO DI “TRASCENDENTALE” E IL SENSO COMPLESSIVO


DELL’OPERA
Gli scolastici medievali definivano “trascendentali” le proprietà universali che tutte le cose hanno
in comune (essere, l’unità) e quindi trascendono le categorie aristoteliche. Kant si collega a
questa tradizione linguistica, però connette il concetto di “trascendentale” con quello di
“forma a priori”, che non esprime una proprietà ontologica della realtà in sé, ma solo una
condizione gnoseologica che rende possibile la conoscenza della realtà fenomenica.

TRASCENDENTALE: non sono le forme a priori, ma il loro studio filosofico.


“Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupi non tanto di oggetti ma del nostro modo
di conoscere gli oggetti”.
In Kant è trascendentale ciò che è a priori, ma attenzione: non tutto ciò che è a priori è
trascendentale, (in quanto “a priori” ha un significato più vasto).
per spiegarlo più semplicemente possiamo dire che trascendentale è il “meccanismo” della
conoscenza, a prescindere dal contenuto di essa. Kant infatti vuole spiegare non che cosa si
conosce, ma “come” avviene la conoscenza, cioè definire i presupposti che rendono possibile la
conoscenza.
Diversamente da “trascendentale” il termine “trascendente” nella tradizione sta a significare ciò
che va al di là dell’esperienza, come per esempio “l’angelo”: esso è un ente trascendente di cui
cioè non abbiamo esperienza, ma di cui possiamo parlare logicamente.

Quindi, in Kant, non risultano trascendentali le forme a priori, ma le discipline filosofiche


relative ad esse (estetica trascendentale, analitica trascendentale).

● significato del titolo “Critica della ragion pura”


critica: portare in tribunale per giudicarlo, per trovare i limiti e l’ambito di validità;
ragione: facoltà conoscitiva in generale;
pura: viene giudicata la struttura “a priori”
Davanti al tribunale costituito dalla critica, la ragione è giudice e giudicato. il genitivo della frase
è sia oggettivo (la critica è la cosa che viene criticata) sia soggettivo (la critica mette in atto la
critica).

Abbiamo visto come la dottrina degli elementi della critica della ragion pura si dividesse in due
parti: da una parte l’estetica trascendentale e dall’altra la logica trascendentale che si divide in
due parti: da un parte l’analita e dall’altra parte dialettica.
L’ESTETICA TRASCENDENTALE
Per introdurre l’estetica trascendentale kantiana è bene tenere a mente cosa si intende per
trascendentale: è tutto ciò che viene prima dell’esperienza, ciò che la precede.
Proprio per questo, quando si fa riferimento ad “estetica trascendentale” si intende lo studio
della conoscenza sensoriale a partire da elementi a priori, come lo spazio e il tempo,
chiamate: intuizioni pure.
- spazio: è intuizione pura che precede l’esperienza, che ordina e dà forma alle percezioni
esterne;
- tempo: è l’intuizione pura che ordina quelle interne, come gli stati d’animo e le profonde
riflessioni. è definito l’intuizione pura presente in ogni esperienza, poiché anche le
sensazioni esterne ordinate dallo Spazio, passano dal Tempo per essere rese
esperienze personali ed interne.
Per capire meglio, le intuizioni pure dello Spazio e del Tempo possono essere viste come lenti
colorate: noi vediamo il mondo non per come è davvero, per la sua forma reale, ma lo vediamo
del colore delle lenti che possediamo noi esseri viventi e lo vediamo tutti allo stesso modo, per
questo può definirsi universale.
per giustificare l’apriorità dello spazio e del tempo con argomenti generali nell’esposizione
metafisica, con argomentazioni matematiche nell’esposizione trascendentale.

● Esposizione metafisica
Kant confuta la visione empiristica di Locke (spazio e tempo nozioni tratti dall’esperienza), la
visione oggettivistica di Newton (spazio e tempo entità a sé) e la visione concettualistica di
Leibniz (spazio e tempo come concetti che esprimono rapporti tra le cose).

CONTRO L’INTERPRETAZIONE EMPIRISTICA


Kant dice che spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza, perché per farne una
presupponiamo le rappresentazioni di spazio e tempo. Non si può non pensare nello spazio e nel
tempo.

CONTRO L’INTERPRETAZIONE OGGETTIVISTICA


spazio e tempo non sono contenitori in cui si trovano gli oggetti, ma quadri mentali a priori dentro
i quali connettiamo i dati fenomenici. pur essendo ideali e soggettivi, sono reali e oggettivi
rispetto all’esperienza. infatti Kant parla di idealità trascendentale e di realtà empirica dello
spazio e del tempo.

CONTRO L’INTERPRETAZIONE CONCETTUALISTICA


oggettivamente ogni esperienza si da all’uomo in base alle intuizioni di spazio e tempo, se non
rientra in quelle categorie è noumena. hanno una natura intuitiva e non discorsiva.

Pur rifiutando l’oggettivismo di Newton, Kant vi si avvicina con la dottrina dello spazio e del
tempo come coordinate assolute dei fenomeni.

● Esposizione trascendentale
secondo Kant, alla base delle intuizioni di spazio e tempo c’è la matematica. La geometria è la
scienza che dimostra sinteticamente a priori le proprietà delle figure mediante l’intuizione pura di
spazio. Allo stesso modo l’aritmetica è la scienza che determina sinteticamente a priori le proprietà
delle serie numeriche, basandosi sull’intuizione pura di tempo e successione (senza la quale il
concetto di numero non esisterebbe). In quanto a priori, la matematica è anche universale e
necessaria.
Perché la matematica vale anche per la natura?
se la forma a priori di spazio con cui ordiniamo la realtà è di tipo euclideo, allora i teoremi della
geometria euclidea varranno anche per l’intero mondo fenomenico.

L’ANALITICA TRASCENDENTALE
se la facoltà di riferimento dell'estetica trascendentale era la sensibilità e la disciplina di
riferimento la matematica, ora dell'analita la facoltà di riferimento è l’intelletto e la disciplina di
riferimento è la fisica. Kant dice che se è vero che noi attraverso la sensibilità possiamo in
qualche modo relazionarci al fenomeno, d’altra parte è necessario che questo fenomeno venga
sintetizzato dal soggetto (dall’uomo). Lo scopo dell'analitica trascendentale è quello di
analizzare il modo attraverso cui l’intelletto sintetizza il materiale che proviene dalla sensibilità.
Io vedo un albero attraverso i miei sensi: lo tocco, occhi ma non basta diceva kant e ricordiamo
che spazio e tempo, che sono le due forme pure della sensibilità, sono due modalità immediate di
relazionarsi al fenomeno (quello che ci accade ci accade immediatamente, io non ho bisogno di
riflettere per capire che io ho un corpo, immediatamente penso che occupo uno spazio).

Tuttavia dice kant non basta la sensibilità, quello che il materiale e i miei sensi percepiscono
deve essere rielaborato, scopo dell’intelletto è quello di ordinare il materiale che mi viene dato
dai sensi.
In questo contesto c’è forse una delle frasi più celebri della critica della ragion pura: “senza
sensibilità nessun oggetto entrerebbe in relazione con noi e senza intelletto nessun oggetto
verrebbe pensato”,
i pensieri senza contenuto sono vuoti (molto all'empirismo di hume) le intuizioni senza concetti
sono cieche: i pensieri, ciò che pensiamo, attraverso l’intelletto senza contenuto vuoti, però le
intuizioni (cioè il fatto di toccare un albero tramite la sensibilità) sono cieche > quando tocco
qualcosa e non dico cos’è, se non esprimo la frase tramite l’intelletto questa mia intuizione è
cieca, senza vista, è necessario che io esprima un giudizio. tanto è vero che i concetti in
tedesco si dice begriff, dal verbo tedesco begreifen che significa afferrare quindi il concetto è la
catalogazione di un’intuizione tramite l’intelletto.

I concetti possono essere di due tipi:


- empirici cioè costituiti dal materiale ricavato con l’esperienza
- puri cioè contenuti a priori nell’intelletto.
Kant nell'analitica trascendentale, a priori, analizza questi concetti puri che egli chiama
aristotelicamente “categorie” però rispetto ad aristotele Kant ci dice che le categorie hanno un
valore esclusivamente gnoseologico cioè le categorie ci servono esclusivamente a conoscere, non
ci dicono come la cosa è in sé, l’uomo ha accesso al fenomeno non al noumenon, quindi a come
le cose appaiono. queste ci permettono di connettere un soggetto ad un oggetto, ma non come
la cosa è in sé ma solo come appare a me (non saprò mai cos’è l’albero in sé ma solo come
appare a me). A differenza di Aristotele, per kant le categorie sono 12 divise in 4 gruppi da 3 ed
hanno valore logico, per Aristotele 10.

Nell'analitica kant dice che le categorie sono 12 (quantità, qualità, relazione..) ma chi mi dice
che queste categorie sono le categorie utili per comprendere la realtà? che cosa ci
garantisce che la natura obbedisce alle categorie? Il senso dell'espressione
“deduzione trascendentale” ha un valore giuridico. deduzione non è intesa come
dimostrazione, ma nel senso giuridico di legittimazione, cioè chi mi legittima.
cosa legittima l’utilizzo delle categorie per comprendere la realtà?
Kant ci dice che relazionandosi con il fenomeno (ciò che appare), noi operiamo una sintesi che
ha sede nell’intelletto.

Catturiamo la realtà attraverso l’intelletto ma l’intelletto come funziona?


Dice kant che il nostro intelletto può essere definito come io penso. dice che tutti noi in quanto
umani siamo dotati di questo centro unificatore chiamato “io penso” che accompagna tutte le
mie rappresentazioni. io penso è anche definito percezione (modo attraverso cui tutto ciò che io
rappresento si manifesta).
Ma come funziona la rappresentazione? Se dobbiamo dire che qualcuno è simpatico
attraverso questa frase esprimiamo un giudizio, conoscere e giudicare ma il giudizio come
funziona?
Funziona attraverso le categorie, che possono essere qualità, quantità, relazione ecc, quindi se
devo conoscere quell’albero il giudizio, giudicare è unire un soggetto e un predicato. ma i
predicati derivano sempre dalle categorie quindi nel conoscere la realtà lo faccio attraverso un
giudizio che presuppone delle categorie, di conseguenza gli oggetti possono essere
conosciuti, pensati e iudicati, solo attraverso le categorie.

Di un oggetto posso dire che ha tempo, luogo, spazio, modo, dal punto di vista gnoseologico
quando esprimo un giudizio sulle cose possono farlo solo utilizzando determinate categorie non
ontologico. Quindi qualsiasi mio modo di organizzare la mia conoscenza sul fenomeno ha
necessariamente bisogno delle categorie attraverso cui esprimo un giudizio. Questo io non è altro
che l’io penso (soggetto che organizza la conoscenza del mondo attraverso le categorie). Non si
può pensare nulla senza un io che pensa, tramite le categorie logiche.
La realtà obbedisce necessariamente alle forme a priori del nostro intelletto.

Il fatto che io dica che l’albero è alto, non significa che l’albero è effettivamente così ma che il
fenomeno albero, che è l’unica cosa che io posso conoscere, è così. il fenomeno è il modo
attraverso cui l’io penso si relaziona alla cosa ma non alla cosa in sé ma come appare a me.
Per parlare di qualcosa utilizzo categorie e sono forme a priori attraverso cui incasellare la realtà
perché tutti noi abbiamo le stesse forme mentali quindi siamo tutti dotati delle stesse categorie e
tanto io quanto un altro diciamo che un albero è alto e pesante.

Ora dice Kant l’io penso ha l'unico scopo di ordinare la realtà preesistente. Noi non
possiamo mai accedere alla cosa in sé (antiplatonico) non possiamo accedere al mondo delle
idee, ci appaiono solo i fenomeno, solo su quelli noi possiamo agire. il motivo per cui l’uomo
conosce la fisica è che l’io è il legislatore della natura perchè io stabilisco che f è uguale a
mxa (formule imposte alla natura, non so come funziona la natura ma solo attraverso le
categorie che impongo alla natura comprendo come funziona). Motivo per cui per Kant
nell'analitica trascendentale, in cui si studiano le categorie, la disciplina di riferimento è la fisica
newtoniana.

Dice kant che sembra quasi che il mondo dipende esclusivamente dall’io ma kant dice che sarà
ficter a farlo, l’io penso di kant non crea il mondo ma ordina il mondo che già esiste. il fatto che
l’uomo non può accedere alla cosa in sé non significa che crea il mondo ma che ordina il
materiale che gli è dato secondo le 12 categorie (lo spazio, relazione, quantità) ma per kant il
mondo esiste in sé, semplicemente l’uomo non ha accesso tanto è vero che poi nell'ultima parte
(dialettica trascendentale). kant parlerà di dio e anima ma come concetti limite attraverso cui
pensare il fenomeno e a cui l’uomo non può accedere.

Si parla quindi di rivoluzione copernicana perché ormai la forma di conoscenza non è l’oggetto
ad imprimere la sua forma nel soggetto ma il soggetto che impone le proprie categorie alla
natura e la conosce secondo le categorie uguali per tutti gli uomini .

● ambiti d’uso delle categorie e il concetto di “noumeno”


fin ora abbiamo analizzato quelle parti della Ragion Pura in cui kant prima analizza le forme pure
della sensibilità (spazio e tempo) e poi le categorie e dell’io penso. però le categorie hanno
bisogno di un materiale da ordinare, questo viene preso dall’esperienza. ci dice kant che le
categorie funzionano solo in relazione al fenomeno. ovviamente questa limitazione porta con sé
che al di là del fenomeno ci deve essere un qualcosa che lo trascende e che l’uomo non può
conoscere. quindi bisogna fare una distinzione tra pensare e conoscere (possiamo pensare
tutto ma gnoseologicamente ci relazioniamo solo con i fenomeni). > così dicendo presupponiamo
già che c’è qualcosa che noi non possiamo conoscere, cioè il noumeno (la cosa in sè). questo è
un qualcosa che non è riducibile al fenomeno ma l’uomo non può accedervi. Allora perché
Kant parla di noumeno? in tedesco kant dice che è un grez begriff (concetto-limite) >
concetto che non possiamo conoscere ma ci serve per porre un limite alla nostra conoscenza.
kant dice “la conoscenza dell’uomo è limitata, l’uomo può conoscere solo il fenomeno non può
accedere al noumeno però prova sempre ad andare oltre”.
al contrario di hume (la cui filosofia sfocia nello scetticismo), Kant dice che ci sono delle aree
della conoscenza a cui noi non possiamo accedere, ma le immaginiamo, le postuliamo. hanno
una funzione regolativa > servono per segnare il limite della conoscenza, l’uomo cerca di
andare oltre ma sfocia dalla fisica alla metafisica.

DIALETTICA TRASCENDENTALE
l’estetica aveva come mezzo la sensibilità e come disciplina la matematica, l’analitica si
occupava di fisica e intelletto, la dialettica trascendentale ha come facoltà conoscitiva la ragione
intesa come facoltà che tenta di oltrepassare i limiti del fenomeno per accedere alla metafisica.
come è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? secondo kant l’uomo
per natura tende per superare i limiti della sua finitezza, e prova a rispondere a delle domande.
come è possibile la metafisica come scienza? non è possibile, la metafisica come scienza
non esiste, se per essa intendiamo la teoria della conoscenza.

DIALETTICA: vuole mostrare l’analisi e lo smascheramento, ci mostra come tutti i


discorsi metafisici sono fallaci.
ha una visione negativa del tentativo di spiegare razionalmente le idee metafisiche che sono
delle forme attraverso cui si giustifica il nostro voler superare il fenomeno. esempio > il fatto che
noi crediamo in Dio per kant noi abbiamo bisogno di un'idea attraverso cui dare un senso alla
nostra esistenza.
la metafisica come si dispiega nel corso della storia?
per semplificare il proprio discorso Kant individua 3 elementi attraverso cui pensare degli enti che
rappresentano una totalità che dovrebbe spiegare razionalmente la nostra esigenza che va al di
là della fisica.
secondo kant le idee di anima, mondo e Dio sono il tentativo da parte della ragione di voler
procedere al di là dei dati sensibili in vista di una totalità.
- anima: tentativo di dare una spiegazione a tutti i nostri fenomeni interni (sentimenti,
emozioni, pensieri), questi fenomeni sono detti ………...
- mondo: per indicare tutti i fenomeni esterni
- Dio: idea delle idee che in qualche modo sintetizza il tentativo dell’uomo di andare oltre il
sensibile, sintetizza tanto i fenomeni interni quanto quelli esterni
Kant, attraverso la dialettica trascendentale, dimostra come le idee di mondo, anima e Dio siano
delle idee che spiegate razionalmente risultano contraddittorie > se il pensiero procede oltre gli
orizzonti dell’esperienza postulando l’esistenza dell’anima, di Dio e del mondo, non può che
naufragare.

un'idea ancora più astratta è quella di Dio: noi non possiamo dimostrare la sua esistenza senza
contraddizioni; è un’idea che noi possiamo postulare ma mai dimostrare.

● critica della psicologia razionale


tratta dell’anima (ψυχή); psicologia infatti significa “discorso sull’anima”. kant ci dimostra come
quella che noi crediamo essere l’anima (ovvero un centro unificatore che dà la direzione
all’uomo) è solo una funzione formale. come definiva kant quel centro unificatore
attraverso cui possiamo conoscere? l’io penso (possiamo farlo corrispondere con l’anima),
non è altro che una condizione formale che ha una funzione solo gnoseologica, cioè non esiste
dal punto di vista fisico.
l’errore della psicologia razionale è di dare all’io penso una realtà, come se esistesse
fisicamente.

● critica della cosmologia razionale


dice che nemmeno il mondo può essere pensato. l’errore dell’uomo è quello di credere che noi
possiamo fare esperienza della totalità, in verità noi possiamo fare esperienza solo di una parte
del mondo. l’errore della cosmologia razionale è di credere che l’uomo possa fare esperienza di
questa totalità. per dimostrare questa impossibilità kant ci pone di fronte delle antinomie
(letteralmente “contro legge”, conflitti della ragione con se stessa).
se noi esprimiamo un giudizio sul mondo non siamo sicuri che questo sia giusto, perchè sia uno
che l’altro possono andare bene. qualsiasi spiegazione razionale del mondo nella sua totalità
cade in questa contraddizione. kant dice che l’unico modo per sciogliere questo dilemma è non
scioglierlo da un punto di vista razionale. la cosmologia razionale dunque non può fornire nessun
criterio per decidere quale delle due tesi sia corretta; qualsiasi pretesa da parte della ragione
fallisce.

● critica alle prove dell’esistenza di Dio


tutta la storia della filosofia occidentale ha provato a provare l’esistenza di Dio, a dare una
giustificazione logica a questo ente perfettissimo che è il fondamento della nostra realtà.
Kant ci dice che dal punto di vista conoscitivo noi non possiamo dire niente di Dio.
per dimostrare la fallacia delle prove sull’esistenza di Dio, analizza 3 argomenti. Critica:
- prova ontologica: Anselmo d’Aosta pretendeva di dimostrare l’esistenza di Dio a
partire dal concetto “Dio è l’essere perfettissimo a cui non può mancare l’attributo
dell’esistenza”. kant dice che non è possibile saltare dal piano logico a quello
della realtà. quindi Dio possiamo postulare l’esistenza;
- prova cosmologica: Aristotele per arrivare a definire Dio procede a ritroso fino alla
causa prima. Chi ci autorizza a saltare da una causa materiale a una
immateriale come Dio? anche qui si passa dalla realtà al trascendente. Kant ci che si
arriva ad un limite oltre cui non si può andare e questo limite non è oggetto di scienza ma
di fede. Fa quindi un uso improprio del concetto di causa, poiché lo applica per
stabilire una connessione tra il mondo (l’effetto) e Dio (la causa);
- prova fisico-teologica: si pensa che nella natura ci sia un ordine creato da Dio. ma
chi mi dice che la perfezione della natura corrisponde alla perfezione di Dio? come faccio
a identificare un ordine che c’è nel mondo con un ordine metafisico? i parametri secondo
cui io giudico Dio sono umani. non posso compiere il passo dal fisico al metafisico.
Con tutto ciò, Kant non nega l’esistenza di Dio, ma giunge ad una conclusione agnostica: sulla
base delle nostre possibilità conoscitive non possiamo affermare o negare l’esistenza di Dio. Dio
ha solo un valore regolativo, da un punto di vista scientifico non esiste perchè è indimostrabile.

- CRITICA DELLA RAGION PRATICA -


l’uomo non è solo pensiero ma anche azione. non va intesa come un'analisi critica dell’azione
perché analizza le forme a priori attraverso cui un’azione può avvenire. quindi quest’opera è da
pensare come critica della ragione pura pratica, (analisi della ragione che agisce al di là
dell’esperienza sensibile, cioè a priori) poi c’è una ragione empirica pratica (basata
sull’esperienza).
l’opera di kant non ha un valore analitico ma descrittivo: come funzione la ragione pura pratica.
mentre gli aspetti della ragion pratica empirica sono quelli che vengono criticati.
da un lato ci descrive i principi a priori della ragion pratica, dall'altro si presenta come una critica
della ragion pratica empirica. il fatto che la ragion pura pratica non debba essere criticata non
significa che non ha dei limiti. la ragion pura pratica è dell’uomo, il quale è un essere limitato.
inevitabilmente essendo legata all’uomo, anche se ci sono dei principi puri che dobbiamo
descrivere, risente della finitudine dell’uomo. l’assolutezza della legge morale è un qualcosa a
cui tendere, non che ci appartiene, perché l’uomo è finito.

Di che cosa si occupa la critica della ragion pratica?


analizza la legge morale all’interno di noi uguale per tutti. così come ci sono delle leggi della
conoscenza valide per tutte, allo stesso modo ci sono delle leggi morali a priori che sono validi
per tutti (non è vero, cambia in ognuno a seconda anche del contesto storico-sociale).
Kant sulla sua tomba fece scrivere “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”

Quali caratteristiche ha questa legge morale?


è assoluta: ab soluta sciolto, libera da ogni condizionamento e ci guida. se la mia legge morale
mi dice “non uccidere”, può succedere qualsiasi qualcosa ma io non ucciderò perché la legge
morale è dentro di me.
il compito della critica della ragion pratica è dimostrare l’assolutezza della legge morale che
svincolandosi dalle inclinazioni sensibili mostra come dentro di noi ci siano le stesse leggi morali
valide sempre e per tutti.

affinché la vita etica si possa mostrare in quanto tale è necessario che l’uomo agisca
liberamente. se sono costretto a non uccidere, non sono etico; pur potendo uccidere non uccido
(questa è l’etica).
questa legge morale è universale (vale per tutti) e necessaria (unica condizione affinché io
possa definirmi umano). Se questa legge è sempre detto di me, perchè alcuni uomini
agiscono male?
l’assolutezza della legge morale sebbene vada al di là dei condizionamenti sensibili, questo
andare oltre è un'azione che l’uomo solo nel compierla dimostra la sua moralità. l’uomo non è
solo razionalità ma anche sensazione. l’uomo etico è colui il quale nella lotta continua tra
ragione e sensibilità riesce a sacrificare la propria sensibilità a favore della moralità delle proprie
azioni.

così come la critica della ragion pura era il tentativo di mostrare come la conoscenza dell’uomo
fosse limitata, allo stesso modo la critica della ragion pratica si pone come tentativo di mostrare
che la morale spinga al fanatismo. se noi ci attenessimo solo alla nostra sensibilità saremmo
delle bestie, ma se l’uomo fosse morale a prescindere non ci sarebbe bisogno della morale >
vivrebbe in una presunta condizione di santità.

anche in quest’opera, la filosofia di kant è una filosofia del limite in quanto analizza le tendenze
dell’essere umano che agisce tra l’istinto e santità. è tentativo di lottare contro ogni fanatismo
morale, abbiamo bisogno della moralità perché siamo a metà tra la bestialità e la santità.

l’etica di cui parla è prescrittiva (dice cosa dobbiamo fare) infatti è detta anche deontologica
(etica del dovere). non ci dice come gli uomini si comportano ma come dovrebbero comportarsi.
la morale di kant non è mai contenutistica ma formale cioè indica le forme che dovrebbero
caratterizzare la morale.

entriamo nello specifico della ragion pratica


La struttura dell’opera ricalca quella della critica della ragion pura in quanto vi è una dottrina
degli elementi e una dottrina del metodo. La dottrina degli elementi si divide in analitica e in
dialettica mentre la dottrina del metodo si occupa del modo attraverso cui la legge può accedere
nell’animo umano, nonostante la struttura sia simile il procedimento attraverso cui viene
analizzata il funzionamento della critica della ragion pratica è opposto alla ragion pura
perché se nella ragion pura si procede dall'esperienza dei sensi, si ascendeva ai concetti per poi
arrivare a dei principi (quindi estetica, analitica e dialettica) adesso nella critica della ragion
pratica kant compie un percorso inverso poiché parte dai principi a priori, procede verso i
concetti e poi si andrà se possibile con i sensi. Nell'analisi nei principi attraverso cui
funziona la ragion pratica (che nel linguaggio di kant è definita volontà) i principi sono 3.
- categoricità
- formalità
- autonomia
Dice kant, nell'analizzare i principi pratici ci troviamo di fronte a delle massime o degli
imperativi.
- massime sono degli indirizzi morali di carattere soggettivo, ad esempio è necessario
alzarsi presto, è bene non vendicarsi quando si subiscono offese, è bene arrivare con 10
min in anticipo ad un appuntamento, hanno un valore soggettivo: io posso decidere che è
bene una cosa ma tu puoi decidere che è bene un’altra. Posso decidere che alzarsi
presto è un bene ma tu puoi decidere che la mattina è meglio dormire.
- imperativi che sono un altro modo attraverso cui si dispiega la nostra volontà ovvero
ragion pratica, l’imperativo indica un comando , da impero, hanno valore oggettivo e
sono assoluti. Dice kant che gli imperativi possono essere di due tipi:
- ipotetici
- categorici
L’imperativo ipotetico funziona nella formula ‘ se allora’ o ‘se devi’ (se vuoi conseguire un buon
voto devi studiare).
L’imperativo categorico funziona nella formula ‘devi’ , al di là del fatto che abbiamo da fare una
interrogazione tu devi studiare, il dovere x il dovere. secondo kant solo il dovere x il dovere è la
formula di espressione massima della moralità. la moralità in quanto tale trova la propria formula
di espressione esclusivamente nell'imperativo categorico, per kant è morale soltanto l’imperativo
categorico. bisogna studiare sempre non solo per prendere un buon voto. Non dobbiamo
rispettare il prossimo solo per paura di incorrere in una sanzione, non uccidiamo perché
rispettiamo la vita non per paura del carcere. secondo kant se noi vogliamo essere degli enti
morali questo può avvenire soltanto nella misura in cui noi agiamo non con il desiderio di una
ricompensa ma perché il dovere chiama il dovere, non c’è una finalità esteriore ma è tutto legato
a se stesso.
Questo imperativo categorico si dispiega in maniera pluriforme: dice kant se il dovere x il dovere
si esplica nel dovere stesso questo dovere trova 3 formule di espressione definite formule
dell’imperativo categorico.
1. agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello
stesso tempo come principio di una legislazione universale: significa che noi
dobbiamo agire pensando ‘ cosa accadrebbe se tutti agissero come me?’, cosa
accadrebbe se tutti non studiassero?’. La prima formula di esplicazione dell'imperativo
dice che quello che faccio io deve valere come se la mia azione fosse l’azione di tutti.

2. agisci in modo tale da trattare l'umanità sia nella tua persona sia in quella di
ogni altro sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo (formula
che non si trova nella critica della ragion pratica ma in un testo parallelo in cui kant
specifica alcune cose che nella critica non erano dette chiaramente “fondazione della
metafisica dei costumi”): dice kant che la nostra azione deve essere finalizzata affinché la
nostra persona e quella degli altri sia trattata non come un mezzo ma come un fine cioè
noi non siamo semplicemente il mezzo attraverso cui un professore guadagna soldi
insegnando ma siamo il fine del suo percorso da docente affinché le generazioni future
siano più consapevoli idealmente attraverso la cultura, quello che noi facciamo, le nostre
azioni, decisioni devono essere sempre pensate non in un’ottica utilitaristica (come
machiavelli) ma nell’ottica del raggiungimento di fini superiori. infatti kant, da un punto di
vista politico, pensa che la morale sia lo strumento attraverso cui istituire il regno, un
regno non finalizzato al raggiungimento dell’utilità ma un regno in cui la dignità dell’uomo,
la sua libertà e persona, quello che in lui c’è di più sacro venga rispettato. Ogni nostra
azione non deve essere il mezzo per raggiungere uno scopo ma come un fine attraverso
cui ne venga rispettata la dignità.

3. agisci in modo che la volontà in base alla massima possa considerare


contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice > cioè il fatto
che noi ci sottoponiamo a queste leggi non è una sottomissione alla legge in quanto tale
ma una sottomissione a noi stessi ovvero noi obbediamo a quello che in noi c’è di più
elevato e di più morale quindi dice kant: la volontà non è semplicemente sottoposta alla
legge ma lo è in modo da dovere essere considerata autolegislatrice: rispetto la legge
perché è una legge dentro me ‘ il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro me’
cioè io rispondo ad una legge che è legge a me stesso e quindi una legge che mi regola.

Da un lato kant è innovativo ma dall'altra parte ci si rende conto come kant non faccia che
ripetere il principio cristiano: non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te, non fare agli altri
ciò che non vuoi sia fatto a te.

● “formalità” della legge morale


Kant distingue fra la legalità e la moralità.
- la legalità è pura esteriorità. io rispetto la legge per paura della legge stessa invece la
mortalità è qualcosa che è interiore, kant dice che l’uomo è sempre teso fra il sentimento,
la sensazione e la ragione. La sensibilità è l’aspetto razionale altrimenti si rischierebbe il
fanatismo morale che kant biasima, è vero che l’uomo tende al bene però questa sua
tendenza deve essere curata dalle azioni, vi sono anche aspetti di un’antropologia
negativa, dice che l’uomo è un legno storto, nasce qualche problema strutturale che deve
essere curato più avanti, tendenza alla perdizione, non è qualcosa di immediato
altrimenti dovrebbe essere naturalità.
- la moralità, kant non ci da una serie di precetti da rispettare, quella di kant non è una
precettistica, dei principi in maniera tale che quando noi agiamo teniamo presente gli altri
e rispettiamo la dignità dell’uomo in noi stessi e nell'altro (così come nella critica della
ragion pura vi era una distinzione tra materia e forma in cui la materia veniva presa dai
sensi, la forma una delle categorie a priori). kant distingue materia e forma dicendo che
la nostra morale deve essere di stampo formalistico. si parla di formalismo etico cioè un
qualcosa che ha nella forma il suo principio a priori, che la legge è la visione pratica di
kant è di stampo aprioristico, formalistico, naturalmente se la legge è formale, dall’altro
canto è categorico, la nostra azione è pensata come rispetto di qualcosa che c’è in noi di
universale, quindi si comprende il motivo per cui la visione etico-morale di kant è di
stampo anti utilitaristica: non agisco per ottenere un vantaggio, non studio per
prendere un buon voto ma perché è importante.
Visone antiutilitaristica ma d’altro canto si parla di rigorismo: infatti nella nostra azione
morale l’emozione e i sentimenti devono essere messi da parte. significa che quando io
agisco non devo prendere in considerazione le implicazioni sentimentali ed emotive.
esempio il professore deve interrogare : dovere x il dovere, se lo studente dice che non ha
potuto studiare perchè è stato male e il professore si fa trasportare nel sentimento
turbando la perfezione morale risulta che la sua azione non è più morale ma il suo
atteggiamento risulta patologico (legato alle passioni, si rifà all’etimologia greca di
paskein, pathos che significa passione). le passioni sono escluse dalla morale che si
deve occupare di dovere per il dovere non passione, le passioni ci distraggono
dall'obbedienza quindi la ragione deve guidare la passione. La moralità è un qualcosa di
diverso dalla legalità, la moralità ha a che fare con l’interiorità, è interiorizzare la legge e
dire che non è giusto gettare le cicche a terra e che non la butterei neanche fossi l’unico
essere al mondo, quindi senza una legge che può punirmi o qualcuno che possa
giudicarmi. quindi dice kant che il bene consiste non nel agire bene ma nel volere il
bene cioè nell'intenzione della volontà di conformarsi alla legge quindi essere
pienamente consapevole che quella legge è giusta.

Quindi la distinzione tra legalità e moralità ↴


- legalità: l’adesione dell’uomo alla legge è solo esteriore
- moralità: introiezione della legge, qualcosa che richiede la partecipazione interiore

si parla di “etica dell’intenzione” > azione è etica non perchè mi comporto bene ma perchè
voglio comportarmi bene (l’essere e il dover essere coincidono). l’eticità consiste nel volere il
bene, non solo nel comportarsi bene.
kant va oltre la critica della ragion pura perchè secondo lui, tramite la critica della ragion pratica e
la nostra morale, riusciamo a penetrare in quello spazio del noumeno che ci è sbarrato.
tramite la morale abbiamo una porta di accesso per il mondo intelligibile in cui vige la libertà.
caratteristiche dell’etica kantiana
- categoricità: dovere per il dovere
- formalità
- autonomia
● “autonomia” della legge morale e rivoluzione copernicana
se la morale è diversa della legge e ha a che fare con l’interiorità, evidentemente l’uomo è
autonomo (autos nomos: legge a se stesso). quella di kant è una morale autonoma in quanto
l’umanità diviene il fondamento della propria azione. vediamo allora (al di là di qualsiasi religione
o visione moralistica) con kant avviene una “rivoluzione copernicana” > l’uomo al centro del
discorso.
la rivoluzione copernicana ha valore:
- gnoseologico > l’uomo è il soggetto, imprime le proprie categorie sull’oggetto
- morale > non è la legge che determina l’uomo ma la legge all’interno dell’uomo stesso
al di là della morale autonoma, kant critica tutte le morali eteronome (quelle che sono esteriori
rispetto alla legge che c’è nell’uomo stesso). secondo kant non sono un uomo etico se rispetto
una legge perché la ritengo giusta, in quel caso sarei solo rispettoso della legge. le morali non
hanno valore effettivo in quanto impediscono di trovare in me stesso la legge.

TEORIA DEI POSTULATI PRATICI E FEDE MORALE


la critica della ragion pratica è divisa in dottrina degli elementi e del metodo. quella degli elementi
si divide poi in analitica e dialettica. nella dialettica kant analizza il sommo bene > oggetto della
ragion pratica. a cosa mira la ragion pratica? al sommo bene.

l’idea di sommo bene è l’unione di virtù e felicità. tuttavia nel nostro mondo virtù e felicità non
sono mai congiunte > antinomia per eccellenza. questo perché essendo l’uomo un essere
finito, la virtù e la felicità non sono di questo mondo. dice kant, scopo della ragion pratica è quella
di limare al massimo la distanza tra virtù e felicità. poiché l’uomo è finito le due cose non
potranno mai coincidere quindi kant postula la possibilità che ci sia una regione alta
dell’essere in cui virtù e felicità coincidono. kant quindi elabora dei postulati che non possono
essere dimostrati ma costituiscono delle esigenze della morale.

viene postulata l’immortalità dell’anima


poichè solo la santità rende degni del sommo bene e poiché la santità non è mai realizzabile nel
nostro mondo, dobbiamo postulare un tempo infinito grazie a cui progredire all’infinito verso la
santità.
l’immortalità dell’anima è la condizione secondo cui virtù e felicità si possono incontrare in un
altro mondo.

postula l’esistenza di Dio


è necessario, per agire in maniera morale, credere che ci sia una volontà santa che faccia
corrispondere la felicità e il merito. la nostra azione non potrà mai realizzare la virtù e felicità,
dobbiamo credere che ci sia una forza superiore che riesca a farlo. l’esistenza di Dio viene
postulata per giustificare la necessità di realizzare un discorso etico.

postulato della libertà


è la condizione stessa affinché l’etica si realizzi, l’uomo per essere etico deve essere libero di
poter agire contro l’etica stessa.

PRIMATO DELLA RAGION PRATICA


kant quello che non era riuscito a spiegare nella critica della ragion pura lo espone in modo più
approfondito nella critica della ragion pratica la quale permette a kant di squarciare l'ostacolo che
vi è tra noumeno e fenomeno, e in maniera asistematica arriva nell’ambito del noumeno.
sebbene i postulati non possono valere come conoscenze sicure, in qualche modo io posso
accedere al noumeno. la ragion pratica è superiore alla ragion pura, perché ci spiega cosa in più
e inoltre riesco ad arrivare al noumeno.

tra le due si crea un dualismo: due ambiti dell’essere differenti.


- uno orientato verso la scienza e il fenomeno
- l’altro lo spazio di accesso attraverso cui studiamo il mondo noumenico dell’etica
fra neomenico e fenomenico esiste una scissione. la critica del giudizio ci permetterà di mostrare
i tentativi kantiani nel far coincidere il fenomeno e il noumeno.
- CRITICA DEL GIUDIZIO -
prima di analizzare l’opera bisogna fare una precisazione. la parola Giudizio in tedesco si dice
urtheil ma kant usa urteilskraft > facoltà del giudizio. non analizza il giudizio ma la facoltà del
giudizio (facoltà attraverso cui l’uomo esprime giudizi). nella critica del giudizio è mossa da un
dualismo lasciato aperto dalle altre due opere:
- critica della ragion pura: visione meccanicistica della natura;
- critica della ragion pratica: visione finalistica della realtà in quanto si postulava la libertà
dell’uomo, esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima.
abbiamo da un lato un mondo fenomenico conosciuto dalla scienza e dall’altro un mondo
noumenico postulato dall’etica.

fra questi due mondi manca una sorta di ponte, un qualcosa che unisce l’ambito della
conoscenza all’ambito dell’etica > facoltà del giudizio (sentimento come tramite tra il mondo
fisico e quello etico). essa ha la finalità di esprimere tra conoscere e desiderare.
- giudizi determinanti: che determinano la natura delle cose (sintetici a priori), ne parla
nella critica della ragion pura;
- giudizi riflettenti: non determina l’oggetto conosciuto, ma mi permette di riflettere su di
una natura già costituita > mi permettere di indagare la natura non al fine di conoscerla
ma quale scopo ha una cosa. esempio vedo un albero dal punto di vista gnoseologico è
un cilindro con sopra un cerchio ma non è solo questo, vedendolo posso anche pensare
che sia bello, non lo penso solo in senso matematico ma suscita dei sentimenti, lo penso
con un fine (quell’albero è bello quindi voglio portarci la mia amica).

i giudizi riflettenti si dividono a loro volta in:


- giudizi estetici: l’albero stimola in me il concetto di bellezza > vediamo subito la finalità.
si esprime sulla bellezza o sul sublime;
- giudizi teleologici: pensiamo concettualmente la finalità (quella cosa mi ricorda
l’esistenza di Dio). si esprime sulla finalità.

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